La Nascita Del Cantone Ticino Ceto Dirigente E Mutamento Politico Prefazione Di Marco Marcacci
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Manolo Pellegrini La nascita del cantone Ticino Ceto dirigente e mutamento politico Prefazione di Marco Marcacci Armando Dadò editore L’OFFICINA NUOVE RICERCHE SULLA SVIZZERA ITALIANA 35 La nascita del cantone Ticino Si ringraziano per il generoso contributo: Premio Migros Ticino 2017 per ricerche di storia della Svizzera italiana Menzione speciale Repubblica e Cantone Ticino Aiuto federale per la lingua e la cultura italiana Pubblicato con il sostegno del Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica © 2019 - Armando Dadò editore CH-6600 Locarno, Via Orelli 29, www.editore.ch La casa editrice Armando Dadò editore beneficia di un sostegno strutturale dell’Ufficio federale della cultura per gli anni 2016-2020 ISBN: 978-88-8281-514-1 ISBN (PDF): 978-88-8281-558-5 DOI: https://doi.org/10.37519/9788882815585 Quest’opera è stata rilasciata con licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale CC-BY MANOLO PELLEGRINI La nascita del cantone Ticino Il ceto dirigente sudalpino allo specchio del mutamento politico tra il 1798 e il 1814 Prefazione di Marco Marcacci ARMANDO DADÒ EDITORE Indice Prefazione di Marco Marcacci 11 Introduzione 15 La caduta dell’Ancien Régime nei baliaggi sudalpini 29 Il rapido crollo delle istituzioni balivali 31 I baliaggi di Lugano e Mendrisio 36 Il Sottoceneri confrontato alla sfida dei filocisalpini 51 I filoelvetici nel Locarnese tra difesa dell’autonomia e adesione all’Elvetica 57 I baliaggi dei cantoni forestali 62 Dalberti e l’alta valle di Blenio 71 CONCLUSIONE INTERMEDIA Le personalità politiche della Svizzera sudalpina di fronte allo sgretolamento dell’Ancien Régime 80 L’Elvetica: innovazione, occupazione e insorgenze al sud delle Alpi 85 Le istituzioni dell’Elvetica e gli eventi militari 86 Il periodo austro-russo 92 Lotte di potere e instabilità costituzionale 95 Le personalità politiche sudalpine tra integrazione, adesione ed esclusione 103 Rapporto con le istituzioni e lotte di fazione fino all’occupazione austro-russa 103 La diaspora del ceto politico durante il periodo austro russo 132 Dal reinsediamento delle autorità dell’Elvetica alla caduta della Repubblica 147 CONCLUSIONE INTERMEDIA Gli esponenti politici sudalpini tra conflitti di fazione e integrazione istituzionale 158 Le posizioni riguardo alle innovazioni dell’Elvetica e alla loro applicazione in ambito locale 165 Il confronto con le disposizioni dell’Elvetica 166 La gestione della coscrizione militare e della presenza delle truppe francesi 197 CONCLUSIONE INTERMEDIA Le capacità di mediazione del ceto politico sudalpino 215 Il conflitto sulla Costituzione dell’Elvetica (1801-1803) 221 I moderati: l’opzione repubblicana 222 Ai margini delle istituzioni: l’opzione federalista 259 Le personalità politiche sudalpine nel quadro del sistema napoleonico fino al 1810 277 L’Atto di Mediazione e la creazione del cantone Ticino 278 Il ceto politico nel contesto del nuovo cantone unificato 287 Le mancate ripercussioni dell’esperienza nel contesto dell’Elvetica 294 Ai vertici e negli organi dello Stato cantonale (1803-1810) 297 L’impulso alla modernizzazione 298 La resistenza alla centralizzazione 317 Le esigenze francesi e le difficili relazioni con il Regno d’Italia 352 Crisi della Mediazione e permanenza istituzionale del ceto politico sudalpino (1810-1814) 381 L’occupazione italiana e la caduta del regime 382 Il ceto politico: la lotta per la sopravvivenza 393 Il ceto politico confrontato al mutamento dell’ordine europeo 403 L’evoluzione delle percezioni 404 L’occupazione italiana: resistenze, complicità e conflitti intestini 412 La difficile accettazione della Restaurazione 431 Conclusioni 465 Fonti e Bibliografia 473 ALLEGATI Biografie 485 Tabelle 502 Cartine 505 Ringraziamenti 509 Fonti iconografiche 511 In memoria di mio padre Vittorio Prefazione di Marco Marcacci Nella storia di tutti i Paesi e di tutte le comunità ci sono periodi ed eventi valorizzati e persino sopravvalutati, tanto nella storiografia quanto nella memoria culturale, ed altri che si tendono a occultare o a sminuire oppure a stravolgerli di significato. Per l’insieme della Svizzera, la Repubblica Elvetica e la Mediazione – il “periodo francese” che va del 1798 al 1813 – hanno dato vita a una produzione di archivi e di pubblicazioni inversamente proporzionali all’importanza che per lungo tempo si è voluto accordare a questo quindicennio nella nostra storia patria. L’abbondanza di documentazione si può spiegare con la propensione delle nuove autorità nate dai due importanti cambiamenti istituzionali del 1798 e del 1803 a produrre docu- mentazione scritta di vario genere: protocolli, rapporti, resoconti, memorie, leggi, regolamenti, ordinanze, ecc., nonché alla nascita di nuovi organi di propaganda e informazione in un periodo di grande effervescenza politica. La ricchezza di pub- blicazioni è probabilmente ascrivibile alla notevole attività di relativamente pochi, ma molto motivati studiosi che hanno colto l’originalità di alcune esperienze del tempo per la nascita della Svizzera moderna. La scarsa considerazione di cui ha goduto il periodo è facilmente comprensibile: l’uso pubblico della storia in ambito nazionale non ama molto le epoche e le vicende che vedono prevalere l’influenza esterna, come è stato il caso durante l’Elvetica e la Mediazione. Per quello che diventerà il cantone Ticino – che l’autore di questo studio de- finisce con una volontà dichiarata di neutralità terminologica la «Svizzera su- dalpina» – le cose sono più complesse. Il Ticino deve all’influenza francese sia l’emancipazione dalla sudditanza dei Cantoni sovrani nel 1798, sia la creazione di uno Stato cantonale autonomo, con tanto di costituzione repubblicana, nel 1803. La vulgata storiografica è quasi tutta all’insegna del motto «Liberi e Svizzeri» che, sin dal 1798, avrebbe espresso il volere unanime e consapevole dei futuri Ticinesi, in favore dell’emancipazione politica e della fedeltà alla Confederazione. La storiografia scientifica, sulla scia dell’impostazione proposta da uno studioso autorevole come Emilio Motta, ha invece sottolineato come gli eventi siano stati determinati dalla volontà francese, di Bonaparte in primis, mentre le comunità locali e i loro rappresentanti apparivano inconsapevoli e indecisi; in poche parole, i Ticinesi sarebbero rimasti svizzeri e diventati liberi quasi senza volerlo e senza saperlo. Due visioni contrapposte, alimentate in passato da correnti ideologiche oggi scomparse. Da un lato, la mobilitazione politico-culturale per la difesa spirituale 13 del Paese, propugnatrice di un elvetismo intransigente. Dall’altro, non tanto i seguaci di idee irredentiste, sempre pochi e insignificanti in Ticino, quanto i di- fensori arcigni di una certa italianità del Cantone, da contrapporre agli slanci di svizzeritudine, ritenuti poco accorti o conformi alla storia. Simili interpretazioni sono oggi difficilmente sostenibili, alla luce delle ricerche e della documentazione disponibili. Possiamo tutti riconoscere, come scrive Tho- mas Maissen in una recente opera divulgativa tradotta anche in italiano, che senza l’intervento francese tra il 1798 e il 1813 «Argovia, Ticino e Vaud sarebbero rimasti fino a oggi sudditi, o avrebbero dovuto battersi in sanguinose “guerre civili” per ottenere la propria liberazione e poi presumibilmente annettersi ai vicini Stati parlanti la stessa lingua». Dobbiamo però anche prendere atto che tanto le élite politiche, quanto – benché in misura minore – pure le comunità stesse degli otto ex baliaggi, erano consapevoli della posta in gioco in quegli anni di grandi scom- bussolamenti e non hanno subito passivamente la volontà egemone dei Francesi. Come ricorda e documenta Manolo Pellegrini in questo suo ampio studio sul periodo dell’Elvetica e della Mediazione, le posizioni in campo erano piuttosto articolate, sfumate e riconducibili a tre tendenze principali. Quella filocisalpina, di coloro che auspicavano una riunione delle terre «sudalpine» alla nuova repub- blica creata nell’Italia settentrionale, in nome della comunità di lingua e di cultura in un’Europa rivoluzionata. Quella repubblicana elvetica dei fautori di uno Stato centrale forte, unica opzione in grado, a loro parere, di salvaguardare l’unità del Paese e le nuove istituzioni. Infine, vi erano coloro che desideravano restare nell’u- niverso confederato con il massimo grado di autonomia istituzionale possibile, ossia conciliare il particolarismo d’ancien régime con l’emancipazione politica. La posizione filocisalpina era minoritaria tra i dirigenti politici e più ancora tra la popolazione; quella repubblicana elvetica prevaleva tra l’élite politica e quella ultrafederalistica doveva senz’altro essere maggioritaria tra la popolazione. Uno dei principali meriti del lavoro di Manolo Pellegrini è proprio quello di uscire decisamente dai solchi di un dibattito ormai esaurito, così come era stato impostato a partire dal Motta, con i suoi condizionamenti di tipo ideologico. L’au- tore procede quasi con il distacco scientifico del patologo clinico che esamina i propri materiali in laboratorio per trarne considerazioni e conclusioni spassiona- te, fondate soltanto sull’evidenza dei fatti e delle analisi. Una storia “a freddo”, si potrebbe quasi dire, ma che si legge con interesse, curiosità e partecipazione e i cui risultati dovrebbero stimolare un dibattito che speriamo non rimanga confinato nei laboratori storiografici. La ricerca di Pellegrini s’inserisce a pieno titolo in quella storia politica svec- chiata che dagli anni Settanta del secolo scorso ha prodotto alcune delle pub-