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INTERVENTO DOTT. PAOLO CORSINI

già Parlamentare e Sindaco di

VITA E OPERE DI UNO STATISTA LIBERALE

1) “Lo spirito feudale anima ancora molte delle nostre istituzioni. Il privilegio domina nell’industria, nell’istruzione pubblica /.../, nelle amministrazioni è l’uomo in generale che viene rappresentato o la pro- prietà?”. Così Giuseppe Zanardelli nel suo Della Storia dei feudi, 1852 (pubblicato a puntate sul milanese “Il Crepuscolo”). Queste espressioni, pronunciate dal ventiseienne Giuseppe Zanardelli, disegnano e riassumono, probabilmente meglio di altre, l’impegno che lo statista bresciano, di cui quest’anno cade il centenario della morte, assegna a se stesso per gli anni a venire. Un impegno che manterrà coerentemente sino alla fine della sua lunghis- sima parabola di statista, culminata con la Presidenza del consiglio, fra il 15 febbraio 1901 ed il 29 ottobre 1903, due mesi prima della morte. Il 7 marzo 1901, durante il discorso pronunciato innanzi alla Camera nella presentazione del proprio governo, egli avrebbe ricordato, infatti, come “essenzialismo impegno nostro è quello di mantenere scrupolosa devozione ai principi di libertà. Per conseguenza, le guarentigie individuali e collettive applicheremo nella loro lettera e nel loro spirito, con perfetta e coscienziosa sincerità”. Del resto, la biografia politica di Zanardelli, come ben hanno mostrato gli studi compiuti nel corso degli ultimi decenni – ad iniziare dal pionieristico lavoro di Carlo Vallauri, La politica liberale di Giuseppe Zanardelli (Milano, Giuffrè, 1967) e la ricca serie di incontri che Brescia ha dedicato alla sua

- 63 - figura in occasione del centenario del governo da lui presieduto, appare tutta spesa lungo un percorso che lo porterà a presiedere un governo unanime- mente riconosciuto come il governo della svolta liberal-democratica. Per la verità, pur se la sua figura è certamente ascrivibile fra le maggiori dell’Italia liberale, a Giuseppe Zanardelli non è stata tributata la medesima attenzione rispetto a quella di altri leaders del tempo suo, soprattutto in paragone alla pluridecennale presenza sulla scena politica. La riflessione storiografica si è spesso limitata a riproporre stancamente lo stereotipo, del tutto generico ed astratto, di “campione delle teorie liberali”, o di capofila di un anticlericalismo caparbio se non settario, o finendo per studiarlo sotto il profilo di antesignano di pratiche lobbistiche e quale abile costruttore di articolate filiere del consenso, soprattutto nella sua città, rinunciando di fatto a recuperare una visione più allargata e puntuale della molteplice attività dispiegata dallo statista bresciano in un quarantennio, e più, di attività politica. Difficile, quindi, nel breve spazio concesso ad una comunicazione congres- suale, procedere ad un esame minuzioso dell’intera biografia zanardelliana. Procederò per punti, cercando di evidenziare alcuni nodi problematici e sottolineando alcuni passaggi che possono fornire utili elementi di contesto e di comparazione con il tema indagato dal convegno di oggi, ovvero il significato della presenza di Zanardelli in terra di .

2) Zanardelli era stato, nella sua giovinezza, mazziniano; una militanza repubblicana avviatasi con le suggestioni del 1848: aveva quindi iscritto il suo nome fra i promotori del movimento insurrezionale anti austriaco a Brescia, nel marzo del 1849, data delle X Giornate rivoluzionarie ed evento da cui la città prenderà il nome di Leonessa d’Italia. Dopo quella data, il giovane Zanardelli dovette riparare in Toscana, tor- nando a Brescia -grazie ad un’amnistia- solamente nel 1851, impedito dalla polizia austriaca all’esercizio di ogni professione legale o di docenza. Mazziniano e poi, ben presto, garibaldino, nel suo slancio di combatten- te democratico e di cospiratore patriottico, lungo l’intero “decennio di pre- parazione” -sarà costretto ad una rapida fuga a nel 1859, ove incon- trerà Garibaldi- coronato presto da una città di Brescia pronta a ricevere festante l’atteso arrivo delle truppe garibaldine. Dopo essere stato nominato sindaco di Nave, paese d’origine della fami- glia situato alle porte di Brescia, il venticinquenne Zanardelli, eletto deputato

- 64 - il 25 marzo 1860, si siederà sempre sugli scranni parlamentari della Sinistra, divenendo immediatamente interprete di quella che era in qualche misura la cultura, la Weltanschauung, della Sinistra liberale, contraddistinta da una visione realistica della società italiana, ispirata ad un’aurea di positivismo, con connotazioni risalenti ad un’attitudine concretistica e pragmatica. Un uomo dal liberalismo aperto e progressista, che si distingueva dal conservatorismo di altri esponenti dello stesso partito liberale, un liberali- smo che, innestandosi su una base sociale formata dal mondo degli artigiani e dei piccoli possidenti, avrebbe intercettato a Brescia anche talune frange del socialismo riformista. Zanardelli era quindi uomo di quella sinistra liberale che aveva rivestito un ruolo di primo piano nella difesa intransigente delle libertà statutarie e del programma riformatore anche negli anni degli annacquamenti trasfor- mistici: nel 1876 diviene ministro dei lavori pubblici nel governo di , che aveva conosciuto a Brescia come primo governatore cittadino qui inviato all’indomani del neonato Regno d’Italia nel 1860. Un’esperienza breve: si dimetterà infatti il 7 novembre 1877 non inten- dendo firmare la legge sulla Convenzione ferroviaria -tenacemente persegui- ta dal Capo del governo- che poneva nelle mani di ristretti gruppi privati la gestione delle ferrovie nazionali. Proprio il tema delle linee di comunicazione, e delle linee tranviarie e fer- roviarie in particolar modo, diverrà uno dei cavalli di battaglia dello statista, fermamente convinto della necessità di una sempre maggiore ed organica infrastrutturazione del territorio, unica possibilità di sviluppo dell’ancor fra- gile economia e produzione industriale italiana. Tornerà al governo nel marzo del 1878, ministro dell’interno nell’ammi- nistrazione di : durante il suo ministero vivrà le difficoltà legate alla recente scomparsa di re Vittorio Emanuele II. Il Cairoli e Zanardelli perseguiranno un disegno mirante al consolida- mento dello stato monarchico attraverso una politica interna liberale, che si richiamava alla tradizione risorgimentale di alleanza fra istituzione monar- chica e libertà. Zanardelli sviluppa un’azione politica che pone al centro il nesso fra unità, libertà e monarchia, configurata quale garante neutrale del patto costituzionale sancito dai plebisciti. Il 6 maggio 1878, rispondendo ad un’interrogazione, era stato chiaro: “Noi non possiamo dimenticare”, spiegava, “essere carattere singolarissimo e

- 65 - gloriosissimo del risorgimento italiano che, mentre altre nazioni si foggiano a potente unità mediante dittature di principi assoluti, in Italia, invece l’u- nità si è fatta soltanto colla libertà e per la libertà”. Zanardelli vivrà con grande fervore ed appassionamento le stagioni seguenti all’attentato regicida dell’anarchico Giovanni Passannante, che mirò alla vita di re Umberto I il 17 novembre 1878. Un atto, e il politico bresciano ne era pienamente consapevole, che svela- va agli occhi di tutti un’altra Italia, delusa dagli esiti del Risorgimento nazio- nale, dimenticata dai palazzi della politica e del potere, di un’Italia che invo- cava a gran voce maggiore giustizia e dignità. Zanardelli fu travolto dalla crisi che ne seguì. La Camera negò la fiducia al governo, respingendo la politica liberale applicata in materia di ordine pubblico dal ministro, fautore della piena libertà di associazione e di riunione sulla base dello Statuto e della teoria garantistica del “reprimere, non prevenire”. Dimessosi dalla carica di ministro nel dicembre dello stesso anno, lasciata Roma e tornato a Brescia, Zanardelli riprese temporaneamente l’attività forense, pubblicando fra l’altro un volume, L’avvocatura, che registrò un discreto successo editoriale. Ma l’attività parlamentare, sempre coerente con l’idea di una maggiore partecipazione del popolo alla vita nazionale, tornerà a costituire momento di elaborazione politica decisiva: il 21 dicembre 1880, presentò alla Camera una lunga relazione sulla riforma elettorale, caratterizzata dall’allargamento della partecipazione al voto, che verrà presto approvata. Nel maggio del 1881 Zanardelli viene nominato ministro di grazia e giustizia nel quarto governo Depretis; votata la legge di riforma elettorale nel 1882, quella legge che decretava l’abolizione del requisito del censo sostituendolo con quello della capacità, sulla base dell’accertato livello di istruzione, Zanardelli torna nuovamente a dimettersi: il rigore morale che contraddistingue la sua presenza in Parlamento lo convince a prendere nuovamente le distanze da un governo dalla sempre più scarsa credibilità politica, caratterizzato dal trasformismo e dall’affarismo di Depretis. Nel novembre 1883 Zanardelli fa quindi parte di quella che venne definita la “pentarchia”: unitamente a Benedetto Cairoli, , Alfredo Bagarini e si pone quale alternativa ai percorsi del trasformi- smo, anche se, in verità, alla prova dei fatti, questa sperimentazione diverrà essa stessa ancor più deviante dell’esperimento depretisiano, annoverando fra

- 66 - i suoi aderenti l’uomo -mi riferisco naturalmente a Francesco Crispi- che avrebbe rappresentato la deviazione quasi autoritaria della sinistra liberale. È in questi frangenti che si misura il confine, labile, ma esistente, fra la duttilità, l’adattamento alle circostanze e l’intelligenza politica dello Zanardelli. Riavvicinatosi infatti al Depretis, entrerà a far parte del suo ultimo governo nel 1887 come Guardasigilli, restando in carica pure nel primo governo Crispi, sino al febbraio 1891. Sono anni decisivi per Zanardelli, che durante la presidenza del Capo del governo siciliano presenta il nuovo Codice penale, da cui veniva cassata la pena di morte. Approvato il 10 gennaio 1890, il codice penale Zanardelli costituisce sicuramente una delle manifestazioni più pregnanti della legislazione italia- na dell’età umbertina. Non è certo questa la sede per un esame più approfondito del codice, che proponeva novità rilevanti ed estremamente innovative, che si accompagne- ranno pure all’adozione del nuovo Codice di Commercio, all’istituzione della Cassazione unica penale ed alla normativa sul lavoro femminile e minorile. Si riassumeva dunque in queste riforme la sapienza e la sagacia dell’Italia liberale. Zanardelli è giurista ed umanista insieme, un giurista mai staccato dal pulsare della vita reale, ma teso semmai ad anticiparne gli sbocchi e le prefi- gurazioni future, un interprete finissimo, dunque, di una società che intra- vedeva i propri futuri sviluppi nel superamento dei confessionalismi, un percorso che rendeva anche il vecchio e, a Brescia, proverbiale, anticlericali- smo zanardelliano più transigente sul piano dell’azione, in modo che il lea- der liberale potesse guadagnarsi simpatie cattoliche nella sua stessa città e soprattutto nel suo collegio di Iseo. L’opera di Zanardelli fu sempre colorata da una vena di irredentismo, che gli derivava non solamente dall’aver vissuto la propria giovinezza e la propria professione in una città di confine, ma pure dal noto veto che la potenza austriaca aveva posto alla formazione del governo, nel 1893, con- tro la nomina a ministro della guerra del trentino Oreste Barattieri: un veto che aveva impedito e rinviato in pratica per Zanardelli l’assunzione della massima responsabilità e che alimentava così i sogni repubblicani e radicali dello spostamento delle alleanze internazionali.

- 67 - Fra il novembre 1892 ed il febbraio 1894 Giuseppe Zanardelli fu Presidente della Camera, tornando alla prestigiosa carica nell’aprile del 1897, rinunziandovi nel dicembre dello stesso anno per assumere nuova- mente il dicastero di grazia e giustizia nel governo del marchese Rudini. Ancora una volta però, segnerà con nettezza la sua distanza e le sue responsabilità da quelle di un presidente moderato, dimettendosi il 16 gen- naio 1898, non appena si venne delineando la svolta della repressione anti- popolare ed autoritaria, incarnata dall’azione di un generale più che di un politico, e che culminerà con le cannonate sparate a Milano sulla folla da un altro generale, Fiorenzo Bava Beccaris. Fu quindi per la terza ed ultima volta Presidente della Camera, fra il novembre del 1898 ed il maggio del 1899: una carica che interpretò -ed anche in questo caso la storiografia non ha ancora sufficientemente indagato sulla questione- come ricerca di un minimo di garanzia parlamentare alle libertà dei cittadini, in un Paese sempre più in sommovimento. E, ancora una volta, Zanardelli preferì la via del dissenso e delle dimissio- ni, opponendosi all’aumento delle spese militari ed ai provvedimenti adotta- ti dalla sua stessa parte politica.

3) Il lungo corso della vicenda politica zanardelliana, qui sin troppo som- mariamente riassunto, diviene però essenziale per comprendere meglio gli accadimenti politici del nuovo secolo. All’inizio del Novecento nessuno degli statisti della vecchia Italia liberale aveva titoli e ragioni più probanti per rappresentare una svolta in senso pro- gressista e neoliberale di quelli che poteva avanzare Giuseppe Zanardelli. È la dimostrazione del prestigio di un uomo, il solo, se vogliamo, dei maggiori esponenti della Sinistra italiana dell’epoca, che abbia sempre tenuto un atteggiamento di rigorosa coerenza, un atteggiamento che certo ha com- promesso le sue possibilità di manovra parlamentare e di leadership ministe- riale, ma che nello scorcio estremo dell’esistenza gli consente di assurgere a simbolo credibile delle possibilità di affermazione delle libertà in Italia. E la sua scelta significò, infatti, il mutamento radicale di un clima politi- co, anticipando -nonostante la brevità del suo governo- tutti i motivi essen- ziali dell’età giolittiana, pur nella difficile dialettica di due uomini che la storiografia contemporanea ha ancora scarsamente indagato, a partire dalla scissione -del tutto inconsueta nella storia dell’Italia post risorgimentale- fra la carica di Presidente del consiglio e ministro dell’interno.

- 68 - Accanto ai temi del diverso rapporto fra ceti proprietari e mondo ope- raio, su cui torneremo più avanti, Zanardelli si concentra sulla questione della famiglia. E lo fa naturalmente da una visione non confessionale, avan- zando il progetto di legge per il divorzio: un tema che finirà per determinare la definitiva cesura con Giolitti. Allorché nel dicembre del 1901 il progetto di legge viene presentato alle Commissioni parlamentari, le resistenze non si profilarono, infatti, sola- mente da parte cattolica. È il capo del conservatorismo liberale, Sydney Sonnino, che manifesta apertamente la sua avversione; sono gli stessi deputati della maggioranza che lo bocciano in sede di discussione preliminare; è lo stesso ministro dell’in- terno che se ne disinteressa ostentatamente, sino a sottoli- neare la sua estraneità a tutta l’iniziativa. E quando Giuseppe Zanardelli ripresenta nel febbraio del 1902 la legge, col titolo più elusivo di “ordinamento della famiglia”, l’ombra della divisio- ne penetra all’interno della maggioranza ed i contrasti portano alla soglia di una crisi. Il ministro ai lavori pubblici Giusso si dimette ed il candidato ministeria- le alla sua sostituzione, Tommaso Villa, viene eletto con un numero di sche- de bianche maggiore al numero dei voti espressi favorevolmente. Sullo sfondo Giolitti, che non prende posizione per aiutare il presidente del consiglio. Giolitti tornerà nelle sue memorie sul tema di una controversia che ai suoi occhi appariva inattuale, “un problema”, dirà successivamente, “che interessa in Italia solamente due uomini, e per di più scapoli, Zanardelli ed il Papa”. Una legge, sempre secondo Giolitti, “presentata solo per antiche convin- zioni dello Zanardelli”, dove tutto il sapore di quel “antiche” richiama un anticlericalismo che in realtà non rappresenta più il cemento della maggio- ranza e nemmeno caratterizza l’operato zanardelliano. Ma l’attività del governo Zanardelli si misura, come hanno riconosciuto gli storici contemporanei, soprattutto lungo il crinale delle difficili riforme sociali. Certamente l’impegno preso innanzi alla Camera nel marzo del 1901, verrà mantenuto. “Il campo in cui è più imperiosa, più urgente”, aveva detto Zanardelli, “è una politica riformatrice /…/ delle leggi di equità sociale”.

- 69 - La politica di neutralità nelle contese fra capitale e lavoro, che Giolitti teorizzerà successivamente, diviene riconosciuta impronta caratterizzante del governo Zanardelli, esecutivo capace di incamminarsi lungo l’opera di inserimento nella nazione delle grandi masse estranee od ostili alla stessa genesi storica dello Stato, la genesi cioè di uno Stato oligarchico e censitario. L’8 giugno 1901 Zanardelli presenta alla Camera un disegno di legge per l’istituzione di un Ufficio per il lavoro, che segna una netta svolta nel campo della legislazione per il lavoro e della politica sociale rispetto ai governi pre- cedenti, ancora fermi a quello che lo storico Federico Chabod ha definito “il limite massimo del paternalismo e del filantropismo”: era l’affermazione del- l’intima convinzione di Zanardelli, di uno Stato che, oltre ai compiti di garanzia giuridica, doveva assumere pure compiti di tutela sociale dei lavora- tori. Zanardelli è ben conscio delle ampie valenze politiche e sociali della legislazione promossa: esse costituivano occasione di crescita innovativa dello Stato liberale, la cui rinascita avrebbe significato l’attestarsi definiti- vo dei lavoratori e delle loro organizzazioni sul terreno dello Stato liberale, premessa a quella che egli stesso aveva definito “evoluzione legale della società”.

4) È dunque all’interno di questa parabola umana e politica che si evi- denzia l’aspetto che di Zanardelli ha sempre colpito chi si è avvicinato alla sua opera ed ai suoi scritti, al suo poderoso carteggio personale custodito presso l’Archivio di Stato di Brescia: il suo “galantomismo”, per utilizzare un’espressione cara a , il suo concepire la democrazia come un costume prima ancora che come una scelta politica, il suo sentir- si partecipe di una realtà, quella bresciana e – soprattutto – quella lombar- da, che si distingue quale luogo del progresso economico, dell’innovazione d’impresa, dello sviluppo sociale, ma che non rinuncia ad assumere la responsabilità, morale prima che politica, di guidare il Paese nella difficile transizione. Zanardelli improntò la sua azione governativa e politica ad uno stretto costituzionalismo, muovendosi ai limiti di un quadro sociale e culturale in cui necessariamente era indispensabile proporre un modello di cittadinanza operante in una sfera di libertà delimitata nell’ambito delle leggi e sotto le guarentigie della costituzione.

- 70 - Azione che in realtà, guardando ai motivi ed alle ispirazioni più intime, procede da posizioni assai più radicali e rinnovatrici, risalenti al credo fon- damentale della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo”. Questi, dunque, i convincimenti politici di Zanardelli, che la sua biogra- fia testimonia fra contrastate rinunce e costante determinazione, convinci- menti che accompagneranno lo statista durante il suo memorabile viaggio in Basilicata, e, più in generale, nelle assidue attenzioni rivolte alla questione meridionale, con Zanardelli ad accreditarsi quale espressione più alta della classe dirigente di governo prima che come uomo di partito. Attenzioni che confluiranno, almeno in parte, nella promulgazione delle leggi speciali, perfezionate nel corso del 1902 e destinate alle aree meridio- nali. Riforme legislative che assumono ancora oggi il significato di una straor- dinaria innovazione rispetto al principio sino ad allora intangibile dell’u- niformità unitaria delle norme approvate dal Parlamento, facilitando – sep- pur non senza limiti e contraddizioni – un intervento statale orientato alla correzione di squilibri preesistenti alla costruzione unitaria del nostro Paese. A mo’ di conclusione si può, dunque, legittimamente sostenere che per Zanardelli il liberalismo non è soltanto una teoria della distinzione dei pote- ri o delle forme della rappresentanza politica-istituzionale, ma è soprattutto una pratica, un costume, tesi a rendere possibile ed efficace un rapporto lineare fra individuo, società e Stato, nel nome della valorizzazione e della tutela di garanzie che generano insieme crescita civile e progresso sociale. Un liberalismo, quindi, che non è possibile sottoporre a revisioni o espungere, come ad esempio si va facendo da taluni in queste stagioni per Piero Gobetti, -et pour cause- dall’orizzonte più complessivo della storia d’Italia, né evidentemente avvicinare al presunto, esibito liberalismo di oggi, certamente privo di quelle connotazioni che hanno fatto di Giuseppe Zanardelli uno statista di straordinaria levatura morale e politica.

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