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Emilio Renzi “I migliori anni della nostra vita (1958-1967). In memoria di Guido Davide Neri”

(da: “Materiali di Estetica”, 11/2004, pp. 11 36. Numero dedicato a Guido D. Neri, 1935-2001, a cura di Simona Chiodo)

Premessa

Negli anni della formazione uno scarto anche solo di due o tre anni può contare molto. Arrivato alla Facoltà di Filosofia di Milano Statale nel novembre del 1958 vidi per la prima volta Guido Davide Neri nell’aula di Enzo Paci, al suo fianco come assistente volontario. Tra i banchi di quell’aula feci la conoscenza di Giovanni Piana, Andrea Bonomi, altri di cui poi dirò. Loro erano “matricole”, io avevo già fatto due anni a Padova dunque ero un “terz’anno”. La differenza di piani di studi tra le due Università faceva sì che io mi trovassi a frequentare in altre aule corsi di anni diversi, con altri compagni ancora. Quanto a Guido, si era laureato un anno prima, a Pavia1.

Io ero dunque più piccolo di lui di ben due anni anagrafici e lui più grande di me di tre o cinque anni di studi filosofici completati e di conoscenze universitarie e milanesi. Così apparve a me in quei giorni secondo una prospettiva che sostanzialmente non cambiò nei pur mutati rapporti di sopravvenuta crescita. Il garbo di Guido, la sua bella maniera di rispondere al saluto, alle domande, sempre con un suo intento sorriso, facevano superare ogni distacco ma nessuno dei due appartenne realmente alle rispettive cerchie degli amici stretti e intimi. Non ho esclusivi ricordi su di lui. E tuttavia ne scrivo perché più tardi intuii - e ora capisco del tutto - che fu una delle figure forti ancorché sommesse della crescita di quel gruppo di ragazzi che eravamo, e di un’intera stagione della Facoltà nella cornice di un

1 Nota biografica su Guido Davide Neri a cura di Chiara Zamboni e bibliografia dei suoi scritti a cura di Alessandra Pantano in Guido D. Neri, Il sensibile, la storia, l’arte. Scritti 1957-2001, prefazione di Dino Formaggio, Ombre Corte, Verona 2003. Altra bibliografia degli scritti di Neri in “aut aut” n. 304 (luglio-agosto 2001), pp. 161-164. Testimonianze di vari autori in Quando tra noi muore un filosofo. Ricordo di Guido D. Neri, Tipografia Viciguerra, Cremona 2002. Si vedano Amedeo Vigorelli, Con gli occhi di Guido, in “Rivista di storia della filosofia” (di prossima pubblicazione nel 2004, versione preliminare intitolata Ricordando Guido Davide Neri, in “Chora”, IV, 8, genn. 2004, pp. 88-91); Fulvio Papi, Una vita filosofica, XXX? 2

decennio di vita culturale della città di Milano2.

I maestri e l’assistente

Enzo Paci era in quel periodo intensamente impegnato a rifondare l’esistenzialismo e il relazionismo sulla fenomenologia husserliana. Le sue lezioni erano seminali, la rivista “aut aut” era attesa di numero in numero, la fine della lezione non era un abbandono dell’aula bensì un addensamento intorno alla cattedra di giovani (e magari anche di belle signore), la cui voglia di chiedere, di sapere, non si riteneva soddisfatta. Il pensiero vivente di Paci si dispiegava secondo il duplice e convergente movimento di lettura dei testi inediti di Husserl e di correzione dei suoi proprii studi giovanili e dell’interpretazione che ne aveva Antonio Banfi, il suo maestro.

Questo era - e restò - un altro punto di differenza tra quei giovani: lo “scarto” tra gli anni (pochi) e gli eventi intervenuti (molti). Banfi era morto nel 1957, Neri l’aveva sentito insegnare, parlare alla Casa della Cultura, l’aveva letto in presa diretta. Viceversa per me, per noi, Banfi era il volto rappresentato dalla fotografia in apertura del numero speciale di “aut aut” apparso all’inizio del 1958 e dedicato a Banfi; ed era certamente i saggi di Paci, il denso libro di Fulvio Papi. Ma è fatto noto e accertato che i racconti a voce tra gli studenti corrono più veloci e spesso più schietti, quindi più incisivi. Così posso dire che fu la voce del più contiguo assistente Neri a far conoscere Banfi, a dire chi fosse stato, quale l’importanza del suo pensiero3.

Allo stesso modo è stato Neri più tardi a far capire dall’interno e con assoluta rettitudine le difficoltà, le aporie del Banfi del dopoguerra, divenuto cattedratico illustre e senatore del PCI. Neri rilegge e invita a ripensare l’”edito e l’inedito”, facendo pubblicare e commentando lo straordinario dialogo tra Banfi e Paci, perché si potesse comprendere l’umana e politica curvatura del rapporto tra maestro e allievo. Per un verso, “l’immagine del Banfi ideologo finì

2 Nelle note bibliografiche ho privilegiato gli scritti che avessero valore di testimonianza sulle persone e sul periodo. Lo studioso troverà tuttavia le indicazioni essenziali per approfondire la ricerca nella direzione delle idee filosofiche e della storia culturale nelle opere di Papi, Rambaldi, Vigorelli, Cambi e Minazzi indicate nelle note successive. 3 Si vedano i fascicoli di “aut aut” n. 43-44 (genn.-marzo 1968) e n. 54 (nov. 1959, in cui è una nota di Neri a presentare un inedito di Banfi. Cfr. il saggio di Amedeo Vigorelli, Guido Davide Neri. L’inizio, XXX e il saggio di Amedeo Vigorelli, Una rivista milanese di filosofia e cultura: “aut aut” di Enzo Paci (1951-1972), in “Rivista di storia della filosofia”, 3/1995, pp. 645-655. 3

per sovrapporsi a quella del filosofo problematico”; per l’altro, un Paci reduce dal lager, deciso a “vivere nell’immanenza portando con sé il senso della trascendenza, a conservarsi libero dalla storia cioè dall’attualità dominante”4. L’assistente continuò insomma per molti anni ad assistere l’ex studente che sta ora cercando di scrivere della non terminabile storia dei rapporti tra iniziazione allo studio della filosofia e radicalismo fenomenologico.

Nell’Anno accademico 1958-1959 Paci tenne il corso monografico sulle Meditazioni Cartesiane. L’opera di Husserl era accessibile solo nella versione francese di M.lle Gabrielle Peiffer e M. Emmanuel Lévinas, un’edizione Vrin del 1953 in porosa carta dopoguerra. Le dispense erano fogli dattiloscritti su carta velina. Bisognava poi saper commentare il Sofista e riferire sui capitoli di Dall’esistenzialismo al relazionismo dedicati alla fenomenologia del mito. L’anno successivo l’argomento fu la concezione del tempo in Husserl5.

È su questo terreno che si intrecciano le radici di due importanti pubblicazioni del 1960: la prefazione a Brand, Mondo, io e tempo nei manoscritti inediti di Husserl e la raccolta di saggi intitolata Omaggio a Husserl. In esso appare il primo importante contributo filosofico di Neri: La filosofia come ontologia universale e le obiezioni del relativismo scettico in Husserl6.

Dunque i primi saggi di Neri investono insieme Banfi e Husserl. Le recensioni negli ’”aut aut” di quegli anni alle opere prime di Giovanni Piana e di Guido Pedroli tengono ferma l’intenzionalità come “coscienza di” contro le interpretazioni opposte di coscienza del bisogno e di coscienza del soggetto idealisticamente inteso7.

4 Guido D. Neri, 1945: un confronto teologico-politico tra Paci e Banfi, in “aut aut”, n. 214- 215 (luglio-ottobre 1986), pp. 57-71, che precede Enzo Paci, Colloqui con Banfi, pp. 72-77 (ora in Guido D. Neri, Il sensibile..., cit., pp. 198-212, con il titolo: 1945: una discussione filosofica sul comunismo. La citazione circa Banfi è a p. 71 (=208), quella relativa a Paci a p. 58 (= 198). 5 Alfredo Civita, Bibliografia degli scritti di Enzo Paci, La Nuova Italia editrice, Firenze 1983. Contiene anche l’elenco delle tesi di laurea svolte con Paci a Pavia e a Milano. 6 Ora in Guido D. Neri, Il sensibile..., cit., pp. 25-33. Omaggio a Husserl, a cura di Enzo Paci, saggi di A. Banfi, E. Filippini, G. Guzzoni, L. Lugarini, E. Melandri, G. D. Neri. E. Paci, G. Pedroli, R. Pucci, G. Semerari, S. Vanni-Rovighi, era apparso per i tipi de il Saggiatore nel gennaio del 1960; Mondo, Io e tempo nel manoscritti inediti di Husserl, introduzione di Enzo Paci, trad. di Enrico Filippini, nella collana “Idee nuove” dell’editore Bompiani, nel febbraio dello stesso anno. 7 Un’opera italiana sulla fenomenologia di Husserl, “aut aut”, n. 54 (nov. 1959), pp. 419-422 e Congetture sull’intenzionalità, “aut aut”, n. 99 (maggio 1967), pp. 41-48, dedicate 4

Stringendoli in una parola: “conoscenza”. Tanto più rafforzata dall’incontro con Merleau-Ponty: traduzione de La struttura del comportamento, saggi. Uno studio che si sarebbe anch’esso continuato negli anni, come è dimostrato dalla curatela di un fascicolo di “aut aut” dedicato a Merleau-Ponty. E quanto a un’altra stella polare di Neri, Karel Kosik, è importante notare con Amedeo Vigorelli che il primo scritto di Kosik apparso in Italia era stato pubblicato in francese in “aut aut” nel 1961 “per iniziativa di Neri”8.

In quello stesso 1961 viene stampato il libro in cui Paci raccoglie a comun denominatore la sua rilettura e proposta della fenomenologia come “orizzonte filosofico e culturale del nostro tempo”: Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl9. Esso è dedicato ai “giovani amici dell’Università di Milano”. Quei giovani si muovevano tra via Festa del Perdono, via Scarlatti dove allora abitava Paci, e via Sirtori, ove Giairo Daghini e la moglie Erica avevano affittato un appartamento, allegramente accessibile la sera, le notti, ai compagni di Facoltà, a letterati e architetti, a musicisti ed editoriali. E ci andava il professor Enzo Paci.

“I giovani amici”

Le “comuni” erano una solidarietà e una convivialità ideal- culturale quanto un assetto di sopravvivenza giovanile. La più famosa era quella di via Sirtori ma ve ne furono anche in via Solferino, in via Bandello. In quegli anni i Navigli erano ancora come erano nati decenni addietro ossia un grezzo manufatto industrial-trasportistico. Meglio Brera, in cui l’influenza dell’Accademia si faceva avvertire con la presenza degli studi e delle gallerie d’arte. Il bar Giamaica era dei pittori e dei giocatori di carte proprio come negli scatti in bianco e nero di Ugo Mulas10. Si mangiava in economia dalle sorelle Pirovini e in una trattoria sita in via Fiorichiari che si chiamava Angelo, ora commutata in Angolo (ben più considerevolmente sono stati commutati qualità e prezzi). rispettivamente a Guido Pedroli, La fenomenologia di Husserl, Taylor, Torino 1958, e a Giovanni Piana, I problemi della fenomenologia, Mondadori, Milano 1966 (quest’ultima ora ne Il sensibile..., cit., pp. 34-39). 8 Amedeo Vigorelli, L’inizio, cit. - Si veda Karel Kosik, Dialectique du concret, “aut aut”, n. 63 (maggio 1961), pp. 203-213. 9 Enzo Paci, Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, Laterza, Bari 1961. 10 Una fotografia di Ugo Mulas intitolata Il bar Giamaica a Milano, 1963, è riprodotta nel volume Lombardia della Storia d’Italia Einaudi, a cura di Duccio Bigazzi e Marco Meriggi, Torino 2001. 5

Di una protocomune in viale Maino ha scritto Enrico Filippini, che tutti chiamavano Nanni. In un suo alquanto malandrino Ricordo di Enzo Paci11 Filippini ha colto bene l’atmosfera di intensità di rapporti umani e di fervore culturale di quel giro d’anni che, a riguardarli ora, furono assai pochi: nel ‘62, nel ‘63, erano già cambiati e non voglio dire in peggio. Semplicemente avevamo cominciato a laurearci e a cercare di lavorare: scrivere, tradurre.

Nanni Filippini aveva una capacità di stare alla macchina per scrivere e di immaginare, parlare, che era sbalorditiva. Le sue traduzioni da Husserl (Ideen I e II, la Crisi...), da Uwe Johnson e da grandi letterati e saggisti tedeschi (suo il Panofski prefato da Neri), si combinavano e convivevano con viaggi, progetti di libri, conversazioni accanite a “tirar mattina”. Fu editoriale alla Feltrinelli e giornalista culturale a “Repubblica”, brillante in ambedue i ruoli. Con tutto il rispetto, continuo a vederlo circonfuso di colori: il giallo opaco delle Gauloises papier mais, il blu scuro dei pacchetti di Boyard, il rosso squillante di quelli delle Marocaine, l’azzurro chiaro delle Celtique12.

Filippini, Daghini e Pedroli erano tutti e tre ticinesi. Non si potrebbero immaginare personalità più diverse. Estroverso e vitalista il primo, generoso e politico-operaista il secondo, introverso e prosatore asciutto l’ultimo. Confortante smentita di tanti luoghi comuni.

L’altro assistente volontario di Paci, Paolo Caruso, alto, ossuto e di carattere allegro, era stato inviato da Paci a studiare a Parigi. Stava traducendo la Critique de la raison dialectique e ci aveva sbalorditi intervistando Sartre (e più tardi Lévi-Strauss). Era la sua

11 Il Ricordo di Paci (in “Nuovi Argomenti”, luglio-settembre 1986, pp. 114-124) è tal punto poco ortodosso rispetto al “genere” rammemorativo e accademico, da esser stato lasciato cader fuori dalle bibliografie scientifiche. Viceversa Neri gli ha dato un leale riconoscimento nella n. 11 del saggio Paci e Merleau-Ponty. Una testimonianza e qualche riflessione, già in “Chiasmi internazionali”, n. s., n. 2, 2000, p. 39-43, ora ne Il sensibile... cit., p. 170. 12 Un inviato poco speciale si intitola la generosa testimonianza di in apertura della raccolta postuma di interviste di Enrico Filippini, La verità del gatto, Einaudi, Torino 1990, pp. VII-XIII. Segnalo anche il singolare contrasto tra il primo (che è l’ultimo in ordine di tempo) dei racconti raccolti ne L’ultimo viaggio (Feltrinelli, Milano, 1991) e i susseguenti tre (che sono i primi in ordine di scrittura in quanto appartengono alla fase sperimentale). Si veda infine l’intervento di Filippini alla tavola rotonda sull’editoria milanese negli anni Sessanta, pp. 123-144 de Gli anni ‘60: intellettuali e editoria. Atti del Convegno, Milano 7 e 8 maggio 1984, a cura di Franco Brioschi, prefazione di Cesare Segre, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano 1987. 6

strada, cominciò presto a contare nella Mondadori e a collaborare con le pagine culturali dei giornali.

Pochi anni appresso saremmo diventati assistenti di Paci Carlo Sini, Franco Bosio, e, poco dopo, Giovanni Piana e io e Andrea Bonomi.

Il Sini di quegli anni apparteneva piuttosto al filone degli studiosi puri. Aveva seguito le lezioni dell’altro grande professore di filosofia della Statale di solo qualche anno prima, Giovanni Emanuele Barié, antagonista a quanto si raccontava acerrimo e sarcastico di Banfi13. Aveva poi completato con Paci la tesi sulla Fenomenologia dello spirito. - Franco Bosio, non ricordo una volta che si facesse distrarre dalla concentrazione studiosa.

Ora voglio appuntare dei nomi di studenti di quel giro d’anni senza preoccupazione di completezza, gerarchie e svolgimenti biografici, perché ognuno di essi è un volto che ha visto Guido, è una persona che lo ascoltò, è una voce che ha parlato con lui, che leggeva i suoi scritti: Armando De Vidovich, Carlo Mainoldi, Paolo Gambazzi, Donatella Zazzi, Giorgio Guzzoni che studiava Heidegger in Germania, Augusta Uccelli, Arrigo Pacchi14, Luca Cafiero, Enrico Rambaldi, Gianni Micheli, Guido Jesurum, Riccardo Steiner che sarebbe divenuto storico della psicoanalisi a Londra, Marco Macciò, Dina Vallino, Laurana Laiolo, Giovanni Anceschi, Alfredo Marini che tra Pavia e Friburgo transitava in Facoltà ad ascoltare Paci, Felicino Mondella che era dottore medico, Giorgio Lanaro, Mavi Predaval. Aggiungo degli studenti di Lettere: Mario Caronna allievo di Franco Catalano, Sergio Bologna che si laureò sulla “Chiesa Confessante” in Germania, Silvia Giacomoni, Giogi Gronda, Emanuele Ronchetti, Mario Geymonat. Ho già nominato Giovanni Piana e Andrea Bonomi; nominerò in seguito Michele Pacifico e Adriano Carugo.

Giovanni Piana era una di quelle persone che lavorano nel pieno della notte. Cominciava a studiare molto tardi nella sera, l’indomani non era visibile prima dell’una, le due. I biondi ciuffetti arruffati, appariva finalmente vestito di girocollo, golf o maglioni, amorosamente e competentemente tessuti dalla sua Marina. Marina

13 Testimonianza su Barié in Carlo Sini, Remo Cantoni. Filosofia a misura della vita, a cura di Carlo Montaleone e Carlo Sini, Guerini Studio, Milano 1993, pp. 197-200. 14 Si veda Mario Dal Pra, La morte di Arrigo Pacchi, ne “La rivista di storia della filosofia”, n.s., XLIV, I (genn. 1989), pp. I-IV. 7

aveva testa perspicace, era affettuosa, chiaccherina e gran cuoca ospitale. La sua cucina schietta e saporita riscaldò più d’una volta noi immigrati ma anche molti compagni milanesi. La loro casa in via Guerrazzi era uno dei posti in cui era gradevole ritrovarsi a discutere di filosofia, di musica, di politica. Nell’estate del ‘61 Giovanni andò a Friburgo a studiare manoscritti di Husserl sul colore.

Andrea Bonomi vestiva belle giacche, annodava cravatte appropriate. Studiava con spirito analitico e molto gusto per il particolare, talché quando cominciò a disvelarsi filosofo del linguaggio e innamorato di Proust non ci stupimmo più di tanto.

Tutti eravamo traduttori. Una macchina per scrivere Olivetti, e la sua ticchettante compagnia, erano l’inevitabile arredo e colonna sonora delle nostre stanze e stanzette. Uno studioso ha potuto parlare di “anni dell’entusiasmo” nella lunga storia dell’editoria milanese15. Neri esegu ì due difficili traduzioni, importanti per la sua formazione di studioso: La struttura del comportamento di Merleau- Ponty, nel 1963, e, nel 1966, Logica formale e trascendentale di Husserl. Bonomi curò i suoi Merleau-Ponty e Lévi-Strauss, Piana le Ricerche logiche di Husserl (per le quali, fatto inaudito!, ebbe dal Saggiatore un contratto di compenso mensile) e anche Storia e coscienza di classe di Lukács, io tradussi Della interpretazione. Saggio su Freud di Paul Ricoeur. Ho già detto di Nanni Filippini e di più bisognerebbe dire (Brand, Biswanger). Anche questo è un elenco incompleto, soggettivo. Il senso è di una stagione di partecipazione a un processo di crescita culturale in cui Università (milanesi) e industria culturale (milanese, già Einaudi stava lontana, a Torino...) si chiamavano a darsi reciprocamente le loro persone migliori, chiedevano e davano “schede di letture”, piani editoriali, verifiche di culture extranazionali16.

È la stagione che è stata detta dei “letterati editori”,

15 Bruno Pischedda, Editoria a Milano: 1945-1970. Gli anni dell’entusiasmo, pp. 125-140 de La città dell’editoria. Dal libro tipografico all’opera digitale (1880-2020), a cura di Giorgio Montecchi, catalogo della mostra tenuta al Castello Sforzesco di Milano, 2 febbraio - 16 aprile 2001, Skira editore, Milano 2001. 16 Si vedano nel citato Gli anni ‘60: intellettuali e editoria, il Ricordo di Alberto Mondadori, Enzo Paci, Giacomo Debenedetti, di Giulio Carlo Argan, pp. 25-34, Editoria e università nel rinnovamento della linguistica di Cesare Segre, pp. 43-50, Cultura scientifica e filosofia della scienza negli anni ‘60 di Giulio Giorello, pp. 61-68. Si veda anche la rara testimonianza di Luciano Foà sulla nascita del 1962 della Casa editrice Adelphi, che con l’intrapresa del “tutto Nietzsche filologicamente” sarebbe stata una delle scaturagini della svolta filosofico-culturale degli anni Settanta-Ottanta (pp. 135-137). 8

dell’”industria culturale come progetto”. I manager stavano negli uffici tecnici (tipografia, distribuzione)17.

Noi che studiavamo con Paci, con Geymonat, con Dal Pra, eravamo fortunati. Paci voleva dire il Saggiatore che Alberto Mondadori aveva fondato nel 195818; Geymonat aveva dato avvio presso Feltrinelli alla collana “Filosofia della “Scienza” cui sarebbe seguita la Storia del pensiero filosofico e scientifico presso Garzanti; Dal Pra aveva rapporti con gli editori scolastici.

La prima libreria Feltrinelli era stata aperta con una innovazione che apparve strabiliante, i libri esposti sugli scaffali di copertina e non di costola. La Milano Libri era stata appena inaugurata ed era risultata più sciolta e amichevole di quel susseguioso sancta sanctorum che era la Einaudi in galleria Manzoni, anche se era là che era possibile vedere tutti, ma proprio tutti gli autori, i letterati, gli artisti, i critici. Da Valentino Bompiani a Giansiro Ferrata, da Elio Vittorini a Mario Spinella, da Vittorio Sereni a Oreste Del Buono. Come in una sequenza de La notte di Michelangelo Antonioni. Tirare un tardo pomeriggio facendo il giro delle gallerie d’arte in via Senato, via Brera, via Ciovassino, e delle librerie, incontrare quelli che si erano conosciuti nelle Case editrici, era facile e piacevole. Vi era un redattore della Bompiani che faceva aprire al sorriso quando lo si incrociava perché incontenibile parlatore divertente che ne sapeva una su ogni cosa, dalla filosofia medioevale ai più polpettosi romanzoni dell’Ottocento ai “miti d’oggi” (s’intende, di allora). Ci eravamo divertiti con una sua storia della filosofia in versi, dai contenuti per carità ineccepibili, che circolava nella forma di un libriccino in tela blu edito da Taylor, la casa editrice torinese di Nicola Abbagnano. “Ah l’Umberto Eco - era il giudizio corrente - gran bravo, ma se non si decide a scegliere una specializzazione e a starci dentro non arriverà da nessuna parte”. Quanto può essere fallace un’opinione condivisa da tutti gli intellettuali su piazza.

Altri maestri, altri assistenti. E una Milano in bianco e nero

17 Alberto Cadioli, Letterati editori. L’industria editoriale come progetto, Net-il Saggiatore, Milano 2003. Per quanto riguarda il secondo Novecento. Cadioli esamina Luigi Rusca, il fondatore della Bur, Giacomino Debenedetti fine critico letterario e direttore letterario del Saggiatore, Italo Calvino definito “editore narratologo”. 18 Su Enzo Paci direttore di collana ho reso testimonianza ne Gli anni del “Saggiatore”, “aut aut”, 214-215 (luglio-ottobre 1986), pp. 45-50. 9

Eravamo poche persone. Sini rammenta che le matricole del suo anno erano cinque19, io ricordo in quaranta il numero di tutti gli studenti del corso di laurea in Filosofia nei miei anni. I laureati in Filosofia passarono da quattordici nell’A.a. 1958-’59 a nove nel ‘61-’62 a ventuno nel ‘67-’68.

Insegnamenti e cattedre coincidevano. L’ordinamento degli studi era ancora interamente quello statuito da Giovanni Gentile. Gli esami si dividevano in fondamentali (biennali) e complementari, che era possibile mettere a piano come si preferiva. Con gli assistenti si facevano durante l’anno le “esercitazioni”, vere e proprie tesine scritte da illustrare in classe. Gli studenti di Lettere dovevano passare la versione dall’italiano in latino da cui quelli di filosofia erano esentati; in compenso costoro dovevano passare la prova scritta di storia della filosofia. Il controllo delle frequenze era affidato alla firma del docente sul libretto, minimo rito di nessun vaglio spesso lasciato sbrigare al bidello della sala professori. C’era così anche il tempo di assistere a lezioni che non erano nel proprio piano annuale e talvolta nemmeno della propria Facoltà; Festa del Perdono ospitava ai piani superiori la Facoltà di Giurisprudenza e chi aveva interessi e curiosità politiche vi accedeva tranquillamente.

Nell’Istituto di Filosofia intitolato, quanto appropriatamente!, a Piero Martinetti20, troneggiava la professoressa Maria Assunta Del Torre, da tutti affettuosamente chiamata “la signorina Del Torre”. Per la precisione era fidata collaboratrice di Mario Dal Pra, ma per noi ragazzi era l’emblema stesso del radicamento dell’istituzione al di là di venti e marette, nonché del buon andamento organizzativo della Sezione lombarda della Società filosofica italiana. È morta poco dopo aver lasciato per pensionamento l’Istituto, nel frattempo diventato Dipartimento21.

Mario Dal Pra insegnava Storia della Filosofia, Mario Untersteiner Storia della Filosofia antica, Ludovico Geymonat Filosofia della scienza. Personalità talmente ben ricordate e studiate da

19 In Remo Cantoni. Filosofia a misura della vita, a cura di Carlo Montaleone e Carlo Sini, Guerini Studio, Milano 1993. 20 Si veda Norberto Bobbio, Ricordo di Piero Martinetti, “Rivista di filosofia”, LV, 1 (genn.- marzo 1964), pp. 54-71. - Degno di nota che l’ultima opera di Martinetti, Gesù Cristo e il Cristianesimo (1934 e, postumo, 1949) fu riedita nel febbraio 1964 proprio nella collana “La Cultura” del Saggiatore (introduzione di Giacomo Zanga). 21 Cfr. Mario Dal Pra e i cinquant’anni della “Rivista di storia della filosofia”, a cura di Maria Assunta Del Torre, FrancoAngeli, Milano 1998. Si veda la commemorazione di Enrico I. Rambaldi in “Rivista di storia della filosofia”, n. s., LVIII, 1/2003, pp. 5-11. 10

allievi, estimatori ed esegeti, che non è in me aggiungere nulla; se non che erano professori che facevano studiare e che dibattevano idee. Detto così, sembra poco; ma temo che, oggi, sia assai più che poco. Però è vero che attualmente gli studenti dell’intera Facoltà si aggirano sulle quattro migliaia, e fa differenza.

Mario Dal Pra era quanto mai rigoroso nella valutazione del compito scritto di Storia della filosofia e nelle interrogazioni su imponenti corsi monografici dedicati a Hobbes, Hume, Marx. “Rigoroso” sta per acribioso, severo e giusto a un tempo22.

Ludovico Geymonat aveva inaugurato la prima cattedra di Filosofia della Scienza nell’Università italiana e stava dando inizio a quel lavoro sistematico di approfondimento disciplinare e di organizzazione del sapere che si sarebbe espresso tra le altre cose nelle intraprese editoriali presso Feltrinelli e Garzanti che ho ricordato. Tra i suoi collaboratori, Ettore Casari e Corrado Mangione riempivano la lavagna di segni che non erano solo quelli matematici e algebrici che avevamo appreso al Liceo, insomma tenevano le lezioni di Logica, le prime, credo, in aule italiane di Filosofia dai perduti tempi di quando l’idealismo non aveva ancora soppiantato il positivismo23.

Con Geymonat lavorava all’edizione critica dei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze di Galilei24 un neolaureato piccolo e intento che si chiamava Adriano Carugo, la cui intelligenza molti tra cui me stimavano una delle sicure teste di serie della Facoltà. Unito a lui in questa previsione, lo studente Michele Pacifico (neri capelli crespi, eloquio intenso e pungente), che aveva iniziato a tradurre per la collana geymonattiana il Manuale di logica di Quine. E nella couche predittiva di quella fine anni Cinquanta veniva collocato anche Piana, cui mi ero legato di amicizia e solidarietà.

Di Mario Untersteiner e Cesare Musatti in quanto allora

22 Si vedano Mario Dal Pra - Fabio Minazzi, Ragione e storia. Mezzo secolo di filosofia italiana, Rusconi, Milano 1992, e Luigi Meneghello, Fiori italiani, Rizzoli, Milano 1976, p. 74. 23 Cfr. Paradossi e rivoluzioni. Intervista su scienza e politica, a cura di Giulio Giorello e Marco Mondadori, il Saggiatore, Milano 1979, cap. V Incubi. Il ventennio democristiano 1948-1968, pp. 77-103; Fabio Minazzi, L’insegnamento di L. Geymonat tra razionalismo e materialismo, “Lineamenti”, n. 9, nov. 1985, pp. 122-128; L. Geymonat, Mezzo secolo di un filosofo, intervista autobiografica a cura di Mario Quaranta, “Iride”, n. s., 1990, 4-5, pp. 105- 153; Corrado Mangione, Introduzione ad AA.VV., Omaggio a Ludovico Geymonat, franco muzzio editore, Padova 1992, pp. 3-7. 24 Edito da Boringhieri, Torino 1958. 11

docenti rispettivamente di Storia della filosofia antica e di Psicologia non posso dir nulla di preciso perché i rispettivi esami li aveva sostenuti a Padova. Né ho frequentato Renato Treves che insegnava Filosofia del diritto. Con Musatti studiavano Enzo Funari e Dario Romano.

Ho conosciuto invece Leo Lugarini. Allievo di Barié, era confluito nell’area paciana e aveva l’incarico di Filosofia delle religioni. Mi prese con sé quando una casella di assistente volontario presso la cattedra di Paci non era burocraticamente libera. Mi fece tenere un corso organico di esercitazioni, in piena libertà di scelta e con assoluta fiducia. Era uno studioso di Kant, di Cassirer, di Aristotele, di Husserl, che più scrupoloso non si sarebbe potuto essere. La mia esperienza al suo fianco per quei brevi anni, prima che lui andasse a L’Aquila e a Roma, me lo fa ricordare come un docente molto serio25.

Aldo Visalberghi insegnava Pedagogia, era laico e conseguentemente si studiava tanto Dewey. La sua assistente era Egle Becchi.

Paolo Rossi aveva l’incarico di Filosofia della storia, che per lui significava storia delle idee: etico-politiche (seguii un corso su Croce) e della scienza. A fine lezione si affollavano intorno a lui, che aveva carattere sorridente e battute buone, Enrico Rambaldi, Gianni Micheli, Achille Occhetto. Clelia Pighetti era la sua assistente.

Vi erano anche i corsi di professori la cui ricerca non aveva quasi paragoni fuori di Milano: Ferruccio Rossi-Landi, Silvio Ceccato. Rossi-Landi aveva tradotto Gylbert Ryle e scritto su Charles Morris, il cui Segni, linguaggi e comportamento era stato tradotto da Ceccato.

Rossi-Landi, bell’uomo che era stato a Oxford, parlava di filosofia del linguaggio, di semantica, di semiotica, facendo leggere cartonati volumi di Readings di elegante complicatezza26.

Ceccato e il suo Centro di Cibernetica e di Attività

25 Logica e storia: scritti in onore di Leo Lugarini , a cura di Franco Bianco e Livio Sichirollo, FrancoAngeli, Milano 1992. 26 Cfr. Readings su Ferruccio Rossi-Landi, Semiosi come pratica sociale, a cura di Jeff Bernard, Massimo A. Bonfantini, Janos Kelemem, Augusto Ponzio, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1994, in particolare la Introduzione. Ferruccio Rossi-Landi: senso e prospettive di Massimo A. Bonfantini e Augusto Ponzio, pp. 5- 16. 12

Linguistiche ufficialmente istituito presso l’Università erano per il vero confinati in una stanzetta un po’ appartata, ma lui non sembrava soffrirne eccessivamente. La sua alta figura dalla capigliatura a ciuffo e dal gran naso arcuato solcava l’atrio e i corridoi con un costante seguito di scienziati, ammiratrici, metodologi spesso stranieri27. Era un bel match tra lui e Musatti a chi avesse il naso più prominente, lo sguardo più divertito.

Tra i docenti di materie letterarie cito solo Mario Fubini di Letteratura Italiana e Ignazio Cazzaniga di Letteratura italiana28.

Fubini sembrava una statuina di avorio, tanto era minuto, pallido, monocorde nel parlare; ma le sue lezioni su Foscolo, sugli illuministi italiani, erano capolavori che si apprezzavano più tardi, a casa29. Faceva singolare contrasto con il suo assistente di allora, Sergio Antonielli, uomo alto e bello, bruno, inseparabile dalla sua pipa, che era stato per anni prigioniero di guerra in India ed era critico militante di poesia.

Cazzaniga era un gran barone come ci si immaginava che esistessero nell’Ottocento. Noi studenti di Filosofia dovevamo pur sempre portare Tacito ad apertura di libro, ma è anche vero è che venivamo ogni tanto “graziati” con un gesto da grand seigneur: stancamente la mano reclinava sul piano del tavolo, in direzione della porta.

Voglio invece concludere questa sommaria rievocazione con un nome di un docente in via di generale oblio e viceversa degno di essere riportato in primo piano e non solo nella storia di quegli anni: Umberto Segre.

Le sue lezioni di Filosofia Morale vertevano sul rapporto tra giudizio morale e giudizio storico. Esaminava e faceva leggere Kant e Fichte, Hegel e Marx, Dilthey e Weber, Meinecke e Croce. Apparentemente impassibile, trasmetteva un sommesso ma penetrante

27 Si veda Silvio Ceccato, Carlo Oliva, Il linguista inverosimile: una passeggiata fra esperienze ed esperimenti della parola, Mursia, Milano 1988. Cfr. Felice Accame, In memoria di Silvio Ceccato (commemorazione tenuta a Montecchio Maggiore il 4 aprile 1998), in F. Accame, E. von Glasersfeld, V. Somenzi, R. Beltrame, M. Panetta, C.E. Menga, G. Benedetti, Studi in memoria di Silvio Ceccato, Roma 1999. Cfr. anche www.methodologia.it. 28 “Egnatius”, nelle edizioni critiche di Catullo e dei Carmina Priapea. 29 Su Fubini e altri professori una testimonianza di Achille Occhetto, Secondo me, Piemme, Casale Monferrato 2000, pp. 69- 70. 13

insegnamento di onestà e finezza di analisi nei confronti dei testi, dei problemi.

Segre scriveva sul “Giorno” una “colonnina”, breve nel taglio e chiara nello stile, di analisi della situazione politica corrente (interna, in genere); in altre riviste, soprattutto ne “Il Ponte”, l’analisi poteva distendersi. Si guardava dal far citazioni dotte cos ì come da quell’amalgama che in gergo si chiama “pastone”. Nell’impostazione e nei passaggi si avvertiva invece la filatura del ragionar colto, il rifiuto della predica, l’amor di verità, per quanto parziale e “momentanea” essa finisca coll’essere. Come ha ricordato Michele Pacifico, si sentiva “la filosofia in presa diretta”. La corazzata giornalistico-politica di allora era il “Corriere della Sera” di Mario Missiroli, plumbeo baluardo della destra confindustriale e per questo contrastato dal recente, vivace e modernamente impaginato “Giorno”, voluto da Enrico Mattei e diretto da Gaetano Baldacci. Il giornale si occupava come nessun’altra testata della scuola e dei giovani e della dinamica di quella fase politica che si chiamava “apertura a sinistra” e che avrebbe preluso all’incontro tra cattolici e socialisti nel centro- sinistra (organico, riformatore e col “trattino”, nel lessico dei suoi simpatizzanti di allora e studiosi di oggi).

La combinazione di lotte accademiche tra i docenti di Lettere determinati a mettere a posto un certo loro candidato, la collaborazione al “Giorno” addebitata come lucroso vantaggio dalla posizione di docente, il fatto che Segre fosse arrivato “per comando” (era di ruolo nei Licei), fecero sì che il Consiglio di Facoltà lo facesse fuori non rinnovandogli l’incarico, che allora era annuale. L’operazione fu persino ammantata come un atto di moralizzazione pubblica. Bisogna aggiungere che in Consiglio non ci fu una strenua resistenza da parte dei molti rappresentanti della sinistra comunista e procomunista30.

Per fortuna a succedergli fu la più degna delle persone: Remo

30 Umberto Segre, Etico e politico. Scritti filosofici, a cura di Vera Segre e Paolo Magnano, La Nuova Italia, Firenze 1991 (contiene inediti che corrispondono alle lezioni dall’A.a. 1957-’58 al ‘62-63). Introvabili le pubblicazioni di raccolte di saggi e articoli di Segre: Verità e politica. Verità della politica, a cura di Vera Segre e Paolo Mugnano, introduzione di Renato Treves, Edizioni di Comunità, Milano 1979; Dissenso politico e violenza. Scritti sulla contestazione giovanile, a cura di Vera Segre e Paolo Mugnano, prefazione di Guido Martinotti (che scrive: “intellettuale impegnato ma non inserito”), Marsilio, Venezia 1980. Si vedano le testimonianze di Virgilio Dagnino ed Enzo Forcella ne “Il Giorno” del 14 gennaio 1970, p. 5, e soprattutto Michele Pacifico, Umberto Segre: la filosofia in presa diretta, in “altreragioni”, n., 1 (1992), pp. 109-112 (Pacifico ne era diventato l’assistente volontario). 14

Cantoni, allievo di Banfi, proveniente da Pavia. Ma siamo già nel ‘66, ‘67 e su Cantoni non ho una particolare testimonianza intra moenia. Nelle conferenze, negli scorci nelle librerie, il suo elegante sorriso aleggiava nell’aria anche a dibattito concluso31.

Il nome di Cantoni e la riapparizione di quello di Banfi permettono di scrivere che il fatto che Cantoni sino a quell’epoca, Giulio Preti, Luciano Anceschi, Dino Formaggio, Luigi Rognoni, Giovanni Bertin - insomma “la scuola di Milano” secondo la felice espressione di Fulvio Papi32 - non insegnassero in Facoltà, o come Vittorio Sereni operassero nell’editoria, non significava affatto che noi studenti di allora non li avessimo ben presenti, non li leggessimo, o, come nel caso di Preti, non li discutessimo animatamente33. E neanche che non si seguissero regolarmente le uscite de “Il Verri” fondato e diretto da Luciano Anceschi, o le vivaci battaglie letterarie del Gruppo 63, i cui sperimentalismi cercavamo di leggere nella rivista “Marcatre”34.

La lontananza, se non l’estraneità o l’ostilità ideologica, erano invece riservate con giovanil baldanza ai crociani napoletani, ai gentiliani romani, ai clericali veneti e ai metafisici genovesi, ai superciliosi torinesi, ai toscani superbi, agli italostoricisti pisani e romani. E all’altra struttura universitaria milanese: la Cattolica del S. Cuore. Se arrivavano notizie di scomuniche, radiazioni, lamenti per l’obbligatorietà dell’esame di Teologia, espulsioni e autodafè, la scrollata di spalle era facile: cosa si aspettano da un’Università che si chiama come quella? (Ma qualcuno aveva attentamente letto il saggio sull’intenzionalità di Sofia Vanni-Rovighi nell’Omaggio a Husserl; e la sagoma da alpino in forza del volto rubizzo incorniciato da un pizzetto grigioferro di Gustavo Bontadini sfrecciante in bicicletta per le vie di Milano non assomigliava affatto al saio penitenziale del “medioevale” padre Agostino Gemelli.)

31 Marco Lancellotti, Una rilettura e un ricordo, in Remo Cantoni. Filosofia a misura della vita, cit., pp. 197-200. 32 Fulvio Papi, Vita e filosofia. La scuola di Milano: Banfi, Cantoni, Paci, Preti, Guerini e Associati, Milano 1990. Cfr. Gabriele Scaramuzza, Crisi come rinnovamento. Scritti sull’estetica della scuola di Milano, Unicopli, Milano 2000. 33 Si veda Fulvio Papi, Un libro, un tempo: Praxis ed empirismo di Giulio Preti, ne “Il Protagora”, XXXII, genn.-giugno 2004, quinta serie, n. 3, pp. 7-20 e, prima, Fabio Minazzi, L’onesto mestiere del filosofare. Studi sul pensiero di Giulio Preti, FrancoAngeli, Milano 1994. 34 Renato Barilli, La neoavanguardia italiana: dalla nascita del Verri alla fine del Quindici, Il Mulino, Bologna 1995. 15

“Nel corso degli anni ‘40 - ha scritto lo studioso Franco Cambi - Milano viene ad assumere il ruolo quasi di ‘capitale filosofica’ italiana’”, per ragioni storiche (“lo scontro politico e culturale, e quindi anche filosofico, tra le forze cattoliche e laico- socialiste che determinerà il volto e le uscite del dopoguerra”) e nel senso di una successione di egemonie così periodizzabili: Napoli e Firenze dall’inizio del secolo alla Grande Guerra, quindi Torino (Gramsci, Gobetti, Augusto Monti, Franco Antonicelli, il giovane Geymonat) e Roma (Gentile e, dopo il Concordato del ‘29, Bottai e Orestano)35. La tesi di Cambi è anche più specifica: Milano (Statale) capitale del razionalismo italiano?

Mirella Pasini e Daniele Rolando hanno ricostruito le vicende del “neoilluminismo italiano” tra i primi Cinquanta e i primi Sessanta nei programmi del Centro Studi Metodologici e negli incontri promossi da Abbagnano, Bobbio, Ceccato, Scarpelli, Geymonat (che si era trasferito a Pavia e poi a Milano), Preti, Paci, Dal Pra, Santucci, Pasquinelli, Matteucci. Si può dire che fosse attivo un quadrilatero laico Torino-Milano-Bologna-Pavia 36.

Colpisce in queste ricostruzioni storiografiche che Antonio Banfi sia presente nella prima e abbia disdegnato di partecipare alla seconda. (Colpisce anche che nelle centinaia di pagine della sua Storia della cultura in Italia Alberto Asor Rosa riesca a non nominare mai Banfi.)37 - La storiografia successiva sembra aver abbandonato queste definizioni distintive a favore di una maggior duttilità di giudizi in cui le periodizzazioni sono meno scandite, i singoli itinerari filosofici più importanti, lunghi e inquieti, la dialettica tra personalità forti e “scuole” più mossa sino (successivamente) a riletture anche forti38.

Resta che il quesito su perché quegli anni nella Facoltà di

35 Franco Cambi, Razionalismo e prassi a Milano (1945-1954), Cisalpino-Goliardica, Milano 1983 (si vedano però le osservazioni di Fabio Minazzi ne L’onesto mestiere del filosofare. Studi sul pensiero di Giulio Preti, cit., p. 106 sgg.). 36 Mirella Pasini e Daniele Rolando, Il neoilluminismo italiano. Cronache di filosofia (1953- 1962), il Saggiatore, Milano 1991. 37 Storia d’Italia Einaudi, IV, 2, Torino 1975. 38 AA.VV., La filosofia italiana dal dopoguerra a oggi, Laterza, Roma-Bari 1985; C.A. Viano, Il carattere della filosofia italiana contemporanea ne La cultura filosofica italiana dal 1945 al 1980 nelle sue relazioni con altri campi del sapere, Atti del Convegno di Anacapri (giugno 1981), Guida, Napoli 1988; AA.VV., Filosofia italiana e filosofie straniere nel dopoguerra, a cura di Pietro Rossi e Carlo Augusto Viano, Il Mulino, Bologna 1991, in particolare Stefano Zecchi, La fenomenologia in Italia: diffusione e interpretazioni, pp. 16-33. 16

Milano Statale (e in tutta Milano) siano stati così fecondi è ricorrente, perché esso riaffiori continuamente negli scritti e ancora più nelle rammemorazioni serali, individuali o tra piccoli gruppi.

In quegli anni la “scuola di Milano” generata da Piero Martinetti e Antonio Banfi diede, ognuno individualmente, il meglio di sé39; e per loro e per gli altri il terreno di giunzione fu rappresentato da un orizzonte di riferimenti europei che spaziavano dalla Francoforte di Goethe allo Hegel jenense, da Vienna a Parigi (Sorbona, Collège e café Flore), passando per le università inglesi (e la belga Lovanio); assai meno per quelle tedesche (fatta salva Friburgo pur nella dicotomia Husserl/Heidegger, con Fink a se stante). Il rifiuto dei tardohegeliani Croce e Gentile era anche la riproposizione di una genealogia che il trionfo dell’idealismo aveva messo in ombra: Piero Martinetti, Antonio Banfi, Rodolfo Mondolfo. La Facoltà - o “Filosofia della Statale”, come si usava dire in città - era interamente laica. La regolarità e selettività dell’istituzione ebbero molta importanza. La contiguità con l’editoria libraria fece il resto. La stagione del benessere, della distensione internazionale e della “coesistenza pacifica” fu una importante cornice, per quanto “alienazione” fosse una delle parole chiave del periodo (e in filosofia il rifiuto dell’obbiettivazione naturalistica e della tecnica). Soprattutto vi era nell’aria una palpabile per quanto non facilmente definibile atmosfera di libertà: libertà da vincoli e dogmatismi, la sensazione, forse fallace!, di esser parte di un cosmopolitismo europeo e statunitense, la possibilità di una ricerca di uno stile di vita che fosse personale e sociale insieme. Erano anni in cui si poteva credere nel detto secondo cui “la grande città rende liberi”, o attraversare Milano ripetendo Baudelaire: fourmillante cité, cité pleine de rêves40.

Neri era uno che amava la sua città di Milano41. Credo di poter affermare che la Milano degli studi di quegli anni sia indisgiungibile dalle immagini rappresentate dal tipo di restauro scelto dagli architetti Liliana Grassi e Piero Portaluppi per la nostra storica sede di via Festa del Perdono edificata dal Filarete e distrutta dai bombardamenti

39 Enrico I. Rambaldi. La cultura filosofica, in Storia di Milano, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, vol. XVIII, Il Novecento/2, pp. 799-833: “... scuola di Milano, espressione che vale ad indicare che talliscono da un comune ceppo banfiano, ma non implica concordanza, se non lata, tra loro”. 40 “Brulicante città, città piena di sogni”, I sette vecchioni, ne I fiori del male, trad. it. di Giovanni Raboni, in Charles Baudelaire, Poesie e prose, con introduzione di Giovanni Macchia, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1973, p. 175. 41 Ricordo di Luigi Marelli, pp. 30-31 di Quando tra noi muore un filosofo, cit. 17

nell’agosto del ‘43. Dalla risistemazione interna di Palazzo Sormani sede della Biblioteca comunale; dall’arredo disegnato da Franco Albini, Franca Helg e Antonio Piva per la linea 1 della Metropolitana scavata in quegli anni, e dalla sua grafica che si deve a Bob Noorda; dal profilo della Torre Velasca quale si occhieggia da largo Richini (1956-58, Studio BBPR: Lodovico Belgiojoso, Enrico Peressutti, Ernesto Nathan Rogers)42.

“Nel piazzale, al lato destro di chi esce dalla stazione, - scrive Paci nel Diario fenomenologico, in data 31 marzo 1958 - ad una distanza sufficiente perché risalti la sua mole, costruiscono un grattacielo. È passato ormai un anno da quando son state gettate le profonde fondamenta. Il grattacielo è ormai arrivato al ventiseiesimo piano. Ad ogni piano raggiunto vien posto un grosso cartello in bianco e nero, illuminato la notte, con il numero del piano, così che lo sguardo può misurare tutti i numeri dal basso all’alto e dall’alto al basso”43.

È il grattacielo Pirelli, di Gio Ponti: lo stesso la cui inquadratura in bianco e nero apre La notte di Michelangelo Antonioni, che andammo a vedere nel ‘6044. Una scena di Rocco e i suoi fratelli l’avevo vista girare un anno prima, ai piedi del Duomo lato Arcivescovado, mentre andavo a lezione. Era una gelida mattina d’inverno, Luchino Visconti indossava un paletot di cammello ed era avvolto in una sciarpa di cachemire, i più ampi e soffici e intepidenti capi d’abito che abbia mai revé nella mia vita.

Alla proiezione la sequenza non la rividi, dovevano averla tagliata.

Il filo rosso della prassi e della filosofia

Neri approfondiva la sua personale ricognizione, andava alla ricerca di una verifica che fosse anche esterna al mondo accademico, al contrasto talvolta stridente tra passione e ritualità dei ruoli. (I professori danno voti, gli studenti - e gli assistenti - esprimono giudizi.)

42 Negli anni Cinquanta Enzo Paci scrisse vari saggi sull’architettura, poi raccolti in Relazioni e significati, vol. III - Critica e dialettica, Lampugnani Nigri editore, Milano, 1966 , pp. 132-207, e la prefazione a La città di Max Weber apparso nel 1950 nella collana “Idee nuove” dell’editore Bompiani. 43 Enzo Paci, Diario fenomenologico, il Saggiatore, Milano 1961, pp. 51-52. 44 Cfr. Roberto Escobar, La metropoli assente. Immagini milanesi nel cinema italiano, in G. Bertelli, S. Bonfiglioli, P. Dalmartello, R. Escobar, A. Negri, Emilio Renzi, G. Rosso Del Brenna, O. Selvafolta, R. Spagnolo, V. Vercelloni, F. Zanni, Milano percorsi del progetto, a cura di Paolo Caputo, In/Arch e Guerini, Milano, 1991, pp. 329-360. 18

Nell’aprile del 1963 apparve il primo numero de “Il Filo Rosso”. Con Neri l’avevano fondato Gian Piero Brega, Gian Franco Vené, A. Massimo Calderazzi. Formato quaderno, steineriano l’impaginato, Feltrinelli l’editore (Brega vi lavorava e nei loro anni più difficili ne avrebbe retto la direzione generale). Si presentava come un discorso molto razionale: le rubriche, le partizioni, la grafica. Mi abbonai perché mi parve uno strumento che univa una lettura culturale della realtà in divenire a indicazioni di comportamento politico. Come dire, univa “conoscenza” e “prassi” 45.

L’impronta di Neri è riconoscibile da un esame anche solo superficiale. Non vi è numero de “Il filo rosso” che non abbia almeno un articolo dedicato ai problemi dell’Est europeo. È solo dopo che a Roma si è formato il primo governo di centro-sinistra organico e di conseguenza la sinistra socialista è uscita dal PSI, che i problemi italiani acquistano peso. Il giudizio della rivista sulla scissione e sulla formazione dello PSIUP è positivo. Alla guida del nuovo partito vi è anche Lelio Basso. Si saluta la nascita di “Classe operaia” da “Quaderni rossi”. Ma vi è anche un contributo di Roberto Guiducci, che nel 1956 in “Ragionamenti” aveva pubblicato un manifesto di condanna dell’intervento dei carri armati russi a Budapest che Neri aveva sottoscritto, mentre Banfi aveva condiviso la condanna ufficiale del PCI di Togliatti46.

Sono di Neri sia la scelta e la postfazione dei Pensieri proibiti di Stanislav Jerzy Lec, straordinaria satira del regime comunista polacco, sia la traduzione e postfazione del Lenin di György Lukács (è il Lukács degli anni dei Consigli)47.

Nella rivista Neri fa apparire un saggio di Karel Kosik dal contenuto non filosofico nel senso tecnico del termine: Hasek contro

45 “Il filo rosso. Mensile d’intervento politico-culturale” apparirà per dieci numeri sino al febbraio del ‘65. - L’”intervento” era affidato a brevi testi in colonna intitolati Diario, Politica, Cronaca, Cultura e a una griglia di rubriche fisse: Un concetto da chiarire, Un libro da scrivere, Un uomo da capire. I saggi di apertura erano sempre dedicati a temi internazionale, anzi lo scenario mondiale della dialettica distensione/competizione tra i due blocchi domina il primo tempo della rivista. 46 Guido D. Neri, Crisi e costruzione della storia. Sviluppi del pensiero di Antonio Banfi, Bibliopolis, Napoli 1988 (prima edizione Libreria Editrice Universitaria, Verona 1984), pp. 139-141 (Neri si rifà ad Antonio Banfi, Risposta a otto domande sullo Stato guida, inchiesta di “Nuovi Argomenti”, 1957, ora in SM? XXX pp. 213 sgg. - Si vedano “Ragionamenti”. Ristampa anastatica 1955-1957, a cura di Maria Chiara Fugazza, Gulliver, Milano 1980, ma anche Fulvio Papi, Il secondo viaggio di Antonio Banfi: Resistenza e filosofia a Milano, ne “Il Protagora”, XXXI, genn.-dic. 2003, quinta serie, n. 1-2, pp. 181-188. 47 Nel 1970 in volume presso Einaudi. 19

il “Grande meccanismo”. È una apologia della satira del buon vecchio soldato Schweyck contro la burocrazia di ogni tempo e di ogni luogo; è a dire, in quel tempo e quel luogo, gli stalinisti di Cecoslovacchia. Tanto più che vi si parla di un autore praticamente proibito: Franz Kafka. E nell’ultimo numero (febbraio del ‘65), Neri aveva pubblicato il suo Karel Kosik: interpretazione della prassi. In quello stesso anno appariva in volume Dialettica del concreto, l’opera fondamentale di Karel Kosik da Neri così amata, così apprezzata48.

La sottolineatura del nome di Lelio Basso si deve alla rammemorazione del prestigio che il suo profilo culturale prima ancora che politico esercitava in quegli anni su molti giovani in città e in regione (analoghe attrazioni erano esercitate da Rossana Rossanda alla Casa della Cultura e Riccardo Lombardi nei circoli di ispirazione socialista autonomista, ma Lombardi viveva a Roma). La biblioteca di Basso in corso Venezia 24 era un luogo di meraviglie per ogni bibliofilo e per gli studiosi del movimento democratico e operaio. Pezzo forte erano i giornali e i libri della Rivoluzione francese, del giacobinismo europeo, della cultura italiana. Per dire, era appena giunto in libreria il volume cartonato in cui Einaudi aveva pubblicato i testi di “Lacerba” e de “La Voce” e quando io entrai nello studio di Basso lui aveva sul tavolo le edizioni originali! Nella redazione della rivista “Problemi del socialismo” che aveva fondato nel 1958 militavano molti giovani milanesi che studiavano e scrivevano appassionatamente: Silvia Boba, Bona Oxilia, Francesco Indovina, Pino Tagliazucchi, Giovan Battista Zorzoli, Lidia Lonzi, Paola Forti e Sergio Spazzali (che con Giovanni Pirelli avrebbero fondato il Centro Franz Fanon), il torinese Vittorio Rieser49.

Lo scaffale delle riviste era fitto, in quegli anni. “Il filo rosso” apparve in mezzo a riviste storiche (“Il Ponte”, “Comunità”, “Critica Sociale”, “Tempo presente”), a esperienze appena concluse (“Movimento operaio” prima e seconda serie, “Discussioni”, “Ragionamenti”) e a concorrenti diversi: “Il Paradosso” (1956, “rivista giovanile di cultura”; dal 1961, “rivista di discussione e ricerca”), la “Rivista storica del socialismo” (1958, direttori Luigi Cortesi e Stefano Merli), “Economia e Lavoro” (1960, Emanuele Tortoreto), l’irriverente e combattivo “Quaderni Piacentini” fondato

48 Amedeo Vigorelli sostiene che Neri la preferiva a Funzione delle scienze e significato dell’uomo, L’inizio, XXX 49 La sintesi del pensiero di Basso può essere rappresentato dall’opera postuma Socialismo e rivoluzione, Feltrinelli, Milano 1980, in cui si vedano la nota dei curatori Fiorella Ajmone e Carlo Basso e, al termine, la cronologia della vita. 20

nel 1962 da Piergiorgio Bellocchio e Grazia Cherchi50.

Sullo sfondo di ogni discussione, revisione, dibattito e riproposta politica e culturale, stavano i tre grandi eventi del 1956: il rapporto Kruscev e la destalinizzazione, la repressione a Budapest, la fine a Suez delle politiche di potenza dei vecchi imperi inglese e francese e l’inizio della decolonizzazione. La guerra d’Algeria, le tragedie a Parigi, furono per la mia generazione quello che il Vietnam sarebbe stato per i giovani di fine Sessanta/primi Settanta: l’apprendistato, tanto più brutale in quanto apparentemente lontano, ai complessi rapporti tra diritti e violenza nella storia. Non era impossibile conoscere in case private di Milano giovani francesi che vi si erano rifugiati per il rifiuto di prestar servizio nell’Armée in Algeria. Nella redazione del Saggiatore, in via Bianca di Savoia, lavoravano a compilare un grosso volume sul tema due giovani donne francesi, una delle quali per far perdere le tracce alle autorità del suo paese aveva assunto il cognome di Cacheux51.

In Italia le discussioni vertevano sulle grandi trasformazioni che stava attraversando il paese: lo sbilanciamento dall’agricoltura all’industria, la tumultuosa emigrazione interna, l’economia e i consumi e gli stili di vita all’insegna del “miracolo economico”. Chi avrebbe guidato la trasformazione? e, preliminarmente, di crescita si trattava o non piuttosto di integrazione nel “neocapitalismo”, come allora si diceva52?

Ma Neri slargava il discorso, lo portava in alto. La significatività del titolo del suo primo libro pieno - Prassi e conoscenza - consiste appunto nello sforzo di far reagire il marxismo (la filosofia della “prassi”) nelle sue espressioni sia occidentale (Lukács, Adorno, Tran-Duc-Thao, Marcuse, Naville) sia est-europea sotto i regimi dei partiti comunisti di osservanza post-staliniana (Schaff, Kosik), rispetto alla forma di conoscenza eminentemente anti- ideologica e anti-naturalistica: la fenomenologia della riduzione al soggetto concreto, al “mondo della vita”.

50 Per questi dati e per molte altre informazioni sul periodo si veda AA.VV., Milano com’è. La cultura nelle sue strutture dal 1945 a oggi, Feltrinelli, Milano 1962. Cfr. anche Casa della cultura. Quarant’anni 1946-1986, con uno scritto di C. Musatti, Milano, Angeli 1986. - Nel n. 36 (1968) dei Quaderni piacentini Neri pubblicherà L’esperienza cecoslovacca, pp. 11-46. 51 Janine Cahen e Micheline Pouteau, Una resistenza incompiuta. La guerra d’Algeria e gli anticolonialisti francesi 1954-1962, traduzione di Bruno Maffi, il Saggiatore, Milano 1962. 52 Sintomatico, fra mille esempi possibili, un saggio di Lelio Basso nel n. 5 de “Il filo rosso”: Integrazione operaia e strategia socialista. 21

È un lungo e paziente esercizio di riflessione su Marx e sui marxismi ipotizzati e “realizzati” e dissidenti... a partire dalla loro autodefinizione, dalle dorsali della stessa “coscienza infelice”. Una critica quindi che attraversava la cronaca senza farsene contaminare ma illuminandola con una visione profonda.

Nel 1963 Paci aveva pubblicato Funzione delle scienze e significato dell’uomo e Neri aveva fatto in modo che parlasse all’Accademia delle scienze di Praga, il 24 ottobre 1962, su Il significato dell’uomo in Marx e Husserl53. Nella Terza parte di Funzione delle scienze Paci poneva all’ordine del giorno l’intreccio tra fenomenologia e marxismo (marxismo marxiano, gramsciano e sartriano), in una prassi strettamente intrecciata a una teoresi vivente e anti-ideologica, alla dialettica del concreto e dell’astratto.

Il Paci di quegli anni si muoveva in modi complessi, che avrebbero preparato il suo riconoscersi nel Sessantotto e, successivamente, in un “oltre” veritativo, sempre più alto e vibrante. Rammemora Massimo Bonfantini:

“era capace di venire alle Cantine astigiane e ascoltarci fino a tarda ora a discutere in “seminario” informale Il capitale. Senza interromperci mai. Solo alla fine, sommessamente e breve, veniva un consiglio o una suggestione. Doveva essere l’inverno 1963-64. Non era un “marxista della cattedra”. Non ebbe mai arrogante furore leaderistico. Ma la sua forte gentilezza di “esistenzialista positivo” nutrì instancabilmente la sua voce in quegli anni”54.

Altri studenti erano infatti giunti in Facoltà, e come prima li nomino senza ordine né completezza: Marco Lancellotti, Salvatore Veca e Pier Aldo Rovatti allora indivisibili, Fabrizio Mondadori, Carlo Montaleone, Miti Gardella, Stefano Zecchi, Marisa Dalla Chiara, Giulio Giorello, Annabella Lampugnani Nigri il cui fratello Arrigo si sarebbe fatto editore di “aut aut” e della rivista “Questo e altro> e di una collana diretta da Rovatti e Veca che avrebbe raccolto i saggi sparsi di Paci, Tran Duc Thao ecc., Erica Carloni, Giuseppe Magni, Marina Piazza, Francesco Dagrada, Marcella Pogatschnig, Claudio Martelli55, Giovanna Silvestri, Dina Vallino, Donatella Zazzi, Silvio

53 Saggio apparso nel n. 73 (gennaio 1963) di “aut aut”, pp. 10-21. Funzione delle scienze fu edito dal Saggiatore nel settembre del 1963. 54 Massimo A. Bonfantini, Paci o dell’intenzionalità: dialogo con il ricordo di Paci, in AA.VV., Vita e verità. Interpretazione del pensiero di Enzo Paci, a cura di Stefano Zecchi, Bompiani, Milano 1991, pp.181-187. 55 Testimonianza sulla Facoltà in Walter Veltroni, Il sogno degli Anni ‘60, Feltrinelli, Milano 1991, pp. 135-138. 22

Paschi, Gianna Sidoni dai grandi occhi neri, Arrigo Cappelletti, Marco Weiss, Marco Mondadori56. - Tra gli studenti di Lettere: Irene Bignardi dai grandi occhi verdi, Bruna Bianchi germanista; tra quelli di storia, Enrico Decleva e Luigi Ganapini.

Il 1967 - i migliori anni?

Neri era viceversa sempre più esterno alla Facoltà, che dal canto suo non volle o non seppe riconoscerlo entro le sue dinamiche di continuità e troncamenti. L’Est e i problemi culturali, politici, umani che l’Est continuava a porre a una persona pensante e sensibile, in quanto dramma per la concrezione di un discorso che avrebbe dovuto riguardare l’umanità intera (e che anni dopo avrebbe trovato nell’Europa un ulteriore e concreto banco di prova), ecco ciò che lo interessava, lo attirava. Leggo in un mio appunto dell’epoca: “Guido a Praga, non si capisce bene a cosa fare”. Più tardi, ora, devo appuntare: ero io che non avevo capito.

Il secondo libro, apparso nel 1980, proseguirà sul tema della “filosofia della prassi”, portando in luce le “aporie” del “socialismo reale”. I nomi chiave saranno Kosik e più ancora Patočka, fenomenologo represso dal regime, e Bloch, Arendt57. Il terzo (1984) rileggerà Banfi con la forza della maturità, andando cioè alla ricerca delle forme della fenomenologia della cultura. È un libro di attenzione e non di devozione58. - Ma siamo oltre il 1967 e dunque mi arresto al limite che mi sono posto.

Nel ‘67 Neri era stato per un anno docente alla Penn State University, in America. A raggio più corto, io ero entrato nella redazione dei Saggiatore, quando Alberto aveva deciso di prendere le misure rispetto al padre Arnoldo e di creare la Casa editrice che avrebbe fatto i libri per far pensare negli anni e nei decenni successivi59.

56 Si vedano gli scritti in sua memoria in Logica e politica. Per Marco Mondadori, a cura di Marcello D’Agostino, Giulio Giorello, Salvatore Veca, il Saggiatore/Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano 2001, in particolare Luca Formenton e Aurelio Pino, Marco Mondadori intellettuale editore, pp. 513-518. 57 Guido D. Neri, Aporie della realizzazione. Filosofia e ideologia del socialismo reale, Feltrinelli, Milano 1980. 58 Guido D. Neri, Crisi e costruzione della storia. Sviluppi del pensiero di A. Banfi, Bibliopolis, Napoli 1988 (prima edizione Libreria Editrice Universitaria, Verona 1984). 59 Cfr. Alberto Cadioli, Sono un esploratore, mi piace navigare nel tempo. Breve storia del Saggiatore dal 1958 a oggi, il Saggiatore, Milano 1993. 23

Altra e di ben maggior gittata era la messa in movimento che si stava producendo in quello scorcio d’anni. Nuovi autori dalla Francia prendono la scena: Foucault, Lacan, Derrida, Lyotard. Appaiono nel 1967 le traduzioni di Herbert Marcuse: Eros e civiltà, L’uomo a una dimensione. Nei giornali, una notizia dalla Bolivia: ucciso Che Guevara. “Fuochi di guerriglia” nel Terzo Mondo; nei campus americani, le parole d’ordine della protesta contro la guerra in Vietnam e della “controcultura” si mischiano in una miscela che sarebbe diventata un modello per la contestazione giovanile che in Italia si alimentava del rifiuto di una proposta di legge, “la 2314”, del ministro della Pubblica istruzione Luigi Gui per la riforma dell’Università60. Dalla nebulosa cattolica erano arrivate due pubblicazioni scritte in solitario da un sacerdote e professore, Lorenzo Milani: Lettere a una professoressa (1967), L’obbedienza non è più una virtù (1965). Due brevi libri a miccia molto, molto lunga. Un decennio stava per cedere la parola a un altro e sarebbe stata una parola altra.

Il 1968 iniziò bene per Neri: Dino Formaggio lo volle con sé come docente di estetica a Verona, che allora dipendeva da Padova. Fu cos ì che finimmo per vederci sempre meno, salvo che a non calcolabili intervalli sul tram 23: lui verso Porta Vittoria, io verso Porta Venezia. Sorridendo lui chiedeva di me prima e più di quanto io riuscissi a chiedere di lui.

Così ora, riflettendo, non sono affatto sicuro che quelli tra il 1958 e il 1967 siano stati “i migliori anni della sua vita” - espressione peraltro che si sa dover essere assunta passabilmente con ironia e autoironia. Anzi è con ammirazione e rispetto che si leggono le sue pagine dedicate ai bambini, agli adolescenti, scritte da lui con l’animo del genitore e dell’educatore. Ancora una volta l’esperienza vissuta in prima persona e la forma mentis del filosofo teoretico si fecondano a vicenda. Tra le sue pagine sono quelle che più convocano emozioni e chiamano riguardo61.

60 Gli iscritti alle Università italiane erano 210mila nel 1955-’56, 268mila nel ‘60-’61, 403mila nel ‘65-’66, 642mila nel ‘69-70 (dati Istat, in Fare gli italiani. Scuola e cultura nell’Italia contemporanea, a cura di Simonetta Soldani e Gabriele Turi, Il Mulino, Bologna 1993, p. 148). - Sul clima della Facoltà negli anni Settanta, una testimonianza di Fabio Minazzi in Mario Dal Pra - Fabio Minazzi, Ragione e storia. p. 327 nota, in cui si ricorda anche una testimonianza di Giulio Giorello nel “Corriere della Sera” dell’8 dic. 1990, La via milanese alla filosofia. 61 Metafisica dei bambini paragonata a quella degli adulti (1999), ne Il sensibile..., cit., p. 152-155. 24

Cos ì il più gentile tra tutti noi non è più tra noi né più sentiremo la sua festosa e rispettosa capacità di prendere in giro a destra e a sinistra, mimando come lo vidi fare una sera, tra amici e compagni, parole d’ordine grandi e meno grandi: “lotta dura /senza paura / per le riforme / di struttura” - e anche “dansons / dansons la Carmagnole!”.