GHINO DI TACCO DALL’ARCHIVIO STORICO ITALIANO

Finalmente la (vera) Storia di Ghino di Tacco e della sua famiglia ripresa da 49 documenti storici dell’Archivio Storico Italiano tradotti da Don F. Marcello Magrini!

10 OTTOBRE 2017 A CURA DI RENATO MAGI GHINO DI TACCO DALL’ARCHIVO STORICO ITALIANO RENATO MAGI

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GHINO DI TACCO DALL’ARCHIVO STORICO ITALIANO RENATO MAGI

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PREFAZIONE

Renato Magi ci propone in questo libro la storia di Ghino di Tacco dei Cacciaconti, signori della Fratta ramo di Guardavalle, attraverso i documenti di archivio riportati in un saggio del 1957 da Giovanni Cecchini, argomentando con note critiche e confronti anche con altri scritti su Ghino, come il libro del suo conterraneo Don Ferruccio Marcello Magrini. Nel saggio del Cecchini si capisce il periodo storico, il Duecento, nel quale si svolge la storia della famiglia di Ghino; secolo che vede la frantumazione dei grandi casati feudali del contado e la comparsa di piccoli feudatari. E, quell’area da Asciano alla Val di Chiana, dove dominavano i Cacciaconti degli Scialenghi ai quali apparteneva la famiglia di Ghino, vede crescere la presenza di . Le vicende del casato di Ghino si collocano in quell’area tra Torrita, la Fratta, , dove la famiglia è in forte rivalità con i Del Pecora di Torrita. Gli scontri con Siena guelfa e i Cacciaconti di parte ghibellina portano la famiglia di Ghino a ribellarsi ai senesi che lo condannano alla pena capitale. Ghino, il padre ed esponenti di questa famiglia si devono dare alla macchia ma, nel 1285, i senesi catturano Tacco di Ugolino, padre di Ghino, che viene fatto giustiziare dal giudice Benincasa di . Così, alla fine del 1297, Ghino si rifugia a , fuori delle giurisdizione senese, con fuoriusciti ghibellini e, qui, dai documenti emerge la figura di Ghino taglieggiatore di mercanti e pellegrini anche sulla . Il tentativo di ritornare padrone delle sue terre e l’inizio della costruzione nei pressi di Guardavalle di un suo castello porta alla reazione dei senesi che attaccano ed è probabilmente in uno di questi scontri che Ghino sarebbe stato ucciso, forse a Sinalunga, nel 1303 o nel 1313. Qui finiscono i documenti di archivio ci dice l’autore. Dopo l’uccisone del padre, Ghino è diventato profugo e coinvolto in vendette familiari, cominciando l’attività brigantesca contro chi lo aveva spodestato dai suoi possessi. Questo aspetto del personaggio vendicatore e feroce lo troviamo nella citazione della Divina Commedia, dove Dante ci ricorda l’uccisione del Benincasa da parte di Ghino per vendicare il padre. Con la novella del Boccaccio sull’Abate di Cluny tenuto prigioniero e curato da Ghino a Radicofani, e con una certa produzione romanzata, accennata dall’autore ma non oggetto di questo suo libro, emerge invece la figura del bandito gentile e cortese. L’autore, però, ci vuole far conoscere la figura di Ghino, attraverso i documenti medievali, restituendolo alla storia, liberato dal manto della leggenda. Lo fa per amore 3

GHINO DI TACCO DALL’ARCHIVO STORICO ITALIANO RENATO MAGI del suo paese e rispetto della storia; prova ne sono i suoi libri “Memorie di una antica terra di Frontiera e Fortezze” del 2000, “Libri su Radicofani e sui personaggi nati in questo luogo”, da collocare accanto al libro della figlia Beatrice “Radicofani e il suo Statuto del 1441” uscito nel 2004. Con queste pubblicazioni si capisce l’onestà intellettuale, la voglia di approfondire e cercare le verità, come egli dice, attraverso i documenti storici. Un atteggiamento che sembra rivolto soprattutto alla sua comunità, quasi suggerendo di non farsi trasportare solo dalla leggenda ma di avere ben chiaro che la storia di Radicofani, la sua importanza di luogo strategico militare, la sua valenza internazionale, è così ricca che va oltre le vicende (romanzate) di fine Duecento su Ghino di Tacco.

Ma la storia, come afferma il prof. Franco Cardini in un articolo sulla rivista Amiata Storia e Territorio del 1988, non regge alla corrosione della leggenda che ha investito la figura di Ghino di Tacco la cui dimensione storica è ormai quella di personaggio “vendicatore e feroce ma anche generoso e cortese”.

Il contributo di Renato Magi è quello di presentarci i documenti di archivio che ci fanno cogliere la “vera storia” di Ghino; una conoscenza che deve essere presente e coltivata accanto anche a quell’aspetto leggendario che attira visitatori e turisti a Radicofani: fenomeno di cui l’autore, mostrando l’attaccamento per il proprio paese, ne è comprensibilmente contento.

Stelvio Mambrini

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Alle mie tre donne Maria Grazia, Beatrice e

Francesca

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GHINO DI TACCO E LA SUA FAMIGLIA STORIA (vera) del famoso bandito DALL’ARCHIVIO STORICO ITALIANO

Ghino di Tacco come appare in diversi siti di Internet. Prima dell’articolo di Giovanni Cecchini è bene ricordare come ne sono venuto in possesso e la storia di questo ritrovamento affinché nessuno se ne prenda la paternità visto la popolarità dell’articolo del Cecchini venuta dopo la pubblicazione del libro del Magrini; la storia è questa sotto:

Radicofani: un articolo del 1957 e la riscoperta di Ghino di Tacco Nel settimanale “Panorama” 1023, del 24 novembre 1985, anno XXIII esce un articolo dal titolo «Ricordate Ghino di Tacco?» firmato da Carlo Rossella. Leggendo tale articolo vidi subito che l’estensore del medesimo parlava come fanno coloro che s’informano leggendo le note alla “Divina Commedia”, o la novella del Boccaccio. Inviai una lettera alla rivista spiegando la differenza che esisteva fra il personaggio reale e quello da loro descritto nella pubblicazione. 19 gennaio 1986 a pag. 59 della rivista l’«Espresso» (rivista settimanale – n. 2 – Anno XXXII – Gennaio 1986 – pagg. 58-65) vi è l’annuncio dell’uscita del libro di Eugenio Scalfari, «La sera andavamo in via Veneto», per le edizioni Mondadori. In quell’articolo vi è l’anticipazione del soprannome dato a Craxi il quale da allora firmava i suoi articoli sull’ “Avanti” con il soprannome di “GdT” appunto “Ghino di Tacco”. In un trafiletto a parte, dal titolo significativo “Bettino, signore di Radicofani”, tratta del capitolo del libro intitolato “La stella Craxi”. Quanto scritto sopra, e parte di quanto renderò noto sotto, mi fecero venire in mente l’articolo del Cecchini che avevo riposto nella biblioteca nella parte che riguarda la storia di Radicofani, articolo che giaceva nell’ «Archivio Storico Italiano» dal 1957, ma che solo in pochissimi, forse nessuno, lo conosceva. Negli anni’70, venne a Radicofani uno studente americano che frequentava l’Università per stranieri di Siena, costui doveva dare la tesi sui “Briganti del ‘300 in Toscana”, venne

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a cercare notizie su Ghino di Tacco. Siccome a Radicofani uno degli studiosi della storia locale si chiamava Mario Rappuoli, non solo, ma per essere stato prigioniero in Scozia durante la seconda guerra mondiale, conosceva molto bene anche l’inglese, fu proprio lui che raccontò all’americano tutto quanto si sapeva e conosceva sulla vita di Ghino di Tacco. Si lasciarono l’indirizzo con la promessa che chiunque avesse trovato altre notizie su Ghino di Tacco le avrebbe notificate all’altro. Così avvenne che dopo pochi mesi il Rappuoli si vide arrivare una lettera dall’americano che gli comunicava che nell’Archivio Storico Italiano, CXV 1957, PP. 263-298 vi era un articolo su Ghino di Tacco di Giovanni Cecchini, molto circostanziato, in cui la bibliografia era formata da documenti archivistici. Si trattava del più importante articolo per conoscere la vera storia di Ghino di Tacco, corredato di un’appendice con tutti i documenti che riguardavano lui e la sua famiglia. Ad agosto del 1984 ritornai a Radicofani, allora lavoravo a Sezze, e l’amico di storia patria Mario Rappuoli (classe 1916), mi informò che sulla rivista Il Giornale dei misteri (Il giornale dei Misteri, agosto 1984, n. 156, anno XVI, edito da Corrado Tedeschi a Firenze) era uscito un articolo di F.M. Magrini “Ghino di Tacco bandito gentiluomo – Storia e leggenda del «Falco di Radicofani»” nelle pagg. 67 – 72 della rivista. Quando ritornai a Sezze cercai la rivista finché un giorno la trovai, per fortuna, a Terracina. Mi misi a leggerla con frenesia e mi accorsi con sorpresa, che Don Marcello (così era chiamato amichevolmente dai noi radicofanesi F. Marcello Magrini) non conosceva affatto i documenti che avevamo io, Mario Rappuoli e Giuseppe Marsiglia (Il Marsiglia, lavorava all’anagrafe a Siena, fu colui che prese le fotocopie del documento del Cecchini e che le inviò a me e a Mario Rappuoli). Mi stupì anche il fatto che il Rappuoli nulla disse a Don Marcello di quei documenti importantissimi ritrovati all’Archivio di Stato di Siena. Andiamo con ordine. Quando ritornai a Radicofani dopo tre o quattro mesi trovai Don Marcello e gli portai questi documenti che apprezzò moltissimo e, in seguito, mi regalò i libri, il primo ciclostilato (intitolato GIUSTIZIA PER UN BANDITO - La verità storica su Ghino di Tacco e la sua famiglia nella documentazione integrale dell’Archivio di Stato di Siena e la dedica “A Renato Magi «amico cultore di Storia Patria» con amicizia e gratitudine. Don Ferruccio Marcello Magrini”) e poi l’altro stampato (intitolato: “La verità storica su Ghino di Tacco – Radicofani difende e riabilita il suo castellano” e la dedica “All’amico Renato Magi che per primo fornì notizie della documentazione Cecchini” - Don Ferruccio Marcello Magrini). Il secondo libro uscì nel 1987 edito da «Bruno Chigi editore – Rimini» durante il congresso, se non vado errato, del Partito Socialista Italiano). Tutti e due le dediche sono quelle dalle quali si evince chi effettivamente fornì le notizie storiche di Giovanni Cecchini. Quando nel 1988 uscì su “Amiata storia e territorio” l’articolo a firma di Franco Cardini (F. Cardini “Ghino di Tacco: proposta d’interpretazione”, Amiata storia e territorio – n. 1, marzo 1988, pag. 8) il quale asserisce, facendolo dire ad Anna Bonsignori “Il merito dell’aver rivendicato alla storia……spetta a Don Ferruccio Marcello Magrini”. Tutto ciò non è vero perché se non ci fossero state tutte le circostanze sopra descritte, i documenti del Cecchini che giacevano nell’Archivio di Stato senese dal 1957 e non erano mai stati fatti conoscere prima, probabilmente giacerebbero ancora lì. Ciò che ancora oggi non riesco a capire perché il Rappuoli, che era molto più a contatto con Don Marcello, e che era un uomo molto attento, non gli abbia dato la documentazione (del resto fu lui a dirmi dell’articolo di Don Marcello sul Giornale dei Misteri!) fornitagli dal Marsiglia prima di me. So che il Cecchini era uno studioso e anche direttore dell’Archivio di Siena e in questa veste tradusse tantissime opere presenti nell’archivio, e se non vado errato negli anni ottanta è uscita un’opera di quindici volumi, a cura dell’Università di Siena, su tutte le sue traduzioni. Scrisse anche Il palio di Siena pubblicato a cura del Monte dei Paschi di Siena nel 1958. Insieme a mia figlia Beatrice nel 2006 abbiamo trascritto e pubblicato il manoscritto del Pecci su Radicofani, e con mia sorpresa ho visto che, anche lui, già a metà anni del XVIII sec. Contro il parere di molti 8

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scrittori, asserisce che Ghino di Tacco era discendente dei Cacciaconti e, precisamente, dai Signori della Fratta (ramo Guardavalle), dando ragione a Benvenuto da Imola, nonché a G. Cecchini. Quanto sopra per amore della verità!

Con i documenti che consegnai a Don Ferruccio Marcello Magrini lo stesso scrisse due libri: Il primo, ciclostilato, intitolato “GIUSTIZIA PER UN BANDITO” e, come sottotitolo “La figura di Ghino di Tacco nella documentazione dell’Archivio di Stato di Siena. Fatto nell’anno 1985. Il secondo, stampato a Rimini nel 1987, e che ha fatto conoscere a tutta Italia l’articolo su Ghino di Tacco di G. Cecchini, intitolato “La verità storica su Ghino di Tacco” e come sottotitolo “Radicofani difende e riabilita il suo castellano”. Io chiamerò il primo “libro 1985” ed il secondo “libro 1987”, quando tralascio di nominare il titolo e l’autore.

Da questo punto in avanti le correzioni con questo tipo di scrittura sono dell’autore.

Le Scansioni sottostanti sono riportate per far capire quanto non sia vero ciò che scrive nella presentazione che l’ex sindaco Anna Bonsignori fa al Libro del Magrini: “La verità storica su GHINO DI TACCO” – Radicofani difende e riabilita il suo castellano. Le scansioni delle pagg. 9 del libro, scritte a mano dal Magrini dicono: All’amico Renato Magi che per primo fornì la notizia della documentazione del Cecchini. Radicofani, 16 aprile 1987. Don Ferruccio Marcello Magrini. Quindi risulta errato quanto lei asserisce nella presentazione: nel 1987 Magrini diffuse un lavoro, risultato di ricerche, mai da alcuno svolte prima, presso l’Archivio di Stato di Siena. Fosse vero ciò che l’ex sindaco asserisce come fa il Magrini a scrivere che io gli ho fornito la documentazione Cecchini?

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Prima di leggere l’articolo di Giovanni Cecchini, mi sembra doveroso conoscerne la vita e le opere.

GIOVANNI CECCHINI

Cecchini Giovanni, archivista di Stato, storico (Proceno 1886 - Siena 1963) Giovanni Cecchini, nacque il 1° febbraio 1886 a Proceno, in provincia di Viterbo; si trasferì l’anno successivo con la famiglia nel Comune di Castelnuovo Berardenga, in provincia di Siena, dove il padre aveva acquistato l’azienda agricola di Pontignano. Laureatosi in Giurisprudenza presso l’Università degli studi di Siena nel 1908, procuratore legale l’anno successivo, Giovanni Cecchini svolse il servizio militare in artiglieria. Tornato alla vita civile, preferì alla carriera legale quella degli studi, cui era stato avviato dai suoi maestri, lo storico del Diritto romano Pietro Rossi e lo storico del Diritto italiano Pier Silverio Leicht. Pertanto nel 1911, a seguito di concorso, fu ammesso nell’amministrazione degli Archivi di Stato con assegnazione all’Archivio di Firenze, dove frequentò il corso di Paleografia tenuto da Luigi Schiapparelli; nel 1913 si diplomò in Paleografia e diplomatica presso L'Istituto di studi superiori di Firenze.

Nel febbraio 1929 fu trasferito all’Archivio di Stato di Siena, di cui venne nominato direttore reggente e dal 1942 direttore di VI grado. Fu consigliere dal 1930 nella Sezione di storia dell’Istituto comunale d’arte e di storia e poi consigliere nella Sezione per l’arte medievale e moderna, di cui nel 1952 divenne direttore; dal 1934 fu anche incaricato della direzione delle pubblicazioni dell’Istituto e dal 1957 fino alla morte della direzione del «Bullettino senese di storia patria». Fu anche collaboratore dell’«Archivio storico italiano», facendo parte, dal 1936, del direttivo della Sezione senese. Produsse contributi per varie riviste («Studi senesi», «Rivista storica degli archivi toscani», «Archivio storico della Corsica», «Atti dell’Accademia lucchese», «Archivi d’Italia», e in particolare per le "Notizie degli Archivi di Stato"). La multiforme produzione storica e archivistica svolta in oltre cinquant’anni di carriera negli Archivi, di cui quasi trenta alla direzione dell’Archivio di Stato di Siena, comprende 142 titoli fra libri, saggi, articoli, voci enciclopediche e recensioni. Fra i principali lavori la pubblicazione del "Caleffo Vecchio", il cui primo volume usciva nel 1931, il secondo nel 1934 e il terzo nel 1940, mentre il quarto e ultimo volume, interamente trascritto da Cecchini, è stato edito soltanto nel 1984, sotto il patrocinio del Comune di Siena, con la revisione del testo a cura di Mario Ascheri, Alessandra Forzini e Chiara Santini. La capacità di programmazione di Giovanni Cecchini si è esplicata soprattutto nei grandi riordinamenti archivistici, intrapresi a partire dal 1938, 11

GHINO DI TACCO DALL’ARCHIVO STORICO ITALIANO RENATO MAGI rallentati dalla guerra (gli eventi bellici avevano anzi aumentato il disordine di certi fondi momentaneamente trasferiti) e ripresi in maniera decisa nel secondo dopoguerra. Il riordinamento globale del materiale archivistico senese ha dato luogo alla pubblicazione di due fondamentali volumi a stampa (Archivio di Stato di Siena, "Guida inventario dell’Archivio di Stato", I-II, Roma 1951 [Pubblicazioni degli Archivi di Stato, V-VI]) e di vari inventari analitici in parte dattiloscritti e in parte a stampa, ai quali collaborarono anche Giulio Prunai, Sandro de’ Colli, Giuliana Cantucci Giannelli e Ubaldo Morandi (in particolare Archivio di Stato di Siena, Archivio del Consiglio generale del Comune di Siena. Inventario, Roma 1952; Archivio del Concistoro del Comune di Siena. Inventario, Roma 1952; Archivio della Biccherna del Comune di Siena. Inventario, Roma 1953; Le sale della mostra e il museo delle tavolette dipinte. Catalogo, Roma 1956 [Pubblicazioni degli Archivi di Stato, IX-X, XII, XXIII]). Con l’adozione del metodo storico di stampo bonainiano, Giovanni Cecchini riordinò larga parte del materiale dell’Archivio di Stato modificando la primitiva partizione dei tre complessi archivistici delle Riformagioni, dell’Archivio dei contratti e del Diplomatico, concentrati nel 1858 nell’Archivio di Stato di Siena, e abbandonando quindi l’iniziale divisione in tre sezioni (politica, economica e giudiziaria); con l’eliminazione di alcune fra le antiche miscellanee a suo tempo artificiosamente create, ciascun fondo archivistico venne così a rispecchiare, nella propria interezza, l’ufficio produttore. Anche dopo il collocamento a riposo avvenuto il 16 maggio 1952, Cecchini mantenne per speciale provvedimento del Ministero dell’Interno – insieme all’incarico di ispettore generale al quale era stato promosso il 16 marzo 1952 – anche quello di direttore fino al 1957, quando fu chiamato a far parte del Consiglio Superiore degli Archivi per il triennio 1957-1959 e riconfermato per il triennio successivo. Di fatto egli non lasciò mai l’Archivio di Stato di Siena fino alla morte avvenuta il 17 marzo 1963. La bibliografia delle sue opere è contenuta in G.G. [G. Garosi], Giovanni Cecchini (1.II.1886 – 17.III. 1963), BSSP, LXX (1963), pp. VI-XV.

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Articolo su Ghino di Tacco pubblicato

Nell’ «Archivio Storico Italiano»,

CXV 1957, pp. 263-281 (263-299)

a cura di

GIOVANNI CECCHINI

GHINO DI TACCO

Tra i personaggi ricordati da Dante nella Divina Commedia, Ghino di Tacco è certamente uno di quelli che più hanno colpito la fantasia di lettori e studiosi, per quell’aura romantica e pittoresca che gli hanno conferito le leggende intessute intorno alla sua figura da commentatori e novellieri. In fondo Ghino apparisce quasi come un lontano precursore di certi banditi, vendicatori degli oppressi, generosi e prestanti, tanto cari alla letteratura per i giovani e ai films del genere western. Secondo Benvenuto da Imola Ghino, cacciato dalla patria dopo che gli era stato ucciso un fratello, avrebbe occupato Radicofani, taglieggiando i mercanti e viaggiatori in una maniera così discreta e gentile da farsene quasi degli amici. Per Benvenuto anche l’uccisione di Benincasa d’Arezzo sarebbe stata un’opera meritoria, e anche il Boccaccio, nella novella seconda della decima giornata, ce lo presenta sotto questo aspetto, narrando poi a lungo l’episodio dell’abate di Cluny, che tenuto da lui a regime di fave secche perché tardava a pagare il riscatto, sarebbe guarito dei malanni che andava a curare ai bagni di Petriolo e sarebbe stato grato di ciò, da lasciare a Ghino quasi tutto il suo ricco bagaglio, nonostante che questi glielo avesse restituito intatto. Anzi, avendo l’abate fatte al papa le lodi di questo cavalleresco bandito, Bonifacio VIII lo avrebbe fatto cavaliere dotandolo di una ricca commenda. Infine Ghino, tornato nel territorio senese, sarebbe morto in una scaramuccia presso Sinalunga. In complesso dunque ne risulta una figura da romanzo popolare, ma indeterminata; l’unico dato positivo sarebbe l’uccisione del fratello in seguito a sentenza pronunziata da Benincasa d’Arezzo e l’attività di taglieggiatore di mercanti e pellegrini, perché appare poco verosimile che un papa, anche se siamo nel XIII secolo, potesse premiare un individuo che occupava un castello appartenente alla Chiesa e che aveva ucciso in curia un personaggio che alla curia apparteneva. Né si conoscono altri fatti che illuminino la vita e le opere di un personaggio che, per essere nominato da Dante, doveva avere una fama piuttosto diffusa, anche se locale. Fino ad ora, a quanto mi risulta, non sono noti, intorno a Ghino ed ai suoi, se non i due documenti pubblicati nel Bollettino senese di Storia Patria dell’anno 1921, in occasione del sesto centenario della morte di Dante, e cioè il ricordo della delega del vicariato da parte del podestà di Siena al giudice Benincasa d’Arezzo nel 1285, e il 13

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pagamento di alcuni ribaldi che catturarono Tacco di Ugolino, padre di Ghino. Ma i documenti che esistono in Archivio su Ghino, sulla sua famiglia e sugli avvenimenti che si riconnettono alla sua storia, sono molti di più, ed hanno interesse non solamente per il riferimento al personaggio dantesco, ma perché illustrano un momento particolarmente interessante della storia di Siena e della Toscana. Se fino a qui sono rimasti ignorati, si deve probabilmente al fatto che i più particolarmente riferibili a Ghino e ai suoi si trovano negli enormi registri (alcuni superano le mille carte) dei repertori delle condanne pronunziate dalle varie magistrature senesi, la cui mole deve aver scoraggiato sin qui gli studiosi. Ma riunendo queste notizie con le poche altre sparse nelle deliberazioni dei Consigli del Comune, ne viene fuori un quadro che, sfrondato da quello che è leggendario nei racconti dei novellieri e commentatori, si presenta una storia che caratterizza il momento politico del tempo e le vicende che fecero di Ghino un bandito da strada. Il Tommasi, nelle sue Historie di Siena, dice che Ghino fu della famiglia dei Del Pecora, tratto in errore da un documento che in seguito riporteremo, ma è esatto invece Benvenuto da Imola, il quale dice che Ghino fu della famiglia dei signori della Fratta, senza però chiarire a quale stirpe feudale tali signori appartenessero. Sarà bene quindi appurare prima di tutto questo punto. Nei tempi anteriori alle prime conquiste senesi, tutta quella zona di Val di Chiana, dove si trova la Fratta, apparteneva al feudo dei conti di Guardavalle, i quali erano poi un ramo dei Cacciaconti o Scialenghi, signori del territorio che da Asciano si stendeva su una vasta zona della Val di Chiana e della valle dell’Ombrone. Ma già nei primi anni del XIII secolo i senesi dovevano aver ottenuto il dominio di quelle terre, perché nella pace del 6 ottobre 12081 si nomina Torrita fra i paesi che, come facenti parte del contado senese, dovevano osservare le condizioni della tregua conclusa con Firenze e coi suoi aderenti. E poco dopo2 si trova che, facendosi ricerca delle somme che i vari paesi del dominio senese dovevano pagare come contributo delle spese sostenute in questa guerra, Guardavalle appare tassata per 40 lire, e la Fratta per 10. Tuttavia il dominio senese su questi territori era sempre assai tenue, né gli Scialenghi si erano adattati alle limitazioni imposte alla loro signoria, e siccome avevano prestato valido aiuto all’Imperatore e all’arcicancelliere nel ristabilimento dell’autorità imperiale in Toscana, il 27 agosto 12103 ottennero da Ottone IV la rinnovazione del feudo già posseduto dal conte Ugo loro avo, nominandosi espressamente, fra gli altri, i castelli di Torrita, Fratta, Ripa, ecc. Tuttavia essendo sopraggiunta la scomunica di Ottone IV, e venendo perciò a indebolirsi la sua presenza in Toscana, Siena ne profittò per riconquistare il terreno perduto e allargare le sue conquiste. Impadronitasi per forza d’armi di Asciano che era la sede principale dei Cacciaconti, obbligò questi signori a riconoscere la loro piena sudditanza al Comune. Nello stesso tempo il frazionamento progressivo degli antichi feudi e l’allentarsi dei vincoli che univano un tempo i vari rami delle grandi famiglie signorili, favoriva l’affermarsi delle velleità d’indipendenza da

1 A.S.S., Diplomatico, Riformagioni, 6 ottobre 1208. 2 A.S.S., Diplomatico, Riformagioni, 6 dicembre 1208. 3 A.S.S., Diplomatico, Riformagioni, 27 agosto 1210. 14

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parte dei minori vassalli e degli abitanti dei paesi, da lungo tempo costituiti in comuni rurali e sui quali l’autorità dei feudatari aveva già dovuto riconoscere limitazioni. Naturalmente Siena favoriva queste ribellioni, contando di sostituirsi in forma più o meno larvata agli antichi signori, e profittando del fatto che 1229 si firmava la pace fra Siena e Montepulciano, nei patti della capitolazione si stabiliva che i cavalieri montepulcianesi, profughi dalla loro città, avrebbero garantito e difeso per Siena Torrita, e Ciliano4. Era un modo per affermare il dominio di Siena su queste terre già dei Cacciaconti e di difenderle da Montepulciano, che aveva anch’esso mire di conquista in quella zona. Non sappiamo esattamente in quale anno Siena nominasse un podestà di Torrita, ma siccome nel 1254 la guerra con Montepulciano si era riaccesa e Torrita era minacciata, i senesi, il 31 ottobre5 provvedevano a mandare sul luogo vari maestri di pietra per costruire la porta del castello. Il 6 novembre poi6, su richiesta del podestà Ranieri Patrizi, vi mandavano un presidio di cavalieri francesi, per difendere il paese dalle minacce di Montepulciano e di Arezzo. E oltre che la porta edificarono o rafforzarono allora anche le mura. Sebbene Siena dominasse ormai in Torrita e vi tenesse podestà e guarnigione, tuttavia esisteva un Consiglio di abitanti a fianco del podestà e due fazioni contendevano per la supremazia: la prima faceva capo a un Busgiadro, che sembra appartenesse alla famiglia dei Del Pecora, l’altra a un Iacomino da Guardavalle, che era uno dei Cacciaconti e discendente dagli antichi signori della zona, e imparentato con altri rami della famiglia che ancora possedevano il dominio, più o meno indipendente, di Sinalunga, della Fratta, di Bettolle e di altri paesi e castelli di Val di Chiana. Le due fazioni ricordate sopra vennero a vero conflitto fra loro, non sappiamo esattamente per quale motivo, e Siena il 15 gennaio 12557 vi mandò alcuni ambasciatori perché procurassero di riportare la calma, con l’ordine di arrestare e mandare a Siena coloro che non accettassero le loro decisioni. Inoltre, per garantire l’osservanza delle promesse, ciascuna delle due parti doveva mandare in città un certo numero di fideiussori. Gli ambasciatori, appoggiati dal podestà e dal presidio, riuscirono facilmente nella loro missione, tanto che il 29 gennaio8 Siena poteva mandare a Torrita Giacomo di Giovanni Ponzi col compito di riformare la terra, cioè ricomporre il Consiglio del comune di Torrita e stabilire la misura di autonomia accordata ad esso. E siccome Busgiadro aveva regolarmente mandato a Siena i suoi fideiussori, mentre Iacomino non l’aveva fatto, il 10 febbraio9 gli viene fatta intimazione di mettersi in regola, mandando un pari numero di fideiussori; e intanto si trattenevano in Siena quelli di Busgiadro. Cosi anche Iacomino deve essersi adattato ad ubbidire e i patti di sottomissione devono essere stati regolarmente giurati, perché il 15 febbraio10 si trova l’ordine del rilascio dei fideiussori venuti a Siena con lui, e altri ordini

4 A.S.S., Diplomatico, Riformagioni, 21 marzo 1228/29. 5 A.S.S., Consiglio Generale, 3, c. 73’. 6 A.S.S., Consiglio Generale, 3, c. 76’. 7 A.S.S., Consiglio generale, 4, c. 15’. 8 A.S.S., Consiglio Generale, 4, c. 22’, 23’. 9 A.S.S., Consiglio Generale, 4, c. 26’. 10 A.S.S., Consiglio Generale, 4, c. 27’. 15

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accessori vennero emanati il 2 marzo11, dai quali si deduce che la pace fra le due fazioni era stata raggiunta e si rileva che Torrita si reggeva allora come comune di contado, sotto la direzione di un podestà senese. Gli anni che correvano erano particolarmente critici per i senesi; i grandi feudatari, collegati ai guelfi di Toscana, scorrevano e devastavano il territorio senese, e fra quelli di cui ci interessa particolarmente troviamo la Fratta, che i senesi tenevano sotto la loro custodia, ma il cui territorio doveva avere sofferto danni notevoli. Infatti troviamo che il 3 giugno 1257 12 Iacopino e Ugolino da Guardavalle si rivolgevano al Consiglio Generale senese per ottenere un indennizzo dei guasti sofferti a causa di Siena, e l’otteneva, in quanto che allora premeva di mantenersi amici quei pochi paesi e signori che non erano apertamente passati nel campo avverso. Questo Ugolino poi era sicuramente il padre di Tacco e nonno di Ghino e forse allora avevano indivisa la signoria tanto di Torrita che della Fratta, oltre a quella di Guardavalle. Non sembra poi che in questo anno Siena tenesse più un podestà in Torrita, perché troviamo che il 20 dicembre 126613 si provvide a nominarne ex novo diversi nella zona chianina e che fu spedito Bartolomeo Cittadini a Torrita, che nel corso delle precedenti ostilità era stata temporaneamente occupata dai fuorusciti senesi associati ai conti Aldobrandeschi e agli orvietani. Frattanto doveva essere morto Ugolino da Guardavalle e gli era succeduto il figlio Tacco nella signoria della Fratta, mentre sembra che a Iacomino fosse rimasta Torrita. Ma fra zio e nipote non dovevano correre buoni rapporti e Tacco deve avere tentato di impossessarsi anche di Torrita, perché vediamo che nel 1271 gli venne inflitta la pena di 70 lire per aver manomesso Iacomino da Guardavalle, e un’altra di 100 lire per essere partito dal palazzo del Comune di Siena senza licenza del podestà14. Le somme piuttosto modeste delle condanne fanno capire che Tacco era considerato un fedele di Siena e che si voleva tenerselo tale; per questo era stato chiamato a giustificare l’aggressione allo zio, e la seconda condanna dipese dal fatto che egli non attese il giudizio e partì, contro le regole statutarie. Il momento politico era quanto mai critico in Siena; dopo la sconfitta dei ghibellini a Colle, si era costituito un governo di mezzana gente, guelfa e perciò appoggiata a Firenze e a re Roberto, ma questo governo aveva giorni tutt’altro che tranquilli. Bisogna ricordare che il comune di Siena era sorto per opera di individui appartenenti per nascita alla grande nobiltà feudale: i Piccolomini, i Tolomei, i Rinaldini, i Salvani erano dei Cacciaconti; gli Ugurgieri, i Malavolti, i Cerretani, i Bandinelli erano Berardenghi, mentre altre famiglie ugualmente potenti discendevano dagli Ardengheschi, dagli Alberti e da minori stirpi feudali. Al di fuori del governo e decisamente ostili ad esso erano stati solo gli Aldobrandeschi e i Pannocchieschi, pur essendo ambedue fedeli all’impero e di parte ghibellina. Ora, con l’avvento dei guelfi, la maggior parte dei primi governanti era andata in esilio, sia nei castelli che possedevano in proprio, sia presso i

11 A.S.S., Consiglio Generale, 4, c. 33’. 12 A.S.S., Consiglio Generale, 7, c. 71. 13 A.S.S., Consiglio Generale, 12, c. 4. 14 A.S.S., Biccherna, 709, c. 10’. 16

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loro consorti del contado, alleandosi con gli aretini e coi pisani per tentare un ritorno al potere. Anche nei vari paesi del territorio esistevano le due fazioni che dividevano tutta la Toscana e le congiure e le violenze erano all’ordine del giorno, come ce lo rivelano i registri delle condanne. Soprattutto Montefollonico, Torrita, la Fratta e Sinalunga erano soggette a violente commozioni provocate da questi fuoriusciti, e sono frequenti i ricordi di temporanee occupazioni, di tumulti e di attentati. Per cercare di porre rimedio a questi mali, Siena decretò che nei paesi si conservassero pure gli originali Signori, purché si fossero fatti di popolo, ma che vi si mandassero podestà senesi. L’ordine fece ribellare i signori, che non volevano avere tutori, così Siena decretò la decadenza di ben 118 signorie15, perché occupate da persone che tenevano dalla parte ghibellina; e fra queste si trovavano la Fratta e Sinalunga e i Cacciaconti di Sinalunga furono dichiarati ribelli e fu ordinata la distruzione del castello. Naturalmente lo stato di guerra provocava ingenti danni e non mancarono perciò le trattative e le ambascerie per cercare di giungere a un accordo pacifico. Fra le altre è da ricordarne una mandata a re Roberto, che ci interessa in quanto che i senesi, per assicurare il pacifico passaggio degli ambasciatori per il territorio orvietano, fecero portare un loro messaggio da Ghino di Ugolino, fratello di Tacco, pagandogli 18 lire per il disturbo16. Particolarmente critico fu l’anno 1273. La rivolta della zona chianina dovette essere generale: a Montefollonico si ebbe una congiura contro i guelfi e fu ucciso Guasco Goti, che dal nome appare senese e forse ne era il podestà; a Trequanda la popolazione cacciò malmenandolo il podestà, Lorenzo spadaio; a Bettolle i possedimenti dei cittadini senesi furono invasi e devastati; alla Ripa si insediarono i fuoriusciti. Ma l’episodio più grave si ebbe a Torrita, dove la casa di Busgiadro fu attaccata con una grandine di sassate e durante il combattimento fu ferito lo stesso figlio di Busgiadro. Tutto questo risulta chiaramente dalle annotazioni delle condanne pronunziate contro centinaia di individui di queste località, fra le quali e da rilevare in modo particolare quella contro Chiarimbaldo Tancredi, da Torrita, condannato in 200 lire per avere ferito Tacco di Ugolino17 e quella contro Buccio di Busgiadro per avere tirato pietre e avere investito lo stesso Tacco18; dal che sembrerebbe che in quel momento la famiglia dei signori della Fratta era amica di Siena e che il tumulto aveva avuto motivo da inimicizie private di essi con la famiglia di Busgiadro. Nel 1275 si trova poi una deliberazione del Consiglio Generale, che forse è quella che condusse fuori di strada il Tommasi quando dice che Ghino di Tacco era della famiglia dei Del Pecora. I montepulcianesi avevano mandato ambasciatori a Siena per domandare che fosse corrisposta una indennità a Pecora e a Indino, ai quali era stata imposta una multa al tempo in cui Montepulciano era retta dai ghibellini 19 , e si aggiungeva un’analoga richiesta a favore degli eredi di Ghino del fu Ugolino per la

15 A.S.S., Consiglio Generale, 15, c.21. 16 A.S.S., Biccherna, 47, c. 6’, - Doc. II. 17 A.S.S., Biccherna, 725, c. LXXIII’. – Doc. III. 18 A.S.S., Biccherna, 725, c. LXXII’. – Doc. IV. 19 A.S.S., Consiglio Generale, 20, c. 119-125. 17

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stessa ragione. Ma oltre al fatto che in quel tempo Ghino di Ugolino della Fratta era vivo, va notato che in uno dei pareri enunciati in questa seduta del Consiglio, si parla di Ghino Pecciare, cioè di un Del Pecora, per cui la prima denominazione deve essere un lapsus calami del notaio e non si tratta in ogni modo di uno dei signori della Fratta. I quali del resto, data la vicinanza dei luoghi, possono essere benissimo stati consorti dei Del Pecora. Ma se i signori della Fratta erano stati fin qui abbastanza sottomessi a Siena, devono avere presto voltato bandiera, perché nel 127620 troviamo una condanna di Tacco da Torrita nella enorme somma di 3000 lire per avere ucciso Montanello di Buonaventura. Una condanna simile equivaleva al bando assoluto e questo finì col determinare Tacco e suo fratello Ghino a gettarsi apertamente dalla parte dei nemici di Siena; infatti nel 1277 troviamo una lunghissima serie di condanne dalle quali appare come essi, uniti a numerosi seguaci di Lucignano, Rapolano, Fratta, Serre, Monte San Savino ecc. cercarono di conquistare Torrita e di uccidere Buccio di Busgiadro, uccidendo poi veramente Iacopo de Balzi castellano del paese e varie altre persone, dopo avere tentato di mettere a fuoco il castello21, tanto che Ghino e Tacco subirono una nuova condanna a 4000 lire ciascuno, e i loro complici a pene uguali o minori, a seconda della parte avuta in questo attentato. Ma fra comminare le condanne e l’eseguirle il passo era lungo in quei tempi e perciò esse non intimidirono i fratelli, contri i quali sono registrate nell’anno successivo22 due nuove condanne di 1000 e 2000 lire per aver ucciso Andrea di maestro Iacopo e Rinaldello di Buonagiunta, che erano probabilmente funzionari senesi in Val di Chiana. E le condanne sono stranamente ripetute con le stesse parole nella pagina successiva del repertorio, forse per errore, a meno che non fossero raddoppiate per il fatto della recidiva23. Ad ogni modo questo perseverare dei fratelli in attentati del genere contro i fedeli di Siena provocò altre misure di sicurezza; infatti il 7 agosto 127824 i Capitani di parte guelfa e il Concistoro decretarono di spedire a Torrita, per difenderla dagli attentati dei fuorusciti, uno dei conestabili del Comune con numerosi cavalieri, con l’ordine di cercare anche di catturare i ribelli. E nello stesso tempo si mandava un bando a e negli altri paesi della zona perché non fosse accordato asilo a Tacco e agli altri banditi. Ma tutto ciò non serviva a pacificare il paese e proprio nell’anno seguente si ebbe un episodio di estrema gravità: Tacco e Ghino (nell’articolo del Cecchini c’è Ugolino ma è Ghino senza alcun dubbio!), radunati numerosi seguaci e avendo annodato intelligenza con gli abitanti del paese, mossero contro Torrita con un vero esercito verso la metà di luglio 1279, compiendo ferimenti e uccisioni, mentre i loro partigiani del castello impedivano agli altri di uscire contro di loro. Il Consiglio Generale ordinava perciò che

20 A.S.S., Biccherna, 725, c. CLXXIII’. – Doc. V. 21 A.S.S., Biccherna, 725, c. CLXXX’, CLXXXVIIII’, CLXXXX’, CLXXXXI’, CCV. – Doc. VI. 22 A.S.S., Biccherna, 725, c. CCXVII’. – Doc. VII. 23 A.S.S., Biccherna, 725, c. CCXVIII. – Doc. VIII. 24 A.S.S., Consiglio Generale, 22, c. 17. – Doc. IX. 18

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si mandasse a Torrita Gualtieri Rinaldini con dieci cavalieri francesi, a spese del comune di Torrita stessa e che si mandassero ambasciatori a Firenze, Arezzo, Lucignano, Gargonza e Monte San Savino per invitarli a non dare ricetto ai due banditi25. E nello stesso anno abbiamo una lunghissima serie di condanne, sia per l’avvenuta uccisione di Busgiadro, sia per essere andati «hostiliter et bandera levata» contro Torrita insieme ai signori della Fratta, i quali subivano la condanna capitale26, mentre un certo Ranuccio fratello di Zeppa da Sinalunga, che probabilmente era dei Cacciaconti signori di quel castello, si vedeva infliggere una pena di 200 lire per avere dato ricetto a Ghino e a Tacco27. E si trova anche che gli abitanti di Torrita dovettero pagare 30 lire per il servizio di nove giorni prestato dai cavalieri mandati da Siena a difenderli28. E la cosa non finì con queste condanne, perché il 22 agosto29 si autorizzava l’invio di un capitano accompagnato da vari cavalieri a Sinalunga e a Torrita e a quei paesi che li avessero richiesti; ed essendo il 18 settembre venuta la voce che Torrita dovesse essere consegnata a Tacco per tradimento30, il 19 settembre si nominò una commissione per esaminare i fatti di Torrita e si mandarono ambasciatori a Arezzo per informare che Rigomagno era stato occupato dai fuorusciti di quel paese aiutati dagli abitanti di Lucignano, ordinando nello stesso tempo a Gualtieri Rinaldini di tornare a Torrita con cinque cavalieri e dodici fanti per difendere il paese, addossando la spesa agli abitanti31. Naturalmente questi soldati dipendevano completamente dagli ordini del podestà di Siena, e siccome anche la città dava sospetti di nuovi tumulti, se ne rinforzava la guarnigione. Da tutto questo appare evidente come le forze ghibelline, appoggiate dagli aretini, avevano assunto un aspetto veramente minaccioso e perciò non mancarono da parte di Siena tutti gli sforzi per parare l’offesa. Fra l’altro si era mandato alla corte romana Giovanni Paganelli, al quale si prescriveva di non muoversi di lì senza il permesso di Siena o del cardinale Orsini, al quale doveva esporsi minutamente quanto era avvenuto, dichiarandogli che Siena era ben disposta alla pace, mentre si prendevano nuove misure circa le guarnigioni di Torrita e Rigomagno, che frattanto era stato riconquistato32. Con successive deliberazioni dell’11 ottobre e del 21 e 25 novembre33 il Consiglio generale ordinava che se Gualtieri Rinaldini voleva tornare in città lo facesse pure, ma lasciando in Torrita Bonaccorsino con 12 masnadieri, sempre a carico del comune di Torrita: ordine che però venne subito revocato, intimando a Gualtieri di rimanere sul posto, prescrivendo anche che non si permettesse al comune di Torrita di nominare alcun ufficiale senza licenza del podestà di Siena, perché i senesi volevano che gli abitanti la finissero rissare continuamente fra loro.

25 A.S.S., Consiglio Generale, 23, c. 8, 12’. – Doc. X. 26 A.S.S., Biccherna, 725, c. CCXXXVIII, CCXLV’, CCXLVIII’, CCLX’, CCLXVII, CCLXVIII. – Doc. XI. 27 A.S.S., Biccherna, 725, c. CCLXV. – Doc. XII. 28 A.S.S., Biccherna, 75, c. I’. – Doc. XIII. 29 A.S.S., Consiglio Generale, 23, c. 21. – Doc. XIV. 30 A.S.S., Consiglio Generale, 23, c. 26’. – Doc. XV. 31 A.S.S., Consiglio Generale, 23, c. 27. – Doc. XVI. 32 A.S.S., Consiglio Generale, 23, c. 29. – Doc. XVII. 33 A.S.S., Consiglio Generale, 23, c. 37, 50’, 51. – Doc. XVIII. 19

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Le condanne comminate contro Ghino e Tacco per l’attentato contro Torrita non erano state solo pecuniarie, anche se quelle precedenti equivalevano al bando; questa volta erano state accompagnate dalla comminazione della pena capitale, così i fratelli dovevano ormai essersi dati alla macchia, cercando precario rifugio presso coloro che ancora si mantenevano ribelli. Ma ormai Siena aveva preso il sopravvento; muovendo contro i grandi feudatari che erano l’anima della rivolta, aveva conquistato vari castelli della Maremma e della valle dell’Ombrone, e queste vittorie avevano indotto molti fuoriusciti a fare atto di sottomissione e ad unirsi all’esercito senese soprattutto nell’assedio e conquista di Torri di Maremma. In premio di questa condotta Siena concedette, il 10 novembre 1281, ben quarantuna amnistie e fra i beneficiari troviamo «Frederigus domini Ugolini de Fracta, Ghinus eius filius, Ugolinus et Minus filii olim Alberi, nepotes dicti Frederighi, Iacopus et Nuccius filii naturales dicti Ugolini», nonché numerosi signori di Torrita, Trequanda, Sinalunga ecc.34 Questo Federigo di Ugolino era evidentemente un fratello dei due banditi, che non essendo stato implicato nei misfatti dei fratelli, aveva pensato bene di assicurarsi il possesso della Fratta tagliando ogni rapporto con Tacco e Ghino. Però questi non dovevano ancora essersi allontanati molto dai luoghi delle loro gesta, perché nel 1282 troviamo una condanna pronunciata contro di loro e contro il nipote Ghino di Federigo, perché il sindaco del comune di Torrita li aveva accusati di due furti di vari porci dalla selva di quel comune35: si vede che il giovane nipote, attratto da quell’alone di romanzo che già doveva circondare gli zii, si era fatto traviare a commettere un atto che del resto era di occorrenza normale, tanto che lo troviamo ripetuto anche da persone di assai maggiore importanza, quali i Pannocchieschi, gli Aldobrandeschi e i Farnese. E poi era naturale che parenti così stretti mantenessero rapporti fra loro e si aiutassero, quando pensavano di poterlo fare senza essere scoperti. Frattanto il governo guelfo di Siena si era consolidato e aveva potuto mettere a dovere i grandi feudatari: gli Aldobrandeschi di Santa Fiora mantenevano buoni rapporti coi senesi, i quali avevano ridotto a ragione anche il conte Ranieri d’Elci occupando il fortissimo castello di Giuncarico e altri, e insediando in quello fortissimo di Prata quel Tollo (forse un Alberti) che per consolidare la pace aveva sposato pochi anni prima la Pia Malavolti, figlia di uno dei reggitori di Siena, e che si dimostrava fedelissimo suddito36. Anche i Cacciaconti si erano pacificati, e così, per forza, gli altri rami dei Pannocchieschi, tanto che Siena poteva meglio dedicare le sue forze a ridurre gli ultimi focolai dei ribelli, sotto la guida del podestà conte Guido da Battifolle e del non meno energico Benincasa d’Arezzo, che già nel 1282 era stato vicario del podestà Guido da Romena e lo era nuovamente nel 1285 con Guido da Battifolle. Così i due banditi mancavano degli appoggi più potenti e dovevano essersi ridotti in Maremma, forse ospitati dai Pannocchieschi in qualcuno dei loro più remoti castelli, mentre la loro madre apparisce essersi trasferita a Siena, dove nel 1285 la troviamo ricordata due volte nelle entrate della Biccherna; la prima volta per la somma di 30 soldi della contribuzione dei

34 A.S.S., Consiglio Generale, 25, c. 28’. – Doc. XIX. 35 A.S.S., Biccherna, 725, c. CCCCVI, CCCCXXV. – Doc. XX. 36 Per l’identità di questa Pia con quella dantesca, vedi G. Ciacci, Gli Aldobrandeschi. 20

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dodici denari per lira, e la seconda per 24 soldi della tassa delle quattro lire per cento37, che confrontate alle altre tassazioni rivelano un notevole patrimonio. I documenti non ci danno il nome della dama, ma il fatto di trovarla tassata nella lira di Galgaria, dove i Tolomei avevano un palazzo, e il ricorrere dei nomi di Ghino e Mino nelle due famiglie, fanno presumere che essa appartenesse a questa illustre prosapia senese, che poi, come si è detto, non era che un ramo dei Cacciaconti che avevano contribuito alla nascita del comune di Siena. E che i Tolomei fossero imparentati coi signori della Fratta ce lo conferma il fatto che, nei consigli che in seguito furono tenuti per questioni riguardanti Ghino e Tacco, i Tolomei manifestarono sempre pareri improntati a benevola moderazione nei riguardi dei signori della Fratta. Nel 1285 la guerra si era riaccesa in Val di Chiana, dove il vescovo di Arezzo, collegato coi fuorusciti ghibellini e con alcuni rami dei Cacciaconti e di altri antichi feudatari della zona, minacciava i paesi di quel territorio. Per parare l’attacco Siena vi spedì un esercito, comandato dallo stesso podestà, il quale pose l’assedio al fortissimo Poggio Santa Cecilia, mentre Benincasa d’Arezzo, rimasto in città come suo vicario, fronteggiava vigorosamente una sommossa suscitata dai fuorusciti i quali, oltre a provocare disordini in Siena, avevano temporaneamente occupato i castelli di e di Gargonza. Profittando di questi rivolgimenti, i due banditi devono essere tornati in Val di Chiana per prestare man forte ai nemici di Siena, commettendo quelle ruberie che erano abituali in simili occasioni. Proprio in quest’anno troviamo per la prima volta notizia diretta di Ghino di Tacco: si tratta dell’annotazione di una vendita fatta dal comune di una certa quantità di saia38 «quam acceperat Ghinus Tacchi»39. Dal contesto della breve annotazione si capisce che si trattava del frutto di una ruberia commessa a carico di qualche mercante di passaggio per opera di Ghino stesso, o che Ghino aveva ricevuta dal padre o dallo zio e che gli era stata sequestrata dai messi che il Comune aveva spedito in Val di Chiana per ricercare e catturare i banditi. Giacché appunto nel primo semestre di quest’anno il giudice Benincasa aveva mandato laggiù due messi del Comune, accompagnati dai famigli del podestà con questo incarico, e la missione si risolse nella cattura di Tacco di Ugolino il quale, come appare dai pagamenti della Biccherna, fu condotto a Siena e giustiziato, non senza aver subito prima un poco di tortura40. Intanto la guerra continuava in Val di Chiana, l’assedio del Poggio Santa Cecilia andava per le lunghe e nelle alternative dei combattimenti i ribelli erano riusciti a incendiare Torrita 41 come appare da una supplica fatta dagli abitanti al Consiglio generale per avere facilitazioni al loro ritorno in paese. Alla fine però, nel 1286, il Poggio fu conquistato e distrutto, insieme a Farnetella, dove i ribelli si erano asserragliati42 e a conclusione di questi avvenimenti si ebbero

37 A.S.S., Biccherna, 90, c. LXXXXVIIII’, CXVIII. – Doc. XXI. 38 Specie di panno di lana pettinata soffice e leggero 39 A.S.S., Biccherna, 88, c. LX’. – Doc. XXII. 40 A.S.S., Biccherna, 88, c. 89, 182’, 188’, 189’, 191’, 195. – Doc. XXIII. 41 A.S.S., Consiglio Generale, 31, c. 32. – Doc. XXIV. 42 A.S.S., Biccherna, 92, c. 105’. Doc. XXV. 21

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numerose condanne contro coloro che avevano provocato i disordini in Siena e contro quelli che avevano consegnato ai ribelli Farnetella o si erano riuniti a loro in Gargonza43. Ma le ribellioni e gli attentati non si erano limitati alla Val di Chiana; nell’ottobre 1286 i figli di Gherardo da Prata uccisero il loro zio Tollo mentre usciva dalla chiesa, impadronendosi anche delle sue figliole e del castello e dichiarandosi ribelli. Come si è detto Tollo era divenuto fedele vassallo di Siena e perciò la guerra si riaccese anche in quella zona dell’alta Maremma. Dai registri delle condanne si vede come fra coloro che presero parte all’uccisione di Tollo vi era anche Ghino, fratello di Tacco e numerosi suoi seguaci, fra i quali è probabile si trovasse anche il nipote Ghino, sebbene i documenti non ne parlino44, e naturalmente gli autori del misfatto furono condannati a morte. Del resto nemmeno in Val di Chiana era ritornata la pace dopo la conquista del Poggio di Santa Cecilia e la morte di Tacco. Nel 1288 si trova l’annotazione di una ruberia commessa fra Trequanda e Montalceto45 e nuove ostilità si riaccesero fra Torrita e la Fratta: Balduccio Busgiadri da Torrita e un aretino aggredirono un Cenne da Poggibonsi portandolo in un bosco e rompendogli una gamba 46 , venendo perciò condannati a una somma di 2400 lire; è però da notare che la condanna di Balduccio fu cancellata, evidentemente perché, trattandosi di un seguace di Siena, gli fu condonato il reato. Federigo di Ugolino della Fratta poi, insieme al figlio Ghino o Ghinello, incendiò una capanna di Francesco Rimbaldi di Bettolle, riportandone una condanna pecuniaria47, mentre Ghino di Tacco né subì una di 1000 lire per avere commesso una rapina sulla strada romana di S. Quirico, insieme a numerosi seguaci, ferendo Leuccio Boni48. Dal confronto dell’ammontare delle pene si vede che il reato commesso da Federigo e da suo figlio furono riguardati come danno dato e manifestazione di private inimicizie, mentre per Ghino di Tacco il misfatto fu considerato con minore indulgenza, essendo ormai coinvolto nelle imprese ostili dello zio omonimo contro il comune di Siena. L’anno 1289 segnò un peggioramento della situazione politica; i ghibellini avevano ripreso animo, incoraggiati dall’appoggio di Arezzo e del fatto che si era riaccesa la guerra contro i Cacciaconti e contro i Pannocchieschi, soprattutto nella zona di Prata, Giuncarico e Elci. I ribelli riuscirono ad occupare presso Asciano, e fra di loro si trovavano numerosi abitanti di Torrita e Trequanda, e perciò legati ai signori della Fratta. Corsignano che apparteneva ai Piccolomini, fu conquistato da un Cacciaconti, che ne portò gli abitanti a ; Giuncarico fu rioccupato dal conte d’Elci e in complesso Siena subì numerosi rovesci dappertutto: Fra le numerose condanne pronunziate in connessione a tali avvenimenti, se ne trova una di morte e confisca dei beni anche contro Ghino di Ugolino della Fratta e altri suoi consorti per avere raggiunto i ribelli in Chiusure49, mentre altre rivelano come a Torrita le uccisioni e ferimenti erano

43 A.S.S., Biccherna, 725, c. DCVII segg. 44 A.S.S., Biccherna, 725, c. CCCCLXXXXII, CCCCLXXXXVIIII’, DCIII. – Doc. XXVI. 45 A.S.S., Biccherna, 97, c. LXXXVIII. – Doc. XXVII. 46 A.S.S., Biccherna, 725, c. DLXXXII. – Doc. XXVIII. 47 A.S.S., Biccherna, 725, c. DLXXXXI, DLXXXXVII. – Doc. XXIX. 48 A.S.S., Biccherna, 725, c. DLXXXXV. – Doc. XXX 49 A.S.S., Biccherna, 725, c. DCLV. – Doc. XXXI. 22

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all’ordine del giorno e le ruberie si susseguivano senza interruzione50. Come segno dell’incertezza della situazione è interessante il vedere come ci siano anche moltissime condanne contro cittadini senesi i quali avevano rifiutato di giurare «mandata Capitanei et sequentium populi». Si tratta evidentemente di persone che, dubitando di una probabile vittoria dei ghibellini, non volevano compromettersi troppo giurando per la parte guelfa al potere; e fra questi renitenti si trova anche il famoso pittore Duccio di Buoninsegna51. Anche Ghino di Tacco, dopo l’uccisione del padre e dopo le condanne subite, era divenuto un dichiarato ribelle e deve avere commesso qualche nuova impresa, perché nel 1290 anche lui venne condannato a morte52. Probabilmente fu opera sua anche un’altra rapina commessa nel 1291 a danno di alcuni mercanti fiorentini nel territorio di Montepulciano. Il fatto assumeva una particolare gravità perché sembra che si dubitasse che l’aggressione fosse avvenuta invece in territorio senese, il che avrebbe coinvolto la responsabilità del Comune, con possibilità di rappresaglie e di turbamento dei rapporti con Firenze. Perciò Siena mandò sul posto un suo ambasciatore, che insieme all’ambasciatore mandato da Firenze doveva stabilire il luogo esatto della rapina e fece stendere anche un parere legale da due giurisperiti per definire a chi incombesse l’indennizzo da pagare ai derubati53. Che questa ruberia fosse stata commessa da Ghino ce lo conferma chiaramente il fatto che troviamo pronunziata una condanna capitale contro di lui, contro il cugino Ghinello e altri di Torrita54. La condanna è così grave, non solo per il fatto che ormai si trattava di un ribelle dichiarato, ma probabilmente perché l’aggressione commessa a danno di fiorentini poteva compromettere l’accordo, ancora recente e non sufficientemente consolidato, con quella repubblica. Frattanto nella primavera del 1292, Siena assumeva al suo servizio, nella qualità di conestabile di 24 cavalieri, Mannino di Busgiadro da Torrita55 membro della famiglia più importante di Torrita, amico di Siena per tradizione di famiglia e nemico dei signori della Fratta. Ciò garantiva che i senesi potevano contare di avere in Val di Chiana qualcuno che avrebbe saputo fare bene la polizia e vegliare sugli andamenti dei familiari di Ghino e prevenirne le mosse. E questo non era un fatto trascurabile, dato che i ribelli non erano ancora rassegnati alla sconfitta. Ne è un segno l’assalto sferrato da essi alla Rocca Tederighi e il rapimento della contessa Margherita, vedova di Alberto dei Visconti di Campiglia, che era un fedele suddito di Siena56. Tuttavia anche i Busgiadri non si mostravano troppo disciplinati e nel 1294 uno di essi, Balduccio di Franceschino, subì una condanna di 450 lire per avere aggredito e ferito un abitante di Torrita57: strascico forse delle antiche contese paesane, Né avevano tregua gli attentati di Ghino

50 A.S.S., Biccherna, 725, c. DCXLIII. DCCIII.

50 A.S.S., Biccherna, 725, c. DCLVIII’. – Doc. XXXII. 51 A.S.S., Biccherna 725, c. DCCXX, - Doc. XXXII. 52 A.S.S., Biccherna, 725, c. DCCXX’. – Doc. XXXIII. 53 A.S.S., Biccherna, 106, c. 116’. 117’. – Doc. XXXIV. 54 A.S.S., Biccherna, 725, c. DCCLVIII. – Doc. XXXV. 55 A.S.S., Biccherna, 107, c. 166. – Doc. XXXVI. 56 A.S.S., Biccherna, 725, c. DCCCLXXXXII. – Doc. XXXVII. 57 A.S.S., Biccherna, 725, c. DCCCLXXXXIIII. – Doc. XXXVIII. 23

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di Tacco, perché troviamo che nello stesso anno un suo familiare, Giollarino di Cecco da Torrita, già condannato insieme a Ghino per la rapina dei mercanti fiorentini, lo fu nuovamente per avere rubato due cavalli della compagnia di Andrea di Villejuif, contestabile senese in Val di Chiana58, mentre il podestà pronunziava altre numerose condanne contro vari abitanti di , Radicofani, S. Fiora ecc. che avevano partecipato a una ruberia commessa da Ghino di Tacco59. Ghino doveva ormai essersi rifugiato in Radicofani, da dove continuava a complottare contro Siena. Infatti nel giugno 1295 troviamo una condanna pronunciata contro un certo Buccio di Guittone delle per avere avuto con Ghino segrete trattative onde dargli per tradimento questo castello60. Il tentativo contro Serre fu scoperto a tempo e fallì, ma in compenso Ghino, con l’aiuto di molti abitanti di Monticchiello, Rocca d’Orcia, Radicofani e Santa Fiora, commise un’altra ruberia61. Fra le numerose condanne pronunziate in questa occasione non ne troviamo una contro Ghino, e questo confermerebbe il fatto che egli avesse già occupato Radicofani e perciò, trovandosi fuori dalla giurisdizione senese, non venne istruito processo contro di lui. Del resto avendo già sul capo due sentenze di morte, era superfluo ripeterle. Radicofani, sebbene Siena vi avesse accampato diritti fino dal XII secolo e avesse tentato per due volte di impadronirsene, faceva parte dei domini della Chiesa, con pretese da parte degli abati di San Salvatore e dei conti di Santa Fiora, col risultato che in quei tempi era quasi un dominio di nessuno e bene adatto ad essere un covo di banditi, dopo il debole pontificato di Nicolò IV e quando appena era stato eletto il ben più energico Bonifacio VIII. Sembra che i parenti di Ghino rimasti alla Fratta si fossero messi ormai tranquilli, a meno che non sia da annoverarsi fra loro quel Ghino di Ugolino di Fazio da Torrita che nel 1296 fu condannato a una pena di 250 lire per avere, aiutato da altri, tentato di violentare una donna62, ma Ghino non aveva rinunziato alla speranza di ritornare come padrone nelle sue terre; infatti nel 1296 troviamo una condanna pronunziata dal podestà di Siena contro Santoruccio di Carsidonio da che aveva derubato un suo compaesano e aveva poi complottato con gli abitanti del luogo e col conte Bindo della Ripa per dare per tradimento Scrofiano a Ghino di Tacco63; il quale poi nel 1297, incoraggiato forse dall’esistenza di ancor numerosi aderenti nella zona, concepì il progetto più ambizioso di costruirsi un nuovo castello-fortezza fra Sinalunga e Guardavalle, da dove avrebbe potuto impunemente taglieggiare la zona64. I lavori anzi erano già cominciati e per questo motivo il Consiglio Generale di Siena tenne un’apposita adunanza, nella quale fu deciso di mandare a vedere e di intimare ai lavoratori di sospendere l’opera. La prudenza con cui è concepita la deliberazione fa

58 A.S.S., Biccherna, 725, c. DCCCCXIII. – Doc. XXXIX 59 A.S.S., Podestà, 2, c. 64. Doc. XL. 60 A.S.S., Biccherna, 725, c. DLXX’. Podestà, 2, c. 84. – Doc. XLI. 61 A.S.S., Biccherna, 725, c. DCCCCXXIII, DCCCCLXXVI’, DCCCCXXXVII, DCCCCLXXXXII’, DCCCCLXXXXVII, DCCCCLXXXXIIII’. Doc. XLII. 62 A.S.S., Biccherna, 725, c. MXXXIII. 63 A.S.S., Podestà, 2, c. 327’. – Doc. XLIII. 64 A.S.S., Consiglio Generale, 52, c. 106’ – Doc. XLIV. 24

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capire che alle spalle di Ghino dovevano esservi personaggi potenti e che non si voleva ricorrere a misure drastiche, per non provocare guai maggiori; ad ogni modo dell’affare non si trova più traccia ed è evidente che Ghino abbandonò il progetto. E dopo di ciò egli scompare completamente dai nostri documenti, che sono fra l’altro pieni di lacune. Completerebbe il quadro quello che di Ghino narrano Boccaccio e Benvenuto da Imola, cioè in brigantaggio cortese, per cui Ghino toglieva ai mercanti e signori che passavano a sua portata di mano solo una parte delle loro ricchezze, e con modi talmente gentili da farsene quasi degli amici. Pure in questo tempo deve essere avvenuta l’uccisione di Benincasa il quale aveva fatto giustiziare il padre, e non il fratello come raccontano i commentatori, e aveva condannato a morte anche lui. Se poi veramente Bonifacio VIII lo abbia perdonato e colmato di favori è una questione piuttosto dubbia, anche se i tempi ed i costumi possono dare qualche verosimiglianza alla cosa. Tuttavia il modo con cui l’uccisione di Benincasa sarebbe avvenuto, la carica che egli occupava alla corte papale, e il luogo in cui sarebbe avvenuto il misfatto, rendono poco probabile il racconto. Quanto alla data della morte di Ghino, la più probabile sembra il 1303, quando avvennero a Sinalunga tumulti e risse sanguinose; altrimenti sarebbe da prendere il 1313, nel quale Binduccio Cacciaconti, ancora signore di Sinalunga, profittando del disordine provocato dalla calata di Arrigo VII, si ribellò a Siena e si sottomise solo dopo che i senesi, morto l’Imperatore, mandarono contro Sinalunga un esercito che lo costrinse a rinunciare a ogni resistenza e a fare atto pieno di sudditanza. Dato che Sinalunga era quasi indipendente da Siena, è verosimile che Ghino trovasse frequente ricetto presso quei signori, che erano della sua stirpe, e che partecipando alle contese interne e alle azioni di guerra, sia rimasto ucciso appunto in questo luogo che ci è dato come quello della sua morte dai commentatori e novellieri. In conclusione si può dire che Ghino di Tacco fu una vittima delle circostanze. Quando suo padre e suo zio cominciarono a dichiararsi ribelli e iniziarono la serie delle loro azioni delittuose, egli doveva essere ancora un fanciullo. Ce lo conferma il fatto che nel 1285 la sua nonna viveva e aveva trovato asilo in Siena, mentre per poter vivere alla macchia come facevano il padre e lo zio era necessario che essi fossero forti e vigorosi come lo sono solo i giovani. Egli compare per la prima volta coinvolto in queste imprese solo nel 1285, e probabilmente solo per ricettazione del bottino fatto dal padre e dallo zio. Giustiziato il padre, profugo e coinvolto nelle vendette familiari, che in quei tempi erano un sacro dovere, Ghino cominciò allora soltanto quell’attività brigantesca, che del resto era considerata un legittimo mezzo di guerra, partecipando a tutte le imprese dirette contro quei senesi che avevano spodestato i suoi dal possesso avito, gli avevano ucciso il padre e avevano bandito e condannato a morte lui stesso. In fondo è la tragedia di tutte le grandi famiglie feudali all’avvento dei governi guelfi, e questo spiega anche il modo con cui ne parla Dante. Si tratta solo di un accenno, ma quelle «braccia fiere» sono un’espressione di simpatica ammirazione, non di deprecazione, perché Dante, appartenente anche lui alla minore nobiltà feudale, spodestata dai guelfi, doveva sentirsi solidale con Ghino, che aveva combattuto per mantenere i privilegi della sua casta. Solo con queste considerazioni si inquadra esattamente Ghino di Tacco nella

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storia del suo tempo, di cui incarna bene lo spirito battagliero, il forte sentimento di solidarietà familiare, l’orgoglio di razza, l’audacia e la spensieratezza che la precarietà della vita infondeva negli uomini che combatterono le ultime battaglie per la sopravvivenza del mondo feudale e dello spirito ghibellino.

Giovanni Cecchini

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La copertina del libro a fumetti di Filippo Cenni: “Il falco di Radicofani”.

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Qui sotto ripropongo i documenti riportati dal Cecchini alla fine del suo articolo e che sono citati nelle note dell’articolo stesso. (Una fotocopia dei quali si trova a pag. 74

D O C U M E N T I

Doc. I.

A.S.S., Biccherna, 709, c. 10’. Infrascripte sunt condempnationes facte tempore domini Orlandini de Canosa potestatis senensis [gennaio –giugno 1271] ………………………. Tacchus Ugolini Fracte debet solvere comuni LXXV. libras denariorum pro manomissione quam fecit in Iacobinum de Guardavalle, ut continetur in libro Clavium in folio XLII. Item debet comuni C. libras denariorum quia discessit de palatio sine licentia potestatis, ut continetur in libro Clavium in folio LXIIII.

Doc. II. A.S.S., Biccherna, 47, c. 6’. Item XVIII soldos quos [camerarius] dedit et solvit Ghino Ugolini pro licteris quas portavit ad Urbemvetere pro securitate nostrorum ambassiatorum qui erant apud curiam domini Regis.

Doc. III. A.S.S., Biccherna, 725, c. LXXII’. Condempnationes facte tempore domini Taddei comitis de Montefeltro potestatis senensis in anno Domini MCCLXXIII [gennaio-giugno]……………… Chiarimbaldus Tancredi de Torrita condempnatus in CC. libris quia vulneravit Tacchum Ugolini ut patet in folio CXLVI.

Doc. IV. A.S.S., Biccherna, 725, c. LXXII. Condempnationes facte tempore domini Taddei comitis de Montefeltro potestatis senensis in anno Domini MCCLXXIII [gennaio-giugno] ……………. Buccius Busciadri de Torrita condempnatus in C. libris quia venit contra Tacchum Ugolini et proiecit ei lapides ut patet in folio CXLVII.

Doc. V. A.S.S., Biccherna, 725, c. CLXXIIII’. Condempnationes facte tempore Iacoppini de Rudilia, secunda vice potestatis senensis in anno Domuni MCLXXVI [gennaio-dicembre] …………… Taccus de Torrita condempnatus in MMM. libris pro homicidio commisso in Montanellum Bonaventure, ut patet in folio CCCXVIII.

Doc. VI. A.S.S., Biccherna, 725, c. CLXXXVIIII’, CLXXXXI, CCV’. Condempnationes facte tempore domini Orlandi Bernardi Russi et Gherardi eius filii in anno Domini MCCLXXVII [gennaio-dicembre] …………….. Ghinus quondam Ugolini, Gherius Landi Bonaccholti, condempnati quilibet eorum in DCC. Libris, et quidam alii condempnati cum eis in eadem quantitate pro quolibet, quia trattaverunt mortem Buccii filii Bugiadri ut patet in folio CCCLXXXXVI. 28

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Cancellatum est nomen dicti Gherii, quia est cancellatum in libro Clavium ex eo quod venit ad mandata Comunis secundum formam ordinamentorum generalis Consilii Campane. …………………………………………………………………………. Guccius Guidi Iusti de Serris condempnatus in MMMMM. libris quia occiderunt Iacobum castellanum castri de Torrita ut patet in folio CCCCXXV. ………………………………………………………… Tacchus Ugolini de Fratta, Tregianellus frater Venture Gallerie, Tosinus Nicchole de Fratta, condempnati quilibet eorum in MMMM. libris denariorum et quilibet alii condempnati cum eis in eadem quantitate pro quolibet, quia voluerunt comburere castrum de Torrita et interfacerunt plures homines ut patet in folio CCCCVI. ……………………………………………………. Ghinus Ugolini de Fratta, Cosus frater Salvuccii magistri Bartali de Serris, Gerius et Guerra Ugolinetti de Rapolano, Ghezzus Marchi de Asinalunga, Ghezzus Manni Sentinelli de Fratta, Geri Suffredi de Monte sancti Savini, condempnati quilibet eorum in MMMM. libris et quidam alii condempnati cum eis in eadem quantitate pro quolibet, quia voluerunt comburere castrum de Torrita et interfecerunt plures homines ut patet in folio CCCCVI. ………………………………………………………. Bindus Iacobi de Calceno, Buccius Salvi de Rapolano, Barghellus Manni Sentinelli de Fratta, Ballante de Lucingnano Aretii, condempnati quilibet in MMMM. libris et quidam alii condempnati cum eis in eadem quantitate quia voluerunt comburere castrum de Torrita ut patet in folio CCCCVI. (e ce sono altri simili).

Doc. VII. A.S.S., Biccherna, 725, c. CCXVII’. Condempnationes facte tempore domini Macthei de Madiis de Brescia potestatis senensis in anno Domini MCCLXXVIII [gennaio-dicembre] …….. Ghinus filius olim Ugolini de Fratta condempnatus in M. libris denariorum et Tacchus eius frater condempnatus cum eo in eadem quantitate quia occiderunt Andream magistri Iacobi ut patet in folio CCCCLXXXXIIII. Ginus filius Ugolini de Fratta condempnatus in MM. libris denariorum et Tacchus eius frater et Cecchus Grossus condempnati cum eo in eadem quantite quia interfecerunt Renaldellum Bonaiunte ut patet in folio CCCCLXXXXIIII.

Doc. VIII. A.S.S., Biccherna, 725, c. CCXXVIII. Condempnationes facte tempore domini Macthei de Madiis de Brescia potestatis senensis in anno Domini MCCLXXVIII [gennaio-dicembre] …………. Tacchus olim Ugolini de Fratta condempnatus in M. libris denariorum et Ghinus eius frater condennatus cum eo in eadem quantitate quia occisit Andream magistri Iacobi ut patet in folio CCCCLXXXXIIII. Tacchus Ugolini predictus canennatus in MM. libris denariorum et quidam alii condennati cum eo in eadem quantitate pro quolibet quia interfecerunt Renaldellum Bonaiunte etc., ut patet in folio CCCCLXXXXIIII.

Doc. IX. A.S.S., Consiglio Generale, 22, c. 17. Die dominica VII augusti [1278].

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Capitanei Partis, Priores XXXVI et ipsi XXXVI cohadunati apud palatium potestatis fuerunt in plena concordia et firmaverunt quod pro tuitione Torrite mictatur sine tarditate Torritam unum ex conestabiliis masnate comunis Senensis et ibi debeant stare et inde redire ad civitatem quando et sicut videbitur domino potestatis, et debeant milutes dicte conestabilie custodire dictum castrum et si poterint capere exbannitos qui intendunt equitare ad ipsum castrum capiant si inveniant et in fortiam comunis reducant. Et si potest esse quod socius vel alius ex familia potestatis vadat cum eis, vadat in nomine Domini. Et fuerunt in concordia quod detur in mandatis comuni de Rigomagno et aliis comunitatibus contrate, ut Tacchum vel alios exbannitos aliquos comunis Senensis nullo mado receptent, et si contra facerint puniantur.

Doc. X. A.S.S., Consiglio Generale, 23, c. 8, 12’. Die mercurii XII iulii [1279]. In nomine Domini amen. Consilium Duodecim bonorum hominum novorum et veterorum comunis civitatis Senarum, in palatio Ugoruggeriorum in quo moratur potestas coadunatorum ut moris est, facta prius per dominum Corradum de Palaczo potestatem senensem verbatenus impositam de aguaito et insidiis et insultu que dictis diebus Taccus et Ghinus et sui seguaces fecerunt ad Torritam, et fuit in piena concordia et firmavit quod dominus potestas mittat ad Torritam dominum Gualterium domini Renaldini et cum eo X. milites de masnada francigena comunis senensis, expensis comunis et hominum de Torrita, ad custodiendum Torritam et eius contratam contra Taccum et Ghinum et sui seguaces. Item mictat unum ambassiatorem Florentiam, Aretium, Lucignanum de Aritio, Gargonsam, Montem sancti Savini et viriliter eis dici faciat quod dictos comunis senensis pro maleficio exbannitos in sua fortia et posse (non) receptent.

a) Die martis primo augusti [1279]. In nomine Domini amen. Consilium Ordinum civitatis Senarum et XXXVI. fuit in concordia plena et voluntate et stantiavit et firmavit quod ad inveniendum unde et de quo loco Taccus et Ghinus filii quondam Ugolini de Fracta et alii qui cum eo erant exiverint et receptati fuerunt quando insidias posuerunt et miserunt circa castrum de Torrita, et post ipsas insidias insultum fecerunt versus dictum castrum de Torrita, et quare illi de Torrita non esiverunt ad eos, et quare illi de Torrita non permiserunt inimicos dicti Tacchi et Ghini exite ad eos, et quare postquam exiverunt non permiserunt eos introire castrum de Torrita, dominus potestas inveniant et invenire possit et liceat ei per quemcumque modum invenire potest. Doc. XI. A.S.S., Biccherna, 725, c. CCXXXVIII, CCXLV’, CCXLVIII, CCLX, CCLXVII, CCLXVIII. a) - Condempnationes facte tempore domini Gherardi de Palatio de Brescia, olim potestatis senensis in anno Domini MCCLXXIIII [gennaio-dicembre] …….. Cecchus Iacobi vocatus Cecchus Grassus de plebe Sancti iohannis condempnatus in persona et in decem milibus libris denariorum, et quilibet alii cum eo, condempnati in eadem quantitate, quia pretio sibi dato vuluerunt interficere Bugiadrum de Torrita et alia fecerunt etc. ut patet in folio DXXXIII.

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b) Ghinus frater Tacchi de Torrita condempnatus in persona et in decem milibus libris denariorum et quidam alii condempnati cum eo in eadem quantitate pro quilibet, quia pretio dato vulneraverunt et interfecerunt Bugiadrum de Torrita et alia fecerunt ut patet in folio DXXXIII. c) Ghinus filius Ugolini de Fratta et Guidarellus Alexandri de Urbeveteri, condempnatus quilibet corum in MM. libris denariorum et quidam alii condempnati cum eis in eadem quantitate pro quolibet, quia iverunt hostiliter et banderia levata ad castrum de Torrita et vulneraverunt Dinum et alios ut patet in folio DLXXXVI. d) Orlandus domini Crispoliti qui moratur ad Coltellum condempnatus in MM., libris denariorum et Tacchus et Ghinus Ugolini di Fratta et quidam alii condempnati cum eis in eadem quantitate pro quolibet, quia banderia levata iverunt ad castrum de Torrita et vulneraverunt Dinum filium Martini ut patet in folio DLXXXXVI. e) Tacchus de Torrita condempnatus in persona et avere et in decem milibus libris denariorum, et quidam alii condempnati cum eu in eadem quantitate, ut patet in folio DXXXIII. f) Tacchus filius Ugolini de Fratta, Tuccius Gaenne comitatus Aretii, condempnati quilibet eorum in MM. libris denariorum quia banderia levata iverunt ad castrum de Torrita et vulneraverunt plures homines ut continetur in folio DLXXXXVI.

Doc. XII. A.S.S., Biccherna, 725, c. CCLXV. Condempnationes facte tempore domini Gherardi de Palatio de Brescia olim potestatis senensis in anno Domini MCCLXXVIIII [gennaio-dicembre] ………… Ranuccius frater Zeppe de Asinalongha condempnatus in CC. libris denariorum quia receptavit Ghinum et Tacchum ut patet in folio DLXXXII.

Doc. XIII. A.S.S., Biccherna, 75, c. 1’. Item XXX libras quas habnerunt [I Provveditori di Biccherna] a comune de Torrita pro paga X. militum francigenorum quos habuerunt in servitium eorum VIIII. dierum, quos portavit eis Pacem de Firmo, unus de masnada.

Doc. XIV. A.S.S., Consiglio Generale, 23, c. 21. Die martis XXII, augusti [1279]. Item fuit dictum Consilium [Ordinum et Trigintasex] in plena concordia et firmavit et stantiavit dicta die, quod si comune de Torrita et de Asinalonga et de Ripe, per se et suis stipendiis capitaneum petant et masnadam, quod detur eis, sed si per se et alias comunitates petunt, queratur ab illis comunitatibus quas nominaverint si cum eis tenere volunt ad dictum capitaneum et masnadam, et si dixerint se velle tenere detur eis, et si noluerint tenere detur tantummodo tenere volentibus et non allis.

Doc. XV. A.S.S., Consiglio Generale, 23, c. 26’. Die lune XVIIII, septembris [1279]. In domine Domini amen. Consilium Ordinum civitatis Senarum in palatio Ugoruggeriorum ad istantiam et petitionem domini Curradi de Palaczo, Dei et regia 31

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gratia potestatis senensis, cohadunatorum…………………………………………… ……………….………………………… stantiavit et firmavit quod dominus potestas cras de mane, qua hora voluerit, convocet Ordines et XII. bonos homines per terzerium quos voluerit, et eis exponat qualiter sibi relatum sit quomodo Torrita per proditionem debet dari Tacco, et quid tunc per eos fuerit consultum exequatur.

Doc. XVI. A.S.S., Consiglio Generale, 23, C. 27. Die martis XVIIII septembris [1279]. In nomine Domini amen. Consilium Ordinum cum adiuncta XII bonorum hominum per Terzerium in palatio Ugoruggeriorum ad istantiam et petitionem potestatis cohadunatorum, fuit in plena concordia et stantiavit et firmavit quod Capitanei partis Guelfe cum doubus per terzerium per Ordines eligendos, sint et debeant esse simul quatinus et quando domino potestati placuerit, qui statuant et firment secundum quod sibi videbitur de facto et super facto Torrite, et etiam de maiori masnada in civitate Senarum habenda. Item stantiaverunt et firmaverunt quod quam citius fieri potest duo beni ambassiatores, per dictos Ordines eligendos, per dominum potestatem Aritium mittantur, qui secundum quod eis per dictos capitaneum et dictos duos per terzerium et dominum potesatem impositum fuerit, de iniuria comuni et hominibus de Rigomagno, nuper per exititios nostros et dicti Rigomagni et per aliquos de Lucignano Aretii (illata), comuni de Aretio ambassiatam faciant et portent. Item dicti Ordines fuerunt in plena concordia et stantiaverunt et firmaverunt quod dominus Gualtierius domini Renaldini continuo vadat ad Torritam et secum ducat et teneat illuc quinque eques exspensis comunis et hominum de Torrita, pro quibus expensis stantiaverunt et firmaverunt quod pro qualibet die qua steterint ibi comune et homines dicti loci dent et dare debeant ei XXX. soldos denariorum senensium. Item quod secum ducat XII. iuvenes quos secum ibi teneat etiam expensis ipsorum comunis et hominum dicti loci, pro quibus expensis ipsum comune et homines debeant pro die qualibet qua steterint XL. soldos denariorum senensium. Item quod dictus dominus Gualterius cum dictis equis et dictis iuvenibus stent et stare debeant in dicta Torrita ad voluntatem potestatis.

Doc. XVII. A.S.S., Consiglio Generale, 23, c. 29. Die mercurii XXVII. septembris [1279]. In nomine Domini amen. Consilium Ordinum et XXXVI. cohadunatum in palatio Ugoruggeriorum in quo moratur dominus potestats, ad petitionem ipsius fuit in plena concordia et stantiavit et firmavit quod statim quod masnada fuerit in civitate Senarum, statim et factum comunis et hominum de Torrita et de Rigomagno mittatur ad hoc Consilium, quod inde tunc fuerit consultum executioni mandetur. Item stantiavit et firmavit quod ad plenum obstendatur et notum fiat domino cardinali quomodo et qualiter nos sumus parati in omnibus que ipse nobis de pace fienda inter nos et extrinsecos mandaverit et imposuerit obbedire, et scribatur Iohanni Paganelli quod ipse nullatenus a curia discedat nisi de propria licentia et mandato domini cardinalis et eius conscientia pura.

Doc. XVIII. A.S.S., Consiglio Generale, 23, c. 37,50’. a) Die mercurii XI octobris [1279].

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In nomine Domini amen. Consilium Ordinum et XXXVI. civitatis Senarum ….….fuit in plena concordia et firmavit ………………………………………….. Item, quod dominus Gualtherius domini Renaldini habeat licentiam redeundi ad civitatem Senarum et quod Bonaccorsinus remaneat in Torrita loco ipsius domini Gualtherii cum XII. masnaderiis, quorum quilibet habeat in mense LX. soldos denariorum senensium, et ipse Bonaccorsinus habeat C. soldos in mense; que salaria solvantur ab hominibus et comuni de Torrita. Qui Bonaccorsinus debeat habere diligentem custodiam dicte terre et tenere claves ipsius terre, et possit dictus dominus Gualtherius ubi voluerit esse et stare hinc ad festum omnium Sanctorum, salvo quod si casus accideret quo ipsum pro meliori comunis Senensis ad dictam Torritam reverti opporteret, dictus potestas possit eum cogere illuc reverti, hoc ordinamento non obstante.

b) Die martis XXI. novembris [1279].

In nomine Domini. Consilium Ordinum civitatis Senarum et Sex bonorum virorum ipsus civitatis fuit in plena concordia et stantiavit et firmavit quod dominus Gualtherinus omnino vadat ad Torritam et quod pro die qualibet qua steterit, pro suo salario habeat et habere debeat a comuni de Torrita XX. soldos denariurum senensium. Item quod Poppus Martini remittatur ad Montefollonico et moretur ibi expensis comunis eiusdem loci.

c) Die sabbati XXV. novembris [1279].

In nomine Domini amen. Capitanei Partis et Sex boni vivi, in presentia domini potestatis fuerunt in plena concordia et stantiaverunt et firmaverunt quod ex parte domini potestatis scribatur domino Gualtherino, potestati et Concilio et Comuni castri de Torrita, quod in ipsa terra nullatenus officiales faciant aliquod sine ipsius domini potestatis mandato, cum comune Senarum velit ipsos officiales tali modo et forma fieri ut comune et homines de Torrita pausent rixare.

Doc. XIX. A.S.S., Consiglio Generale, 25, c. 28’. Die. X. mensis novembris [1281]. Factum est generale consilium Campane ….a sapienti et discreto viro domino Angelo Imperatoris iudice de Urbe nunc vicario magnifici et nobilis viri domini Mathei Rubci de fillis Ursi potestatis comunis Senensis absentis ……in quo proposuit et consilium petiit quod, cum infrascipti homines de civitate et comitatu senensi variis et diversis condempnationibus et bannis pro maleficiis condempnati et exbanniti comuni et pro comuni senensi steterint et moram cum effectu contraxerint in exercitu dudum facto pro comuni Senensi super castro Turris de Maritima …et eorum personas contra rebelles et proditores comunis Senensis in dicto castro de Turri obscssos die noctuque tam in preliis habitis dictis rebellibus et proditoribus quam in custodias….diurnis et nocturnis sepe sepius et quasi continue ad periculum et risicum mortis exposucrunt …quod ipsi exbanniti et condempnati et quilibet eorum rebannirentunr et pro bannitis haberentur…Nomina dictorum exbannitorum et condempnatorum sunt hec: Frederigus domini Ugolini de Fracta, Ghinus eius filius, Ugolinus et Minus filii olim Alberi nepotes dicti Frederigi, Iacobus et Nuccius filii naturales dicti Frederigi…. Dominus Scozia olim domini Renaldi de Talomeis consuluit dicens quod placet ei quod omnibus et singulis exbannitis et condempnatis predictis….. pro remuneratione et

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satisfazione dictorum servitiorum …omnes ipsi et singuli rebannantur a comuni Senensi… Consilium predictum fuit in concordia cum dicto domini Scozie predicti.

Doc. XX.

A.S.S., Biccherna, 725, c. CCCCVI, CCCCXXV.

a) Condempnationes facte tempore comitis Guidonis de Romena potestatis Senensis in anno Domini MCCLXXXII [gennaio-dicembre]……. Ghinus Ugolini condempnatus in L. libris,} Ghinus Frederighi condempnatus in L. libris}et quidam alii cum eis quilibet in quinquaginta libris, quia fuerunt accusati a Fuccio magistris Beni de Turrita quod defurati fuerunt comunis de Torrita quosdam porcos, ut patet in folio II. de silva Ghinus Ugolini predictus condempnatus in L. libris} Ghinus Frederighi predictus condempnatus in L. libris}et quidam alii cum eis quilibet in quinquaginta libris, quia fuerunt accusati a dicto sindico quod defurati fuerunt quosdam porcos ut patet in folio II. b) Taccus olim Ugolini condempnatus in L. libris et quidam alii cum eo in eadem quantitate pro quolibet quia fuerunt accusati a Fuccio sindico comunis de Torrita quod fuerunt defurati de silva dicti comuni quosdam porcos ut patet in folio II. Taccus predictus condempnatus in L. libris et quidam alii cum eo in eadem quantitate pro quolibet quia fuerunt accusati a dicto sindico quod fuerunt furati quosdam porcos ut patet in folio dicto.

Doc. XXI. A.S.S., Biccherna, 88, c. LXXXXVIIII’, e. 90, c. 118.

a) Infrascritti sunt denarii datii duodecim denariorum pro libra, sive centum soldorum pro centenario impositi in civitate Senarum tempore potestarie domini comitis Guidonis de Battifolle [1285] in primis sex mensibus sui regiminis. In primis de terzerio Civitatis. ……………………. Item XXX. soldos ad uxore olim Ugolini de Fratta, de libra Galgarie. b) In nomine Domini amen. Infrascripti sunt denarii recollecti in Biccherna comunis de datio IIII. librarum pro centenario qui pervenerunt ad manus donni Griffoli camerarii Comunis et domini Nesis iudicis et Fatii domini Ranerii Benacchi, Vitaleonis Altimanni et domini Filippi de Malavoltis IIII. Provisorum cominis Senensis in ultimis sex mensibus, tempore potestarie domini comitis Guidonis de Battifolle. Quod datium inceptum fuit ad colligendum de mense octobris in anno Domini MCCLXXXV., indictione XIIII. ab hominibus et personis infrascriptis. In primis de Terzerio Civitati………. Die Iovis VIII: novembris. ………… Item XXIIII. soldos die dicta ab uxore olim Ugolini de Fracta de libra Galgarie.

Doc. XXII. A.S.S., Biccherna, 88, c. LX’. 34

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[Entrate del I° semestre]. Item XII. denarios de saia que vendita fuit, quam acceperat Ghinus Tacchi.

Doc. XXIII. A.S.S., Biccherna, 88, c. 182’, c. 89, c. 188’, 189, 191’, 195. a) Item VIIII. soldos Piero Nunzio } Item VIIII. soldos Iohannino nuntio } pro eorum salario trium dierum quibus iverunt cum familia domini potestatis apud Torritam ad capiendum exbannitos et habuerunt apodixam a domoni potestate. b) Item XXVII. soldos per apodixam potestatis Paulino et Nerio et Salvuccio nuntiis comunis pro eorum salario duorum dierum et unius noctis quibus steterunt in valle Clane cum masnada ad capiendum Tacchum Ugolini. c) Item XL. soldos per apodixam potestatis duobus ribaldis qui guastaverunt seu occiderunt Tacchum Ugolini. d) Item V. soldos magistro Vive de mannaria pro salario suarum massaritiarum que commodavit cum fuit vastus Tacchus Ugolini. e) Item ….denariorum Iacobino, de quibus expendidit in oleo XIII. soldos quod fuit combustum pro guardia Sozzini domini Dei et pro custodia Tacchi et pro vectura unius ronzini pro Taccho et pro funibus ad ligandum Tacchum et pro una firmatura unius hostii cucine domini comitis [Guidonis de Battifolle].

Doc. XXIV. A.S.S., Consiglio Generale, 31, c. 32. Die XIIII. maii [1286]. In nomine Domini amen. Cum audiveritis legi in presenti consilio petitionem porrectam coram dominis XV. a comuni et hominibus de Torrita … In Dei nomine consulatis. Forma autem petitionis dicti comunis Turrite hec est: Coram vobis dominis XV. Gubernatoribus et Defensoribus comunis et populi Senarum proponunt et dicunt comune et homines de Torrita, quod ipsum castrum fuit ingne combustum sicut scitis et scitur per totam provinciam et in ipsa combustione admiserunt omnia corum bona mobilia et quasi disperati non posse castrum reficere remaserunt propter paupertatem et inopiam victualium et omnium rerum necessarium ad vitam hominum, nam sunt in tanta necessitate quod vix vivunt et aliqui recesserunt querendo et mendicando vitam corum et aliqui alii in terris circumstantibus et consanguineis et amicis licet defective substentaverunt. Quare supplicant vobis humiliter et devote quod vobis placeat dictos comune et homines aiuvare et corum miserie providere et vestrum ausilium exibere, ad hoc ut possint ad dictam terram et castrum redire et in ea stare et permanere ad servitium et honorem comunis Senensis et specialiter quod dictum comune et homines non teneantur facere vel prestare aliquam exationem vel factionem eis impositam a comuni Senensi vel que a predictis comuni et hominibus de Torrita debentur comuni Senensi, et quod detis et concedatis eisdem immunitatem et exentionem in futurum de non solvendo vel prestando aliquas exationes vel factiones comuni Senensi pro eo tempore quod vobis videbitur conveniens et quod possit tante eorum miserie subveniri et provideri. Dominus Caulinus de Tolomeis consuluit et dixit super facto petitionis comunis de Torrita, quod ipsum factum remaneat in dominis XV. et in aliis sapientibus quos secum habere voluerint, si quos voluerint habere. 35

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Consilium fuit in concordia cum dicto domino Caulino.

Doc. XXV. A.S.S., Biccherna, 92, c. 105’. Item III. libras XV. soldos Frederigo Iohannis notario pro residuo sui salarii pro quinque diebus quando stetit cum dicto Ciombra ad destruendum Podium sancte Cecile et ad Farnetellam et Battifolle per apodicam XV.

Doc. XXVI. A.S.S., Biccherna, 725, c. CCCCLXXXXII, CCCCLXXXXVIIII’, DXIII. Condempnationes facte tempore domini Bertolini potestatis senensis in anno Domini MCCLXXXVI. ….. Gaddus olim Gherandi de Prata, Ghinus Ugolini de Fracta de Torrita, Guerruczus de Prata, Ghinus filius Zaccarie de Prato, condempnati in persona et avere et plures alii cum eis quilibet in simili condempnatione, in folio dicto [377]. Niccolaus olim Gherardi de Prato, Nuccius Lucharini olim Ugholini de Torrita, Niccholuccius Renaldi Buongianni de Monterio, condempnati in persona et avere quia interfecerunt Tollum de Prato in folio dicto [377]. Comandellus familiaris Ghini de Torrita, Ciarlus magistri Ranuccii de Massa, condempnati in persona et avere ut continetur in folio CCCLXXVII.

Doc. XXVII. A.S.S., Biccherna, 97, c. LXXXVIII. Item VI. soldos Guidarello Iohannis nuntio qui ivit Treguadam et ad Montem Alcetum pro malefactoribus requirendis qui derobbaverunt stratam [die XXV augusti].

Doc. XXVIII.

A.S.S., Biccherna, 725, c. DLXXXII. Condempnationes facte tempore comitis Silvatici, secunda vice potestatis senensis, in anno Domini MCCLXXXVIII. …. Balduccius Francesci Bugiadri de Torrita (cassus in libro Clavium). Bichus de Rosso Catenacci de Aritio qui moratur ad Torritam, condempnati in MMCCCC. libris, videlicet quilibet in MCC. libris, quia ceperunt Cennem de Podio Bonizi et ipsum duxerunt ligatum in quamdam silvam et fregerunt ei crus ut patet in folio CXXXI.

Doc. XXIX.

A.S.S., Biccherna, 725, c. DLXXXXII, DLXXXXVII. Condempnationes facte tempore comitis Silvatici, secunda vice potestatis senensis, in anno Domini MCCLXXXVIII. Frederigus Ugolini de Fracta condempnatus in CL. libris et plures alii cum eo quilibet in centumquinquaginta libris, quia fuerunt accusati a Francescho Rimbaldi de Bettollis quod fecerunt insultum in cum et combuxerunt quandam cappannam ut patet in folio CXVIII.

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Doc. XXX.

A.S.S., Biccherna, 725, c. DLXXXXV.

Condempnationes facte tempore comitis Silvatici, secunda vice potestatis senensis, in anno Domini MCCLXXXVIII. Ghinus Tacchi de Torrita condempnatus in M. libris quia cum aliis suis sequacibus fuerunt insultum in stratam publicam in districtu Santi Quirici et ceperunt et vulneraverunt Leuccium Boni ut patet in folio LXXXX.

Doc. XXXI.

A.S.S., Biccherna, 725, c. DCLV.

Condempnationes facte tempore domini Baronis de Sancto Miniate potestatis et capitanei comunis senensis in anno Domini MCCLXXXVIIII ……… Ghinellus Leonardi de Chiusure, Casinus Bernardini de Chisure, Ghinus Ugolini et Chinellus Frederighi de Fracta, Cecchus Guidi sartor de Serris, condempnati in persona et avere quia stenterunt in castro de Chisure cum inimicis et rebellibus comunis et fecerunt guerram comini senensi, ut patet in folio LXXXVII.

Doc. XXXII.

A.S.S., Biccherna. 725, c. DCLVIII.

Condempnationes facte tempore domini Baronis de Sancto Miniate potestatis et capitanei comunis senensis in anno Domini MCCLXXXVIII. … Infrascripti sunt qui non iuraverunt mandata domini capitanei et sequentium populi, scripti per terzeria et per contratas ut inferius continetur… De terzerio Camollìe, Libra sancti Donati…. Duccius Boninsegne in folio LI.

Doc. XXXIII.

A.S.S., Biccherna, 725, c. DCCXX’.

Condempnationes facte tempore domini Acchoremboni de Tollentino potestatis senensis in anno Domini MCCLXXXX. ….. Ghinus Tacchi de Torrita et quidam alius cum eo condempnatus in avere et persona ut patet in folio CLVI.

Doc. XXXIV.

A.S.S., Biccherna, 106, c. 116’, 117’.

a) Item VII. libras die dicta [20 luglio] ser Iohanni Ildibrandini notario, videlicet V. libras denariorum pro eius salario IIII. dierum unius ambassiate quam fecit in servitium comunis cum ambassiatore comunis Florentie ad videndum et declarandum locum ubi facta fuit robbaria mercatorum de Florentia ad rationem XXV. soldorum per diem cum duobus equis et pro instrumentis que fecit pro comuni senensi in dicto itinere

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et denariis quos dedit nuntio comunis qui ivit cum eo ad requirendum homines de contrata per apodixam XVIII. b) Item XXX. soldos die vigesima settima iulii domino Bandino. Item XXX. soldos die dicta domono Ugoni de Fabris. Item XXX. soldos dicta die domino Recupero iudici, per apodixam XVIII. pro corum salario consilii lati per eos super questione et petitione robbarie facte mercatoribus florentinis in districtu Montis Poliziani.

Doc. XXXV.

A.S.S., Biccherna, 725, c. DCCLVIII.

Infrascripte sunt condempnationes facte tempore domini Pini de Vernaciis capitanei comunis et populi et etiam condempnationes facte tempore dicti domini Pini potestatis senensis extracte et exemplate de libris Clavium, qui liber dicitur liber de F. in anno Domini MCCLXXXXI. …… Ghinus Ugolini de la Fracta, Guccius Cecchi vocatus Giollarinus de Torrita, Ghinellus Frederighi et plures alii cum eis, quilibet eorum in persona, silicet quod suspendantur per gulam ita quod moriantur, ut patet in folio dicto [9b].

Doc. XXXVI.

A.S.S., Biccherna, 107, c. 166.

Item DCCLXXIIII. libras XXII. soldos in CCCCVI. florenis auri et XX. soldis denariorum parvorum Manino olim Busiadri de Torrita conistabili masnade comunis senensis pro paga sua et XXII. equitum sue constabilie, se in eo computato, pro paga duorum mensium incipientium die X. mensis aprilis et finiensium die X. iunii, scilicet pro paga dupla sue persone et pro paga trombette sive tamburelli ad rationem C. soldorum pro mense pro trombetta sive tamburello et VIII. florenorum auri pro mense pro quolibet equite. Que paga esse debebat in summa CCCCXVI. florenorum auri et X. librarum denariorum senensium in minutis, de quibus excomputati sunt XXVIII. libre denariorum pro quibusdam equitibus qui non fuerunt scripti ea die qua alii scripti fuerunt.

Doc. XXXVII.

A.S.S., Biccherna, 725, c. DCCCLXXXXII.

Condempnationes facte tempore domini Rodulfi de Varano potestatis senensis in anno Domini MCCLXXXXII. …. Ser Nerius notarius de Travale condempnatus in MM. libris et plures alii cum eo in eadem quantitate pro quolibet, quia hostiliter equitaverunt et fecerunt insultum ad domum domine comitisse Margarite filie domini Guillelmi de Prato uxorem quondam domini Alberti de Campillia et ipsam domum violenter intraverunt rapientes per vim etc., ut paret in folio LXXXXIIII.

Doc. XXXVIII.

A.S.S., Biccherna, 725, c. DCCCLXXXXIIII.

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Condempnationes facte tempore domini Bernardini comitis de Conio potestatis senensis in anno Domini MCCLXXXXIIII. Indictione VII et VIII …. Balduccius filius Franceschini del Bugiadro de Torrita condempnatus in CCCCL. libris ex eo quod ipse armatus armi offendibilibus et defendibilibus fecit insultum contra Puccium Simonis de Torrita et ipsum percussit cum dictis armis ita quod sanguis exivit, folio LXXXXIIII.

Doc. XXXIX.

A.S.S., Biccherna, 725, c. DCCCCXIII’.

Condempnationes facte tempore domini Bernardini comitis de Conio potestatis senensis in anno Domini MCCLXXXXIIII. inditione VII. et VIII. …. Puccius vocatus Giollarinus filius Cecchi de Sopra de Torrita, familiaris Ghini Tacchi, condempnatus in CC. libris quia ipse cum quibusdam aliis fuit defuratus Andree de Villa Gioi conestabili comunis senensis duos equos, C. florenos auri et pluri in castro de Asinalongha, folio CCXVI.

Doc. XL.

A.S.S., Podestà, 2, c. 64.

In Dei nomine amen. Hic est liber sive quaternus continens exbannitos et nomina exbannitorum pro infrascriptis excessibus, melefitiis, delictis vel quasi civitatis Senarum, factus et compositus tempore potestarie nobilis et potentis militis domini Guicciardi de Ciaccis de Papia honorabilis potestatis Senensis civitatis sub examine sapientis viri domini Petracii Piscarii iudicis dicti domini potestatis et comunis Senarum ad malefitia comitatus deputati, et scriptus per me Rodulfum Bandinelli de Prato notarium tunc maleficiorum suprascripti comunis super comitatu, sub annis Domini MCCLXXXXIIII° et quinto, indictione VIIIª. …………………………………………………………….. Fazius ser Bernardi, Tuccius Torcichonis, Senisellus de Sancta Fiore, Ciuolus Schotti de Monticchielli, Landus domine Zoie de Tentennano, Nerius de Radicofani, Caczia de Montecchielli, Storus faber, Ugolinuccius Nuove de Grecta qui morantur in curte, ipsi et quilibet eorum exbanniti fuerunt ad bancum curie maleficiorum per Ciardum preconem comunis Senarum cum tuba integra die XVI. aprilis in libris duecentis denariorum senensium pro quolibet eorum ex parte domini potestatis et presente et mandante dicto iudice, ex eo quod citati et requisiti fuerunt legitime per Rusticum Romei numptium comunis Senarum quod venirent ad se excusandum et defendendum a quadam inquisitione que fit contra eos et quemlibet eorum tamquam contra homines et persona qui loco et tempore dicta inquisitiuone contentis habuerunt certam partem robarie facte et commisse per Ghinum Tacchi et dederunt auxilium et favorem ipsis derobationibus et non venerunt ipsi vel aliquis pro eis coram nostro iudice maleficiorum; set passi fuerunt se poni in banno predicto, in quo incurrerunt contumaces stantes. Quo quidem banno exire non possint nisi fecerint et solverint que facere et solvere tenentur secundum formam statutorum senensium, presentibus testibus ser Fazio Megalocti et ser Lapo Peldiritti notariis tunc maleficiorum dicti comunis.

[Le annotazioni del repertorio delle condanne citate a nota 58 ripetono individualmente le comminazioni delle stesse pene].

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Doc. XLI.

A.S.S., Biccherna, 725, c. DLXX’, Podestà, 2, c. 84.

a) Infrascripte sunt condempnationes facte tempore domini Guicciardi de Ciaccis de Papia potestatis senensis in anno Domini MCCLXXXXIIII. et LXXXXV, inditione VIII. ….. Buccius Guictonis de Serris condempnatus in CCCCC. libris quia per proditionem tractavit dare Ghino Tacchi et aliis inimicis comunis senensis castrum de Seriis, folio CXXXI.

b) Die XV. Iunii. Buccius Guictonis de Serris. Quoniam contra eum et quosdam alios de dicto loco processum fuit per inquisitionem ex officio dicti domini potestatis, de eo videlicet quod ipse Buccius cum aliis in inquisitione contentis, die et loco in inquisitione contento, in dampnum et preiudicium et dedecus comunis et populi senensis et contra honorem dicti domini potestatis et comuni senensis et in detrimentum et contra honorem et exaltationem sante Romane Ecclesie, habuit colloquium et trattatum et tractavit et ordinavit cum Ghino Tacchi rebelle et inimico manifesto comunis et populi senensis et totius Romane Ecclesie et cum aliis inemicis et adversariis dicti comunis dare et tradere per proditionem dicto Ghino et aliis inemicis dictis castrum dictum de Serris, ad hoc ut dictum castrum subverterent a devotione et fidelitate Romane Ecclesie, et alia fecit que in dicta inquisitione continetur. Quapropter citatus et requisitus fuit legiptime secundum formam statutorum senensium quatinus certo termino tam clapso comparere deberet coram domino Scotto iudice maleficiorum comunis senensis ad se exusandum et defendendum ab inquisitione predicta et non venit set contumax extitit et se permisit poni in banno die XV. iunii quingentarum librarum denariorum senensium parvorum per Niccolinum Fave publicum bannitorem dicti comunis de mandato domini potestatis predicti, presentibus domino Scotto iudice suprascripto mandante ad bancum maleficiorum dicti comunis de quo banno exire non possit nisi primo solverit dicto comuni intergraliter totum bannum.

Doc. XLII:

A.S.S., Biccherna, 725, c. DCCCCLXXIII, DCCCCLXXVI’, DCCCCXXXII’, DCCCCLXXXVII, DCCCCLXXXXVIII’, DCCCCXXXXII’, DCCCCXXXXVII.

a) Infrascripte sunt condempnationes facte tempore domini Guicciardi de Ciaccis de Papia, potestatis senensis, in anno Domini MCCLXXXXIIII et LXXXXV., indictione VIII. Cinellus Scutei, qui moratur in curia de Montecchielli, Caccia de Montecchielli, condempnati quilibet corum in C. libris quia ipsi cum quibusdam aliis dederunt et prestiterunt consilium, auxilium et favorem Ghino Tacchi et aliis derobbatoribus ad committendum robbariam, folio LXXXXIIII. ……………………. b) Fatius ser Berardi, qui moratur in curia de Montecchielli, condempnatus in C. libris etc. …. [come sopra]. …………………… c) Landus domine Zoie de Tentennano, condempnatus in C. libris quia ipse etc. [come sopra]. 40

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……………………. d) Nerius de Radicofani, condempnatus in C. libris quoniam ipse etc. [c.s.]. ……………………. e) Senesellus de Sancta Fiore, Cancellatus quia cancellata est eius condempnatio in libro Clavium. Stonus faber qui moratur a la Grocta, condempnati quilibet eorum in C. libris quia ipsi cum pluribus aliis etc. [come sopra]. …………………….. f) Tuccius Tortichonis qui moratur in curia de Montecchielli condempnatus in C. libris quia ipse etc. [come sopra]. ……………………. g) Ugulinuccius Nuove qui moratur alla Grota condempnatus in C. libris quia ipse cum pluribus aliis etc. [come sopra].

Doc. XLIII.

A.S.S., Podestà, 2, c. 327’.

Liber exbannitorum comunis Senarum pro maleficio …. Tempore domini Renaldi de Montoro civis narniensis honorabilis potestatis civitatis Senarum …. anno ad incarnatione Millesimo dugentesimo nonagesimo sexto…. Santorucius Carsidoni de Schorffiano contra quem processum fuit per modum inquisitionis ex officio domini potestatis et domini Guillielmi sui iudicis maleficiorum, quia ipse Santoruccius una cum aliis in ipsa inquisitione contentis vulneravit Guiduccium Ruffoli de Schorffiano ad mortem armis malvasiis, ita quod sanguis exivit, et postea dictus Guiduccium derobbavit, et etiam assotiavit Bindum comitem de Ripa in banno et condempnatione comunis senensis, et quia etiam de tempore et loco in ipsa inquisitione contentis tractavit et ordinavit cum Ghino Tacchi in banno comunis senensis et aliis inimicis comunis senensis tradere terram de Schorffiano et ipsam dare dicto Ghino et aliis inimicis comunis senensis, armando se cum aliis in ipsa inquisitione contentis. Qua de causa citatus et requisitus fuit bis et perentorie per Bindum Bartoli nuntium comunis senensis ut venire et comparere deberet coram dicto iudice ad se defendendum et excusandum a dicta inquisitione et pariturum mandatis domini potestatis et dicti iudicis et non comparuit ipse vel alia persona pro eo. Ideo exbannitus fuit in banno cominis senensis positus in avere et persona die vigesimo tertio mensis augusti per Uliverium Filippi publicum bannitorem comunis senensis publice palam et alta voce, sono tube permisso, ad banchum curie maleficiorum comunis senensis ex parte domini potestatis et de mandato dicti iudicis, nisi hinc ad tres dies proxime venturos compareret coram dicto iudice ad se defendendum et excusandum a dicta inquisitione. In quod bannum incurrit contumaciter existendo ut de predictis omnibus in actis dicti iudicis scriptis manu domini Foresis notarii plenius continetur. De quo banno perpetuo exire non possit.

Doc. XLIV.

A.S.S., Consiglio Generale, 52, c. 106’. 41

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De mercurii IIII. dicembris [1297]. In nomine Domini amen. Ex precepto nobilis militis Acti de Corinalto, Dei gratia honorabilis potestatis senensis et nobilis militis domini Cervii de Bovatteriis de Bonomia, eadem gratia honorabilis capitanei comunis et populi senensis, Generali Consilio Campane comunis et populi supradicti cum adiuncta quinquaginta per terzerium de radota in palatio dicti comunis ad sonum campane et vocem preconis more solito congregato, facta prius imposita de infrascriptis, de concientia et consensu domini camerarii et duorum ex quatuor Provisoribus dicti comunis apud palatium dicti comunis, secundum formam statutorum, prelati dominus potestas et capitaneus proposuerunt in dicto consilio et consilium petierunt. Cum ad audientiam dominorum Novem Gubernatorum et Defensorum comunis et populi senensis relatu pervenerit plurimorum, quod per dominum Ghinum Tacchi inter Asinalongam et Guardavallem construcbatur quedam fortellitia sive castrum, et ipsi domini Novem volentes de hiis scire plenarie veritatem, ad dictum locum miserunt aliquos bonos homines et legales per quos redacta fuerunt in scriptis ea que reperierunt de predictis, sicut legi audivistis in presenti consilio, super quibus dicti domini Nove per se ipsos noluerunt aliquid providere, sed habito consilio et tractatu super predictis cum pluribus sapientibus et bonis hominibus civitatis, extitit per eos concorditer stabilitum quod hec omnia ad presens consilium ponerentur et sicut super hiis placeret presenti consilio providere et ordinare ita fieret et deberet executioni mandati, quid super hiis et circa ea pro bono et pacifico statu civitatis, comitatus et iurisditionis senensis et ad evitandum omnem materiam dubii, scandali et erroris sit agendum, in Dei nomine consulatis. Meus Ormanni, super facto domini Ghini Tachi dixit et consuluit quod per dominos Novem cligantur IIII. boni homines et legales per terzerium, qui stare debeant in palatio comunis senensis et sentire et invenire novitatem que fit per dictum dominum Ghinum Tachi, et ea inventa et scita, postea super dicto negotio provideant, ordinent et faciant ea omnia que pro honore et statu cominis senensis viderint et congnoverint convenire. Et quicquid ipsi in ipso et de ipso negotio providerint, ordinaverint et fecerint observetur et fiat et executioni mandetur. …………………………………… Iacobus domini Renaldi Gilii, super facto domini Ghini Tachi dixit et consuluit quod pro parte comunis senensis precipiatur hominibus de contrata ubi fit dicta fortillitia sive castrum, et illi seu illis qui faciunt vel fieri faciunt dictum castrum, quod ipsi in dicto loco non faciant nec fieri faciant aliuquod fossum, carbonariuam, murum castellanum sive aliquam fortillitiam, et si predicti ab ipso precepto in antea fecerent vel fieri facerent novitatem, quod dominus potestas et capitaneus et Novem qui nunc sunt vel pro tempore fuerint mictant ad partes illas masnadam comunis, que masnada capiat personaliter quoscumque invenerit in loco predicto, et ipsis captis postea suspendantur per gulani ita quod moriantur. Et vult quod si ibi est facta aliqua novitas, preter muros domorum et domos, quod talis novitas usque funditus destruatur. ………………………………….. Tuccius Alexi, super facto domini Ghini Tachi consuluit quod pro parte comunis senensis per quemdam nuntium dicti comunis precipiatur illi seu illis faciunt vel fieri faciunt novitatem predictam, quod in ipso loco non faciant amplius novitatem, et si a dicto precepto in antea aliquid novi fieret, quod talis novitas destruatur expensis illorum qui talem facerent vel fieri facerent novitatem. Hoc salvo, quod si illi qui faciunt vel fieri faciunt ipsam novitatem voluerint camparere coram domino potestate et domino capitaneo et dominis Novem, et aliquid petierint ab eisdem, quod tunc fieri possit in eo loco id quod de ipsorum dominorum processit voluntate et non ultra. 42

GHINO DI TACCO DALL’ARCHIVO STORICO ITALIANO RENATO MAGI

………………………………… Iacobus Sardus dixit et consuluit super facto domini Ghini, quod super dicto negotio fiat scruptinium hoc modo: quicumque vult quod novitas facta et que fit per dominum Ghinum tollatur et destruatur et non procedatur ulterius in ipso facto, mictat palloctam in pisside albo, et quicumque vult quod fiat ipsa novitas et fieri possit, mictat palloctas in pisside nigro, et sicut tunc per palloctas obtentum fuerit, ita fiat et executioni mandetur. ………… …………………. Frederigus Renaldi de Tholomeis, super facto domini Ghini Tachi dixit et consuluit, quod dictum negotium totum remictit in domino potestate et capitaneo comunis senensis et quod super dicto facto, tam in faciendo destrui ipsam novitatem, quam dimictendo esse, procedant et faciant quicquid eis pro honore et statu comunis senensis viderint et congnoverint convenire, et quicquid ipsi in predictis et circa ea providerint et ordinaverint observetur et fiat et excutioni mandetur. …………………………….. Rustichetus Guidi de Cortabrochis, super facto domini Ghini Tachi dixit et consuluit quod quidam numptius comunis senensis, pro parte dicti comunis mictatur ad locum ubi fit novitas supradicta et per ipsum numptium precipiatur pro parte comunis senensis illi sive illis qui faciunt vel fieri faciunt novitatem predictam, quod ipsam novitatem et quicquid factum est in loco preedicto incontinenti destruatur et plus non faciant ullo modo. Et si per cum vel cos qui faciunt vel fieri faciunt novitatem predictam dictum preceptum observabitur et adimplebitur, bene quidem, alias dominus potestas et capitaneus conunis senensis omnino procurent et faciant sic et taliter quod dictum preceptum in omnibus observetur et executioni mandetur. ……………………………. Dominus Arrigus iudex syndicus dixit et consuluit quod quo parte domini potestatis senensis moneatur dominus Ghinus Tachi quod, cum dicta possessio ubi fit novitas supradicta sit comunis senesnsis, ipsam possesionem dimictat et ibi amplius non faciat aliquam novitatem et hoc fiat si reperitur quod dicta possessio sit comunis. Consilium fuit in concordia super facto domini Ghini Tachi cum dicto et arengamento Rustichini Guidi de Cortabrachis.

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GHINO DI TACCO DALL’ARCHIVO STORICO ITALIANO RENATO MAGI

Qui sotto la traduzione dei documenti fatta da Don Ferruccio Marcello Magrini nel suo primo libro ciclostilato 1985 “Giustizia per un bandito”, le cui scansioni sono riportate nella pag. 10 di questo libro. Come si può notare queste traduzioni corrispondono a ciò che Giovanni Cecchini scrive nel suo articolo e non al libro “La verità storica su Ghino di Tacco” dello stesso Magrini”:

AVVERTENZE

Come è stato accennato nella Premessa, i documenti d’Archivio riportati nella trascrizione dell’archivista Giovanni Cecchini sono complessivamente quarantanove. Di questi manoscritti, i primi quattro (Sono cinque, e non sono manoscritte ma stampate! In quella del 21marzo c’è il 1228 e il 1229), che appartengono al settore Diplomatico, sono stati omessi e risultano citati soltanto nelle Note, con il rispettivo riferimento della data e della provenienza. Per motivi di semplificazione, il suddetto archivista non ha ritenuto opportuno addentrarsi nel labirinto delle singole notizie che avrebbero condotto troppo lontano, intrecciandosi continuamente con la storia stessa di Siena. Coloro che fossero interessati ad approfondire l’argomento, possono compiere ricerche supplementari avvalendosi dei dati indicativi enunciati dallo stesso Cecchini e che qui di seguito riportiamo: A.S.S. Diplomatico, Riformagioni, 6 ottobre 1208. A.S.S. Diplomatico, Riformagioni, 6 dicembre 1208. A.S.S. Diplomatico, Riformagioni, 27 agosto1210. A.S.S. Diplomatico, Riformagioni, 21 marzo 1228/1229.

Da parte nostra, nel procedere alla stesura dell’elenco degli altri quarantacinque (quarantaquattro) documenti che costituiscono l’oggetto di questa seconda parte della monografia sebbene gli originali provengano da differenti scomparti dell’Archivio di Stato, abbiamo preferito attenersi al criterio della successione cronologica che offre il vantaggio di ristabilire l’ordine naturale secondo cui gli avvenimenti narrati effettivamente si svolsero. In caso diverso, se ci fossimo limitati a ricopiare separatamente i documenti contenuti nei registri del “Consiglio Generale”, della “Podesteria” e della “Biccherna”, si sarebbe perduta l’unità organica del racconto. Per quanto infine concerne la traduzione della lingua latina in quella italiana, è stata evitata una rigida trasposizione letterale del testo, nell’intento di aggirare l’ostacolo costituito dal semplice cambiamento del lessico, che avrebbe reso la lettura poco scorrevole e difficilmente comprensibile. La lingua latina, infatti, presenta una struttura del periodo del tutto diversa rispetto alla successione logica che è tipica delle lingue moderne; per di più, sintetizza in frasi concise il significato di un intero discorso, che necessita perciò di essere sviluppato mediante l’impiego di forme più articolate e di maggiore ampiezza. In ogni modo, la traduzione che viene proposta rispetta sempre la sostanziale fedeltà al documento originale.

DOC. n. 1. (Doc. n. II) Archivio di Stato di Siena (Sigla: A.S.S.). A.S.S. Sezione della Biccherna. Registro 47, capitolo 6. Questo documento iniziale, nel quale si fa menzione per la prima volta delle persone imparentate con la famiglia di Ghino, risale all’epoca in cui tra il comune di Siena e i 44

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Conti della Fratta si erano stabiliti rapporti di buon vicinato. Sebbene manchi la data, il documento è certamente anteriore al 1270, quando ancora era in vigore la tregua stipulata dal conte Ugolino di Guardavalle, che risulta vivente. In questo periodo, il Podestà di Siena fece ricorso al figlio secondogenito di Ugolino, incaricandolo come intermediario di recarsi a Orvieto per svolgere una importante missione diplomatica presso Roberto d’Angiò, re di Napoli e capo del partito guelfo in Italia. Ed ecco il testo tradotto: Il camerlengo (tesoriere della pubblica amministrazione) ha pagato in contanti 18 soldi a messer Ghino di Ugolino de’ Cacciaconti per essersi recato nella città di Orvieto con l’incarico di recapitare le lettere credenziali mediante le quali il Podestà di Siena garantiva la sicurezza dei nostri ambasciatori che si erano trasferiti nella Curia di quella località a rendere omaggio al re.

Qui vedo uno scambio di Documenti. Infatti il primo documento è quello che il Magrini mette per n. 2.

Doc. n. 2. (Doc.n. I) A.S.S., - Biccherna – Registro 709, Capitolo 10°. L’intervallo di tempo tra il primo ed il secondo documento è notevole. Lo stesso Cecchini avverte che gli antichi registri dell’Archivio di Siena sono incompleti e pieni di lacune. Lo scorrere inesorabile dei secoli ha lasciato le sue tracce, con evidenti ripercussioni anche sulla completezza della nostra cronistoria. Il testo della Biccherna si riferisce alle discordie insorte tra Tacco e lo zio Jacobino a seguito della spartizione dei beni di famiglia dopo la morte del conte Ugolino. Nel tentativo di comporre le divergenze tra i nipoti e lo zio, il podestà Orlandino di Canosa convocò a Siena gli interessati, i quali non riuscirono a mettersi d’accordo per la intransigenza di Iacobino. Vista l’impossibilità di arrivare a un compromesso, Tacco, non volendo sottostare al sopruso dello zio, abbandonò il palazzo di Giustizia sbattendo la porta. Si procurò in tal modo due condanne una di denari senesi 75 per i danni arrecati al feudo di Guardavalle, e la seconda di 100 denari per oltraggio al podestà che probabilmente parteggiava a favore di Jacobino.

Doc. n. 3. A.S.S., Biccherna. Registro 725, capitolo 73°. Con il terzo documento ha inizio per la nostra storia una nuova e ricca fonte di notizie, costituita dal registro n. 725 della Biccherna, che riporta le condanne pronunziate dal Tribunale di Siena dall’anno 1273 al 1282. Seguendo la traccia delle annotazioni diligentemente elencate dai notai del Comune, è possibile seguire lo sviluppo degli eventi nel corso della insurrezione armata condotta e guidata contro il governo guelfo di Siena dai fratelli Tacco e Ghino della Fratta, per la durata ininterrotta di circa un decennio. L’abbondanza delle informazioni che ci sono state tramandate dal Settore d’Archivio della Biccherna dipende dal fatto che i procedimenti giudiziari, in uso a quei tempi, comportavano la condanna della detenzione soltanto per i reati più gravi, mentre nella maggior parte dei casi si risolvevano in una multa da pagare in denaro contante. Era questo un sistema pratico e redditizio che, mentre da una parte evitava le spese per il mantenimento delle carceri, contribuiva dall’altra a rinsanguare le casse dello Stato. E poiché tutte le entrate pubbliche venivano amministrate dai Provveditori della Biccherna, tale procedura ha consentito agli storici di risalire alla conoscenza della natura dei reati e al nome di coloro che li avevano commessi.

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Per quanto concerne il contenuto del documento n. 3 che stiamo esaminando, constatiamo subito che la situazione politica in Valdichiana era completamente cambiata. All’antica collaborazione è subentrata un’aperta rottura non soltanto tra i feudatari della Fratta e la Repubblica di Siena, ma di riflesso anche con il paese di Torrita. Questo deterioramento è documentato dal testo del capitolo 73 che riproduciamo: Condanne pronunziate al tempo del signor Taddeo conte di Montefeltro e podestà di Siena, nell’anno del signore 1273 (gennaio-giugno). Chiarimbaldo di Tancredi da Torrita è stato condannato a pagare una multa di Lire 200 per aver ferito Tacco di Ugolino, come appare dal foglio 146.

Doc. n. 4. A.S.S., Biccherna, 725, c. 72. La rivalità fra la famiglia della Fratta e quella dei Monaceschi Del Pecora di Torrita esplose con manifestazioni violente, com’è attestato dal capitolo 75 (72) del registro 725 della Biccherna: Condanne emesse al tempo del signor Taddeo conte di Montefeltro e podestà di Siena, nell’anno del Signore 1273 (gennaio-giugno). Buccio di Busgiadro da Torrita è stato condannato a pagare Lire 100 per aver assalito messer Tacco di Ugolino, scagliando pietre contro di lui, come appare dal foglio 147.

Doc. n. 5. A.S.S. Biccherna, 725, c. 174. La spirale nefasta delle ritorsioni e delle vendette ha ormai imboccato l’alveo del suo corso inarrestabile. Si giunge così al primo omicidio compiuto da Tacco. Il grave episodio è documentato dal capitolo 174 del registro 725 della Biccherna: Condanne comminate al tempo di Giacomo di Rudilio vice podestà di Siena, nell’anno del Signore 1276. Tacco della Fratta fu condannato alla pena pecuniaria di Lire tremila per aver procurato l’uccisione di Montanello di Bonaventura, come appare nel foglio 318.

Doc. n. 6. La contesa fra Torrita e la Fratta si estende, coinvolgendo un numero sempre crescente di persone. E di rimando, le condanne da parte delle autorità senesi piovono sempre più fitte. Ne abbiamo la prova nei tre capitoli di questo documento che si riferisce al tentativo di dare alle fiamme l’abitato e al castello di Torrita. A.S.S., Biccherna. Registro 725, capitoli 189-191-205. Condanne pronunziate al tempo del signor Orlando di Bernardo Russi, e di Gherardo suo figlio, nell’anno del Signore 1277 (gennaio-dicembre). Capitolo 189. Ghino del fu Ugolino e Gerio di Lando Bonaccolti sono stati condannati ciascuno a pagare Lire 700 per avere assoldato una banda di sicari allo scopo di vendicare l’affronto subito e di punire con la morte Buccio figlio di Busgiadro, come risulta dal foglio 396 del registro di Biccherna. La pena è stata di seguito condonata a Gerio di Lando, e il suo nome cancellato dal Libro delle Chiavi per decreto del Consiglio Generale della Campana, perché il colpevole ha fatto atto di sottomissione al Comune, beneficiando in tal modo dell’amnistia prevista dagli ordinamenti. Capitolo 191. Tacco di Ugolino signore della Fratta, Tregianello fratello di Ventura Galleri, Tosino di Nicola, Ghezzo e Bargello figli di Mannio Sentinelli, tutti della Fratta; e inoltre Goso fratello di mastro Bartolo Salvucci delle Serre di Rapolano, Gero di Suffredi di Monte San Savin, Gero e Guerra di Rapolano, Ghezzo Marchi di Asinalunga, Bindo di Giacomo da Calceno, Ballante di Lucignano d’Arezzo sono stati condannati a

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pagare “in solido” (tutti insieme) la somma di Lire quattromila per aver tentato di incendiare il castello e il borgo di Torrita, come risulta dal foglio 406 del registro. Capitolo 205. Guccio di Guido Giusti delle Serre di Rapolano è stato condannato a pagare la pene pecuniaria di Lire cinquemila per aver ucciso il comandante del castello di Torrita, messer Giacomo, come è attestato dal foglio 425 del registro. (In questo articolo vedo omissioni e, forse, qualche aggiunta)

Doc. n. 7. A.S.S. – Biccherna. Registro 725, capitolo 217°. Condanne pronunziate al tempo del signor Matteo di Madio da Brescia, podestà di Siena, nell’anno del Signore 1278. Tacco figlio del fu Ugolino della Fratta è stato condannato a pagare Lire mille di denari senesi, e suo fratello Ghino è stato anch’egli condannato a pagare uguale somma per aver ucciso Andrea di mastro Giacomo, come appare dal foglio 494 del registro. Parimente, il suddetto Tacco del fu Ugolino della Fratta, in concorso col fratello Ghino e con Cecco detto il Grosso, sono stati condannati a pagare Lire duemila di denari senesi a testa per aver procurato la morte di Rinaldello Buonaiuti, come appare dal foglio 494.

Doc. n. 8. A.S.S. – Biccherna. Registro 725, capitolo 217 (228). Condanne emesse al tempo del signor Matteo di Madio da Brescia, nell’anno del Signore 1278. Numerose persone residenti nel territorio della Fratta vennero condannate a pagare in solido Lire duemila per aver aiutato Tacco e Ghino, figli del defunto Ugolino, nell’uccisione di Andrea di mastro Giacomo e di Rinaldello Bonaiuti, dei quali si è fatto cenno nel documento precedente. (In questo documento è stato tradotto soltanto il secondo comma)

Doc. n. 9. A.S.S., Consiglio Generale, 22, c. 17. Mentre le registrazioni che abbiamo fin qui riportate, provenendo dal settore della Biccherna, rivestono un carattere prevalentemente amministrativo, il manoscritto che ora riproduciamo assume un valore documentale di natura diversa in quanto fa parte della gestione politica dello Stato. Si tratta, infatti, del primo dei dieci verbali che hanno per oggetto le deliberazioni prese dal Consiglio Generale della Campana in merito alla guerra in Valdichiana, con specifica attinenza al ruolo svolto dai componenti della famiglia della Fratta e alle imprese compiute da Tacco e successivamente dal figlio Ghino. All’ordine del giorno vengono proposte ancora una volta le implacabili rivalità tra Torrita e la Fratta. A.S.S. – Consiglio Generale della Campana. Registro 22, verbale n. 17. Domenica 7 agosto 1278. I capitani delle contrade e i trentasei Priori si sono raccolti in assemblea plenaria nel Palazzo del Podestà, durante la quale è stato deliberato, con il pieno consenso di tutti i partecipanti, di adottare provvedimenti urgenti per la difesa del castello e del paese di Torrita e per ristabilire l’ordine pubblico gravemente turbato dalle discordie e dagli omicidi che avevano funestato l’intera regione nel corso degli ultimi tempi. A tale scopo, si è stabilito di inviare senza indugio in Val di Chiana un distaccamento di soldati sotto il comando di un conestabile del Comune di Siena, allo scopo di presidiare Torrita e respingere gli attacchi provenienti dal limitrofo territorio della Fratta. Fu inoltre diffidato il Comune rurale di Rigomagno a non accogliere e offrire rifugio ai masnadieri assoldati da Tacco del fu Ugolino, per non incorrere in severe sanzioni, minacciando 47

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quest’ultimo di emettere a suo carico pubblico bando e di espellerlo dallo Stato senese, nel caso che avesse continuato per l’avvenire a tendere insidie contro Torrita e a molestare le popolazioni del suo contado.

Doc. n. 10. A.S.S. – Consiglio Generale della Campana. Registro 23, verbali n.8 e 12. Mercoledì, 13 luglio 1279. Nel nome del Signore amen. Il Consiglio dei dodici Probiviri65, nuovi e vecchi del Comune della città di Siena, riuniti secondo l’abitudine nel Palazzo Ugurgieri residenza del Podestà, dopo aver ascoltato la relazione verbale fatta dal signor Podestà Corrado da Orvieto in merito agli agguati, alle insidie e alle violenze compiute nei giorni scorsi da Tacco della Fratta e dal fratello minore Ghino, congiuntamente ai loro seguaci, con gravi danni al castello e al centro abitato di Torrita, convennero di pieno accordo che il signor Podestà avrebbe dovuto inviare a Torrita il signor Gualtiero Rinaldini con dieci soldati del contingente francese di stanza a Siena (milites de masnada francigena), da mantenere sul posto a spese degli abitanti di Torrita, per garantire la sicurezza di quella terra contro gli assalti condotti da Tacco, da Ghino a dai loro masnadieri. Contemporaneamente si sarebbero inviati diversi ambasciatori a Firenze, Arezzo, Lucignano e Monte San Savino con il compito di far recapitare ai magistrati di quelle località una energica protesta con diffida di non accogliere, e tanto meno prestare aiuto, a quei ribelli nemici dello Stato senese. Verbale n. 12 – Martedì, 1° agosto 1279. Nel nome del Signore amen. Il Consiglio dei trentasei Priori e degli Ufficiali delle truppe senesi presentarono una interpellanza al signor Podestà perché si conducesse una inchiesta nell’intento di individuare e punire i delegati della pubblica sicurezza che non avevano impedito ai fratelli Tacco e Ghino, figli del conte Ugolino della Fratta, di penetrare nel territorio di Torrita, e di assalire il castello senza incontrare resistenza, lasciandoli poi liberi di mettersi impunemente al sicuro nei loro rifugi. La loro colpevole trascuratezza aveva indirettamente facilitato l’espugnazione del castello e l’eccidio degli abitanti di Torrita.

Doc. n. 11. A.S.S. – Biccherna. Registro 725, capitoli 238, 245, 248, 260, 267 e (268). Di questo documento, contrassegnato con il numero progressivo II (?), abbiamo già fatto menzione nel terzo paragrafo della Premessa, a proposito della discussa cittadinanza di Ghino di Tacco. Il padre e lo zio del bandito, nel capitolo 245, vengono infatti indicati come originari di “Torrita” (Tacchus et frater eius Ginus de Turrita) mentre nei successivi capitoli 260 e 267 si precisa che Tacco e il fratello Ghino erano figli del conte Ugolino signore della Fratta. Capitolo 238. Condanne pronunziate al tempo del signor Gherardo da Brescia, podestà di Siena nell’anno del Signore 1279. Cecco di Giacomo, soprannominato Cecco Grasso, residente nella Pieve di San Giovanni (quartiere dietro il Duomo di Siena), fu condannato con i suoi briganti a pagare diecimila denari senesi con l’imputazione di essersi lasciato corrompere da Tacco di Ugolino per assassinare Busgiadro signore di Torrita come appare nel foglio 533.

65 Collegio di cittadini incorrotti che venivano eletti per svolgere la funzione di arbitri in controversie di natura economica o politica. 48

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Capitolo 245. Tacco e suo fratello Ghino di Torrita, oltre alla pena capitale, furono anch’essi condannati alla stessa multa di diecimila denari per aver tramato e corrotto Cecco Grasso (dove l’ha trovato?) inducendolo a colpire e a uccidere Busgiadro Del Pecora, come risulta dallo stesso foglio n. 533. Capitolo 248. Guidarello di Alessandro da Orvieto fu condannato a pagare Lire duemila per aver condotto i suoi soldati in aperta battaglia e a bandiere spiegate contro il castello di Torrita, nel corso del quale rimasero feriti Dino Martini e gli altri difensori, come è testimoniato dal foglio 536 (596). Capitolo 260. Per essere intervenuto con le sue truppe nella spedizione contro Torrita, venne condannato al pagamento della stessa somma di Lire duemila anche il condottiero Orlando Crispoliti residente nella località di Coltello, giunto in aiuto di Tacco e di Ghino figli di Ugolino della Fratta. (E uccisero Dino figlio di Martini come è scritto nel foglio 596). Capitolo 267. La medesima cifra di Lire duemila fu inoltre addebitata dal tribunale di Siena a Tuccio de Gaenne, anch’egli assoldato dai fratelli Tacco e Ghino della Fratta per condurre numerosi rinforzi dalla contea di Arezzo. Questi tre condottieri condannati tutti alla stessa pena facevano parte di quelle compagnie di ventura che si andarono moltiplicando nei secoli XIV e XV e che si misero a disposizione dei vari signori locali passando indifferentemente a servizio dell’uno o dell’altro con la sola scelta del miglior offerente.

Doc. n. 12.

A.S.S. – Biccherna. Registro 725, capitolo 268° (265). Seguito delle condanne pronunziate al tempo del signor Gherardo da Brescia, podestà di Siena nell’anno del Signore 1279. Ranuccio e suo fratello Zeppe di Asinalunga furono condannati a pagare duecento Lire di denari senesi per aver offerto asilo e aiuti ai parenti Tacco e Ghino della Fratta, banditi dallo Stato di Siena dopo l’assalto al castello di Torrita, come risulta dal foglio 582.

Doc. n. 13. A.S.S. – Biccherna. Registro 725, capitolo 270°. (A.S.S., Biccherna, 75, c. I’.) I Provveditori della Biccherna riscossero Lire trenta dal Comune di Torrita come stipendio dei dieci soldati francesi che prestarono servizio per otto giorni a difesa del castello. La somma fu portata ai Provveditori dal comandante della “masnada”, chiamato Pace da Fermo.

Doc. n. 14. A.S.S. – Consiglio Generale della Campana. Registro 23, verbale n. 21. Martedì, 22 agosto 1279. Il Consiglio dei Capitani militari e dei trentasei Priori fu convocato per la seconda volta nel mese di agosto per stabilire le modalità di finanziamento delle truppe inviate in Val di Chiana con il compito di riportare l’ordine in quella regione divenuta teatro di violenze e di omicidi. Alla unanimità fu stabilito che i Comuni di Torrita e delle Ripe (e di Sinalunga), se volevano prorogare la permanenza del condottiero senese e della sua compagnia di ventura nelle loro terre, avrebbero dovuto assumersi il mantenimento del presidio militare a totale loro carico.

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Doc. n. 15. A.S.S. – Consiglio Generale della Campana. Registro 23, verbale n. 26. Lunedi, 12 (19) settembre 1279. Nel nome del Signore amen. Nel palazzo Ugurgieri si raccolse il Consiglio dei Capitani delle contrade cittadine, su istanza e richiesta del signor Corrado, per grazia di Dio Podestà di Siena. Con procedura di urgenza, il suddetto Podestà notificò ai presenti la grave notizia che Tacco della Fratta stava per impadronirsi del paese di Torrita che gli sarebbe stato consegnato a tradimento con scadenza ravvicinata. Il giorno successivo, 13 settembre, vennero convocati anche i responsabili dei Terzieri e i dodici Probiviri per adottare le misure necessarie a fronteggiare la nuova pericolosa situazione che minacciava di instaurarsi in Val di Chiana.

Doc. n. 16. A.S.S. – Consiglio Generale della Campana. Registro 23, verbale 27. Martedì, 13 (19) settembre 1279. Nel nome del Signore amen. In ottemperanza alla richiesta del signor Podestà di Siena, nel giorno stabilito, ebbe luogo la pubblica assemblea con la partecipazione dei Comandanti militari, dei trentasei Priori e dei dodici Probiviri per ciascuno dei Terzieri di città, i quali di comune accordo adottarono le risoluzioni seguenti: il Capitano di parte Guelfa, insieme a due rappresentanti da eleggere per ogni Terziere avrebbero dovuto restare permanentemente agli ordini del signor Podestà allo scopo di intervenire con prontezza ed efficacia nel fronteggiare ogni nuovo sviluppo che poteva sopraggiungere nella caotica situazione venutasi a creare in Val di Chiana, e particolarmente a Torrita, per colpa dei due fratelli Tacco e Ghino della Fratta. In caso di estremo bisogno, si sarebbe dovuto intervenire sul posto con una mobilitazione generale, dislocando i contingenti militari stanziati in altri settori a difesa dei confini. In secondo luogo, due ambasciatori abili e risoluti, da eleggersi tra i rappresentanti del popolo di Siena, sarebbero stati inviati immediatamente ad Arezzo per presentare ai Priori di questa città la vibrata protesta dei Magistrati senesi per l’appoggio dato ai Conti della Fratta non soltanto per l’occupazione di Torrita, ma anche per i danni arrecati agli abitanti di Rigomagno e di Lucignano dalla soldataglia sfrenata delle compagnie di Ventura provenienti da Arezzo, durante la loro marcia di avvicinamento. Nel corso dell’assemblea fu altresì stabilito di ordinare al signor Gualtiero Rinaldini di far subito ritorno a Torrita con truppe giovani e con la cavalleria per riconquistare il castello occupato e di rimanere a presidio della fortificazione, addossandone l’intero mantenimento al popolo di Torrita per l’importo giornaliero di 30 soldi di denari senesi.

Doc. n. 17. A.S.S. – Consiglio Generale della Campana. Registro 23, verbale 29. Mercoledì, 27 settembre 1279. Nel nome del Signore amen. Il Consiglio dei Capitani militari e dei trentasei Priori, riuniti nel palazzo Ugurgieri sede del Podestà di Siena, con la partecipazione dei delegati di Torrita e di Rigomagno, iniziarono trattative diplomatiche con il Cardinale Orsini, Legato pontificio, dichiarandosi pronti a raggiungere un accordo al fine di stipulare una pace sincera e durevole tra il Comune di Siena e gli stati confinanti e ristabilire in tal modo una convivenza pacifica in mezzo alle sventurate popolazioni della Valdichiana. A questo scopo fu inviato nella Curia del Cardinale il signor Giovanni Paganelli per condurre di persona il buon esito delle trattative.

Doc. 18. A.S.S. - Consiglio Generale della Campana. 50

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Registro 23, verbali 37 – 50 – 56. (Nell’originale quest’ultimo non c’è scritto). Mercoledì, 11 ottobre 1279. Verbale n. 37. Nel nome del Signore amen. Il Consiglio dei Capitani militari e dei trentasei Priori della città di Siena, prendendo atto che le trattative con il Cardinale si erano felicemente concluse con il ristabilimento della normalità del territorio di Torrita, deliberarono di pieno accordo di concedere licenza al signor Gualtiero Rinaldini per il suo ritorno nella città di Siena entro la prossima festività di tutti i Santi. Al posto del Rinaldini, sarebbe rimasto a Torrita il luogotenente Bonaccorsino al comando di un presidio composto di dodici soldati, ciascuno dei quali, durante la trasferta, avrebbe percepito la paga mensile di 40 (60) soldi di denari senesi, mentre Bonaccorsino ne avrebbe riscossi cento al mese. Questi salari dovranno essere pagati per intero dal Comune e dal popolo di Torrita. Al Bonaccorsino correva l’obbligo di esercitare diligente custodia e di tenere le chiavi della suddetta Terra (paese). Verbale n. 50. Martedì, 21 novembre 1279. Il Consiglio dei Notabili senesi, ritenendo ormai superata l’emergenza che aveva indotto a concentrare in Torrita un numero straordinario di Funzionari e di soldati, concesse anche a Poppo Martini di far ritorno alla sua sede di Montefollonico, e di riprendere le normali mansioni di rappresentante del Comune di Siena a spese del popolo dove egli esercitava il suo officio. Verbale n. 56. Sabato, 25 novembre 1279. I Capitani di Parte Guelfa e sei Probiviri, in presenza del signor Podestà, concordarono di scrivere al signor Gualterino, podestà di Torrita, per informarlo che nessuno degli Ufficiali presenti in detta Terra (non) avrebbe potuto intraprendere alcuna iniziativa senza l’esplicita autorizzazione del Governo di Siena, allo scopo di non rinfocolare le discordie e le risse da poco estinte.

Doc. n. 19. A.S.S. – Consiglio Generale della Campana. Registro 25, verbale 28. Addì 10 novembre 1281. Nel nome del Signore amen. Si tenne in detto Consiglio Generale della Campana presieduto, in assenza del Podestà, dal giudice Angelo Imperatori, uomo saggio ed equilibrato che fungeva da Vicario al posto del nobile e magnifico Matteo Rossi (Rubei), podestà di Siena. Ristabilito l’ordine in Val di Chiana a seguito della pace stipulata dai Magistrati senesi con il Cardinale Orsini della Curia Romana, il Comune di Siena ebbe via libera per procedere alla seconda fase della “Normalizzazione” diretta a infliggere una punizione esemplare a tutti coloro che erano stati i promotori e gli esecutori materiali dei disordini e delle violenze. Allarmati dalla minaccia della repressione, gli antichi alleati dei signori della Fratta si dettero alla fuga per evitare di cadere prigionieri delle truppe senesi, e si rifugiarono nella maggior parte in Maremma, barricandosi nel castello di Torre Marittima sotto la protezione dei Pannocchieschi, tenaci ghibellini e perciò avversari del Governo Guelfo di Siena. Non avendo la possibilità di resistere con la forza contro milizie preponderanti e bene addestrate, anche i fratelli Tacco e Ghino dovettero abbandonare il palazzo residenziale della Fratta e cercare rifugio presso i cugini Cacciaconti signori di Sinalunga. Furono accompagnati nella triste sorte di profughi che li attendeva dal fratello più piccolo Federigo e da alcuni parenti di famiglia tra i quali Mino, Alberigo, Giacomo e Nuccio. I Magistrati di Siena, non essendo riusciti ad arrestare i colpevoli per farli tradurre prigionieri in città, dove avrebbero dovuto essere processati e subire la pena capitale per 51

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ribellione armata contro l’autorità della Repubblica, non poterono fare altro che procedere alla confisca di tutti i loro beni, Non soddisfatto per questo provvedimento ritenuto non proporzionato alla gravità dei delitti commessi, prese allora la parola Rinaldo Tolomei, che aveva sconfessato la ribellione dei cugini della Fratta, il quale propose che tutti i fuggiaschi venissero dichiarati “banditi” dallo Stato senese: La proposta del Tolomei 66 fu accolta e approvata alla unanimità dei voti da tutta l’assemblea. (Non so quanto sia tradotto bene!).

Doc. n. 20. A.S.S. – Biccherna. Registro 725, capitoli 406,425. Condanne pronunciate al tempo del conte Guidone da Romena, podestà di Siena nell’anno del Signore 1282. Capitolo 406. Ghino del fu Ugolino e il nipote Ghinuccio di Federigo furono condannati entrambi a pagare una multa di Lire 50 a testa perché, mentre vivevano alla macchia con un gruppo dei loro seguaci, secondo la denunzia presentata alle autorità senesi da Fuccio, Sindaco del Comune di Torrita, avevano rubato un branco di suini che pascolavano nel bosco di proprietà comunale, come risulta dal foglio n. 2 del fascicolo. Capitolo 425. Per lo stesso reato di furto venne condannato anche Tacco del fu Ugolino della Fratta, che si trovava in compagnia dei suddetti banditi. Queste informazione costituiscono una prova indiretta che la vita alla macchia iniziava a far sentire i suoi disagi, e in primo luogo poneva l’urgenza di procurare il cibo necessario per sopravvivere, ricorrendo a tutti i mezzi, anche se illeciti.

Doc. n. 21. A.S.S. – Biccherna. Registro 788 (88), capitoli 98 (99), (90), 118. Capitolo 98. Nell’anno 1285 fu nominato Podestà di Siena il conte Guidone di Battifolle. Questi, nei primi sei mesi del suo governo, impose un dazio di cento soldi su ciascuno dei Terzieri di città, allo scopo di riportare in pareggio il pubblico erario rimasto in passivo per le spese sostenute dal Comune durante la guerriglia in Val di Chiana. E poiché nella città di Siena era tornata a stabilire la sua residenza la moglie del defunto Ugolino della Fratta, nonna paterna di Ghino di Tacco, il podestà impose all’anziana contessa una tassa straordinaria di trenta soldi e un successivo supplemento di 28 soldi, il cui pagamento venne registrato in data 8 novembre 1285. Capitolo 118. Lo stesso Podestà Guidone di Battifolle, nel secondo semestre del suo mandato, nominò revisori del Dazio da lui imposto i signori: Griffolo cancelliere del Comune, il giudice Nesio, Ranieri Benacchi, Vitalone Altimanni e Filippo Malavolti.

Doc. n. 22. A.S.S. – Biccherna. Registro 788 (88), Capitolo 160° (60°). Nella contabilità di questo registro risulta trascritta all’entrata anche la somma di 12 denari ricavati dalla vendita di uno stoccaggio di Saia sequestrata a Ghino di Tacco che ne era venuto in possesso nel corso di una rapina a un mercante nei pressi di San Quirico d’Orcia.

66 La famiglia Tolomei militò sempre nel Partito Guelfo, mentre i feudatari della Fratta furono tutti Ghibellini. Ciò spiega la difesa di Rinaldo a favore del governo guelfo di Siena, nonostante i vincoli di parentela. 52

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È questa la prima volta in cui appare, nei documenti d’Archivio, il nome del futuro castellano di Radicofani.

Doc. n. 23. A.S.S. – Biccherna, Registro 788 (88), capitoli 182, (c.89), 188, 189, 191, 195. L’anno 1285 fu un anno nefasto per la famiglia profuga della Fratta. Braccato da una caccia spietata durata quattro anni, Tacco venne catturato a tradimento dalle milizie senesi, trasferito a Siena, sottoposto a processo dal giudice aretino Benincasa da Laterina, e per ultimo decapitato pubblicamente nella Piazza del CampoLe varie fasi di questa raccapricciante vicenda si trovano riportate e descritte con burocratica freddezza nei cinque capitoli del Registro n. 788 (?) della Biccherna. Ci troviamo in presenza di una delle pagine più drammatiche e impressionanti dell’intera raccolta: macabro rituale dei condannati a morte. Capitolo 182. Pagati soldi otto ai capitani militari Piero e Giovanni come salario di tre giorni per essere andati con le truppe dal signor Podestà a Torrita per far prigionieri i banditi della Fratta. Capitolo 188. Item (inoltre), pagati soldi ventisette per ordine del Podestà agli ambasciatori del Comune: Paolino, Nerio e Salvuccio, come loro salario di due giorni e una notte durante i quali rimasero in Val di Chiana per prendere accordi sul modo di catturare Tacco di Ugolino. Capitolo 189. Idem soldi quaranta per ordine del Podestà come premio della taglia ai due delatori che fornirono notizie per far arrestare di sorpresa Tacco di Ugolino. Capitolo 191. Item denari tredici per il noleggio di un ronzino usato per il trasporto di Tacco a Siena, per l’acquisto delle funi con le quali legare il prigioniero e per la compera dell’olio consumato dalle lucerne durante la sorveglianza della guardia Sozzini nella prigione dove era stato rinchiuso Tacco in attesa del supplizio. Capitolo 195. Item soldi cinque per l’acquisto della mannaia dal fabbro Vive, che servì per l’esecuzione capitale di Tacco di Ugolino. La decapitazione era riservata ai nemici politici come segno eufemistico di riguardo: mentre i delinquenti comuni venivano giustiziati con l’impiccagione sulla forca. Il Podestà Guidone conte di Battifolle e i Magistrati del Comune di Siena poterono festeggiare la loro vittoria per essere riusciti a eliminare il principale esponente dell’insurrezione armata in Val di Chiana. Ma l’indomita resistenza dei feudatari della Fratta non era finita: in pratica, tutto si ridusse a un cambio di guardia. La lotta riprese infatti con rinnovato furore ad opera del giovane figlio di Tacco, Ghino, che tenne testa per altri dieci anni al Comune di Siena.

Doc. n. 24. A.S.S. – Consiglio Generale della Campana. Registro 31, verbale 32. A dì 14 maggio 1286. Nel nome del Signore amen. Dopo la scomparsa dalla scena politica di Tacco della Fratta, il Comune di Siena si trovò a fare i conti con la situazione disastrosa in cui era stata ridotta la regione della Valdichiana dopo venti anni di continui disordini e di rovinose distruzioni. La zona più colpita appariva senza dubbio quella di Torrita, dove maggiormente aveva infuriato la lotta che aveva condotto gli infelici abitanti alla totale

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rovina. Ne è prova eloquente l’appello che i Torritesi rivolsero, l’anno dopo la morte di Tacco, alle autorità di Siena: “Alla presenza di voi quindici signori Governatori di Siena, il Comune e il popolo di Torrita ricordano come il castello e il borgo di Torrita furono incendiati e distrutti dai nemici della Fratta. Come voi ben sapete, in quell’incendio, gli abitanti persero tutti i loro beni. Non avendo i mezzi per ricostruire le case e mancando perfino del necessario per vivere, si trovarono in uno stato di estrema miseria, per cui in gran parte furono costretti mendicare nei paesi vicini, o a chiedere alloggio presso i parenti e gli amici. Per tale motivo, supplicano umilmente i Signori del Comune di Siena di venire incontro alla desolazione di questo popolo in maniera che tutti possano far ritorno al proprio paese o almeno di sospendere per qualche tempo il pagamento delle tasse e delle altre imposizioni, usando in tal modo generosità verso coloro che sono rimasti sempre sudditi fedelissimi della Repubblica di Siena”. In risposta a questa petizione, il signor Caulino de’ Tolomei propose che la domanda rivolta dagli abitanti di Torrita venisse favorevolmente accolta ed esaudita. L’assemblea si dichiarò consenziente nell’approvare la proposta formulata dal signor Caulino.

Doc. n. 25. A.S.S. – Biccherna. Registro 792 (92), capitolo 105°. Furono pagate Lire 3 e soldi 15 al notaio Federigo di Giovanni a saldo del suo salario per i cinque giorni trascorsi a Farnetella e a Poggio Santa Cecilia per liquidare i beni fondiari dei Feudatari della Fratta, confiscati e venduti dal Comune di Siena come indennizzo delle spese contratte durante la campagna militare in Val di Chiana.

Doc. 26. A.S.S. – Biccherna. Registro 825 (725), capitoli 492, 499, 513. La morte di Tacco della Fratta segnò una svolta nella storia della lunga contesa tra il governo guelfo di Siena e l’insurrezione dei Ghibellini in Val di Chiana. Tale cambiamento si riflette anche nella documentazione dell’Archivio di Stato, dove si apre un capitolo nuovo rappresentato dal Registro n. 825 della Biccherna che, in sedici documenti, rievoca le imprese compiute da Ghino di Tacco tra il 1286 e il 1297. Il Registro N° 825 (725), che d’ora in poi prenderemo in esame, costituisce pertanto una biografia inedita e autentica, sia pure parziale, del futuro castellano di Radicofani. Capitolo 492. Condanne pronunziate al tempo del signor Bertolino podestà di Siena nell’anno del Signore 1286. Ghino di Ugolino della Fratta, Gaddo e Gueruzzo di Prata in Maremma e Gano figlio di Zaccaria anch’egli di Prata furono condannati nella persona e negli averi per aver espugnato, insieme con molti altri, il castello di Prata e ucciso il castellano Tollo, come appare dal foglio 377. Capitolo 499. Niccolò del fu Gerardo di Prata, Nuccio Lucarini della Fratta e Nicoluccio Rinaldi da Montorio furono condannati nella persona e negli averi per aver partecipato all’uccisione del castellano Tollo. Capitolo 513. Ghino del fu Tacco della Fratta di Torrita, insieme al suo servitore Comandello e a Ciarlo di mastro Ranuccio subirono la stessa condanna perché riconosciuti colpevoli del medesimo reato, come descritto nel foglio 377. Facciamo notare l’espressione contenuta nel testo latino di questo documento: “Ghinus olim Tacchi de Fracta de Turrita” per ribadire come il notaio comunale abbia 54

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voluto specificare che la località della Fracta si trova nella zona di Torrita, facilitandone in tal modo la conoscenza da parte dei cittadini senesi.

Doc. n. 27. A.S.S. – Biccherna. Registro 825 (97), capitolo 582 (88). Furono pagati soldi sei a Guidarello di Giovanni per essersi recato a Montalcino e a Trequanda come ambasciatore dei Magistrati di Siena allo scopo di indagare e identificare i malfattori che in data 25 agosto avevano assalito una carovana di mercanti lungo la Strada Romana.

Doc. 28. A.S.S. – Biccherna. Registro 825 (725), capitolo 588 (582). Condanne emesse al tempo del conte Silvatici, vice Podestà di Siena, nell’anno del Signore 1288. Balduccio figlio di Busgiadro da Torrita, già in passato espunto dal Libro delle Chiavi per aver usufruito del beneficio dalla non annotazione in considerazione del rispetto alla sua famiglia, ed inoltre Bico di Rosso Catenacci originario di Arezzo ma residente a Torrita, furono condannati alla pena cumulativa di Lire 2400 per aver catturato Cenne di Podio Bonizi (Poggibonsi) e, dopo averlo legato, lo trasportarono nel bosco dove gli furono rotte le gambe, come risulta dal foglio 131. Questi due personaggi, esecutori di un sequestro di persona con successiva rottura delle gambe del rapito, possono essere considerati gli anticipatori dei moderni terroristi che, per imprese del genere, hanno coniato il neologismo “gambizzare”.

Doc. n. 29. A.S.S. – Biccherna. Registro 825 (725), capitoli 592, 597. Condanne pronunziate al tempo del conte Silvatici, Vice podestà di Siena, nell’anno del Signore 1288. Federigo di Ugolino della Fratta fu condannato a pagare Lire 150, essendo stato accusato da Francesco Rimbaldi di Bettolle di essere stato insultato e di avergli bruciato una capanna, come appare nel foglio 118 del registro. Capitolo 597. Numerose altre persone subirono la medesima condanna, avendo prestato aiuto a Federigo della Fratta nell’incendio della sopraddetta capanna.

Doc. 30. A.S.S. – Biccherna. Registro 825 (725), capitolo 598 (595). Condanne fatte al tempo del conte Silvatici, Vicepodestà di Siena, nell’anno del Signore 1288. Ghino di Tacco della Fratta di Torrita fu condannato alla multa di mille lire perché, insieme a molti suoi gregari, attaccarono sulla pubblica strada di San Quirico il mercante Leuccio Boni, procurandogli ferite e facendolo poi prigioniero, come risulta dal foglio 190 (90) del registro.

Doc. n. 31. A.S.S. – Biccherna. Registro 825 (725), capitolo 655. Condanne pronunciate al tempo del signor Barone di San Miniato, Podestà e capitano del Comune di Siena, nell’anno del Signore 1289.

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Chinello Leonardi da Chiusure, Casino Bernardini anch’esso da Chiusure, Ghino di Ugolino e Ghinello di Federigo della Fratta, Cecco Guidi sarto delle Serre di Rapolano, furono tutti condannati nella persona e negli averi per essersi riuniti nel castello di Chiusure presso Asciano, dove si erano dati ritrovo i nemici del Comune di Siena, facendone una base di guerra per rovesciare il Governo guelfo della città, come è documentato nel foglio 197 (87) del registro.

Doc. n. 32. A.S.S. – Biccherna. Registro 825 (725), capitolo 658. Condanne inflitte dal signor Barone di San Miniato, Podestà e Capitano del Comune di Siena, nell’anno 1289. Coloro che si rifiutarono di giurare gli ordini del Capitano del Popolo vennero schedati nei registri dei Terzieri e delle Contrade, come sotto è specificato: del Terziere di Camollia, Registri della Parrocchia di San Donato…… Tra i renitenti appare anche il nome del pittore Duccio di Boninsegna, elencato nel foglio n. 251 (51).

Doc. n. 33. A.S.S. – Biccherna. Registro 825 (725), capitolo 720°. Condanne pronunziate al tempo del signor Accoremboni da Tolentino (Marche), Podestà di Siena nell’anno del Signore 1290. …. Ghino di Tacco della Fratta e un suo luogotenente furono condannati nella persona e negli averi come appare nel foglio 256 (156) del registro, per avere a più riprese e in luoghi diversi azioni criminose dentro il territorio dello stato senese.

Doc. n. 34. A.S.S. – Biccherna. Registro 825 (106), capitoli 726 (116), 727 (117). Condanne emesse al tempo del signor Pino da Vernaccia (??), Podestà di Siena e Capitano del popolo nell’anno del Signore 1291 Capitolo 726 (116). Il giorno 20 luglio furono pagate sette Lire al Notaio ser Giovanni Aldobrandini come salario di trasferta durata quattro giorni per aver compiuto un’ambasciata su commissione del Comune di Siena presso l’Ambasciatore del Comune di Firenze, insieme al quale fu compiuto un sopralluogo sul posto dove era stata compiuta una ruberia a danno di alcuni mercanti fiorentini. Furono inoltre pagati 25 soldi al giorno per noleggio di due cavalli usati nel viaggio dei due ambasciatori, i quali eseguirono una richiesta presso gli abitanti della contrada di Montepulciano in cui era stato commesso il reato allo scopo di accertare le prove fornite dai testimoni che si trovavano presenti sul luogo. Capitolo 727 (117). Il giorno 27 luglio dello stesso anno furono pagati 30 soldi al signor Bandino per la sua testimonianza. Altri 30 soldi furono assegnati al giudice Ugone di Fabro (???), il quale diresse il processo ed emise la condanna contro i responsabili del furto commesso in danno dei mercanti fiorentini del Distretto di Montepulciano. (Non ha messo in risalto la gravità di questo furto contro cittadini alleati di Firenze con le conseguenze che ne potevano derivare e che il Cecchini ci fa rilevare.)

Doc. n. 35. A.S.S. – Biccherna. Registro 825 (725), capitolo 758. Furono registrate le condanne pronunziate al tempo del signor Pino da Vernaccia, Podestà di Siena e Capitano del Popolo, estratte dai Libri delle Chiavi nell’anno del Signore 1291.

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Ghino (di Ugolino) della Fratta, Guccio Cecchi soprannominato Giollarino, Ghinello di Federigo e molti altri insieme a loro, riconosciuti colpevoli dei misfatti loro imputati e dichiarati impertinenti e recidivi, vennero condannati a morte e ad essere impiccati per la gola, come appare dal foglio 296 (96) del registro.

Doc. n. 36. A.S.S. – Biccherna. Registro 825 (107), capitolo 776 (166). Il Camerlengo del pubblico Erario effettuò il pagamento di alcune somme arretrate dovute per le spese compiute dal Comune di Siena al tempo dell’insurrezione nella Valle della Chiana. Lire 22, soldi 406, scudi fiorentini 20 furono assegnati al Conestabile della masnada senese, Mannino figlio del defunto Busgiadro Del Pecora signore di Torrita, a saldo della paga dovuta a lui e ai ventidue cavalieri della sua scorta, per la loro permanenza nel territorio di Torrita durante il periodo di due mesi, a iniziare dal 10 aprile fino al giorno 10 giugno. Con la stessa motivazione, vennero liquidati cento soldi anche al Trombettiere e al Tamburino che accompagnarono la spedizione militare.

Doc. n. 37. A.S.S. – Biccherna. Registro 825 (725), capitolo 842 (892). Condanne emesse al tempo del Signor Rodolfo da Varano, Podestà di Siena nell’anno del Signore 1292. Il luogotenente (Ser) Nerio da Radicofani (dove l’ha trovato Radicofani?) fu condannato a pagare duemila Lire e molti altri con lui nella stessa quantità per aver assalito con i loro cavalli e fatto irruzione nel palazzo della signora contessa Margherita, figlia del signor Guglielmo da Prata e vedova del signor Alberto de’ Visconti da Campiglia, e per averla sequestrata e portata via con la forza, come appare nel foglio 298 (94) del registro.

Doc. n. 38. A.S.S. – Biccherna. Registro 825 (725), capitolo 894. Condanne inflitte al tempo del signor Bernardino conte di Conio e Podestà di Siena nell’anno del Signore 1294, Indizione VII e VIII…… Balduccio filio di Franceschino del Busgiadro da Torrita fu condannato a pagare Lire 450 per essersi munito di armi da offesa e da difesa con le quali assalì e inferse gravi ferite a Puccio di Simone da Torrita, essendosi questi schierato dalla parte dei conti della Fratta ed avendo più volte fornito aiuti a Ghino di Tacco (Dove ha trovato Ghino di Tacco? E il foglio 94 dove lo ha lasciato?).

Doc. n. 39. A.S.S. – Biccherna. Registro 825 (725), capitolo 913. Condanne pronunziate al tempo del signor Bernardino conte di Conio e Podestà di Siena nella del Signore 1294, Indizione VII e VIII ….. Guccio, soprannominato Giollarino, figlio di Cecco (di Sopra) da Torrita, luogotenente di Ghino di Tacco, fu condannato alla multa di Lire 200 per aver derubato, con l’aiuto di altri, Andrea di Villa Gioi, conestabile del Comune di Siena, al quale furono portati via due cavalli e sottratti cento fiorini d’oro nei dintorni del castello di Asinalonga, come risulta dal foglio 316 (216) del Registro.

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Doc. n. 40. A.S.S. – Libro della Podesteria. Repertorio 2, capitolo 64. Nel nome di Dio amen. Questo Libro contiene ed enumera i nomi di coloro che sono stati dichiarati banditi ed espulsi dal territorio dello Stato senese per aver commesso gravissime violazioni, furti e delitti al tempo del valoroso comandante signor Guicciardo dei Ciacci di Papìa, onorevole Podestà di Siena. Le sentenze di condanna furono promulgate dal dotto Giudice podestarile Petracco Piscari incaricato di processare i colpevoli, essendo cancelliere del Tribunale il sottoscritto Rodolfo Bandinelli da Prata che ne registrò i verbali negli anni del Signore 1294 e 1295. Indizione ottava. Fazio di ser Bernardo, Tuccio Torcioni, Senisello di Santa Fiora, Ciuolo Scotti di Monticchiello, Lando del signor Zoie di Tentennano (Rocca d’Orcia), Nerio da Radicofani, Caccia di Monticchiello, Storo fabbro, Ugolinuccio residente nel casale denominato la Grotta, e numerosi altri fuorusciti vennero tutti dichiarati ribelli e banditi dal Tribunale della Curia di Siena. La loro condanna in contumacia fu portata a conoscenza della cittadinanza dal pubblico banditore Ciardo, il quale percorse le vie della città suonando la tromba durante l’intera giornata del 16 aprile 1295. I soprascritti banditi furono inoltre condannati per ordine del Podestà alla pena individuale di duecento denari senesi per aver preso parte alla ruberia commessa da Ghino di Tacco, aiutandolo nell’assalto contro il Connestabile di Siena, e alla quale furono presenti i testimoni messer Fazio Malagotti e ser Lapo Peldiritti entrambi notari senesi. L’archivista Cecchini aggiunge che le annotazioni del Repertorio delle condanne citate (a nota 58) ripetono individualmente le comminazioni delle stesse pene.

Doc. n. 41. A.S.S. – Biccherna. Registro 825 (725), capitolo 970 (570), Podestà, 2, c. 84. Le infrascritte condanne furono comminate al tempo del signor Guicciardo dei Ciacci di Papia, Podestà di Siena nell’anno del Signore 1294 e 1295, Indizione ottava. Buccio di Guittone delle Serre di Rapolano fu condannato a pagare Lire cinquecento per aver preso accordi segreti con l’intento di consegnare proditoriamente a Ghino di Tacco e ai suoi alleati, tutti nemici del Comune di Siena, il castello delle Serre, come appare dal foglio 331 (131).

Doc. n. 42. Nell’originale questo continua il capitolo 41 A.S.S. – Libro della Podesteria. Repertorio 2, capitolo 84, (Ecco perché al Magrini vengono 45 documenti!). A dì 15 giugno 1295, Indizione VIII. Sentenza emessa contro Buccio di Guittone delle Serre. Per ordine del signor Podestà di Siena fu aperto un processo istruttorio a carico del suddetto Buccio il quale, in combutta con altre persone del luogo, aveva intrapreso trattative riservate con Ghino di Tacco allo scopo di consegnare, dietro corresponsione di una cospicua somma di denaro, il munito castello delle Serre in contrada di Rapolano, con grave danno e pregiudizio del Comune e del popolo di Siena. Avuta ora notizia delle trame allacciate da detto Buccio con Ghino di Tacco, ribelle e nemico manifesto del Comune di Siena, il giudice del Tribunale penale signor Scotto intimò all0indiziato Buccio di comparire entro il termine stabilito dagli Statuti senesi per giustificare la propria condotta; e poiché l’imputato non si presentò all’intimazione giudiziaria, in data 15 giugno fu dichiarato contumace e punito con la multa di cinquecento Lire di denari senesi. La sentenza fu resa di pubblica ragione dal banditore comunale Niccolino Fave.

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Doc. n. 42. A.S.S. – Biccherna. Registro 825 (725), capitoli 973, 976, 982 (932), 987, 992 (998), 997 (942), 998 (997). Furono trascritte le condanne fatte al tempo del signor Guicciardo dei Ciacci di Papia, Podestà di Siena negli anni del Signore 1294 e 1295, Indizione ottava. Capitolo 973. Cinello Scutei, residente nella Curia di Monticchiello e Caccia anch’esso di Monticchiello furono condannati entrambi a pagare cento Lire a testa per il reato di favoreggiamento avendo procurato, insieme ad altre persone del luogo, asilo e aiuto a favore di Ghino di Tacco e ai ribaldi della sua masnada che avevano compiuto una rapina nella Valle dell’Orcia, mettendone al sicuro la refurtiva che si erano portata dietro, come appare nel foglio 394 (94). Capitolo 976. Fazio di Ser Bernardo, residente esso pure a Monticchiello, fu condannato alla medesima multa di cento Lire per lo stessa reato di ricettazione avendo collaborato nel mettere a riparo gli oggetti rubati. Capitolo 982 (932). Alla rapine compiuta in Valdorcia da Ghino di Tacco presero parte numerosi componenti della sua Banda, i quali vennero tutti condannati dal Tribunale di Siena a pagare ciascuno cento Lire, come sopra. Capitolo 987. Nerio da Radicofani, per aver partecipato alla rapina, subì la stessa condanna come sopra. Capitolo 992 (998). Senesello di Santa Fiora e il fabbro Storo, sempre per il medesimo reato di concorso in furto, furono condannati come sopra. Capitolo 997 (942). Tuccio di Torticone, abitante a Monticchiello, fu condannato come sopra. Capitolo 998 (997). Ugolinuccio, abitante in un casolare di campagna in località La Grotta, fu condannato come sopra a pagare la multa di Lire cento.

Doc. n. 43. A.S.S. – Libro della Podesteria. Repertorio 2, capitolo 327. Elenco dei banditi espulsi dal territorio del Comune di Siena per aver commesso gravi crimini, al tempo del signor Rinaldo da Montorio, cittadino di Narni e onorevole Podestà, nell’anno dell’incarnazione 1296. Tra le persone condannate, si fa il nome di Santoruccio figlio di Carsidonio residente nel borgo di Scrofiano, presso Sinalunga, il quale subì un processo da parte del giudice Guglielmo per aver ferito mortalmente, con l’aiuto di altri ribaldi suoi sostenitori, il compaesano Guiduccio Ruffoli e per essersi poi impossessato di tutti i suoi beni. Nello stesso processo rimase coinvolto anche Bindo conte della Ripa, imputato di aver preso accordi con alcuni abitanti del luogo per ordire una congiura a favore di Ghino di Tacco il quale tentava di impossessarsi del castello di Scrofiano. E poiché il conte Bindo rifiutò di comparire al cospetto del giudice, nonostante l’intimazione che gli era stata notificata dal messo comunale, venne condannato in contumacia con sentenza del 23 agosto 1296. La sentenza fu resa di pubblico dominio dal banditore Oliviero Filippi, il quale, per mandato del giudice Guglielmo, percorse le strade della città suonando la tromba e notificando ad alta voce la notizia dell’espulsione perpetua dallo Stato senese del conte Bindo, reo di cospirazione e di tradimento ai danni della

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Repubblica. La condanna inappellabile fu registrata di mano propria dal Notaio della Curia criminale, ser Forese.

Doc. n. 44. A.S.S. – Consiglio Generale della Campana. Registro 52, verbale 106. Mercoledì, 4 dicembre dell’anno 1297. Nel nome del Signore amen. Per ordine del nobile ufficiale Atto di Carinalto, per grazia di Dio Podestà di Siena, e del valoroso condottiero signor Cervio de’ Bovatteri da , Capitano del Comune e del popolo senese, fu convocato in sessione urgente e straordinaria il Consiglio Generale della Campana con aggiunta di cinquanta rappresentanti dei cittadini per ciascun Terziere. Premesso il suono a distesa della campana della torre civica e il proclama a voce del banditore comunale, a norma della procedura consueta degli Statuti, nel palazzo del Comune i sopraddetti signori Podestà e Capitano del popolo dichiararono aperta la seduta. Fu subito portata a conoscenza degli intervenuti la preoccupante situazione che si era venuta di nuovo a instaurare nel tormentato settore orientale dello Stato senese. Da parte di numerosi osservatori era infatti giunta notizia ai Nove del Governo e ai Magistrati preposti alla difesa della Repubblica che il ribelle e bandito Ghino di Tacco della Fratta aveva intrapreso con grande impiego di mezzi e di manodopera la costruzione di un vasto fortilizio tra le località di Sinalunga e di Guardavalle, con il proposito di raccogliere tutti i masnadieri della sua banda e disporre di un luogo sicuro per meglio difendersi dagli attacchi delle truppe senesi. Si rendeva dunque indispensabile adottare contromisure rapide e decise per fare fronte alla grave minaccia e respingere la pericolosa provocazione lesiva del prestigio e contraria alla sicurezza della Repubblica. Tutti i rappresentanti della cittadinanza erano pertanto invitati a esprimere il proprio parere e a contribuire con i loro suggerimenti nell’interesse della suprema difesa dello Stato. Come nelle grandi ricorrenze della Storia, era giunto il momento di lasciare da parte le divisioni intestine per affrontare uniti il pericolo che minacciava l’integrità territoriale della Patria. Il lungo documento riferisce a questo punto le diverse proposte formulate da sette cittadini, a nome delle rispettive organizzazioni: a) Meo Ormanni prese per primo la parola per invitare l’assemblea ad eleggere un comitato permanente composto da quattro Probiviri scelti tra ogni Terziere, con l’incarico di tenere sempre informati i Signori Nove del Governo sugli sviluppi della situazione, opportunamente coadiuvati da esperti giurisperiti che avrebbero indicato le procedure legali da adottare volta per volta nei confronti di Ghino di Tacco, divenuto ormai un pericolo pubblico per la sicurezza dello Stato e del popolo senese. b) Giacomo del signor Rinaldo Gigli suggerì a sua volta che i Magistrati inviassero subito in Val di Chiana alcuni banditori comunali nei vari paesi della regione per intimare alle popolazioni del luogo di non fornire alcun aiuto di qualsiasi genere a Ghino di Tacco, e in particolar modo diffidare gli operai impiegati nella fabbrica a sospendere immediatamente i lavori riguardanti sia la fornitura del materiale dalle fornaci, sia il proseguimento delle mura castellane, dei bastioni e delle torri, sia l’escavazione del fossato esterno alla cinta. Tutti coloro che, trasgredendo agli ordini, fossero stati colti in flagrante disobbedienza, sarebbero stati giustiziati “ipso facto” mediante impiccagione per la gola. c) Tuccio di Alessio consigliò di rifiutare agli albergatori locali o forestieri la licenza di aprire posti di ristoro nei dintorni del fortilizio, e impedire in tal modo la fornitura di cibi e bevande agli operai impegnati nella costruzione del nuovo castello. I 60

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commercianti che non avessero tenuto conto di tale divieto sarebbero stati obbligati a demolire capanne e ricoveri a proprie spese. d) Giacomo Sardo, preoccupato di danneggiare gli interessi economici della popolazione locale e di suscitare malcontenti da parte dei venditori ambulanti, propose di sottoporre il suggerimento di Tuccio alla verifica dello scrutinio segreto dei voti. Coloro che si dichiaravano favorevoli alla proposta di Tuccio, avrebbero introdotto nell’apposito bossolo la pallina bianca; i contrari avrebbero depositato invece la pallina nera. In tal modo, lo scrutinio dei voti avrebbe deciso con procedura democratica l’accettazione o il rifiuto del suggerimento di Tuccio. e) Federigo Tolomei richiamò il Podestà e Capitano ad assumersi le proprie responsabilità connesse alle rispettive cariche, che li obbligavano a ricorrere a tutti i mezzi necessari per ristabilire l’ordine compromesso dai Feudatari della Fratta e a imporre con la forza il rispetto delle leggi dello Stato. f) Il giudice Arrigo, che in quel tempo ricopriva la carica di presidente del Tribunale, ricordò agli intervenuti che il terreno sul quale Ghino di Tacco stava costruendo il suo nuovo castello era di proprietà del Demanio di Stato. A norma delle leggi vigenti, si doveva dunque procedere all’esproprio di tutta la costruzione abusivamente edificata sopra un’area che apparteneva all’intera comunità senese. g) Per ultimo, Rustichetto Guidi da Cortobraccio esortò con appassionato discorso le autorità politiche e l’assemblea rappresentativa di tutto il popolo di Siena a rompere gli indugi, a non perdere altro tempo in vane discussioni, ma di passare prontamente all’azione, inviando sul posto un numeroso e ben attrezzato esercito per radere al suolo la fortezza eretta da Ghino di Tacco, punire esemplarmente i responsabili dell’insurrezione armata contro lo Stato, cacciare oltre i confini i ribelli e vigilare perché i banditi non mettessero mai più piede in avvenire nel suolo della Patria. Tutta l’assemblea acclamò a lungo lo “arringamento” di Rustichetto e deliberò di mettere subito in pratica la risoluzione drastica da lui indicata, ponendo fine una volta per sempre alla sfida troppo a lungo tollerata contro l’autorità, la convivenza civile e il buon nome della Repubblica.

Radicofani, 10 luglio 1985

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Fin dall’antichità i popoli hanno avuto bisogno di miti, che incarnassero le richieste di giustizia delle classi più povere e che facessero risaltare il bene sul male, al contrario della Storia dove il male, anche se non sempre, vinceva sul bene e l’ingiustizia si prendeva molto spesso gioco della giustizia. Basti pensare agli eroi omerici, a quelli del medioevo fino ad arrivare ai giorni odierni con Superman o l’Uomo Ragno etc.etc. Facendo questo libro e raccontando la Storia di Ghino di Tacco, dopo sette secoli di leggenda, e dopo essere stato, come tutti i radicofanesi, un fan accanito del nostro mito; mi sono preso l’onere di trascrivere, primo in Italia, la vera Storia anche perché ho visto su Internet un articolo che parla, nel senso della verità storica di Ghino, riferendosi, proprio, all’articolo di Giovanni Cecchini. L’articolo in questione è intitolato: “Banditi e pirati nella narrativa medievale: alcuni casi di fuorilegge cortesi” a cura di Federica Veglia e siccome io, come ho già detto all’inizio, conosco anche i documenti, oltre all’articolo, sin dal lontano 1976 (all’inizio racconto come ne sono venuto in possesso) e da radicofanese, quindi, e primo possessore di quei documenti, non posso esimermi da svelare la verità, per primo, al mondo intero! In tutti i casi ho “una bella gatta da pelare”! Questo perché voglio vedere quanta, della storia di Ghino, coincide con la storia del paese. Ciò che rivelo con questo libro, spero sia accettato serenamente anche dai radicofanesi, infatti, come ha detto sopra, mi sono preso anche la briga di vedere se le notizie dei documenti coincidevano con le notizie che avevamo sulla storia di Radicofani, tramandata dagli storici: Pecci, Verdiani-Bandi e Repetti, nonché dal Codice diplomatico Amiatino. A conferma che la storia, anche se vera, non può assolutamente scalfire la leggenda che, come ho detto sopra, dura ormai da più di sette secoli, faccio notare che anche su Robin Hood c’è stata una ricerca effettuata da uno studioso inglese e che riporto più avanti ripresa da “Repubblica”., la quale ci racconta: «Un filologo britannico, un certo Andrew James Johnston che lavora alla prestigiosa Freie Universitaet di Berlino, cioè il più prestigioso e autorevole ateneo della capitale federale, che ci ha messo anni per tentare di ricostruire la storia vera di Robin Hood, filtrandola dalle leggende e analizzando ogni passo delle narrazioni scritte su di lui. Ed ecco le sue conclusioni: il nome Robin Hood è reale, ma è uno pseudonimo nato perché il ribelle era gay e si mascherava coprendo la testa e il volto con cappuccio, hood appunto in inglese. Robin l’incappucciato, era il nome affibbiato a un ribelle, a un bandito o a molti di loro. Le ballate, e poi le prime leggende medievali scritte che ci tramandano l’avventura di Robin Hood, ci forniscono anche altre indicazioni: Robin e i suoi sono un gruppo di antiautoritari ambientalisti……» Questo articolo è apparso anche sul giornale liberal conservatore e filo-Merkel DieWelt. L’articolo di “Repubblica” è datato 19 aprile 2013. Da allora cosa è cambiato nella leggenda di Robin Hood? Nulla, anche se l’autore dell’articolo è un personaggio molto, ma molto superiore, come cultura, a chi scrive! Quindi la fama di Ghino, anche se ne sveliamo la storia, rimarrà intatta, ma ne guadagnerà la conoscenza.

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Il dipinto sopra è Ghino di Tacco visto da Sergio Gabrielli da Firenze. Il dipinto si trova nel Comune di Radicofani.

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Ghino di Tacco nella statua fatta dallo scultore Aldo Fatini nei giardini pubblici di Radicofani detti “Il Maccione”.

La traduzione di cui sopra è del Libro fatto in ciclostile “Giustizia per un Bandito” di Don F. Marcello Magrini del 1985, però, a parte qualche modifica, dovrebbe essere uguale a quella del secondo libro. Dopo aver ponderato l’articolo del Cecchini possiamo fare distinzioni e considerazioni per quanto riguarda la “Storia vera” e le leggende, le novelle del Boccaccio, le ballate e i racconti dei novellieri medievali nonché dai commentatori della Divina Commedia, i quali hanno preso per verità anche opere di fantasia, per arrivare fino all’0ttocento con i romanzi di Gian Domenico Guerrazzi e di Yambo (Enrico Novelli), anche loro, oltre la loro fantasia si sono basati sui racconti medievali.

Ed ecco le distinzioni dalla leggenda:

1) - Ghino di Tacco non faceva parte della famiglia Monaceschi Dei Pecorai (questo errore lo compie lo storico senese Tommasi tratto in errore da una deliberazione del Consiglio generale67), ma dei nobili Cacciaconti e più precisamente del ramo Guardavalle, nobili della Fratta. Sua nonna era, quasi certamente, una nobile senese della famiglia Tolomei. Tutto questo spiegato molto bene nell’articolo del Cecchini;

67 A.S.S., Consiglo Generale, 20, c.119-125. La traduzione del quale è sopra scritta. 64

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2) - Fino al 1957 (art. del Cecchini) eravamo quasi certi che Ghino di Tacco si fosse impossessato della fortezza di Radicofani grazie all’astuzia del suo luogotenente Nerio da Radicofani e che la sua permanenza a Radicofani fosse stata di un periodo di tre anni dal 1297 al 1300, invece ora sappiamo con certezza che fu l’esercito dei Ghibellini ad impossessarsi della Fortezza e quasi certamente alla fine del 1297 o all’inizio del 1298 fino al 1302; quindi quasi 4 anni. L’esercito dei ghibellini, comandato, quasi certamente, da Ghino di Tacco, braccato da quello della Repubblica di Siena, fu costretto a rifugiarsi nel castello di Radicofani se non voleva essere distrutto, perciò si rifugiò nel castello del papa, ma anche qui ci furono, come spiegato più sotto, gravi conseguenze. (Documento 45 del Cecchini);

3) - Ghino di Tacco, non aveva fratelli ma era l’unico figlio di Tacco;

4) - Ghinello non era Ghino di Tacco ma il cugino, figlio dello zio Federigo.

5) - Nella leggenda Gino di Tacco è nemico giurato dei Conti di Santa Fiora, invece la Storia ci racconta che per ben due volte i ghibellini ritiratesi a Radicofani si salvarono dall’esercito inviato dal papa grazie all’aiuto del conte di Santa Fiora, ghibellino anche lui.

Ora facciamo delle considerazioni:

1) - Nella pagina n. 37 del 2° libro del Magrini si legge: In una sentenza dei suoi “Pensieri”, lo scrittore i filologo francese Biagio Pascal afferma che: un popolo dimentico del proprio passato difficilmente avrà un avvenire. Io sono pienamente d’accordo con questa affermazione e dico, purtroppo, che lui e i radicofanesi si sono dimenticati di tutti i personaggi citati dal Pecci e da altri storici Senesi e si sono ricordati soltanto di Ghino di Tacco. Per carità, io sono stato e sono, come loro, un fanatico di Ghino ma non credo che la Storia con la S maiuscola ne faccia perdere l’Importanza e la fama! Del resto Robin Hood fa ricordare Nottingham, ma, sembra che non sia mai esistito! I turisti però vanno ugualmente a visitare i luoghi delle imprese che lo videro protagonista! Figuriamoci se Radicofani perderà l’afflusso dei turisti per la Storia vera! Anzi, visto come finisce l’articolo del Cecchini, bisogna tenere presente cosa dice Dante nel canto VI del Purgatorio: si tratta solo di un accenno, ma quelle «braccia fiere» sono un’espressione di simpatica ammirazione, non di deprecazione, perché Dante, appartenente anche lui alla minore nobiltà feudale, spodestata dai guelfi, doveva sentirsi solidale con Ghino, che aveva combattuto per mantenere i privilegi della sua casta.

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2) - Un’altra verità si evince dai documenti del Cecchini e cioè che Ghino di Tacco non era di Torrita, che, al contrario, tutta la sua famiglia è stata acerrima nemica di Torrita allo stesso modo come era nemica della Repubblica di Siena. Da molti è considerato signore di Torrita e della Fratta, nulla di più errato perché Ghino, come del resto suo padre e suo zio omonimo, erano, come ho già detto sopra, nemici giurati di Torrita e al riguardo l’autore di: La verità storica su Ghino di Tacco – F. Marcello Magrini – al termine di pag. 76 conclude: «Purtroppo per i cittadini torritesi, la verità storica si è rivelata ben diversa. Non rimane di conseguenza che applicare, anche per l’attribuzione della patria di GHINO, il saggio e imparziale aforisma latino: “Amicus quidem Plato, sed magis amica veritas”». Il Magrini si lamenta anche del fatto, ed io sono pienamente d’accordo con lui, che all’inaugurazione della statua di Ghino a Radicofani sia stata invitata una delegazione di Torrita!

3) - Ghino fu costretto a venire a Radicofani con tutto l’esercito dei Ghibellini alla fine del 1297 o nel 1298 perché l’esercito della Repubblica di Siena, dopo aver distrutto il castello che stavano costruendo, fra la Fratta e Sinalunga, braccò i ghibellini fino a Radicofani, e, come fecero i nobili Guelfi, nel 1262, quando, anche loro, prima di essere battuti nella battaglia di Spineto, si rifugiarono a Radicofani68 per riorganizzarsi. E lo dimostra il Pecci nel suo manoscritto “La Terra di Radicofani 69 ” la Repubblica di Siena fu condannata a pagare, dal papa, 2000 marche d’argento per i danni causati al castello e alla Terra di Radicofani. Per l’esattezza nello stesso libro a pag. 72 c’è scritto: E perché più non servisse la terra di Radicofani di ricovero a’ Guelfi, scrive il Bisdomini, che nuovamente nel 1265, dopo aver racquistato Sarteano, e impadronitisi i Sanesi dell’Abbadia S. Salvatore, smantellarono di mura la terra di Radicofani- E per ca. 150 anni Radicofani è stato preda di più fazioni, che in quei tempi cercavano d’impadronirsene, anche attraverso i loro “capitani di ventura”.

4) - A dimostrazione di quanto asserito dall’articolo del Cecchini su Internet nel Dizionario Biografico degli Italiani Treccani - volume 75 (2011) al nome Ermanno MONALDESCHI troviamo oltre la presentazione: Il M. era nipote dell’omonimo Monaldeschi che nella seconda metà del secolo XIII aveva ricoperto importanti ruoli tanto nel Comune di Orvieto quanto, per la parte pontificia, in altre zone d’Italia. Il padre del M. era morto negli scontri contro la fazione ghibellina avvenuti intorno al castello di Radicofani. Egli faceva parte della spedizione guelfa – secondo alcuni, guidandola – che tentò di dare manforte al visconte Guasta di Radicofani. Il 18 luglio 1300, dopo aver inizialmente strappato la rocca ai ghibellini, la spedizione fu sconfitta dal conte Guido di Santa Fiora: in tale

68 A. Verdiani-Bandi – I castelli della Val d’Orcia e la Repubblica di Siena – Copia Anastatica – Siena –Cantagalli MCMLXXIII. PAG.64. 69 La terra di Radicofani da G.A. Pecci: A.S.S., Memorie storiche, politiche, civili e naturalidelle città, Terre e Castella che sono e sono state suddite della città di Siena, ms. D71, cc. 409-453. Trascrizione sul libro “Memorie di un’antica Terra di Frontiera e di Fortezze, a cura di Beatrice e Renato Magi, anno 2000, p ag.73. 66

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frangente Corrado (il Monaldeschi padre di Ermanno) rimase ucciso insieme con altri trecento uomini. Dopo questo episodio, il M. prese il posto del padre nel Comune sia per le missioni diplomatiche sia in scontri armati. Nel 1300 fu inviato con altri cittadini presso il papa, per concludere la pace con Orvieto; l’anno seguente tentò di prendere Radicofani, in accordo con il capitano del Popolo. L’impresa fallì, ma nel 1302, morto il conte Guido di Santa Fiora, i ghibellini ripiegarono su Acquapendente, lasciando il castello al cardinale Teodorico (c’è chi dice Federigo) di Orvieto. Con diversi cavalieri e fanti il M. decise di assediarla: una volta espugnata, trucidò numerosi ghibellini, vendicando così l’assassinio del padre. Dopo tale impresa, il M. rimase a presidiare Acquapendente in accordo con il pontefice. Questa seconda versione dei fatti, si parla di storia, è più credibile, perché la vendetta, in quel periodo era quasi sacra! Così a pag. 74 si esprime il Pecci (del libro già citato nella nota n. 69: Finalmente nell’anno 1302, papa Bonifacio VIII. Spedì il Cardinal Federigo colla cavalleria d’Orvieto a Radicofani, che con destrezza maneggiandosi, gli riuscì impadronirsi di quella Rocca per accordo, e così fattosene padrone la restituì a’ figliuoli del signore Jacomino (Guasta signore e conte di Radicofani e Acquapendente), e allora i Ghibellini, che si truovavano in Radicofani, senza contrasto alcuno (forse è bene, credo, dar ragione al Dizionario Biografico degli italiani – Treccani del 2011), si partivano, e, in Acquapendente, e in Proceno, si ritirarono. Il Verdiani Bandi nel suo libro citato nella nota n. 68 a pag. 74 scrive: Cardinale Teodorico (il Pecci lo chiama: Federigo), capitano del patrimonio per il Papa. Ma nell’anno seguente, essendosi Radicofani col favore del C. (conte) di S. Fiora ribellato (1301) Ermanno Monaldeschi «con cavalli et fanti et molta gente di Val Lago, Valle Paglia et Valle Chiane» dette il guasto alla terra fin sotto le mura, e andatovi poi il Cardinale Teodorico, con la cavalleria di Orvieto, fu ripresa la rocca e restituita ai figliuoli di Guasta, mentre i Ghibellini, costretti a fuggire, si ritirarono in Acquapendente e Proceno.

5) - Il Magrini scrisse questo libro (1987) in collaborazione dell’allora sindaco Anna Bonsignori, e lo fecero affinché avesse presa sul “Partito Socialista Italiano” e, principalmente su Bettino Craxi, allora Presidente del Consiglio che, da Eugenio Scalfari fu soprannominato Ghino di Tacco, e con questo pseudonimo (G.d.T.), firmava i suoi articoli sull’ “Avanti!”. Il libro fu presentato facendo in modo che la presunta verità conclamata dallo stesso, con i ritrovati documenti storici, facesse effetto, come lo fece assai bene, su tutto il P.S.I., al cui Congresso di Rimini, vendette molte copie e dove fu edito il libro! Quanto sopra però, a me, essendo di Radicofani, mi fece piacere perché aumentò la fama di questo personaggio, con la sua leggenda, ormai conosciuta da tutti ed anche questo è il motivo per cui tanta gente viene a visitare il nostro paese!

6) - Una cosa che posso confutare, d’accordo con il Cecchini, è che non credo al perdono di Bonifacio VIII, nobile della famiglia Caetani, il quale ha dovuto mandare, per ben tre volte, eserciti per riprendere la rocca, figuriamoci se perdonava un ghibellino che gli aveva dato tante 67

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preoccupazioni! Non credo affatto, poi, come asserisce il Magrini, che Nerio da Radicofani, ghibellino, rimase nell’amministrazione della Fortezza e del Borgo di Radicofani. Addirittura, dicono, eletto al posto dei Guasta guelfi. Fantasie! Tutto ciò è stato inventato, la verità è che il cardinale che sloggiò i Ghibellini da Radicofani restituì tutto ai figli di Guasta Jacomino, e Bonifacio VIII, di nobile famiglia guelfa, poteva togliere l’amministrazione di una piazza così importante come quella di Radicofani ad un nobile guelfo per darla a un ghibellino qualsiasi? Sinceramente mi sembra, ed è, impossibile, specialmente in quel secolo, il 1300, dove la vendetta era all’ordine del giorno!

7) - L’autore di questo articolo è dello stesso avviso di Giovanni Cecchini anche sulle parole di elogio che esprime alla fine del suo importante articolo per il vero Ghino di Tacco che era, in fondo, un uomo del suo tempo.

8) - a sostegno di quanto sopra, sul libro di Verdiani-Bandi, sopra citato, leggo: Mentre durava la guerra fra Siena e gli Aldobrandeschi, Messer Guasta, di parte guelfa, occupò la rocca di Radicofani insieme ai Monaldeschi, ma il Conte Guido di Santa Fiora andò in loro aiuto e, venuto da Siena Pone di Campiglia con 150 cavalli e altre persone venute da altrettante parti i Guelfi ebbero una rotta “dove morirono 400 fra cavalieri e pedoni, tanto che il Guasta si dette in mano al cardinale Teodorico, capitano del patrimonio del Papa. Essendosi poi Radicofani ribellato (1301) E. Monaldeschi distrusse tutto fino sotto le mura e dovette intervenire il cardinale Teodorico (Federigo?) che restituì la terra ai figli del Guasta. Nel 1404 la Repubblica di Siena fece un accordo con i Cocco Salimbeni e tutti i suoi possedimenti per avere una pace duratura, l’accordo fu fatto anche con tette le genti della Val d’Orcia, tutto questo per far calmare le continue lotte e guerre che avvenivano in quegl’anni. Pochi anni dopo, visto che Cocco Salimbeni riprese a far guerra a danno della Repubblica e visto che già i radicofanesi ne facevano già parte si ribellarono e riconobbero i Commissari della Repubblica, e anche senza il benestare della Chiesa armarono quella fortissima fortezza. Dopo che il Tartaglia conquistò la fortezza con le armi lo rivendette alla Repubblica di Siena (14 maggio 1411) e l’anno dopo il Papa Giovanni XXII70 (era Giovanni XXIII) lo concedeva in vicariato formalmente alla Repubblica ,(pochi anni più tardi fu messo mano alla edificazione di una nuova fortezza, per mano di quattro maestri muratori lombardi, che furono Aliotto di Cambio, Simone di Ciccarello, Giovanni di Carfusia, e Francesco di Giovanni, a ciò deputati dalla Repubblica di Siena), e d’allora Radicofani rimarrà sempre proprietà della Repubblica. Quando fu eletto a Pontefice Enea Silvio Piccolomini col nome di Pio II cercò di aiutare la Repubblica facendo riammettere i nobili nelle cariche

70Giovanni XXII non è possibile perché era morto nel 1334 era, invece, Giovanni XXIIIil quale, è statoconsiderato papa fino al 1947, poi è stato retrocesso ad antipapa. 68

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pubbliche e concedendo in perpetuo il castello di Radicofani dietro pagamento di un annuo censo (1459).

9) - Ancora il Pecci a pag. 72, per concludere, ripetendo anche cose già dette sopra, ma continua:

E perché più non servisse la terra di Radicofani di ricovero a' Guelfi scrive il Bisdomini, che nuovamente nel 1265 dopo aver racquistato Sarteano, e impadronitisi i sanesi dell'Abbadia S. Salvadore, smantellarono di mura la terra di Radicofani. I danni dello smantellamento di Radicofani, benché dopo più anni apportarono conseguenze tali, che l'anno 1273. Fra Aldobrando dell'Ordine de' Predicatori, con suo Breve, in data de die 3 Kal. Martii Pontificatus Domini Gregorii Pape X, anno secundo, diretto al Vescovo di Siena, asserisce aver ricevuto lettere dal Sommo Pontefice contenenti le doglianze, che i sanesi aveano ostilmente cagionati danni, e rapine verso gli uomini, e terra di Radicofani, che era del dominio della Chiesa, per il che di già n'erano stati ammoniti dal Pontefice Urbano di lui predecessore, e che detti danni ascendevano a71 2000. Marche Sterlinghe72 , e però erano stati i sanesi sotto pena d'interdetto ammoniti a pagarle, come ne costava per Breve del sopradetto Papa Urbano spedito in Firenze 3 Idus Julii, anno secundo. Volendo dunque, il presente Pontefice Gregorio mandare a esecuzione la sopradetta ammonizione, avea imposto al73 Vescovo orvietano, che citasse i sanesi a comparire l'ottavo giorno dopo la festa dell'Assunta per mezzo de' loro sindici, e a pagare le 2000 marche agli uomini di Radicofani. Il Breve ancora del Vescovo d'Orvieto fù spedito da Firenze nel tempo sopraindicato. Non solamente non si rimessero i sanesi alle lettere del Vescovo d'Orvieto, ma il dì 21. di Luglio 1275 elesse il Consiglio generale i propri sindici per comparire avanti al medesimo Vescovo, e protestare l'appello,74 dalle censure, che di già presso al Vescovo di Siena era in arbitrio di pubblicarle75. Di poi, l'anno che seguito, fù avvisato, d'ordine del Consiglio generale,76 messer Pepone Visconti, ad effetto che intorno a' fatti di Radicofani stesse con attenzione, e intanto gli si partecipasse, che il papa sopra quella terra si era dichiarato voler conservare a' sanesi le ragioni. La lite per causa della reintegrazione de' danni cagionati alla terra di Radicofani continuò per più anni, poiché di già principiata ne' tempi del pontificato d'Urbano IV, nel 1291.77 non solo si manteneva in vigore, ma in quell'anno à 15. d'ottobre, il Consiglio Generale comandò, che a messer Bindo, messer Rinaldo, e messer Porrina78, avvocati per il Comune di Siena in Corte di Papa, ad effetto di patrocinare la causa pendente, gli fussero pagati per ciascuno, ogni anno, fiorini 29.

71 Nel ms. dopo c'è una parola cancellata illeggibile. 72 Breve de die 3. Kal. Martii 1273. in Archivio S. Marie Scalarum n. 557 secunde numerationis. 73 Nel ms. c'è la parola cancellata: sopranominato. 74 Nel ms. ci sono cancellate le parole: che già era pri. 75 Deliberaz. del Consiglio della Campana del 21. Luglio 1275. 78. 76 Deliberaz. del 28. Dic. 1276. 15. 77 Delib. del Consiglio del 15. Ott. 1291. 32. 78 Nel ms. cancellate seguono le parole: Giudici e. 69

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Ordinò di poi il medesimo Consiglio il 28. di Gennaio 1294. che fusse ispezione de' Consoli di Mercanzia l'invigilare a detta lite, e il 23. di Febraio del medesimo anno, fù risoluto, che per difendere la causa di Radicofani,79e di Montechiaro, e Vico contro i Canonici di Siena si spedissero 80. Fiorini d'oro. Finalmente dal medesimo general Consiglio80 il di 18. di Giugno 1298. fù eletto Ser Tuccio di Bonico sindico della Republica per compromettere81 nel pontefice Bonifacio VIII. ogni pretenzione, e controversia pendente cogli uomini di Radicofani. Il qual Pontefice accettata la giudicatura compromissaria, con sua Bolla spedita in Rieti l'anno IV. del di lui pontificato, et in die V. Kal. Novembriis anni 1298., diretta al Podestà, Consiglio, e Popolo di Siena, qualmente essendo82, dichiarò83 di già, dal pontefice Urbano IV. di lui predecessore84 stati condannati i sanesi nella pena di85 2000. marche d'argento, perché erano andati armati contro al castello di Radicofani di giurisdizione della Chiesa Romana, dove aveano86 cagionate le maggiori ostilità87 e usati gravissimi danni, posposta la riverenza dovuta a Santa Chiesa, e in oltre erano stati condannati ancora in altre 2000. marche simili da pagarsi a quel castello, ai suoi uomini per i danni sofferti, sopra di che erano passate diverse lettere Apostoliche, non solo 88 del sopranominato papa Urbano IV., ma d'altri Pontefici a esso89 successori. Con tutto ciò, attesi gli speciali servizii dal Comune di Siena prestati a Santa Chiesa, e alla Santità sua, per i quali il sopradetto Comune si era meritato la di lui grazia, siccome per averne da' sanesi recevute suppliche, gli relasciò le 2000.90 marche, nelle quali erano stati i sanesi condannati per pena, e dell'altre due mila marche simili da pagarsi a' radicofanesi, intende, e vuole, che se ne faccia composizione, e accordo tra ambi i Comuni, etc.... Era negl' anni 1300. gagliardamente la terra di Radicofani travagliata dalle discordie tra suoi terrieri, avea de' fuorisciti potenti e molto più si rendevano molesti a coloro, che dentro la terra si mantenevano, perché diversi signori vicini gli proteggevano, e aiutavano, tra gl' altri era fuoruscito di Radicofani messer Guelfo, che unitosi questo con Pone da Campiglia, (come vien raccontato da me questo fatto così stà scritto nelle Cronache d'Agnolo di Tura del Grosso assai diversamente da ciò che scrive il Tommasi)91 con diverse truppe raccolte scorsero predando, e rubando per la corte di Radicofani, e accostatisi alla terra da alcuni loro fautori gli fù consegnata la Penna della terra stessa, (Penna era la parte più alta della Rocca) che subito con 100. fanti presidiarono, ma i conti di S. Fiora, ascoltata una tal sorpresa, corsero velocemente per racquistarla, allora si mossero i Guelfi d'Orvieto, di Chiusi, e di Siena per socorrere i

79 Delib. del 28. Genn. e 23. Feb. 1294. 48 e 49. 80 Delib. DD. del 18. di Giugno 1298. 126. 81 Nel ms. si legge male e la parola finisce in una specie di macchia. 82 Queste parole, che si leggono male, sono aggiunte sopra la riga, e non so e sono tradotte bene. 83 Fra virgole c'è anche un che poi cancellato. 84 Dopo questa parola c'è cancellata la parola erano che a me sembra, però, far parte del discorso e quindi lo ripeto (n.d.t.). 85 Nel ms. segue la parola lire poi cancellata e 2000 con il 2 tutto cancellato. 86 Sopra la parola aveano vi è, cancellata, la parola (sembra) cagionate. 87 Nel ms. seguono, cancellate, le parole: e cagionati. 88 Bolla del Pontefice Bonifacio VIII. nell'Archivio dello Spedale, al n. 454. della prima numerazione. 89 Nel ms. segue, cancallata, la parola Predecessori sostituita sopra con Successori come si legge. 90 Nel ms. il 2 è scarabocchiato. 91 Agnolo di Tura del Grosso Cronaca MS. 70

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fuorusciti radicofanesi, per lo che venuti a battaglia presso la porta che da Radicofani conduce 92 ad Acquapendente, gl'Aldobrandeschi rimasero superiori, e Pone da Campiglia, che era capo di quei fuorusciti, si salvò colla fuga. L'anno di poi (scrive Cipriano Manente) 93 non volle più Radicofani remaner dependente da gl'Orvietani, (il Manente dice che si ribellò) perché fomentata quella terra da' conti di S. Fiora, che ritenevano la Rocca, e aveano sconfitti i Guelfi, ricusava qualunque dependenza, ma gli Orvietani, volendo mantenere quelle ragioni, che pretendevano avervi acquistate, commessero a Ermanno Monaldeschi, che co' cavalieri, che erano restati dalla cavalleria ordinaria, e con altri cavalli, e fanti, raccolti dalla Valle del Lago, dalla Paglia, e dalla Chiana, che subito si portasse a' danni de' radicofanesi, e di que' Ghibellini, che allora ritenevano la terra, obbedì il Monaldeschi, ma fù vano ogni tentativo, perché non riuscigli il disegno d'impadronirsene, né vendicarsi con Corrado di lui figliuolo, che con que' Ghibellini s'era unito. Finalmente nell'anno 1302. papa Bonifacio VIII. spedì il Cardinal Federigo, colla cavalleria d'Orvieto a Radicofani, che con destrezza maneggiatosi, gli riuscì impadronirsi di quella Rocca per accordo, e così fattosene padrone la restituì a' figliuoli del signore Jacomino, e allora i Ghibellini, che si truovavano in Radicofani, senza contrasto alcuno, si partivano, e, in Acquapendente, e in Proceno, si ritirarono94. Dall'anno 1302. al 1345. è da immaginarsi che vi sia qualche fatto di mezzo, perché il fedelissimo cronista Agnolo di Tura95 scrive, che Radicofani si era ribellato dalla Republica di Siena, così è da immaginarsi che con qualche atto di sottomissione i sanesi vi avessero acquistate ragioni. All'anno dunque 1345. ci avvisa questo cronista, che fatto esercito da' sanesi sotto la condotta di messer Niccolò Bonsignori, con molto arnese (con molte armi- n.d.t.), lo spedirono96 sotto Radicofani, e così giunto in quella corte molti bestiami predò, e molti danni cagionò a que' terrieri, e il Tommasi suppone che n'avesse data cagione la morte del conte Arrigo Aldobrandeschi, occiso nell'Abbadia S. Salvadore, in que' giorni, dal Fulmine. Di costui n'erano rimasti cinque figliuoli, che della morte inopinata del padre, e più dell'armi de' sanesi atterriti, per fuggire pericoli più gravi, convennero colla Republica, e però del mese d'Agosto furono ricevuti, e dichiarati Originari Cittadini sanesi, con condizione che rimanesse ferma la giurisdizione, che per rigore delle passate capitolazioni la Republica avea sopra degli Stati loro acquistata, e però allora sottoposero, o per dir meglio, confermarono le sottomissioni della metà de S. Fiora, e sua corte, due terzi di Samprognano, certe porzioni di Scansano, di Magliano e di Pereta. Riteneva, come Signore nel 1352. la terra di Radicofani la famiglia del Guasta, ma per meglio stabilirsi nel possesso della medesima terra, considerava non esservi mezzo più opportuno che di ricoverarsi sotto la protezione della Republica di Siena, per lo che unitamente la terra, e messer Guasta, elesse questo il dì otto d'ottobre 1352. per suo Procuratore Cecco di

92 Nel ms. conduce è scritto sopra le parole, poi cancellate, si va. In questo parte vi sono diverse macchie. 93 Cipriano Manente Storia d'Orvieto all'anno 1301 170. 94 Il medesimo Cipriano Manente all'anno 1302. 171. 95 Agnolo di Tura del Grosso Cronache MS. all'anno 1345. dal quale ha pigliato il Tommasi P.te II.Lib.X. 301. 96 Sotto alla parola spedirono ci sono cancellate le parole fu spedito. 71

GHINO DI TACCO DALL’ARCHIVO STORICO ITALIANO RENATO MAGI

Cino da Radicofani, e la terra per mezzo del Consiglio, a tale effetto adunato, dichiarò Sindico Francesco del già Buono di Bartaluzio dalla medesima terra.97 I Signori Nove Governatori della Republica di Siena, anchi'eglino elessero il dì 11. del medesimo mese d'ottobre loro Sindico Ser Francesco di Ser Gino, al quale commessero, che, tanto dal Comune di Radicofani, che da messer Guasta del già Pone, di messer Guasta ricevesse cauzione, e obligazione, acciò gli venisse liberamente consegnata quella terra, o guarnita, o sguarnita che fosse, eccettuata però la Rocca col Cassero, che averebbero eseguito i comandamenti del Comune di Siena,…………….

10) - Questa è la storia vera di Ghino di Tacco. Sopra sono riportati documenti provenienti dall’Archivio Storico Italiano di Siena, quindi, chi vuol accertarsi lo piò fare andando a consultare l’Archivio Storico Italiano di Siena, sotto presento le scansioni originali dell’A. Storico.

Uno scorcio della Fortezza, che oggi chiamano di Ghino di Tacco, visto la fama che ha saputo conquistarsi presso i suoi contemporanei e arrivata fino ad oggi!

97 Vedi gli Strumenti indicati, che esistono registrati nel Kaleffo Nero a n.ri 130.131. 266 e 267, e alle delib. del Consiglio Generale degli 11. Octobre 1352. 24. 72

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La scritta, “Quiv’era l’Aretin che dalle braccia fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte” (Dante Canto VI del Purgatorio), sulla base del monumento a Ghino di Tacco, posta nel giardino di Radicofani (fotografia riportata qui sotto) si riferisce all’impresa portata a termine da Ghino subito dopo aver occupato, con l’esercito dei ghibellini, la fortezza di Radicofani.

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Per finire questo libro, sotto ripropongo le scansioni dell’originale dell’Archivio Storico Italiano di Siena dove sono pubblicati gli articoli di cui abbiamo parlato fino a qui:

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Qui sotto inserisco anche la prima statua lignea di Ghino di Tacco fatta da Aldo Fatini che si trova, attualmente, nell’Ufficio del Sindaco di Radicofani.

Siccome nei diversi simposi su Ghino di Tacco, ho sentito anche qualcuno che ha detto che, il nostro, non ha avuto condanne, eccolo servito! Condanne inflitte a Ghino di Tacco dai documenti d’Archivio e tradotti da Don F. Marcello Magrini: 1 – Appare per la prima volta nel documento n. 22 quando gli fu sequestrato uno stoccaggio di Saia98. 2 – Appare condannato, nel documento 26, nella persona e negli averi per aver partecipato all’espugnazione del castello di Prata e aver ucciso il castellano Tollo. 3 – È ricordato nel documento 30 condannato ad una multa di 1.000 Lire per aver attaccato sulla pubblica strada di San Quirico il mercante Leuccio Boni, procurandogli gravi ferite e

98 sàia s. f. [dall’ant. fr. saie, e questo dal lat. saga, der. di sagum «panno di lana»; cfr. saio]. – Nella tessitura, una delle armature fondamentali, con i punti di legatura disposti in diagonale, che può essere di due tipi: a un solo diritto (detta anche levantina), in modo da mostrare da una parte più trama che catena o viceversa, oppure a due diritti (detta anche batavia), in modo da mostrare da una parte e dall’altra metà trama e metà catena. Anche, il tessuto dotato di tale armatura. Dal vocabolario TRECCANI DAL SITO Internet. 75

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facendolo poi prigioniero, come risulta dal foglio 190 del registro. 4 – Ghino di Tacco è ricordato nel documento 33 come condannato (ancora!) nella persona e negli averi 99 per aver compiuto, a più riprese, e in luoghi diversi, azioni criminose contro il territorio dello Stato senese. 5 – Ghino di Tacco è menzionato anche dal documento 35 dove risulta condannato insieme a suo cugino Ghinello e molti altri condannati a morte e ad essere impiccati per la gola. 6 – Nel documento 40 viene ricordato per la ruberia commessa contro il Conestabile di Siena con la condanna di duecento denari senesi e siccome tutti quelli che presero parte a questa ruberia furono fra l’altro dichiarati “banditi” dal Tribunale di Siena e, siccome l’archivista Cecchini aggiunge che le annotazioni del Repertorio delle condanne citate ripetono individualmente le comminazioni delle pene imputate “pro capite” si deve concludere che anche Ghino di Tacco fu condannato come bandito! 7 – Nel documento al n. 42 al capitolo 982 (932) recita: alla rapina compiuta in Val d’Orcia da Ghino di Tacco presero parte numerosi componenti della sua Banda, i quali vennero tutti condannati dal Tribunale di Siena a pagare ciascuno cento Lire. 8 – Presentiamo infine il Doc. n. 44 l’ultimo che comincia così: A.S.S. – Consiglio Generale della Campana. Registro 52, verbale 106. Mercoledì, 4 dicembre dell’anno 1297. Nel nome del Signore amen. Per ordine del nobile ufficiale Atto di Carinalto, per grazia di Dio Podestà di Siena, e del valoroso condottiero signor Cervio de’ Bovatteri da Bologna, Capitano del Comune e del popolo senese, fu convocato in sessione urgente e straordinaria il Consiglio Generale della Campana con aggiunta di cinquanta rappresentanti dei cittadini per ciascun Terziere. Premesso il suono a distesa della campana della torre civica e il proclama a voce del banditore comunale, a norma della procedura consueta degli Statuti, nel palazzo del Comune i sopraddetti signori Podestà e Capitano del popolo dichiararono aperta la seduta.

99 Dal vocabolario TRECCANI: Ormai disus. le locuz.: c. nella persona (cioè alla reclusione o ad altra pena materiale, sempre con la privazione della libertà personale); c. negli averi o nei beni (infliggendo una multa o sim.). 76

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Meo Ormanni prese per primo la parola per invitare l’assemblea ad eleggere un comitato permanente composto da quattro Probiviri scelti tra ogni Terziere, con l’incarico di tenere sempre informati i Signori Nove del Governo sugli sviluppi della situazione, opportunamente coadiuvati da esperti giurisperiti che avrebbero indicato le procedure legali da adottare volta per volta nei confronti di Ghino di Tacco, divenuto ormai un pericolo pubblico per la sicurezza dello Stato e del popolo senese. Quando prese la parola Federico Tolomei che era parente, come si è visto, di Ghino di Tacco, anche se alla lontana, richiamò il Podestà e Capitano del popolo ad assumersi le loro responsabilità connesse con le rispettive cariche, che li obbligavano a ricorrere a tutti i mezzi necessari per ristabilire l’ordine compromesso dai Feudatari della Fratta e a imporre con la forza il rispetto delle leggi dello Stato. Per ultimo va ricordata l’uccisione di Benincasa da Laterina ucciso da Ghino di Tacco il quale, saputo che il B. era stato chiamato a svolgere in Roma l'ufficio di giudice, lo seguì travestito, si introdusse nella sala dove questi rendeva giustizia, e lo uccise: decapitatolo, se ne fuggì presso i suoi portando con sé, macabro trofeo, la testa della vittima. Il Magrini cerca nel suo libro (1987) di provare a far capire che il grande letterato e novelliere Boccaccio avesse ragione e che l’abate di Cluny fosse effettivamente stato preso prigioniero da Ghino di Tacco. Fosse stata Storia avrebbe detto anche il nome dell’abate, ma anche il nome di dove andava alle terme, invece anche su questo nome non vi è unità di vedute fra novellieri (qualcuno dice Bagni di San Casciano, altri Rapolano) ed il Boccaccio dice semplicemente Bagni di Siena. Vedi, inoltre, la distinzione n. 5 di questo stesso libro.

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INDICE

Prefazione Pag. 3

Il ritrovamento dei 49 documenti nell’A.S.I. di Siena “ 7

Vita e opere di Giovanni Cecchini “ 11

Articolo di G. Cecchini su Ghino di Tacco “ 13

Documenti originali dell’A. Storico Italiano “ 28

Traduzione dei documenti di F. Marcello Magrini “ 44

Distinzioni e considerazioni fra storia e leggenda “ 62

Condanne inflitte a Ghino di Tacco “ 75

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NOTA BIOGRAFOCA SULL’AUTORE

Renato Magi è nato a Radicofani il 3 aprile 1945, diplomato Ragioniere e Perito Commerciale a Montepulciano nel 1965 è stato sempre innamorato del suo paese (forse perché ne è stato lontano ca. quarant’anni!) dopo aver lavorato come istruttore nei “Cantieri Scuola” (chiamati allora Piano Fanfani – da colui che li inventò) è stato impiegato amministrativo dei Cantieri Forestali per poi lavorare alle Esattorie Comunali della Società d’Esazione. Dopo aver lavorato a Firenze nella Direzione della stessa Società, è entrato come impiegato nelle Esattorie dell’Impruneta, di Castel San Niccolò (AR)e infine nell’esattoria consorziale di Sezze (LT) e di Ponza, dove ha preso la patente da “Collettore Dirigente”, ed infine nel 1989 è ritornato a Radicofani ed è entrato sotto il Monte dei Paschi di Siena ad Abbadia San Salvatore. Ora è in Pensione dal 2005 e si dedica alla sua passione: Storia e personaggi del suo paese natale. Con sua figlia ha pubblicato nel 2004 la trascrizione dei manoscritti, presi nell’A.S.S., che parlano della “Terra di Radicofani” del Pecci e del Gherardini intitolato: Memorie di un’antica terra di frontiera e di Fortezze e, nel 2015 ha dato alle stampe il libro: Libri su Radicofani e personaggi nati in questo luogo. Quest’ultimo libro è senza alcun dubbio la Storia di Radicofani più completa che sia stata mai scritta! Si trova su “Internet” sul sito www.valdorcia.it insieme ad altri articoli dello stesso autore e c’è una stesura, non corretta e diversa di questo stesso libro Attualmente sta lavorando per un altro libro che riguarda, sempre Radicofani, e racconta le cose importanti successe negli ultimi 60 anni e tantissime curiosità che nessuno ricorda più e che se non fissate per iscritto andrebbero perdute.

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