Iii. - I Prodotti Dei Lagoni
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III. - I PRODOTTI DEI LAGONI. Passate così in breve rassegna le località che durante il Medioevo fornirono all’industria estrattiva gli elementi per svolgere la propria attività, ed accertata l’identità fra le ma- nifestazioni attuali e le lacunae di allora, rimane da esaminare in particolare i prodotti che più largamente i mercanti ricer- carono fra i molti che la natura dei lagoni poteva offrir loro, ritraendone, se possibile, qualche caratteristica del traffico. È importante fino da ora tenere presente che, se nel 1289 i lagoni di Castelnuovo, nel 1299 quelli di Cornia, nel 1301 quelli di spettanza vescovile formavano oggetto di larghe con- trattazioni e di essi si parlava come di attività ormai nota ed acquisita dall’economia comunale, è evidente che il loro sfrut- tamento, ormai generalizzato, risaliva ad una data di certo an- teriore. Questa incognita data è da mettere in relazione allo sviluppo mercantile dei maggiori centri della Toscana, soprat- tutti Pisa e Firenze, per i quali lo zolfo, l’alllume, il vetriolo costituivano indispensabili materie prime per le loro manifat- ture e ricercati prodotti di traffico. L’accertata attività industriale sul territorio e sulle risorse naturali dei lagoni elimina ogni incertezza sull’esistenza e sul- l’entita del fenomeno: riteniamo quindi superfluo, di fronte alla realtà dei libri di commercio, discutere od approfondire (229) Si stanno ora svolgendo nel territorio di Micciano ricerche di carattere minerario, il cui risultato non è ancora noto. Pare tut- tavia accertata la presenza di rame e di tracce di molibdeno e anti- monio. Di una miniera di rame in Libbiano si ha ricordo in Rapp. della Pub. Esp., cit., p. 65. — 100 — sicure o supposte descrizioni di poeti e naturalisti medievali e moderni (230), e ricercarne, di proposito, inedite testimo- nianze. § I. - Zolfo. Il prodotto più abbondante ed anche più redditizio, at- teso il sicuro esito che di esso si faceva sui mercati di consumo e di intermediazione, era costituito dallo zolfo. La raccolta del minerale e la successiva raffinazione non richiedevano un’at- trezzatura tale da determinare un cospicuo investimento di ca- pitale fisso, nè era rischioso dedicarsi ad una attività che, se dell’impresa mineraria non divideva la caratteristica del lucro vistoso ed immediato, non ne partecipava però che in limitata misura all’incerta prospettiva. Lo zolfo si formava nel ribollimento di quei lagoni erom- penti generalmente in terreni argillosi, ed andava via via ac- cumulandosi nella loro poltiglia e nei loro contorni (231). In (230) Sulla possibilità di un accenno al fenomeno dei lagoni nel Canzoniere dantesco (canzone VIII, stanza V), prospettata da Ezio SOLAINI, v. NASINI, p. 27., Cfr. le obiezioni sollevate da L. PE- SCETTI, in « Rassegna Volterrana », 1930, II, p. 89 e sgg. (231) Come è stato altrove rilevato, lo zolfo è incluso nel vapore dei soffioni sotto forma di idrogeno solforato. In presenza dell’aria, parte di esso si deposita sul terreno (se di natura silicea), parte si tra- sforma in acido solforico, che salifica i minerali con i quali viene a trovarsi a contatto (v. pp. 80, 113, e note 344, 351). Il GAZZERI ebbe l’opportunità, nel 1809, di eseguire l’analisi della poltiglia di un lagone, allora usata, sembra con incoraggianti risultati, nella cura di malattie cutanee. Su 100 parti di terra l’analisi registrò: solfato di ferro (vetriolo) parti 8, solfato di calcio 5, zolfo 40, allumina 8, ossido di ferro 1,50, acqua 5, perdita 1,5. Mentre l’assenza dei carbonati si spiega con la loro eliminazione ad opera dell’acido solforico, può notarsi che il vapore erompeva verosimilmente in terreno siliceo con inclusioni calcaree. Non avendo trovato traccia di acido borico, il GAZZERI concluse che la terra proveniva da un lagone privo di quella sostanza (G. GAZZERI, Analisi della terra dei bulicami o la- — 101 — modo analogo, i soffioni cosidetti secchi, che scaturivano nella roccia di natura silicea, depositavano quantità notevoli del giallo minerale. Ancora oggi possono vedersi ad esempio al Sasso, in località Acquaviva, od a Castelnuovo, nella zona dei Marmoni, ricchi depositi di zolfo, formati sulla roccia pervasa dai gas dei soffioni. Staccando dei pezzi di pietra, vi si notano abbondanti fioriture cristalline di zolfo, che con poca fatica potrebbero ridursi allo stato puro. Naturalmente, i depositi sono superfi- ciali o quasi, essendo necessaria la presenza dell’aria affinchè le reazioni relative alla formazione dello zolfo possano svilup- parsi. Quando lo spessore del crostone era giudicato sufficiente per la sua manipolazione, gli zolfai frantumavano l’incrosta- zione con delle zappe e, raccolto il minerale, lo mettevano a cuocere in giare di terra. Da queste, lo zolfo allo stato liquido saliva in un bucciuolo, dal quale colava in apposite formelle, mentre le scorie rimanevano al fondo delle giare (232). Lo spazio di dieci anni era ritenuto necessario per ottenere dai lagoni e dalle putizze un crostone di zolfo dello spessore di due dita, atto a fondersi (233). Uguale procedimento si se- guiva per ricavare lo zolfo dalla roccia in cui trovavasi incluso. Per avere in continuazione il pregiato minerale, l’insieme delle attività solfatariche di una determinata zona era indub- goni del territorio volterrano, in « Annali del Museo Imperiale di Fisica e Storia naturale di Firenze », 1809, t. II, II, p. 143). Il celebre metallurgista senese VANNOCCIO BIRINGUCCIO, nel par- lare dello zolfo ricavato dai terreni ove si notano fenomeni pseudo vulcanici, allude evidentemente ai lagoni del Volterrano e del Senese, pur senza avere visitato i luoghi (V. BIRINGUCCIO, De la pirotechnia [1540], ed a cura di A. MIELI, I, Bari, 1914, p. 174). (232) RONDINELLI, rel. cit., c. 6t.: « Il giallo è in più luoghi, e svapora sopra la terra tre dita d’altezza in circa, facendo crosta, la quale presa, e posta in giare di terra a cui si dà fuoco, colandosi il zolfo rimane la terra, entrando esso per canaletti ne’buccioli »; TAR- GIONI, III, p. 342 e bibl. cit. (233) Ibid., p. 342. — 102 — biamente sottoposto ad una vera e propria rotazione produt- tiva, e le notevoli quantità di zolfo esportato fanno inten- dere come lo sfruttamento dei bulicami avvenisse razional- mente, su una scala abbastanza estesa. Se perciò si pone mente, ad esempio, alla locazione delle lumaie di Castelnuovo o allo sfruttamento delle putizze di Libbiano e Micciano, non dob- biamo immaginarci un quadro limitato ad un modesto com- mercio locale, causale, quando è più aderente alla realtà sto- rica allargarne i confini verso un’attività continua e rilevante. Il prodotto ottenuto dalla lavorazione dei crostoni era co- nosciuto in commercio con il nome di zolfo giallo, che uno scrittore cinquecentesco locale descrive, con vivida espressione, del colore dell’oro e dello splendore del cristallo (234). Tal- volta alcune incrostazioni di minerale si presentavano quali eleganti e curiose fioriture cristalline, aghiformi, stalattiti- che (235), le migliori delle quali, messe in commercio allo stato naturale, erano conosciute come fiori di zolfo o zolfo vergine, di pregio particolare. Accanto allo zolfo giallo, un’altra varietà del minerale era conosciuta nel commercio medievale: lo zolfo nero o di cava, la cui produzione era localizzata nel poggio di Fontebagni, sulla destra del torrente Trossa, fra Libbiano e Pomarance (236). Esso non aveva alcuna attinenza, nelle caratteristiche di pro- duzione, con lo zolfo giallo, trovandosi in masse compatte alla profondità di circa cinque metri. Lo zolfo ottenuto dalla fusione di questo minerale, che in natura si presentava di co- lore scuro (onde il nome di zolfo nero), differiva da quello dei crostoni per l’aspetto più pallido, con leggera tendenza al grigio. È da supporre che la presenza, in relativa profondità, di tali masse di zolfo sia strettamente connessa alla natura del- (234) FALCONCINI, op. cit., p. 548. (235) BARTALINI, op. cit., p. 338; GIULI, op. cit., p. 19. (236) TARGIONI, III, p. 353 e bibl. cit.; v. App., doc. X. — 103 — l’insieme delle manifestazioni che hanno caratterizzato lo svol- gimento dei lagoni boraciferi, e rappresentino depositi, forma- tisi col tempo, degli stessi zolfi dei crostoni, così come le cave di allume costituirebbero ammassamenti metamorfizzati di concrezioni saline. Frammisti alle stratificazioni dello zolfo cosiddetto nero si riscontravano degli arnioni di alabastro ges- soso (237), la cui formazione si ritiene da taluno dovuta ad un processo di solfatazione di rocce calcaree (238): fenomeno da connettersi indubbiamente alle medesime cause di manifesta- zione dei lagoni, pure se svolti in successione di tempi. Certamente, grande cautela dovrà avere il geologo nel for- mulare ipotesi in proposito, poichè, pure ammesso che la ge- nesi sia sempre dovuta ad attività vulcanica, può dubitarsi che lo stesso fenomeno endogeno, che determina la formazione dello zolfo e dei concreti salini sul terreno dei lagoni, abbia originato i depositi di zolfo e di allume, quali rispettivamente quelli di Fontebagni e del Sasso. Le masse di minerali borici e di altri sali che, depositati dall’evaporazione delle acque dei lagoni, si ritrovano seppelliti nel terreno, sono a poca profon- dità e circoscritti ai centri di esplosione dei soffioni. È da tener conto che i giacimenti di Fontebagni sono distanziati dal gruppo dei soffioni di Montecerboli, che è il più vicino, km. 8 in linea d’aria, mentre 3 km. li separano, al’incirca, dalla putizza principale di Libbiano. Non si dimentichi poi che nel ‘700 era necessario scendere di 7 - 8 braccia nel sottosuolo per tro- vare il minerale di zolfo. Quanto all’allume potrà porsi util- mente a confronto il materiale delle cave di Monteleo con quello del Sasso, ricordando che durante i sec. XV e XVI i filoni tro- vati in quest’ultima località tendevano ad esaurirsi presto, e (237) TARGIONI, III, p. 352. Le masse di zolfo alternate a for- mazioni gessose richiamano stranamente le solfatare siciliane.