Clemente Papi “REAL Fonditore”: vita e opere di un virtuosistico maestro del bronzo nella Firenze dell’Ottocento

di Giuseppe Rizzo

Celebrato durante l’ultimo granducato di Toscana come “Real Fonditore di Statue in Bronzo”, Clemente Papi (1803–1875) fu ricordato, al tempo del Regno unitario, come “il primo Fonditore d’Italia […] per la bravura di riprodurre in bronzo le opere più grandiose”1 della statuaria antica e moderna. L’intera carriera dell’artista, romano di nascita ma fiorentino per adozione, si svolse all’interno della fonderia regia. Nata come officina fusoria al servizio della corte granducale negli anni che videro la politica liberale di Leopoldo II promuovere le arti, le manifatture artigianali e l’industria, presto divenne centro di diffusione dell’arte fiorentina nel mondo: ruolo che mantenne anche dopo l’avvento del Regno d’Italia. Tra le opere eseguite da Clemente Papi le più note sono senz’altro le copie del David di Mi- chelangelo, del quale esistono due calchi in gesso, uno alla Gipsoteca dell’Istituto Statale d’Arte di Firenze e l’altro al Victoria and Albert Museum di Londra; vi si aggiunge il famoso bronzo che dal 1874 corona il centro del piazzale Michelangelo a Firenze (fig. 14). Ben documentati sono inoltre la riproduzione in bronzo della base della fontana del Porcellino della bottega di Pietro Tacca (già presso il Mercato Nuovo, ora al Museo Stefano Bardini, Firenze; fig. 12) e i getti del Caino e dell’Abele di Giovanni Duprè (Galleria d’Arte Moderna di , Firenze; figg. 7, 8). Meno noti, tra i lavori usciti dalla fonderia di Papi, sono invece i tanti bronzi monumentali celebrativi commissionati da Vittorio Emanuele II al tempo dell’Unità d’Italia e destinati alle piazze di alcu- ne città italiane: si pensi al monumento a Cavour a Milano (fig. 17), opera di collaborazione tra Odoardo Tabacchi e Antonio Tantardini, alla statua equestre del duca di Genova Ferdinando di Savoia di Alfonso Balzico (fig. 16) e alla statua di Alessandro La Marmora di Giuseppe Cassano, entrambe collocate a Torino; al monumento al generale Manfredo Fanti di Pio Fedi in piazza San Marco a Firenze (fig. 18). Infine è del tutto sconosciuta la produzione dei tanti modelli plastici tradotti per conto di diversi scultori del suo tempo e soprattutto sono completamente ignorate le molte repliche in bronzo che Papi trasse direttamente dai capolavori della scultura del Quattro e Cinquecento, commissionate da viaggiatori stranieri, principi e aristocratici, direttori di musei d’Europa in visita o residenti a Firenze. In un periodo storico dominato dall’ideologia romantica del ritorno al passato, che a Firenze si identificò con il recupero delle tecniche di lavorazione tradizionali e con il rinnovo delle forme del Rinascimento, la capacità di Papi nel riprodurre in bronzo le statue dei più importanti artisti del Cinquecento fu un elemento di grande novità nel panorama delle arti fiorentine che ebbe un’eco internazionale. In questo senso, la copia del Mercurio volante (fig. 3) eseguita per il duca di Devonshire e quella della Venere anadiomene della Petraia voluta dalla duchessa di Sutherland, opere entrambe tratte dagli originali del Giambologna, nonché la prima replica in assoluto del Perseo con la testa di Medusa del Cellini (fig. 2), comissionata dal duca di Su- therland, furono certamente tra le più interessanti esecuzioni del fonditore e contribuirono a restituire a Firenze, nell’Ottocento, il ruolo di ‘Novella Atene’ che l’aveva già resa celebre nel Rinascimento. Purtroppo, lo scarso interesse che la critica ha dimostrato verso Clemente Papi per tutto il corso del Novecento ha inoltre messo in ombra la produzione più interessante e corposa dei suoi lavori autonomi — curiose invenzioni che Papi chiamava ‘scherzi’2 — nei quali meglio si espresse la sua personale creatività artistica e soprattutto la sua abilità nel padroneggiare l’antico 296 G. Rizzo / Clemente Papi fonditore nella Firenze dell’Ottocento procedimento della fusione a cera persa, tecnica che lo scultore reintrodusse nelle arti plastiche fiorentine dopo un secolare abbandono. Nell’ambito della revisione critica e storiografica dell’arte dell’Ottocento toscano sollecitata da una generazione di studiosi di varia formazione disciplinare, il nome di Clemente Papi è spesso citato, ma la sua opera è di fatto ancora poco conosciuta. Una parte della storia dell’arte è stata attratta dal valore formale delle sue invenzioni e le ha interpretate come il segno di un cambia- mento del gusto che interessò Firenze negli anni quaranta del XIX secolo.3 Altri hanno osservato la singolare capacità tecnica del fonditore in rapporto ai diversi procedimenti utilizzati nelle fon- derie dell’Ottocento presenti in Italia, in Europa e in America.4 Alcuni, infine, hanno circoscritto il ruolo svolto dalla sua officina nel rinnovamento della produzione artistica e dell’economia locale.5 Tuttavia, a distanza di molti anni dal 1995, quando Mauro Cozzi lamentava la mancanza di uno studio approfondito su Clemente Papi6, poco o niente è ancora emerso sulla complessa figura dell’artista, per la quale, anche nel più recente dei contributi7, sono state considerate le sole testimonianze letterarie ed è rimasta invece misconosciuta la vasta documentazione manoscritta esistente negli archivi fiorentini. Il presente testo, nei limiti che ogni ricerca impone, intende tracciare la linea della carriera di Clemente Papi fonditore e ripercorrere le fasi salienti della sua vita attraverso una selezione dei documenti conservati presso l’Archivio dell’Accademia delle Belle Arti (filze dal 1818 al 1850) e l’Archivio Storico delle Gallerie fiorentine (filze dal 1827 al 1875). Questi documenti, incrociati con le notizie riportate nella cronaca dei perodici, quotidiani e cataloghi di esposizioni dell’epoca, permettono non solo di colmare un vuoto storiografico, ma di mettere in luce alcuni aspetti ancora inediti dell’opera e della vita dell’artista. Grazie alla documentazione esaminata siamo finalmente in grado non solo di restituirgli la paternità di alcune opere ancora nell’ombra dell’anonimato (nel caso specifico il Mercurio della collezione Devonshire a Chatsworth), ma anche di rivedere alcune discordanti e confuse notizie riportate fin dalla letteratura del tempo. La stessa biografia di Clemente Papi, ad esempio, scritta dall’amico avvocatoA ntonio Faleni e stampata pochi mesi dopo la morte del fonditore8, sebbene sia ancora oggi da considerarsi l’unico importante contributo sull’artista, contiene refusi e improprie datazioni e viene finalmente fatta oggetto di un attento riesame. La formazione (1818–1837) Sesto e ultimo figlio di Scolastica Jhofer (in realtà probabilmente Hofer) e Luigi Papi, Cle- mente nacque a Roma nel 18039 e qui visse fino all’età di dieci anni quando il padre, “onesto negoziante ed abilissimo pirotecnico”, decise di trasferirsi a Firenze insieme alla famiglia con la “speranza di incontrare migliore fortuna”.10 Sotto la guida paterna, Clemente imparò a raffinare lo zucchero, a tinteggiare il lino grezzo con prodotti chimici, a preparare la colla, il verderame e il sapone, ovvero tutte quelle arti che gli avrebbero consentito di diventare un buon mercante. Tuttavia, la predisposizione del giovane verso lo studio del disegno e delle arti plastiche era tale che il padre decise di iscriverlo, nel 1818, all’Imperiale Accademia delle Belle Arti che al tempo vantava la prestigiosa direzione del pittore aretino Pietro Benvenuti e un corpo di docenti di riconosciuto prestigio. Tra questi il professore Pietro Ermini, “celeberrimo disegnatore”11, e gli scultori Francesco Carradori prima e Stefano Ricci poi furono gli insegnanti di Clemente Papi, i quali riconobbero nel giovane allievo “talento assai”12 nel disegno e “molta disposizione”13 nella modellazione plastica. La bravura di Papi fu presto nota per alcuni lavori modellati in gesso che, presentati nei con- corsi annuali e triennali indetti dall’Accademia, furono lodati e premiati. Nel 1823 un suo saggio in creta gli valse il Premio minore di Scultura14; nel 1826 partecipò alla mostra annuale con due busti-ritratto in gesso rappresentanti una Giovine e un Giovane15; infine, al concorso triennale del 1828 gli fu assegnato il Premio di incoraggiamento per un bassorilievo d’invenzione, il cui tema G. Rizzo / Clemente Papi fonditore nella Firenze dell’Ottocento 297 era così indicato: “Tizio che tentando fare oltraggio a Latona, che attraversava le campagne di Panope per andare a Pito, rimane ucciso dagli strali d’Apollo e Diana”.16 Sebbene di questi primi saggi non si abbiano più notizie, dobbiamo immaginarli modellati secondo uno stile legato al ‘vero’ della rappresentazione, come già osservato dalla critica del tempo, che considerò il “pregio” dei lavori di Papi risiedere proprio nel loro accostamento “al vero”17, forse mediato in quegli stessi anni dalle lezioni di anatomia pittorica che l’allievo seguiva presso il Regio Arcispedale di Santa Maria Nuova.18 Il 1833 è l’ultimo anno in cui il nome di Clemente Papi compare nei registri degli allievi dell’Ac- cademia19, ma sappiamo dalle notizie del Faleni che lo scultore già da molti anni era attivo nello studio di Stefano Ricci, ubicato presso i locali del Chiostro dello Scalzo nell’odierna via Cavour. Nello studio del maestro, Papi strinse amicizia con Aristodemo Costoli e con Niccolò Bazzanti, entrambi già allievi e ora stipendiati del Ricci, e perfezionò le sue capacità nel modellare la creta, gettare in gesso e acquisire padronanza nelle tecniche del restauro, il che gli consentì di essere di grande utilità nei molti lavori e commissioni in cui il Ricci era impegnato. Tra le esperienze più significative affrontate durante gli anni di apprendistato, ancora Faleni ricorda, ad esempio, l’ingegnosità con cui Clemente Papi ideò e realizzò la struttura per la più importante commissione del Ricci, ossia il colossale monumento a Dante Alighieri (1829) da destinarsi al Pantheon di Santa Croce, per il quale il maestro incaricava l’allievo “di ideare, e far costruire una complicata e grandiosa armatura atta tanto a reggere i modelli in creta dei tre colossi di quel monumento [Dante, la Poesia che piange e l’Italia che addita il verso ‘Onorate l’altissi- mo poeta’], quanto a conservarli freschi, alzarli, sbozzarli, e formarli in gesso”.20 I documenti informano inoltre che negli anni trascorsi nello studio del Ricci Clemente Papi fu impegnato a realizzare un primo calco in gesso dell’Aiace, meglio conosciuto come il gruppo di Menelao e Patroclo (versione esistente sotto la Loggia dei Lanzi di Firenze) per commissione del governo francese21, e un secondo calco per il Museo Imperiale di Prussia (1831)22, dopo che il Ricci aveva portato a termine il lungo e dibattuto restauro.23 Sempre per conto del governo francese gli fu chiesto di realizzare il calco in gesso della Porta del Paradiso del battistero di San Giovanni e di eseguire le copie in bronzo dei cosiddetti ‘Crepuscoli’ (Aurora, Crepuscolo, Giorno e Notte) di Michelangelo nella Sagrestia Nuova di San Lorenzo (1834).24 È probabile che da questa data Clemente Papi iniziasse ad interessarsi alla tecnica della fusione in bronzo, “dandosi ad investigare quali fossero stati i metodi di fusione praticati dai più valenti e rinomati fonditori del passato”.25 Studiando e sperimentando l’antico procedimento della fusione a cera persa Papi fu presto abile a lavorare il bronzo, attirando l’attenzione di Antonio Ramirez di Montalvo, presidente dell’Accademia delle Belle Arti e direttore delle Reali Gallerie, che per primo intuì le doti dello scultore per l’arte fusoria. E fu grazie ai suoi buoni uffici che il giovane artista ottenne la fiducia del granduca di Toscana Leopoldo II e quindi i sussidi economici per avviare un piccolo laboratorio di fusione. Nella supplica che Ramirez di Montalvo inoltrò il 23 dicembre del 1837 a Luigi Pratellesi, segretario del Dipartimento delle Reali Finanze, affinché fossero concessi allo scultore i mezzi necessari per attivare a Firenze una fonderia di bronzi, venivano riferite al Granduca non solo “le qualità d’animo e le doti d’ingegno” di Papi, ma si sottolineavano il “talento meccanico” e il “lodevole zelo” dello scultore nella lavorazione del bronzo. Quest’arte, esercitata con il rinnovato metodo della fusione a cera persa, sarebbe stata, come si legge nella supplica, “cosa vantaggiosissima alle arti, di utilità al paese, perché non saremmo più obbligati di ricorrere all’estero pei lavori di tal natura; e di somma gloria insieme all’Altezza Vostra Imperiale e Reale che colla sua magnificenza l’avrebbe richiamata in vita”.26 Le trattative per riattivare a Firenze una fonderia di bronzi furono presto compiute e nei primi mesi del 1838 erano già stati terminati i lavori di Luigi Fallai incaricato di “ridurre un magazzino a fonderia”27 all’interno dell’ex convento di San Matteo, adiacente all’Accademia delle Belle Arti.28 In segno di deferenza e gratitudine, Papi farà dono al Granduca di un busto di Fanciullo ridente in bronzo, 298 G. Rizzo / Clemente Papi fonditore nella Firenze dell’Ottocento già presentato dallo scultore al concorso triennale dell’Accademia (1837) e qui applaudito per la verosimiglianza del modello tale da “sembrare un pezzo antico”.29 Repliche di capolavori e virtuosistiche invenzioni Nella neonata officina di fusione Papi continuò a studiare e a sperimentare la tecnica per fondere in bronzo col metodo della cera persa, che gli avrebbe permesso, in breve tempo, di soddisfare l’ambiziosa idea di riprodurre a misura reale e in un sol getto statue e gruppi scultorei. I primi lavori furono piccoli bronzi nati dalla fantasia dell’artista, che attrassero e incuriosirono subito il pubblico per la loro qualità formale ed il virtuosismo tecnico. Un anonimo cronista, dopo aver visto alcune composizioni a soggetto floreale con gerani, amaranti, gardenie modellate direttamente dal vero e poi gettate in modo da riprodurre l’illusione della natura, scrisse che Clemente Papi “per far tanto […] dee possedere qualche importante segreto, forse ignoto agli stessi antichi fonditori”.30 Tuttavia il lavoro che rese celebre in quegli anni il suo laboratorio di fusione, richiamando l’attenzione dell’aristocrazia straniera di passaggio a Firenze, fu la traduzione in bronzo a gran- dezza naturale della Diana succinta o Diana gabina, opera statuaria rinvenuta a Gabii nel 1792, che Papi tradusse da un modello in gesso presente nell’Accademia delle Belle Arti (fig. 1), a sua volta tratto dall’originale in marmo che dal 1801 è conservato al Museo del Louvre.31 Da quanto si evince dalle notizie riportate nei giornali dell’epoca, l’entusiasmo tra i fiorentini per il risultato della Diana succinta fu unanime. Quando la statua fu presentata nel febbraio del 1839 alla mostra triennale dell’Accademia, essa fu oggetto di ammirazione non soltanto per la “portentosa fedeltà [al] modello nelle sue più minute e delicate modificazioni” e come lavoro condotto con “esito felicissimo […] senza utilizzo di ceselli e lima”, ma furono sottolineate le difficoltà con cui Papi dovette misurarsi nelle “pieghe nel sinuoso panneggiamento”, dove “gli scuri e i sottoquadri sono fortissimi e complicati a segno da sgomentare chiunque”.32 Nel gennaio del 1839, mese in cui Papi portava a termine il getto della Diana, la duchessa Harriet Elizabeth Georgiana Howard, dama di corte della regina Vittoria d’Inghilterra, in visita a Firenze insieme al marito George Granville Levenson-Gower, II duca di Sutherland, si rivolse alla fonderia di Clemente Papi per ordinare la replica in bronzo della Venere anadiomene del Giambologna, coronamento della Fontana del labirinto a Villa La Petraia.33 Per ricavare la forma in gesso e quindi eseguire il getto in bronzo della Venere anadiomene, fu accordato a Clemente Papi di trasportare l’originale del Giambologna dalla “gran vasca del Giardino della Petraia” all’interno della sua “officina”, per “farne il primissimo getto di cera”. Nei locali dell’Accademia delle Belle Arti lo scultore ripulì la statua dalle incrostazioni calcaree e, una volta eseguito il getto, a Papi fu fatto obbligo “di assistere alla rimozione, al trasporto e alla ricollocazione della prenominata statua […] nel primiero stato”.34 Nell’ottobre del 1839 la Venere di Papi primeggiava tra i prodotti più belli presentati alla mostra triennale dell’Accademia e tra gli applausi della critica un anonimo cronista non mancò di notare che “nell’interno della Statua passano i condotti delle acque, che poi cadono dai capelli della dea, effigiata in atto di spremere le sue lunghe trecce mentre ella sorge dall’onde marine”.35 Seguì, nell’agosto dello stesso anno, la richiesta del duca di Sutherland di replicare in bronzo la colossale statua del Perseo con la testa di Medusa di Benvenuto Cellini, collocata sotto la Loggia dei Lanzi in piazza della Signoria.36 La realizzazione di questa copia (fig. 2), annunciata nel 1839 nelle pagine della “Gazzetta di Firenze” come un “lavoro che farebbe sgomentare chiunque, tanto è complicato, tanto è difficile”, attese circa quattro anni. Nel frattempo Clemente Papi aveva chie- sto il permesso, accordato dal Granduca, di formare in gesso la statua direttamente sull’originale. Il calco, eseguito probabilmente nel corso del 1840, fu preceduto da un’importante relazione sullo stato di conservazione dell’originale, nella quale Papi annotò tutti “i guasti o imperfezioni che sussistono nel gruppo del Perseo di Benvenuto Cellini e nella sua base”.37 La fusione della G. Rizzo / Clemente Papi fonditore nella Firenze dell’Ottocento 299

1 Diana succinta (Diana gabina), modello in gesso. Firenze, Accademia delle Belle Arti.

copia fu incoraggiata dal Granduca che concesse a Papi non soltanto l’utilizzo di spazi più ampi presso l’ex granaio dell’Uccello in San Frediano, ma, con motuproprio del 22 dicembre 1843, lo nominò “Real Fonditore di Statue in Bronzo”, titolo che mantenne anche dopo l’avvento del Regno d’Italia. L’opera fu gettata in bronzo nel 1844 e prima di essere spedita in Inghilterra fu presentata alla mostra annuale dell’Accademia insieme al busto in bronzo di Leopoldo II model- lato da , confluito nella Galleria dei Benefattori all’Ospedale degli Innocenti.38 In seguito, lo scultore inglese George Simonds avrebbe giudicato la replica del Perseo addirittura superiore all’originale del Cellini in virtù dell’abilità tecnica di Papi nel padroneggiare il proce- dimento della fusione a cera persa. In un suo articolo del 1896 lo scultore sottolineò le peculiari conoscenze tecniche di Papi nell’utilizzo dell’antico metodo, insistendo soprattutto sul fatto che l’artista era riuscito a realizzare l’opera in un solo getto mentre il Cellini dovette invece fondere il capolavoro in due parti.39 300 G. Rizzo / Clemente Papi fonditore nella Firenze dell’Ottocento

2 Clemente Papi, Perseo con la testa di Medusa, copia da Benvenuto Cellini. Trentham Garden, Stoke-on-Trent, Staffordshire (GB).

La copia del Perseo con la testa di Medusa arrivò a Londra nel 1845 e in seguito fu trasferita nella residenza estiva dei duchi di Sutherland a Trentham Hall (Staffordshire) insieme alla copia della Venere anadiomene. All’interno di una cornice abitativa fra le più suggestive dell’Inghilterra vittoriana, il Perseo fu collocato per volere del Duca alla fine del viale principale che attraversa il grande giardino all’italiana, dove ancora oggi è visibile a ridosso della balaustra che si affaccia sul lago artificiale (fig. 2). La Venere fu invece montata sopra un piedistallo sovrastante una larga vasca circolare, in modo da formare una fontana, collocata all’interno del private conservatory della Duchessa, dove più volte fu notata dai viaggiatori che visitarono la residenza prima del 1907. A questa data, infatti, Trentham Hall ed oltre mille oggetti d’arte furono messi in vendita; tra questi anche la Venere di Papi, della quale, da allora, non abbiamo più notizie.40 Sempre intorno al 1840 lo zio della duchessa di Sutherland, il noto collezionista William George Spencer Cavendish (1790–1858), VI duca di Devonshire, pure di passaggio a Firenze nel maggio del 1839 insieme all’amico e architetto Joseph Paxton (1803–1865), appresa la notizia G. Rizzo / Clemente Papi fonditore nella Firenze dell’Ottocento 301

3 Clemente Papi, Mercurio volante, copia da Giambologna. Chatsworth, Duke of Devonshire collection. circa le importanti repliche che Papi stava realizzando per i suoi parenti non mancò di visitare la fonderia e ordinare allo scultore la replica del Mercurio volante del Giambologna, capolavoro della scultura rinascimentale fiorentina che il Duca aveva ammirato nel Gabinetto dei Bronzi Moderni nella Galleria degli .41 Come riportato da un cronista dell’epoca, Antonio Maria Izunnia, il 18 maggio del 1840, all’interno della fonderia, in un’atmosfera di “sublime quiete” e sotto lo sguardo ansioso di “un buon numero di spettatori” in attesa “che il liquefatto metallo cominci a sgorgare nella forma sotterrata”, Papi portava a temine la fusione e dava vita alla sta- tua.42 Dopo essere stato presentato al concorso triennale dell’Accademia, nell’ottobre dello stesso anno43, il Mercurio fu spedito a Chatsworth nella residenza del duca di Devonshire e collocato al centro della Lower Library sopra una porzione di colonna adattata a piedistallo proveniente dalla basilica di San Paolo fuori le Mura (fig. 3).44 Alla metà del XIX secolo la presenza della fonderia di Papi a Firenze iniziò a crescere d’im- portanza ed essa fu presto considerata una tra le mete obbligate nella visita della città. Non a caso 302 G. Rizzo / Clemente Papi fonditore nella Firenze dell’Ottocento

4 Clemente Papi, Tripode con canestra, da: Official catalogue of the great exhibition, Londra 1851, p. 1300, no. 116.

nel 1841 Emanuele Repetti, nella sua fortunata “Guida di Firenze e de’ suoi contorni”, dedicava un’intera pagina alla “Fonderia di Bronzi”, segnalandola come “decoroso e cospicuo ramo d’o- perosità”45 nella produzione industriale delle opere di belle arti. In queste righe l’autore elencava non solo le repliche dei capolavori che Papi aveva “ben condotti e finiti nella forma senza bisogno d’altre rinettature o ritocchi”, ma segnalava al pubblico alcuni oggetti in bronzo “formati sul vero”, come “piante, fiori, animali”, nei quali — concludeva Repetti — l’artista “ha mostrato tanta abilità nel conservare i più delicati rilievi e sottosquadri, da poter dire che mercè sua quest’arte è qui ora di gran lunga più avanzata che altrove”.46 Questi virtuosistici oggetti, meglio definiti come ‘invenzioni’ e nati per sperimentare la tecnica della fusione a cera persa, attrassero l’attenzione di colti e raffinati collezionisti. Presentati alle esposizioni delle arti e manifatture toscane (1850 e 1854) e alle esposizioni internazionali di Londra (1851), di New York (1853) e di Parigi (1855 e 1867), questi lavori, ca- ratterizzati da una sorprendente verosimiglianza degli elementi reali tratti dal mondo vegetale o dalle forme del regno animale, cui Papi si ispirò, furono applauditi e ammirati. Sebbene la maggior parte di queste invenzioni sia andata dispersa o sia relegata nell’anonimato di qualche deposito museale, rimangono ampie descrizioni riportate dalle cronache del tempo, mentre qualche rara incisione litografica, pubblicata nei cataloghi delle esposizioni d’arte dove furono presentate, testimonia visivamente la loro originalità formale. Uno degli esempi più spettacolari di queste invenzioni, che riscosse viva ammirazione da parte della critica nazionale e internazionale, fu certamente il Tripode con canestra, conosciuto anche come Paniere con fiori (fig. 4). Realizzato nel 1850 e presentato nello stesso anno all’Esposizione dei prodotti naturali e industriali della Toscana che si tenne all’interno dell’Imperiale e Reale Palazzo G. Rizzo / Clemente Papi fonditore nella Firenze dell’Ottocento 303

5 Clemente Papi, Testa di cinghiale, da Benjamin Sil- 6 Clemente Papi, Crassula portulacoides, da Benja- liman/Charles Rusch, The world of science, art, and min Silliman/Charles Rusch, The world of science, industry illustrated from examples in the New-York art, and industry illustrated from examples in the exhibition, 1853–54, New York 1854, p. 28. New-York exhibition, 1853–54, New York 1854, p. 28. della Crocetta a Firenze, il Tripode con canestra fu minuziosamente descritto da Filippo Corridi, direttore dell’Imperiale e Reale Istituto Tecnico di Firenze e incaricato di redigere il “Rapporto” dell’esposizione in cui egli riuscì ad indicare il nome di ogni singolo fiore, chicco di grano, foglia e di tutte le varietà degli altri elementi vegetali che componevano il canestro, grazie al perfetto risultato della fusione.47 Questo lavoro, per il quale Papi fu premiato con una medaglia d’argento, fu spedito l’anno successivo alla prima esposizione universale, la ‘Great exhibition’ di Londra48, e acquistato in seguito dal ricco mecenate e collezionista russo, il principe Anatolio Demidoff, che lo ripresenterà a Firenze nel 1861 in occasione dell’Esposizione Italiana Agraria, Industriale e Artistica.49 Da quel momento si perdono le tracce dell’oggetto, la cui unica testimonianza visiva rimane dunque l’illustrazione nel catalogo della mostra londinese (fig. 4). Altre invenzioni di Papi, non meno sbalorditive, furono applaudite all’esposizione universale di New York (1853), dove l’artista fu premiato con una medaglia d’oro per aver presentato “una Testa di cinghiale modellata dal vero” (fig. 5) e “un esemplare della Crassula portulacoides in un vaso di bronzo”50 (fig. 6), molto simile alla “plante d’aloès aux mille feuilles colée en bronze d’une seule pièce”51 notata dall’ingegnere e professore d’arte Alcan Tresca all’esposizione universale di Parigi del 1855. In quest’ultima esposizione Clemente Papi presentò anche una riduzione in bronzo del Perseo di Cellini (probabilmente la stessa opera gettata sul modello di Francesco 304 G. Rizzo / Clemente Papi fonditore nella Firenze dell’Ottocento

7 Giovanni Duprè, Caino, fusione in bronzo di Clemente Papi. Firenze, Palazzo Pitti, Galleria d’Arte Moderna.

8 Giovanni Duprè, Abele, fusione in bronzo di Clemente Papi. Firenze, Palazzo Pitti, Galleria d’Arte Moderna. G. Rizzo / Clemente Papi fonditore nella Firenze dell’Ottocento 305

9 Aristodemo Costoli, La scoperta dell’America, fusione in bronzo di Clemente Papi. Firenze, Palazzo Pitti, Galleria d’Arte Moderna.

Palmerini, presente all’esposizione toscana del 185452) e si aggiudicò la medaglia di prima classe per il bronzo raffigurante la testa del David, replicato da un calco in gesso tratto direttamente dall’originale di Michelangelo.53 Nella successiva rassegna parigina del 1867 il fonditore verrà applaudito per il bronzo dell’intera statua del David che — come vedremo avanti — suggellerà una conquistata notorietà di Papi a livello internazionale. Nell’esposizione londinese del 1851 furono inoltre presentati altri lavori di Clemente Papi che comprendevano il getto delle statue del Caino (fig. 7) e dell’Abele (fig. 8), controverse opere dello scultore Giovanni Duprè tradotte in bronzo nel 1850, e il bozzetto della Scoperta dell’America (fig. 9) modellato da Aristodemo Costoli e fuso da Papi nel 184854 ma preparato già dal 1845 per il concorso per il monumento a Colombo scopritore dell’America da eseguirsi a Genova, in cui risultò vincitore Lorenzo Bartolini. Intorno alla fusione dell’Abele rimangono pagine emozionanti 306 G. Rizzo / Clemente Papi fonditore nella Firenze dell’Ottocento nel diario autobiografico di Duprè, dove non solo è narrata la sfortunata vicenda del fallimento del primo getto dell’opera, ma in più occasioni lo scultore ritorna a parlare di Papi esprimendo stima professionale e affettuoso apprezzamento per le sue qualità umane. Sono proprio le righe di questo testo che meglio ne documentano l’indole e la fisionomia: Quando lo conobbi era tra i cinquanta e i sessanta, di giusta misura, grosso, colorito e sempre ridente, sempre con liete novelle e barzellette. I muscoli indignatoii era come se egli non gli avesse; madre natura pare si fosse dimenticata questa particolarità. La sua fronte era costantemente spianata, l’arco del sopracciglio o parlando o ascoltando non aggrottava mai, qualunque si fosse l’argomento in discorso, ed avveniva per l’abitudine costante di ridere o serbasse [sic] la bocca disegnata a sorridere anco nei momenti più serii della vita. Quest’uomo, che per molti rispetti era eccellente, come artefice, come parente, come maestro, pareva non avesse cuore o l’avesse candito nello zucchero; ep- pure morì in compendio di male al cuore! L’ho già detto, il cuore l’aveva, ma tutto in dolciume; l’amarezza del dolore e l’acerbità dello sdegno non mortificavano d’un ette quello stato di calma bernesca.55 La traduzione in bronzo dei modelli di Duprè e del Costoli avvenne per espressa volontà del granduca Leopoldo II che intendeva destinarle alle collezioni di Palazzo Pitti, presto arricchite dalla base con le Allegorie delle Stagioni, gruppo plastico fuso da Papi ma ideato dal Duprè per sostenere il tavolo in commesso di pietre dure, centro e ornamento della Sala Castagnoli al piano nobile di Palazzo Pitti (fig. 10). Antonio Zobi giudicò l’esecuzione del bronzo di una “bellezza” e “perfezione piuttosto unica che rara”, ammirando e lodando la perizia tecnica con cui il fon- ditore era riuscito a gettare, “con una felicità veramente invidiabile, e diremo quasi inimitabile”,

10 Giovanni Duprè, Allegorie delle Stagioni (base del tavolo di Apollo e le Muse), fusione in bronzo di Clemente Papi. Firenze, Palazzo Pitti, Galleria Palatina. G. Rizzo / Clemente Papi fonditore nella Firenze dell’Ottocento 307

11 Francesco Mazzei, Regia Fonderia dei Bronzi, sezione trasversale e veduta prospettica dell’interno. Archivio Storico del Comune di Firenze, Fondo Disegni, car. 381/3.

il “grandioso piedistallo pieno di difficoltà [in] soli due pezzi […] senz’aver avuto bisogno di correggere la fusione con lime, ceselli e tasselli, come i più fanno”.56 Eppure lo stesso Zobi, negli anni immediatamente successivi al capovolgimento del potere lorenese a favore del nuovo governo provvisorio sabaudo, cambiò giudizio su Papi, arrivando a criticare aspramente il suo lavoro. La copia del David e le ultime opere L’ira di Antonio Zobi contro Clemente Papi nasceva all’interno del dibattito emerso, fin dagli anni quaranta, intorno allo spostamento del David di Michelangelo da piazza della Signoria in un’altra sede, per porre rimedio al degradato stato di conservazione del capolavoro, esposto dal 1504 alla “intemperanza dell’aria” e all’incuria del tempo.57 Si pensò di allocare al posto dell’ori- ginale una copia in bronzo che Papi avrebbe dovuto realizzare in base all’ordinanza granducale del 29 agosto del 1846.58 Mancando al fonditore non soltanto i mezzi economici, ma soprattutto una fonderia dalle dimensioni sufficientemente grandi per la fusione del colosso, Papi ebbe modo di realizzare il getto della sola testa del David e il calco in gesso a misura naturale dell’intera statua che, terminata nel 1847, servì come strumento provvisorio per trovare la giusta e nuova collocazione da destinare all’originale.59 Nel 1856 Papi portava a termine un secondo calco in gesso del David, commissionato da Leopoldo II e donato alla regina Vittoria d’Inghilterra per controbilanciare il veto di esportazione dato ad un dipinto del Ghirlandaio.60 Della fusione in bronzo della statua non si parlò più fino al 1858, anno in cui una nuova ordinanza granducale del 2 ottobre ne decretava la realizzazione. A questa data, la fusione del colosso michelangiolesco poteva concretizzarsi in quanto erano terminati da circa due anni i lavori della Nuova Fonderia di Statue, appositamente costruita e attrezzata dall’architetto Francesco Mazzei, nei pressi della Porta San Gallo (fig. 11). Dalle nuove e più capienti fornaci erano già usciti il getto della base 308 G. Rizzo / Clemente Papi fonditore nella Firenze dell’Ottocento della fontana del Porcellino (replica dell’opera della bottega di Pietro Tacca, fusa da Papi nel 1857 sul modello in gesso reintegrato dall’ornatista Giuseppe Benelli nel 1856; fig. 12)61 e la sta- tua rappresentante lo statista americano Daniel Webster dello scultore Hiram Powers (fig. 13).62 A questo punto si riaccese il dibattito pro e contro la collocazione della replica in bronzo del David di Michelangelo nella sede dell’originale; tra le critiche più feroci vi fu la voce dello Zobi che incitava l’opinione pubblica a pensare che “qualora questa replica debbiasi fare, non mai in bronzo, ma in marmo dovrebbe condursi”.63 E con un tono di incalzante polemica così inveì contro il fonditore: Tutto il segreto dell’impresa consiste nella cervellotica smania del fonditore Clemente Papi, d’altronde molto valente nell’arte sua, d’esercitarsi in un colosso alto nove braccia. Egli non vede, o non si cura di vedere, che per favorire alla propria ambizione degrada la più stupenda statua che forse uscisse mai dallo scalpello d’artista dell’età diverse. Abile strisciatore nella scomparsa corte granducale, ottenne bronzo e denari per incominciare il suo lavoro di profanazione; e là così doveva essere; perché le grazie si compartivano soltanto a chi sapeva bene inchinarsi, nulla curando la virtù de’ proposti lavori. Ciò francamente diciamo, non per mortificare l’Artista, ma per fare un pubblico richiamo a chi si spetta d’impedire un lavoro tanto dispendioso quanto biasimevole. La fusione non è ancora stata eseguita, il bronzo è intatto, le spese possono arrestarsi. Diversamente gli attuali rettori si renderanno responsabili di un sacrilegio artistico, che potevano impedire e non impedirono […].64 Tuttavia, alcuni anni dopo le critiche dello Zobi Clemente Papi portava a compimento la fusione del David (fig. 14), eseguita — come riferisce Francesco Protonotari — “il 16 gennaio 1866, al cospetto di molti e ragguardevoli personaggi, che mostrarono desiderio di assistere all’istantaneo

12 Clemente Papi, Base della Fontana del Porcellino, copia da Pietro Tacca e bottega. Firenze, Museo Stefano Bardini. G. Rizzo / Clemente Papi fonditore nella Firenze dell’Ottocento 309

13 Hiram Powers, Statua di Daniel Webster, fusione in bronzo di Clemente Papi. Boston, Massachusetts State House.

e grandioso esperimento”.65 La spesa della fusione fu in parte sostenuta dal governo autonomo della Toscana, mentre al resto provvide il governo del Regno d’Italia.66 La statua ebbe subito un grande successo e il “Governo italiano, sollecito di mantenere alta la fama del Paese”67, la fece inviare all’esposizione universale di Parigi del 1867 dove, per generale acclamazione internazionale, “valse al fonditore una medaglia al merito e confermò la superiorità italiana nell’arte di gettare il bronzo”.68 Rientrato nella capitale del nuovo Regno d’Italia, il David di scuro e lucido metallo fu però giudicato incompatibile con gli equilibri cromatici di piazza della Signoria e quindi inutilizzabile per riempire il vuoto lasciato a seguito del trasferimento dell’originale nella Tribuna dell’Accademia. Nel frattempo il governo italiano aveva deciso di donare la copia del colosso michelangiolesco al comune di Firenze e al momento dell’accetta- zione (delibera del 24 aprile 1868) fu pensato di collocarla sul piazzale ideato da Giuseppe Poggi nell’ambito del grandioso progetto del viale dei Colli (1865). Nel 1874 il David bronzeo di Papi fu sistemato al centro del vasto piazzale panoramico sulla costa del Monte alle Croci, sopra un alto basamento coronato dalle copie in bronzo dei Crepuscoli michelangioleschi, fusi da Papi nel 1872 sulle forme in gesso realizzate dal suo aiutante Luigi Stiattesi.69 Quando il 13 settembre del 1875, in piene celebrazioni del IV centenario della nascita di Michelangelo, il monumento venne inaugurato, Papi era già morto da qualche mese. 310 G. Rizzo / Clemente Papi fonditore nella Firenze dell’Ottocento

14 Clemente Papi, David, copia in bronzo da Michelangelo. Firenze, piazzale Miche- langelo.

Negli anni successivi al passaggio dal governo granducale al regno sabaudo la fonderia di Papi continuò ininterrotta la sua attività, ma nel momento in cui il ritmo della produzione sembrò intensificarsi subentrarono alcuni problemi. In seguito ai lavori del nuovo piano urbanistico di Firenze capitale la fonderia dovette fare i conti con il Comune che tra il 1868 e il 1870 chiedeva con insistenza il consenso all’espropriazione di una porzione dei locali e del cortile adiacente alla chiesa soppressa di Sant’Agata in via San Gallo. Grazie all’ideazione di un nuovo progetto da parte di Giuseppe Poggi (fig. 15) fu possibile patteggiare con il Comune perché non espropriasse il terreno della fonderia. Sebbene l’intervento dell’architetto abbia comportato la riduzione e lo spostamento di alcuni locali della vecchia fabbrica, rimase comunque inalterata la disponibilità degli ampi spazi primari dei forni fusori, atti a contenere opere di grandi dimensioni. Tuttavia, quando fu chiesto a Papi di fondere la statua equestre del re Vittorio Emanuele II, modellata da Salvino Salvini nel 1869, la Real Fonderia non aveva ancora a disposizione fornaci di dimensioni adeguate all’immensa statua, annunciata nel “Journal of the Society of Arts” come “una fra le più grandi in Europa e le cui misure superano gli otto metri in altezza”.70 Nella Nuova Fonderia, ormai da tempo al servizio del governo italiano, fu realizzata una consistente produzione di monumenti celebrativi di personaggi impegnati nella lotta per l’in- dipendenza e l’unificazione dello Stato italiano che lo stesso re volle far tradurre in bronzo per destinarli alle piazze di Torino, Milano e Firenze. Per Torino furono gettati nel 1867 Il bersagliere di Giuseppe Cassano e nel 1870 la statua equestre del duca di Genova Ferdinando di Savoia (fig. 16) G. Rizzo / Clemente Papi fonditore nella Firenze dell’Ottocento 311

15 Giuseppe Poggi, Pianta della Nuova Fonderia con annotazioni sulle modifiche di riduzione e miglioramento. Archivio Storico delle Gallerie Fiorentine, anno 1869, filza A, pos. Gallerie delle Statue, ins. 42.

16 Alfonso Balzico, Statua equestre del duca di Genova Ferdinando di Savoia, fusione in bronzo di Clemente Papi. Torino, piazza Solferino.

17 Antonio Tantardini/Odoardo Tabacchi, Monumento a Cavour, fusione in bronzo di Clemente Papi. Milano, piazza Cavour. 312 G. Rizzo / Clemente Papi fonditore nella Firenze dell’Ottocento

18 Pio Fedi, Statua del generale Manfredo Fanti, 19 George Blackall Simonds, Il falconiere, fusione in fusione in bronzo di Clemente Papi. Firenze, piazza bronzo di Clemente Papi. New York, Central Park. San Marco. di Alfonso Balzico71; per Milano Papi eseguì nel 1865 le fusioni dell’Italia di Antonio Tantardini e della figura di Cavour di Odoardo Tabacchi per il monumento dedicato allo statista (fig. 17)72; per Firenze lo scultore Pio Fedi modellò, per conto del Comune, la statua del generale Manfredo Fanti (fig. 18) con quattro figure allegoriche alla base (Politica, Strategia, Tattica e Fortificazione), fusione voluta e finanziata dall’esercito italiano73, ultimata nel 1873.74 Fra le opere commissionate a Papi in quegli anni la fusione del Falconiere (fig. 19), ideato dallo scultore inglese George Blackall Simonds, fu un’altra audace e sensazionale realizzazione. La statua, che rappresenta un giovane falconiere vestito con abiti in stile elisabettiano e in atto di far prendere il volo all’uccello posato sul braccio, era stata pensata da Simonds per la città di Trieste. Presentato alla Royal Academy di Londra, il modello originale in gesso fu visto da George Kemp, ricco mercante newyorkese di origine irlandese, il quale, ammirata la bellezza di quella “forma ‘finita’ che imita il vero”75, chiese allo scultore di provvedere ad una replica in bronzo che avrebbe poi donato alla città di New York. Simonds, che visse tra Roma e Firenze G. Rizzo / Clemente Papi fonditore nella Firenze dell’Ottocento 313 per un decennio (1866–1876), conosceva molto bene la fonderia di Papi e soprattutto sapeva che il fonditore avrebbe esaudito la sua richiesta di gettare la statua in un solo pezzo attraverso il metodo della fusione a cera persa, al cui procedimento l’artista era particolarmente interessato. Quando nel 1871 la statua del Falconiere fu terminata76, Simonds rimase molto impressionato dal risultato, apprezzando il lavoro di Papi che così commentò in un suo articolo del 1885: “In the case of The Falconer the wax cast made by the Chev. Papi was so sharp and accurate that a very few days were sufficient for all that I found necessary to do it, and I was equally astonished anwith the skilful way in which this colossal statue of wax was poised, with raised arm and falcon just taking flight, barely touching the glove with its two feet — the expanded wings measuring nearly five feet from tip to tip — and all supported by the irons of the core in the interior of the statue, no exterior support whatever being employed.”77 Prima di essere spedito nel 1875 in America e innalzato nella sua attuale collocazione al Central Park di New York78, il bronzo — scrisse Faleni — “destò un vero fanatismo; ed il giornalismo fiorentino non tacque in quella occasione, e prodigò al Papi meritate lodi”.79 Al tempo della sua scomparsa nel 1875, Clemente Papi lasciava incompiute la fusione del busto di Raffaello Sanzio, opera che il fonditore voleva donare alla Reale Accademia Artistica d’Urbino in segno di gratitudine per la medaglia di incoraggiamento che l’istituto gli aveva con- ferito nel 1873, la statua del generale Francisco de Paula Santander, opera del fiorentino Pietro Costa destinata al Perù, e il busto di Michelangelo Buonarroti di Lodovico Caselli, che Papi “per amore di quel Grande si era proposto di fondere in bronzo a proprie spese, per collocarlo in occasione del presente Centenario sulla porta della , ora Museo Buonarroti, in Via Ghibellina”.80 L’eredità degli insegnamenti di Papi e la sua stessa fonderia di bronzi pas- sarono ai fratelli Ludovico e Pietro Galli, allievi e collaboratori del maestro fin dagli anni trenta dell’Ottocento, che continuarono a tenere in vita una produzione fusoria di eccellenza fino ai primi decenni del secolo successivo.81 Le notizie intorno alla vita e all’opera di Clemente Papi, tracciate in questo testo in base alla principale produzione fusoria, che interessò lo scultore per tutta la sua carriera, rendono auspi- cabili future ricerche sulla contestuale attività dell’artista in merito alla formatura dei calchi e al restauro delle statue antiche, nonché il ruolo da lui svolto all’interno della Commissione Con- servatrice dei Monumenti Storici e di Belle Arti. In ogni modo speriamo che questo contributo consenta di meglio analizzare, studiare e magari ricollegare al nome di Papi molte opere rimaste nell’anonimato e conservate nei depositi museali o in collezioni private. L’esempio della copia del Mercurio a Chatsworth, restituito a Papi grazie ai documenti ritrovati nel corso di questa ricerca82, è certamente di buon auspicio per altre scoperte simili.

NOTE

Le notizie riportate in questo scritto sono rielaborate dalla mia tesi di Specializzazione in Storia dell’Arte: Clemente Papi (1803–1875) Real Fonditore di Statue in Bronzo. Fonti e documenti per una ricostruzione artistica e umana, relatore Giuseppe Cantelli, Università degli Studi di , Facoltà di Lettere e Filosofia, anno accademico 2008–2009. Sono particolarmente grato a Giancarlo Gentilini che ha seguito le fasi iniziali della mia tesi e a Simona Pasquinucci e Maurizio Carnasciali per la paziente disponibilità dimostrata durante le mie ricerche presso l’archivio della Soprintendenza Speciale del Polo Museale Fiorentino e in quello dell’Ac- cademia di Belle Arti di Firenze. Ringrazio inoltre Rea Alexandratos, Charles Avery, Charles Noble, Harris Rupert e Mark Thatcher per le molte informazioni ricevute durante le ricerche svolte in Inghilterra. Un sentito ringraziamento va infine a quanti, a Firenze, hanno sostenuto e incoraggiato la mia ricerca: Emanuele Bar- letti, Enrico Colle, Simonella Condemi, Cristina De Benedictis, Annamaria Giusti, Carlo Sisi, Maria Letizia Strocchi, Giuliana Videtta. 314 G. Rizzo / Clemente Papi fonditore nella Firenze dell’Ottocento

Abbreviazioni

Aabaf Archivio dell’Accademia delle Belle Arti di Firenze Asgf Archivio Storico delle Gallerie Fiorentine AVCm archivio della Venerabile Compagnia della Misericordia di Firenze

1 Annuncio di morte del Cavaliere Professore Clemente Papi, in: Asgf, anno 1875, pos. Gallerie delle Statue, ins. 30. 2 A. Escourrou-Milliago, De l’Italie agricole, industrielle et artistique, à propos de l’Exposition Universelle de Paris suivie d’un essai sur l’Exposition du Portugal, Parigi 1856, p. 252. 3 intorno a questo aspetto critico che interessa il passaggio di gusto, dal dominante credo purista ingresiano del bello ‘ideale’ a quello ‘naturale’, esemplato nella frase di Lorenzo Bartolini “poter tutto copiare vivamente e veramente”, si vedano: Carlo Del Bravo, Il bozzetto dell’“Abele” di Giovanni Duprè, in: Paragone, XXIII, 1972, 271, pp. 77–78, n. 10; Enrico Colle, Storicismo, in: Bronzi decorativi in Italia: bronzisti e fonditori italiani dal Seicento all’Ottocento, a cura di idem et al., Milano 2001, pp. 303–329; Ettore Spalletti, Giovanni Duprè, Milano 2002; Carlo Sisi, Congedo lorenese, in: Arte e manifattura di corte a Firenze: dal tramonto dei Medici all’impero (1732–1815), cat. della mostra a cura di Annamaria Giusti, Livorno 2006, pp. 50–57; Francesca Petrucci, Powers nella Firenze degli anni Quaranta, in: Hiram Powers a Firenze: atti del convegno di studi nel bicentenario della nascita (1805–2005), convegno Firenze 2005, atti a cura di Caterina Del Vivo, Firenze 2007, pp. 29–40. 4 George Simonds, The art of bronze casting in Europe, in: Journal of the Society of Arts, XLIV, 19 giugno 1896, pp. 654–666; Michael Edward Shapiro, Bronze casting and American sculpture, 1850–1900, Londra/ Toronto 1985. 5 Anna Gallo Martucci, Il Conservatorio d’arti e mestieri, terza classe, dell’Accademia delle belle arti di Firenze, 1811–1850, Firenze 1988, pp. 93–94; Mauro Cozzi, L’industria dell’arte. Materiali e prodotti della Toscana unita, Firenze 1995; Enrico Colle, Metalli. Bronzi d’arredamento, ferro battuto e ghisa, in: La grande storia dell’artigianato, IV: L’Ottocento, a cura di Maurizio Bossi/Giancarlo Gentilini, Firenze 2001, pp. 209–211. 6 Cozzi (n. 5), p. 188, n. 32. Subito dopo la segnalazione di Cozzi fu pubblicato un breve testo di Antonio Paolo Torresi, Appunti su Clemente Papi, in: Libero, 7, 1996, pp. 31–32. 7 si veda il recente saggio di Fabrizio Corrado/Paolo San Martino, Il Cellini dell’Ottocento: Clemente Papi, maestro del bronzo, in: Studi piemontesi, XXXIX, 2010, pp. 55–70. 8 Antonio Faleni, Notizie storiche del David del Piazzale Michelangelo e cenni biografici del Cav. Prof. Cle- mente Papi, Firenze 1875. 9 la data di nascita di Clemente Papi è stata, fin dalle fonti letterarie dell’Ottocento, confusamente segnalata con un’oscillazione cronologica che va dal “2 settembre 1801” (ibidem, p. 15) al “31 agosto 1806” (Guglielmo Enrico Saltini, Le arti belle in Toscana da mezzo il secolo XVIII ai dì nostri, Firenze 1862, p. 93). Tra questi estremi emerge un generico “intorno al 1803” (Necrologio, in: Gazzetta di Firenze, 12 febbraio 1875, p. 7), mentre la datazione “1802” è riportata nelle susseguenti edizioni del Thieme/Becker, III, 1909, p. 369, e XVI, 1932, p. 220. Queste incerte date sono state in seguito riprese dalla più recente letteratura sull’argomento. Stessa sorte ha subito la data di morte di Clemente Papi, variamente posticipata rispetto a quella effettiva, da collocarsi il 10 febbraio del 1875 (Annuncio di morte [n. 1]). Siamo in grado di affermare, ponendo fine a tale confusione, che la data di nascita di Clemente Papi è da ricondurre al 1803, come riportato nello “Schedario dei defunti sepolti al Cimitero ai Pinti dal 1824 al 1898” conservato nell’Archivio della Venerabile Compagnia della Misericordia di Firenze (AVCM, anno 1875, sez. I, c. 1025), in cui alla voce “Papi Clemente” si legge: “nato da Luigi Papi di Roma nel 1803”. Inoltre, questa data concorda sia con l’annotazione riportata nel registro degli allievi dell’Accademia di Belle Arti dell’anno 1818 (Registro degli Studenti, in: AABAF, anno 1818), dove è scritto che Clemente Papi ha “15 anni” sia con il testo del “Necrologio” apparso su “L’Em- porio pittoresco” (I, 13 febbraio 1875, p. 106), in cui si legge che “Clemente Papi morì a Firenze nell’età di settantadue anni”. 10 Faleni (n. 8), p. 15. Il nome della madre è riportato così da Faleni; poiché un cognome “Jhofer” (peraltro di difficile pronuncia anche nella lingua tedesca) non è altrimenti documentato, è probabile che si tratti di un refuso. 11 Franco Cristelli, Su Pietro Ermini, in: Boll. d’informazione, XXVIII, 1992, 55, p. 44. 12 Registro dell’anno 1818, in: AABAF, Ruoli degli Scolari dell’Accademia delle Belle Arti degli anni 1816– 1817–1818. 13 Registro dell’anno 1822, in: AABAF, Ruoli degli Scolari dell’Accademia delle Belle Arti degli anni 1822– 1823–1824. 14 Premio minore. Scultura. Accademia del Nudo, in: aabaf, anno 1823, ins. 33. 15 notizie di Belle Arti, in: Gazzetta di Firenze, 26 ottobre 1826, p. 30. G. Rizzo / Clemente Papi fonditore nella Firenze dell’Ottocento 315

16 notizie di Belle Arti, in: Gazzetta di Firenze, 15 novembre 1828, p. 38. Vedi anche: Premio d’incoraggiamento al Concorso maggiore per la Scultura, in: Aabaf, anno 1828, ins. 55. 17 notizie di Belle Arti, in: Gazzetta di Firenze, 29 ottobre 1831, p. 6. 18 nota degli studenti di pittura e scultura addetti all’Accademia delle Belle Arti i quali possono intervenire alle lezioni di anatomia pittorica che si davano nel Regio Arcispedale di Santa Maria Nuova nell’anno 1830, in: Aabaf, anno 1830, ins. 6. 19 l’ultima annotazione che riguarda Clemente Papi come studente di scultura è riportata nel registro dell’anno 1833, in: Aabaf, Ruoli degli Scolari dell’Accademia delle Belle Arti degli anni 1831–1832–1833, dove Ste- fano Ricci tra altre osservazioni scrive: “Questo giovane è pieno di talento ed ingegno, ed avrebbe bisogno di incoraggiamento.” 20 Faleni (n. 8), p. 18. Su Stefano Ricci si vedano: Roberto Caldini, Stefano Ricci scultore neoclassico, Livorno 1998; idem, Introduzione a Stefano Ricci, in: Artista, VI, 1994, pp. 74–91; e il contributo di Ettore Spalletti, La scultura dell’Ottocento a Santa Croce, in: Santa Croce nell’800, cat. della mostra a cura di Monica Maffioli, Firenze 1986, pp. 99–105, in part. le pp. 100–101 per il monumento a Dante. 21 Gruppo dell’Aiace o Menelao e Patroclo. Getto domandato dal Conte di Forbin, in: Asgf, anno 1828, ins. 38. 22 Gruppo dell’Aiace, ora Menelao e Patroclo. Getto di detto gruppo spedito al Museo di S.M. il Re di Prussia, in: Asgf, anno 1831, filza LV, ins. 27. Questo documento contiene un resoconto delle spese fatte da Ricci, tra le quali figura lo stipendio di Clemente Papi per la formatura del gesso “corrispondente a 692 lire rica- vate dal lavoro di 173 giorni a lire 4 il giorno”. Nel 1846 fu chiesto a Papi, che aveva in consegna nella sua fonderia le forme di proprietà della Reale Galleria, di ricavare un’altra forma in gesso del gruppo dell’Aiace per ordine del re di Sardegna, da destinarsi alla Reale Accademia delle Belle Arti di Torino (Forme di statue, bassorilievi richiesti dal re di Sardegna per la Reale Accademia delle Belle Arti di Torino, in: Asgf, anno 1846, filza LXX, parte I, ins. 4, documento riportato in: Piera Bocci Pacini, Modelli in gesso di statue classiche della Galleria degli Uffizi, in: Il mondo antico nei calchi della Gipsoteca, a cura di Massimo Becattini, Firenze 1991, pp. 397–398). 23 Per la storia e le vicende intorno al gruppo dell’Aiace si rimanda agli studi di: Francesco Vossilla, , Pasquale Poccianti e la Loggia della Signoria, in: Studi di storia dell’arte, III, 1992, pp. 285–295; Ro- berta Roani Villani, Alcune considerazioni sulla storia dei restauri delle “Sabine” e del gruppo di “Menelao e Patroclo” o dell’“Aiace”, in idem, Restauri in Toscana tra Settecento e Ottocento, Firenze 2005, pp. 47–60; Gabriella Capecchi, L’altro Aiace: tempi e modi di un restauro (1788–1836), in: Palazzo Pitti: la reggia rivelata, cat. della mostra a cura di Amelio Fara et al., Firenze 2003, pp. 71–83. 24 incarico di levare i getti in bronzo delle Statue di Michelangelo nella Laurenziana, in: Aabaf, anno 1834, ins. 74. 25 Faleni (n. 8), pp. 20–21. 26 Antonio Ramirez di Montalvo, Minuta a Luigi Pratellesi, 23 dicembre 1837, in: Aabaf, anno 1837, ins. 103. 27 dichiarazione di spesa di Luigi Fallai a Clemente Papi per i lavori sostenuti a ridurre a fonderia alcuni locali della Reale Accademia, 13 maggio 1838, in: Aabaf, anno 1838, ins. 45. 28 Per la storia della fonderia di Clemente Papi rimando a Giuseppe Rizzo, Il “risorgimento” dell’industria fusoria a Firenze: la regia fonderia di statue in bronzo di Clemente Papi prima e dopo l’Unità d’Italia (1837–1875), in: Boll. della società di studi fiorentini, 20–21, 2011–2012 (in corso di pubblicazione). 29 Gazzetta di Firenze, 3 ottobre 1837, p. 3, n. 38, e p. 6. Circa il busto del Fanciullo ridente non abbiamo altre notizie se non quelle di Faleni che segnala l’esistenza di un’altra versione, in bronzo, che Papi eseguì nel 1856 per donarla all’architetto Francesco Mazzei; vedi Faleni (n. 8), p. 21. 30 P. T. S., Lavori in bronzo del sig. Clemente Papi, in: Giornale del Commercio, 10 gennaio 1838, p. 6. 31 Pur essendo di proprietà granducale, la versione in bronzo della Diana succinta non è stata ancora rintracciata. In base a quanto riportato da Annarita Caputo Calloud possiamo supporre che il gesso conservato all’Acca- demia delle Belle Arti (Inventario degli oggetti di scultura 1848/1870, c. 56, no. 284) sia da identificarsi nella forma da cui Papi trasse la fusione. La studiosa, infatti, ha reso noto che nel 1822 erano giunti all’Accademia fiorentina da Parigi alcuni importanti gessi partiti dal porto di Marsiglia nel novembre del 1821, fra cui una statua di Diana (Annarita Caputo Calloud, La dotazione di calchi di opere rinascimentali nell’Accademia di Belle Arti ed il centenario di Michelangelo [1784–1875], in: La scultura italiana dal XV al XX secolo nei calchi della Gipsoteca, cat. della mostra a cura di Luisella Bernardini et al., Firenze 1989, pp. XX–XXI, n. 19). 32 N., Statua in bronzo fusa dal sig. Clemente Papi, in: Giornale del Commercio, 20 febbraio 1839, p. 30. 33 Riproduzione in bronzo della Venere anadiomene del giardino della Petraia, trasporto della medesima, in: Aabaf, anno 1839, ins. 11. 34 si vedano le lettere tra Girolamo Ballati Nerli e Antonio Ramirez di Montalvo del 12, 16 e 25 gennaio 1839, ibidem. 316 G. Rizzo / Clemente Papi fonditore nella Firenze dell’Ottocento

35 notizie di Belle Arti, in: Gazzetta di Firenze, 8 ottobre 1839, p. 7. 36 Riproduzione del Perseo per il Duca di Sutherland, permesso di farne la forma, in: Aabaf, anno 1839, ins. 62. 37 appunti di guasti o imperfezioni che sussistono nel gruppo del Perseo di Benvenuto Cellini e nella sua base, prima che da Clemente Papi si dia principio alla formatura in gesso di detto gruppo per eseguire la commissione avuta da Sua Eccellenza il Duca di Sutherland; ed altre avvertenze relative allo stato attuale del monumento, in: Aabaf, anno 1839, ins. 106. 38 notizie di Belle Arti, in: Gazzetta di Firenze, 10 ottobre 1844, pp. 5, 7; E. P., Cenni descrittivi sopra alcuni oggetti di pittura e scultura esposti all’I. e R. Accademia delle Belle Arti di Firenze, in: Giornale di commercio, 23 ottobre 1844; Il Museo dello Spedale degli Innocenti a Firenze, a cura di Luciano Bellosi, Milano 1977, p. 230, no. 26 e tav. 30. 39 Simonds (n. 4), p. 661. 40 in alcuni resoconti dei visitatori ospiti dei duchi di Sutherland la Venere anadiomene viene indicata come “Venus at the bath” (Samuel Carter Hall/Llewellynn Jewitt, The stately homes of England. Trentham, Staffordshire, in: Art Journal, giugno 1875, p. 183), oppure “Venus at the fountain” (John Forbes-Robertson, Treasure house of art. Trentham Hall, in: The magazine of art, IV, 1881, p. 92). Tuttavia, non abbiamo più notizie del bronzo dopo la vendita dell’intera collezione di Trentham Hall nel 1907 (Trentham Hall; sculptures in marble and bronze [ancient and modern] in the garden and hall, amongst which are rare museum examples of the best periods of early Grecian, Greco-Roman and early Imperial times, cat. della vendita a cura della casa d’aste Trollope, Londra, 17 luglio 1907, lot no. 865). 41 notizie di Belle Arti, in: Gazzetta di Firenze, 8 ottobre 1839, p. 8. 42 Antonio Maria Izunnia, La fusione in bronzo del Mercurio di Giambologna eseguita il dì 18 maggio dal Sig. Clemente Papi di commissione del Duca di Dewonshire [sic], in: Giornale del Commercio, 17 giugno 1840, p. 98. 43 vedi Notizie di Belle Arti, in: Gazzetta di Firenze, 10 ottobre 1839, p. 8. 44 attualmente la statua è stata spostata dalla Lower Library alla Dome Room, come ci informa Charles Noble, curatore della Devonshire Collection, che ringraziamo inoltre per la ricerca archivistica relativa al Mercurio. Dallo “Handbook”, steso nel 1844 e stampato privatamente nel 1845, p. 38, ha infatti ricavato la seguente nota, che ci permette di restituire l’anonimo bronzo a Clemente Papi: “John of Bologna, copy after (from the cast taken at for the VI Duke of Devonshire by Papi), 143 (= 198). Good modern bronze copy of the Mercury. On (143 a) pedestal made out of one of the calcined columns of S. Paolo fuori le Mura”. 45 Vedi Emanuele Repetti, Notizie e guida di Firenze e de’ suoi contorni, Firenze 1841, pp. 92–93 (la citazione è tratta da p. 92). 46 Ibidem. 47 Catalogo dei prodotti greggi e lavorati della Toscana presentati alla esposizione fatta nell’anno 1850, cat. della mostra a cura di Paolo Savi et al., Firenze 1850, p. 62; Rapporto generale della pubblica esposizione dei prodotti naturali e industriali della Toscana fatta in Firenze nel MDCCCL nell’I. e R. Palazzo della Crocetta. Notizia storica scritta dal Prof. Filippo Corridi Direttore dell’I. e R. Istituto Tecnico, Firenze 1851, p. 360. 48 official descriptive and illustrated catalogue of the great exhibition of the works of industry of all nations, Londra 1851, III, p. 1300, no. 116. 49 atti officiali della Esposizione italiana agraria, industriale e artistica che avrà luogo in Firenze nel 1861 sotto la presidenza onoraria di S.A.R. il principe Eugenio di Savoia Carignano, Firenze 1860, p. 244, no. 6089. 50 official catalogue of the New York exhibition of the industry of all nations, New York 1853, p. 123, classe 23, no. 1. 51 Alcan Tresca, Visite à l’exposition universelle de Paris, en 1855, Parigi 1855, p. 651. 52 Catalogo dei prodotti naturali e industriali della Toscana presentati all’esposizione fatta in Firenze nel 1854, Firenze 1854, p. 129, no. 17. 53 Escourrou-Milliago (n. 2), p. 251. 54 official catalogue (n. 48), p. 1298, ni. 105, 106. Per la fusione dell’Abele vedi: Carte relative al getto in bronzo della statua rappresentante Abele morto del Professore Giovanni Duprè, da eseguirsi sul modello originale dal Real Fonditore Clemente Papi, per commissione di Sua Altezza Imperiale e Reale il Granduca Leopoldo II, in: Aabaf, anno 1846, parte B, ins. 122, mentre per la fusione della Scoperta dell’America vedi: Gratifi- cazione di zecchini venti per il Gruppo del Colombo, in: Aabaf, anno 1850, ins. 101. 55 Giovanni Duprè, Ricordi autobiografici [1882], Milano 1935, p. 197. 56 Vedi Antonio Zobi, Notizie storiche sull’origine e progressi dei lavori di commesso in pietre dure che si eseguiscono nell’I. e R. Stabilimento di Firenze, Firenze 1853, pp. 317, 318 n. (a). 57 vedi il saggio di Loretta Dolcini, “Per cagione della intemperanza dell’aria”: copie e sostituzioni di sculture a Firenze dall’Ottocento a oggi, in: Sculture da conservare: studi per una tecnologia dei calchi, a cura di Annamaria Giusti, Milano 1990, pp. 14–87. G. Rizzo / Clemente Papi fonditore nella Firenze dell’Ottocento 317

58 Forma del David di Michelangelo, in: Aabaf, anno 1846, parte A, ins. 85. Vedi anche Faleni (n. 8), p. 8, che però indica erratamente, come data dell’ordinanza, il “29 agosto 1840”. 59 il calco in gesso del David è conservato alla Gipsoteca dell’Istituto Statale d’Arte di Firenze. Per le vicende del trasferimento del David e il dibattito accesosi in quella occasione vedi Marcella Anglani, I luoghi del David: la Loggia dei Lanzi, il Bargello, piazzale Michelangelo, piazza Signoria, in: L’Accademia, Michelangelo, l’Ottocento, a cura di Franca Falletti, Firenze 1997, pp. 28–36. 60 david Buonarroti suo getto in gesso per donarsi all’Inghilterra e spese relative, in: Asgf, anno 1856, ins. 49. Il calco è conservato al Victoria and Albert Museum di Londra. Si veda anche Caputo Calloud (n. 31), p. XXV, n. 50. 61 Asf, Segreteria di Gabinetto, appendice, 121, ins. 21. Si veda inoltre la scheda di Carlo Francini, in: Palazzo Pitti: la reggia rivelata (n. 23), p. 640, no. 166. 62 Faleni (n. 8), p. 29. 63 Antonio Zobi, Cronaca degli avvenimenti d’Italia nel 1859, Firenze 1859, pp. 184–185, qui p. 184, n. 1. 64 Ibidem, p. 184. 65 Francesco Protonotari, Notizie di belle arti, in: Nuova antologia di scienze, lettere ed arti, I, 1866, p. 180; segnaliamo che Faleni (n. 8), p. 9, scrive che la fusione fu fatta il 25 agosto 1866. 66 Per realizzare il getto furono consegnati a Papi tre cannoni di bronzo, e nel preventivo di spesa, già stilato nel 1858 dal governo della Toscana, la somma fu calcolata pari a L. 54 944, esclusa la ricompensa del fonditore. I primi pagamenti furono fatti nel 1859, ma la restante somma da erogare fu più volte discussa in Parlamento a causa della gravosa “deficienza di fondi” nel bilancio della Toscana (Relazione a S.M. in udienza 10 febbraio 1861, in: Atti del Parlamento Italiano. Sessione del 1861, a cura di Giuseppe Galletti et al., Torino 1861, pp. 148–149). 67 dei prodotti di varie arti ed industrie inviati all’Esposizione Universale del 1867 in Parigi, relazione della Sottocommissione Industriale di Firenze al Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio Presidente della Commissione Reale Italiana, Firenze 1867, p. 54. 68 Vedi Cesare Vittori, Davide. Statua di Michelangelo fusa in bronzo dal signor Papi di Firenze, in: L’Esposizione universale del 1867 illustrata, Milano/Firenze/Venezia 1867, III, pp. 799–800. La stessa notizia è ricordata da Francesco Dall’Ongaro, L’arte italiana a Parigi nell’Esposizione Universale del 1867: ricordi, Firenze 1869, p. 54. 69 sulla la vicenda del trasferimento del David in bronzo su piazzale Michelangelo vedi Corinna Vasić Vatovec, Il David di Piazzale Michelangelo. Ragguagli documentari, in: Quaderni di storia dell’architettura e restauro, 3, 1990, pp. 78–86. Per il progetto sulla sistemazione del monumento a Michelangelo vedi Giuseppe Poggi, Relazione sui lavori per l’ingrandimento di Firenze (1864–1877), Firenze 1882, in part. le pp. 136–139, tavv. 14, 15. 70 Fine arts, in: Journal of the Society of Arts, XVI, 24 aprile 1868, p. 428. Per le vicende intorno al monumento equestre del Salvini, che purtroppo non fu realizzato in bronzo, si veda Corinna Vasić Vatovec, Tre monu- menti scultorei per le piazze fiorentine nel tardo Ottocento, in: Arredo e decoro urbano dall’Unità d’Italia alla prima guerra mondiale, a cura di Ezio Godoli et al., Roma 1996, pp. 36–66, in part. le pp. 36–54. 71 Per le notizie intorno alla fusione di quest’opera vedi Rizzo (n. 28). 72 Vedi Giuseppe Mongeri, L’arte in Milano: note per servire di guida nella città, Milano 1872, pp. 524–525; Faleni (n. 8), p. 29. 73 Carlo Francini, Restauro del Monumento a Manfredo Fanti in Piazza San Marco, in: Quaderni di Restauro/ Firenze/Ufficio Belle Arti, 2, 2000, pp. 56–59. 74 Faleni (n. 8), p. 30. 75 Franco Firmiani, George Simonds, in: Catalogo della Galleria d’Arte Moderna del Civico Museo Revoltella, a cura di idem/Sergio Molesi, Trieste 1970, p. 137. 76 sulla base del Falconiere è così scritto: george simonds romae sc. mdccclxxi / c. papi fuse. 77 George Simonds, The art of casting in bronze, in: English illustrated magazine, II, 1885, 18, pp. 411–420, qui p. 419, con ill. litografica a p. 418. 78 ulteriori notizie intorno al Falconiere di Simonds al Central Park di New York, interessanti per le vicende novecentesche della statua, ci vengono fornite dalla targhetta esposta in prossimità del bronzo, sulla quale si legge: “The original Falconer was created for Trieste, , and shown in 1875 at the Royal Academy in London, England. It appears that George Kemp (1826–1893), a wealthy, Irish-born, New York merchant admired the sculpture so much that he commissioned a full-scale replica for Central Park. It was dedicated on May 31, 1875 on a cylindrical granite pedestal, perched on a natural rock outcropping, south 72nd Street transverse road, and east of the park’s West Drive […]. Another casting of the Falconer that stands in Lynch Park in Beverly, Massachusetts, is a gift reportedly of Robert Evans, a native of Beverly, who had admired the sculpture while convalescing at a New York hospital near Central Park. The Falconer has had a checkered history and suffered extensive damage from weathering and vandals. In danger of toppling, the monument 318 G. Rizzo / Clemente Papi fonditore nella Firenze dell’Ottocento

was shored up by the Parks Department in 1937. A new falcon was fashioned and attached in 1957, but fur- ther vandalism forced the City to move the sculpture to storage for safekeeping. In 1982, the entire arm and falcon were replaced, and the statue was reinstalled. The Falconer was conserved and repatined in 1995 by the Central Park Conservancy, as part of its mission to restore and preserve the park for present and future generations”. 79 Faleni (n. 8), p. 30. Nel 1873 Clemente Papi eseguì una seconda versione del Falconiere, che dal 1927 è con- servata al Museo Revoltella di Trieste (Firmiani [n. 75], p. 137). 80 Faleni (n. 8), p. 37. 81 Richiesta di affidare al Sig. Pietro Galli la direzione dell’officina dell’arte fusoria delle Gallerie delle Statue, in: Asgf, anno 1875, filza A, pos. Gallerie delle Statue, ins. 36. 82 vedi n. 44.

Zusammenfassung

Als Pionier in der Wiederbelebung der alten Kunst des Bronzegusses und Spezialist in der Reproduktion von Meisterwerken der Skulptur des Quattro- und Cinquecento spielte der Bildhauer Clemente Papi (Rom 1803 – Florenz 1875) eine wichtige Rolle im Revival der Re- naissanceskulptur, das Florenz im Laufe des 19. Jahrhunderts erlebte. Seine Arbeiten, zu denen auch der Guß zeitgenössischer Plastik gehörte, erfreuten sich nicht nur im Panorama der toska- nischen Kunstproduktion großen Erfolgs, sondern fanden auch international eine erstaunliche Verbreitung. Unter Papis Werken ist die Kopie von Michelangelos David mit Sicherheit das bekannteste: Vom ersten Gipsabguß (1847) nahm der Künstler eine Replik, die als Geschenk an die Königin Viktoria ging (1856), um schließlich 1866 den berühmten Bronzeguß auszuführen, der seit 1874 den Piazzale Michelangelo in Florenz krönt. Doch waren es vor allem andere, bis heute anonym gebliebene Werke, die Papi über die Landesgrenzen hinaus bekannt machten. Zu erwähnen sind die allererste Kopie von Cellinis Perseus mit dem Haupt der Medusa (Trentham Garden, Staffordshire), die einen großen Einfluß auf die englischen Sammler der viktorianischen Zeit ausübte, oder der perfekte Guß des Falkners von George Simonds (New York, Central Park), den die amerikanischen metalworkers bewunderten. Auf der Grundlage von Dokumenten aus den Florentiner Archiven sowie von Zeitungsnach- richten und Ausstellungskatalogen des 19. Jahrhunderts rekonstruiert der Aufsatz die wichtigsten Phasen im Leben und Schaffen des Künstlers und beleuchtet seine Karriere als “Real Fonditore di Statue in Bronzo”, so der Titel, der Clemente Papi vom toskanischen Großherzog Leopold II. verliehen wurde und den er auch nach der Einigung Italiens behielt.

Provenienza delle fotografie: Soprintendenza del Polo Museale fiorentino, Firenze: figg. 1, 7–10, 15. – Autore: figg. 2, 13, 14, 16–19. – Der- byshire, Chatsworth collection: fig. 3. – Da Official catalogue London (n. 48): fig. 4. – Da Benjamin Silliman/Charles Rusch, The world of science, art, and industry illustrated from examples in the New-York exhibition, 1853–54, New York 1854: figg. 5, 6. – Archivio Storico del Comune, Firenze: fig. 11. – Museo Stefano Bardini, Firenze (su concessione dei Musei Civici Fiorentini): fig. 12.