Nonostante Gramsci. Critica Letteraria E Marxismo in Italia
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Dottorato di Ricerca in Studi letterari e Filologico-linguistici Dipartimento di Scienze Umanistiche Settore Scientifico Disciplinare L-FIL-LET/10 NONOSTANTE GRAMSCI. CRITICA LETTERARIA E MARXISMO IN ITALIA IL DOTTORE IL COORDINATORE MARCO GATTO PROF.SSA FLORA DI LEGAMI IL TUTOR PROF. MATTEO DI GESÙ CICLO XXV 2015 CAPITOLO PRIMO ESERCIZI DI FONDAZIONE. LA CRITICA LETTERARIA DI ANTONIO GRAMSCI Problemi di metodo Sin dai primordi della sua diffusione in Italia, l’opera di Gramsci ha suscitato dibattiti ideologici, dispute culturali e diatribe ermeneutiche, coinvolgendo studiosi, militanti, interpreti di vario allineamento. Si tratti dell’intimo valore intellettuale di quelle pagine, o si tratti delle valenze politiche acquisite nel tempo dagli scritti gramsciani, il problema filologico di una restituzione quanto più fedele di un corpus testuale forzatamente contrassegnato da provvisorietà e imposte limitazioni si è posto negli anni e si pone oggi come dirimente. Anche (e forse ancor di più) in materia di critica letteraria o di estetica (poiché nella ricezione gramsciana i due termini disciplinari sembrano essere spesso complementari), ovvero in ambiti in cui il rigore filologico dovrebbe essere ancillare alla proposta interpretativa, l’uso spesso disinvolto di alcune affermazioni di Gramsci ha generato, nel passato (a causa di un accesso limitato agli scritti carcerari) come nel presente (nonostante gli strumenti oggi a disposizione), fraintendimenti e incomprensioni, veicolando probabilmente posture, idee o giudizi non sempre verificabili. Una prima questione, interna al dibattito gramsciano e tuttavia figlia di un condizionamento generale, viene sollevata da un semplice dato statistico: una buona parte della bibliografia secondaria sui rapporti tra Gramsci e l’attività critica, e sulle relazioni tra Gramsci e la riflessione sulla letteratura, è sorta prima della pubblicazione dell’edizione critica dei Quaderni a cura di 1 Valentino Gerratana1 (e dunque prima del dibattito metodologico posteriore a questa importante pubblicazione: penso, in particolare, agli studi di Gianni Francioni2), e in un contesto storico e sociale che attribuiva al nesso “politica e letteratura” significati e valori rilevanti e persino extraculturali. Non sarà casuale, infatti, che la caduta di interesse per gli studi letterari gramsciani, dopo la prima metà degli anni Settanta e fino a un tempo relativamente recente, coincida con la perdita, nel nostro Paese (ma il discorso è da estendere all’Occidente tutto), di quella centralità formativa e culturale propria dei saperi umanistici e di quella scissione tra riflessione culturale e proposta politica che avevano comunque caratterizzato il Secondo dopoguerra. Ed è da evidenziare – lo nota Bartolo Anglani3 – che pur nella ripresa costante di un interesse, questa volta internazionale, per Gramsci, l’approfondimento delle questioni letterarie relative al suo progetto di studio e ricerca sia rimasto nell’ombra. Seppure, è bene dirlo, proprio dalla mondializzazione del pensiero di Gramsci – con tutti i rischi (filologici e non) che essa comporta, e di cui, in parte, si discuterà4 – sia venuto fuori quell’interesse genericamente “culturalista” che ha posto al centro del dibattito l’elemento appunto culturale, e dunque letterario. Né si può tacere del fatto che non pochi intellettuali del Novecento sensibili alla lezione di Gramsci abbiano familiarizzato con quest’ultima a partire da una sollecitazione, se vogliamo, critico-letteraria o genericamente culturale (e in 1 Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di Valentino Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, 4 voll. D’ora in avanti, le citazioni tratte dall’edizione critica verranno indicate direttamente nel testo, tra parentesi, con l’abbreviazione Q, seguita dal numero del quaderno e del paragrafo, e quindi dal numero di pagina. 2 Gianni Francioni, L’officina gramsciana. Ipotesi sulla struttura dei «Quaderni del carcere», Napoli, Bibliopolis, 1984. 3 Bartolo Anglani, Egemonia e poesia. Gramsci: l’arte e la letteratura, Lecce, Manni, 1999, p. 5. 4 Rischi già paventati da Eric J. Hobsbawm nella sua Introduzione a Idem, Gramsci in Europa e in America, a cura di Antonio A. Santucci, Roma-Bari, Laterza, 1995, p. IX. 2 un contesto, vale ricordarlo, privo di un’edizione critica5): Raymond Williams ed Edward W. Said ne sono un caso significativo. La tesi che in queste pagine si porta avanti tiene conto dell’imprescindibile presenza dell’edizione critica a cura di Gerratana, alla stregua di uno spartiacque capace di ridisegnare il dibattito postbellico6. Nello stesso tempo, si sostiene, proprio alla luce della possibilità odierna di consultare gli appunti gramsciani nella loro complessità, che in gran parte delle argomentazioni avanzate dagli intellettuali italiani marxisti prendessero già corpo quei problemi, quelle difficoltà, quelle questioni ancora oggi centrali per chi voglia riflettere sull’attività critica di Gramsci e sulle sue idee letterarie. Certo, la storia del gramscismo è anche storia di manipolazione e di intrecci ermeneutici7. Ma in non pochi contributi di ambito letterario – a partire da quelli, se vogliamo, “fondativi” di Giuseppe Petronio8 – si coglie la necessità di legare la riflessione gramsciana sull’arte al problema decisivo dell’egemonia e del materialismo storico. Si percepisce, dunque, lo sforzo (che dovrebbe poi essere l’obiettivo di qualsivoglia approfondimento del pensiero di Gramsci) di restituire quella riflessione processuale e dinamica che lega gli elementi della vita umana e civile – e, fra questi, l’esperienza estetica – alla questione della direzione politica e dell’emancipazione di classe, 5 La meritoria edizione critica in inglese a cura di Joseph Buttigieg è giunta sinora a tre volumi: Antonio Gramsci, The Prison Notebooks, New York, Columbia University Press, 1992 e sgg. 6 Bartolo Anglani sostiene, al contrario, che sarebbe sufficiente integrare la lettura di Letteratura e vita nazionale – l’opuscolo tematico in cui sono state raccolte le pagine di Gramsci sulla letteratura prima dell’edizione critica del 1975 – con la considerazione degli scritti sul materialismo storico e la filosofia di Croce (Egemonia e poesia, cit., p. 8). Ciò però non ha impedito alcune lacune argomentative proprie del dibattito pre-edizione critica, anche nei casi di intellettuali particolarmente attenti alla complessità del pensiero gramsciano. 7 Per una ricostruzione del dibattito nazionale e internazionale su Gramsci, si ricorra a Guido Liguori, Gramsci conteso. Storia di un dibattito (1922-1996), Roma, Editori Riuniti, 1996. 8 In attesa di dedicare più spazio, nelle pagine che seguono, alla ricezione della riflessione di Gramsci sulla letteratura, si veda l’intervento di Giuseppe Petronio, Gramsci e la critica letteraria, inserito in Studi gramsciani. Atti del convegno tenuto a Roma nei giorni 11-13 gennaio 1958, a cura dell’Istituto Antonio Gramsci, Roma, Editori Riuniti, 1958, pp. 223-241. 3 riconoscendo alle attività “mondane”, secolari e terrene una propria specificità che mai appare scissa, tuttavia, da una cognizione esemplare della totalità in cui sono inserite. È in ragione di tali motivazioni filosofiche, provenienti dall’adesione di Gramsci alla tradizione hegelo-marxista, e che poi trovano una strada propria – anti-idealistica e anticrociana, calata cioè in un contesto anzitutto nazionale –, che qui si prova a sostenere l’ulteriore tesi secondo cui non possa attribuirsi, nelle intenzioni del programma gramsciano, alcun presupposto teorico all’autonomia estetica, o alla sua “distinzione” epistemologica (anche quando il discorso scivoli sulle categorie del “bello” e del “piacere”), bensì si possa riconoscere ai problemi letterari ed estetici, nel quadro della filosofia della praxis e nel quadro di una proposta politica complessiva, una specificità, una terminologia, un alfabeto, e dunque un campo circoscritto di tensioni e competenze (che implica giudizi di merito, anche tecnici e specialistici), tuttavia sempre dialetticamente connesso a una dimensione pubblica, per nulla scissa dalla sfera morale e politica. Il metodo gramsciano, a quest’altezza, è appunto dialettico, è il risultato di un’elaborata fuoriuscita dallo schematismo dei “distinti” crociani (ma anche di un loro sapiente utilizzo speculativo)9 in direzione dell’unità dialettica10 – una dialettica che, facendo perno sulla complessità dinamica degli oggetti culturali, colti nel loro inevitabile dinamismo e nella loro storicità, non si rassegna a isolare idealisticamente caratteri o connotati delle opere, bensì si propone di comprendere quest’ultime senza servirsi della sospensione del giudizio o della 9 Scrive Rocco Musolino in uno dei rari studi sull’estetica marxista italiana: «Per i marxisti si pone dunque il compito di tradurre in linguaggio storicistico (funzionale) il linguaggio speculativo di Croce, o meglio di stabilire se tale linguaggio speculativo possa assumere un valore strumentale concreto, superiore a quello già in uso. Coerente con tale approccio, Gramsci si avvale della teoria dei “distinti” come di un accorgimento che, di per sé inadeguato a cogliere il concreto dinamismo della storia, gioca a buon diritto una parte di rilievo, cioè una funzione chiarificatrice, nell’àmbito del metodo» (Marxismo ed estetica in Italia, Roma, Editori Riuniti, 1971, p. 33). 10 Cfr. Roberto Finelli, Sull’identità di storia, politica e filosofia, in «Rivista di studi italiani», anno XVI, n. 1, giugno 1998, pp. 9-21. 4 pura contemplazione estetica, ricorrendo semmai a un ragionamento