Addio al Maestro Gigi Proietti, Mito immortale della nostra vita

Ci siamo svegliati questa uggiosa mattina di novembre e abbiamo esclamato “Ah, ma dunque anche i Miti muoiono?”. Già, perché mai avremmo pensato che Gigi Proietti potesse morire. La differenza tra un artista ed un Mito è proprio in questa sottile difformità.

E ci si può commuovere, si, ci si può commuovere, perché vergognarsi? I Miti sono personaggi familiari, sono parte di noi, sono parte della nostra vita e delle nostre esperienze. Gigi Proietti è nato esattamente il giorno dopo di un altro immenso Mito romano e italiano, ovvero , con il quale condivideva tanti lati, artistici, territoriali e caratteriali.

Ma i Miti poi muoiono davvero?

Ne siamo proprio certi? Gli uomini d’Arte non muoiono mai perché sono capaci di parlare alle nostre emozioni, perché sono capaci di toccare le corde più profonde e più nascoste dell’animo umano, perché chi fa del bene, non muore mai sul serio. Riflettiamo: chi pensa che un Totò, uno Shakespeare o un Dante Alighieri sia morto per davvero?

E’ questa la magia dell’Arte e nello specifico è questa la magia del Cinema, che tra tutte le Arti, è la più giovane, ma anche la più capace di smuovere l’anima e i sentimenti.

Gigi Proietti è stato tanto: talento unico, autoironia, umorismo romano. Ma soprattutto è stato un artista poliedrico come pochi, con questa sua innata propensione multiforme che gli ha permesso non solo di calcare tutti gli strati e i substrati dello spettacolo, cinema, teatro, televisione; ma ha anche avuto modo di attraversare per intero, l’arco dei vari generi, dal drammatico al comico, dal grottesco al brillante.

Gigi Proietti entra nei cuori della gente a 30 anni precisi, proprio nel 1970, quando sostituisce , accanto a nella rivista Alleluja brava gente. Da allora è interprete e autore di grandi successi teatrali, tra i quali Caro Petrolini, Cyrano, I sette re di Roma e recita anche, in maniera sublime, opere tratte da Shakespeare. La sua proteiformità si manifesterà anche come autore, quando nel 1976 stringe un sodalizio con lo scrittore Roberto Lerici, insieme al quale scrive e dirige i suoi spettacoli rimasti nella storia, tra cui A me gli occhi, please, che sarà un vero trionfo.

E poi c’è il cinema, con il quale ha avuto un rapporto controverso, non sempre idilliaco, ma con alcune vette artistiche e popolari, davvero considerevoli. A cominciare dal ruolo della vita, quello dello sfortunato indossatore Bruno Fioretti, detto Mandrake, in Febbre da cavallo. Siamo nel 1976 e questo film reso grande ed immortale col passare degli anni, grazie anche ai molteplici passaggi televisivi, è diventata un vero e proprio culto: una delle sequenze memorabili del film è senza dubbio quella della storica tris, che si ritorcerà contro i tre protagonisti, dei cavalli King, Soldatino e D’Artagnan. Il successo di Febbre da cavallo, accanto ad Enrico Montesano, verrà poi replicato con il suo niente affatto deprecabile seguito datato 2002, Febbre da cavallo – La mandrakata, per il quale ottiene il Nastro d’Argento come miglior attore protagonista. Ventisei anni prima grazie al primo film della serie, lo stesso attore venne definito il personaggio cinematografico dell’anno. https://youtu.be/gRP5xXn3pGA

Degli oltre 40 film interpretati, possiamo suddividere la sua carriera cinematografica, in due macroaree: gli anni ’70, almeno fino all’ottima prova di Casotto, amara commedia di Sergio Citti; e gli anni 2000, dove proprio dal già citato Febbre da cavallo-La mandrakata in poi, prende parte a numerose pellicole, come signorile e ancora affascinante attore di mezz’età. Nella prima macroarea va almeno nominata la pellicola Conviene far bene l’amore, film del 1975, che rimane tra le migliori prove del Gigi Proietti cinematografico. Futurista, nel film è immaginata una civiltà del futuro alle prese con la crisi energetica, nella quale si scopre il sistema di trarre energia dai rapporti sessuali, facendoli diventare un obbligo. Si tratta di un curioso ibrido, particolarmente riuscito, tra commedia erotica e commedia di fantascienza influenzato dalle teorie di Wilhelm Reich (l’autore di La funzione dell’orgasmo) e dalla crisi petrolifera dei primi anni ‘70. Infatti il film esce in un’epoca dove viene sfatato il mito dell’inesauribilità delle fonti energetiche, nel contesto della crisi energetica di inizio anni ‘70 e dell’applicazione della cosiddetta Austerity.

E poi quì va citato un vero e proprio gioiello del Gigi Proietti maturo, ovvero l’episodio finale di Un’estate al mare, commedia ad episodi del 2008 diretto dai fratelli Vanzina. Questa pellicola si regge unicamente sull’ultimo geniale ed esilarante episodio che vede come protagonista un grande Gigi Proietti, in una delle migliori interpretazioni della sua carriera. Se tutti gli altri episodi sono mediocri, raffazzonati e francamente dimenticabili, quello intitolato La signora delle Camelie, omonimo titolo del romanzo di Alexandre Dumas, si erge come uno dei prodotti comici più belli della storia del cinema italiano. La parodia dell’opera di Dumas è tratta da un vecchio sketch dell’umorista Dino Verde, reso però con epica bravura dalla vis-comica, quì eccezionale, di Gigi Proietti. Peccato, che l’episodio, un vero e proprio gioiellino dell’arte comica, sia stato inserito in un film così mediocre, ma è anche vero che se ci si ricorda di Un estate al mare è proprio per questo cortometraggio. https://www.youtube.com/watch?v=0xS9iueOMao

Gli anni ’80 e ’90 saranno invece dedicati, oltre che al teatro, suo grande amore mai dimenticato, alla televisione, sia in veste di show-man che come interprete di serie televisive. Come show-man si ricordano spettacoli di successo come Sabato sera dalle nove alle dieci, Fatti e fattacci e Fantastico. Ma è soprattutto come interprete di serie televisive, che Gigi Proietti raggiunge l’apice della sua popolarità e del suo successo. Quello del Maresciallo Rocca, sarà infatti, il secondo ruolo della sua vita. Qui l’attore romano interpreta il ruolo di Giovanni Rocca, vedovo con tre figli, maresciallo comandante della stazione dei Carabinieri di Viterbo, che tra un caso e l’altro si innamora di una deliziosa farmacista, interpretata da . La serie, partita in sordina su Rai 2, conquista i favori del pubblico fino a superare agevolmente i dieci milioni di telespettatori a sera: l’ultima puntata del 12 marzo 1996 registrò il record di quasi 16 milioni di spettatori. Il colossale successo impone ai due autori, ai registi (al veterano e collaudato Capitani si alternano Lodovico Gasparini, José María Sánchez e Fabio Jephcott) e al protagonista la realizzazione di ben cinque stagioni, realizzate tra il 1998 e il 2005.

Anche gli ultimi anni di vita hanno visto Gigi Proietti molto attivo tra cinema e televisione. Tra il 2014 e il 2018, in tv prende parte alla serie Una pallottola nel cuore, diretto da Luca Manfredi; mentre dal cinema gli arrivano due delle soddisfazioni più grandi della sua vita: nel 2018 riceve il prestigioso Nastro d’Argento alla carriera, di fronte agli applausi scroscianti di una platea commossa; e nel 2019 è stato in sala con il Pinocchio di Matteo Garrone nei panni di Mangiafuoco, un ruolo che, per sua stessa ammissione, ha molto amato.

Esattamente come Shakespeare, per uno strano scherzo del destino, Gigi se n’è andato il giorno stesso del suo 80esimo compleanno, lui che scherzava sempre sulla sua data di nascita (n.d.a. 2 novembre 1940). Una pratica del destino, quella di morire lo stesso giorno in cui si è nato, che viene lasciata solo ai veri grandi, alla stessa stregua di chi sogna di morire sul palcoscenico, così, con le braccia aperte, nel ricevere gli applausi scroscianti del pubblico, in un ultima, grande ed immortale recita.

Quest’anno, segnato dal Covid, Gigi Proietti, si era battuto fino all’ultimo in difesa di quell’Arte suprema dello spettacolo, riaprendo in estate, dopo la prima pandemia, il suo Globe Theatre estivo nel cuore verde di Villa Borghese, a Roma. In questa città che lo annovera tra i suoi figli più meritevoli, e alla quale lui, pochi mesi fa aveva regalato i suoi ultimi capolavori teatrali, riportando in scena Shakespeare, per donare “questa magia ai più giovani, perché possano riprendere a sognare e a cambiare il mondo”.

Grazie Gigi, ci mancherai, anche se sappiamo dove sei ora. Come nell’Antica Grecia, ci sarà un Olimpo, perché deve per foza esserci un Olimpo riservato agli artisti, e stai lì con Totò, con i fratelli De Filippo, con Massimino [Troisi], ne sono certo, perché il tuo posto è lì affianco a loro.

Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre.

Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione.

Nome

Cognome

Email *

Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter

Addio a Bernardo Bertolucci, il Maestro del cinema della trasgressione

“Così italiano e così internazionale. Così sofisticato e così nazional-popolare. Così letterario e così visuale”. Con Bertolucci, scompare l’ultimo grande Maestro crepuscolare del nostro cinema. Titoli epici come Ultimo tango a Parigi, Novecento e Il tè nel deserto, sono quasi dei poemi omerici, per la cura maniacale, per l’attenzione alla colonna sonora, per il genio di uno degli artisti italiani più incisivi della storia culturale nazionale del ‘900. Bertolucci proveniva da una famiglia già ampiamente addentrata nel significato profondo di “cultura”: il padre Attilio era un famoso poeta.

E come se non bastasse il suo esordio cinematografico avviene come aiuto-regia di Pier Paolo Pasolini e ha intessuto fin da subito amicizie sincere con Alberto Moravia, Elsa Morante e Dacia Maraini. Insomma, proprio dalla tradizione letteraria e visiva in cui crebbe il giovane Bernardo, discendono, oltre all’amore per i testi letterari, il gusto per il melodramma, l’amore per le scene madri, l’approccio mitico e popolare, che fanno del regista parmense un punto di riferimento nel mondo. Il suo esordio come detto avvenne con Accattone, nel 1961, dove è aiuto-regia di Pier Paolo Pasolini. E proprio sotto l’egida dell’intellettuale romano La commare secca (1962), sarà il primo film da regista di Bertolucci. Tematiche ancora lontane dalle sue, molto pasoliniane, dalle quali ben presto si discosta, per inseguire un’idea personale di cinema basata sostanzialmente sull’individualità di persone che si trovano di fronte a bruschi cambiamenti del loro mondo e di quello circostante, a livello esistenziale e politico, senza che essi possano o vogliano cercare una risposta concisa. B e r n a r d o B e r t o l u c c i, e Anouk Aimee a Cannes nel 1981.

Tale tematica sarà presente praticamente in tutte le opere di Bertolucci, a partire dal secondo film, Prima della rivoluzione (1964), dove è esemplificata molto chiaramente nella storia di un giovane della borghesia agricola medio-alta di Parma, il quale, incapace di reagire al suicidio del suo amico più caro e incerto su una direzione da prendere, si getta a capofitto in una relazione con una matura e piacente zia giunta da Milano. Entrambi, però, si rendono conto che quella storia non può durare – lei è anche in cura da uno psicologo – e alla partenza della donna, al giovane non resta che sposare la sua precedente fidanzata, che lui non ama, facente parte dell’alta borghesia, matrimonio ben visto dalla sua famiglia.

B e r n a r d o B e r t o l u c ci al Bifest di Bari nel 2018.

Anche nei film che seguono, Bertolucci continua il suo personale discorso intorno all’ambiguità esistenziale e politica, ma il suo primo grande film sarà La strategia del ragno (1970), film dallo scarso successo di pubblico, acclamato però dalla critica. Un puzzle di menzogne e verità, passato e presente, ispirato al racconto Tema dell’eroe e del traditore, di Borges e alla pittura di De Chirico. Piccoli assaggi di quello che sarà il trionfo dei film successivi, in cui Bertolucci matura definitivamente la sua maniera di vivere e raccontare il cinema. Il successo planetario infatti, arriva due anni dopo con Ultimo tango a Parigi (1972), il film scandalo degli anni ’70. Una pellicola che esce con un divieto ai minori di 18 anni previo taglio di 8 secondi del primo amplesso tra i due protagonisti (splendidi Maria Schneider e ), consumato in piedi. Sequestrato, assolto, nuovamente sequestrato, è condannato alla distruzione del negativo per oscenità dalla Cassazione, il 29 gennaio 1976 (con perdita dei diritti civili per cinque anni per Bertolucci). Il 9 febbraio 1987 viene riabilitato con sentenza di “non oscenità” perché “mutato il comune senso del pudore”, con conseguente dissequestro del film che nel 1988 passa per la prima volta in tv. Oggi, in tempo di hard-core di massa, le proverbiali prestazioni erotiche di Brando e della Schneider con il burro non sconvolgono più nessuno, ma rimane un caposaldo fondamentale del genere erotico d’autore. Ultimo tango a Parigi è invecchiato bene, ancora capace di parlarci della solitudine e della distanza fra i sessi nella nostra società. Alcuni connubi risultano azzeccatissimi -la strana, infernale plasticità di Brando; la luce pastosa del direttore della fotografia Vittorio Storaro; e la musicale mobilità della macchina da presa di Bertolucci- ne fanno un’opera “indimenticabile” nella storia del cinema mondiale.

E questo “indimenticabile” riecheggia e si applica perfettamente anche alle successive opere: su tutte Novecento (1976), un’epica grandiosa e “hollywoodiana”, piena di grandi nomi del cinema nostro e internazionale, che racconta cinquant’anni di storia padana, a tratti potente e commovente, a tratti retorica e manieristica , sempre audace per le dimensioni e le ambizioni. Ma “indimenticabile” è anche La tragedia di un uomo ridicolo (1982), ingiustamente rimasto nell’ombra, ma che ci consegna un Ugo Tognazzi intenso e drammatico veramente da Oscar, d’altronde si aggiudica la “Palma d’oro” come migliore attore protagonista al Festival di Cannes. B e r t o l u c c i s u l s e t d i N ovecento.

E “indimenticabile” senza se e senza ma è L’Ultimo Imperatore (1987), un film che fa strappare i capelli agli americani e che conquista a sorpresa nove Oscar: un’opera veramente monumentale, un trionfo di diplomazia e creatività, di gusto scenografico italiano e di abilità narrativa. L’aggettivo “indimenticabile” sarebbe indicato anche per Il tè nel deserto o per The dreamers, che riecheggia Ultimo tango a Parigi nelle atmosfere, ma è tutta la carriera di Bertolucci a poter essere apostrofata come “indimenticabile”, come la standing-ovation di 35 minuti che il Bif&st gli ha decretato nella sua ultima uscita pubblica lo scorso aprile. Il saluto di un grande intellettuale, regista e artista al mondo del cinema e non solo, un commiato concluso con questa frase, che rimarrà indelebilmente scolpita negli annali:

“Il cinema è la nostalgia di un qualcosa che non abbiamo mai vissuto”

Bernardo Bertolucci

Addio ad Anna Maria Ferrero dimenticata, dolce e tenera attrice dell’Italia del Boom economico Scoprii Anna Maria Ferrero per strada, in via Aurora a Roma, mentre camminava al fianco di una signora. Cercavo la ragazzina per il film e vidi questo scricciolo che aveva una tale intensità negli occhi. Fece un provino meraviglioso, era nata attrice.

(Claudio Gora, regista)

Era il 1949, quando appena quindicenne, ma già bellissima, la giovane Anna Maria Ferrero, venne notata dal regista Claudio Gora e scritturata per una parte nel film Il cielo rosso. Fu l’inizio di una sfolgorante, ma breve carriera artistica, che si districò nell’arco di un quindicennio o poco più, per scelta personale infatti, dopo aver sposato l’attore francese Jean Sorel, Anna Maria Ferrero decise di abbandonare il mondo dello spettacolo. Soltanto brevi altre apparizioni pubbliche, dopo il mediometraggio Cocaina di domenica parentesi del film ad episodi Controsesso, simpatico film interpretato al fianco di , la Ferrero decide per il ritiro dalle scene, sulla falsariga di ciò che aveva fatto qualche anno prima, un’altra diva dell’epoca, ovvero Marisa Allasio. Utilizzata in parti più “impegnate” della Allasio, Anna Maria Ferrero si contraddistinse per una bellezza elegante, fuori dal comune e per una classe di interprete raffinata e fuori dagli schemi.

I l f a s c i n o e l e g a n t e d i Anna Maria Ferrero, “stella” del cinema italiano del boom economico. Bella come poche, elegante come poche, affascinò tutti i più grandi cineasti dell’epoca. Fidanzata per molto tempo con , sposò nel 1962 l’attore francese Jean Sorel e nel 1965 si ritirò dalle scene.

Fu “musa” ispiratrice per i più grandi cineasti dell’epoca, da Monicelli a Lizzani, e fu anche abbastanza utilizzata sulle copertine delle maggiori riviste mondane dell’epoca. Si chiamava Anna Maria Guerra, ma utilizzò il cognome d’arte “Ferrero”, in omaggio al suo padrino, il musicista statunitense Willy Ferrero, diventando Anna Maria Ferrero, anche per il fatto che egli stesso sarà l’unico a incoraggiarla ad intraprendere la carriera d’attrice, al contrario dei suoi genitori, specie suo padre, che si dimostreranno in un primo momento contrari alla scelta della figlia. Nel 1952 è impegnata nella lavorazione del suo primo film da protagonista, Le due verità di Antonio Leonviola. Nonostante la giovane età, Anna Maria offre un’ottima interpretazione, e finalmente la critica incomincia ad accorgersi di lei, così come registi e produttori. L’anno successivo si rivelerà il più prolifico della sua carriera, interpreta addirittura otto film, tra cui spicca la sua commovente e realistica interpretazione nel film Le infedeli di Mario Monicelli; o ancora Siamo tutti inquilini, al fianco di attori del calibro di Aldo Fabrizi e Peppino De Filippo. Nel settembre del 1953 partecipa alla 14ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Nella rassegna viene proiettato il film Napoletani a Milano dove Anna Maria recita accanto ad Eduardo de Filippo e, grazie alla sua sempre ottima interpretazione, l’attrice sarà ammirata come una delle più interessanti giovani promesse del cinema italiano dell’epoca. U n ’ i m m a g i n e a c o l o r i d i A n n a M a r i a F e r r e r o , d a t a 1958, all’apice del suo successo.

Anche il 1954 si rivelerà un grande anno per Anna Maria, darà sfoggio della sua bravura nel film Cronache di poveri amanti di Carlo Lizzani, ancora una volta nella parte di una servetta, e soprattutto in Totò e Carolina, dove con la sua passionale recitazione, riesce a stare sullo stesso piano recitativo di Totò stesso. Tuttavia i ruoli che le vengono proposti sono tutti un po’ simili, ricalcano tutti il personaggio della ragazza debole ed ingenua, insicura nelle sue scelte, lasciata a se stessa.

A n n a M a r i a F e r r e r o i n c o p p i a c o n T o t ò, nel discusso “Totò e Carolina”(1953).

Le cronache mondane dell’epoca si interessarono di Anna Maria Ferrero anche per una lunga e spesso burrascosa relazione con Vittorio Gassman, durata dal 1954 al 1960, e interrotta, per il rifiuto di Gassman a sposarsi. Inoltre lo stesso Vittorio, spesso la rimproverava del fatto di doversi dedicare più assiduamente alla carriera cinematografica che a quella teatrale. Proprio nel 1960, l’anno della loro separazione ufficiale, la carriera di Anna Maria Ferrero ottiene un’improvvisa impennata. Accantonato per il momento il teatro, e senza le imposizioni di Gassman, l’attrice accetta di partecipare alle numerose pellicole che le vengono proposte dai produttori. Fra quelli interpretati in questo periodo, va ricordato, quella dell’intraprendente camerierina innamorata di Walter Chiari, imbranato professore in Le sorprese dell’amore(1959); e soprattutto quello della tenace ebrea Giulia ne L’oro di Roma(1961), il capolavoro di Carlo Lizzani, ambientato nella Roma occupata dalle truppe nazi-fasciste nell’ottobre del 1943. A detta della stessa attrice, sarà la sua migliore interpretazione di sempre.

L a l o c a n d i n a o r i g i n a l e d el film “L’oro di Roma”(1961), di Carlo Lizzani, da molti ritenuta l’interpretazione della vita di Anna Maria Ferrero, in un ruolo drammatico di grande intensità emotiva.

Il 1960 segnerà per Anna Maria un incontro che cambierà non poco la sua vita. In aprile ad una festa a casa dell’attore Pierre Brice incontra l’attore francese Jean Sorel, all’epoca pressoché sconosciuto. I due si fidanzeranno e di lì a poco si sposeranno. L’anno successivo Anna Maria protagonista del film L’oro di Roma suggerirà al regista che proprio al suo nuovo compagno venga affidato un ruolo nel film. Anna Maria preferisce recitare insieme all’attore francese, evitando così quelle distanze fatali che avevano contribuito a far fallire la sua precedente relazione con Vittorio Gassman. Non sarà la prima volta che l’attrice aiuterà la carriera del marito con le sue conoscenze.

I due si sposeranno nel 1962, continuando, almeno per un paio di anni, la loro carriera artistica parallelamente, non disdegnano qualche apparizione insieme, come in Un marito in condominio. Nel 1964, dopo Controsesso, recitato al fianco di Nino Manfredi, Anna Maria decide improvvisamente di lasciare tutto. L’attrice romana non spiegherà mai il vero motivo di tale rinuncia, forse perché in 15 anni di carriera cinematografica e 10 di quella teatrale, le occasioni per dimostrare appieno tutto il suo talento sono state molto poche, o forse perché spinta dal desiderio di dedicarsi alla famiglia. A n n a M a r i a F e r r e r o , i n s ieme a Nino Manfredi e Carlo Ponti sul set del film “Cocaina di domenica” episodio del lungometraggio “Controsesso”(1964).

La sua vita proseguirà lontano dai set cinematografici, da tempo trasferitasi a vivere nella periferia di Parigi, tornando raramente in Italia. Non riuscirà a diventare madre, e questo fatto si ripercuoterà negativamente sul suo matrimonio con l’attore francese. Nel decennio successivo le notizie sulla sua vita saranno pochissime, l’attrice concederà solo alcune interviste ai vari quotidiani dell’epoca, mentre le sue apparizioni pubbliche saranno praticamente nulle. Tuttavia Anna Maria dichiarerà di essersi pentita non poco di aver abbandonato la carriera d’attrice, e già dopo pochi anni dal suo ritiro avrebbe volentieri accettato una parte in un film. Un suo ritorno sui set cinematografici era previsto per il 1985, in un piccolo ruolo nel film Maccheroni di , ma alla fine l’attrice romana ci ripensò e quello fu il suo ultimo contatto con il mondo del cinema. L’ultima apparizione in pubblico di Anna Maria Ferrero avviene nell’aprile del 2008, quando fa parte della giuria del Busto Arsizio Film Festival, accanto al marito Jean Sorel. In quell’occasione è stata proiettata la versione restaurata del film L’oro di Roma. A n n a M a r i a F e r r e r o e il marito Jean Sorel, in una foto dei primi anni ’60.

Di lei comunque, rimangono soprattutto le immagini degli oltre 40 film interpretati, rimane l’immagine di una donna forte, bella, bellissima; rimane l’immagine di una grande e giovane attrice. Anna Maria Ferrero fu la diversa bellezza che piace, non tutta curve tipo Sophia Loren, Marisa Allasio, piuttosto come una “nostrana” Audrey Hepburn in miniatura: elegante, raffinata, minuta, ma bella, dotata di un sorriso ipnotizzante. Nonostante spesso in questo Paese, così superficiale, si rischi di cadere nel dimenticatoio facilmente, Anna Maria Ferrero conserva comunque il suo spazio indelebile nella storia del cinema italiano. Film che sono rimasti nei cuori della gente, forse perché rimangono legate all’epoca più bella della storia italiana: quella del boom economico, quella di Cinecittà soprannominata la “Hollywood sul Tevere”. Tempi d’oro, malinconici, inarrivabili, di cui la Ferrero era una delle stelle indiscusse.

Una tempestiva diagnosi su internet salva la vita di una bambina di 8 mesi

Raffaello Castellano (329)

La notizia del giorno ha origine e rimbalza sulla piattaforma social Facebook in tutto il web.

Jade Bell, una mamma di 27 anni, pubblica on-line una foto di sua figlia di appena 8 mesi, dalla quale si nota uno strano bagliore dentro uno degli occhi.

Alcuni utenti del social si allarmano. fra cui un amico della madre della bambina, che le consiglia di portare la piccola da un dottore. La diagnosi è stata “retinoblastoma”, una rara forma di cancro dell’occhio.

Grazie alla tempestiva diagnosi ed alle immediate sessioni di chemioterapia, il cancro all’occhio è regredito ed ora la piccola è fuori pericolo.

La madre ha raccontato al tabloid britannico Sun, che per primo ha riportato la notizia, che: “E’ stato un incubo, ma con le cure il tumore ha iniziato subito a regredire e questo ha dato coraggio e fiducia a tutti noi”.

Il retibìnoblastoma è un tumore subdolo e sottovalutato, spesso è diagnosticato in ritardo, ma questa volta, per la figlia di Jade fortunatamente le cose sono andate diversamente.

Non è la prima volta che internet si rivela veloce ed efficace nel rilevare tempestivamente delle situazioni rischiose e dei pericoli anche per la salute.

Ma stiamo attenti a non esagerare, come ci ricorda un recente studio commissionato da Demoskopea e Dottori.it, secondo il quale il 52% dei medici specialisti italiani ha ammesso che con la diffusione di internet il rapporto con i pazienti è migliorato, tuttavia il rischio di ricorrere alle diagnosi fai da te è dietro l’angolo, ed infatti la stessa ricerca rivela che il 49% della popolazione italiana (quasi la metà!) ammette di utilizzare spesso internet come vero e proprio oracolo della salute.

Come sempre a guidare le nostre scelte dovrebbero essere un mix di buon senso e razionalità, ma non sempre succede. Ricordiamoci che la salute, la nostra salute, non è un accessorio hi-tech o capo di abbigliamento, che possiamo comperare su internet o in un negozio vero; la nostra salute richiede medici laureati, in carne ed ossa, ed alle volte necessita di più di un parere.

Fidel Castro è morto: un'era è definitivamente finita!

Ivan Zorico (245)

Fidel Castro è morto: 22.29 ora cubana (le 4.29 italiane).

La sua “storia-leggenda” ha inizio l’8 gennaio del 1959 quando, assieme ad un manipolo di fedelissimi, conquistò l’Avana completando la rivoluzione e liberando così Cuba dal dittatore – Fulgencio Batista – legato alla mafia italo-americana.

Dopo dei primi tiepidi contatti con l’Amministrazione americana, la Cuba castrista diviene una sorta di avamposto sovietico a soli 90 miglia di mare dalla costa americana e pedina centrale nella guerra fredda, nella quale si scontravano due mondi diversi: capitalismo USA e socialismo URSS.

Castro è sempre stato un personaggio dalle grandi divisioni. Per la sua vena rivoluzionaria e in un periodo dove le ideologie muovevano masse e movimenti, nel corso della sua vita è stato celebrato come vero e proprio eroe della sinistra (ben visto anche da intellettuali e uomini di cultura come Oliver Stone e Garcìa Màrquez), mentre per i suoi detrattori è sempre stato solo un dittatore sanguinario.

Anche grazie ai forti aiuti economici elargiti dall’URSS, Castro riuscì a garantire gratuitamente al popolo cubano servizi, quali istruzione e sanità, di elevato livello; questo permise all’esperienza cubana di essere rappresentata come esempio di socialismo di qualità. Ma molte sono anche le contraddizioni e i lati oscuri che hanno segnato la sua vita e la sua esperienza di governo.

In un mondo ormai post-ideologico e che corre sempre più veloce, la morte di Castro sembra quasi far risvegliare i libri di storia. Pur se la sua vita appartiene a pieno titolo alla contemporaneità, è indubbio che quel mondo non esiste più. E da tempo.

Pertanto, come si dice in questi casi, sarà la storia a giudicare.

Ettore Scola, l’ultimo Maestro del cinema italiano Domenico Palattella (122)

Con la morte di Ettore Scola, non solo scompare uno dei più grandi Maestri del cinema mondiale, ma anche l’ultimo regista e sceneggiatore dell’epoca d’oro del nostro cinema, che ora si chiude per sempre, con un pizzico di malinconia. Uomo schivo, ironico, inventò insieme ai colleghi Mario Monicelli, Dino Risi e Luigi Comencini, la commedia all’italiana. Scola è stato il regista che meglio ha conciliato la qualità del film d’autore con la popolarità della commedia all’italiana, anche grazie ad uno stile particolarmente raffinato sotto l’aspetto visivo. Ha lavorato con tutti i più grandi, da Vittorio Gassman a Nino Manfredi, da Ugo Tognazzi a Sophia Loren, da a Stefania Sandrelli. Ha diretto in nove film e Massimo Troisi in due film a cavallo tra gli anni ’80 e ’90.

Il suo primo vero successo da regista è con Sordi e Manfredi nel film dal titolo chilometrico, “Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?”, del 1968, dove la critica sociale si intrecciava con la commedia di costume. Ma è con “Il commissario Pepe”(1969), in cui dirige un grande Ugo Tognazzi, commissario integerrimo nell’Italia corrotta di fine anni ‘60; e con “Dramma della gelosia, tutti i particolari in cronaca”(1970), con Marcello Mastroianni e Monica Vitti, che Ettore Scola entra di diritto nella ristretta schiera dei Maestri del nostro cinema.

Il suo capolavoro sarà però quel “C’eravamo tanto amati”(1974), amaro ritratto di trent’anni di storia italiana, che è di diritto nella top ten dei film italiani più belli di tutti i tempi. Uno splendido affresco agro-dolce dell’Italia dalla seconda guerra mondiale agli anni ’70. Al centro del film il tema del tempo che scorre, l’intreccio narrativo permette di osservare con più emozione che amarezza i tanti ideali traditi che attraversano la storia d’Italia. L’intero film è segnato dall’immaginario cinematografico: Fellini e Mastroianni compaiono nella parte di se stessi. Ma su tutti svettano Gassman e Manfredi insieme a Stefano Satta Flores (i protagonisti), che dei 30 anni cui si riferisce il film, sono stati tra i massimi rappresentanti. In costante bilico tra ironia e malinconia, un film che davvero lascia il segno. Nel 1978 poi, Scola tocca le corde della poesia con “Una giornata particolare”, dirigendo Marcello Mastroianni e Sophia Loren, in una storia poetica, amara, struggente, di estrema precisione storico-sociologica, ambientata durante la dittatura fascista.

Non si può non nominare infine, “”(1980), il capolavoro della sua maturità artistica, crisi e bilancio di un gruppo di intellettuali, trent’anni prima de “La grande bellezza”. Supportato da una straordinaria parata dei protagonisti maggiori della commedia all’italiana: Marcello Mastroianni, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Jean-Louis Trintignant, Serge Reggiani, Stefania Sandrelli, Stefano Satta Flores, l’addio del cinema italiano alla commedia all’italiana, con uno dei suoi massimi capolavori.

Nel corso degli anni ’80 Scola dirige altri film di rilievo, come “La famiglia”(1987) con Vittorio Gassman e Stefania Sandrelli; e come “Splendor” e “Che ora è”, entrambi del 1989, ed entrambi interpretati dalla coppia composta da Marcello Mastroianni e Massimo Troisi.

Nel corso della sua sfolgorante carriera, Ettore Scola ha vinto numerosi premi nazionali ed internazionali, tra cui la Palma d’oro al festival di Cannes nel 1975 per “Brutti, sporchi e cattivi” e 6 David di Donatello, tra il 1978 e il 2011 quando ricevette quello alla carriera. Un Golden Globe vinto per “Una giornata particolare” e 4 nominations agli Oscar: nel 1978 per “Una giornata particolare”, nel 1979 per “I nuovi mostri”, nel 1984 per “Ballando ballando” e nel 1988 per “La famiglia”. Ettore Scola ha dunque attraversato con le sue pellicole cinquant’anni di storia italiana, raccontando un paese in continuo mutamento sociologico e culturale, senza perdere mai il contatto realistico con esso. Un maestro che ci ha fatto sognare, riflettere, che ci ha raccontato storie magnifiche, comiche o tragiche che siano, sempre in bilico tra ironia e malinconia. L’ultimo grande autore del nostro cinema, l’ultimo grande esponente di una generazione e di un’epoca ormai irripetibili. Se si dovesse operare una selezione dei migliori film di Scola, quelli per intenderci che meglio possono far comprendere l’essenza del cinema del Maestro, non si potrebbe certo prescindere dai seguenti capolavori, pietre miliari assoluti del nostro cinema: “Il commissario Pepe”(1969- con Ugo Tognazzi), “Dramma della gelosia”(1970- con Marcello Mastroianni e Monica Vitti ), “C’eravamo tanto amati”( 1974- con Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Stefano Satta Flores, Stefania Sandrelli, Aldo Fabrizi ), “Brutti, sporchi e cattivi”( 1976- con Nino Manfredi ), “Una giornata particolare”(1978- con Sophia Loren e Marcello Mastroianni ), “La terrazza”(1980- con Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Marcello Mastroianni, Stefano Satta Flores, Jean-Louis Trintignant, Stefania Sandrelli ), “Splendor”(1989- con Marcello Mastroianni e Massimo Troisi ).

Una giornata particolare - Il Film

Simona De Bartolomeo (75)

Il 19 gennaio scorso scompare un’icona del cinema italiano, il regista e sceneggiatore Ettore Scola, lasciando a noi una lunga serie di film, ritratti di personaggi spesso inadeguati alla vita, alla ricerca di riscatto, colmi di malinconia e di verità. Il suo esordio alla regia è con “Se permettete, parliamo di donne”, film a episodi del 1964, con protagonista Vittorio Gassman alle prese con diverse tipologie di personaggi femminili.

La sua carriera continua con una serie di capolavori come “C’eravamo tanto amati”, “La terrazza”, “La famiglia”, “La cena”, passando per “Splendor”, “Che ora è” e “Il viaggio di Capitan Fracassa”, con Massimo Troisi, attore cui era fortemente legato da un rapporto di amicizia, fino a “Che strano chiamarsi Federico – Scola racconta Fellini”, sua ultima opera, un documentario dedicato al maestro del cinema italiano, Federico Fellini.

Tra queste numerose perle del nostro cinema, su una vorrei soffermarmi: “Una giornata particolare”, pellicola del 1977 dove Ettore Scola fu anche autore della sceneggiatura, scritta con il contributo di Ruggero Maccari e di Maurizio Costanzo. Protagonisti assoluti gli indimenticabili Marcello Mastroianni e Sophia Loren, in una storia che si muove esclusivamente nel condominio dove loro vivono, senza altre location, caratteristica tipica della regia di Scola.

Una giornata particolare è il 6 maggio del 1938, particolare perché Hitler arriva in visita in Italia e la capitale lo accoglie con una parata militare. Certamente non è questo che rende particolare questo giorno per Antonietta e Gabriele: la prima, moglie devota e amante del fascismo e dei suoi ideali; il secondo, ex speaker radiofonico, omosessuale, non proprio in sintonia con la politica di Mussolini.

Il loro fortuito incontro è l’incontro di due anime sensibili, infelici, entrambe alla ricerca di qualcosa che non hanno, molto diversi per cultura e stile di vita, ma accomunati dalla solitudine che proviene dall’essere relegati al di fuori di quella società così fieramente mussoliniana. Due vittime della forza che non hanno, la forza che non ha Antonietta di ribellarsi a quel marito infedele e rozzo, e la forza che manca a Gabriele di poter continuare ad avere il suo amore e il suo lavoro, nonostante le discriminazioni.

Nel giro di un solo giorno i due protagonisti imparano a conoscersi, cercano di comprendere i loro mondi così distanti e presto si avvicinano, così tanto da sentirsi compresi, consolati, quasi simili, fino a scoprirsi del tutto nella memorabile scena della terrazza, un capolavoro di recitazione e regia. Ormai messi a nudo, Antonietta e Gabriele possono sentirsi liberi di trovare nell’altro, l’affetto e la dolcezza di cui hanno bisogno e quel calore umano che, alla fine, riescono a darsi fisicamente, in un rapporto strano e triste, per poi dividersi e tornare alla realtà, sempre soli, ma molto cambiati.

Il film è accompagnato dal tappeto musicale di Armando Trovajoli e dal costante sottofondo radiofonico che commenta la parata, una radiocronaca così incessante da diventare troppo ingombrante nell’incontro tra i due. La grandezza dell’opera è stata confermata dai premi ricevuti, come il Golden Globe come Miglior film straniero e due nomination all’Oscar per il Miglior film straniero e per il Miglior attore a Marcello Mastroianni, interprete che Scola amava tantissimo. Il legame del regista con questo film è evidenziato dal fatto che diciotto anni dopo, nel 1995, abbia girato nello stesso stabile il film “Romanzo di un giovane povero”.

“Una giornata particolare” è ben impresso nei ricordi anche di Sophia Loren, che all’inizio delle riprese si dimostrò molto scettica, per via dell’aspetto trascurato e del carattere sottomesso che avrebbe dovuto avere, ma nel giro di poco Ettore Scola riuscì a farle cambiare idea e a farle realizzare una delle sue migliori performance attoriali.

Con una sola location e due protagonisti che da “soli” reggono tutto il film, Ettore Scola riuscì a rappresentare sul grande schermo un periodo così buio della nostra storia e una tematica forte come quella della discriminazione e della mancanza di cultura, che condanna il popolo a farsi sottomettere facilmente.

Scola ci ha lasciato, attraverso tutte le sue opere, il suo modo unico e poetico di raccontare il nostro paese e le sue contraddizioni, sperando possa essere colto ed utilizzato come modello per ispirare gli attuali ed i futuri registi italiani. Luca De Filippo: l’ultimo erede (o quasi) di una grande famiglia

Domenico Palattella (122)

Luca De Filippo, figlio di Eduardo De Filippo, è stato l’ultimo erede di una grande famiglia, insieme al cugino Luigi, figlio di Peppino. L’ultimo autentico erede della tradizione napoletana capace di portare la sua verve non solo nel repertorio classico ma anche in quello contemporaneo conducendo una vita nel teatro, con il teatro, per il teatro. Figlio del grande Eduardo, ha portato in giro per l’Italia la grande tradizione commediografa di cotanto padre, ma non si è mai scordato di essere anche nipote di Peppino; così come Luigi non si è mai scordato di essere nipote di Eduardo; ed entrambi non si sono mai scordati di essere nipoti di Titina. Sia Luca che Luigi sono stati consapevoli fin dagli inizi della loro carriera, di essere dei privilegiati, di non aver certo dovuto vivere gli stenti che hanno dovuto passare Eduardo, Peppino e Titina per sbarcare il lunario.

Quando Luca nacque, nel 1948, Eduardo era già Eduardo, grande interprete teatrale, ma anche affermata star del cinema. Luca, ha dovuto quindi, convivere con un enorme eredità artistica, ma è riuscito ad emergere ed a creare una sua personalissima arte teatrale, ancorata al passato glorioso della sua famiglia di origine, ma comunque al passo con i tempi odierni. Nel suo repertorio non solo Eduardo, ma anche Moliére e Pirandello. La storia d’amore di Luca De Filippo con il palcoscenico è iniziata prestissimo: a soli sette anni il padre lo fece recitare nel ruolo di Peppeniello nella commedia Miseria e nobiltà del nonno Eduardo Scarpetta.

Nel giro di poco tempo Luca perse la mamma e la sorella Luisella, la bambina aveva solo dieci anni. Un’infanzia, dunque, tutt’altro che fortunata. A dodici anni si ritrova solo con un padre anziano, all’epoca Eduardo aveva 60 anni, e in un’intervista di pochi anni fa raccontava: “Mi portava alle pomeridiane e mi scriveva delle particine per tenermi con sé in scena. Ricordo per esempio un Sabato domenica e lunedì. Nel primo atto portavo la spesa a donna Rosa che preparava il ragù. Lei mi domandava come distinguevo le diverse liste di cibo sul foglio se non sapevo leggere. La mia battuta era: ‘Faccio i disegni, donna Rosa un fiore, il signore accanto le corna perché sua moglie lo tradisce”. Cose così, di cui non è rimasta traccia nei testi ufficiali”.

Il vero debutto teatrale è a vent’anni con Il figlio di Pulcinella. Usa uno pseudonimo, Luca Della Porta, perché teme di apparire “raccomandato”. Col padre lavora sia in teatro che in tv in varie commedie eduardiane, Filumena Marturano,Non ti pago, Il sindaco del rione Sanità, Napoli milionaria!, De Pretore Vincenzo, Le bugie con le gambe lunghe, Uomo e galantuomo, Natale in casa Cupiello, Gli esami non finiscono mai, Le voci di dentro, Sik-Sik l’artefice magico, Gennareniello, e ancora Dolore sotto chiave, Quei figuri di tanti anni fa, Ditegli sempre di sì, Chi è cchiù felice e me, il pirandelliano Berretto a sonagli e in alcune commedie di Eduardo e Vincenzo Scarpetta (‘O tuono ‘e marzo, Na santarella, Tre cazune fortunate).

Nel 1981, quando il padre si ritira, prende in mano la sua compagnia, cambiandogli il nome in “La compagnia di teatro di Luca De Filippo”, con cui affronta buona parte delle commedie paterne e degli Scarpetta: dirige e interpreta Uomo e galantuomo, Non ti pago, Il contratto, Penziere mieje (recital di poesie di Eduardo in parte musicate da Antonio Sinagra), Ditegli sempre di sì (la sola regia) e L’Arte della commedia.

Non solo testi di famiglia, ma anche testi classici come l’opera di Pasquale Altavilla ‘A fortuna e Pulicinella e il Don Giovanni di Molière e nel 1990 dirige Il piacere dell’onestà di Pirandello. Non solo teatro per Luca De Filippo, ma anche cinema d’autore, su tutti l’interpretazione al fianco di Sophia Loren in “Sabato, domenica e lunedì”(1989) di Lina Wertmuller; e il ruolo del padre di Silvio Muccino nel film di Gabriele Muccino, Come te nessuno mai. Il suo ultimo ruolo, nel film di Gianfranco Cabiddu La stoffa dei sogni è proprio di quest’anno, omaggio alla commedia napoletana con la storia di una modesta compagnia di teatranti che naufraga con dei pericolosi camorristi sulle coste dell’Asinara, isola-carcere del Mediterraneo.

Uscito pochi mesi prima della sua morte è un film inusuale, alto, interessante. Gli ultimissimi anni di vita sono stati frenetici: nel 2010 ha ricevuto il Premio De Sica come migliore attore teatrale, anno in cui ritorna alla regia con lo spettacolo Le bugie con le gambe lunghe di Eduardo, nel ruolo del protagonista. L’inizio del 2015 si apre con il prestigioso incarico di dirigere la Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Napoli – Teatro Nazionale, per continuare poi con l’allestimento di “Non ti pago”, che avrebbe girato le sale teatrali italiani dall’ottobre 2015 fino all’aprile dell’anno successivo. Iniziata la tournée, Luca appare sempre più affaticato, finché la malattia non gli dà scampo, non potendo più continuare la sua tournée, ma dando addio non solo alla scena, ma anche alla vita, in un’uggiosa giornata di fine novembre.

Con la sua morte è chiaro che si chiude un periodo, un’era culturale. Di Luca rimane il suo gran cuore, il suo impegno civile nei confronti dei più bisognosi, e qui vorrei chiudere con una commovente testimonianza del padre Eduardo, che pochi mesi prima di morire, nel 1984, lodava il figlio, e l’amore smodato e incondizionato che provava per lui, per l’erede più puro e autentico del suo patrimonio teatrale:

« Senza mio figlio forse io… scusate… me ne sarei andato all’altro mondo tanti anni fa. E io debbo a lui il resto della mia vita. Lui ha contraccambiato in pieno. Scusate se io faccio questo discorso e parlo di mio figlio. Non ne ho mai parlato! Si è presentato da sé. È venuto dalla gavetta, dal niente, sotto… il gelo delle mie abitudini teatrali. »

(Eduardo De Filippo, al XXX Convegno dell’Istituto del Dramma italiano a Taormina, 15 settembre 1984)