Terra E Gente Appunti E Storie Di Lago E Di Montagna
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Terra e gente Appunti e storie di lago e di montagna 28 Comunità Montana Valli del Verbano Comitato di Redazione: Francesca Boldrini, Serena Contini, Federico Crimi, Elsa Damia, Ercole Ielmini, Stefania Peregalli, Gianni Pozzi, Emilio Rossi, Simona Zinanni. Coordinamento di Redazione: Serena Contini La rivista è aperta al contributo di tutti. Il Comitato di Redazione si riserva l’accet- tazione dei medesimi. Gli autori si assumono la piena responsabilità dei loro scritti e del materiale fotografico inviato. Un attore che recita, su un palco affacciato sulla distesa della nostra provincia. Un’immagine emblematica, che ben rappresenta visivamente un anno difficile, anche per il settore della cultura. Un settore che ha resistito, con coraggio e dignità, e che, nei mesi in cui il nostro Paese ha iniziato a fronteggiare la pandemia, ha dovuto necessariamente confrontarsi con il territorio e le sue istituzioni. In quest’anno così travagliato, anche il lavoro di ricerca ha sicuramente dovuto affrontare ostacoli imprevisti, tra chiusure e limitazioni agli sposta- menti. Pertanto, bisogna essere ancora più grati agli autori degli interessanti articoli che vanno a comporre il ventottesimo numero di «Terra e gente». Un volume che, non casualmente, si apre con un contributo legato a un medico varesotto, che mise la sua competenza al servizio della ricerca sulle malattie infettive, ma che anche restituì molte delle nozioni apprese al no- stro territorio. Studio, coraggio, territorio. Ingredienti per una ricetta quanto mai attuale e necessaria. Mi piace anche evidenziare, senza voler fare torto agli altri autori, la presenza di ben tre articoli legati alla figura di Gianni Rodari, di cui ricorre il centenario della nascita. Tra le tante sue pagine, mi è particolarmente caro un testo, contenuto nel volume del 1979 Parole per giocare. Celeber- rimo, esso invita i bambini a “imparare a fare le cose difficili”. In questo 2020, tutti noi siamo stati costretti a essere bambini. Non abbiamo certa- mente imparato tutto, ma abbiamo riscoperto che “è difficile fare le cose difficili”. Dopo un anno in cui, forzatamente, le parole “terra” e “gente” han- no significato spesso più una privazione che un arricchimento, mi auguro che queste pagine possano essere uno dei tanti modi per tornare ad uno sguardo positivo e di speranza nei confronti di questi due, imprescindibili, elementi che fondano le nostre comunità. Marco Fazio Assessore alla Cultura Barbara Pezzoni, Ilaria Gorini Pietro Pacifico Gamondi (1914-1993), medico tropicalista ed etnoiatra. Un protagonista della ricerca medica alla metà del secolo scorso a storia dell’uomo è caratterizzata da epidemie e pandemie causate da virus e batteri, alcuni noti altri meno. Nel capitolo delle malattie infettive si incon- Ltrano personaggi che, con ricerca e passione, hanno scoperto l’eziologia, la clinica e la terapia di molte di esse, permettendo così di prevenire o curare mali prima oscuri e mortali. La medicina, soprattutto negli ultimi decenni, si è spesso confrontata con epidemie. Oggi sta affrontando la pandemia da SARS-CoV-2, ma nonostante i progressi scientifici e tecnologici avvenuti nel XX secolo si trova con un bagaglio farmaceutico e con un sapere inadeguati di fronte a que- sta nuova emergenza sanitaria. Questa sensazione di impotenza nell’affrontare nuove sfide era probabilmente la stessa che Pietro Gamondi provava nella sua professione medica nel secolo scorso di fronte alle malattie emergenti dell’epo- ca. Il suo profilo biografico e scientifico è a pochi conosciuto, ma è importante ricordarlo come uno dei protagonisti della ricerca medica. Lasciò, infatti, Varese per andare ad operare in Paesi lontani contribuendo con la sua vicenda umana e professionale a delineare un capitolo della Storia della medicina. Pietro Pacifico Gamondi(1), detto Piero, figlio di Paolo e di Anna Maria Lui- (1) Ricostruire il profilo biografico e professionale di Pietro Gamondi non è stato facile. Non ha lasciato diari o scritti esaustivi e non ha pubblicato molti lavori scientifici da cui poter ap- prendere notizie della sua vita familiare e del suo impegno in campo sanitario. Per riuscire a conoscere la sua personalità e l’operato da lui svolto abbiamo coinvolto alcune persone con cui aveva collaborato o che lo conoscevano in amicizia, soprattutto negli ultimi anni della sua vita, oltre a consultare archivi istituzionali e giornalistici. Fondamentale è stato poter accedere alle sue memorie nella casa di Ghirla, che la figlia Claudia ci ha aperto generosamente, dove si tro- vano gli oggetti e le carte a lui appartenuti. Il dialogare con Claudia, ci ha permesso di cogliere gli aspetti più intimi ed umani di un uomo che ha fatto della sua vita un dono al prossimo. La ricerca è scaturita in un volume, B. PEZZONI, Pietro Pacifico Gamondi (1914-1993). La Missione Umanitaria della medicina, collana «Il corpo e l’anima» n. 8, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2017, da cui molte informazioni riportate in questo scritto provengono. 7 Terra e gente gia Bonin, nasceva a Ghirla, allora appartenente alla provincia di Como, il 24 luglio 1914. Era il primogenito di due fratelli. La madre era nata in Val d’Aosta, a Verres il 27 settembre 1890, e morì a Luino nel 1987; il pa- dre era nato nell’allora comune di San Pier d’Arena (Genova) il 10 dicembre 1880 e morì a Milano il primo giorno di novembre 1960. Quest’ultimo aveva percorso tutta la carriera militare della Guardia di Finanza, da allievo a Gene- rale, spostandosi con la propria fami- glia nelle diverse città italiane dove era stato destinato, tra cui Genova, Torino, Varese, Milano, Napoli e Roma. Il figlio Pietro, a causa di questi continui spo- stamenti familiari imparò ad adattarsi fin da fanciullo alle molteplici situazio- ni e a conoscere gente ed usanze diver- Un ricordo d’infanzia di Pietro Gamondi se, forgiando il proprio carattere in una (Archivio Gamondi, Ghirla, Varese) rigorosa educazione. A soli otto anni a Roma sulle spalle del padre ricordava l’arrivo in città della marcia dei fascisti il 28 ottobre 1922. Nel 1923 tornò a Varese dove rimase fino al 1929 quando si trasferì a Milano dove completò gli studi superiori presso il liceo classico Leone XIII. La scuola dei Gesuiti con- tribuì ulteriormente a rafforzare la sua personalità, rigida e costante nell’ap- prendimento. Si iscrisse alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Roma dove si laureò il 26 giugno 1940. Durante la Seconda Guerra Mondiale frequentò la Scuola di Sanità Militare a Firenze per entrare in servizio come sottotenente medico. Conseguì l’abilitazione alla pratica medica nel 1942, si iscrisse al sindacato fascista dei medici di Roma il 18 maggio 1942 e si spe- cializzò il 30 giugno dello stesso anno sempre a Roma in Medicina Tropicale e Subtropicale, in qualità di allievo di Aldo Castellani, uno dei maggiori tro- picalisti dell’epoca. Gamondi fu destinato al reggimento di Fanteria Pasubio dove la sua competenza in malattie infettive divenne di pratica utilità. Questo reggimento era stato in Russia fin dal 1942 ed aveva subito grandi perdite pri- ma di tornare in Italia e sciogliersi in Campania nel momento dell’armistizio. Dopo l’8 settembre Gamondi si schierò con le forze di liberazione risalenti la Penisola. Svolse attività clandestina nel 1944 continuando il suo impegno medico nell’organizzare posti di medicazione. Terminata la guerra tornò a Va- rese dove prese ad esercitare la professione medica, ma subito dopo il voto 8 Terra e gente Ministero dell’Italia occupata. Libretto personale di Pietro Gamondi popolare che portò alla Repubblica seguì il suo maestro Castellani a Lisbona. Con lui trascorse anche un periodo a Londra, città dove i medici tropicalisti svolgevano le loro ricerche negli Istituti ed aprivano i loro ambulatori in Harley Street dove esercitavano la professione. Qui Gamondi approfondì i suoi studi, ebbe l’opportunità di frequentare personaggi noti per la loro cultura letteraria, storica, filosofica oltre che scientifica, viaggiando spesso tra Lisbona e Londra. L’incontro con la cultura anglosassone influenzerà tutta la sua vita; la sua incli- nazione alla ricerca di perfezionamento interiore lo portò a considerare valori quali la libertà, l’uguaglianza, la fratellanza ed il rispetto reciproco, stimolando in lui un nuovo interesse per l’Istituzione massonica che lo accompagnerà per tutta la sua esistenza. Nel settembre del 1947 in Egitto si manifestò una grave epidemia di colera che si andava diffondendo velocemente in tutto il Paese. Gamondi, che nel frattempo si era trasferito a Roma, si imbarcò per raggiungere con altri colleghi quella destinazione, incominciando così le sue avventure all’estero. Il governo egiziano si era trovato impreparato e privo di mezzi efficaci per contrastare questa emergenza sanitaria; l’epidemia determinò 32.978 casi di malattia e 20.472 morti, tra i quali anche Vittorio Emanuele III, che si era trasferito ad 9 Terra e gente Alessandria. Il lavoro dei sanitari europei e dei medici locali riuscì a limitare il contagio; la profilassi attuata con sulfamidici e fucsina basica ebbe risulta- ti soddisfacenti come l’uso del DDT sparso dal cielo sui centri urbani e nei villaggi(2). Al termine della missione Gamondi, con i soldi che aveva ricevuto come ricompensa da Re Faruk, non rientrò subito in territorio italiano, ma re- stò ancora in Africa per conoscere il Paese, le persone, le usanze e le diverse culture attratto anche dagli antichi misteri esoterici. Tornò in Italia nel 1950 e si stabilì a Varese(3) dove trasferì la sua iscrizione all’albo dei medici il 17 luglio 1952. Qui incominciò a condurre una vita da supplente medico condotto in diverse località del varesotto; l’amicizia con Rocco Armocida lo chiamò anche ad Ispra dove per alcuni mesi sostituì il dottor Carlo Locatelli(4). Questa vita però non lo soddisfaceva appieno, non riusciva a calarsi nelle rigide regole della società occidentale.