RecensioniLatium e 32-33segnalazioni (2015-16)

Recensione e segnalazioni. Libri ricevuti

M. Acierno, Magistra Latinitas. L’architettura dell’XI secolo in Ter- ra di Lavoro tra permanenza e innovazione, Ginevra Bentivoglio Editoria, Roma 2014, pp. 336, ill. La monografia di Marta Acierno si inserisce nel dibattito- sto riografico sull’architettura religiosa in Terra di Lavoro nell’XI secolo, ponendo al centro della trattazione gli aspetti architettonici e costrut- tivi di un cospicuo numero di edifici, in gran parte poco conosciuti e studiati. L’autrice introduce la sua indagine delineando il contesto geo- grafico di riferimento, cogliendone quale carattere saliente la molte- plicità di influenze che, dai tempi più remoti, ne hanno caratterizzato la storia politica e culturale: nel Medioevo, in particolare, oltre alla tradizione locale di ascendenza longobarda rileva gli influssi legati alle varie dominazioni che si sono avvicendate nell’Italia Meridiona- le, in particolare dei Bizantini e dei Normanni; riconosce quindi un ruolo fondamentale all’abbazia di Montecassino quale centro propul- sore della riforma ecclesiastica alla fine dell’XI secolo. Da tali considerazioni scaturisce la necessità di non limitare l’in- dagine agli edifici religiosi campani dell’XI secolo ma di estenderla anche alle architetture del periodo tardo-longobardo (VIII-X secolo) e alle fabbriche dell’abate Desiderio, allo scopo di comprendere i di- 213 versi riferimenti - di natura intellettuale e cultura materiale - che ne costituiscono il presupposto. Nei due capitoli introduttivi vengono quindi analizzate singole architetture, scelte tra gli esempi meglio conservati del periodo lon- gobardo e tra quelli più rappresentativi dell’età desideriana: ciascuno è illustrato attraverso una ricca documentazione grafica e fotografica e indagato con metodologia rigorosa ma flessibile, basata sull’analisi storiografica e dei dati di scavo, ove disponibili, delle tecniche e dei dettagli costruttivi, dei rapporti stratigrafici, metrologici e propor- zionali tra le varie componenti architettoniche. L’analisi si conclude attraverso la restituzione delle fasi costruttive di ciascun edificio, for- mulando ipotesi talvolta alternative rispetto alle principali tesi fino- ra avanzate. La ricostruzione delle vicende storiche è finalizzata ad interpretare il significato delle trasformazioni rispetto al panorama Recensioni e segnalazioni

artistico e culturale e ad individuare le modalità con cui, in ciascun caso, vengono rielaborati i modelli di riferimento paleocristiani. Nell’affrontare il tema principale della trattazione, la ricerca si articola nella disamina dei caratteri tipologici, morfologici e costrut- tivi di più edifici - cattedrali o chiese minori - indagati attraverso una lettura comparata: la diversa impostazione dell’indagine, non più condotta su singole architetture, risponde all’obiettivo genera- le della ricerca, ovvero chiarire se le architetture religiose liburensi dell’XI secolo siano o meno interpretabili come diretta derivazione delle fabbriche desideriane. L’esame dei caratteri tipologici e morfologici, in ogni caso, non prescinde mai dalla specificità del singolo organismo architettonico: la ricerca non risulta forzata da schemi concettuali precostituiti ma, attraverso una costante interrogazione del monumento, esprime di volta in volta risposte singolari e specifiche. Non rinuncia, tuttavia, a desumere i principi compositivi che caratterizzano un linguaggio architettonico condiviso, rielaborato di volta in volta secondo le in- fluenze locali, retrospettive o innovative, costantemente in relazione con i mutamenti del contesto storico, politico ed economico. L’esito originale della ricerca è nell’interpretazione dell’archi- tettura religiosa campana dell’XI secolo quale rilettura dei model- li desideriani mediata attraverso la cultura locale ed espressione di quella rinnovata Magistra Latinitas ricordata da Leone Ostiense nella Chronica Monasterii Casinensis. 214 La trattazione si conclude con una valutazione delle condizioni attuali dei monumenti, esito degli interventi di restauro dal dopo- guerra ad oggi: rilevando la diversa attenzione riservata alle archi- tetture più importanti e rappresentative, sono evidenziate criticità e incoerenze soprattutto in relazione al trattamento delle superfici, di cui sovente non viene compreso il valore semantico e figurativo. Le considerazioni proposte costituiscono efficaci linee-guida nelle pro- blematiche poste dalle reintegrazioni e dalle ‘aggiunte’ moderne: es- senziali restano, nella definizione di ciascuna soluzione progettuale, la comprensione critica dei diversi valori del monumento, veicolata dalla conoscenza storica, e la consapevolezza della specificità del re- stauro quale disciplina sorretta da una costante riflessione sui criteri che guidano l’intervento. Recensioni e segnalazioni

Aquino e oltre. Studi e scritti sul Lazio meridionale, Castrocielo 2012 (Ager Aquinas. Storia e archeologia nella media valle dell’anti- co Liris, 4), pp. 159, ill.

Ars Sacra 2012. Cappelle musicali, suoni di fede: storia, contesto e liturgia, Atti delle giornate di studi musicologici, Anagni 30-31 mar- zo 2012, a cura di L. Rossi, Universitalia, Roma 2013, pp. 152, ill. Il convegno si è tenuto in Anagni e nel volume ci sono alcune delle relazioni ivi lette, tre riguardano espressamente Anagni e sono due di Luciano Rossi, Il fondo musicale conservato nella Cattedra- le di Anagni: testimonianze e primi studi, pp. 1-23, Testimonianze musicali manoscritte della Scuola Pia di Carità di Anagni, pp. 75- 88, e l’altra di Emanuele Gianserra, Il Cardinal Lomellino e le sorti dell’archivio conservato nella Cattedrale di Anagni, pp. 119-133. Bi- sogna dar atto a Luciano Rossi d’aver cominciato seriamente a stu- diare, conoscere e far conoscere il ricchissimo patrimonio costituito dai musicali conservati in più chiese ed istituzioni ecclesiasti- che di Anagni. Questi materiali sono ben custoditi ma praticamente sconosciuti e le iniziative adottate, il convegno di musicologia, le re- lazioni e la pubblicazione sono un momento di conoscenza impor- tante. Che il fondo musicale della cattedrale di Anagni, cospicuo e molto articolato nel suo complesso, fosse importante balzava agli occhi di chi aveva avuto modo di vedere l’archivio capitolare dove esso era conservato in un paio di armadi. Qualcosa era emerso già 215 da una tesi di laurea di Drusilla De Camillo, e dagli studi di Cecilia, ma solo il riordinamento archivistico che mettesse in primo luogo ordine alle carte, agli spartiti, poteva far capire il rilievo che potesse avere tale documentazione. Essa, cartacea, si va ad unire a diversi libri pergamenacei medioevali, relitti di una forse più cospicua bi- blioteca musicale, come fanno pensare i fogli impiegati per rilegare i Diversorum, ed agli stampati posti fuori uso dalle liturgie tridentine e successive. Forse più di qualcosa si è perduto non solo per i guasti del tempo, l’incuria del passato, i reimpieghi, ma anche per i tra- sferimenti forzosi a cui furono sottoposti gli archivi e le biblioteche anagnine e come attestano le sole due testimonianze rimaste e rela- tive alla sottrazione di documenti portati all’Archivum Arcis e alla Biblioteca Barberini. I tre saggi in questione, al di là di qualche in- genuità dei due autori, sono il prodotto di un impegno che speriamo Recensioni e segnalazioni

duri, possa far conoscere meglio il patrimonio e, magari, riscoprirlo con il reimpiego delle produzioni artistiche di ingegnosi musicisti del passato.

T. Bartoli, Sì, c’ero anche io. Gli anni della mia giovinezza 1935- 1949. Racconti di guerra, Ceccano 2015, pp. 323, ill.

M. T. Bergamaschi, R. Di Giovannandrea, Il Palazzo di Monteroton- do. Una residenza baronale della nobiltà romana in Sabina tra XVI e XIX secolo, Campisano Editore, Roma 2014, pp. 375, ill. Un volume esemplare indicato proprio per la sua caratteristica a tutti gli studiosi di documentazione artistica, costruito attorno al nu- cleo centrale degli inventari delle residenze nobiliari che abbonda- no negli archivi, non solo nei fondi archivistici familiari ma sovente anche nei protocolli notarili. Questo volume è appunto un modello per l’edizione e lo studio di questi inventari. Infatti i due autori, ol- tre all’edizione pura e semplice, introducono i documenti con saggi d’approfondimento e d’analisi degli inventari stessi.

Il Monastero di San Magno a Fondi. I. Storia e archeologia, a cura di N. Cassieri e V. Fiocchi Nicolai, Edizioni Tored, Pontificio Istituto 216 di Archeologia cristiana, Tivoli 2013 (Biblioteca del Lazio. Archeolo- gia, 1), pp. 187, ill. tavv. f.t. e f. f.; A. Ambrogi, L’Abbazia di San Nilo a Grottaferrata. Il complesso mo- numentale e la raccolta archeologica, Edizioni Tored, Tivoli 2013 (Biblioteca del Lazio. Archeologia, 2), pp. 223, ill.; G. A. Cellini, Antium. Le sculture nei documenti di archivio tra XIX e XX secolo, Edizioni Tored, Tivoli 2013 (Biblioteca del Lazio. Ar- cheologia, 3), pp. 188, ill.; M. De Bianchi, I cartulari medievali del Lazio, Edizioni Tored, Tivo- li 2013 (Biblioteca del Lazio. Archivi e documenti, 4), pp. 302; Anagni cristiana e il suo territorio dalla tarda antichità all’alto me- dioevo, a cura di V. Fiocchi Nicolai, Edizioni Tored, Tivoli 2014 (Bi- blioteca del Lazio. Archeologia, 5), pp. 249, ill t.f.t. Grazie ad un progetto dell’Università di Tor Vergata, con la col- laborazione della Regione Lazio, del Pontificio Istituto di Archeolo- Recensioni e segnalazioni

gia Cristiana, della cattedrale di Anagni e di BancAnagni, diretti da un comitato scientifico composto da conosciuti studiosi, sono usci- ti questi cinque volumetti su alcuni aspetti del Lazio antico, tardo antico e medievale. Hanno collaborato, scrivendo saggi su aspetti specifici, Daria Mastrorilli, Daniela Quadrino, Cinzia Palombi, Ales- sandro Vella, Elisabetta Frissi, Manuela Meo, Sonia Borgognoni, Claudio Spagnardi, Giovanni Ceci, Cristiano Mengarelli, Stefano Ia- frate. I volumi si presentano come monografie e solo il primo ed il quinto in realtà sono vere miscellanee su un argomento molto ben delimitato. Il volume sui cartulari in effetti allarga il suo oggetto a buona parte del Lazio e non appare ristretto territorialmente come gli altri quattro. Si tratta di studi scaturiti nell’ambito dell’università che ha sa- puto valorizzare l’impegno negli studi di suoi studenti che stanno preparandosi ad un futuro di studio sui temi da essi stessi scelti. Comunque la panoramica è ampia, la formula giusta e ci si augura che l’iniziativa continui.

G. bonificatore. Appunti sulla bonifica di Piscinara 1919- 1934. Catalogo mostra, snt, pp. 38, ill. Si tratta, come suggerisce il titolo, del breve catalogo di una mo- stra dedicata all’attività di bonificatore di Gelasio Caetani, uomo di “multiforme ingegno” che fu ingegnere militare, ufficiale dell’eserci- to italiano, diplomatico, amministratore dei beni familiari, storico, 217 e tante altre cose. Il catalogo si riferisce ad una mostra della Fonda- zione Roffredo Caetani, esposta nel complesso monumentale di Tor Tre Ponti (Latina), lungo la Via Appia nel corso del 2014. Dopo due pagine dedicate ad una sintesi cronologica della vita di don Gelasio, quattro tavole illustrano le bonifiche da lui promosse, a cui fanno seguito undici tavole sulla bonifica della palude pontina e dodici su quella di Piscinara, sei tavole su Ninfa prima degli interventi, e le ul- time due dedicate alle bonifiche promosse dai Caetani. Ci sono pian- te, mappe, progetti, ma soprattutto fotografie che danno l’immagine di ciò che c’era in terra pontina prima delle bonifiche degli anni venti e trenta. Recensioni e segnalazioni

U. Caperna, Licinio Refice. Aspetti inediti di vita intima e familiare, Cassino 2011, pp. 256, ill.

G. Carbonara, Iussu Desideri. Montecassino e l’architettura cam- pano-abruzzese nell’XI secolo, GBE / Ginevra Bentivoglio Editoria, Roma 2014 (Collana Arti, 22), pp. 304, ill. È la ristampa, con un’aggiunta relativa alla chiesa di S. Michele in S. Angelo in Formis, di un fortunato volume edito negli anni Set- tanta del secolo passato. Come è noto, la tesi fondamentale di Gio- vanni Carbonara sostenuta in questo volume è la centralità dell’ab- bazia desideriana di Montecassino rispetto alle esperienze più si- gnificative di architettura degli edifici religiosi dei secoli XII-XIII in Italia centro-meridionale le cui estreme propaggini sono in Sicilia. Si tratta, evidentemente, di un richiamo alla tradizione che vede in un certo modo l’architettura delle chiese cristiane delle origini, ma anche di una novità in quanto connessa con l’esigenza di rinnova- mento espressa dalla Riforma della Chiesa, promossa dal papato riformatore (e l’abate Desiderio è uno dei puntelli della Riforma Ec- clesiae). In questo modo il modello antico, passato per l’architettura carolingia, con questa spinta diventa manifesto politico. Ed il ruolo si rafforza anche in considerazione che la propagazione del modello rafforza la presenza normanna, da poco affermatasi, e necessita di una conferma, di una legittimazione. Si tratta di un nuovo disegno 218 basato sul quadriportico, di ampia navata retta da colonne e di una nave traversa, il transetto, su cui insistono tre absidi. Dopo l’analisi della costruzione cassinese, Carbonara analizza le chiese di S. Ma- ria della Libera ad Aquino, di S. Liberatore alla Maiella e di S. Mi- chele Arcangelo in Sant’Angelo in Formis. Arricchiscono il volume un’appendice grafica e fotografica, una ricca bibliografia e l’indice dei nomi di persona e dei luoghi.

Le carte dell’Archivio di Castel Sant’Angelo relative all’Italia, 1, Do- cumenti privati (sec. XIII), a cura di A. Piazza, Città del Vaticano, 2013 (Collectanea Archivi Vaticani, 90), pp. 1135; Le carte Kanzler-Vannutelli dell’Archivio Vaticano. Inventario, a cura di V. Polselli, Città del Vaticano 2013 (Collectanea Archivi Va- ticani, 91), pp. 443; Recensioni e segnalazioni

Dall’Archivio Segreto Vaticano. Miscellanea di testi, saggi e inven- tari. VII, Città del Vaticano 2014 (Collectanea Archivi Vaticani, 96), pp. 441. Il primo volume curato da Andrea Piazza nasce da un’intesa fra Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e l’Archivio Segreto Vatica- no allo scopo di pubblicare le pergamene notarili del Duecento, per l’esattezza dall’elezione al soglio pontificio di Lotario, poi Innocenzo III, alla morte di Bonifacio VIII; in seguito si pubblicheranno i do- cumenti cancellereschi papali, imperiali e regi ma anche di autorità minori. È nota l’importanza dei documenti raccolti nell’Archivum arcis e che abbiano attirato l’attenzione di diversi studiosi (siste- matico l’impegno degli stranieri, più episodico quello degli italiani); con questo progetto anche le istituzioni italiane si fanno carico di far conoscere le carte relative alla storia italiana. Come è altresì noto, nell’Archivum confluirono documenti attestanti i diritti della chiesa sulle terre poi diventate Stato Pontificio, e conservati in sacculi e solo dopo un certo tempo, nel Seicento, poste in armadi e cassette. Diversi documenti furono raccolti in archivi locali ed è notissimo il caso di Anagni, per cui la documentazione relativa al Lazio meridio- nale è cospicua. Infatti nel volume troviamo, sin dal primo docu- mento edito, una gran mole di carte relative alle terre meridionali dello Stato dei Papi e, come attesta anche il ricco indice, dove appun- to si riscontrano i nomi di piccoli e grandi insediamenti basso laziali ed i nomi di decine e decine di abitanti di tale territorio. Anche le carte Kanzler-Vannutelli, oltre all’interesse generale 219 che possiedono, hanno una specifica vocazione locale in quanto con- tengono tutta la documentazione delle campagne di guerra condotte dal piccolo esercito pontificio nel 1867 (quella che per il Risorgimen- to italiano è il tentativo garibaldino di acquisire Roma al Regno d’I- talia, terminato a Mentana) e del 1870 (ovvero la conquista di Roma mediante l’occupazione del Lazio e con la breccia di Porta Pia anche della Città Eterna). Non solo, altri aspetti relativi al Lazio meridio- nale sono presenti fra le carte che trattano dell’occupazione france- se, ovvero gli anni che vanno dal 1862 al 1866 in cui truppe francesi protessero Pio IX ma di fatto occupando il Lazio, l’unica regione ri- masta al pontefice regnante dopo la grande stagione risorgimentale del 1858-1860 culminata con la proclamazione del Regno d’Italia. Il volume 96 della Collectanea Vaticana è il settimo volume di studi, inventari e saggi di natura storico-archivistica che si produco- Recensioni e segnalazioni

no nell’ambito dell’Archivio Segreto e che, come al solito, presenta- no non solo inventari, ma anche studi basati sui ricchissimi carteggi vaticani. Ed i vari indici ci danno la possibilità di trovare quanto interessa il territorio basso laziale.

Missione archeologica del castello di Piombinara, II, Il castello di Piombinara la chiesa e il cimitero. Le indagini 2004-2013, a cura di T. Cinti, M. Lo Castro, A. Luttazzi, Colleferro 2014, pp. 288, ill. Dall’Indice: La Chiesa castrense di A. Luttazzi, La Chiesa ed il suo Cimitero: i risultati della ricerca archeologica, di T. Cinti e M. Lo Castro, Il cimitero della Chiesa: i risultati della ricerca antropo- logica, di R. Olevano, Tabella sinottica, di T. Cinti, M. Lo Castro, R. Olevano, I corredi tombali, di A. Luttazzi, I materiali metallici da altri contesti, di A. Luttazzi, Le monete, di F. Marani, Gli affreschi, di N. Cellini, I materiali arcaici e repubblicani, di M. R. Giuliani, La ceramica, di A. Luttazzi, I manufatti litici, di G. Mutri, Le indagini geofisiche sul Castello e sulla Chiesa di S. Maria di Piombinara: ri- sultati e prospettive della ricerca, di T. Cinti e M. Lo Castro, I Conti di Valmontone fra Trecento e Quattrocento, di A. Serangeli, Biblio- grafia.

D. Celestino, I Longobardi tra Tevere, Garigliano e Volturno (VI-X 220 sec.), snt, 2014, pp. 108, ill. Lo stesso autore definisce questo volume “veloce viaggio nell’età dei Longobardi” ma, al di là della brevità è un interessante volume che riflette da un lato sulla presenza dei Longobardi (e non si crede che fossero solo devastatori, ma piuttosto coprotagonisti di un cam- biamento che si rivelerà fruttuoso per la civiltà italiana) e dall’altro rivede gran parte della storiografia basso laziale a proposito della presenza di questo popolo germanico. Non è una storia specifica- mente locale ma si serve dell’esempio locale per far emergere alcune sue opinioni storiografiche come la koinè che il Lazio meridionale (che per lui è la zona prospiciente l’attuale confine regionale laziale) è stato nei secoli su cui cala la sua attenzione: eredità romana, pre- senza bizantina, residui goti, forte presenza longobarda che si stan- zia oltre il Liri ma che fa incursioni anche attorno a Roma, influenze mediterranee, incursioni saracene, papato e cristianesimo fortemen- Recensioni e segnalazioni

te attivo con in prima fila i grandi monasteri benedettini (Montecas- sino, S. Vincenzo, ma anche i più discosti Subiaco e Farfa), autorità carolingie, ducati longobardi, organi politici bizantini, governi locali con classi dirigenti che riflettono le stagioni storiche del passato … Il tutto genera una zona di grande creatività (basti pensare al cenobiti- smo benedettino, attivo su larga scala: agricoltura, economia, socia- lità, culto, liturgia, proprietà fondiaria, potenza culturale, etc. etc.) e di forti mescolamenti. È un libro che Domenico Celestino ha lasciato in eredità e che un gruppo di amici ha voluto che si pubblicasse. Una sorta di testamento culturale del medico Celestino che ha lasciato una sua rilettura della storia della zona d’origine.

L. Celletti – V. Tranelli – A. Capua, San Tommaso Veringerio, Amaseno, snt, pp. 64, ill. Una reliquia di un San Tommaso ha smosso i tre autori (i testi sono di Lara Celletti e Vincenzo Tranelli, Adriano Capua è l’autore del ricco apparato iconografico) a cercare di identificare il santo in questione e l’analisi del semibusto reliquiale ha consentito di appro- dare a certe conclusioni. Si è trattato di un lavoro certosino, a volte fondato sulle labili tracce di bulino dell’argentiere che ha “scolpito” il semibusto e che hanno consentito, attraverso una paziente, ma, si suppone, affascinante ricerca, di capire e di scoprire. Ovviamente si tratta di un santo che ha una leggenda fondativa locale, messa in luce e spiegata dagli autori che, dopo una intervista al parroco 221 don Italo Pisterzi, hanno spiegato i perché della loro ricerca, hanno descritto il “reperto” ovvero il semibusto reliquiale, e qui sono state utilissime le fotografie molto analitiche di Adriano Capua che con gli ingrandimenti ha messo in luce tanti dettagli e particolari, i quali hanno indicato piste di ricerca verso direzioni impensabili (come il tentativo di conoscere l’abbigliamento accennato dalle “decorazio- ni”). Supporto indispensabile il materiale scritto d’archivio che è stato utilissimo (anche se scarso, ma questa è una nota comune per tutte le indagini sui santi). Uno dei due autori, Vincenzo Tranelli, è medico, per cui deve essere venuto spontaneo il pensare ad un’in- dagine sui reperti ossei presenti nel cranio argenteo. Qualche allar- gamento di campo, l’importanza dei reliquiari, il dibattito meglio la disputa sulle reliquie, la documentazione scritta, sono serviti per porre in un più vasto campo delle conoscenze quanto i nostri aveva- Recensioni e segnalazioni

no fino ad allora prodotto. Alla fine il discorso si è ristretta intorno al personaggio San Tommaso Veringerio ed alla sua presenza in loco che è fatta risalire ad una chiesa rurale oggi scomparsa e quindi ad un diverso inquadramento demico del passato, ai conflitti confinari sovente sfociati in contrasti parareligiosi. A conclusione una serie di paragrafi sui sentimenti degli autori a scoprire un’altra verità rispet- to a quanto creduto sino ad allora, su altri reperti iconografici (due pitture di cui una scomparsa), la cassetta contenitrice del semibusto, la pittura ad affresco di S. Maria e la festa sono ulteriori completa- menti del discorso.

Chiesa di San Michele Arcangelo. Storia del restauro 2006-2013, a cura di A. Di Falco, Roma 2013, pp. 217, ill. Si tratta di un bel volume dedicato alla chiesa sermonetana di S. Michele Arcangelo, o S. Angelo, restaurata e destinata a Museo delle mura urbane di . C’è la descrizione della chiesa, ci sono le notizie storiche, c’è la descrizione di quello che esisteva al momento di intervenire, c’è il progetto che ha guidato l’equipe dei restauratori, ci sono i resoconti dei lavori svolti, degli imprevisti, delle scoperte (memorabile la scoperta di una importante pittura del Cinquecen- to, una crocefissione, nascosta da una tela successiva), dei lavori di complemento relativi alle suppellettili trovate e alle sepolture (coi cadaveri che sono stati esaminati ed analizzati). 222

F. Cioci, Il castello di Pofi, Pofi, 2013 (Pofi nella storia, 4), pp. 103, ill. L’autore è stato bibliotecario e, come si afferma in una delle prefazioni, per rispondere alle domande di storia locale, prima ha organizzato convegni e collaborato alla pubblicazione di tre volumi della collana “Pofi nella storia” e poi si è fatto storico lui stesso. Il- lustra (è il caso di dirlo poiché il libro è composto di numerose il- lustrazioni fra cui quattro piante fuori testo) il castello, ovverosia il paese fortificato, nato certamente nel processo dell’incastellamento (la più antica menzione è del 1019). Dopo le prefazioni di rito, sin- daco, assessore, autore ed i ringraziamenti e l’introduzione di Carlo Cristofanilli, il volume è strutturato su tre capitoli e due altre parti aggiunte. Nel primo c’è una sintesi storica che parte dalla più anti- ca presenza umana visto che a Pofi si trovano resti paleontologici e Recensioni e segnalazioni

vi è stato istituito un celebre museo di preistoria, e arriva ai nostri giorni con alcuni paragrafi del periodo che maggiormente interessa: il medioevo, l’età moderna insino alla fine dei feudi. Il secondo è sul castello di cui si tracciano la nascita, l’evoluzione dell’abitato che, a partire da alcune torri, si è via via ulteriormente rafforzato con una cinta muraria imponente, altre torri e poi riempito di case e palazzi sino al saturamento in epoca moderna. Il terzo capitolo è dedicato alla rocca; qui si ricostruiscono gli elementi costitutivi degli edifici e dispositivi della difesa come torri, cortine, i camminamenti, ed an- che si tratta degli edifici monumentali ivi esistenti oggi: due chiese ed il moderno palazzo dei Colonna (in ultimo signori del feudo). Le due parti aggiunte trattano delle tecniche costruttive ed edilizie con una cronologia della storia pofana. Bibliografia, fonti ed un indice analitico completano il volume. Una storia divulgata con ricco apparato illustrativo, fortemente didascalica e semplificatrice, magari ci sarebbe voluto un più consi- stente apparato di note con un accurato rinvio alle fonti specifiche di ogni singola informazione, così si presenta il volume pubblicato dal Comune di Pofi, opera di un solerte e prolifico bibliotecario.

Confini, toponimi, luoghi stregati. Leggende, aneddoti. memoria storica a Licenza e Civitella di Licenza, a cura di M. D’Amadio ed E. Silvestrini, Roma 2014 (Luoghi sacri del Lazio), pp. 224, ill. Ricco volume pubblicato dalla Soprintendenza per i Beni stori- 223 ci, artistici ed etnoantropologici del Lazio nella collana diretta dalla soprintendente Anna Imponente (autrice anche della Prefazione) dove si tiene conto di una vasta inchiesta antropologica che le due curatrici hanno condotto nella Valle Ustica e di cui riferiscono as- sieme ad altri collaboratori (Costantino Centroni e Mario Di Sepio). L’obiettivo era raccogliere quel particolare mondo popolare che si nutre di leggende, storie incredibili, sapienza, profezie, divinazioni, memoria storica, leggende di paura, poteri magici, storie di vita e così via. Tutto il materiale è stato archiviato, trascritto dai collabo- ratori e qui presentato “interpretato” dagli studiosi chiamati in cau- sa. Dopo aver illustrato il territorio, luogo di confine posto com’è al margine orientale della regione laziale, ma con anche confini interni che sono importanti poiché richiamano storie e leggende del mondo popolare, ci si sofferma sulla leggenda del gallo, sul ruolo di quest’a- Recensioni e segnalazioni

nimale che serve a fissare i confini fra i due paesi in questione e che comunque rinviano alla celebre villa di Orazio, gloria archeologica di questo territorio. Oltre al gallo altro topos della cultura popola- re è dato dalla leggenda universale dei tesori nascosti dai briganti adattato a due banditi locali di cui si tramandano i nomi e di cui si raccontano le gesta; a fianco a questa leggenda c’è l’altrettanto nota favoletta della chioccia dalle uova d’oro. Queste come altre sono con- nesse ai tesori nascosti, di cui nella società agraria si è favoleggiato in lungo ed in largo. Seguono le storie di paura e i Racconti mera- vigliosi come l’uomo selvatico, il canto dei guerrieri a La Cerquetta, l’origine del lago di Percile, le donne sepolte vive e l’apparizione dei morti, le sonnambule, i lupi mannari. La sapienza e la preveggenza, i detti profetici, le divinazioni ed i poteri magici, come la memoria storica e le storie di vita sono i temi con cui gli studi iniziali si conclu- dono lasciando il posto alla parte documentale ovvero ai materiali che vengono riproposti con le parole dialettali riferite dai testimoni ma che qui vengono “tradotte” in lingua italiana. Sovente le locali- tà menzionate vengono raffigurate con fotografie prese ad hoc, ma qualche volta si ricorre a foto storiche. In fondo una rassegna foto- grafica presenta una galleria d’immagini dei volti, delle persone con diverse ambientazioni. Bibliografia, una serie di indici specifici (nar- razioni, argomenti, nomi, luoghi, analitico) e referenze fotografiche e ringraziamenti chiudono il ricco volume. 224

G. Coppola, Archivio Storico della Diocesi di Sora-Aquino-Ponte- corvo. Inventario (155-2001), Vol. 1, Diocesi di Sora-Aquino-Ponte- corvo, Sora 2014, «Collana Fonti ricerche e studi», pp. 295 L’inventario dell’Archivio Storico della Diocesi di Sora-Aqui- no-Pontecorvo è il quarto volume della collana Fonti Ricerche e Studi, pubblicato dalla Diocesi di Sora a cura di Giovanna Coppola, già curatrice, per la stessa collana, del primo numero Archivio del Monastero di S. Chiara di Sora. Inventario (1421-1901). Il volume è il risultato di un vastissimo lavoro di riordino e inventariazione, durato tre anni, dei principali fondi archivistici conservati presso l’Archivio Storico Diocesano di Sora. In particolare sono stati inven- tariati: l’archivio della Diocesi di Aquino; l’archivio della Diocesi di Sora; l’archivio della Diocesi di Sora-Aquino-Pontecorvo e l’archivio di Monsignor Gaetano Squilla. Pertanto la documentazione censi- Recensioni e segnalazioni

ta raccoglie l’intero corpus documentario delle tre antiche diocesi storiche dalla cui unione è stata istituita l’attuale Diocesi, da alcuni mesi unita, a sua volta, a quella di Cassino. L’unione delle tre diocesi avvenne per volontà del pontefice Pio VII, decretata con la bolla apostolica del 1818. I tre enti continuaro- no a conservare la propria autonomia, con la propria curia, il capito- lo della cattedrale e il seminario, avendo in comune la sola persona del vescovo. Solamente nel 1986 le diocesi vennero definitivamente unite con Decreto della Congregazione dei Vescovi e Regolari. L’inventario, oltre che da esaurienti scritti introduttivi (introdu- zione, prefazione e presentazione), è preceduto da un’esaustiva nota storica, indispensabile al lettore per una corretta interpretazione delle pagine che seguono. Articolata in quattro sezioni, la suddetta nota illustra la storia dell’ente nei periodi precedenti e successivi la sua unificazione. La curatrice fornisce in questo modo uno studio or- ganico sulle diocesi che hanno prodotto tutto il materiale documen- tario, soffermandosi soprattutto sulle origini e sulla loro evoluzione. Le diocesi di Sora e di Aquino risultano di antiche origini, le prime notizie sicure risalgono al V secolo, mentre la curia di Pontecorvo fu elevata a diocesi nel 1725 con la bolla del pontefice Benedetto XIII. Coppola in questa nota storica traccia anche i confini delle diocesi, mostrando la composita realtà territoriale nella quale si trovarono fino al XIX secolo, in quanto posizionate in svariati ambiti territo- riali, con una conseguente “dicotomia” tra giurisdizione ammini- strativa e giurisdizione ecclesiastica: i territori di Sora e Aquino, con 225 la bassa Valle del Liri, erano annessi al Ducato di Sora; la Valle di Comino apparteneva alla Contea di Alvito; la Valle di Roveto nella parte alta fu unita nel 1504 alla Contea di Albe e Tagliacozzo della famiglia Colonna, mentre la parte bassa, dal 1463, alla Contea di Ce- lano della Famiglia Piccolomini. In seguito, durante i secc. XVIII e XIX, questi ambiti territoriali vennero annessi al Regno di Napoli. Nella medesima nota storica vengono poi ricostruite le varie vicissi- tudini dei governi dei vescovi del sec. XIX, che segnarono la storia della Diocesi dopo la sua unificazione. La nota si concentra soprat- tutto sulle figure dei vescovi che si susseguirono nelle diverse sedi vescovili. L’inventariazione ha previsto preventivamente un notevole la- voro di rilevamento e schedatura di tutto il materiale archivistico depositato presso la curia, da cui è emerso un cospicuo patrimonio Recensioni e segnalazioni

documentario che comprende: pergamene, registri, volumi, filze, fa- scicoli, carte sciolte ecc. Tutto il materiale archivistico, come spie- gato dall’autrice in una esauriente nota archivistica, è stato rinvenu- to in uno stato di disordine che ha in un primo momento imposto, come previsto in ogni inventario, una preliminare schedatura di tut- to il materiale “pezzo per pezzo”. Questa fase iniziale ha permesso in primo luogo di assegnare inequivocabilmente l’unità archivistica al fondo di appartenenza. Successivamente il riordinamento ha ten- tato di ricondurre la singola unità archivistica alla serie di apparte- nenza, non sempre di facile individuazione, in quanto il materiale documentario risultava manomesso da interventi di riordino che purtroppo spesso avevano smembrato le serie originarie, raggrup- pando la documentazione secondo criteri dettati dall’utilità del mo- mento. Per questo motivo il lavoro di riordino ha richiesto un no- tevole sforzo di ricostruzione delle serie attraverso l’individuazione della segnatura originale. Le serie individuate sono state riordinate, come specificato dall’autrice, secondo il cosiddetto “metodo stori- co”, che prevede il riordinamento della documentazione in base alla ricostituzione dell’ordine originario, cioè ripristinando l’ordine se- condo cui l’ente aveva prodotto quei documenti e aveva provveduto a classificarli e ad articolarli in serie. Si tratta di un lavoro particolar- mente difficoltoso in quanto richiede una perfetta conoscenza della struttura, del funzionamento dell’ente che ha prodotto e ricevuto le carte, e di conseguenza anche del sistema adottato dall’ente per or- 226 ganizzare, classificare e conservare i documenti. Pertanto l’inventario, così strutturato, rispecchia fedelmente, nelle sue partizioni, quella che è stata la storia della Diocesi (esclusa l’attuale unione con la diocesi di Cassino). La conservazione dei tre principali fondi archivistici distinti tra loro restituisce una precisa immagine degli enti che hanno costituito l’attuale Diocesi. L’inven- tario in questo modo ci restituisce una mappa documentale attraver- so cui ripercorrere cinquecento anni di storia della Diocesi e dei tre enti antecedenti. Nei tre fondi diocesani non troviamo naturalmente le stesse serie; mentre i fondi delle diocesi di Aquino e della diocesi di Sora si presentano più esigui nella consistenza, il fondo della dio- cesi di Sora-Aquino-Pontecorvo presenta un corpus documentario più cospicuo con una struttura in serie più ampia. Il volume presenta anche un interessante inserto fotografico, che riproduce: documenti, coperte di volumi, frontespizi di registri, Recensioni e segnalazioni

piante e disegni. Un piacevole excursus, magistralmente realizzato con un’ottima definizione fotografica, tra decreti, editti, registri di amministrazione, autentiche di reliquie, inventari ed altro. Sono inserite, inoltre, immagini relative a coperte di registri antichi re- centemente restaurati; in alcune si nota un recupero della coperta originale integrata sul bordo (fig. n. 10), mentre in altre si osserva una sostituzione integrale (fig. 47). L’inventario di Giovanna Coppola si presenta quindi come un’o- pera indispensabile per l’Archivio Storico diocesano, in quanto è uno strumento che rende fruibile la documentazione archivistica ivi conservata, la quale, bisogna ricordare, rappresenta l’unica fonte per poter ricostruire fatti e eventi realmente accaduti. Un archivio è dunque un “luogo” della memoria storica, dove poter “scavare” per far riemergere verità oggettive, e pertanto fonte privilegiata per in- terpretare il passato. Il volume deve essere pertanto considerato come un meritevo- le punto d’arrivo di un notevole lavoro di riordino, e si pone come punto di partenza per chiunque voglia svolgere un’indagine appro- fondita sulla storia della Diocesi di Sora, attraverso il patrimonio archivistico diocesano reso finalmente fruibile. Luisa Alonzi

Ambrogio Costantini, M. Costantini, G. Capone, Edoardo Facchini sacerdote, vescovo, patriota, Frosinone 2004, pp. 200, ill. 227 C. Costantini, Ricordo di don Morosini fra storia e memoria, Cecca- no 2010, pp. 200, ill. M. Costantini, M. Figliozzi, Le Fraschette di Alatri da campo di con- centramento a centro raccolta rifugiati e profughi, Ceccano 2009, pp. 99, ill. M. Costantini, M. Figliozzi, Le Fraschette di Alatri 3 da campo di concentramento a centro raccolta rifugiati e profughi, Ceccano 2014, pp. 199, ill. Il gruppo alatrese che fa capo a Carlo Costantini ed all’Associa- zione Partigiani Cristiani è molto attivo e se pur ripete gli argomenti ha trovato il sistema per approfondire una serie di situazioni. Infatti, al campo di concentramento delle Fraschette ha dedicato ben tre volumi che partendo da una prima raccolta dati si è ampliato col ter- zo volume fino ad occupare quasi 200 pagine del terzo libro. Dopo Recensioni e segnalazioni

un primo momento in cui gli autori hanno trattato dell’apertura del Campo delle Fraschette con l’arrivo dei prigionieri di guerra anglo maltesi e slavi, con la ricostruzione dei fatti storici generali e speci- fici, lo schema si è arricchito di volume in volume, moltiplicando le informazioni ed anche i paragrafi ed i capitoli. Gli autori ricostrui- scono la dolorosa storia di uno fra il centinaio di campi costruiti per restringere nemici dell’Italia fascista; in questo quadro si ricorre a diversi tipi di documentazione, fra cui le testimonianze orali di ala- trensi ed abitanti dei dintorni ma anche dei rinchiusi che nel do- poguerra sono tornati ad Alatri o sono stati intervistati. Colpiscono le vicende umane di gente considerata nemica ed anche l’atteggia- mento di diversi che ne colsero l’umanità o la loro realtà, in ambito ecclesiastico che, come dimostrano i racconti e le testimonianze, fu- rono molte e sistematiche. Due biografie vengono dedicate a mons. Facchini, sorano ma vescovo di Alatri e a don Giuseppe Morosini, eroe della resistenza romana ma originario di Ferentino. Si tratta di due ecclesiastici distintisi per l’impegno antifascista, segno di una maturazione dei rapporti politici da parte di una zona ben precisa del panorama politico e culturale italiano.

G. de Angelis Curtis, Gaetano di Biasio (1877-1959). Carattere di impertinente ribelle e di sognatore …, Ivo Sambucci editore, Cassi- no 2012, pp. 184, ill; allegato DVD. 228 Un’originale biografia che ripercorre la vita e le opere diun personaggio della Cassino novecentesca, così si potrebbe definire, in estrema sintesi, lo studio condotto da Gaetano De Angelis Cur- tis che, con la prefazione di Silvana Casmirri, è comparso per i tipi di Ivo Sambucci. In effetti non è solo una biografia perché, come dice Silvana Casmirri, la biografia è anche uno spaccato della storia del luogo dove la persona vive. Per cui storia generale di Cassino (e d’Italia) e storia personale corrono parallele epperò si incontrano sempre, nella persona del biografato. Gaetano di Biasio nasce nel- la Cassino degli anni posteriori all’Unità, studia con grandi sacri- fici della famiglia e personali, si forma idee personali e alla fine, da maturo studente universitario, diventa socialista. Ma lui è un poeta nell’animo, uno scrittore per la sua gente, un avvocato che conquista il favore cittadino per suoi modi (anche gli avversari e gli organi di polizia che pure lo iscrivono al Casellario politico centrale). Nel libro Recensioni e segnalazioni

sono riportate, con criterio annalistico, le tappe della vita del nostro con i suoi problemi (è stato accusato, ed arrestato, con l’accusa di correità in regicidio!), i suoi successi, la vicende importanti e meno che attraverso diverse fonti, ad un certo punto De Biasio scrive an- che un Diario, che de Angelis ricostruisce. Dopo il ventennio fasci- sta, passato senza particolari problemi esteriori, ma con forte trava- glio personale, Di Biasio deve affrontare la guerra e, soprattutto, il secondo dopoguerra dove è chiamato a svolgere un ruolo delicato: diventa sindaco di Cassino, rieletto poi. Fallisce l’elezione a deputato ma rimane comunque un protagonista della Città martire dove è per tutti uno dei più importanti membri della comunità. Lui da figlio di un calzolaio-ciabattino e di una erbivendola era riuscito con lo stu- dio a diventare un intellettuale, un professionista, un politico!

S. Del Ferro, Castrum montis Sancti Iohannis. Archeologia e storia di un insediamento medievale, Roma 2013 (Miscellanea della So- cietà romana di storia patria, 57), pp. 220, ill. Il volume contiene la descrizione del territorio attraverso l’in- dividuazione dei caratteri geografici e geomofologici, i materiali e le cave. La storia e la storiografia di questo territorio è descritta per le età preromana, romana, tardo antica, un sito a continuità di vita: la villa romana in località Bellezza, la viabilità dell’epoca antica, il ter- ritorio altomedioevale e la definizione di “terra di confine”, le forme di insediamento e sfruttamento delle risorse e la viabilità medioeva- 229 le. Trattando del castrum Montis Sancti Johannis l’autore illustra le vicende storiche del castrum in questione, descrive e analizza la cin- ta muraria, illustra la topografia dell’abitato, il nucleo fortificato e le sue evidenze archeologiche, come il castrum controllasse il territo- rio, infine si sofferma sulle località Rave Cornacchioni, La Torretta, La Mentrella. Nel capitolo quarto analizza le strutture murarie con le tipologie e gli elementi architettonici minori. Infine riassume le fasi costruttive e ricostruttive del borgo. A conclusione dopo le note pubblica 5 importanti documenti. Il volume è arricchito da una lunga serie di immagini in bianco e nero che pongono sotto gli occhi le parti salienti del castrum. Si tratta di un esemplare studio di archeologia medioevale, che diverrà punto di riferimento degli studi similari. Recensioni e segnalazioni

E. Di Vito – E. Di Giorgio, L’aeronautica militare nel Cassinate dal Regno alla repubblica. Il sacrificio del Ten. Pilota Alberto Testa e la storia “dimenticata” degli I.M.I. (Internati militari Italiani), Ivo Sambucci Editore, Cassino 2013 (Centro documentazione e studi cassinati), pp. 192, ill. Promosso dal Comune di Pignataro Interamna e dal 72° Stor- mo di Frosinone, il volume contiene diversi argomenti introdotti da una breve storia dell’Aeronautica Italiana, della sua presenza in Alta Terra di Lavoro e poi affronta la vicenda di Alberto Testa di cui si narrano la vita e le opere, occasione per allargare il discorso ad altri importanti argomenti del settore, come l’osservatorio meteorologico di Montecassino, l’aeroporto di Aquino e gli uomini che ivi hanno operato, la fabbrica di aeroplani di Cassino e poi note su Secondino Pagano che ha operato negli ultimi decenni tra le fila dell’aeronau- tica militare. Infine un capitolo è dedicato agli I.M.I. con una infor- mativa piuttosto interessante sul fenomeno. Una serie di appendici concludono il lavoro: la scuola aerea, l’aeroporto di Aquino e l’atti- vità durante il periodo bellico, le coccarde dell’Aeronautica militare e per concludere la preghiera dell’aviatore e la preghiera degli I.M.I.

E. Di Vito – F. Di Giorgio, Memorie di un popolo, Ivo Sambucci Edi- tore, Cassino 2015, pp. 303, ill. 230

F. S. Di Murro, La valigia di cartone. L’emigrazione dei collacciani … (… la necessità … fatta virtù ….), Roccasecca 2015, pp. 96, ill. L’autore scrive sempre libri interessanti sul suo paese, Colle S. Magno, e non si smentisce neppure questa volta poiché, con la solita semplicità ricca di documentazione, illustra il tema dell’emigrazione collacciana. L’assunto di fondo è che l’emigrazione non sia un fe- nomeno del tutto negativo, visto come sottrazione, poiché in realtà essa è servita a far “riscattare” dalla povertà quanti emigrarono e ricostruirono se stessi, con altra identità, in diverse aree del mondo. Solitamente, osserva, si parla dell’emigrato con la valigia di cartone chiusa con lo spago; una figura retorica presente in tutte le celebra- zioni, ricordi e citazioni. È vero che la valigia raffigura l’emigrante italiano, ma essa è la fotografia della sua condizione di partenza che non rappresenta più la nuova condizione nelle nuove terre. L’emi- Recensioni e segnalazioni

grazione è una triste pagina che però è servita agli emigranti e per far capire bene la condizione di partenza e tanti arrivi felici Di Murro scrive un racconto (così definisce il suo scritto, infatti non è un’opera storiografica, né una raccolta di memorie) in cui, all’inizio, ricostru- isce la vita del paese nel passato recente. Illustra brevemente diversi aspetti o climi che si rifanno alla giornata di un collaccianese alle prese con la coltivazione di un territorio difficile, alla fatica del pro- cacciarsi il vitto, rappresentato dal pane, cibo centrale della cultura paesana, e l’estrema fatica dei mestieri del passato. Una digressio- ne è sul dialetto, la lingua che non apre porte ma dà l’identità. Poi l’apertura della strada con Zi’ Felice, il primo emigrante e le grandi disgrazie rappresentate dalle due guerre mondiali. Infine la scoperta massiccia dell’emigrazione e quindi il clima e le avventure. A questo punto pubblica una serie di testimonianze che l’autore ha fatto scri- vere a più paesani emigrati nei diversi continenti e stati europei. Gli antichi abitanti di Colle S. Magno, alcuni con molta ingenuità, altri con la nostalgia nel cuore, hanno raccontato sia le storie delle loro emigrazioni ma anche di tanti ritorni e di impossibili restituzioni al paesello. Alcune di queste storie, quelle scritte meglio, sono state pubblicate con fotografie che ritraggono le pagine scritte. E qui la scoperta di un doppio cambiamento. Sia negli emigranti che nel pa- ese, mutato negli aspetti esteriori (case, strade, paesaggi, vita socia- le …) e in quelli della mentalità, dei comportamenti, delle scale dei valori … E così il racconto finale registra l’impossibilità del ritorno di coloro che si staccarono decenni or sono da questo paese, abbar- 231 bicato ai costoni del monte Caira, magari ci torneranno da morti per non allontanarsi più.

G. D’Onorio, Rintocchi della memoria. Campane e campanili di Ve- roli, Sora 2001, pp. 204, ill.; G. D’Onorio, Rintocchi Palianesi. Campane e campanili di Paliano, Paliano 2010, pp. 95, ill.; G. D’Onorio, Hoc opus. Le campane e i campanili di Ferentino nella storia della città, Isola Del Liri 2013, pp. 215, ill. Dopo dieci anni di lavoro nel 2001 Giuseppe D’Onorio sforna- va Rintocchi della memoria. Campane e campanili di Veroli, il suo primo lavoro in questo settore a cui pare essersi dedicato quasi a vo- ler svolgere una missione. Un giorno o l’altro ci dirà pure il perché! Recensioni e segnalazioni

Il primo volume si “capiva” essendo dedicato alla sua città natale, di cui è stato anche sindaco. Amor di patria ma non si spiega per- ché continuare. Comunque sin dal primo testo si sono visti la buona qualità del lavoro e dei risultati. Pubblicato dal Centro di studi stori- ci sorani, in un’alleanza territoriale e personale giustificata dalla vi- cinanza, la prima opera è quasi un manuale di lavoro poiché l’autore mette in piedi uno schema di lavoro che parte da aspetti generali per giungere, attraverso “tappe ragionate e documentate” al repertorio finale. Dopo le “obbligatorie” presentazioni di Luigi Gulia e di Marco Bussagli e l’introduzione dell’autore c’è una breve cenno generale sulle Campane nella storia e poi subito si mette in campo l’oggetto: le oltre cento campane verolane, capitolo seguito dalla illustrazione delle tecniche di suono e di quando si suonavano le campane. Un capitolo tratta della campana civica ed infine si tratta delle iscrizioni e decorazioni delle campane. Veroli ha avuto nel passato non tanto lontano più fonditori di campane e questo argomento non poteva essere sottaciuto e sul tema delle fusioni e rifusioni D’Onorio si sof- ferma a lungo per poi chiudere con i campanili, l’orologio e la torre su cui è eretto e per ultimo il grande repertorio chiesa per chiesa, torre campanaria per torre campanaria, partendo dalla chiesa più elevata, S. Leucio, fino all’ultima cappella rurale, passando per i po- chi campanili laici e terminando con l’abbazia di Casamari, le sue campane ed il suo orologio. Ovviamente dentro il libro ci sono sto- rie nella storia, mille storie che riguardano le singole campane, le 232 epoche, le vicende a cui furono soggette, ma anche gli uomini che le promossero, che le realizzarono, che le hanno suonate e fra le righe fino a quelli che l’hanno invocate contro i fulmini, per ritrovare la buona strada, per avere il segno delle liturgie a cui partecipare, per scandire il tempo, per sentire la voce di Dio, per maledirle in quanto disturbatrici del sonno, per l’allarme dato … in somma le campane sono servite e servono a tanti usi. Fra le tante suggestioni di questo ornatissimo volume (orna- to per le parole appropriate ma anche per le illustrazioni profuse a piene mani) colgo quella di Luigi Gulia che fa notare come il tema sia in effetti inesplorato anche se alcuni volumi sono stati dedicati a questo tema e mi viene da pensare proprio all’attività di Giuseppe D’Onorio, anche per le opere seguenti, riuscirà certamente a darci una panoramica se non completa ed esaustiva certamente ricca e suscettibile di segnalarsi a livelli importanti. Mentre Marco Bussa- Recensioni e segnalazioni

gli, che poteva soffermarsi sull’apparato decorativo illustrato da un denso capitolo del libro, preferisce porre in rilievo l’aspetto “umano” della questione parlando del campanaro, spesso il sagrestano o un esperto del suono delle campane in quanto non è non facile suonare le campane, come a prima vista parrebbe, poiché non ci sono solo gli aspetti ritmici e musicali da tenere in considerazione, ma il campa- naro deve possedere e saper controllare anche le tecniche materiali e deve saper gestire l’intero gruppo, sovente composto da più cam- pane. Nove anni dopo esce il volume Rintocchi palianesi dedicato alle campane di Paliano; anche qui, dopo le introduzioni di rito e alcuni capitoli dedicati alle campane nella storia, alla costruzione di una campana (con immagini della nota fonderia di Agnone, in Molise), ce ne sono due dedicati all’uso molteplice delle campane, alle funzio- ni civiche di questi strumenti di suono, impiegati anche per gli av- visi. Infine la rassegna, chiesa per chiesa, campanile per campanile, anche di quello civico e di una piccola cona ma dotata di campana, appunto delle campane palianesi. Anche in questo caso ogni campa- na è stata fotografata e le iscrizioni sono state riportate per intero; c’è anche la distinzione fra i vari tipi di campane. A Paliano Giuseppe D’Onorio c’è andato per l’amicizia col par- roco di una volta, don Franco Proietto, e questo spiega il motivo della pubblicazione, ma il legame, nato occasionalmente da un rap- porto di lavoro, è diventato amichevole. Questo libro, grazie al suo apparato fotografico, fa vedere come la fusione e l’istallazione di una 233 campana nel suo alloggiamento è oggi un’operazione ingegneristica vera e propria, che rende quasi patetiche le immagini dei codici del passato: essi mostrano campane e campanili medioevali e dell’età moderna, macchine sollevanti e torri campanarie abbozzate nelle miniature o negli acquerelli conservati negli archivi. Il terzo volume arriva ben presto, nel 2013 D’Onorio pubblica il tomo sulle campane di Ferentino. Solo 75 bronzi, pochi rispetto ai 105 di Veroli, ma pur sempre un patrimonio cospicuo. Anche questo è molto articolato: prefazioni, storia delle campane, la loro fabbri- cazione, una descrizione, epoca per epoca, delle campane ferenti- nati, le storie delle campane del Comune, la mancata requisizione dei bronzi per esigenze belliche, i rifacimenti postbellici, la storia di una batteria di campane ed infine la descrizione campanile per campanile, campana per campana dell’ingente patrimonio cittadi- Recensioni e segnalazioni

no. Infine il breve repertorio, note e indici completano il volume. Come negli altri volumi le storie sono tante, si moltiplicano per le campane possedute, ma anche per alcuni dati che in questo volume hanno il marchio della ricostruzione storiografica. Ferentino possie- de ancora carte a sufficienza, anche se molte sono state distrutte, bastanti a poter delineare la storia delle campane e le tante storie dello stesso strumento. Ad esempio, è possibile non solo identificare le campane per epoca, ma attribuire a Ferentino un’antica campana, risalente al Mille, all’incirca, e poter ricostruire tante vicende “cam- panarie”. Una per tutte: la mancata requisizione per motivi bellici delle campane, voluta dalle autorità italiane per motivi bellici negli anni della Seconda Guerra Mondiale. Anzi, dopo la guerra, tutte le campane danneggiate (e la città di Ferentino subì bombardamenti ferocissimi stante la positura a cavallo della Casilina, la principale strada che consentiva di rifornire il fronte di Cassino) furono ripara- te, sostituite da campane rifuse, e costruite ex novo. Un patrimonio campanaro che D’Onorio descrive chiesa per chiesa, campanile per campanile, una per una, col solito scrupolo, con la solita procedura (definizione di campana: maggiore, mezzana, minore o dedicata a qualche santo) trascrivendo le iscrizioni presenti e fotografando la campana stessa e tutti i dettagli necessari. Lavoro certosino, lavoro che potrà apparire noioso, quasi burocratico ma entusiasmante per l’autore e chi legge il libro viene entusiasmato da Giuseppe D’Onorio in quella che ormai è diventata una missione di vita. Il risultato sarà 234 che la Ciociaria, il Lazio meridionale saranno uno dei pochi luoghi al mondo cristiano ad avere il repertorio di tutte le campane esistenti. Gioacchino Giammaria

G. D’Onorio, Testimoni di un prodigio. Il processo canonico del 1570 sul miracolo eucaristico di Veroli, Veroli 2005, pp. 77, ill.

Entità di una distruzione identità di una ricostruzione. La parroc- chia della Santissima Annunziata nel rione degli Scacciati, Atti del convegno di studi, Palestrina, chiesa della Santissima Annunziata, 25 aprile 2012, a cura di A. Fiasco e R. Iacono, Palestrina 2013 (col- lana “Conoscere Palestrina”, 11), pp. 144, ill. È la storia della parrocchia della Santissima Annunziata, chiesa Recensioni e segnalazioni

sorta dentro Palestrina nel rione che ospitava gente scacciata e da ciò prese il nome; chiesa che ha avuto una certa vita e vitalità e ha avuto la ventura d’essere totalmente distrutta dai bombardamenti alleati su Palestrina, i quali - come è noto - hanno fatto emergere il gigantesco tempio della dea Fortuna. Dopo la presentazione del promotore-editore della collana, Massimo Guerrini, del sindaco di Palestrina, Rodolfo Lena, dell’ar- ch. Raffaela Strati della Soprintendenza Beni architettonici e paesag- gistici, del vescovo diocesano, Domenico Sigalini, dei due curatori, il parroco Giovanni Trotta introduce la pubblicazione degli atti del convegno tenutosi nel 2012. In queste prime pagine ci sono interes- santi osservazioni ma il nocciolo del volume sta nelle quattro rela- zioni di Albino Lucarelli, mons. Domenico Sigolini, Roberta Iacono e Andrea Fiasco. In fondo c’è un’appendice documentaria anche se tutti i quattro principali saggi sono ben illustrati. Albino Lucarelli intitola il suo lavoro “1944. Palestrina anno zero”, con evidente riferimento all’anno dei primi bombardamenti alleati sulla città; egli ricostruisce le ultime fasi della Seconda guerra mondiale, in particolare l’attestarsi del fronte sulla Linea Gustav e il tentativo alleato di superare l’ostacolo con lo sbarco ad Anzio. Fu proprio lo sbarco a determinare il bombardamento di Palestrina che causò immani distruzioni al centro storico; i motivi sono noti: gli alleati non volevano che i tedeschi potessero arrivare con facilità ai due fronti presenti nel Lazio di quella stagione di guerra. Del resto i germanici avevano dislocato le proprie truppe, sotto copertura di 235 ospedali, un po’ dappertutto ed infatti i bombardamenti colpirono un po’ tutto il Lazio a sud di Roma, sia nella viabilità principale e secondaria sia le stesse città. Noti sono i casi di Valmontone e Feren- tino. Lucarelli segue le vicende locali ricostruendo, anche con tavole specifiche, la consistenza delle truppe tedesche al fronte, e la serie dei bombardamenti-mitragliamenti effettuati dall’aviazione alleata con gli effetti principali. Ovviamente mette bene in rilievo il clima di terrore instaurato da tali atti bellici e le conseguenze fra le quali la distruzione di interi quartieri e di edifici storici e monumentali, fra cui la nostra chiesa. Il saggio è accompagnato da molte fotografie e riproduzioni di documenti e fa impressione vedere le immagini di ieri confrontate con quelle odierne. Il vescovo Sigalini si sofferma sulla cura pastorale del card. Salotti sostanziata nella lettera pasto- rale pubblicata nella Quaresima 1944 dove analizza la tragica situa- Recensioni e segnalazioni

zione diocesana causata dalla guerra e dai bombardamenti e vede la guerra come prodotta dall’allontanamento da Dio degli uomini, invoca la misericordia e la giustizia divina che presiede al ritorno a Cristo che deve essere seguita da una nuova pastoralità verso i giova- ni e la classe operaia per la giustizia sociale come promosso dalla Re- rum Novarum di Leone XIII. Roberta Iacono scrive la storia dell’e- dificio della Chiesa della Santissima Annunziata in Palestrina gra- zie ad una messe documentaria che parte dall’origine del quartiere Scacciati, facente riferimento agli abitanti scacciati dalla distruzione di Palestrina sotto Eugenio IV. In questo quartiere sorge la chiesa dell’Annunziata da un’abitazione privata e si manterrà sempre di esigue proporzioni (malgrado alcune aggiunte) fino alla distruzione. Il lavoro di Roberta Iacono spazia molto sulla storia di Palestrina ed ella elabora alcune teorie in assenza di documenti. Però, dal Seicen- to in poi, le notizie sono tutte documentate con le diverse e molte fonti della storia ecclesiastica (visite pastorali, atti delle parrocchie e delle confraternite, provvedimenti delle autorità, e così via). Si sa che la nostra chiesa nasce e si sviluppa a margine del capitolo della cattedrale e che nel corso del XVII secolo la chiesa viene emancipata costituendo una parrocchia autonoma con propri curati (c’è un’ap- posita tabella con l’elenco dei parroci, a partire dai primi canonici penitenzieri). Grazie a questo complesso documentario si conosce che la parrocchia aveva nel 1703 un migliaio di anime, che dentro vi era sull’altare maggiore un quadro del Maratta raffigurante l’An- 236 nunciazione dell’arcangelo a Maria (l’autrice lo accosta all’altro dello stesso autore e con lo stesso soggetto già esistente nella chiesa di S. Antonio Abate di Anagni ed oggi nell’episcopio di Anagni): il Marat- ta di Palestrina non c’è più essendo andato distrutto nei bombarda- menti. La storia ricostruita dalla Iacono è arricchita di altre storie, dalle planimetrie ricostruite relative agli ampliamenti della cappella confraternale, fino alla sacrestia più tarda e grazie agli inventari si conosce pure l’ammontare del patrimonio, l’esistenza di un cimitero annesso, le attività dei curati di migliorare, anche con decorazioni, la chiesa fino ai lavori che di poco precedettero la distruzione con il ca- povolgimento dell’assetto interno che vedeva l’ingresso sotto il cam- panile e l’altare maggiore nella parete opposta. La distruzione però, per essa chiesa, è solo il prodromo di una ricostruzione che Andrea Fiasco traccia nell’ultimo lavoro: “26 giugno ’44. Archeologia di una ricostruzione”. Dopo aver parlato delle enormi distruzioni subite da Recensioni e segnalazioni

Palestrina città e della politica attuata per mantenere in vista i gran- diosi resti del tempio antico riemerso fra i brandelli di case (il tutto illustrato con digressioni sugli uomini, con un buon apparato iconi- co e numerose piante e disegni progettuali) l’autore ha seguito il cor- so dei fatti narrando le vicende che portarono alla ricostruzione del- la chiesa, ovviamente del tutto diversa dalla precedente, con i suoi ripensamenti architettonici che portarono ad un secondo progetto. Tutti i saggi principali sono corredati da una bibliografia. Gioacchino Giammaria

L. Fabi, A. Loffredi, Ceccano con gli operai del saponificio Annun- ziata 1951-1962, Frosinone 2013, pp. 79, ill. Il volumetto raccoglie la storia di relazioni industriali fra da- tore di lavoro, il patron Antonio Annunziata, ed i suoi operai dello stabilimento ceccanese della Scala, fabbrica di saponi. Oggi la so- cietà non esiste più anche se muti si ergono ancora gli edifici con il loro, forse malefico, contenuto inquinante. La narrazione comincia con la squadra di calcio di Ceccano che per alcuni anni ha dominato i campionati inferiori e che era espressione dell’azienda Scala (ed anche dell’intera città). L’atmosfera è un po’ il simbolo di ciò che si provava a Ceccano negli anni del secondo dopoguerra: il patron An- nunziata, dalla nativa Sora aveva trasferito la sua attività a Ceccano, in un luogo ideale: lungo il fiume che dava gratis l’acqua, vicino c’era la stazione ferroviaria con un tronco di pochi decine di metri che 237 faceva immettere nella rete nazionale i carichi in partenza ed in arri- vo. Manodopera disponibile e collaborativa vista la “fame” di lavoro che esisteva (l’alternativa era andare a Roma a lavorare nei cantieri edili, lavoro faticoso a cui andava aggiunto il doppio viaggio, non meno faticoso …). La crescita dell’azienda accompagna la crescita dell’Italia, la penisola del secondo dopoguerra è il paese del boom e del miglioramento in tanti suoi aspetti e a Ceccano questo si realizza solo in parte poiché nell’ambito delle relazioni industriali sor Anto- nio Annunziata è rimasto al tempo del padrone del vapore dove le condizioni di lavoro sono a dir poco primitive e i rapporti improntati al forte dirigismo padronale. Orari oltre il consolidato e condizioni di lavoro impossibili nella fabbrica del sapone Scala sono fatto ordi- nario. Il sindacato non esiste e quando si profila qualche presenza si ricorre ai licenziamenti delle persone coinvolte o si creano i sin- Recensioni e segnalazioni

dacati gialli. La commistione con la vita pubblica è inevitabile per cui progressivamente i lavoratori della ditta Annunziata prendono coscienza dei propri diritti e avanzano delle rivendicazioni. A queste sor Antonio fa orecchie da mercante oppure, quando magari è spinto a trattare, pensa di poter piegare i diritti in concessioni aziendali di stampo paternalistico. Le trattative emergono anche a livello pro- vinciale fino a diventare nazionali per l’applicazione di un contratto che prevedeva la corresponsione del premio di produzione. La tat- tica dell’industriale è chiarissima, discutere, promettere qualcosa e poi o non mantenere o far passare quanto concordato come regalo dell’azienda. Ma nel 1962 le cose prendono una certa piega. Annun- ziata è forte anche perché ha l’appoggio di diversi uomini politici ma si mette contro tutti i sindacati, compresa la Cisl, sindacato cattolico e dentro le strutture del potere. Inoltre tergiversa su un accordo na- zionale e su precisi aspetti che toccano gli organi centrali del Paese. Infine a livello locale è stato proclamato il secondo sciopero a cui Annunziata contrappone un gruppo di crumiri e assolda altri senza neppure, come pare, passare per il collocamento. Gli animi sono ri- scaldati e le forze dell’ordine sono presenti in modo massiccio, addi- rittura rafforzate con l’arrivo di un reparto speciale dei carabinieri. Diversi “incidenti”, come il tentativo di far entrare ed uscire camion, sono bloccati e ci servono i poliziotti per forzare il blocco pacifico degli operai che qualche volta prendono colpi inferti col calcio dei fucili. Mentre sono in corso le trattative l’ennesimo episodio di for- 238 zatura del blocco operaio scatena la reazione del reparto dei cara- binieri che, secondo la ricostruzione di Fabi e Loffredi, comincia a sparare e ci scappa il morto: Luigi Mastrogiacomo. La reazione della città è unanime, anche i partiti governativi e l’opposizione di destra stanno cogli operai infuriati che ingaggiano furibonde sassaiole tan- to che anche il colonnello comandante dei carabinieri si rende conto della situazione e cerca di fermare i carabinieri che sparano ancora, pur dopo il morto ed i diversi feriti procurati. Alla fine le acque si calmano anche per l’intervento delle autorità nazionali ed il clima è molto arroventato. I funerali sono imponenti e la città si lecca le ferite; Annunziata è nei fatti abbandonato dai protettori politici, la situazione è diventata insostenibile poiché una situazione legale, per “irresponsabilità” di un padrone all’antica, che non riconosce i patti, e di un reparto militare fuori degli ordini, è diventata assurda. Qui termina la vicenda, ma la lezione è importante. La solida- Recensioni e segnalazioni

rietà totale dei ceccanesi ha consentito di portar avanti una battaglia sindacale mirante a far godere ai lavoratori parte dei cospicui guada- gni dati all’azienda dal lavoro.

M. Ferri, Antifascisti senza gloria. Duecentoquarantadue “sovver- sivi” di ventuno comuni del Circondario di Sora schedati e/o perse- guitati dal regime, Sora 2014, pp. 390, ill. Una nuova opera di Michele Ferri, dedicata a Marinella, la mo- glie scomparsa da poco, che ha collaborato alla ricerca su 242 antifa- scisti del sorano sommersi dalla storia. Dopo l’uso di documenti del Casellario politico centrale è invalso l’uso di render noto il contenuto delle schede degli antifascisti mediante biografie e a volte la pubbli- cazione più o meno integrale del contenuto del fascicolo. Michele Ferri ha consultato il CPC ma ha anche allargato il discorso ad altre fonti che elenca all’apertura del volume; ha studiato le carte dell’Ar- chivio Centrale dello Stato, ed anche quelle degli altri due archivi statali di Caserta e Frosinone (quello che ne resta!) ed altre fonti a stampa. La fonte più ricca è quella del CPC che è stato costituito dal 1894 ma poi, con il fascismo, è divenuto lo schedario degli antifa- scisti anche grazie all’opera dei delatori, spie per lo più prezzolate che riferivano notizie sulle persone; la gran parte delle informazioni però proviene dai poliziotti e dai carabinieri. Il linguaggio impiegato è quello spesse volte definito “questurino”, ricco di stereotipi con un lessico involuto, tipico di una mentalità demonizzatrice come lo è 239 stata la schedatura in se stessa (durata ben oltre il regime fascista). Le schede del Casellario sono un numero enorme ma di que- ste Ferri ha preso solo 242 persone, tutte quelle della zona sorana e della Valcomino: Sora (37 schedati), Isola del Liri (il numero degli schedati è il più cospicuo, 58), S. Donato V. C. (30), Arpino (23), Atina (16), Arce (13), Rocca d’Arce (10), Casalvieri (9), Castelliri (8), Picinisco (6), Alvito (4), Casalattico (4), Fontana Liri (4), Settefrati (4), Gallinaro (3), Pescosolido (3), Posta Fibreno (3), Brocco (oggi Broccostella, 2), San Biagio Saracinisco (2), Santopadre (2), Vicalvi (1). Per lo più gli schedati sono comunisti e socialisti, ma non man- cano anarchici, repubblicani ed un gran numero è definito sovver- sivo o antifascista. La parte sono artigiani, operai a cui fanno se- guito i contadini, commercianti, laureati, impiegati, pensionati e 3 casalinghe. Di pochi non si segnala l’attività. Le donne sono solo 7. Recensioni e segnalazioni

Buona parte degli schedati sono all’estero, sfuggiti al cappio, ma un numero non esiguo sta o è stato condannato al confino. Nel paragra- fo intitolato “Le convinzioni” Ferri affronta il delicato argomento dei pentiti ovvero di coloro che per molti motivi, soprattutto per poter sopravvivere e far sopravvivere le famiglie, si dichiararono pentiti, si “ravvidero”, magari più di qualcuno si iscrisse al PNF. Ovviamento tutto ciò non accadde ai fuoriusciti. C’è anche qualche scheda di fa- scisti sottoposti a controllo per le attività intemperanti e per la vita e i fatti riprovevoli in via politica. Una breve cronologia ricorda i principali fatti dal 1917 al 1943 e fa da prodromo al corposo lavoro di illustrare le biografie politiche che si ricavano dalle informazioni assunte. Non è possibile ripercorrere tutte le biografie, né selezionar- ne qualcuna poiché tutte e nessuna risultano esemplari o anche se tutte contengono fatti ascrivibili, secondo la questura, all’attività di oppositori rivestita dal soggetto. Come si ritrovano giudizi morali sulla persona, sul carattere e non solo sui comportamenti. Alcuni antifascisti sono di “lungo corso” nel senso che attraversano tutto il ventennio giungendo insino alla Resistenza ed anche dopo. Spesso si tratta di giovanissimi, o di persone che hanno avuto ruoli importan- ti. Sovente si tratta di emigrati, anche in altri luoghi d’Italia, segno dell’occhiuta sorveglianza delle autorità di polizia, come pure tanti sono incappati casualmente nelle maglie del regime per conoscen- ze, connivenze, ingenuità. E tanti sono gli episodi che sarebbero da 240 segnalare, i quali vanno dalle attività politiche d’opposizione ai fatti di vita necessari per sopravvivere, alle minuzie dei caratteri e degli atteggiamenti individuali. Insomma oltre ad essere un esemplare la- voro di illustrazione degli oppositori del fascismo, il libro di Michele Ferri risulta essere, anche, un’importante silloge di storie di vita. Gioacchino Giammaria

A. Folchi, Agro Pontino nelle corti dell’ONC, D’Arco edizioni, For- mia 2013, pp. 568, ill. Il solito poderoso volume sfornato da Annibale Folchi che va ad esplorare un altro aspetto della saga pontina: la vita quotidiana nel- le aziende agricole della bonifica, dell’Agro redento, come si usava dire allora. Al solito c’è un’abbondante casistica ed un’analisi relati- va a questi casi con alcune generalizzazioni interessanti. Il materiale Recensioni e segnalazioni

documentario viene dagli archivi locali ma anche da quelli romani che Folchi esplora con grande pazienza, scoprendo carte su carte, che così vengono segnalate all’amena lettura dei più ma anche a chi intende fare ricerche che vanno al di là di aspetti cronachistici. Tale carte sono raggruppate in diversi argomenti: la società dei forestie- ri, la vita nei poderi, i rapporti con l’opera nazionale combattenti, la città e la campagna, l’acre odore della terra, le fasce frangivento, infortuni e truffe, l’Agro Pontino in mostra e poi due argomenti li- minari: il moscato di Terracina e fuga da Santo Stefano. Concludono il volume una silloge di lettere selezionati fra le molte raccolte negli archivi (soprattutto quelli della Opera) e molte immagini. Un utile indice dei nomi propri fa corona all’opera. Annibale Folchi ha un suo stile che non è quello della storiogra- fia canonica, ma usa i documenti per raccontare la storia della sua terra, vista attraverso gli occhi del cronista che getta il suo sguardo sulla cronaca dei fatti del passato. Ne abbiamo parlato più volte ed anche in un seminario tenutosi a Latina. Lui ne è consapevole e lo dice senza infingimenti, noi gli siamo grati però della sua attività di esploratore poiché batte le piste, non le brucia, e segnala carte su carte a chi vorrà poi studiarle con altri intendimenti e modi. Per questo giudico non inutile il suo lavoro anche se in cor mio e nella mia mente avrei voluto sapere di più, ad esempio, della società dei forestieri perché non mi accontento di sapere che alcune migliaia di non lepini e ciociari (ma anche delle zone limitrofe, come i Ca- stelli) arrivano con storie loro personali, travolti da una politica che 241 decide di rimescolare le carte, di inscrivere “polentoni” e cispadani in una zona dominio secolare dei popoli circonvicini. Certo Folchi affronta ed esamina le molte sfaccettature della realtà di questi emi- granti particolari del Novecento, non solo la questione della lingua, delle mentalità, delle usanze e così via (nel prosieguo delle pagine, in un altro capitolo, accenna pure ai matrimoni “misti”) ma anche dell’adattamento forzato e alcune questioni della difficile convivenza. Lo stesso accade negli altri capitoli dove comunque si fa riferimen- to alla storia generale che viene a stare sullo sfondo pur condizio- nando pesantemente gli avvenimenti. Nelle sue pagine, negli scritti Folchi riprende tanti piccoli e minuti fatti, sovente per dare indica- zioni precise deve richiamare le precedenti opere che erano farcite di osservazioni, dati, fatti e così via. Certo, l’Agro redento agli occhi di Mussolini e dei suoi fascisti sembrava una grande opera realizzata, Recensioni e segnalazioni

ma la riscrittura di Folchi non fa altro che far vedere come esso è un pezzo dell’Italia di sempre. Leggendo le parole scritte da Annibale Folchi non sembra di stare in una zona speciale d’Italia, ma, quasi quasi, si potrebbe dire che strapaese sia il tratto dominante di una vita locale che comunque andava a posizionarsi sul tradizionale tran tran dello scontro fra paese/contado e città. Fra i tanti argomenti balza all’attenzione la costruzione delle fasce frangivento a cercare di smorzare l’effetto devastante dei forti venti non più “bloccati” dal- la foresta esistente in precedenza. Un tratto che fa diventare paesag- gistici questi filari di alberi (su tutti spiccano gli eucalipti che sono diventati un po’ l’emblema delle fasce), e la loro creazione sembra quasi voler recuperare per forza di cose un tratto caratteristico e che la bonifica integrale aveva eliminato radicalmente. L’Agro redento è per forza di cose, nel clima del regime, fatto da propagandare, da far conoscere per ampliare il consenso, per rafforzare alcuni slogan del- la propaganda politica; da qui la serie di mostre che si sono prodotte con la raccolta di vecchie piante e mappe utili per raffigurarede visu il completamento della bonifica, il riscatto della terra. Gioacchino Giammaria

Fondi e la committenza Caetani nel Rinascimento, a cura di A. Ac- conci, De Luca editori, Roma 2014, pp. 152, ill. Presentazioni. A. Imponente, Per la mostra, il convegno e gli atti 242 di “Fondi e la committenza Caetani”; S. De Meo; F. B: D’Onorio, Cristoforo Sacco nelle nostre Chiese; B. Marucci. A. Zuccari, Intro- duzione; A. Zuccari, Onorato II Caetani, collezionista, umanista e mecenate; D. Ferrara, Antoniazzo e le età di Onorato. Note a mar- gine del restauro del San Sebastiano di Antoniazzo romano nella Galleria nazionale d’arte antica di Roma; F. Rossi, Tutela e valo- rizzazione della città di Fondi; A. Acconci, Alle origini della com- mittenza Caetani: gli affreschi riemersi in San Francesco a Fondi; B. Montevecchi, Fondi, chiesa di San Pietro, busto-reliquiario di S. Onorato e Reliquiario di San Mauro; D. Catalano, Il coro ligneo quattrocentesco della chiesa di Santa Maria in Piazza a Fondi. Un artista “de Alemania” nella terra di Onorato II Caetani; A. Cavalla- ro, Antoniazzo Romano e la committenza Caetani a Fondi e a Ca- pua; S. Petrocchi, Cristoforo Sacco alla corte Caetani di Fondi; G. Pesiri, Caetani, arte e artisti nel Quattrocento in Terra di Lavoro. Recensioni e segnalazioni

Scavi documentali su Antoniazzo Romano e Cristoforo Sacco; F. Betti, Una recente scoperta: il soffitto ligneo scolpito del palazzo Caetani di Fondi; D. Feudo, La scultura a Fondi all’epoca di Ono- rato II Caetani; L. M. Pennacchi, La chiesa di Sant’Antonio Abate a Cisterna e l’attività di Girolamo e Tullio Siciolante: frammenti inediti e nuovi dati. Indice dei nomi e dei luoghi.

1711-2011. La fontana “Livio De Carolis”. Storia e restauro, a cura di F. Sacchetti, Frosinone 2011 (Monumenti di Frosinone, 1), pp. 224, ill. Dopo le prefazioni di rito (sindaco Michele Marini, consiglie- ra comunale Gerardina Morelli, soprintendente Giorgio Palandri e prof. Alfonso Giancotti) Floriana Sacchetti introduce il ricco volume sul restauro della fontana monumentale di Frosinone, piazza Ma- donna della Neve. Il lavoro è stato sostanzialmente compilato dalla professoressa Sacchetti, anche se altri capitoli sono opera di Viviana Fontana, direttrice dell’Archivio di Stato di Frosinone, di Antonietta Di Lalla, restauratrice; la miscellanea contiene anche contributi di Giuseppe Sarracino, Bruno Celani, Mario Di Sora, e Maria Rita Sibi- lia. Nel libro tutti gli autori citati hanno scritto la storia della fontana e del suo restauro in vista del secondo centenario. La fontana monumentale viene collocata da F. Sacchetti nello spazio suo proprio, ovvero la piazza antistante la chiesa Madonna della Neve di cui si traccia la recente storia: la chiesa è costruita at- 243 torno alla pittura raffigurante la Madonna con Bambino che fu tro- vata e divenne un luogo di culto molto frequentato tanto che vi fu eretta una piccola chiesa, poi ampliata e affidata agli agostiniani che tutt’ora la curano. Dedicata al miracolo romano della neve estiva, è diventata ben presto luogo di una ricca e cospicua fiera rurale, do- tata per questo di una serie di botteghe poste a doppio semicerchio davanti la chiesa e luogo vivissimo di traffici commerciali in occasio- ne delle feste della Madonna della neve e di S. Fausta. La necessità di procacciarsi acqua, sia per i frati che per i fedeli e gli avventori delle fiere, condusse una famiglia a concedere un rivolo d’acqua da una loro sorgente posta nelle vicinanze. E qui entra in gioco Livio De Carolis, di Pofi, diventato ricchissimo appaltatore delle finanze dello Stato Pontificio in età moderna. Livio è noto per il suo palaz- zo romano e per aver acquisito un titolo marchionale ed aver eretto Recensioni e segnalazioni

un’altra mostra dell’acqua a Prossedi. Volle perpetuare il suo nome a Frosinone e incaricò il suo architetto Specchi di disegnare la fontana che sta lì da duecento anni. Floriana Sacchetti ha ripercorso questa storia con i passaggi storici e tutti i particolari, non solo documen- tati, ma soprattutto arricchiti da immagini, disegni, riproduzione di quadri e pitture, carte topografiche e geografiche, fotografie a iosa e nessuna inutile, in una continua documentazione ed un costan- te confronto fra quanto si andava ricostruendo ed esponendo con il contenuto dei documenti reperiti negli archivi. Ovviamente la fon- tana porta ad una ridefinizione della piazza che ora ha tre elemen- ti in gioco. Il complesso chiesastico-conventuale, le botteghe, quasi nel mezzo, la fontana. È evidente che l’acqua diventa importante per l’affluente popolazione delle fiere, per i viaggiatori, per i fedeli, per gli stessi agostiniani. E tale centralità è accentuata dalla posizione del monumento costituito da un’ampia vasca, un catino centrale da cui zampilla un fiocco, da due colonne con erogatori del prezioso liquido ai lati del polilobato catino. La Sacchetti procede ad un con- fronto con molte altre simili costruzioni dell’area romana per met- tere in rilievo le tipologie e procedere a confronti. Intanto la zona in un certo senso, pur restando in zona rurale, si collega maggiormente alla città mediante un grande viale d’accesso parallelo alla Via Casi- lina che da Roma passa per Frosinone e, arrivata sotto Frosinone, si accosta ad una osteria anch’essa grande punto di riferimento dei viaggiatori e dell’agro frusinate. A partire dall’Ottocento la zona si 244 arricchisce di altri edifici, trattorie, negozi, botteghe artigiane, a ser- vizio dell’agro fino a diventare nel Novecento un piccolo quartiere esterno alla città e poi una vera e propria estensione della Frosinone capoluogo di provincia. Sul monumento religioso scrive diverse pagine Fontana che rac- coglie materiale documentario nei fondi archivistici dell’Archivio di Stato di Frosinone e con l’aiuto di altri funzionari e collaboratori ha messo su una mostra documentaria da cui ella prende le mosse per far conoscere i documenti trovati, interessanti poiché illustrano la nascita e lo sviluppo del luogo, delle istituzioni religiose coinvolte (chiesa e convento), dei mercanti che intervengono alle fiere, delle controversie per i diritti di proprietà sul sito delle fiere rivendicato dagli agostiniani e nello stesso tempo esercitato dal comune di Fro- sinone, sui danni della caccia alla bufala praticata in piazza, delle fe- ste e interessi vari attorno alle fiere estive, sull’istituzione di un asilo Recensioni e segnalazioni

per orfani, sulla istituzione della parrocchia affidata agli agostiniani, e tante mappe trovate in archivio. Il lavoro successivo di Antonietta Di Lalla illustra i danni e le operazioni di restauro condotte che hanno riguardato tanti aspetti del manufatto, il tutto preceduto da un’analisi dei materiali, lo stato del degrado, il restauro conservativo posto in essere con i materia- li impiegati e le tecniche usate, facendo evidenziare i risultati dalle foto che mostrano come la situazione sia mutata coi lavori di restau- ro. Il tutto molto documentato con fotografie e disegni coi rilievi, tavole di sintesi illustrano la situazione finale. Il penultimo capitolo è destinato ad illustrare l’esperienza messa in atto dal Liceo artistico di Frosinone che ha partecipato alle attività con un proprio progetto didattico che ha visti coinvolti alunni di sette classi, i quali hanno vissuto l’intera storia del restauro e delle ricerche ed elaborazione testi elaborando propri momenti illustrativi realizzati col disegno e la pittura. Infine, chiudono il ricco volume cinque schede ove si il- lustra il giardino nel frattempo costituito attorno alla fontana, l’im- pianto idraulico e la sua manutenzione, il sistema d’illuminazione che valorizza il monumento soprattutto di notte, una pagina relativa alla chiesa della Madonna della Neve proveniente dai manoscritti del padre Pierantoni di Trevi, l’albero genealogico di Livio De Caro- lis, e una scheda biografica dell’architetto Specchi.

Itinerari della memoria. Fondi: storie di luoghi, uomini e santi, 245 sd, pp. 184, ill.

G. Lampazzi, I giulianesi e la grande guerra, snt (Biblioteca di studi storici giulianesi, 6), pp. 340, ill. Raccolta di vocaboli giulianesi, a cura del Centro sociale anzia- ni, Anagni 2015, pp. 319, ill. A Giuliano di Roma hanno pubblicato due recenti volumi, il pri- mo sulla storia del paese, il secondo un incipit di dizionario dialet- tale. Giulio Lampazzi è scomparso lasciando un manoscritto sui giu- lianesi che hanno partecipato alla Prima guerra mondiale. L’autore è stato per anni impegnato in politica ed in ultimo era stato eletto sindaco del paese; già aveva dedicato un libro a vicende locali e con Recensioni e segnalazioni

questo lavoro, il sesto della Biblioteca di studi storici giulianesi, in- tendeva onorare i circa 250 concittadini mobilitati per partecipare alla Grande guerra. Il volume è piuttosto farraginoso (mancano, ad esempio, un frontespizio ed un sommario/indice veri e propri) nella sua composizione e avrebbe meritato una maggiore cura editoriale. Dopo una premessa dell’autore ed una introduzione di Benedetto Maturani (le cui note sono anticipate, evidentemente per occupare una pagina bianca) c’è la presentazione del sindaco a cui fanno segui- to pagine dedicate alla storia del paese relative ai primi decenni del Novecento, tanto spazio è dedicato al ruolo di un sacerdote ed alle vicende della locale, fallimentare, Cassa rurale, con pubblicazione di documenti anche posteriori agli anni indicati. Poi ci sono le schede nominative dei giulianesi arruolati, elencati nome per nome e classe d’età per classe d’età, con poche notizie personali (tratte dai fogli matricolari dell’ex Distretto militare di Frosinone). Spesso una foto affianca la scheda che in alcuni casi è anche arricchita da fotografie di documenti o da ulteriori notizie personali. Si parte dalla classe di leva 1877 per arrivare alla fatidica 1899 e anno per anno sfilano sotto i nostri occhi i nominativi e diverse fotografie di carattere non locale. Al termine si ricordano i giulianesi caduti in guerra, quelli defunti per cause di guerra, i Cavalieri di Vittorio Veneto e gli altri insigniti di medaglie al valore militare. In queste pagine Lampazzi ha ricostruito anche le vicende per l’erezione di una lapide prima e del monumento ai caduti dopo. 246 Il secondo libro è opera collettiva (anche se ci sono stati diversi contributi individuali e qualcuno che ha spinto per la sua realizza- zione) e concerne un tentativo di costruire un dizionario dialettale giulianese. Il centro sociale anziani di Giuliano di Roma, presieduto da Lu- cia Fabi, colei che ha fortemente sostenuto l’iniziativa che rischiava di non andare in porto, ha promosso fra gli anziani la raccolta di nomi per costituire un vocabolario. Il progetto si è realizzato grazie all’apporto di diversi animatori e di alcuni che hanno studiato il dia- letto locale (Giulio Fabi e, soprattutto, Stefano Guglielmi) e hanno presentato nelle prime pagine del volume i risultati di queste prime indagini. A questi lavori segue il dizionario composto secondo uno schema proprio, i cui lemmi in non molti casi vengono arricchiti da un’indagine specifica di dettaglio. Fotografie sono sparse qua elà per le pagine di questo volume. Recensioni e segnalazioni

Gli studi iniziali a volte lasciano da pensare poiché alcune affer- mazioni sembrano paradossali (il dialetto locale seguirebbe le rego- le italiane “con delle note però originali che sarebbe troppo lungo elencare”) o si smentiscono da sole (“l’inesistenza del verbo avere” e dopo si presenta come esempio un’espressione in cui il verbo avere campeggia: “ce ll’ha co meco”); oppure si afferma che “non è stata fatta una vera e propria analisi etimologica … che avrebbe richiesto un impegno ed una preparazione troppo specifica”. Anche i segni diacritici sono prodotti in loco dai ricercatori. Tali fatti e situazioni fanno parte di un contesto in cui si è cercato appunto di costruire un dizionario anche se con molta approssimazione.

I Longobardi in Valcomino e nel Lazio meridionale, Atti del conve- gno S. Donato V. C., 8 maggio 2011, Arbor Sapientiae, Roma 2012, pp. 116, ill.

M. Marzolini – F. Ricci, San Pietro eremita, s. l. 2009, pp. 64, ill.

E. Mastropietro, Antiche gocce di memoria, Amaseno 2015, pp.368.

247 Mercati, arti e fiere storiche di Roma e del Lazio, a cura di R. Pado- vano, Esedra, Padova 2011 (Il mito e la storia. Serie minore, 11), pp. 400, ill; Gli ebrei nello stato della Chiesa. Insediamenti e mobilità (secoli XIV-XVIII), a cura di M. Caffiero e A. Esposito, Esedra, Padova, 2012 (Toledoth. Studi di cultura ebraica, 4), pp. 210, ill. Aree rurali e sistema agroalimentare nella Valle del Sacco, a cura di R. Padovano, Esedra, Padova 2013 (Il mito e la storia. Serie mino- re, 13), pp. 268, ill. Il progetto Arkes, animato da Rita Padovano, prosegue nella propria strada e negli ultimi tempi ha affrontato altri tre interessanti argomenti: le fiere laziali, insediamenti e mobilità degli ebrei romani e laziali, l’agricoltura e l’alimentazione della Valle del Sacco. Il primo volume è un’esplorazione sul tema dei mercati e del- le fiere riguardante l’intero Lazio, appena accennando al Lazio me- Recensioni e segnalazioni

ridionale ove si trattano solamente Grottaferrata, Tivoli, Subiaco, Pontecorvo e Gaeta, si accenna a Terracina e comunque la breve ricerca ha delineato un interessante quadro descrittivo. Il volume è suddiviso in tre sezioni: Il periodo medievale e moderno; L’evolu- zione dei mercati in età moderna; La trasformazione dei mercati e la nascita delle fiere permanenti. Anche nel secondo lavoro il Lazio meridionale è poco presente, c’è il saggio di Pier Luigi De Rossi sulla comunità ebraica a Cori, uno dei saggi dedicati a tale presenza da quanti sono intervenuti sul tema, mentre in questo volume i discorsi vertono sull’intera regio- ne (Marina Caffiero) sulla Sabina (Anna Esposito), Farfa (Leggio), i Toscanella (Lazzarini-Luzzati), una famiglia di medici itineranti nell’Italia centrale (Pellegrini), Ebrei nel Patrimonium (Canonici), Marca (Andreoni), Urbino (Gasperoni), Ferrara (Graziani Secchie- ri). Si tratta di un volume che ricostruisce ulteriormente la presenza ebraica e incrementa la conoscenza delle loro attività dentro lo Stato della Chiesa, cercando di capire le dinamiche residenziali ma anche quelle relative alla mobilità. Il terzo volume concerne il comparto agro-alimentare della Val- le del Sacco ed è tutto interamente dedicato ad una parte del Lazio meridionale. All’inizio diversi saggi sull’agricoltura contemporanea (Giammaria, Cecilia, Cristofanilli, Caperna e Massa-Ruspantini) che ricostruiscono il panorama, descrivono l’arte dei campi ad Anagni e a Ceccano, mentre due approfondimenti sono dedicati al Patto eco- 248 nomico verolano ed alla gastronomia ceccanese. La seconda parte è destinata all’approfondimento antropologico dell’enogastronomico (De Vita, Campagna, Leone, Papetti, Iacobelli). Infine l’allargamen- to verso l’Italia intera (Tigan e Brinzan). In questo volume sono trat- tati aspetti di notevole rilevanza che oltre a far conoscere gli aspetti quantitativi dell’agricoltura, giungono ad illustrare aspetti di nicchia con approfondimenti critici rilevanti.

G. Minnocci, Guerra e Resistenza in Ciociaria, Alatri, sd, pp. 80, ill.

Mito e Grande guerra nella memoria del territorio dell’attuale pro- vincia di Latina. Catalogo della mostra storico-documentaria per il Centenario, a cura di C. Ciammaruconi, P. L. De Rossi, G. Pesiri, Cori Recensioni e segnalazioni

2015, pp. 208, ill. Nell’ambito delle manifestazioni promosse per il centenario della Grande Guerra curate dalla Presidenza del Consiglio dei Mi- nistri, a Cori si è tenuta una vasta mostra sulla presenza pontina in questo avvenimento. Il ricco catalogo è strutturato in tre sezioni: La Prima guerra mondiale e l’Italia, Il territorio dell’attuale provin- cia di Latina negli anni del conflitto, I riflessi della Grande guerra nelle realtà locali. Si tratta di brevi schede illustrative di moltissimi aspetti, minuti e di maggiore importanza, molto illustrate, che sono state compilate dai curatori della mostra ed anche da altri collabo- ratori fra cui Maurizio Tonali, Emilia Cento, Elisabetta Di Rocco, Giancarlo Onorati, Rosario Malizia e Giovanni Raponi. I temi vanno dallo scoppio della guerra al neutralismo italiano dei primi mesi, il “tradimento” italiano nei confronti della Triplice Alleanza, la pro- paganda bellica, la guerra di posizione e la trincea, le nuove armi, la guerra in mare, la sconfitta di Caporetto e la tenace resistenza che condusse alla vittoria finale, la sanità militare, il lutto e la memoria, i numeri degli italiani partecipanti, caduti e feriti-mutilati in guer- ra. Nella seconda sezione si parla degli interventisti e dei neutra- listi, delle pulsioni alla diserzione o alla renitenza alla leva e delle licenze dal fronte come della vita condotta nelle trincee o nei campi di prigionia austriaci ed italiani (i prigionieri dell’Austria-Ungheria furono impiegati nell’Agro pontino). Altri temi toccati sono le scrit- ture dal fronte, l’arrivo dei profughi di guerra, sia quelli favorevoli all’Austria che poi i fuggiti davanti alle truppe germanico-austriache 249 dopo Caporetto, l’assistenza alle famiglie dei richiamati alle armi e l’esplosione delle donne che non solo lamentavano l’assenza dei ma- riti ma che subito individuarono una caratteristica sociale espressa nella frase: “Solo la ciocia fa la guerra” e cioè che la maggior parte dei combattenti proveniva dai campi (i contadini erano coloro che impiegavano le ciocie). Infine l’arrivo della “spagnola” che fece tanti morti quanti la guerra ed il sorgere del “culto” dei morti in guerra coll’erezione dei primi monumenti. La terza sezione illustra quanto accadde a Cori, Cisterna, Fondi, Gaeta, e Terracina, soprattut- to si tratta di mobilitazione, erezione di monumenti, brevi biografie di soldati e caduti in guerra o per cause belliche oppure di ufficiali e altri sopravissuti, i diversi tipi di memoria dei caduti (monumenti, lapidi, parchi e viali della rimembranza …) elenchi di caduti e la co- lonia agricola di Sezze. Recensioni e segnalazioni

Un tema vasto per la molteplicità degli argomenti e delle fonti disponibili, soprattutto affrontato con competenza storica in un’ot- tica non sempre facile da affrontare: come raccontare con rigore e chiarezza temi da illustrare più che da analizzare.

V. Nizzo, La questione pelasgica in Italia, Frosinone 2013 (Quader- ni del centro studi sull’opera poligonale, 3), pp. 70, ill. L’archeologo ricostruisce con dovizia di particolari e molti ap- profondimenti la lunga querelle intorno ai Pelasgi che è stata a lungo un cavallo di battaglia tra storici ed archeologi, tra archeologi di di- verso orientamento. I Pelasgi sono un tema “storiografico” prodotto nell’ambito dell’antiquaria e rimasto “a galla” nel dibattito storio- grafico proprio perché ancora nel secolo XIX l’archeologia e la sto- riografia scientifica muovevano i primi passi. La questione pelasgica interessa particolarmente il Lazio meridionale poiché la gran parte dei grandi complessi ciclopici si trova in quest’area e qui, con gli sca- vi di Norba, si poté concludere che i Pelasgi andavano relegati fra i tanti miti, con buona pace di chi credeva al posto di sapere. L’autore, archeologo, traccia anche una storia dell’archeologia e mette a nudo i tanti aspetti “negativi” che caratterizzano questa pratica in Italia.

Il Palazzo Caetani di Fondi. Cantiere di studi, a cura di G. Pesiri e P. 250 F. Pistilli, Creia, Fondi 2013, pp. 314, ill. F. Refrigeri, Prefazione; R. De Filippis, La Regione Lazio tra Beni naturalistici e culturali; M. Antonelli, L’impegno del Creia e del Parco Monti Ausoni e Lago di Fondi per i valori ambientali; S. De Meo, Palazzo Caetani, luogo privilegiato di promozione del territo- rio; E. Corina, Per la realizzazione di un centro culturale ambienta- le nel palazzo Caetani. Tra storia e memoria familiare. G. Caetani, I Gaetani di Fondi e la conquista aragonese (1435-1452). L’età roma- na, la storia, il complesso signorile. C. Di Fazio, Il circuito murario romano di Fondi e i resti nel palazzo Caetani; G. Pesiri, Per una storia del palazzo Caetani a Fondi tra XII e XVI secolo; P. F. Pistil- li, Risiedere in città. I Caetani e la stratigrafia di un insediamento signorile tardo medievale; J. Rossetti, L’addizione della rocca ov- vero l’impronta angioina sotto Onorato I Caetani; A. Cuccaro, Da Cristoforo a Onorato II Caetani. La riformulazione durazzesca e Recensioni e segnalazioni

aragonese del complesso palaziale. Gli arredi. F. Betti, Nuove ac- quisizioni e aggiornamenti critici sulle mensole lignee quattrocen- tesche dal palazzo Caetani; F. Savelli, Ricerche preliminari per uno studio sulle pitture del palazzo Caetani. Aspetti inediti del recupe- ro. M. Venditti, La loggia al pianoterra del palazzo baronale. Un angolo a lungo ignorato; G. Gaggi – C. Bernardini, Il recupero di alcuni elementi lapidei. L’Età moderna. G. Pesiri, Distruzioni e ri- strutturazioni del palazzo “del Principe”; gli “apprezzi” del 1812 e del 1840. Tavole. Referenze grafiche e fotografiche nei saggi. Opere citate in forma abbreviata. Indice dei nomi. Indice dei luoghi.

D. Petti, La Palude Rossa. La vita del prof. Temistocle (1868-1940) primo sindaco socialista di Sezze e pioniere del socia- lismo Lepino, Annales, sl 2012, pp. 199, ill. È la storia di colui che fu il promotore del socialismo sui Lepini, ricostruita nei risvolti politici, momento per momento, da un atten- to biografo, già esperto di questa storia avendo al suo attivo diverse pubblicazioni e saggi. Di fatto è la storia politica del socialismo le- pino che ha avuto, ed ha tuttora, in Sezze il suo maggior centro. La denominazione di Palude rossa all’area pontina è del movimento so- cialista nazionale che vide l’affermarsi del socialismo, soprattutto ad opera del prof. Velletri, in quella zona che ancora non era stata bo- nificata e la popolazione di fatto risiedeva, nella maggior parte, sui centri lepini che diventarono una roccaforte dei socialisti (e poi dei 251 comunisti). L’autore, seguendo la biografia personale di Temistocle Velletri, una sorta di riscatto nei primi anni, una missione apostolica poi, mette in evidenza come il biografato fu molto abile, ma soprat- tutto fece partecipe la popolazione del suo senso di liberazione e di riscatto che coincidono tutte nell’adesione al messaggio emancipa- tore socialista. Velletri e la moglie, non meno paladina di lui della costruzione del socialismo, sono al centro ma attorno a loro si muo- ve un popolo, o meglio tante persone accomunate dalla condizione sociale, per lo più contadini e braccianti poveri, e, proprio grazie ai due, vedono nella strada del socialismo la possibilità del riscatto, dell’avanzamento sociale e culturale nonché del miglioramento eco- nomico e materiale della propria condizione umana. Il libro disegna un vasto affresco della lotta politica che si dipana sino al fascismo e fa emergere alcuni momenti del secondo dopoguerra, malgrado Te- Recensioni e segnalazioni

mistocle sia morto nel 1940, poiché sia la moglie che i figli, i nipoti ed i parenti, fratelli e nipoti vari, continuano ad occuparsi di politica praticamente insino ai giorni nostri.

F. Ricci, Trevi e due guerre mondiali. I suoi soldati… pensammo di essere nati per le cime più alte …, Subiaco 2013, pp. 281, ill. Franco Ricci con un lavoro certosino, di grande pazienza, rico- struisce con l’uso sostanzialmente dei fogli matricolari, le “biografie” militari dei trebani andati soldato durante le due guerre mondiali. All’inizio traccia una storia del paese, poi subito ricorda la vita di guerra in cui i suoi concittadini si sono trovati immersi. Il discor- so prosegue con la descrizione del monumento ai caduti delle due guerre, e poi pubblica i discorsi del presidente della sezione com- battenti di Trevi con le fotografie dei suddetti discorsi. Il lavoro di Ricci prosegue rammentando il milite ignoto e poi torna alla storia per ricordare come fosse Trevi nel Lazio tra la fine dell’Ottocento e tra le due guerre insino agli anni cinquanta. Poi brevi paragrafi sulla memoria dei soldati, sul ricordo come poesia e la raffigurazione dei cimeli conservati dalla sezione combattenti, ed una serie di gallerie fotografiche del monumento ai caduti e dei soldati in guerra, infine la sintesi tratta dai fogli matricolari ed altri documenti seriali. Un lavoro non solo paziente, ma anche importante per poter misurare la tragedia in cui furono immersi i tanti contadini e pastori ciociari. 252 Tante considerazioni si potrebbero fare sul volume ed avanzare an- che interrogativi, ma una domanda aleggia su tutto: perché le me- morie e le storie delle guerre continuano ad interessare?

V. Ricci, Battaglie e prodigi della resistenza pontificia del 1867. Da Vallecorsa a Mentana, Cassino 2011, pp. 96, ill. V. Ricci, Padre Geremia Subiaco il frate costruttore, Cassino 2012, pp. 48, ill. V. Ricci, Un santuario cajetano. Storia della cappella di Maria SS. ma della Sanità in Vallecorsa. Dallo Scisma d’Occidente alla con- sacrazione dei vescovi Gaetani (secoli XIV-XX), Cassino 2012, pp. 304, ill. Recensioni e segnalazioni

P. Roffi Isabelli, I Giorgi di Ferentino. Vicende storiche della città tra il XVIII e il XIX secolo, con contributi di A. Viscogliosi, S. Agliet- ti e R. Frasca, Ferentino 2013 (Quaderni di storia, 17), pp. 104, ill.

U. Romani e M. Turriziani, L’Organo Catarinozzi della Collegiata di S. Andrea Apostolo in Paliano, Paliano 2013, pp. 48, ill. Simpatica narrazione della storia dell’organo della chiesa palia- nese; tutto comincia con un organo di cui nessuno sapeva niente, né le caratteristiche né il nome del costruttore. La ricerca archivistica ha portato i due autori a descrivere un organo che non c’è più, il primo organo dell’istituzione ecclesiastica, ed a scoprire che quello esistente è il secondo organo, rifatto dal notissimo organaro Cesare Catarinozzi di Affile. La narrazione è condotta attraverso la trascri- zione e la pubblicazione dei documenti o di ampi brani di essi; in appendice il contratto stipulato col Catarinozzi e molte foto illustra- no l’organo che giace pressoché abbandonato poiché la liturgia post conciliare l’ha messo fuori gioco. C’è un festival di musica barocca che lo rianima e lo si suona ogni anno, ma lo strumento abbisogne- rebbe di un vero restauro.

R. Salvatori, Guerra e Resistenza a sud di Roma. Monti Prenestini e alta Valle del Sacco 8 settembre 1943 – 5 giugno 1944, Olevano Romano 2013, pp. 248. 253 Il volume è stato promosso dal Comune di Bellegra ed ha il pa- trocinio dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia, sezione di Genazzano. È stato poi ristampato dalla casa editrice Annales. Si tratta di un corposo studio su un’area molto localizzata, anche se spazia in alcuni momenti, soprattutto seguendo l’attività di quel- lo che appare uno dei più importanti partigiani. È evidente che al centro sta Paliano, paese dell’autore ma anche di Enrico Giannet- ti, il protagonista di cui sopra. Dopo le prefazioni, presentazione e introduzione, dove si danno le delimitazioni del caso e si illustra il contesto storico generale (l’entrata in guerra dell’Italia e sue “disav- venture”) negli undici capitoli in cui il volume è suddiviso si sviluppa la storia ricostruita da Salvatori. Seguono un’appendice e una cor- ta bibliografia (molti volumi sono citati nelle note, ma non compa- iono nella bibliografia predisposta in appendice), manca un indice Recensioni e segnalazioni

dei nomi che pure sarebbe stato utilissimo. Il lavoro si gioca su una centralità palianese-prenestina e l’allargamento di prospettiva che è di carattere generale ma anche, e, soprattutto, regionale con vi- sione dell’intera zona meridionale del Lazio. Il centro rimane però l’area prenestina e palianese in cui appunto si sviluppa il cuore della vicenda. Dopo la descrizione dell’occupazione tedesca avvenuta fra settembre ed ottobre 1943, ed indicati i vari reparti militari tedeschi presenti in zona (tratti dal noto portale predisposto da un istituto tedesco e tratto dagli archivi militari germanici), l’autore descrive la “forze” militari e militanti della resistenza ai tedeschi ed in prima fila quelle del Partito comunista. Non è neppure pensabile fare con- fronti che non sono proponibili, però è interessante vedere come gli inquadramenti danno l’esatta percezione di un dato di fatto: esiste non solo una sproporzione fra tedeschi e resistenti, ma anche colla popolazione. Se le truppe tedesche hanno superato le 300.000 unità (fra quelle del fronte di Cassino e le altre di Anzio) la popolazione locale non è molto distante da tale numero; in pratica c’era quasi un tedesco per ogni abitante! Ciò dà la misura anche delle possibilità operative dei partigiani. Inoltre non tutta la popolazione era “attiva” contro i tedeschi, a parte pochi fascisti loro adepti, la maggior parte deve preoccuparsi della sopravvivenza, di poter trovare ogni giorno il cibo per sé e per i familiari. Cura costante del volume, è l’elencazione delle persone coinvol- te nelle attività di resistenza, quasi a dimostrare che i partigiani ci 254 furono e furono numerosi; in effetti ciò era emerso dai pochi lavori precedenti, tanto che piuttosto c’è da meravigliarsi della costanza di tanta gente che sta “alla macchia” e si impegna a combattere per un’Italia diversa, per ripristinare lo Stato nazionale, per una società più giusta. Il contesto emerge più volte sia parlando del fronte sta- bilizzatosi a Cassino, la linea Gustav, che dello sbarco ad Anzio, sia delle vicende successive con i tentativi di sfondare, di aggirare e di ulteriormente superare la formidabile barriera costruita colla linea Gustav. Se minore attenzione è dedicata ai gruppi partigiani che si formano a sud di Paliano, ai loro organici, attività e problemi (se ne parla per i fatti conosciuti e fra questi le attività sviluppate da Alfredo Bonelli, nome di combattimento Gino Conti, un bolscevico milanese, biondo e alto, capitato in modo fortunoso in Ciociaria) di quelli dell’area prenestina (Palestrina e città e paesi che le fanno da corona) e di Paliano di cui gli avvenimenti vengono ricostruiti con Recensioni e segnalazioni

dovizia di particolari, anche sviscerando fatti e personalità. E qui veniamo alle fonti che Salvatori ha consultato. Non solo le pubblica- zioni precedenti (ci voleva però maggiore attenzione bibliografica) ma soprattutto gli archivi (godendo egli del passaggio parziale, dei documenti della Commissione per i riconoscimenti dei partigiani dal Ministero della Difesa all’Archivio centrale dello Stato) pubblici e privati, come pure di una serie di fonti orali che da tempo andava raccogliendo. È chiaro che un lavoro del genere si sarebbe dovuto sviluppare negli anni cinquanta con i protagonisti ancora viventi, con la possibilità di poter fare confronti e accertamenti (come si è fatto in altre zone d’Italia e d’Europa) ma qui neppure si parlò di Re- sistenza, anzi veniva bellamente negata, annullando la memoria con un dimenticare generalizzato. Bisogna aspettare i formidabili anni settanta per poter avere i primi vagiti di una ricerca … Tornando al volume bisogna dire che il nostro autore segue i fatti con il con- solidamento (pur sempre nella precarietà più assoluta) delle forze partigiane, delle diverse bande (di cui si elencano i partecipanti, le azioni e le vicissitudini), e, soprattutto, i collegamenti tentati e rea- lizzati fra loro poiché, dietro tutta la storia, c’è il tentativo incessante delle forze centrali di collegare le ramificazioni ed i gruppi locali. Tra i fatti centrali Salvatori pone la Svolta di Salerno che però non ebbe alcun impatto locale (non credo che la popolazione ma anche i mag- giorenti ne fossero a conoscenza), fu importante ad altri livelli, ep- però dà la misura dell’attenzione che si vede molto bene nella ultima parte del lavoro, dove le vicende locali, relative allo sfondamento del 255 fronte a Cassino (in realtà sugli Aurunci ad opera delle truppe colo- niali francesi), all’avanzata ed alla difesa tedesca. Ancora una volta torna in campo la descrizione dei reparti schierati sul campo dell’u- no e dell’altro fronte, del loro comportamento, delle attività militari sviluppate e Salvatori ricostruisce momento per momento la ritira- ta tedesca, l’avanzata alleata ricordando diversi episodi. All’interno dell’ultima battaglia c’è la ricostruzione delle attività partigiane, del- la partecipazione agli scontri avendo cercato di intercettare i piccoli gruppi tedeschi in ritirata. È il primo lavoro che approfondisce il tema, che amplia le fonti e cerca di dare un quadro completo di una zona del Lazio centrale e meridionale. Recensioni e segnalazioni

San Donato V. C. 1920-1960. Immagini fotografiche prof. Luigi Cucchi. Seconda raccolta, a cura di D. Cedrone - T. Bernardelli, Graficart, Formia 2014, pp. 120, ill.

Santi, pantasime e signori. Feste della Bassa Sabina, a cura di A. Broccolini e E. Migliorini, Espera, Roma 2013, pp. 284, ill, DVD al- legato Una importante indagine che in alcune sue parti fa confronti con alcune situazioni presenti nel Lazio meridionale, come le panta- sime confrontate con quelle presenti nella Valle dell’Aniene.

A. L. Sanfilippo, Pane, amore e politica. Le comuniste in provincia di Latina dopo la Liberazione (1944-1956), prefazione di P. Carusi, introduzione di F. Taricone, Ediesse, Roma 2013, pp. 214, ill. Neppure finisce la guerra che i partiti politici si organizzano e nascono anche le militanti politiche, anche perché le nuove idee del- la Liberazione (in atto) comportavano l’uguaglianza assoluta fra ma- schi e femmine, per cui la partecipazione del genere femminile era un obbligo. Nel volume Anna Laura Sanfilippo esamina la formazio- ne del nucleo femminile nel Partito Comunista in una zona “diffici- le” per essere provincia “nera” e alle porte del Sud (ma si potrebbe affermare che la provincia di Littoria era parte del Sud medesimo). 256 Grazie ad una ricerca realizzata attraverso le fonti scritte (in parti- colare l’archivio della Federazione dell’ex PCI di Latina depositato presso l’Archivio di Stato di quella Provincia) ed orali (interviste alle protagoniste o a persone informate) la Sanfilippo cerca di ricostruire il clima in cui operarono, i primi successi e le inevitabili delusioni perché dietro l’impegno c’era l’inevitabile condizione della donna, vista come passiva, esclusa dalla politica campo e regno dei maschi, per i pregiudizi del mondo meridionale e così via. È proprio il “ma- schilismo” che conduce ad una sorta di “emarginazione” le donne anche se occorre riconoscere che il “partito nuovo” togliattiano ha dato largo spazio al femminile. Qui, a Latina, è la mentalità circo- stante, dell’ambiente, che ostacola la pratica politica alle donne. Una mentalità che vedeva le donne in casa, in chiesa e quando lavorava- no dovevano aiutare i mariti e basta; gli unici spazi erano l’insegna- mento, la sanità (infermiere, donne solo come pediatre), oppure il Recensioni e segnalazioni

convento. Non sono pochi i casi di aggressioni alle donne comuniste che tenevano i comizi. Ed in prima fila erano le donne mobilitate dai preti, e anche se molte donne iscritte al PCI provenivano dal mondo cattolico, avendo aderito al programma politico più che all’ideologia. Nella mentalità comune la donna impegnata in politica e nel sociale non consentito erano considerate poco di buono. La Sanfilippo rie- sce ad entrare nei piccoli circuiti ed a costruire un volume di micro- storia tale che fa entrare nella mentalità, nella vita di piccole realtà paesane, delle cittadine in via di ricostruzione e che affrontarono il ’48 con grande slancio partecipativo. Spesso le donne impegnate in politica col PCI dovettero prendere soluzioni radicali, come l’allon- tanamento dalla politica per le profonde ferite ricevute, se non alle loro persone, spesso verso i figli che erano profondamente umiliati. Le due dimensioni, pubblica e privata, per lo donne comuniste fu un capestro. A Latina poi le donne dettero vita ad una forte organizza- zione dell’UDI che di fatto sostituì l’organizzazione interna al partito delle donne. Il volume si conclude con alcune tabelle di statistiche e qui si vede lo scarso peso femminile all’interno del partito, meno del 5% degli iscritti è di genere femminile; un dato significativo rispetto al clima generale. Libro ben composto, interessante, che si legge con piacere.

257 P. G. Sottoriva, Gelasio Caetani (1877-1934). Il realismo dell’uto- pia, Appunti per una biografia, Palombi editore, Roma 2014, pp. 272, ill. Il presidente della Fondazione Roffredo Caetani, Pier Giacomo Sottoriva, ben noto per il suo impegno anche in altri campi, ha scrit- to una biografia di Gelasio Caetani.È una vera biografia anche se su- scettibile di tanti ulteriori approfondimenti che saranno benvenuti, ma già oggi il volume è molto utile per conoscere meglio il già noto don Gelasio. Il testo di Sottoriva segue con puntualità le tappe della vita di Gelasio Caetani: la famiglia di nascita, la formazione, la sua personalità, il lavoro in America, il ritorno in Italia per partecipare alla Prima guerra mondiale, il suo ruolo nello “scoppio” di Col di Lana e del monumento eretto a ricordo, le vicende familiari a segui- to della morte del padre, Onorato, con le questioni della successione (che viene ricostruita nelle sue particolarità). Qui Sottoriva segue le Recensioni e segnalazioni

vicende economiche seguenti con le numerose iniziative fra le quali le bonifiche operate. Gelasio Caetani fu preso dalla passione della politica ed essendo stato interventista divenne nazionalista prima e poi fascista aderendo colla sua associazione al PNF. Già deputato, fu da Mussolini premiato con un ruolo di grande prestigio: ambascia- tore negli Usa dove rimase pochi anni ma dove operò proficuamente, anche grazie alla sua precedente esperienza ed ai contatti. Il ritorno in Italia fu foriero di un altro importante impegno. In questo caso, già appassionato alla storia, Gelasio Caetani dette vita al progetto di studi sulla sua casata per cui ne uscirono la Cajetanorum genealo- gia, i Regesta chartarum, l’Epistolarium Honorati Caietani, la Do- mus Caietana, le Variae (uscite postume) e rimase incompleta l’edi- zione dell’Inventarium Honorati Gaietani. Non solo impiegò il ricco archivio domestico, ma incrementò le carte acquistando documenti che in qualche modo potessero interessare la sua famiglia. Suo pun- to di riferimento fu Giorgio Falco, il grande storico dei comuni della Campagna e Marittima, grande conoscitore della storia medioevale delle terre calcate dai Caetani, storico di Bonifacio VIII e della stessa famiglia Caetani. Sottoriva passa in rassegna la frenetica attività del principe che non solo si fece storico, ma divenne bonificatore, pre- correndo l’attività governativa, fece restaurare il castello Caetani di Sermoneta e iniziò la trasformazione di Ninfa: da rudere e zona pa- ludosa a giardino ed oasi naturalistica che è diventata mercé l’opera sua. Gelasio è stato anche tutore del paesaggio, amante dell’arte, fu 258 anche un fine scultore, e poi appassionato fotografo (passione colti- vata da molti suoi affini fra cui Marchetti Longhi) e viaggiatore. Gli ultimi anni divenne senatore del Regno ma morì ben presto scom- parendo nel 1934 ad opere avviate. I suoi eredi, i nipoti Camillo e Lelia hanno continuato e migliorata l’opera lasciandoci quel capola- voro che è Ninfa. Gelasio nelle pagine di Sottoriva è anche un perso- naggio che ha avuto un forte legame familiare, che si evince dal suo ricchissimo epistolario ma è stato anche attaccato ai Comuni dove giacevano i suoi possedimenti che ha in tanti modi favoriti. Il libro si conclude con le note, una biografia in sintesi, la bibliografia di Gela- sio e la bibliografia impiegata da Sottoriva per compilare questa che non è solo un insieme di appunti ma una vera biografia.

Dalla scuola alla fabbrica. Istruzione tecnica e industrializzazione Recensioni e segnalazioni

pontina, a cura di M. Caschera e C. Ciammaruconi, Latina 2014 (I.I.S. S. “Galilei-Sani”, Archivio della memoria, 1), pp. 96, ill. Un volume a più voci di riflessione sul tema della formazione tecnica in relazione all’impetuoso sviluppo dell’industria in terra pontina. Ci sono brevi saggi dei curatori, di G. Fiocco, S. Mangullo, E. Fiumara, A. Marucco, P. G. Sottoriva, e due tabelle sulla demogra- fia dell’Istituto tecnico “Galilei-Sani” che ha promosso il progetto.

V. Tizzani, Effemeridi romane, volume primo, a cura di G. M. Cro- ce, premessa di R. Ugolini, prefazione V. Paglia, Gangemi editore, Roma 2015 (Istituto per la storia del Risorgimento italiano. Biblio- teca scientifica. Serie II: Fonti, 104), pp. CDLXXI, 868. Il notissimo prelato romano, conosciuto per i suoi stretti rap- porti con il poeta romanesco G. G. Belli, e per essere stato uomo di punta della cultura cattolica nell’Urbe (oltre che personaggio della Città Eterna) ha redatto fino alla sua morte un copioso diario che in- titolò Effemeridi Romane. Mons. Giuseppe M. Croce, già archivista presso l’Archivio segreto vaticano, ha dato inizio alla loro edizione critica con questo primo poderosissimo volume. Dopo le prefazioni istituzionali del prof. Ugolini, presidente dell’Istituto editore, e di mons. Paglia, prelato non meno noto della Curia ed anch’egli no- tissimo studioso di storia ecclesiastica romana, Giuseppe Croce in circa 450 pagine ricostruisce innanzitutto la biografia di mons. Tiz- zani con una accentuata analiticità: dalla sua infanzia “travagliata” 259 all’ingresso fra i Canonici regolari lateranensi, dalla sua attività di insegnante alla Sapienza a quella sviluppata per il governo della sua comunità di cui è stato un esponente di vertice. Proprio la sua per- sonalità di studioso e di ecclesiastico induce il pontefice a designarlo vescovo di Terni dove egli si impegna a fondo, ma dove però incon- tra difficoltà insormontabili che lo portano alle dimissioni. Intanto aveva già allacciato, da tempo, la sua straordinaria amicizia con il Belli che gli affidò, come è notissimo, la cassetta con le sue poesie in vernacolo anche se Tizzani intervenne in tutte le altre composi- zioni poetiche in bella lingua. Rientrato a Roma, dopo la parentesi della seconda Repubblica Romana che il prelato visse dall’esterno essendo fuggito anche lui, rifugiato nel Lazio meridionale odierno, dal pontefice è chiamato a svolgere un incarico importante: Cappel- lano maggiore del rinnovato esercito papale. Si tratta di un incarico Recensioni e segnalazioni

fiduciario e di notevole delicatezza essendo quello papale un eserci- to un po’ speciale sia perché “internazionale” (per via dei numerosi volontari cattolici) sia per essere molto piccolo. Tizzani, come assol- veva all’insegnamento, al canonicato lateranense ed ai numerosi al- tri incarichi, anche in questo caso dimostrò d’avere una personalità adeguata all’incarico; è stato molto presente come attestano le carte conservate che testimoniano come Tizzani abbia affrontato grandi e minuscole questioni. Ad un certo punto il nostro dovette subire un grave “inconveniente”, la perdita della vista ma ciò non lo scoraggiò poiché si “fece prestare” gli occhi da altri e continuò come prima a studiare e lavorare, compresa la scrittura delle sue Effemeridi. Del resto il nostro canonico era stato al centro di una serie di “grandi commissioni dottrinali” discusse nella Roma di Pio IX: l’Immaco- lata Concezione, il Sillabo, l’affare Moulins e continuava ad essere professore e studioso di vaglia interessandosi di storia, archeologia e affari contemporanei, partecipando al dibattito ed alle sedute del concilio Vaticano I. Tizzani ha vissuto il tramonto dello Stato Ponti- ficio, Mentana ed il XX settembre. Con lo scioglimento del’esercito papale finiva pure il suo incarico di cappellano maggiore (che egli in qualche modo cercò di continuare interessandosi a tanti militari smobilitati) e minacciava di terminare pure l’incarico di insegnante di storia ecclesiastica alla Sapienza. Questo finì invece per decisione di Pio IX il quale vietò qualsiasi collaborazione con l’odiato nuovo governo sabaudo. Tizzani visse fino al 1892 in una Roma in grande 260 trasformazione partecipando alle attività delle congregazioni vatica- ne, come l’Indice, o il canonicato lateranense o incontrando le per- sonalità italiane e straniere che lo andavano ad ossequiare nel suo alloggio privato; ma la sua attività quotidiana era la lettura, la scrit- tura delle sue opere fra le quali, cotidie, le Effemeridi. Malgrado la veneranda età, Tizzani ha vissuto pienamente gli ultimi due decenni della sua vita, viaggiando anche in treno, partecipando con scritti ai dibattiti aperti negli affari ecclesiastici, soprattutto quelli relativi ai rapporti con lo Stato italiano (egli non era d’accordo con gli intran- sigenti). Gli ultimi anni di Tizzani, morirà nel 1892, non sono del tutto vuoti di impegni ma il nostro scrittore continuerà a redigere le sue Effemeridi (ma sempre con maggiori vuoti, fino alla sospensione definitiva nel corso del 1890), prenderà posizione su diversi aspetti della vita ecclesiastica e intorno alle controversie teologiche romane, sarà promosso patriarca latino titolare di Antiochia e forse, come Recensioni e segnalazioni

suggerisce Croce, mediterà sul celebre sonetto del suo amico Belli in cui la morte “sta anniscosta in ne l’orologgi”. Una seconda parte è dedicata da mons. Giuseppe Croce ai ma- noscritti lasciati dal monsignore romano. Questo grande patrimo- nio è definito “Lo specchio di carta” proprio perché ne definisce il ritratto. E si tratta di un enorme, gigantesco insieme di scritti che comprendono codici, lettere, appunti, fascicoli con pratiche, studi, e tante altre cose diverse; un monumentum! Il tutto è suddiviso (non voglio dire disperso!) fra l’archivio dei Canonici a s. Pietro in Vinco- li, la biblioteca Casanatense, l’archivio capitolare di S. Giovanni in Laterano, le carte dell’Archivio Segreto Vaticano e S. Agnese fuori le mura. In diversi di questi luoghi, le carte sono arrivate per vie tra- verse, comprese quelle Casanatensi acquistate sul mercato antiqua- rio. E speriamo che qualcosa non sia nel frattempo “sparita”. Croce ha fatto un lavoro che non esito a definire “massacrante” per aver af- frontato la gran massa degli scritti, averli descritti, in ciascuna della parti dove è conservata, e datoci di fatto un sintetico inventario della produzione del Tizzani a nostra disposizione. Ovviamente si tratta di materiale scritto di grande rilevanza per chi si occupa del secolo XIX, della Chiesa romana e del suo tramonto temporale, di Roma nell’Ottocento, di tutte le questioni ecclesiastiche e teologiche, ca- nonistiche e ordinamentali della Chiesa, del Concilio Vaticano I e tanti altri argomenti che qui è inutile elencare ma si possono intui- re. L’ultimo argomento affrontato dal nostro curatore è la descrizio- ne del mondo del Tizzani come emerge dalle Effemeridi, da questo 261 straordinario diario redatto da un personaggio non meno straordi- nario. Effemeridi che in questo volume vengono pubblicate dopo un faticoso lavoro durato decenni e presentate con una massa di anno- tazioni critiche veramente impressionante. Grazie a Giuseppe Croce possiamo accedere direttamente alla fonte anche se le altre carte del Tizzani rimangono centrali e notevoli. Le effemeridi pubblicate van- no dal 1828 al 1860 (aspettiamo il secondo volume …) e riflettono la vita e le attività del nostro ma nello stesso tempo danno uno spacca- to di Roma e della Chiesa romana, e di quel vasto mondo. Al termine l’indice dei nomi e l’indice generale, da sempre ottimi strumenti per potersi orientare in questi poderosi tomi. Perché tener conto di questo libro e delle altre carte di Tizzani mi pare inutile doverlo dire, tanto sono importanti per conoscere il mondo della Città Eterna nell’Ottocento, ma voglio far conoscere Recensioni e segnalazioni

come sono arrivato alla pubblicazione di mons. Croce. Nelle mie ri- cerche giovanili sul brigantaggio avevo trovato un manoscritto della vita del brigante Gasbarrone di , scritta dal patricano Pie- tro Masi, nella Casanatense, il codice proviene dai manoscritti del Tizzani, donato al monsignore dal brigante-scrittore stesso. C’è un piccolo giallo di cui non intendo parlare qui ma si trova nel saggio pubblicato in questo stesso volume e che mi ha fatto “peregrinare” tra Casanatense, Archivio Segreto Vaticano, Archivio dei Canonici di S. Pietro in Vincoli. Se è vero che il mondo del Tizzani è l’Urbe, è anche vero che per il rispecchiamento dei territori del Lazio nella Dominante, è possibile, anzi dico facile, che molte questioni delle terre d’elezione di questa rivista siano presenti nelle carte del mon- signore romano. Ed infatti nelle carte Tizzani il nome del brigante più famoso, Gasbarrone, ricorre più volte, dieci per l’esattezza, come ricorre due volte il nome del brigante scrittore Masi. E do un altro piccolo indizio: fra le carte del Tizzani si parla di un cappellano mi- litare, intransigente, presente al suo funerale, tal De Santis: vuoi ve- dere che è figlio di Gioacchino De Santis, medico frascatano ma poi esercente a Patrica dove tira su famiglia, morto in odore di santità, e fra i figli ci saranno diversi intransigenti che per fedeltà a Pio IX non entreranno nelle compagini pubbliche / private del Regno d’Italia? Il figlio del medico si chiamava Gabriele de Santis ed infatti anche lui è presente nel volume, menzionato una decina di volte dal cele- bre prelato romano. 262 Gioacchino Giammaria

La Tradizione storica di San Domenico di Sora. Iconografia, fonti, luoghi, Atti del convegno, a cura di L. Gulia, Edizioni Casamari, [Ve- roli] Casamari 2012, pp. 247, ill.

Via dolorosa. Fede in cammino. Fotografia di G. Di Fabio, Isola del Liri 2012, pp. 135, ill. Sepolcri. Vestigia SS. contemplatio Vitae. Città di Veroli. Chiesa di san Michele Arcangelo. I Sepolcri dal 1934 al 2013, snt, pp. [153], ill. Due pubblicazioni promosse dal Comune di Veroli (presenta- zioni del sindaco D’Onorio e dell’assessore alla cultura Cretaro) e Recensioni e segnalazioni

realizzate dal grafico Pescosolido in cui si contengono immagini fo- tografiche relative a due riti della Settimana Santa. Nel primo volu- me Giorgio Di Fabio, verolano, fotografo per amore, ha ritratto le due processioni del venerdì mattina e dello stesso giorno, ma di sera. La prima si snoda per l’intera città e ricorda la Mater Dolorosa che cerca il figlio che incontrerà a sera, già crocefisso e portato dentro una bara ed allora la Mater diventa Addolorata, pugnalata al cuore. Le due processioni sono partecipatissime da fedeli in abito scuro, sovente qualche donna cammina scalza, e solo il canto dello Stabat mater, intonato dai confratelli della Confraternita Morte orazione e carità si ode per le strette, tortuose e affascinanti strade della città. Le foto di Giorgio Di Fabio illustrano con scandita precisione cortei, statue, volti, positure, paesaggi, acconciature, ruoli, partecipazioni, solitudini e moltitudini. Un universo d’immagini. Il secondo volu- me, sempre promosso dalla Città, riguarda comunque la Settimana Santa ma illustra un fatto particolare verolano. Nella piccola chiesa di S. Michele Arcangelo, da tempo immemorabile, si allestisce un sepolcro particolare, caratterizzato dalla scenografica presenza di un tappeto decorato da immagini sacre le più varie. Le testimonianze fotografiche risalgono al 1934 e sono state raccolte nelle case, tra le persone.

Tra memoria dell’antico e identità culturale tempi e protagonisti 263 della scoperta dei Monti Lepini, a cura di M. Candellieri, F. M. Ci- farelli, D. Palombi, S. Quilici Gigli, Esperia, Roma 2012, pp. 268, ill. Dall’Indice. Saggi: D. Palombi, Riscoprire l’antico: Cori tra Rinascimento ed età moderna, F. Moscardelli, Giovanni Battista Piranesi, l’antico e Cora, F. M. Cifarelli, Fra rivoluzione e restau- razione: il Petit-Radel e la riscoperta delle città “pelasgiche”, M. Cancellieri, Memorie archeologiche fra tardo Settecento e Ottocen- to: cave, cavatori e scavi a Privernum, S. Quilici Gigli, L’archeo- logia come scienza. Gli scavi di Norba, N. Bernacchio, La scoperta di Fossanova, F. Pantalfini, Il patrimonio religioso dei Monti Le- pini: un ideale itinerario storico-artistico, C. Parolini, Contributo alla conoscenza della cartografia storica dei Monti Lepini, D. Sal- vi, Coscienza del patrimonio lepino nella cartografia d’Età Moder- na, I. Romano, Reposons-nous. Appunti sulla letteratura di viaggio francese in area lepina. Documenti. Dal Quattrocento al Seicento: Recensioni e segnalazioni

1. Antonio da Sangallo il Giovane Cori (1514 circa) (F. Moscardel- li), 2. Giovanni Battista da Sangallo Cori (1514 circa) (F. Moscar- delli), 3. Anonimo in Angelo Rocca, Regione Ernica (1586 circa) (F. Moscardelli), 4. Abrahamus Ortelius, Latium (1595) (C. Parolini), 5. Athanasius Kirker, Regionis Volscorum exacta Descriptio (1671) (C. Parolini), 6. Anonimo, Veduta delle campagne di Sermoneta e Sezze (fine XVII secolo) (D. Salvi). Il Settecento: 7. Pietro Marcelli- no Corradini, Sezze (1704) (S. Ferrante), 8. Giuseppe Rocco Volpi, Norba (1726), S. Michele Arcangelo (1726) (N. Ciceroni), 9. Filippo Fini, Mappa del territorio di Supino (1758) (D. Salvi), 10. Angelo Sani, Pianta di una zona di confine tra Piperno e Prossedi (1736) (D. Salvi), 11. Giovanni Battista Piranesi, Cori (1764) (F. Moscardel- li), 12. Pierre Henri De Valenciennes, Segni (1769 ca) (B. Scuppa), 13. Pietro Paolo Pasqualetti, dimostrazione del campo Inferiore di Sezze (1777) (C. Parolini). L’Ottocento: 14. François Debret, Segni (1807) (C. Ciccozzi), 15. Giusepe Micali, Segni (1810) (C. Ciccozzi), 16. John Izard Middleton, Norba (S. Ferranti), Segni (1812) (C. Cic- cozzi), 17. Luigi Rossini, Cori (1825) (F. Moscardelli), 18. Johann Michel Knapp, Norba (1829) (S. Ferrante), 19. Johann Heinrich Westhal, Contorni di Roma moderna (1829) (C. Paolini), 20. Henry Labrouche, Segni (1830) (C. Ciccozzi), 21. Theodor Leopold Weller, Segni (1831) (B. Scuppa), 22. Mathieu Prosper Morey, Segni (1834) (C. Ciccozzi), 23. Edward Dodwell, Segni (1834) (C. Ciccozzi), Norba (1834) (S. Ferrante), Sezze (1834) (S. Ferrante), 24. Luigi Canina, 264 Segni (1840) (C. Ciccozzi), 25. Edward Lear (C. Ciccozzi), Priverno (1838-1846) Fossanova (1838-1846), Sonnino (1838-1846), Ninfa (1838-1846) (N. Ciceroni), 26. Francesco Caracciolo, Segni (prima metà ‘800) (C. Ciccozzi), 27. Carl Ferdinand Sprosse, Fossanova (1852) (N. Ciceroni), 28. Louis François Philippe Boitte (N. Cicero- ni), Segni (1860 circa), Priverno (1866 circa) (C. Ciccozzi), 29. Ano- nimo, Fossanova (XIX secolo) (N. Ciceroni), 31. Heinrich Kiepert, carta corografica ed archeologica dell’Italia centrale (1881) (C. Paoli- ni), 32. Arthur Lincoln Frothingham, Fossanova (1890) (N. Bernac- chio), 33. Anonimo, Fossanova (1893) (N. Bernacchio), 34. Camille Enlart, Priverno (1890 circa), Sezze (1890), Fossanova (1894) (N. Bernacchio). Il patrimonio religioso dal Quattrocento al Seicento: 1. Pietro Coleberti da Piperno, Sermoneta (F. Pantalfini, V. Scozza- rella), 2. Benozzo Gozzoli, Sermoneta (F. Pantalfini, V. Scozzarella), 3. Desiderio da Subiaco, Sermoneta (F. Pantalfini, V. Scozzarella), Recensioni e segnalazioni

4. Girolamo Siciolante, Sermoneta (F. Pantalfini, V. Scozzarella), 5. Niccolò Circignani detto il Pomaranzio, Abbazia di Valvisciolo (F. Pantalfini, V. Scozzarella), 6. Franz Van de Kasteele (Francesco da Castello), Sermoneta (F. Pantalfini, V. Scozzarella), 7. Scuola del Ca- valier d’Arpino, Sermoneta (F. Pantalfini, V. Scozzarella). Bibliogra- fia e documenti. Appendice: Il sistema informativo. “Tra memoria dell’antico e identità culturale (S. Ferrante).

Villaggi di capanne nei Lepini. Una prospettiva etnoarcheologica, a cura di V. Padiglione, Edizioni Kappa, Roma 2012, pp. 408, ill., DVD allegato. Un grosso volume prodotto dalle attività dell’Etnomuseo dei Monti Lepini di Roccagorga e da un gruppo di ricercatori che, come dice il sottotitolo, è composto da antropologi e da archeologi. L’og- getto dell’inchiesta è la capanna dei pastori e dei contadini presente sui Monti Lepini che viene inquadrata da un saggio di Vincenzo Pa- diglione, illustrata da due saggi introduttivi di Giulia Bevilacqua e Francesca Carinci, rispettivamente antropologa la prima, archeologa la seconda. Poi in nove complesse schede, le capanne vengono ana- lizzate dai ricercatori che sono le stesse persone menzionate sin qui ma anche da Fabio Luffarelli, Delfino Iannarelli, Nadia Truglia, Susy Del Fabro, Federica De Rossi, Rosina Floris, Emilio Di Fazio, Angelo Giuliani, Eros Ciotti, Emanuele Giannini, Patrizia Marino, Andrea Battisti. Infine tre saggi finali di Antonio Riccio, Federica De Rossi e 265 Nadia Truglia illustrano alcuni aspetti interessanti. Il lavoro di Vin- cenzo Padiglione è piuttosto complesso poiché ha dovuto illustrare gli ambiti, gli scopi e le finalità del progetto in un contesto di studi in cui le capanne lepine in realtà diventano un pretesto per cercare di capire ulteriormente l’area in cui opera il Museo di Roccagorga. E le capanne sono la casa e come tale assume un rilievo eccezionale. In effetti la capanna, tratto caratteristico, luogo di abitazione e centrico dell’azienda rurale, quasi un simbolo, si distingue dalle abitazioni di località contermini della Palude Pontina e della Campagna Romana, della campagna ciociara, anche se l’ascendenza è piuttosto ampia in quanto sembra che il modello sia collocabile nella Preistoria e sia diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo (un caso è praticamente uguale, “sa pinnetta” sarda). La tecnologia costruttiva è architetto- nicamente piuttosto semplice: un cerchio di pietre (muretto a secco, Recensioni e segnalazioni

la cosiddetta “macera”), un sistema di pali che si incrociano in alto e la copertura è fatta sostanzialmente con la “stramma” (l’Ampelode- smos) raggruppata a mazzetti. Sul piano edilizio però la costruzione richiede particolari accorgimenti: ad esempio una fondazione, ed è sufficiente scavare per una ventina di centimetri; il muretto deve spingere in dentro per evitare che il peso dei pali spinga in fuori e col tempo faccia crollare il muretto, i mazzetti di “stramma” devono avere la punta rivolta all’esterno per far scorrere l’acqua sulla super- ficie esterna della copertura ed evitare infiltrazioni, e così via. Poi c’è la grande questione della casa, se la capanna sia inquadrabile in una dimora e dall’insieme del volume si scopre che solo una picco- la parte degli utenti e proprietari di capanne l’ha considerata casa unica e totale, in pratica i pastori e i contadini più poveri, mentre quasi tutti avevano una casa in paese e usavano la capanna nei mesi primaverili, estivi e del primo autunno. Ovviamente Padiglione si pone anche altri problemi, se le capanne lepine siano da conside- rarsi un bene culturale, un monumento da salvaguardare, se luogo del mito o solo un tugurio, se debbano stare nella memoria e così via. Poi ripercorre gli antefatti della ricerca, della dimenticanza delle capanne fino a quando l’Etnomuseo non ha riscoperto la capanna e ne ha ricostruito una dentro le sue sale risuscitando l’entusiasmo di alcuni, la curiosità di altri e l’emulazione che ha portato più o meno negli stessi anni a ricostruirne un paio, anzi a dedicare al sistema capanna un apposito museo a Carpineto Romano. L’azione impli- 266 cita nella ricerca è cercare di comprendere se le capanne possono diventare patrimonio collettivo e se è possibile un processo di riap- propriazione culturale e monumentale. Nell’esaminare il complicato mondo che sta intorno alle capanne emergono anche diversi aspetti di più ampio riferimento antropologico, come l’azione di raccolta e impiego delle pietre che rinvia ai diversi significati della pietra e del- le due azioni poste in essere. Anche perché questi gesti sono comuni sia alle donne che agli uomini … È evidente che dalla ricerca e dalla “valorizzazione” museale le capanne lepine sono ormai un oggetto imprescindibile e fanno parte dell’orizzonte territoriale di questo comprensorio laziale. Le nove zone d’analisi fanno riferimento ai comuni di Sonnino, , Cori, Norma, Roccagorga, Carpineto Romano e Montela- nico; non hanno toccato tutti i comuni lepini (ad esempio mancano del tutto quelli appartenenti alla provincia di Frosinone) e si sono Recensioni e segnalazioni

limitati alla descrizione ed analisi di complessi di capanne definiti villaggi. Si tratta in effetti di alcuni gruppi che praticamente faceva- no capo ad una sola famiglia poiché le capanne lepini erano collocate in terreni privati e soddisfacevano i bisogni di una famiglia sola, non esistono villaggi nel senso pieno della parola, ovvero nati su terreni pubblici, con più abitazioni possedute da famiglie diverse e numero- se. Inoltre non esiste un sistema di strada o viottoli aperti al transito di tutti. Di fatto ogni raggruppamento di capanne serve una famiglia poiché una capanna serve come dormitorio, magari se la famiglia è numerosa una seconda capanna è destinata a cucina e dispensa, inoltre vicino ci sono le capanne per gli animali, solitamente di for- ma oblunga per gli animali grossi, mucche, asini e muli; più piccole e circolari per i maiali (spesso ogni scrofa aveva una sua capanna), per le galline ed altri animali da cortile. Poi vicini c’erano gli stazzi per le pecore e le capre, aperti, senza tetto, sulle cui macere si met- tevano cortine di spini e ostacoli per evitare “incursioni” di animali predatori. Ovviamente in presenza di famiglie numerose, di greggi cospicui, il numero delle capanne poteva aumentare. Ecco perché i nostri ricercatori hanno trovato villaggi a volte con più membri e quasi tutti ridotti ai soli muretti, infatti rari i casi di capanne ancora in funzione, spesso coperte da altri materiali e non più dal deperibile materiale vegetale di una volta. Il lavoro di questi giovani antropo- logi ed archeologi è stato encomiabile, descrivendo i singoli villaggi, cercando di entrare anche nei rapporti umani con le persone cono- sciute, hanno lavorato sul campo, con la fotografia, in archivio e con 267 interviste orali cercando di raccogliere il maggior numero di infor- mazioni che poi hanno rielaborato con piante, apparato fotografico, resoconti, descrizioni. A conclusione una riflessione di Antonio Riccio sull’intimità (con i risvolti anche erotico-sessuali) connessa alle capanne, la rico- struzione del clima costruito fra una ricercatrice, Federica De Rossi, e le donne coinvolte nella ricerca, e la descrizione di Nadia Truglia del Museo della pastorizia e dell’agricoltura Le Capanne di Carpi- neto Romano fondato e costruito da Oscar Campagna, ed il Museo lepino della civiltà contadina, fondato e diretto da Luigi (Gino) Zac- cheo. Gioacchino Giammaria Recensioni e segnalazioni

A. Virdis, San Nicola di Trullas. Gli affreschi. Intersezioni mediter- ranee nella Sardegna del XIII secolo, Aracne editrice, Ariccia 2014, pp. 272, ill. San Nicola di Trullas. Archeologia Architettura Paesaggio, a cura di A. Boninu e A. Pandolfini, Comune di Semestene, Semestene 2010, pp. 382, ill. Il volume che interessa maggiormente in questa sede è il libro di Alberto Virdis sul ciclo di affreschi presenti nella chiesa sarda di San Nicola di Trullas che è confrontato con quello anagnino presen- te nella cattedrale di Anagni e con l’altro tiburtino (oltre che, come diremo, con altri importanti cicli pittorici di zone diverse). L’altro, edito dal Comune di Semestene, paese nella cui giurisdizione ricade la chiesa, è l’ultima opera importante che serve ad illustrare il con- testo in cui si colloca la chiesa medesima. In questo volume vengono raccolti studi archeologici, sull’insediamento monastico camaldole- se, sui reperti di varia natura raccolti nelle più recenti campagne di scavo; oltre all’archeologia si indaga anche nel campo economico (e segnalo lo studio di Silvio De Santis, di cui l’Istituto di storia e di arte del Lazio meridionale ha pubblicato un meritevole studio su docu- menti cepranesi, sul patrimonio fondiario di San Nicola attraverso il condaghe), nell’inquadramento signorile e territoriale, come degli affreschi ivi conservati (di Patricia Olivo) e poi il volume allarga il campo verso altre chiese, sull’intero territorio comunale e studi di applicazione archeologica, paesaggistica, viaria, geologica e docu- 268 mentaria. Alberto Virdis invece, nell’ambito di un dottorato di ricerca, ha posto al centro della sua attenzione i soli affreschi e ha realizzato uno studio importante che gode della prefazione di Herbert Kessler, altro noto studioso degli affreschi anagnini e laziali medioevali. Vir- dis all’inizio descrive gli affreschi di Semestene visti all’interno della scarsa presenza di pitture murali in Sardegna e risalenti al Medioevo. Poi non poteva mancare un quadro storico critico che, a partire dal- la presenza monastica, ed in particolare quella camaldolese (ordine monastico-eremitico che ha tenuto la chiesa e l’annesso - scomparso - convento) ricostruendo le vicende della donazione da parte della famiglia Athen, importanti personaggi del giudicato di Torres (coin- volti anche in un eccidio perpetrato contro di loro appunto dentro la chiesa di San Nicola), vicende viste in un contesto che subito diventa più largo della regione stessa poiché il nostro trova una serie di rela- Recensioni e segnalazioni

zioni in ambito mediterraneo, causate probabilmente dalle crociate in cui le genti di Sardegna, o meglio le sue classi dirigenti, furono coinvolte. Infine Virdis descrive la chiesa, il ciclo pittorico che risul- ta abbastanza ridotto a causa delle perdite: di fatto ci sono alcuni importanti lacerti ma l’intera composizione ci è sconosciuta. Di que- ste pitture egli ricostruisce i contesti culturali che subito rinviano a Roma, al Lazio, alla Sardegna stessa per cercare di capire come ed in che modo si fosse sviluppata la decorazione pittorica sacra. Poi c’è l’esame delle singole parti: catino absidale con il Cristo in Maestà fra santi, i profeti e le iscrizioni, le volte con i vegliardi, l’agnello, gli evangelisti, gli angeli loricati e i cherubini con un’iscrizione in gre- co. Oltre alla descrizione l’autore fa una importante analisi anche stilistica oltre che storico-artistica, che si conclude con un capitolo in cui fa l’esegesi delle immagini individuando negli angeli raffigu- rati, i cherubini ed i serafini, una metafora della vita monacale e un rapporto fra liturgia (caposaldo della cultura monastica, soprattutto dell’Ordo S. Benedicti) e pittura. Egli colloca la realizzazione della pittura all’inizio del XIII seco- lo, forse nel secondo e terzo decennio, prodotto della spiritualità ca- maldolese, legato a più contesti fra cui il ponte che rileva tra oriente bizantino ed occidente (con legami veneziani, siciliani, costantino- politani e balcanici), una composita cultura pittorica (d’ispirazione romana e laziale, non senza riferimenti a Pisa in quei momenti ege- mone in Sardegna) e che esprime però un deciso appoggio alle tesi romane, ovvero del papato che va da Innocenzo III a Gregorio IX. 269 In questo contesto Virdis esamina e confronta questi lacerti logu- doresi con importanti culture pittoriche espresse nei cicli romani, tiburtini e anagnini (per questo ciclo si riferisce solo alle cosiddette prima e seconda bottega) e quindi poter affermare che le maestranza operanti in San Nicola di Trullas conoscono gli sviluppi tiburtini e anagnini, ma operano sotto un maestro che meglio conosce i più re- centi esiti della cultura pittorica bizantina. La decorazione delle cor- nici invece rinvia al cantiere della SS.ma Trinità di Saccargia quindi un’opera decisamente “interna”. Ovviamente dentro questa analisi si agitano poi anche altri problemi che fanno riferimento al dibattito storico-culturale tipicamente sardo e relativo a certuni schemi inter- pretativi (“innovazione versus tradizione, centro versus periferia”) tipici del dibattito culturale dell’isola. Forse tornare al confronto con l’apparato decorativo dei nume- Recensioni e segnalazioni

rosi sottarchi anagnini potrebbe offrire ulteriori informazioni men- tre la lacunosità del ciclo sardo di S. Nicola non consente di poter af- frontare, oltre a quanto fatto da Alberto Virdis, l’analisi delle pitture viste nel loro complesso, problema che, come è noto, è centrale nella lettura dei molto compositi affreschi anagnini.

Gioacchino Giammaria

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