Politica E Finanza Italiana Nel Tardo Impero Ottomano: La Partecipazione
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TESI DI DOTTORATO IN STORIA (POLITICHE, SOCIETA’, CULTURE, TERRITORIO) XXVIII CICLO Politica e finanza italiana nel tardo impero ottomano: la partecipazione al Consiglio di Amministrazione del Debito Pubblico ottomano ed il ruolo della Società Commerciale d'Oriente e del Banco di Roma (1881-1914). Settore disciplinare: Secs-P/12 Storia Economica Relatore: Prof. Gaetano Sabatini Correlatore: Prof. Anna Bozzo Candidato: Giampaolo Conte 2016 1 Fin dal mattino, davanti ai libri accumulati sulla mia scrivania, indirizzo una preghiera al dio della lettura: «Dacci oggi la nostra fame quotidiana…». Gaston Bachelard La poetica della rêverie 2 Indice Introduzione 5-15 Capitolo I. – La lunga strada verso il fallimento dell’impero ottomano (1774-1875) 1. L’impero ottomano, le riforme e l’economia tra il XIX ed il XX secolo 16-29 2. Moneta, Finanza e Commercio nell’impero ottomano 30-42 3. Il fallimento finanziario dell’impero ottomano 1875-1876 43-59 4. Verso la creazione del Consiglio di Amministrazione del Debito Pubblico ottomano 1878-1881 4.1 Le Finanze ottomane ed il Congresso di Berlino 59-69 4.2 L’Italia tra la commissione ordinaria e la commissione finanziaria 70-89 5. Il Decreto di Mouharrem 89-102 Capitolo II. – L’Italia nel consiglio del debito (1881-1903) 1. Il Conte Alberto Blanc e la vertenza contro la Banca Imperiale Ottomana 103-115 2. L’Italia e la vertenza relativa alla conversione dei titoli Priorités e dei Lots Turks 1890-1892 115-159 3. Il consiglio del debito all’arrembaggio 160-167 4. La questione della Presidenza del consiglio del debito pubblico ottomano 167-173 Capitolo III. –L’Italia nel consiglio del debito (1903-1928) 1. L’Unificazione del debito estero ottomano nel 1903 174-185 2. La guerra italo-turca e le conseguenze sull’influenza italiana nel consiglio del debito 186-202 3. Progetti ferroviari ed il ruolo del consiglio del debito pubblico ottomano 202-217 4. La fine del Consiglio di Amministrazione del Debito Pubblico ottomano 217-227 Capitolo IV. – Espansione bancaria italiana in Oriente e l’istituzione della Società Commerciale d’Oriente (1888- 1914) 1. La finanza italiana nell’impero ottomano: problematiche di espansione 228-231 2. Tentativi di insediamento di una Banca italiana a Costantinopoli (1888-1890) 231-236 3. Eraclea e la nascita della Società Commerciale d’Oriente (1907-1912) 236-249 4. La Banca per l’espansione italo-ottomana 249-254 5. La nuova Società Commerciale d’Oriente e la Concessione Nogara (1912-1914) 254-267 5. 1 La rete d’affari della Società Commerciale d’Oriente 267-276 5.1 Prestiti e Capitali 276-285 Capitolo V. - Il Banco di Roma nel Vicino Oriente ottomano (1911-1914) 1. La dimensione mediterranea del Banco di Roma 286-290 2. Il brutto affare del Banco di Roma a Costantinopoli 290-292 2.1 Il Banco di Roma e lo scontro con la Società Commerciale d’Oriente 292-316 3. La rete di affari del Banco di Roma nel Vicino Oriente ottomano 317-320 3.1 Il Banco di Roma ed il prestito al principe ereditario Youssouf Izzedine 320-325 3.2 Gli interessi italiani ed il Banco di Roma in Palestina 325-330 4. Progetti bancari ed interessi italiani in Siria e Mesopotamia 4.1 Progetto di banca italo-siriana 330-334 4.2 Interessi italiani in Mesopotamia 334-344 Conclusioni 345-357 Dizionario Biografico 358-364 Fonti e Bibliografia 365-391 3 Nota sulle monete e sulla valuta ottomana La maggior parte delle transazioni di alto valore nell’impero ottomano venivano fatte usando le livres turques (Lire Turche) o le Turkish pounds (abbreviato come LT). Tale moneta spesso veniva anche chiamata, specialmente dagli italiani, Lira Sterlina Turca (Lst). Dopo la prima emissione nel 1844, le livres turques avevano un valore di circa il 10% più basso rispetto alla Sterlina Britannica (£). Ad esempio 1 LT era uguale a 1.1 £, ed al contrario 1 £ valeva 0.909 LT. In rapporto con il Franco francese 1 LT valeva 22.727 Franchi. Pertanto il rapporto Sterlina Britannica/ Franco francese era di 1 a 251. 1 Clay C. G. A., Gold for the sultan: Western bankers and Ottoman finance 1856-1881, I.B. Tauris, Londra, 2000. Si veda anche Annual Report of the Council of Foreign Bondholders, 1904-1905, Council House, Londra. 4 Introduzione “[….] the Porte has not yet learned the bitter lesson taught by adversity, but still lives from hand to mouth, lays violent hands on the securities solemnly pledged to its creditors, and under the pressure of having to provide for the daily expenditure of the civil and military Government as well as for the extravagance of the palace, raises money at usurious interest; which but adds to the perplexities and difficulties of the situation”2. La storia economica e finanziaria dei paesi del mediterraneo orientale ha spesso ricoperto un ruolo di secondo piano nella storiografia generale inerente la storia politica, culturale e religiosa delle terre del Vicino Oriente. La centralità europea nell’evoluzione dell’economia mondiale tra il XIX ed il XX secolo ha spesso gettato un’ombra sui cambiamenti economici in atto in paesi ai margini del mondo capitalista3. Nello svolgersi del processo di analisi della storia economica e finanziaria del tardo impero ottomano è risultato inevitabile scontrarsi con questo limite, specialmente nella letteratura in lingua italiana, non facile da superare se non attingendo specialmente a lavori in lingua anglosassone. Grazie ad una generazione di eminenti storici autoctoni4, ci è stato permesso di leggere la storia della fine dell’impero ottomano anche attraverso le cause, esogene ed endogene, legate alla sfera economica. Nell’economia di questo lavoro si ritiene rilevante evidenziare il sottile e duplice ruolo, politico ed economico, giocato dall’Italia all’interno del Consiglio di Amministrazione del Debito Pubblico ottomano quale strumento non solo di politica di potenza da parte del governo di Roma, ma anche, congiuntamente con una fase di forte sviluppo industriale, come strumento per i tentativi di espansione italiana nella regione tra il 1881 ed il 1914. Il ruolo di non secondaria importanza nonché la posizione di centralità ricoperta dall’Italia all’interno del consiglio del debito è stata fino ad oggi ampiamente sottovalutata. Le stesse scelte operate da Roma nell’ambito delle funzioni strutturali e decisionali del consiglio internazionale, spesso ben distanti da posizioni di passività e di assoggettamento al volere delle grandi potenze europee, sono state 2 Annual Report of the Council of Foreign Bondholders, 7th General Report, Londra, 1879, pp. 6-7. 3 Chaudhury S., Morineau M. (edited by), Merchants, Companies and Trade. Europe and Asia in the Early Modern Era, Cambridge University Press, Cambirdge, 2007. 4 Solo per citarne alcuni: Edhem Eldem, Şevket Pamuk, M. Şükrü Hanioğlu, Halil İnalcık, etc. 5 espressione di ferma capacità e chiari intenti propulsivi e propositivi. Alcuni rappresentanti italiani, spesso in disaccordo con lo stesso governo, non mancarono di dare la loro impronta ad un’istituzione finanziaria non infrequentemente veicolo di azioni speculative ed ingerenze pericolose nella vita economica dell’impero ottomano. La crescente ambizione italiana nel consiglio del debito e i maggiori successi economici in patria portarono allo stabilirsi di due importanti istituti bancari italiani nella capitale dell’impero. Se il caso del Banco di Roma e della Società Commerciale d’Oriente verranno analizzati sia separatamente che all’interno di un contesto fosco di concorrenza fatto di invidie e colpi bassi, si vuole al contempo sottolineare il filo rosso esistente tra tali istituti bancari e la presenza italiana nel consiglio del debito quale anello di congiunzione e trampolino di lancio per iniziative finanziarie sia pubbliche che private. Peculiarità del nostro lavoro vuole essere la capacità di analizzare alcuni aspetti inerenti le attività italiane nell’impero ottomano attraverso un’analisi che inquadri tali imprese in un contesto sociale, economico e politico di una realtà ottomana che resta il centro della nostra ricerca, il punto focale del nostro lavoro. Superando il concetto di Stato tecnocratico legato all’ancien regime, la Sublime Porta fu costretta ad aprirsi alla modernità occidentale per comprendere ed imitare i segreti di quel rapido sviluppo tecnologico, specialmente militare. Non siamo quindi di fronte ad un cambiamento volontario, guidato da un processo evolutivo interno, emerso da circoli di intellettuali, da scuole di pensiero religiose o da una classe militare progressista5. Niente di tutto questo. Tale processo di apertura “calato dall’alto”, rispondeva ad istinti più primordiali, dettati dalla raison d'état. Nell’evoluzione di questo processo non possiamo esimerci dal non pensare a quanta fatica, realmente, possa essere costato all’orgoglio ottomano non essere più centro di sviluppo, e di conseguenza polo di forte imitazione da parte di altre civiltà, ma centro di un mondo ormai superato, che aveva bisogno di girarsi ora verso Occidente per guardare al futuro del progresso. Questa apertura è sorprendentemente veloce se si pensa che ancora agli inizi del XIX secolo l’Europa era per l’impero ottomano la “grande sconosciuta”. Secoli di guerre e commerci non avevano scalfito quel senso di 5 Heyd U., The Ottoman Ulema and Westernization in the time of Selim III and Mahmud II, in Hourani A., Khoury P.S., Wilson M.C., (edited by) "The Modern Middle East: A Reader", University of Califormia Press, Berkeley, 1994. 6 superiorità morale, civile e religiosa che il mondo musulmano-ottomano aveva nei confronti di un’Europa che fino al XVII secolo guardava ancora con timoroso rispetto il nemico ottomano avanzare alle sue porte6. Questa situazione cambiò radicalmente nel giro di un centinaio di anni. Dal 1683, anno del secondo assedio di Vienna da parte delle truppe del Sultano, al 1774, anno della sconfitta ottomana per mano della Russia di Caterina II che aprì la fase della così detta “Questione d’Oriente” con la pace di Küçük Kaynarca, l’impero ottomano si trasformò da cacciatore a preda, da impero in espansione ad impero in contrazione, da esempio di modello militare vincente a modello decadente ed in via di regressione.