Parrocchia Di Sant'adalberto Di Cormòns Si Qualifica Indubbiamente Come Uno Dei Più Preziosi E Antichi Dell'arcidiocesi Di Gorizia
Total Page:16
File Type:pdf, Size:1020Kb
PARROCCHIA DI SANT’ADALBERTO DI CORMÒNS ARCHIVIO STORICO INVENTARIO (SETTEMBRE 2006) 2 SOMMARIO Introduzione p. …………………………………………………………………………...………...4 Bibliografia p. ……………………………………………………………………………………..13 Archivio Storico p.……………………..………………………………………………………….15 Archivio di Deposito p. …………………………………………………………………………..226 Indici p. …………………………………………………………………………………………...255 3 L'ENTE PRODUTTORE Le origini della pieve di Cormòns risalgono alla tarda antichità: fu stazione curata già nel 450 d. C. Lo confermano la presenza della strada romana e dell'insediamento fortificato, elementi che sembrano contrassegnare le pievi sorte appunto in età tardo-antica, nonché le vicende dell'età longobarda, con il soggiorno a Cormòns dei patriarchi di Aquileia (628-737). Alcune incertezze riguardano l'ubicazione dell'edificio sacro che ospitò la pieve. Questa fu in origine intitolata alla Vergine, poi a Sant'Adalberto, un santo martirizzato alla fine del X secolo, il cui culto assunse forte rilievo con gli imperatori tedeschi e rivestì particolare significato per la dinastia dei conti di Gorizia, che numerosi ne portarono il nome. È probabile che il cambio di intitolazione, avvenuto dopo la seconda metà del Duecento, sia da collegare a una ristrutturazione della chiesa che abbia reso necessaria una nuova consacrazione, avvenuta in concomitanza con l'insediamento a Cormòns dei conti goriziani. Dopo il rifacimento settecentesco della chiesa - durante il quale fu collocata sulla facciata l'iscrizione che, visibile a tutt'oggi, ricorda la chiesetta o cappella (aedicula) dedicata alla Madre di Dio - è assai arduo, tuttavia, stabilire se la chiesetta intitolata alla Madonna sia stata un edificio a sé stante, una cappella della chiesa maggiore o una parte di questa, conglobata in una costruzione posteriore. Rimane controversa l'identificazione della pieve originaria, considerate la presenza, nel borgo di Povia, di una chiesa egualmente antica con la medesima intitolazione (Santa Maria, vulgo, Sant'Apollonia) e di una chiesa alto medievale all'interno del castello sul Quarin, infine la menzione negli atti della visita pastorale compiuta da Carlo Michele d'Attems nel 1753 dell'esistenza nella chiesa di San Giovanni Battista (nota nel IX secolo con il titolo di basilica) di un calice d'argento, accomunabile per morfologia ai più antichi calici italiani superstiti. Se qui si rinuncia a tracciare un profilo artistico e architettonico del Duomo, si deve però segnalare l'enorme spazio che le carte relative alla sua amministrazione occupano all'interno dell'archivio. Pare sia stato molto vasto, in origine, il territorio dipendente dalla pieve di Cormòns, comprendente anche le "ville" di Versa, Mossa e Lucinico, che dal Duecento appaiono come pievi autonome. Il più antico elenco delle pievi della diocesi di Aquileia (1247) e un elenco delle decime (1296) permettono di rilevare come, nella cura d'anime, il pievano fosse affiancato da un vicario, mentre nel territorio pievanale vi era un'unica cappella - quella di Medea - con un proprio sacerdote fisso. Dotati quasi certamente di proprie cappelle, ma non di clero stabile, erano gli altri villaggi: Capriva, Moraro, Corona, Mariano, Borgnano. Alla fine del Quattrocento, quando la pieve di Cormòns compare fra quelle che dovevano essere visitate non dai suffraganei del patriarca, ma dall'arcidiacono di Aquileia, a quella di Medea si aggiunse come filiale la cappella di Mariano, dando inizio a quella disarticolazione del territorio pievanale che avrebbe portato alla formazione delle singole parrocchie. 4 Non furono sempre pacifici i rapporti tra i pievani di Cormòns e le chiese filiali sparse sul territorio pievanale. Numerosi motivi di attrito infatti non tardarono a manifestarsi, soprattutto a motivo degli introiti legati alla cura d'anime: decima, quartese1 e incerti2. Si possono citare ad esempio la contesa di fronte al tribunale del Patriarca di Aquileia che nei primissimi anni del XVII secolo contrappose il pievano di Cormòns don Pietro Ragno (1592-1608), protonotario apostolico e dal 1602 arcidiacono patriarcale di Gorizia, e il curato di Medea don Gregorio Zigant Corredor a proposito della spettanza alla pieve di Cormòns, o alla vicarìa di Medea, di alcuni campi novali3 siti sul confine territoriale tra le due entità. Quasi duecento anni dopo, fine Settecento, la contesa si riaccese: questa volta il pievano don Giuseppe Snidarcig intentò causa a don Francesco Colugnati, vicario poi parroco (dal 1790) di Medea, circa la spettanza della cappellanìa di Corona, l'obbedienza dovuta dallo stesso Colugnati allo Snidarcig e la divisione di alcuni quartesi. La contesa fu lunga e snervante. Lo Snidarcig dovette affrontare negli stessi anni anche don Francesco Trevisani, curato di Capriva, riguardo ad alcuni campi novali siti in Capriva e alla riscossione di certi quartesi. A questo proposito molto ricca, articolata, e a volte di difficile lettura, è la documentazione prodotta o ricevuta, spesso in carta bollata. Se i pievani dovettero faticare per imporre la loro volontà all'esterno della pieve non più agevole fu il loro confrontarsi con la prospera e potente comunità di Cormòns. A proposito della Cormòns degli ultimi secoli del Medioevo giova ricordare che essa presentava la struttura tipica del comune medievale. Accanto a un podestà, con funzioni di potere e rappresentanza, sussistevano infatti dei camerari incaricati dell'amministrazione finanziaria del comune e un consiglio cittadino detto "Consiglio dei Dodici". Questo, probabilmente, come nel caso del podestà, deteneva attribuzioni di natura amministrativa e giudiziaria insieme. Gli appartenenti al consiglio avevano una durata in carica molto breve e venivano frequentemente rinnovati. Naturalmente tutti questi organismi cittadini dovevano sottostare al dominio dei signori che si succedettero alla guida dell'entità statale nel cui territorio Cormòns sorgeva: i conti di Gorizia fino al 1500 e da quell'anno in poi la Casa d'Austria. Fortissima era l'influenza delle casate nobiliari e degli altri personaggi eminenti, per censo e per funzioni rivestite. Bisogna poi ricordare che spettava in origine ai patriarchi di Aquileia il diritto alla nomina del pievano che dagli anni Venti del Quattrocento fu oggetto di una lunga vertenza con i conti di Gorizia. Definì la questione la bolla del pontefice Sisto IV (23 gennaio 1481): si stabilì che al conte spettasse il diritto di presentare al vicario patriarcale i candidati alla pieve e quindi al ricco beneficio parrocchiale e che, se entro due mesi tali nomine non fossero state approvate, egli avrebbe potuto rivolgersi direttamente a Roma per la conferma. Il vicario era, invece, eletto dalla comunità e 1 Quarta parte della decima che serviva al sostentamento del clero. 2 Offerte versate dai fedeli ai sacerdoti officianti in occasione di ricorrenze particolari o di cerimonie: battesimi, matrimoni o funerali. 5 confermato dal superiore (pievano) o dall'ordinario (vicario patriarcale, Patriarca, arcivescovo). Dal 1446 gli fu affiancato un cappellano assegnato alla pieve, designato dalla comunità e da questa provvisto di casa e reddito. A lunghe vertenze con la comunità e i nobili cormonesi, di cui l'archivio è molto ricco di carte in proposito, diede adito la questione della residenza del pievano, connessa alla percezione degli introiti legati alla cura d'anime. Diventavano pievani di Cormòns persone appartenenti a famiglie aristocratiche molto in vista nella zona (si possono citare ad esempio i Coronini, i de' Terzi, i Del Mestri) in grado di rapportarsi direttamente con l'imperatore a Vienna, o comunque in contatto con le elites dominanti, e in possesso generalmente di una solida formazione teologica e culturale di livello universitario, requisito non molto comune per il clero rurale di allora. Non è difficile immaginare come personalità del genere fossero raramente attratte dalla prospettiva di risiedere in una pieve come quella di Sant'Adalberto importante, ricca e prestigiosa ma dislocata in una zona indubbiamente rurale e lontana dagli ambienti che contavano. Ecco dunque che spesso i pievani erano presenti a Cormòns solo per la presa di possesso della parrocchia o per periodi brevissimi. Inevitabilmente la responsabilità della cura d'anime ricadeva completamente sul vicario e sui cappellani. A volte questi ultimi si rivalevano e si schieravano su posizioni di forte chiusura nei riguardi del pievano. Esemplare, a questo proposito, è la vicenda del su citato parroco Pietro Ragno. Egli fu costretto durante il suo mandato a risiedere a Mariano proprio per l'ostilità di comunità e vicario nei suoi confronti. La cessazione dell'obbligo di residenza fu abilmente trovata nel 1646 dal barone Luca Del Mestri, arcidiacono di Gorizia dal 1630 e dottore in teologia, che ottenne nel 1646 da papa Innocenzo X la facoltà, appunto, di non dover risiedere in Cormòns. Sempre nel 1646 Innocenzo X nominò pievano di Cormòns il nipote del Del Mestri, Stefano. La concessione contrastava, però, sia con i dettati del concilio di Trento, che obbligavano i parroci alla residenza, sia con la volontà della comunità, desiderosa che il pievano effettivamente esercitasse la sua pastorale nella cittadina. Anche il parroco Rodolfo Antonio Coronini, abitante abitualmente a Quisca o a Tolmino, riuscì ad eludere l'obbligo della residenza adducendo che in Cormòns la cura d'anime era sufficientemente provveduta da vicario, cappellani e cooperatore, nonché dai padri domenicani e dalle sorelle della Carità. Il primo titolare residente fu il barone Francesco Saverio