Addio al Maestro Gigi Proietti, Mito immortale della nostra vita Ci siamo svegliati questa uggiosa mattina di novembre e abbiamo esclamato “Ah, ma dunque anche i Miti muoiono?”. Già, perché mai avremmo pensato che Gigi Proietti potesse morire. La differenza tra un artista ed un Mito è proprio in questa sottile difformità. E ci si può commuovere, si, ci si può commuovere, perché vergognarsi? I Miti sono personaggi familiari, sono parte di noi, sono parte della nostra vita e delle nostre esperienze. Gigi Proietti è nato esattamente il giorno dopo di un altro immenso Mito romano e italiano, ovvero Aldo Fabrizi, con il quale condivideva tanti lati, artistici, territoriali e caratteriali. Ma i Miti poi muoiono davvero? Ne siamo proprio certi? Gli uomini d’Arte non muoiono mai perché sono capaci di parlare alle nostre emozioni, perché sono capaci di toccare le corde più profonde e più nascoste dell’animo umano, perché chi fa del bene, non muore mai sul serio. Riflettiamo: chi pensa che un Totò, uno Shakespeare o un Dante Alighieri sia morto per davvero? E’ questa la magia dell’Arte e nello specifico è questa la magia del Cinema, che tra tutte le Arti, è la più giovane, ma anche la più capace di smuovere l’anima e i sentimenti. Gigi Proietti è stato tanto: talento unico, autoironia, umorismo romano. Ma soprattutto è stato un artista poliedrico come pochi, con questa sua innata propensione multiforme che gli ha permesso non solo di calcare tutti gli strati e i substrati dello spettacolo, cinema, teatro, televisione; ma ha anche avuto modo di attraversare per intero, l’arco dei vari generi, dal drammatico al comico, dal grottesco al brillante. Gigi Proietti entra nei cuori della gente a 30 anni precisi, proprio nel 1970, quando sostituisce Domenico Modugno, accanto a Renato Rascel nella rivista Alleluja brava gente. Da allora è interprete e autore di grandi successi teatrali, tra i quali Caro Petrolini, Cyrano, I sette re di Roma e recita anche, in maniera sublime, opere tratte da Shakespeare. La sua proteiformità si manifesterà anche come autore, quando nel 1976 stringe un sodalizio con lo scrittore Roberto Lerici, insieme al quale scrive e dirige i suoi spettacoli rimasti nella storia, tra cui A me gli occhi, please, che sarà un vero trionfo. E poi c’è il cinema, con il quale ha avuto un rapporto controverso, non sempre idilliaco, ma con alcune vette artistiche e popolari, davvero considerevoli. A cominciare dal ruolo della vita, quello dello sfortunato indossatore Bruno Fioretti, detto Mandrake, in Febbre da cavallo. Siamo nel 1976 e questo film reso grande ed immortale col passare degli anni, grazie anche ai molteplici passaggi televisivi, è diventata un vero e proprio culto: una delle sequenze memorabili del film è senza dubbio quella della storica tris, che si ritorcerà contro i tre protagonisti, dei cavalli King, Soldatino e D’Artagnan. Il successo di Febbre da cavallo, accanto ad Enrico Montesano, verrà poi replicato con il suo niente affatto deprecabile seguito datato 2002, Febbre da cavallo – La mandrakata, per il quale ottiene il Nastro d’Argento come miglior attore protagonista. Ventisei anni prima grazie al primo film della serie, lo stesso attore venne definito il personaggio cinematografico dell’anno. https://youtu.be/gRP5xXn3pGA Degli oltre 40 film interpretati, possiamo suddividere la sua carriera cinematografica, in due macroaree: gli anni ’70, almeno fino all’ottima prova di Casotto, amara commedia di Sergio Citti; e gli anni 2000, dove proprio dal già citato Febbre da cavallo-La mandrakata in poi, prende parte a numerose pellicole, come signorile e ancora affascinante attore di mezz’età. Nella prima macroarea va almeno nominata la pellicola Conviene far bene l’amore, film del 1975, che rimane tra le migliori prove del Gigi Proietti cinematografico. Futurista, nel film è immaginata una civiltà del futuro alle prese con la crisi energetica, nella quale si scopre il sistema di trarre energia dai rapporti sessuali, facendoli diventare un obbligo. Si tratta di un curioso ibrido, particolarmente riuscito, tra commedia erotica e commedia di fantascienza influenzato dalle teorie di Wilhelm Reich (l’autore di La funzione dell’orgasmo) e dalla crisi petrolifera dei primi anni ‘70. Infatti il film esce in un’epoca dove viene sfatato il mito dell’inesauribilità delle fonti energetiche, nel contesto della crisi energetica di inizio anni ‘70 e dell’applicazione della cosiddetta Austerity. E poi quì va citato un vero e proprio gioiello del Gigi Proietti maturo, ovvero l’episodio finale di Un’estate al mare, commedia ad episodi del 2008 diretto dai fratelli Vanzina. Questa pellicola si regge unicamente sull’ultimo geniale ed esilarante episodio che vede come protagonista un grande Gigi Proietti, in una delle migliori interpretazioni della sua carriera. Se tutti gli altri episodi sono mediocri, raffazzonati e francamente dimenticabili, quello intitolato La signora delle Camelie, omonimo titolo del romanzo di Alexandre Dumas, si erge come uno dei prodotti comici più belli della storia del cinema italiano. La parodia dell’opera di Dumas è tratta da un vecchio sketch dell’umorista Dino Verde, reso però con epica bravura dalla vis-comica, quì eccezionale, di Gigi Proietti. Peccato, che l’episodio, un vero e proprio gioiellino dell’arte comica, sia stato inserito in un film così mediocre, ma è anche vero che se ci si ricorda di Un estate al mare è proprio per questo cortometraggio. https://www.youtube.com/watch?v=0xS9iueOMao Gli anni ’80 e ’90 saranno invece dedicati, oltre che al teatro, suo grande amore mai dimenticato, alla televisione, sia in veste di show-man che come interprete di serie televisive. Come show-man si ricordano spettacoli di successo come Sabato sera dalle nove alle dieci, Fatti e fattacci e Fantastico. Ma è soprattutto come interprete di serie televisive, che Gigi Proietti raggiunge l’apice della sua popolarità e del suo successo. Quello del Maresciallo Rocca, sarà infatti, il secondo ruolo della sua vita. Qui l’attore romano interpreta il ruolo di Giovanni Rocca, vedovo con tre figli, maresciallo comandante della stazione dei Carabinieri di Viterbo, che tra un caso e l’altro si innamora di una deliziosa farmacista, interpretata da Stefania Sandrelli. La serie, partita in sordina su Rai 2, conquista i favori del pubblico fino a superare agevolmente i dieci milioni di telespettatori a sera: l’ultima puntata del 12 marzo 1996 registrò il record di quasi 16 milioni di spettatori. Il colossale successo impone ai due autori, ai registi (al veterano e collaudato Capitani si alternano Lodovico Gasparini, José María Sánchez e Fabio Jephcott) e al protagonista la realizzazione di ben cinque stagioni, realizzate tra il 1998 e il 2005. Anche gli ultimi anni di vita hanno visto Gigi Proietti molto attivo tra cinema e televisione. Tra il 2014 e il 2018, in tv prende parte alla serie Una pallottola nel cuore, diretto da Luca Manfredi; mentre dal cinema gli arrivano due delle soddisfazioni più grandi della sua vita: nel 2018 riceve il prestigioso Nastro d’Argento alla carriera, di fronte agli applausi scroscianti di una platea commossa; e nel 2019 è stato in sala con il Pinocchio di Matteo Garrone nei panni di Mangiafuoco, un ruolo che, per sua stessa ammissione, ha molto amato. Esattamente come Shakespeare, per uno strano scherzo del destino, Gigi se n’è andato il giorno stesso del suo 80esimo compleanno, lui che scherzava sempre sulla sua data di nascita (n.d.a. 2 novembre 1940). Una pratica del destino, quella di morire lo stesso giorno in cui si è nato, che viene lasciata solo ai veri grandi, alla stessa stregua di chi sogna di morire sul palcoscenico, così, con le braccia aperte, nel ricevere gli applausi scroscianti del pubblico, in un ultima, grande ed immortale recita. Quest’anno, segnato dal Covid, Gigi Proietti, si era battuto fino all’ultimo in difesa di quell’Arte suprema dello spettacolo, riaprendo in estate, dopo la prima pandemia, il suo Globe Theatre estivo nel cuore verde di Villa Borghese, a Roma. In questa città che lo annovera tra i suoi figli più meritevoli, e alla quale lui, pochi mesi fa aveva regalato i suoi ultimi capolavori teatrali, riportando in scena Shakespeare, per donare “questa magia ai più giovani, perché possano riprendere a sognare e a cambiare il mondo”. Grazie Gigi, ci mancherai, anche se sappiamo dove sei ora. Come nell’Antica Grecia, ci sarà un Olimpo, perché deve per foza esserci un Olimpo riservato agli artisti, e stai lì con Totò, con i fratelli De Filippo, con Massimino [Troisi], ne sono certo, perché il tuo posto è lì affianco a loro. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Addio a Bernardo Bertolucci, il Maestro del cinema della trasgressione “Così italiano e così internazionale. Così sofisticato e così nazional-popolare. Così letterario e così visuale”. Con Bertolucci, scompare l’ultimo grande Maestro crepuscolare del nostro cinema. Titoli epici come Ultimo tango a Parigi, Novecento e Il tè nel deserto, sono quasi dei poemi omerici, per la cura maniacale, per l’attenzione alla colonna sonora, per il genio di uno degli artisti italiani più incisivi della storia culturale nazionale del ‘900. Bertolucci proveniva da una famiglia già ampiamente addentrata nel significato profondo di “cultura”: il padre Attilio era un famoso poeta. E come se non bastasse il suo esordio cinematografico avviene come aiuto-regia di Pier Paolo Pasolini e ha intessuto fin da subito amicizie sincere con Alberto Moravia, Elsa Morante e Dacia Maraini.
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