CONFIMI

11 giugno 2018

La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la esegue; MIMESI s.r.l. declina ogni responsabilità derivante da un uso improprio dello strumento o comunque non conforme a quanto specificato nei contratti di adesione al servizio. INDICE

SCENARIO ECONOMIA

11/06/2018 Corriere della Sera - Nazionale 5 «Euro e bilancio Ora da Roma segnali positivi»

11/06/2018 Corriere della Sera - Nazionale 7 Autostrade: la concorrenza che non c'è

11/06/2018 Corriere L'Economia 10 «il made in italy non è terreno di caccia compriamo anche noi»

11/06/2018 Corriere L'Economia 13 Pensioni eterne L'Inps paga 758 mila assegni da più di... 37 anni

11/06/2018 Corriere L'Economia 15 ITALIA L'arma (spuntata) dell'euro

11/06/2018 Corriere L'Economia 17 l'europa è pronta per il nuovo rinascimento

11/06/2018 Corriere L'Economia 20 Massimo Doris Politici, Siate pragmatici o non si cresce più

11/06/2018 Corriere L'Economia 22 un altro sud (così) si può

11/06/2018 Corriere L'Economia 24 EXPORT (solo) lontano da casa cresce il fatturato

11/06/2018 Il Sole 24 Ore 26 La nuova mappa dell'evasione: i consumi battono i redditi del 14%

11/06/2018 La Repubblica - Affari Finanza 29 Bertelli: "L'euro ci ha difeso attenti al debito e al futuro"

11/06/2018 La Repubblica - Affari Finanza 33 Concorrenza, se il Tar ferma le multe Antitrust

11/06/2018 La Repubblica - Affari Finanza 36 Difesa, troppi sprechi un salasso per l'F35

11/06/2018 La Repubblica - Affari Finanza 40 Perchè la legge Fornero serve ai giovani 11/06/2018 La Repubblica - Affari Finanza 42 Il mercato ha bisogno del governo

11/06/2018 La Repubblica - Affari Finanza 44 Azevêdo Mister Wto un brasiliano tra Usa e Cina

11/06/2018 La Repubblica - Affari Finanza 47 "Famiglie e aziende si conquistano vendendo qualità"

11/06/2018 La Stampa - Nazionale 49 I centri per l'impiego trovano lavoro a 3 disoccupati su 100

SCENARIO PMI

11/06/2018 Corriere L'Economia 53 Il Risparmio gestito alla sfida low cost

11/06/2018 Corriere L'Economia 56 investo in startup e lo faccio online

11/06/2018 Corriere L'Economia 58 Soffiare, riempire, sigillare: i flaconi monouso corteggiati da fondi e Borsa

11/06/2018 Corriere L'Economia 59 mezzogiorno D'affari

11/06/2018 La Repubblica - Firenze 60 IL MANAGER SI PRENDE IN AFFITTO

11/06/2018 La Repubblica - Affari Finanza 62 Le aziende di famiglia aprono il capitale con Aim, Spac e private

11/06/2018 La Repubblica - Affari Finanza 64 Fiere, sistema in salute Riello: "Motore dell'export ma pesa il nodo tasse"

11/06/2018 ItaliaOggi Sette 66 Csr, anche la pmi ci guadagna

SCENARIO ECONOMIA

18 articoli 11/06/2018 diffusione:216569 Pag. 1 tiratura:310275 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

intervista a Weber (PPE) «Euro e bilancio Ora da Roma segnali positivi» Luigi Offeddu a pagina 10

Il neoministro italiano dell'Economia, Giovanni Tria, si impegna a fare di tutto perché l'Italia rimanga nell'area euro. Che cosa ne pensa, presidente Weber? «Che sono molto contento di queste sue parole, e che la sua è una linea estremamente positiva. Soprattutto nel quadro dell'eurozona di oggi». Manfred Weber, bavarese di 45 anni, è il presidente del gruppo del Partito popolare europeo all'Europarlamento, ed è da sempre considerato il portavoce ufficioso della cancelliera Angela Merkel nelle aule di Strasburgo e Bruxelles. Commenta le parole pronunciate da Tria nella sua prima intervista, rilasciata ieri al Corriere della Sera: «Non è solo che non vogliamo uscire (dall'area, ndr): agiremo in modo tale che non si avvicinino condizioni che possano mettere in discussione la nostra presenza nell'euro». In sostanza, Roma vuole tenere sotto controllo il rapporto fra debito pubblico e Prodotto interno lordo, e avviare riforme interne che siano alimentate da un bilancio pubblico di investimenti; strategia italiana, spiega Weber, che è potenzialmente «ben compatibile» con quanto si sta facendo oggi nell'Unione Europea e nell'eurozona: per esempio, con il bisogno di riforme interne già rilevato in Germania, Spagna e Austria, e con quel percorso verso una crescita del 2,5% nell'area euro alimentato soprattutto dagli investimenti. Perché «possiamo risolvere i problemi solo se stiamo insieme, se parliamo, se collaboriamo con un'idea comune dell'euro». Che ne pensa dei nuovi leader italiani? Per i loro oppositori, sono un pugno di populisti... «Per me, a Roma siede oggi un governo eletto democraticamente dal popolo italiano, e io rispetto i risultati delle elezioni. È estremamente positivo come si comporta il nuovo ministro delle Finanze. E questo è stato anche un successo del presidente Mattarella, che si è impegnato a trovare un ministro delle Finanze difensore della permanenza dell'Italia nell'eurozona». Però non è stato semplice... «È stato certo un periodo difficile, ma secondo me ora è importante non guardare indietro a questo. Bisogna ascoltare le voci italiane del presente. Ascoltare ciò che dice il vostro nuovo ministro delle Finanze, che è in linea con ciò che possiamo fare nell'eurozona». E la riforma delle pensioni? Tria dice che la legge si può migliorare, ma «con attenzione alla sostenibilità. Su queste materie non si improvvisa». «Sono pienamente d'accordo. Nell'ultimo decennio, ogni Paese membro dell'Unione si è trovato con la necessità di questa riforma, e di fronte a una questione fondamentale: la nostra società sta invecchiando, e questo per me è uno sviluppo positivo perché possiamo vivere più a lungo. Ma questo sviluppo positivo ha un impatto sulle nostre finanze, e bisogna adattarsi a pagamenti più ridotti quando si va in pensione. È una sfida che bisogna affrontare e comprendere, senza costi aggiuntivi per le generazioni future. E mi lasci aggiungere qualcos'altro». Prego. «Noi in Europa dobbiamo smetterla di finanziare le riforme delle pensioni, o altre riforme sociali, o qualsiasi altra azione, con il debito, con i soldi prestati dalle banche. Questo

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 5 11/06/2018 diffusione:216569 Pag. 1 tiratura:310275 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

approccio è finito, deve finire. Perciò, ancora una volta, comprendo e condivido quel che dice il vostro ministro delle Finanze». E poi c'è un altro problema, che riguarda questa volta tutti gli europei: quel mister Donald Trump che pianta in asso il vertice G7 nel Quebec e se ne va quasi senza salutare. Che impressione vi ha fatto? «Penso che molte persone siano choccate dai comportamenti del presidente Trump. E dal suo non mostrare rispetto, qualche volta, per dei leader democraticamente eletti: in Quebec, è stata davvero un'esperienza talmente nuova... Se poi lui è veramente deciso a insistere con le sue tariffe più alte, questo può avere un impatto diretto e drammatico sulle condizioni di vita dei cittadini europei. Perché noi siamo un continente che dipende dal commercio. Ma in questo senso, in Quebec c'è stato un fatto positivo: che siamo rimasti uniti, e all'atmosfera positiva ha contribuito anche la presenza del vostro neo-premier Conte. Ancora una volta: l'Europa deve parlare con una sola voce, e così può avere del potere anche nei confronti dell'America o della Cina. Se no, è estremamente debole». © RIPRODUZIONE RISERVATA Foto: L'intervista al ministro dell'Economia Giovanni Tria pubblicata ieri sul Corriere della Sera Manfred Weber, 45 anni, è il presidente del gruppo del Partito popolare europeo all'Europarlamento

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 6 11/06/2018 diffusione:216569 Pag. 1 tiratura:310275 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Autostrade: la concorrenza che non c'è Milena Gabanelli e Ferruccio Pinotti a pagina 23

Neanche fossero un tappeto da biliardo! Le nostre autostrade sono le più care d'Europa. In Germania, Olanda e Belgio sono gratuite; anche in Spagna per le Autovie, che coprono quasi l'intera nazione, non si paga. In Austria e Svizzera bisogna invece fare un abbonamento annuale che costa rispettivamente 87,30 euro, e 40 franchi (35,60 euro). In Francia - che ha una rete di oltre 9.000 km - il sistema di pedaggi è simile al nostro, basato sui caselli, ma meno caro: Parigi-Lione sono circa 450 km, e in auto si pagano 33,30 euro. Lo stesso chilometraggio (per esempio Bologna-Ventimiglia) in Italia costa 40,50 euro. Le radici di questa disparità affondano nelle concessioni: oltre ai mille chilometri gestiti da Anas, per gli altri seimila chilometri le concessioni sono 26, ma quasi il 70% se lo spartiscono da anni due grandi player. Il Gruppo Atlantia (Benetton), che controlla Autostrade per l'Italia e gestisce circa 3.000 chilometri, e il Gruppo Gavio, che gestisce poco più di 1.200 km. Gli altri 1.650 sono gestiti da società controllate da enti pubblici locali e concessionari minori. La concorrenza Dopo continui richiami sul tema della concorrenza, Bruxelles ha messo il dossier sul tavolo della Commissione. Un anno fa lo Stato italiano è stato deferito alla Corte di giustizia per non avere messo a gara la realizzazione dei lavori della Civitavecchia-Livorno, prorogando la concessione alla Società autostrada Tirrenica Spa, partecipata al 99% dall'Atlantia dei Benetton. Ma l'appoggio ai signori delle autostrade è sempre stato bipartisan. A partire dagli anni '90 sono state rinnovate molte concessioni, sia da governi di destra che di sinistra, mediante proroghe anche di oltre vent'anni e senza gare pubbliche. La contropartita è la promessa di investimenti: però se si va a vedere nell'ultima relazione attività del ministero dei Trasporti si scopre che succede il contrario. Per l'anno 2016 il valore degli investimenti è 1.064 milioni di euro, il 23,9% in meno rispetto all'importo a consuntivo dell'esercizio precedente. Anche la spesa per le manutenzioni è calata del 7% rispetto al 2015. Gallina dalle uova d'oro Il fatturato del 2017 del settore autostradale è stato di quasi 7 miliardi e l'83% dei ricavi arriva dai pedaggi. Le concessioni generano per lo Stato canoni complessivi di oltre 841 milioni (dati 2016). Un business ricchissimo per i privati, e non a caso la famiglia Benetton è in testa nella classifica delle cedole che le società quotate staccheranno nel corso del 2018, con quasi 377 milioni di dividendi. I 97 milioni in più rispetto all'anno scorso sono in gran parte frutto della partecipazione in Atlantia, che ha ulteriormente alzato la posta della distribuzione ai soci portandola da 0,97 a 1,22 euro per azione (ovvero quasi 63 milioni in più nella cassaforte della famiglia). Arrotonda l'incasso dei Benetton la partecipazione in Autogrill (il cui dividendo è passato da 0,16 a 0,19 euro per azione). I lavori «in house» L'affidamento dei lavori a società controllate dai concessionari è un mercato stimabile intorno ai 3,5 miliardi di euro. Le società che lavorano di più «in house» sono Itinera del gruppo Gavio e la Pavimental del gruppo Benetton, cioè Autostrade per l'Italia. La riforma dei lavori pubblici e il Codice degli appalti 2016 avevano previsto, a partire dal 18 aprile 2018, l'innalzamento dal 60 all'80% della quota obbligatoria dei lavori da mettere a gara. Era uno scherzo: nell'ultima legge di bilancio la soglia è stata riportata al 60%.

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 7 11/06/2018 diffusione:216569 Pag. 1 tiratura:310275 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Le tariffe L'attuale regime di proroga prevede l'incremento annuo dei pedaggi del 2,75% (oltre il doppio dell'inflazione), un tasso che la Commissione ha chiesto di ridurre allo 0,50%. Molto alta la remunerazione del capitale investito dai concessionari, prevista dalle leggi italiane ancora in vigore: un tasso di interesse del 7,95% all'anno. Mentre sul denaro che chiedono in prestito (anche a Cassa Depositi e Prestiti) pagano l'1,7%. La decisione dell'Ue Il 17 maggio 2017 l'esecutivo Ue ci aveva ricordato per l'ennesima volta «che la proroga di una concessione equivale a una nuova concessione» e dunque va messa a gara. Dopo una trattativa durata un anno, il 27 aprile 2018 anche l'Europa, tramite il Commissario alla Concorrenza Margrethe Vestager, si è arresa accettando un compromesso: disco verde in cambio di 8,5 miliardi di investimenti delle concessionarie italiane. Il piano, accolto in base alle norme Ue sugli aiuti di Stato, prevede la proroga delle due maxi concessioni detenute da Autostrade per l'Italia (Benetton) e Società Iniziative Autostradali e Servizi (Gavio). Il rinnovo delle concessioni dovrebbe consentire ai Benetton di portare a termine tempestivamente la cosiddetta «Gronda di Genova», mentre la Sias (Gavio) finanzierà gli investimenti necessari a concludere i lavori della Asti-Cuneo A33. In sostanza: Autostrade per l'Italia che già vantava una concessione rinnovata in automatico fino al 2038, con il consenso dell'Ue se la vede allungata fino al 2042. Mentre quella di Gavio sulla A4 Torino-Milano gestita da Sias, che scadeva nel 2026, è stata prorogata al 2030. Altre concessioni scadono nel 2046 (Sat spa) o nel 2050 (Sitaf spa, Società Italiana Traforo Monte Bianco). Sanzioni La Commissione ha previsto l'imposizione di sanzioni in caso di ritardi nel completamento lavori o di mancata realizzazione degli investimenti. L'Italia dal canto suo si impegna a introdurre dei massimali sugli aumenti dei pedaggi e ad abbreviare di 13 anni la durata della concessione di Sias per l'autostrada Asti-Cuneo, per poi mettere a gara la tratta, insieme alla Torino-Milano. Sul resto, chi vivrà vedrà. Certo, siamo stati bravi ad ammorbidire l'Europa, che per anni ha detto: «dovete costruire un regime di vera concorrenza». Si può brindare all'ottimo risultato portato a casa, forse non esattamente nell'interesse dei cittadini. © RIPRODUZIONE RISERVATA CdS 70% della rete privata Atlantia (Benetton) Gruppo Gavio Società controllate da enti pubblici locali e concessionarie minori La rete autostradale italiana 1.000km Gestione A.N.A.S. Gestione privata 26 concessioni* 6.000km Investimenti (in milioni di euro) Manutenzione (in milioni di euro) 500 1000 1500 2000 2500 2009 '10 '11 '12 '13 '14 '15 '16 2009 '10 '11 '12 '13 '14 '15 '16 600 620 640 660 680 700 720 0 1.064 milioni -23,9% rispetto al 2015 646 milioni -7,3% rispetto al 2015 Autostrade per l'Italia (ATLANTIA) 2038 A4 Torino-Milano (Gruppo Gavio) 2026 2042 2030 scadenza scadenza Il costo delle autostrade per gli automobilisti in Europa Austria Germania Belgio Spagna (Autovie) Olanda abbonamento annuo Svizzera abbonamento annuo Francia Parigi-Lione circa 450 km € 87,30 Gratuite € 35,60 € 33,30 l'incremento medio annuo dei pedaggi +2,75% 1.200 km 1.650 km 11 concessioni 8 concessioni 1.000 km A.N.A.S (alcuni tratti possono risultare mancanti a seconda delle fonti) *una non ancora in esercizio Fonte: ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti 3.020 km 6 concessioni Le concessioni prorogate dall'Ue € 40,50 ITALIA Bologna- Ventimiglia circa 450 km Roma Torino Venezia Napoli Palermo Reggio Calabria Milano

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 8 11/06/2018 diffusione:216569 Pag. 1 tiratura:310275 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

L'inchiesta «Dataroom» è la striscia curata da Milena Gabanelli per il «Corriere della Sera» Le uscite sono quattro alla settimana sul sito Internet e sulle pagine social del «Corriere» Ogni puntata ospita un video di 3 minuti a cui si aggiunge un approfondi-mento corredato da grafici e rimando alle fonti «Dataroom» si avvale della collaborazione di tutti i giornalisti del «Corriere della Sera» che di volta in volta affiancano Milena Gabanelli in relazione alle loro specifiche competenze In questa puntata, oggi sul sito del «Corriere», viene affrontato il tema delle concessioni autostradali in Italia, dove i pedaggi sono più alti rispetto al resto dell'Europa Foto: Leggi online sul sito del Corriere della Sera tutte le inchieste di Milena Gabanelli per la sezione «Dataroom»

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 9 11/06/2018 Pag. 1 N.24 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato palmieri (piquadro) «il made in italy non è terreno di caccia compriamo anche noi» Maria Silvia Sacchi 14 di Maria Silvia Sacchi

Dove vuole arrivare nei prossimi cinque anni? «Guardi, se arrivo a stasera è già tanto... Sono stanco morto». Marco Palmieri ha appena annunciato la firma per l'acquisizione di Lancel, la maison francese creata da Angèle Lancel nel 1876 e il cui negozio di Place de L'Opéra lavora ininterrottamente dal 1921. La tensione delle ultime settimane inizia a scendere. Per Marco Palmieri, che ha fondato e guida Piquadro, gruppo della pelletteria da quasi 100 milioni di euro di ricavi e quotato in Borsa dal 2007, Lancel rappresenta la seconda acquisizione in un anno e mezzo. Prima del brand parigino aveva rilevato la società fiorentina The Brigde (disse: «Mi sono innamorato del marchio The Bridge quando, visitando i migliori mercati vintage del mondo, ci ho trovato la doctor bag, la postina, i bauli, le valigie, pezzi da collezione per veri estimatori»). Ma in questa seconda operazione c'è qualcosa di più. Qualcosa di simbolico nel fatto che sia stato un italiano, per una volta, a rilevare un brand di Parigi, e non il contrario come è avvenuto negli ultimi due decenni. Lancel, la maison che ha fatto le borse di Brigitte Bardot, la Marianna di Francia. Certo, si parla di dimensioni più piccole rispetto a un certo mega-shopping francese che si è visto in Italia. L'ultimo fatturato di Lancel è stato di circa 53 milioni di euro con un margine operativo lordo negativo di 23 milioni, e Piquadro pagherà l'acquisizione con una parte degli utili che l'azienda produrrà nei prossimi 10 anni fino a massimo di 35 milioni di euro. E, certo, a vendere è stato il gruppo svizzero Richemont che fa capo a Johann Rupert, l'imprenditore di origini sudafricane che aveva rilevato Lancel nel 1997 per 210 milioni (quando la maison aveva ricavi per 125 milioni), e non direttamente una società francese. Ma accanto «alla soddisfazione, sento anche un grande senso di responsabilità - dice Palmieri -. Compriamo qualcosa che ha 150 anni di storia, è francese, e siamo italiani». Si ferma. Poi aggiunge: «Stamani mentre venivo a lavorare ho visto in edicola la locandina di un magazine, diceva "italiani cialtroni", mentre io sono qui a Parigi per far andare meglio un marchio francese. Adesso vado a comprare quel magazine». Tutele Quella che si è appena conclusa è stata una trattativa con gentiluomini. «Persone di una correttezza e di una etica fuori dal comune - sottolinea più volte il fondatore di Piquadro -. Hanno sempre operato per metterci nelle condizioni di dare continuità a Lancel, perché il loro obiettivo era che Lancel avesse un futuro. E penso che anche il fatto che noi fossimo una famiglia, e non un investitore finanziario, ci abbia favorito. Siamo una famiglia di industriali, non andremo via da Piquadro perché è la nostra azienda, e abbiamo competenze industriali che metteremo a disposizione di Lancel». Quali sono adesso i piani per la neo acquisita? «Per il momento siamo in osservazione - risponde -. Pensiamo che Lancel abbia bisogno di velocità e di dinamismo e sicuramente possiamo aiutare in questo senso, anche aumentando la produzione nei momenti di picco. Per il primo anno, comunque, ci siamo impegnati a non intervenire sul personale, come già abbiamo fatto con The Bridge. Alla fine, anziché ridurre i dipendenti, ne abbiamo assunti di nuovi». La società francese, per la quale Piquadro era in trattative da tempo, ha una rete di 60 negozi a gestione diretta e 11 in franchising ed è presente in 39 paesi, tra cui la Cina. Il comunicato ufficiale sottolinea che «alla data di perfezionamento dell'acquisizione, il gruppo

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 10 11/06/2018 Pag. 1 N.24 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Lancel presenta una posizione finanziaria netta positiva di circa 41 milioni di euro, con risorse finanziarie sufficienti per supportare l'attività del gruppo, una struttura di costi operativi annuali significativamente ridotta per effetto di azioni già adottate da Richemont nonché un patrimonio netto stimato di circa 36 milioni di euro». «Stiamo cercando - spiega Palmieri - di creare un gruppo nel mondo del lusso accessibile dell'accessorio, mantenendo distinta la specificità di ogni brand, ma realizzando sinergie in aree importanti come la finanza, la prototipia, gli acquisti. La vera sfida non è comprare altri marchi, ma costruire sinergie là dove sono possibili senza che un brand ne cannibalizzi un altro. Con The Bridge ci siamo riusciti e ne ha tratto beneficio anche Piquadro, vedremo se saremo capaci di replicare con Lancel. Abbiamo creato una piccola struttura corporate che segue tutti e tre i nostri brand - Piquadro, The Bridge e Lancel - e cercheremo una maggior espansione in Asia e in Russia e nel travel retail». Sul piano dei numeri, il presidente e amministratore delegato conferma i budget anche se - dice - avverte «meno entusiasmo» sul mercato. Nel famoso contratto Lega-5Stelle l'industria trova un posto molto relativo... «Gli industriali sono ormai stra-abituati a fare da soli - commenta -. Quello che mi preoccupa invece è che, ideologicamente, non si voglia dire che l'impresa manifattura è la spina dorsale del Paese e che senza non ci sarebbe occupazione. Non ci sono politiche industriali evidenti che mettono a premio la manifattura di qualità, magari con un'attenzione particolare a certe filiere che il mondo ci riconosce come eccellenti e uniche, come la moda, lo ricordo, tra i pochi settori che hanno attirato investimenti esteri in italia negli ultimi anni. Troppo spesso si parla di industria senza darle la dovuta importanza. Per esempio, un primo segnale di sensibilità all'industria sarebbe quello di confermare la cosiddetta legge Calenda relativa al piano industria 4.0 che agevola gli investimenti in tecnologia e automazione. Scade a fine anno, ma gli imprenditori hanno bisogno di avere chiarezza per pianificare i propri investimenti, specialmente quelli in impianti. Sarebbe opportuno confermarla con anticipo, magari subito». Il ritorno Marco Palmieri si potrebbe definire uno sperimentatore. Fondata Piquadro nel 1987 insieme a quella che sarebbe poi diventata sua moglie, Beatrice Nichele (attualmente vice presidente della Fondazione famiglia Palmieri), è andato in Cina ad assembleare borse e valigie, che ha voluto caratterizzate soprattutto da un forte contenuto tecnologico, quando della Cina non parlava ancora nessuno. Ed è stato tra i primi a riportare indietro le produzioni (quello che viene chiamato reshoring) nella nuova sede molto avanzata di Silla di Gaggio Montano, a un'ora di distanza da Bologna. «Molti ci hanno criticati per la scelta fatta molti anni fa della Cina, anche se in realtà abbiamo sempre investito più in Italia; ma c'è stato un momento in cui la Cina è stata una opportunità e noi l'abbiamo sfruttata. Poi c'è stato un cambiamento e stiamo rientrando in Italia». A mutare è stato, intanto, il «sentimento» del consumatore, «che vuole essere sempre più informato. Il tema - dice Palmieri - non è tanto «dove è realizzato un prodotto, ma la storia di chi lo fa, l'etica del lavoro, l'ecologia, la responsabilità sociale, tutto concorre a creare un racconto e un immaginario che fa parte integrante del prodotto e del brand». E, poi, sono cambiate le condizioni della Cina: «I costi sono cresciuti mentre i tempi rimangono molto più lunghi di quelli italiani. Per sviluppare un nuovo prodotto in Italia impieghiamo un mese, per farlo in Cina tre». È che in Italia c'è la sensibilità creativa e c'è l'intera filiera produttiva. Anche se non più per tutto. «Per esempio nella valigeria una buona parte non c'è più. Per questo stiamo immaginando di poter fare una fabbrica robotica per la valigeria. Stiamo facendo delle

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 11 11/06/2018 Pag. 1 N.24 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

valutazioni insieme all'Università di Bologna per la costruzione di un'azienda completamente automatica, per produrre in Italia a costi competitivi. Ma è un progetto del futuro. Adesso dobbiamo pensare a Lancel». © RIPRODUZIONE RISERVATA 1987 2016 2018 Palmieri fonda l'azienda in provincia di Bologna. Nel 2007 va in Borsa Piquadro rileva lo storico marchio fiorentino The Bridge Piquadra acquisisce da Richemont il brand francese di lusso Lancel, fondato nel 1876 Foto: marco Palmieri

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 12 11/06/2018 Pag. 6 N.24 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Economia Politica le sorprese della previdenza Pensioni eterne L'Inps paga 758 mila assegni da più di... 37 anni Donne, soprattutto, e prepensionati degli anni 80 e 90. Ecco chi gode di rendite di lunghissimo corso. Tutto somiglia molto a un reddito di cittadinanza Tra il 1965 e il 1990 è saltata la relazione tra contributi e prestazioni Poi si è peccato per severità Prestazioni corrette sotto il profilo attuariale dovrebbero durare in media 25 anni Alberto Brambilla

Le età per andare in pensione sono più elevate che in passato e aumentano ogni due anni. I motivi sono essenzialmente due: viviamo di più e dobbiamo mantenere il sistema in equilibrio per garantire a chi oggi con i propri contributi (giovani in testa) consente il pagamento delle pensioni, che quando verrà il suo turno il sistema funzionerà ancora. (S)legare l'età del ritiro dalla speranza di vita comporta rischi: durate infinite di assegni erogati molti anni fa e ancor oggi in pagamento; schiere di lavoratori mandati in quiescenza in età giovani per le leggi che hanno permesso le baby pensioni nel pubblico impiego, prepensionamenti, pensioni di anzianità prima dei 50 anni e permissivi requisiti per ottenere le prestazioni di invalidità e inabilità. Ci vorranno ancora molti anni per ridurre queste anomalie che appesantiscono il bilancio del welfare. Tuttavia, come spesso accade, il pendolo anziché mantenersi in un centro equilibrato, si sposta sulle estreme. Tra il 1965 e il 1990 si è persa la correlazione tra contributi e prestazioni e sono stati adottati requisiti di enorme favore, mentre nel 2011 con la riforma Monti Fornero si è passati a una eccessiva severità e rigidità. Età e lavoro Secondo uno studio di «Itinerari Previdenziali» - che considera le età medie attuali alla data del 31 dicembre scorso - a gennaio di quest'anno presso l'Inps, comprese le prestazioni ex Inpdap relative ai dipendenti pubblici, risultano in pagamento ben 758.372 pensioni da 37 anni e più relative a uomini e donne andati in pensione nel lontano 1980 o ancor prima. In dettaglio si tratta di 682.392 prestazioni fruite da lavoratori dipendenti e autonomi (artigiani, commercianti e agricoli) di cui 546.726 a donne (80%) e 136.666 a uomini. Per i pubblici si tratta di 74.980 prestazioni di cui 49.510 a donne (65%) e 25.470 a uomini. Ma a che età sono andati in pensione? Nel biennio 1979-'80 per gli uomini del privato le età erano: 53,1 anni per la pensione di anzianità, 56,3 per la vecchiaia, 50,8 per i prepensionamenti, 41,5 per le invalidità e 30,7 per le prestazioni ai superstiti. Oggi le età sono rispettivamente: 61,3; 67,1; 62,4; 54,5; 76,9 (quasi 47 anni in più). Per le donne 50,1; 55,4; 51,6; 44,3; 40,7 che oggi sono diventate 60,2; 65,4; 63,6; 52,5; 73,8. Si consideri che l'aspettativa di vita a partire dai 65 anni di età è pari a 19 anni per gli uomini (quindi 84 anni) e a 22 anni e 2 mesi per le donne (87 anni e 2 mesi). La durata media delle prestazioni erogate dal 1980 o prima è di circa 38 anni per il settore privato e di 41 anni per uomini e 41,5 per le donne del settore pubblico. Considerando che la durata media della prestazione pensionistica si può situare a 25 anni per avere un rapporto attuariale corretto tra periodo di lavoro (circa 33 anni al netto dei periodi figurativi) e tempo di quiescenza, ad oggi abbiamo in pagamento 3.805.370 prestazioni che hanno una durata di 25 anni e più, pari al 24% circa del totale dei pensionati (16,08 milioni). Anche se mascherato da pensione, è molto più di un «reddito di cittadinanza». L'esercito dei favoriti Le donne fanno la parte del leone con l'80% delle prestazioni in pagamento da 37 anni e più e il 67% di quelle oltre i 25 anni; si tratta prevalentemente di pensioni di invalidità, superstiti e

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 13 11/06/2018 Pag. 6 N.24 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

vecchiaia. A gennaio nel settore privato erano in essere ancora 230 mila pensioni dovute a prepensionamenti ottenuti anche con dieci anni di anticipo rispetto ai requisiti di volta in volta vigenti. Se ne è fatto un uso intensivo fino al 2002 (i picchi si sono verificati tra il 1984 e il 1992, l'anno record) poi il numero di prepensionati è sceso a poche centinaia per anno fino al 2008 per poi riprendere anche se con numeri non superiori alle 1.500 unità l'anno (tranne il 2012-2013). Ovviamente gli oneri dei prepensionamenti sono stati scaricati sul «conto pensioni» e non sul «sostegno al reddito» come invece fanno molti paesi europei. Stesso discorso sulle invalidità previdenziali (per l'Inps, sotto questa voce si intendono le categorie «assegno di invalidità», «pensione di invalidità» e «pensione di inabilità». Sotto la voce «superstite» invece finiscono «superstite da pensionato» e «superstite da assicurato»). Le invalidità previdenziali andrebbero in gran parte caricate nei capitoli di spesa relativi al sostegno alla famiglia e contro l'esclusione sociale: ne sono in pagamento oltre 931 mila (il 6% del totale). Di queste 338 mila sono erogate da oltre 37 anni e 490 mila da 25 anni e oltre. A queste vanno aggiunte le invalidità civili (964 mila più 2.096.180 indennità di accompagnamento). Sulla base delle norme degli anni 70-80, nello Stato le donne sposate o con figli (compresi i riscatti per maternità e laurea) potevano ritirarsi dopo 14 anni, 6 mesi e 1 giorno: una laureata con 2 figli poteva lavorare anche solo 8 anni. Per tutti i dipendenti pubblici il limite minimo era 19 anni, 6 mesi e 1 giorno, per quelli degli enti locali 25 anni. Si andava in pensione a 35-40 anni con 20-25 anni di contribuzione (compresi riscatti di laurea, maternità e militare). Le pensioni Avpis (anzianità, vecchiaia, prepensionamenti, invalidità e superstiti) erano 106 milla nell'81, 322 mila nel 1991 e 468 mila nel 1992. Si arrivò sopra 433 mila nel 1996. A partire dal 2001 è stata superata quota 400 mila, con picchi di 558 mila nel 2006 e di 520 mila nel 2010. © RIPRODUZIONE RISERVATA Numero di Anni di durata 37 36 35 34 33 32 31 30 29 28 27 26 25 24 23 22 21 20 19 18 17 16 15 237.877 245.104 s.F. 83.085 88.205 98.413 101.899 104.354 115.242 127.390 143.605 154.325 167.070 186.683 182.598 165.317 168.259 188.115 161.123 187.444 190.806 166.555 229.744 241.692 136.666 23.076 27.686 33.944 41.313 42.142 50.806 62.477 77.905 88.187 109.442 230.864 135.533 100.593 213.770 150.931 199.005 142.874 182.204 158.521 210.411 218.010

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 14 11/06/2018 Pag. 11 N.24 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

ITALIA L'arma (spuntata) dell'euro Isolati rispetto ai partner, siamo diventati il Paese più divergente Paolo Belardinelli e Nicola Rossi

Solo sette anni fa l'Italia iniziava a sperimentare, in queste settimane di tarda primavera, quella che sarebbe poi diventata la crisi dei debiti sovrani. Nell'aprile 2011 lo spread Btp-Bund - vicino ai 120 punti base - cominciava la rincorsa che lo avrebbe portato a raggiungere i 300 punti verso la fine di luglio e a superare i 500 nel mese di novembre. Nei giorni scorsi - è bene dirlo subito - non abbiamo rivissuto il passato. Ma non perché il segnale di allarme non sia stato forte e chiaro. C'è piuttosto, rispetto a quella vicenda, una differenza cruciale: l'Italia oggi è sola. Per far soltanto un esempio, nella primavera del 2011 lo spread fra titoli italiani e spagnoli era negativo e prossimo ai 50 punti base. Non è più cosi: oggi è positivo e ben superiore ai 100 punti base (nonostante che all'orizzonte si intravedano nuove elezioni). Per fare un secondo esempio, nell'aprile del 2011 il differenziale di rendimento fra titoli portoghesi ed italiani superava i 400 punti base, oggi è negativo e vicino ai 70 punti. L'Italia - è il caso di ripeterlo - è sola. Ed è sola perché è l'unico paese dell'Eurozona ad essersi allontanato nell'ultimo quadriennio con costanza e determinazione dalla media dell'Eurozona stessa (il che suggerisce che l'euro c'entra poco o nulla con le nostre attuali difficoltà). Il superindice dell'Istituto Bruno Leoni lo segnala da tempo e lo ribadisce anche con riferimento all'ultima rilevazione macroeconomica della Commissione Ue (3 maggio). I «devianti» A far data dal 2014 in termini di crescita, di mercato del lavoro, di competitività, di finanza pubblica siamo i «devianti» per eccellenza. In misura praticamente identica a quanto lo eravamo nel 2011. E non ci si faccia illusioni: la Germania che fino a qualche anno fa era anch'essa «deviante» per i ben noti motivi ha ormai, da qualche tempo, imboccato con decisione la strada della convergenza. La differenza, rispetto a quella data, è che ciò non è più vero per gli altri. Non per la Spagna o per il Portogallo come si è visto, non per - udite, udite - la Grecia. In tutti questi casi, infatti, la situazione è assai meno critica rispetto a quella prevalente nel 2011 essendo, a far data da quel momento, intervenuto un percorso faticoso se non proprio doloroso, non sempre lineare ma graduale, di convergenza (come nel caso del Portogallo) ovvero di stabilizzazione (come nel caso della Spagna e della Grecia) rispetto alla media macroeconomica dell'Eurozona. Un percorso definito all'interno delle regole dell'Unione ma non per questo tale da annullare i margini di scelta dei singoli paesi. Un percorso, in altre parole, compatibile con condizioni politiche - sia dal punto di vista della tipologia che dal punto di vista della solidità delle maggioranze - molto diverse. Noi abbiamo chiesto e ottenuto (sarebbe il caso di non dimenticarlo) di fare da soli e abbiamo anzi rivendicato la nostra capacità di fare da soli. E da soli abbiamo fatto o, sarebbe meglio dire, non abbiamo fatto. E non solo negli ultimi anni ma, per la precisione, negli ultimi decenni. Non deve stupirci oggi avvertire - come a volte accade - nelle parole dei nostri partner europei una certa distanza se non proprio una palpabile insofferenza. Parafrasando parole rimaste nella storia, tutto è contro di noi - in larga misura per i nostri demeriti - salvo la personale cortesia di alcuni nostri partner.

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 15 11/06/2018 Pag. 11 N.24 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Le responsabilità dei governi che si sono succeduti nel corso della passata legislatura sono molto serie. Assai più di quanto oggi non appaia. Essi - a partire da una lettura elementare ed errata della crisi che ha segnato l'Italia dopo il 2011 - non hanno se non al margine intaccato i limiti pluridecennali del Paese e, anzi, hanno colpevolmente esaurito ogni possibile spazio di manovra del Paese, consegnandolo in una posizione di marginalità e di debolezza in ambito europeo. Errori commessi con ogni probabilità in buona fede, ma questa non è altro che una aggravante, purtroppo. Il risultato elettorale del 4 marzo scorso rappresenta, sotto questo profilo, una sanzione che non poteva non essere attesa e conseguente. Ma quel che per alcuni è (è stato) il punto di arrivo, per altri - e segnatamente per le forze uscite vincitrici dall'appuntamento elettorale del 4 marzo e che si accingono a governare - è il punto di partenza ed il vincolo principale. Senza alleati A quelle forze sarà consegnato - in termini relativi (gli unici che contano) - un Paese in condizioni precarie e, quel che in questo momento è ancora più importante, isolato. Privo di alleanze basate su comuni condizioni di partenza (alleati del tipo «il gatto e la volpe» non tarderanno a manifestarsi). Non possiamo contare sulla benevolenza altrui perché, quando ci è stata dimostrata (e ci è stata innegabilmente dimostrata quantomeno fra il 2011 ed il 2012), ne abbiamo fatto pessimo uso. Coloro che saranno premiati dall'elettorato non potranno che prenderne atto e muoversi di conseguenza: in politica non è purtroppo possibile accettare l'eredità dei governi precedenti con il beneficio di inventario. Quel che abbiamo davanti è un orizzonte di paziente ricostruzione del Paese, della posizione del Paese in Europa e, conseguentemente, dell'Europa stessa. Paziente ricostruzione e non già dura contrapposizione. Se la strada fosse questa seconda ci troveremmo presto soli a percorrerla. Questo e non altro è il senso delle richieste fino a qualche tempo fa del tutto isolate ed oggi sempre più frequenti di una definizione di procedure «ordinate» di uscita dall'euro. Chi pensa in Italia che far balenare l'ipotesi di una uscita dall'euro possa costituire una adeguata minaccia negoziale si ricreda in fretta. L'arma è molto vicina ad essere spuntata e non sono pochi ormai a pensare in giro per l'Europa che per l'Europa stessa i benefici di lungo periodo di una Italexit potrebbero anche eccedere i costi di breve periodo. Sbagliano? Molto probabilmente. Ma offrirgli la possibilità di sbagliare non sembra essere una strategia molto brillante. © RIPRODUZIONE RISERVATA Fonte: Ibl S. A. 2,5 2,0 1,5 1,0 0,5 0,0 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 Maglia nera tricolore La distanza macroeconomica tra Italia e Eurozona* 2,0 1,5 1,0 0,5 0,0 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 La tendenza virtuosa di Madrid... La distanza macroeconomica tra Spagna e Eurozona* 3,0 2,5 2,0 1,5 1,0 0,5 0,0 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 ...e quella di Atene La distanza macroeconomica tra Grecia e Eurozona* * Il Superindice misura la distanza tra l'economia italiana (primo grafico) spagnola e greca (secondo e terzo) e la media dell'eurozona: la linea tratteggiata mostra il trend per il futuro. Se le rispettive economie marciassero in media con la Ue, il valore dell'indice sarebbe zero I ALIA

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 16 11/06/2018 Pag. 12 N.24 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Ec0nomia Politica visti da bruxelles Intervista l'europa è pronta per il nuovo rinascimento Luca Jahier, l'italiano alla guida del comitato economico e sociale europeo, ragiona di populismi e proteste, politici e nuovo governo di Roma Servirebbero giovani leader per vincere contro chi vuole abbattere il processo d' integrazione Alexander Damiano Ricci

Luca Jahier è il nuovo presidente del Comitato economico e sociale europeo (Cese), organo consultivo dell'Ue di rappresentanza delle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro e di altri gruppi d'interesse. Presidente Jahier, la settimana scorsa il nuovo presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte, ha detto che Bruxelles è «casa nostra». Come vede il rapporto tra Roma e Bruxelles? «Le parole di Conte mi sembrano un ottimo punto d'inizio. Ora spero che si contribuisca in modo costruttivo». Sulla crisi migratoria e la riforma di Dublino però il ministro dell'Interno Salvini ha già fatto la voce grossa. «Dei toni risponde soltanto il ministro. Ma i contenuti sono gli stessi della nota depositata al Consiglio europeo dal precedente governo: già allora si ribadiva come la proposta formulata dalla presidenza di turno (Bulgaria, ndr) per modificare il regolamento di Dublino fosse insufficiente». Perché gli italiani hanno la percezione che non ci facciamo sentire a Bruxelles? «È frutto di una politica del doppio gioco. A Bruxelles non ci sono fucili puntati alla tempia. Su molte materie, si vota all'unanimità. Ma i politici tornano in patria parlando di costrizioni». Il messaggio anti-Ue delle forze radicali non conta nulla? «Ci sono partiti abili a persuadere gli sconfitti della globalizzazione e chi si sente lontano dalle istituzioni». Una doppia dinamica che sembra difficile da disinnescare ... «Eppure ci dimostra che, rispetto al passato, l'Europa conta di più». Detta così sembra quasi che le cose vadano bene. «No. C'è un problema serio legato al recupero della fiducia nelle istituzioni europee da parte dei cittadini». Come valuta la proposta della Commissione sul bilancio pluriennale 2021-2027? «Ci sono buoni elementi, ma l'esercizio è insufficiente». Perché? «Vengono tagliate politiche virtuose, come quelle di coesione e agricole. La lista della spesa minima dell'Ue vale almeno l'1.3% del Pil continentale». Passiamo ai punti di forza... «Le entrate proprie ora coprono fino al 12% del budget e il 25% delle spese è orientata al cambiamento climatico. Inoltre ci sono più risorse per Erasmus e cultura». Si sta anche parlando della possibilità di concedere sostegni finanziari ai paesi che soddisfano le raccomandazioni in materia sociale del semestre europeo. «Una politica degli incentivi funzionerebbe meglio di questa condizionalità. Ma è il semestre europeo che va rivisto largamente». In che senso? «È nato per favorire lo sviluppo dell'agenda 2020 con obiettivi di crescita economica, protezione sociale e sostenibilità. Ma la crisi lo ha trasformato in un combinato di raccomandazioni e vincoli per la stabilità fiscale e riforme strutturali per la competitività».

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 17 11/06/2018 Pag. 12 N.24 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Però esiste anche un framework di indicatori per il monitoraggio delle politiche sociali. «Nulla di vincolante». Cosa aspettarsi dopo Göteborg? Quali sono le priorità del Cese in materia sociale? «Il pilastro europeo dei diritti sociali è un importante segno di impegno politico per il progresso sociale attraverso un rafforzamento dei diritti e lo sviluppo di politiche e strumenti finanziari pertinenti per garantire che abbia un impatto positivo duraturo sulla vita delle persone. Un primo passo in questo processo potrebbe essere l'implementazione del Piano dei diritti sociali nel quadro del semestre europeo. Il futuro del lavoro e il passaggio al lavoro 4.0 dovranno essere accompagnati da una transizione parallela al "benessere 4.0", ed è la società civile che guiderà questo processo». Merkel ha sostanzialmente bocciato le idee di Macron per la riforma dell'Uem. Cosa ne pensa? «Le proposte in campo non sono all'altezza. Oltre all'Unione bancaria, servono capacità di intervento nell'economia e politiche fiscali comuni. Rispetto al rapporto dei cinque Presidenti, anche le azioni della Commissione e di Macron rappresentano dei passi indietro». E quindi? «Il tempo ci sta sfuggendo di mano e l'Europa sembra un vaso di coccio in mezzo ai mutamenti internazionali. È un segno di irresponsabilità. Servono lungimiranza e pragmatismo». Più concretamente? «Prima delle elezioni del Parlamento europeo del 2019, va completata l'Unione bancaria e corretto il semestre europeo. Per l'Uem dobbiamo attendere la prossima legislatura». Come ci si muove in funzione delle elezioni? «Ripartiamo dalla dichiarazione di Roma del 2017 che ha definito una road map concreta. Esiste ancora una maggioranza che crede in un'Europa riformata». Sindacati, società civile, imprese o politica: a chi spetta l'iniziativa? «Ognuno si deve assumere le proprie responsabilità. Il presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk, ha ben definito i ruoli nella agenda per la preparazione del vertice di Sibiu, sotto presidenza rumena». Lei ha detto che all'Ue serve una «rEUneissance». Di cosa si tratta? «La congiuntura europea somiglia a quella che ci fu tra il Medioevo e il Rinascimento, quando il ritorno della cultura classica, lo sviluppo della scienza, l'operare di forze produttive (banchieri e mercanti) e lo sviluppo di nuove forme di governo ci fecero uscire dai secoli "bui"». È un bel paragone. Ma quanto c'è di attuale? Chi sono gli intellettuali all'altezza di rEUneissance? «Più che intellettuali, serve uno sviluppo dell'intera sfera culturale, che peraltro può diventare un bacino di occupazione. Per quanto riguarda la scienza, siamo di fronte a una trasformazione tecnologica digitale che occorre governare». E chi sono le forze propulsive oggi? «Penso a quell'Europa fatta di persone che resistono a chi vuole abbattere il processo di integrazione». Servirebbe un leader all'altezza ... «Non uno, ne servirebbero molti. Ma bisogna scovarli e metterli al centro di questo progetto. Penso ai giovani. A dire il vero, non sarebbe male se si ribellassero un po' di più». In un certo senso lo fanno già, votando per partiti che criticano l'Ue.

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 18 11/06/2018 Pag. 12 N.24 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

«Ai giovani non si possono presentare i conti della serva. I ragazzi hanno bisogno di osare, di qualcuno che gli dica che possono cambiare il mondo. La nostra classe politica ha smesso di affermarlo». © RIPRODUZIONE RISERVATA Foto: Al vertice Luca Jahier, 56 anni a dicembre, torinese è presidente del Cese da aprile. È tra i fondatori del Forum del Terzo settore ed esponente di spicco delle Acli

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 19 11/06/2018 Pag. 17 N.24 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Mercati L'intervista Massimo Doris Politici, Siate pragmatici o non si cresce più Il numero uno di Banca Mediolanum, ora impegnata anche come advisor delle Pmi che si vogliono quotare all'Aim, pensa che l'Italia e le imprese che la mandano avanti abbiano delle buone prospettive. Ma basta poco per rovinarle Giuditta Marvelli

Al governo chiedo pragmatismo e serietà. Lo spread? Non è una macchinazione, ma una misura del fatto che gli investitori vanno in massa dove si sentono sicuri. L'Italia? Un Paese con delle prospettive da sostenere. Ed è per questo che Massimo Doris, alla guida di Banca Mediolanum - la creatura di famiglia protagonista del risparmio gestito nazionale - scommette sempre di più sull'intreccio in Piazza Affari tra piccola impresa e finanza. Un tema nuovo, legato anche allo sviluppo dei Pir, i Piani individuali di risparmio nati per investire (molto) in aziende tricolori. A che punto siete su questo fronte? «Raccogliamo una novantina di milioni al mese con i Pir. Nel 2018 siamo a 380 milioni (dati a fine aprile ndr) che si aggiungono ai 2,8 miliardi del 2017. Consigliamo sempre di investire a rate, non tutto in una volta. Aiuta i risparmiatori a mediare i prezzi e a non fare scelte emotive». L'incertezza fa da freno? «I Pir sono interessanti se l'economia cresce, anche indipendentemente dalla cancellazione dell'imposta sul capital gain dopo cinque anni. Le prospettive di questo Paese, per quanto mi riguarda, sono positive. Spero che a Roma permettano agli imprenditori di non preoccuparsi. O meglio di farlo solo per far crescere il loro business». Ricevete telefonate allarmate se Piazza Affari e Btp vanno in giostra? «I clienti che operano direttamente in titoli di Stato hanno comprato di più dopo lo scrollone del 28 maggio. Chi invece fa piani a lungo termine ha chiamato i family banker per capire meglio. Non ci sono conseguenze sulla raccolta, per ora. Certo qualche effetto potrebbe esserci. Dipende da quanto durerà il clima di incertezza». La nuova strategia prevede un impegno nel campo dell'advisory e dell'investment banking che si aggiunge alla vostra offerta storica per il cliente privato... «Per vincere la sfida dei Pir non vogliamo stare solo dalla parte della raccolta: il sistema ha veicolato finora oltre 12 miliardi che sono alla ricerca di carta, azioni e bond, delle imprese italiane. Perché si amplifichino gli effetti positivi servono più imprese ad intercettare il flusso finanziario. Più imprese che si quotano o che emettono bond». Ma esiste una domanda da parte dei piccoli imprenditori? «Domanda forse è troppo. C'è molto interesse. Abbiano fatto due incontri test a Bergamo e Vicenza, io e mio padre, con qualche centinaio di imprenditori per capire come sarebbe stata accolta la proposta di un'investment banking. Oltre il fattore Pir, c'è l'evidenza che l'attività bancaria è cambiata nel quadro delle regole europee: se sei un'azienda tripla A, la banca non ha difficoltà a darti i soldi, se non lo sei, è difficile. L'obiettivo dell'Unione bancaria è che il finanziamento dell'economia reale non dipenda più così tanto dalle banche ma dal mercato, come negli Stati Uniti. Tra gli imprenditori c'è chi continua come prima. Tanti invece dicono: approfondiamo. Ed è così che abbiamo cominciato alla fine del 2017 con l'attività di investment bank. Pensiamo di poter aiutare gli imprenditori che vogliono fare delle operazioni di finanza straordinaria. Saremo più grandi e più completi».

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 20 11/06/2018 Pag. 17 N.24 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Che cosa state facendo? «Abbiamo sei operazioni aperte che potrebbero concludersi in parte entro la fine del 2018, in parte entro il primo semestre dell'anno prossimo. Sono quattro quotazioni , tre all'Aim, il listino delle piccole imprese, e una sul mercato principale (Mta), più due emissioni di bond». Da qualche settimana siete Nomad, Nominated advisor, per le quotazioni all'Aim di Piazza Affari. Che cosa significa? « Ci deve essere qualcuno che certifica il valore e i numeri dell'azienda che sceglie la proceduta snella di ammissione richiesta per l'Aim. Siamo il ventesimo Nomad autorizzato e intanto l'Aim di Piazza Affari ha superato le cento quotazioni. C'è un processo virtuoso in corso». Ma le preoccupazioni dei mercati sull'Italia possono interromperlo? Nelle ultime settimane c'è stata più di una rinuncia a quotarsi... «E' sempre accaduto e sempre accadrà. Uno si prepara poi magari arriva un brutto momento in Piazza Affari. E allora si aspetta. Noi lavoriamo comunque per le operazioni che sono in corso» Esiste la dittatura dello spread? «I soldi si spostano dove c'è più sicurezza. La tempesta di fine maggio è già costata al Tesoro centinaia di milioni di interessi. Ma va detto che gli aumenti di capitale delle nostre banche sono andati in porto grazie anche ai soldi che sono arrivati dall'estero. Piaccia o non piaccia il mercato funziona così: è spietato, ma anche comodo». Che cosa chiede al governo? «Il pragmatismo è la cosa più importante: fare bene i conti con quello che c'è prima di agire. Il quadro è diverso da quello del 2011, ma ci vuole poco per rovinare tutto». La preoccupa la possibilità che si riapra la vicenda della quota Fininvest nel vostro capitale? «Se Fininvest deve vendere, e mi auguro di no, noi siamo disposti a comprare una parte. Ma ho già ricevuto manifestazioni di interesse da investitori esterni per coprire anche tutto il 20% che nel caso tornerebbe libero». E il nuovo procedimento fiscale sulla sgr basata a Dublino? «Avevamo chiuso un contenzioso con l'Agenzia delle Entrate, stabilendo che la residenza fiscale di Mediolanum international fund è a Dublino.Adesso la questione dell'estero-vestizione - società irlandese, business in Italia - è di nuovo sul tavolo. Ma ci sono 100 persone che lavorano lì e che stanno cambiando sede perché quella vecchia è piccola. Conto di riuscire a dimostrare di nuovo le mie ragioni». © RIPRODUZIONE RISERVATA Così dal debutto ad oggi La raccolta netta dei Pir italiani (dati in miliardi di euro per trimestre) Fonte: Elaborazione su dati di mercato e Assogestioni 0 1 2 3 4 5 I II 2017 2018 III IV I 12,9 miliardi 1,06 4,26 2,19 3,38 1,98 I numeri Nei primi tre mesi del 2018 le masse gestite da Banca Mediolanum sono arrivate a 74,89 miliardi, in linea con la fine del 2017 e in crescita del 4% rispetto al marzo 2017, al netto della cessione di Esperia. Il margine operativo sale del 26% rispetto al primo trimestre del 2017. Le commissioni di performance sono diminuite di 45 milioni nei primi tre mesi (sempre rispetto allo stesso periodo 2017), mentre in aprile la società ha incassato 35 milioni di fee legate ai risultati. Il Cet1, l'indice di solidità, patrimoniale è al 21,7% Piazza Affari è una reale alternativa per le aziende sane a caccia di risorse nuove. Abbiamo sei deal in corso

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 21 11/06/2018 Pag. 29 N.24 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato I piccoli «grandi» un altro sud (così) si può Ultima tappa del racconto delle imprese eccellenti italiane. Protagonista è il Mezzogiorno: 37 aziende che, grazie a doti di resilienza e innovazione, hanno duplicato i fatturati, ampliato i magazzini, conquistato l'estero. Ci sono i gioielli della meccanica e dell'aeronautica. Ma anche (tanto) alimentare e abbigliamento. Modelli da contrapporre con forza all'equazione Meridione uguale assistenzialismo Oltre che farsi «guidare dallo spirito di solidarietà», il nuovo dicastero per il Sud Raffaella Polato

A un certo punto, l'Italia si stupì. Il Sud aveva lasciato indietro il Nord, non di poco, ed era una cosa che sul fronte export non avevamo mai visto. Di più: a consentire al Mezzogiorno di battere l'industrializzato Settentrione con una crescita addirittura sette volte tanto la media nazionale - e dunque trainando la Penisola, perché senza quel +8,5% il dato-Paese non avrebbe chiuso a +1,2% - era stato uno dei nostri territori più belli ma anche più poveri e, spesso, dimenticati. Basilicata. È questo il «titolo» del boom vissuto dal made in Italy nel 2016. E sì, è vero: se le esportazioni dalla Lucania, un anno fa, sono salite più che in qualsiasi altra regione, lo si deve alle Jeep che Sergio Marchionne aveva deciso di costruire a Melfi. Ma c'è un'altra storia, nascosta dietro l'enorme visibilità e l'enorme impatto sull'economia di un colosso multinazionale come Fca. È la stessa che si incontra 150 chilometri più a Ovest, tra l'Appennino e il mare campani, dietro le quinte di Chrysler (ancora) e di Leonardo, divisione velivoli, ex Alenia. L'una e l'altra hanno grosse fabbriche a Pomigliano. Attorno all'una e all'altra, in Campania come in Puglia, in Basilicata come in , sono nati piccoli imprenditori di sconosciuto successo che non si sono limitati ad andare a caccia di finanziamenti pubblici. Non sono tantissimi. Insieme a chi ha puntato sulle eccellenze alimentari o farmaceutiche o a chi, partito dai sottoscala del terzismo tessile, ha saputo inventarsi un brand e crescere sui mercati, sono però la prova che «un altro Sud» già c'è. E sono in qualche modo Champions tra i Champions. Appena 37 su 500, nella classifica L'Economia-ItalyPost delle migliori piccole e medie imprese italiane, ma con un peso specifico molto più alto di quanto dicano le medie matematiche. A guardare solo le performance aziendali, per dire, non si vedrebbe alcuna differenza. I campioni del Sud innovano, crescono, guadagnano, reinvestono i profitti, creano occupazione e nuovo sviluppo esattamente quanto i campioni del Nord. Nel Mezzogiorno ci sono realtà che tra il 2010 e il 2016 hanno quintuplicato, sestuplicato, persino decuplicato il loro giro d'affari (le campane L'aromatika, Shedir Pharma, Essemoda). Altre hanno chiuso i bilanci 2014-2016 con profitti industriali lordi ogni anno superiori al 30% dei ricavi (le abruzzesi Susta e Smape, la salernitana Genetic). Alcune di queste storie le raccontiamo nelle pagine che seguono, tutte saranno protagoniste dell'evento di venerdì prossimo: un bis di quello con cui il 16 marzo, in Piazza Affari, avevamo presentato la ricerca condotta con ItalyPost e festeggiato insieme ai 500 Champions il primo compleanno di L'Economia. A Milano avevamo però scelto un titolo con un punto di domanda: «L'Italia genera futuro?». A Napoli, che sarà anche la decima e conclusiva tappa del nostro primo viaggio nei territori dei Campioni, l'interrogativo lo toglieremo. Dopo tre mesi di incontri nel e con il Paese che produce, lo si può dire: questo che raccontiamo è «Il Sud che genera futuro».

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 22 11/06/2018 Pag. 29 N.24 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Basterebbe accorgersene. È vero: 37 imprese su 500, e su un'area che è grande mezza Penisola, sembrano poche. Lo sono, se cerchiamo solo la conferma di ciò che già sappiamo: i mali e i limiti del Mezzogiorno, il basso grado di industrializzazione e l'alto tasso di criminalità, l'assenza di infrastrutture e i ritardi cronici ovunque, i danni dell'assistenzialismo e quelli dei finanziamenti pubblici a perdere. È la realtà, e nessuno la nega. Proviamo però a integrarla cambiando prospettiva. Proprio perché è quello, il quadro con cui anche i 37 Champions devono fare i conti ogni mattina, forse la loro pattuglia non è poi così piccola. Di sicuro non lo è il loro valore. Simbolico e non. Se, nonostante tutti gli handicap esterni, riescono a replicare le performance dei migliori, significa che Campioni lo sono davvero. Che anche in Meridione c'è chi crede nelle attività produttive, ci investe, innova al passo dei migliori competitor internazionali. Che - e lo dimostrano le Pmi di assoluta eccellenza scoperte nei poli aerospaziale e automotive - non sempre, non per forza il destino del «cash di Stato» è finire nelle tasche di chissà chi per essere bruciati chissà dove. A chi lo rimproverava di inesistente attenzione al Mezzogiorno nel programma presentato in Parlamento, il neo-premier Giuseppe Conte ha replicato: «Ma se ci abbiamo dedicato un ministero!». Benissimo. Magari però, oltre che farsi «guidare dallo spirito di solidarietà», il dicastero affidato a Barbara Lezzi un primo spunto potrebbe trovarlo proprio qui. Tra i Champions. Come testimonieranno - con noi e con loro - la presidente di Enel Patrizia Grieco, il fondatore di Engineering Michele Ciniglia e il presidente di Adler Group Paolo Scudieri, portabandiera del «Sud che genera sviluppo», sono aziende come queste il modello da contrapporre all'equazione Meridione=assistenzialismo. Creano sviluppo reale, pagano stipendi «produttivi». Moltiplichiamoli. Può essere che pure il discusso reddito di cittadinanza, alla fine, risulti non così pesante da sostenere: un alibi in meno per le sparate nordiste sulla presunta «non voglia di lavorare» sudista, una chance in più per (anche) le casse dello Stato. © RIPRODUZIONE RISERVATA Patrizia Grieco (Enel) Tecnologia e sostenibilità: il dialogo tra le Pmi e i «big» Grandi gruppi e imprese innovative, quale rapporto? Se ne parla venerdì all'incontro dell'Economia a Napoli. Tra gli ospiti anche Patrizia Grieco, presidente di Enel. «Enel guarda alle Pmi consapevole che oggi non solo la leadership, ma la stessa sopravvivenza sul mercato dipende dalla capacità di cogliere e amalgamare il potenziale innovativo che si sviluppa tanto all'interno, quanto all'esterno dell'organizzazione aziendale - dice la manager -. Nei confronti delle imprese che entrano nel nostro ecosistema, ci presentiamo come partner industriale, apri-pista, e capofila di filiera, che vuole mettere a disposizione le conoscenze, le tecnologie e l'expertise necessari per accelerarne il percorso d'innovazione digitale e di sviluppo sostenibile». L'evento Si conclude venerdì 15 giugno a Napoli, il racconto dell'Economia dedicato alle imprese eccellenti iniziato a marzo, in Borsa a Milano. Appuntamento con «Il Sud genera futuro» al Complesso Monumentale San Lorenzo Maggiore, ore 10.30. Tra gli ospiti: Patrizia Grieco, presidente di Enel, Paolo Scudieri, presidente di Adler, Michele Cinaglia, presidente di Engineering e molte delle Pmi eccellenti.

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 23 11/06/2018 Pag. 34 N.24 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Imprese Scambi globali EXPORT (solo) lontano da casa cresce il fatturato Roberta Marracino (Sace): senza il contributo delle esportazioni «il Pil sarebbe in ritardo di 7 punti percentuali sul 2010». Nel 2017 una crescita del 7,4% a 546 miliardi. A spingere le vendite la qualità di prodotti «old economy»: meccanica, farmaceutica e mezzi di trasporto Maria Elena Zanini

La sintesi migliore forse è quella che ha dato Bill Gates: «Le persone sovrastimano i rischi a due anni e sottostimano quelli a dieci». Tradotto: «Per riuscire a orientarsi nell'attuale contesto geopolitico, serve fare "pulizia" tra quelli che sono i "rumori di fondo" e i fatti», spiega Roberta Marracino, direttore dell'area studi e comunicazione di Sace (che con Simest costituisce il polo dell'export e dell'internazionalizzazione del Gruppo Cdp). E i fatti sono questi: nel 2017 il commercio internazionale ha registrato una crescita del 4,7%, il Pil globale è cresciuto del 3,8% e quello italiano ha raggiunto l'1,4%. I numeri insomma, come si legge nel Rapporto Export 2018 di Sace, che verrà presentato a Milano, martedì 12, testimoniano un contesto di crescita solido, in cui l'Italia si è ritagliata un ruolo importante. «Basti pensare che l'unico motore di crescita del Pil italiano degli ultimi sette anni è stato proprio l'export», conferma Marracino. Solo nell'ultimo anno la crescita delle esportazioni è stata del 7,4% in valore e del 3,1% in volume. «Senza l'export il Pil procapite oggi sarebbe più basso di circa il 7%, confrontato con il 2010». Locomotive A trainare le vendite all'estero sono i settori «dimenticati» del made in Italy: meccanica strumentale, farmaceutica e mezzi di trasporto. «Nel 2017 l'export italiano nel comparto farmaceutico è cresciuto del 16% rispetto all'anno precedente sfiorando la soglia dei 25 miliardi di euro - precisa Marracino-. L'incremento delle vendite è stato trainato principalmente dai Paesi dell'area extra-Ue, in particolare da Stati Uniti e Paesi Asean. Non sono però mancate performance positive nell'Unione europea, dove le esportazioni della farmaceutica hanno ottenuto risultati ampiamente positivi in Spagna e Regno Unito». La meccanica strumentale incide per il 20%: «In Europa siamo secondi dopo la Germania, mentre per quanto riguarda i mezzi di trasporto, sono gli ordinativi di grandi gruppi come Fincantieri per le navi da crociera o quelli di Leonardo per gli elicotteri a fare da traino a tutte le pmi della catena di fornitura». Flessibilità e qualità sono le caratteristiche che hanno permesso una crescita così sensibile delle esportazioni. «L'elevata qualità riesce a rendere competitivi prodotti che non riuscirebbero a esserlo sulla base del prezzo, influenzato da un costo del lavoro decisamente elevato», precisa Marracino. E la flessibilità? «Significa diversificazione dei mercati di sbocco». Non solo: l'Italia negli ultimi anni ha concentrato le esportazioni nei Paesi a maggior domanda (la quota di export nei primi dieci mercati è del 60%) anche se sconta una dipendenza superiore rispetto ai competitor nei confronti dei primi tre mercati di sbocco: Germania, Francia e Stati Uniti. All'orizzonte Le prospettive per Marracino sono positive, nonostante la situazione politica italiana non stia dando stabilità al mercato interno. A supportare la crescita dell'Italia è innanzi tutto la crescita globale. E qui è importante il distinguo tra «fatti e rumori». «Le tensioni esistono - , spiega Marracino -, è un fatto innegabile, ma sono legate a diversi fattori: assistiamo alla rottura di equilibri di Paesi democratici da una parte e all'avanzare di tendenze autocratiche nei paesi emergenti. Ma sono trend in atto da tempo». Tra le conseguenze del riassetto degli equilibri, senza dubbio bisogna considerare le spinte protezionistiche messe in atto da diversi Paesi,

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 24 11/06/2018 Pag. 34 N.24 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Stati Uniti in primis. Ma da qui a parlare di guerre commerciali, il passo è lungo: «Non converrebbe a nessuno. Le conseguenze sarebbero immediate già sul breve periodo con una riduzione della crescita del pil mondiale di un punto percentuale, mentre il commercio globale registrerebbe una crescita contratta di due punti percentuali, dal 4,2% al 2,3%, già nel 2019». Parallelamente, per vedere anche il bicchiere mezzo pieno a supporto della crescita delle esportazioni italiane, l'Europa ha sottoscritto una serie di accordi con diversi Paesi, finalizzati ad eliminare le barriere commerciali tariffarie e non tariffarie per un bacino di 2,5 miliardi di consumatori e un peso per l'export italiano superiore al 7%. L'ultimo, nel 2017 è stato quello con il Canada, mercato sempre più rilevante per l'Italia: tra il 2016 e il 2017 l'export è cresciuto de 6,5%. © RIPRODUZIONE RISERVATA La crescita c'è, ma più lenta Il tasso medio annuo di crescita del commercio internazionale e del Pil I pro e i contro L'impatto sull'export italiano Valore complessivo dell'export italiano nel 2017 miliardi 546 Crescita globale trainata dalla ripresa degli investimenti Nuovi accordi commerciali Ue favoriranno gli scambi con i Paesi partner Qualità dei prodotti Made in Italy Flessibilità dell'export italiano in termini di composizione settoriale e destinazioni Protezionismo effetti tanto più negativi quanto più ci si avvicina allo scenario trade war Tasso di cambio effettivo reale (competitività di prezzo) lieve impatto negativo considerato il modesto aumento atteso nei prossimi anni Gli effetti positivi...... e quelli negativi € Fonte: CPB, OMC, FMI 2001-2007 2008-2011 2012-2016 2017 2018-2019 previsioni 5,9 4,4 1,6 3,1 2 3,5 4,7 3,8 4,2 3,9 Commercio internazionale Pil globale

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 25 11/06/2018 diffusione:87934 Pag. 3 tiratura:130903 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

L'Italia dell'Irpef nascosta In Lazio e Lombardia il divario tra spese e imponibile più elevato in valore, ma lo scarto percentuale è maggiore in Campania, Sardegna e Puglia La nuova mappa dell'evasione: i consumi battono i redditi del 14% Cristiano Dell'Oste Giovanni Parente

N attesa di vedere se e quando debutterà la Dual tax, anche gli ultimi dati confermano un trend che pare immutabile negli anni. C'è un'Italia che continua a spendere più di ciò che guadagna. O, meglio, più di ciò che dichiara al Fisco di guadagnare. Anche nel (anno d'imposta ), ogni euro denunciati dalle persone fisiche al netto delle imposte, l'Istat ha rilevato una spesa delle famiglie di ,. Il tutto per un divario che in valore assoluto è pari a , miliardi, come rileva una ricerca condotta dall'Università della Tuscia per Il Sole Ore del Lunedì. La fetta più grande di questi consumi "non giustificati" arriva dalla Lombardia (, miliardi), seguita dal Lazio (,). Un primato derivante anche dal fatto che si tratta di regioni popolose e con un tenore di vita relativamente elevato. In termini percentuali, però, il divario maggiore si rileva nel Sud e nelle Isole, dove la Campania arriva al ,%, la Sardegna al , e la Puglia , per cento. Ma balza all'occhio anche la posizione della Toscana (,%). Qualche caveat in più nella lettura dei dati su Molise e Valle d'Aosta, che - per le piccole dimensioni - potrebbero essere più sensibili al disallineamento delle residenze tra emigranti e proprietari di seconde case. L'unica regione in controtendenza sono le Marche, poco oltre la parità (-,%). Lo scarto tra consumi e reddito disponibile non è una prova sicura di evasione fiscale, ma certo un indicatore di rischio. E un fattore di cui tenere conto dopo che il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha annunciato un inasprimento delle sanzioni amministrative penali contro i grandi evasori. L'impressione, infatti, è che nel sommerso delle persone fisiche pesino molto anche i piccoli importi. Vista da un'altra angolazione, l'entità dei consumi "non giustificati" lascia intravedere una massa di redditi non dichiarati che potrebbero costituire nuova base imponibile per la prospettata Dual tax. Ma, al tempo stesso, rafforza l'esigenza di trovare solide coperture. Immaginiamo di poter tassare i , miliardi di scostamento al o % (con lo "scalone" presente in alcune delle ipotesi circolate finora): si può stimare un extra gettito di , miliardi. E il calcolo, sia pure approssimativo, dimostra quanto potrebbe rivelarsi difficile raggiungere i miliardi di coperture necessarie seconde le prime stime. Può insegnare qualcosa l'esperienza della cedolare secca sugli affitti, che di fatto è una flat tax con aliquota differenziata in base al tipo di contratto. E che è stata pensata, fin dall'inizio, anche come misura per combattere il nero. Secondo il Rapporto sul contrasto all'evasione (allegato alla nota di aggiornamento del Def ), la cedolare ha ridotto di un miliardo il tax gap nel settore delle locazioni tra il e il . Con un tasso di emersione ormai vicino al punto di pareggio (,% rispetto all'obiettivo del per cento). Se ne ricava la lezione che questi meccanismi, per funzionare, hanno bisogno di tempo e di stabilità normativa. In qualche modo, i cittadini devono "fidarsi" e percepire che dichiarare gli introiti "conviene". Altrimenti, l'aliquota zero del nero sarà sempre preferibile a qualsiasi aliquota scontata. Ed è qui che si innesta, con l'annunciata stretta sulla sanzioni, anche l'ipotesi della "pace fiscale". Che andrà ben calibrata per non rischiare di inviare un messaggio contraddittorio ai contribuenti. 1 IL TEMA IN TRE PUNTI Il sommerso Il divario tra reddito e spesa A fronte di un reddito medio disponibile (al netto dell'Irpef) di mila euro per contribuente, la spesa per consumi rilevata dall'Istat è . euro. Un divario del % che a livello nazionale vale , miliardi 2 e sanzioni Stretta sui «grandi» e pace fiscale Nei primi giorni di attività del nuovo Governo è stato prospettato l'aumento delle sanzioni per i grandi evasori e l'introduzione della «pace fiscale» con penalità ridotte a chi non

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 26 11/06/2018 diffusione:87934 Pag. 3 tiratura:130903 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

ha potuto pagare le imposte per oggettive difficoltà 3 a Dual tax Ipotesi 15-20% e avvio graduale Nel contratto di governo tra Lega e MS è prevista la Dual tax, per cui le ultime ipotesi prevedono aliquote al e % (oltre mila euro) e un avvio graduale. La sostenibilità economica del nuovo tributo dipenderà anche da quanti redditi non dichiarati emergeranno Sanzioni. Il premier Giuseppe Conte ha affermato in Parlamento che occorre inasprire «l'attuale quadro sanzionatorio amministrativo e penale, al fine di assicurare il carcere vero per i grandi evasori» Riforma fiscale. Armando Siri, ideatore della flat tax e senatore della Lega Nord, ha stimato che la riduzione a due aliquote del prelievo sui redditi costerà a regime circa 50 miliardi MEDIA ITALI A DIVARIO % C ONSUMI/REDDI T I SPESA MEDIA 17.063 MEDIO DISPONIBILE REDDITO TOTALE ITALIA Milioni di euro REDDITO DISPONIBILE 14,4% 19.517 I numeri 2 1 , 7 % 1 , 6 % 2 1 , 1 % 1 , 4 % 1 6 . 4 3 3 1 8 . 3 6 3 1 7 . 3 2 3 1 6 . 0 4 5 2 0 , 9 % 2 , 8 % 1 7 . 8 2 4 1 8 . 3 6 2 2 0 , 7 % 3 , 7 % 1 6 . 5 1 7 1 6 . 9 0 9 686.906 2 0 , 4 % 2 1 . 9 2 3 5 , 4 % 1 8 . 9 1 2 1 6 . 2 0 8 9 , 1 % 2 1 . 8 6 8 1 9 , 9 %

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 27 11/06/2018 diffusione:87934 Pag. 3 tiratura:130903 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

2 0 . 1 6 1 2 0 . 9 2 0 1 0 , 4 % 1 9 , 2 % 1 6 . 0 7 8 2 0 . 1 3 9 1 5 . 0 3 4 1 0 , 6 % 1 7 , 9 % 2 3 . 0 6 2 1 0 , 7 % 1 6 , 9 % 785.693 98.787 1 4 . 0 9 6 2 1 . 6 4 9 1 1 , 4 % 1 5 , 9 % Il divario tra redditi dichiarati dalle persone fisiche e spesa delle famiglie Dati in euro Fonte: elaborazione Deim, Università della Tuscia per il Sole 24 Ore del lunedì V E N E T O U M B R I A A B R U Z Z O F R I U L I V . G . P I E M O N T E NOTA METODOLOGICA Elaborazione Deim (Dipartimento Economia, Ingegneria, Società, Impresa), corso di Economia dei tributi, dell'Università della Tuscia, a cura di Marco Valerioti. I dati confrontano il reddito disponibile (ricavato sottraendo l'imposta netta dal reddito complessivo dichiarato nel 2017) con i consumi Istat delle famiglie. Parte dei consumi potrebbe essere 'nanziata con il risparmio, ma tale circostanza è neutralizzata, poiché: 1) non viene considerato che una parte di reddito potrebbe essere stata destinata al risparmio; 2) gli indicatori sulla propensione al risparmio nel 2015-16 sono in sostanziale 1 7 . 9 5 1 L I G U R I A 1 7 . 8 6 5 1 6 . 3 0 6 1 4 . 8 5 5 1 8 . 2 5 4 T R E N T I N O A . A . equilibrio. Nei consumi non sono incluse le spese per immobili, ma l'Istat considera un "af'tto 'gurativo", cioè i proventi teorici della locazione dell'immobile occupato. Includendo gli investimenti immobiliari, il divario consumi-redditi sarebbe verosimilmente maggiore M A R C H E 1 8 . 1 0 8 1 8 . 2 1 4 B A S I L I C A T A 1 6 . 3 0 5 1 3 . 5 7 6 SPESA COMPLESSIVA DIFFERENZA 1 2 . 6 5 3 C A L A B R I A 1 3 . 5 0 6 1 8 . 6 8 5 M O L I S E 1 4 . 3 0 8 1 9 . 7 2 1 EMI L I AR O M A G N A 1 4 . 7 3 9 1 3 . 6 4 0 C A M P A N I A 1 3 . 6 8 2 L O M B A R D I A 1 7 . 5 5 7 1 8 . 2 0 7 1 8 . 2 3 7 © RIPRODUZIONE RISERVATA S A R D E G N A S I C I L I A P U G L I A T O S C A N A V A L L E D ' A O S T A L A Z I O Su ilsole24ore .com I DATI REGIONALI Online il divario consumi-redditi in valore assoluto su base regionale

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 28 11/06/2018 diffusione:400000 Pag. 1 N.22 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Bertelli: "L'euro ci ha difeso attenti al debito e al futuro" IL CEO DI PRADA, UNO DEI GRANDI PROTAGONISTI DEL MADE IN ITALY, METTE IN GUARDA IL GOVERNO CONTE. DICE CHE L'ITALEXIT FAREBBE ANDARE A ROTOLI LE IMPRESE E BOCCIA LA FLAT TAX: "PER CRESCERE SERVE INVESTIRE IN SCUOLA E INNOVAZIONE", SPIEGA Luca Piana

Patrizio Bertelli siede in una sala riunioni del nuovo quartier generale industriale di Prada, una meraviglia architettonica ai piedi delle colline di Montevarchi che sembra fatta per stupire ma che, assicura lui, «ci serve solo per lavorare, nelle migliori condizioni possibili». Il contesto esterno, il nuovo governo di Giuseppe Conte, le tensioni sui mercati finanziari, la battaglia dei dazi innescata da Donald Trump, catturano la conversazione fin da subito. Alle spalle, nella fabbrica-giardino progettata da Guido Canali dove lavorano quasi 800 persone, c'è un planisfero alto due metri e mezzo. Bertelli volge spesso lo sguardo alla Cina, a quel pubblico di 400 milioni di millennials su cui il gruppo sta affilando le strategie, alla generazione ancora più giovane - la cosiddetta "Gen Z" - che sta entrando nei radar della griffe. segue a pagina 2 con un servizio di Paola Jadeluca segue dalla prima L'unico sorriso è quando l'assistente lo interrompe: lo cercano da Madrid per un invito di Juan Carlos, il re di Spagna che ha lasciato il trono al figlio Felipe. «Siamo entrambi appassionati di vela», sfugge lui, tornando rapidamente al punto. Il governo Conte si è appena insediato, Matteo Salvini e Luigi Di Maio sono i nuovi uomini forti d'Italia. «Interrogativi? Non è un problema d'interrogativi», dice Bertelli. «Il fatto è che non ci si può improvvisare imprenditori, così come in politica non si dovrebbe improvvisare nulla. Hanno parlato di nuovi barbari, ma secondo me il problema è ben più profondo, riguarda la nostra società». In che modo? «I nuovi politici sono la conseguenza di un Paese in cui è stato tolto il servizio militare, senza sostituirlo con un servizio civile in cui venisse insegnato il senso della Costituzione, dove si facesse formazione, o si coinvolgessero le persone nel sistema della protezione civile. Una volta il rispetto lo imparavi in molti modi, nelle fabbriche grazie al ruolo del partito socialista o del partito comunista, negli oratori con la Chiesa. Si è dissolto il sistema di formazione diretta che riguardava non soltanto gli aspetti sociali e culturali, ma anche il lavoro, l'industria, il mondo contadino. Oggi la formazione i ragazzi la fanno su Instagram o su Facebook. Mi ricordano un po' gli albanesi che negli anni Ottanta arrivavano in Italia, convinti che tutto fosse come nei programmi televisivi». Le mancano i partiti di un tempo? «No. Mi manca il senso del sociale che si trasmetteva nelle fabbriche, nei comitati con cui le istituzioni affrontavano i problemi, nel sindacato. Pensi anche al cinema, al messaggio d'impegno trasmesso da molti film, penso ai lavori di Gian Maria Volonté e persino a tante commedie, come "Mimì metallurgico"». E invece oggi, che genere di messaggio passa? «Un messaggio che a me sembra insidioso, soprattutto per i ragazzi. Le persone credono che gli effetti del voto di protesta non possano nuocere a loro stessi, che alla fine non incidano sulla sfera quotidiana, sui risparmi, sui rapporti economici su cui è fondata la loro stessa vita. Non pensano che un voto che vuol essere semplicemente "contro il sistema" rischia di ribaltarsi contro loro stessi, perché alla fine il sistema siamo tutti noi. Stiamo vivendo un momento di cecità civica e civile, un po' come i soldati che venivano mandati in guerra. Nessuno di loro avrebbe seguito i generali, se avesse saputo che andava a morire. E così si diceva che la guerra sarebbe durata pochissimo, o che vincere sarebbe stato facile». Il populismo fa presa ovunque ma l'Italia è l'unico grande Paese d'Europa in cui i populisti sono al governo, come ha certificato il premier Conte il giorno

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 29 11/06/2018 diffusione:400000 Pag. 1 N.22 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

della fiducia. Come lo spiega? «In generale occorre osservare che, oggi, nel mondo le persone che sono nate dagli anni Ottanta in poi rappresentano già la maggior parte della popolazione. Parliamo spesso di millennials ma, in realtà, dobbiamo tutti capire che cosa pensa la "generazione Z", i ragazzi nati dopo il 2000. I vecchi partiti non hanno compreso che occorreva mettersi in comunicazione con una moltitudine di persone che comunicano essenzialmente via social. Spiegare perché da noi queste nuove forze siano arrivate al potere è facile, basta confrontare il nostro reddito medio con quello di Francia e Germania. C'è troppa povertà e c'è la difficoltà di molti giovani a trovare un'identità sociale, che passa per il coinvolgimento nel lavoro. Poi pesa anche un senso di vendetta nei confronti di decenni di malgoverno». Quando parla di scelte politiche che si ribaltano contro gli elettori, pensa anche ai messaggi anti Europa che, in maniera non limpida, hanno caratterizzato la formazione del nuovo governo? «Gli imprenditori del Nord hanno votato in massa per la flat tax, ma ora sono terrorizzati: se si esce dall'euro, vanno tutti a rotoli. L'euro è il collante dell'Europa. Se non ci fosse, un Paese come il nostro tornerebbe ai tempi in cui l'inflazione era al 15 per cento. L'euro ci ha difeso, abbiamo avuto grandi benefici ma, allo stesso tempo, non possiamo pensare di scaricare le nostre magagne addosso agli altri, e penso soprattutto al debito pubblico». In questa nuova fabbrica lavorano quasi 800 persone, in Italia avete 2.974 dipendenti nella produzione e 4.706 in totale. Come si sente un imprenditore a sostenere uno sforzo simile, pensando che potrebbe essere messo in discussione un aspetto di fondo come l'appartenenza all'euro? «Non mi faccio condizionare. C'è stato un momento in cui avremmo potuto decidere se produrre fuori dall'Italia, e abbiamo scelto di stare qui. La conseguenza è che dobbiamo tenere un livello altissimo, con un forte senso di appartenenza da parte di tutti». Perché i gruppi come Prada, con tanti lavoratori, in Italia sono rari? «È l'effetto del mancato sviluppo tecnologico. Il nostro mondo produttivo è rimasto troppo artigianale, e naturalmente non intendo il senso migliore della parola, quello che riguarda la capacità delle persone di compiere lavorazioni di altissima qualità. Quello è fondamentale, ed è un punto di forza del made in Italy. Essere artigiani diventa un freno quando pensi di poter fare tutto da solo». Tante medie imprese vivono una fase positiva. Gli imprenditori stanno imparando a superare i vecchi limiti? «Quelli che esportano sì. Stare sui mercati internazionali ti obbliga a migliorare continuamente. Molti però non sono ancora riusciti a fare il salto verso una vera coscienza industriale». Che cosa potrebbe aiutarli? «È facile da dire, difficile da fare. Ci vuole un piano per agevolare le imprese che hanno un progetto, sostenerle mentre lo mettono in pratica e poi accompagnarle all'estero, con un Paese capace di vendere la propria immagine. L'Italia non si è guadagnata sul campo i galloni che l'avrebbero fatta rispettare di più. La nostra posizione, per molti versi marginale, poteva essere più credibile se, ad esempio, avessimo investito di più in cultura, in forza intellettuale, in competenza. Siamo sempre stati all'avanguardia, pensi al Rinascimento, ma oggi non siamo all'altezza dell'eredità che la storia ci ha lasciato». Come si torna sulla cresta dell'onda? «È un aspetto culturale. Bisogna puntare sull'istruzione, sull'università, costringere i ragazzi a laurearsi e a studiare di più». In campagna elettorale il Jobs Act è stato uno dei bersagli dei partiti della nuova maggioranza. Se venisse reintrodotto l'articolo 18, che cosa ne direbbe? «Molto sinceramente, mi è indifferente. Non so nemmeno bene come funzioni, non mi sono mai posto il problema. Se davvero vogliono, lo rimettano. Abbiamo sempre scelto i nostri collaboratori con l'idea di investire su di loro: dopo l'apprendistato, entravano in azienda per rimanerci. Ma il Jobs Act, e gli incentivi per le assunzioni a tempo indeterminato, sono stati fattori importantissimi per favorire l'occupazione». Il governo pensa alla flat tax. Pagare meno tasse sui profitti può

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 30 11/06/2018 diffusione:400000 Pag. 1 N.22 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

aiutare? «Non serve, ed è irrealizzabile». Perché non serve? Pagare il 15 per cento d'imposte sui profitti, invece del 21 per cento, non aiuterebbe le imprese a investire di più? «Non conta. Quello che serve davvero per far rendere un investimento è la capacità di gestire i processi in tutti i dettagli, esaminare le varie componenti che incidono sui costi e ottenere la massima efficienza. Ripeto, se si vuole rilanciare il sistema produttivo italiano, bisogna puntare soprattutto sulla formazione e sull'istruzione. Non crederò mai che un imprenditore assumerà di più se pagherà meno tasse». La flat tax piace molto soprattutto alle persone che hanno redditi elevati. «Dicono che abbia un costo di 50 miliardi di euro l'anno. Ho un timore, se lo annoti e poi vedremo se ho ragione: non se ne farà nulla, e diranno che è stata colpa del presidente della Repubblica o del governatore della Banca d'Italia, in modo da nascondere il fallimento. Non voglio dare l'idea di essere contro qualcosa o contro qualcuno. Vorrei solo dire che, in una fase come questa, il presidente della Repubblica rappresenta tutti gli italiani». Per un'azienda come Prada, che opera a livello globale, i fronti caldi dal punto di vista politico sembrano numerosi. Penso alla guerra dei dazi, che vede l'amministrazione americana in prima fila. Teme ripercussioni? «Non sono preoccupato, guardo le cose in prospettiva. Ho parlato di recente con l'economista cinese Justin Yifu Lin. Mi ha raccontato di essere tornato a casa nel 1988, dopo aver studiato e lavorato all'estero. Arrivato a Pechino c'erano solto due auto private, di cui una era sua. In Cina la generazione dei millennials, quelli che sono arrivati all'età adulta dopo il 2000, è la prima che ha davvero la possibilità di consumare, di vivere in modo nettamente migliore rispetto ai propri genitori. Per questo sono così aggressivi sui mercati. Magari la "generazione Z", i ragazzi nati dopo il 2000, svilupperanno un modo di vivere diverso. Li stiamo già studiando, vogliamo capire come coinvolgerli». Non temete che l'offensiva di Trump possa rallentare la crescita della Cina? «Forse un impatto ci sarà ma i loro economisti sembrano tranquilli, pensano che si svilupperanno nuove rotte commerciali. Sono fenomeni complessi, ci sono risvolti che è impossibile conoscere o prevedere. Però è un sistema che ha enormi spazi di crescita. In Cina soltanto 170 milioni di persone hanno il passaporto, e ogni anno aumentano di 16,5 milioni. Il mercato del lusso globale vale 262 miliardi e, di questi, soltanto l'8 per cento è realizzato in Cina. Ma se si si guarda la nazionalità dei compratori, indipendentemente dove sono effettuate le vendite, la quota cinese è molto più elevata, il 32 per cento, perché il loro turismo internazionale è in forte espansione, viaggiano moltissimo. Anche i nostri numeri riflettono questi fenomeni: il 20 per cento delle vendite di Prada sono fatte in Cina, ma complessivamente le vendite a clienti cinesi rappresentano il 36 per cento del totale». Vi siete mossi in maniera adeguata per rispondere a questo mercato? Nel 2017 le vendite nell'area Asia-Pacifico sono lievemente diminuite. «Forse pensavamo di poter crescere in maniera più tranquilla, e invece ci siamo ritrovati costretti a correre di più. Adesso stiamo lavorando, e allo stesso tempo cerchiamo di non commettere l'errore più grande, che sarebbe pensare di poterci muovere come colonizzatori. In Cina abbiamo 1.200 collaboratori, tutto personale locale, stiamo cercando di integrarci sempre più». Gucci, il fenomeno della moda di questi ultimi anni, sta crescendo moltissimo, anche in Cina. Si rimprovera di non aver saputo fare meglio? «Forse siamo stati più conservativi, mentre loro hanno colto in pieno le aspettative dei millennials. Ma sono fasi cicliche, magari noi ci muoveremo prima e meglio con le nuove generazioni». Prada è sempre stata una scuola di manager, cresciuti da voi e poi arrivati al top in altre aziende. Oggi pensate di avere nel vostro team le persone giuste per il futuro o potreste pescare qualcuno fuori dal gruppo? «Mi creda, non invidio nessuno, anzi considero l'invidia una cosa bruttissima. Stiamo lavorando, abbiamo le persone giuste, i segnali sono tutti positivi».

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 31 11/06/2018 diffusione:400000 Pag. 1 N.22 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

FONTE: ELBAORAZIONI PRADA SU DATI GLOBAL WEALTH REPORT FONTE: ELABORAZIONI PRADA SU DATI EUROMONIROE S DI MEO L'INAUGURAZIONE Dove nascono le borse: sulle colline di Arezzo la nuova fabbrica-giardino con 785 addetti In Prada la chiamano la fabbrica-giardino, perché l'intero stabilimento progettato dall'architetto Guido Canali è fasciato dal verde, con gelsomini, viti del Trentino, fichi rampicanti. Il cuore tecnologico, però, è il magazzino di pelletteria, completamente automatizzato, capace di contenere e movimentare 20 mila articoli, governato da cinque addetti. È la nuova sede industriale di Prada, a Valvigne, sulle colline di Montevarchi, la cittadina in provincia di Arezzo dove il gruppo produce già le scarpe, in un altro impianto distante pochi chilometri. La presentazione al pubblico si è tenuta venerdì 8 giugno, al termine di un lungo lavoro iniziato anni fa, con un primo insediamento a cui sono seguiti successivi ampliamenti, man mano che il gruppo ha acquisito i terreni circostanti e messo a punto l'assetto definitivo. Oltre agli addetti della pelletteria, nella nuova sede ci sono quelli che realizzano i modelli, l'amministrazione, le risorse umane. C'è anche un archivio sconfinato, che contiene un esemplare di ogni modello realizzato dalla griffe nel corso della sua storia, comprese le varianti di colore e materiali. A Valvigne lavorano 785 persone, una parte consistente dei dipendenti italiani del gruppo, che nella sola area industriale arrivano a 2.974, su un totale di 4.706. Prada produce nei propri stabilimenti il 50 per cento delle borse. Ai façonisti fornisce sia il progetto che la materia prima. Foto: Patrizio Bertelli , ceo di Prada Group Foto: FIRMATO CANALI La nuova sede industriale di Prada, a Valvigne, nei pressi di Montevarchi. Progettata da Guido Canali , vi lavorano quasi 800 persone. Ospita fra l'altro la produzione di borse Patrizio Bertelli , 72 anni, con la moglie Miuccia Prada è ceo di Prada Group Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella (1); Matteo Salvini (2), ministro dell'Interno; Luigi Di Maio (3), ministro dello Sviluppo Economico

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 32 11/06/2018 diffusione:400000 Pag. 1 N.22 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Concorrenza, se il Tar ferma le multe Antitrust Flavio Bini

Vincenzo Onorato, armatore e proprietario delle compagnie di navigazione Moby e Tirrenia, nei prossimi mesi dovrà accendere un cero a Sant'Andrea. Il santo patrono dei marinai, certo, ma non solo. Anche quello della chiesa di Sant'Andrea del Vignola in Via Flaminia a Roma, che si trova proprio sul marciapiede opposto all'edificio da cui - più di santi e ceri - dipende il destino di molte aziende italiane: il Tar del Lazio. Il Tribunale amministrativo regionale, insieme a molte altre controversie, dovrà decidere se confermare o meno l'imponente multa da 29 milioni di euro. segue a pagina 8 segue dalla prima La multa è stata inflitta dall'Antitrust alle due società per un presunto abuso di posizione dominante nel trasporto marittimo di merci. L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato a marzo ha deliberato la sanzione ma, come sempre, dovrà aspettare a lungo prima che i soldi entrino fisicamente nelle casse pubbliche. Anche anni, parecchi. Ammesso di riuscirci per davvero. Ecco i numeri. Tra quanto l'Autorità ogni anno decide di infliggere di sanzione e quanto poi, alla fine, lo Stato riesce a incassare lo scarto non è indifferente. Dal 2010 al 2016, ultimo dato disponibile, a fronte di 1,14 miliardi di multe ne sono stati versati soltanto 764 milioni, circa il 66%. In mezzo ci sono ritardi e, soprattutto, ricorsi persi - per lo Stato - davanti a Tar del Lazio e Consiglio di Stato, cui i soggetti destinatari delle sanzioni possono rivolgersi per ribaltare e ridimensionare le decisioni dell'Autorità, che peraltro delle multe di cui è responsabile non vede neanche un euro, visto che i suoi costi di funzionamento sono interamente a carico delle imprese più grandi. È quello che fanno, sempre, tutti i soggetti che vengono puniti dall'Antitrust. Bussano alla porta del Tribunale amministrativo prima e a quella del Consiglio di Stato poi sperando di vedersi ridotte o cancellate le sanzioni. Bilanci a rischio Anche perché il potere di fuoco dell'Autorità è cresciuto sensibilmente negli anni, arrivando ad irrogare multe salatissime, oltre i 300 milioni di euro. Numeri capaci, in alcuni casi, di mettere in serissima difficoltà i bilanci di alcune aziende. I numeri più aggiornati arrivano dalla Relazione 2016 sulla performance del Garante della Concorrenza e del Mercato. Davanti al Tar è stato accolto il 21% dei ricorsi, mentre dinnanzi al Consiglio di Stato gli appelli hanno dato ragione ai ricorrenti nel 35% dei casi. Una buona annata. Nel 2015, 32% di sconfitte al Tar e 42% al Consiglio di Stato. Numeri che spiegano quindi, in parte, perché su 100 euro che l'Antitrust dà di multa alla fine lo Stato ne incassa solo due terzi: le multe a volte vengono considerate eccessive o illegittime, quindi cancellate. L'ultimo episodio rilevante, poco più di un mese fa, quando il Tar del Lazio ha annullato undici multe e ordinato la riquantificazione di altre nove dell'importo originario di oltre 47 milioni di euro ad alcuni operatori attivi nella fornitura dei servizi di ossigenoterapia e ventiloterapia. Numeri importanti ma ancora ben lontani dai record dell'Autorità. Il primato fino ad oggi è fermo ancora al luglio 2000, quando l'Antitrust ha sanzionato tutte le principali compagnie assicurative - tra cui Ras, Sai , Generali, Axa, Lloyd Adriatico, Fondiaria, Winterthur- in relazione a un possibile cartello anticoncorrenziale nel ramo Rc Auto per un ammontare complessivo di quasi 700 miliardi di lire, circa 360 milioni di euro, multa poi lievemente ridotta dal Consiglio di Stato. È andata meglio, nel giugno dell'anno successivo, ad otto grandi compagnie petrolifere, da Erg a Esso, da Shell a Tamoil, con la massima autorità della giustizia amministrativa che ha annullato una sanzione per complessivi 331 milioni di euro (641 miliardi di lire di allora), di cui 112 alla sola Agip, di proprietà dell'Eni, e quindi sotto il controllo pubblico. Spostandosi in tempi più recenti, i big

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 33 11/06/2018 diffusione:400000 Pag. 1 N.22 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

del cemento attendono invece ancora il pronunciamento del Tar del Lazio sulla multa da oltre 182 milioni di euro (di cui 84 a Italcementi e 59,7 a Buzzi) inflitta lo scorso anno dall'Antitrust per una presunta intesa sui prezzi. Non sono solo i ricorsi però a complicare la strada dell'incasso per lo Stato. Di traverso, a volte, ci si mettono procedure concorsuali, rate e ritardi. Anche se la norma prevede il pagamento della sanzione entro 90 giorni (a meno di una sospensiva concessa dal Tar) sono pochissime le aziende che pagano tempestivamente. Anche se - ricordano fonti dell'Autorità - l'Antitrust "iscrive tempestivamente a ruolo chi non paga e svolge tutte le attività necessarie al recupero del credito". Insomma, chi non paga deve rassegnarsi ad avere l'ex Equitalia alle calcagna, mettendo in conto anche gli interessi che maturano mano a mano che il versamento non viene effettuato. Quando però le multe valgono quanto l'utile di un paio di esercizi le imprese preferiscono accettare questo rischio e accantonare le cifre a bilancio in attesa dell'ultima parola del Consiglio di Stato piuttosto che rispettare i termini del pagamento. Diversamente, lo Stato incassa e poi si deve preparare a restituire le somme fino all'ultimo cent. È quello che potrebbe accadere quest'autunno quando il Consiglio di Stato si pronuncerà definitivamente sul caso Roche-Novartis, una tra le maggiori multe mai inflitte nella storia dell'Antitrust, 182 milioni e 662 mila euro ai due colossi farmaceutici, accusati di essersi messi d'accordo per ostacolare l'utilizzo di un medicinale, l'Avastin, molto più economico dell'equivalente Lucentis, distribuito da Novartis ma sviluppato da una controllata di Roche, che costava al sistema sanitario oltre dieci volte tanto. Le aziende hanno già versato la somma nelle casse pubbliche, intanto però hanno fatto partire anche loro la macchina dei ricorsi. Così, quattro anni dopo la delibera dell'Antitrust e dopo un passaggio davanti alla Corte Europea di Giustizia, il prossimo 20 settembre la terza sezione del Consiglio di Stato si riunirà ed avrà 45 giorni di tempo per confermare la multa o annullarla, costringendo in questo caso il Tesoro a staccare un doppio assegno milionario alle due aziende farmaceutiche. Non bastassero ricorsi e ritardi, c'è anche una norma rimasta lettera morta a complicare il labirinto delle multe. Quella, prevista dalla legge 23 dicembre 2000 n.388, che prevede che le "entrate derivanti dalle sanzioni amministrative irrogate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato siano destinate a iniziative vantaggio dei consumatori". Una prescrizione per cui, puntualmente, ogni anno il ministero dello Sviluppo Economico è obbligato a trasmettere al Parlamento una relazione sull'effettiva destinazione di queste risorse. E puntualmente, ogni anno, la relazione certifica il mancato raggiungimento dell'obiettivo. O meglio, un flop sistematico. Dal 2010 al 2016 degli 1,14 miliardi di sanzioni irrogate allo Stato ne sono entrati, come detto, 764. Di questi, in totale, ai consumatori ne sono andati 91. Il 12%. E il resto? Un buco nero Ce n'è per tutti, dalla nautica da diporto al Fondo sociale per l'occupazione, dagli stanziamenti per le zone terremotate alla proroga dell'Imu per i terreni agricoli montani, fino al calderone delle "esigenze indifferibili", buco nero dei conti pubblici dove si perde traccia dell'utilizzo finale delle risorse. C'è di buono che quel 12% correttamente utilizzato ha fatto il suo dovere. Ha finanziato, e continua a farlo ogni anno, tutte le principali associazioni dei consumatori, che se dovessero dipendere soltanto dal contributo dei propri soci avrebbero chiuso i battenti da tempo. Anche in questo caso, però, restano le briciole delle briciole. Nel 2016, ultimo anno per cui sono state riassegnate le risorse, l'Antitrust ha irrogato sanzioni per 306 milioni di euro. Nello stesso anno lo Stato ne ha incassati 146 e di questi ne ha trattenuti per le proprie esigenze 103. Tolte le risorse accantonate per il prossimo anno, sono rimasti gli avanzi: ai consumatori sono andati poco meno di 19 milioni di euro. FONTE: AGCM, RENDICONTO GENERALE DELLO STATO, MISE S DI MEO

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 34 11/06/2018 diffusione:400000 Pag. 1 N.22 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

29 MILIONI La multa che il Tar del Lazio ha appena annullato a carico delle società di Vincenzo Onorato per abuso di posizione dominante 182 MILIONI Il Consiglio di Stato deve decidere sulla multa ai due big farmaceutici: avrebbero favorito la vendita alle Asl di un farmaco più costoso Agip 112 MILIONI Più altri 219 milioni ad altre sette compagnie petrolifere sono stati annullati dal Consiglio di Stato Foto: Roche - Novartis Moby Lines - Tirrenia Il presidente del Tar del Lazio Carmine Volpe (1) Il presidente del Consiglio di Stato Alessandro Pajno (2) Ernesto Maria Ruffini (3) presidente Agenzia delle Entrate IL GARANTE A lato, Giovanni Pitruzzella presidente dell'Agcm, l'Autorità di Garanzia della Concorrenza e del Mercato, ossia l'Antitrust

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 35 11/06/2018 diffusione:400000 Pag. 1 N.22 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato IL RAPPORTO Difesa, troppi sprechi un salasso per l'F35 Eugenio Occorsio

Per la difesa l'Italia spende troppo: 21,5 miliardi l'anno secondo Eurostat, l'1,3% del Pil contro la media europea dell'1,2. È vero che è compresa la spesa per i carabinieri addetti all'ordine pubblico, ma anche scendendo all'1,1 si spende più della Germania. «Quello che va considerato è però non la media ma il benchmark europeo», spiega Carlo Cottarelli. «Un paese indebitato come il nostro non dovrebbe spendere più dello 0,9-1% del Pil». segue a pagina 4 segue dalla prima Una cifra che non riesce a scendere. Invece dovrebbe farlo "perché c'è il problema che i confronti internazionali sui livelli di spesa devono tener conto del diverso vincolo di bilancio che grava sul Paese in conseguenza dell'abnorme debito pubblico", si legge in un rapporto appena sfornato dall'Osservatorio sui conti pubblici italiani, diretto da Cottarelli presso la Cattolica. "Il nostro Paese - si legge nel rapporto che sarà pubblicato oggi sul sito dell'Osservatorio - dovrebbe contenere la spesa nelle sue diverse componenti più che all'estero, a meno di voler pagare tasse più elevate". L'obiettivo ottimale sarebbe appunto ricondurre l'esborso sotto l'1% ma il settore sembra un vero e proprio "vaso di Pandora" con spese e sprechi che sbucano da ogni angolo e si moltiplicano in modo esponenziale. Cottarelli, quand'era commissario alla spending review nel 2013, chiese 1,7 miliardi di tagli. Renzi l'anno dopo ridusse a 600 milioni la cifra, ma di fatto, dice il rapporto, a parte un temporaneo taglio in armamenti nel 2014, non si sta facendo quasi nulla . Le insidie geopolitiche Non è facile tagliare la spesa militare perchè spesso si tratta di ridiscutere contratti cruciali per gli equilibri geopolitici. Il caso degli F-35 è emblematico. La stima di costo iniziale per l'intero programma (90 velivoli entro il 2027 già ridotti rispetto ai 131 iniziali) è di 13,5 miliardi da qui a fine periodo. "Anche senza entrare nel merito della necessità di un investimento così ingente per migliorare la difesa dell'Italia, il programma - scrive il rapporto sta incontrando diverse difficoltà come rilevato dalla Corte dei Conti". Il nodo ha due nomi in inglese: concurrency e retrofitting . Il primo è la sovrapposizione fra la fase di sviluppo del progetto e l'inizio della produzione (2012). In pratica, gli aerei sono andati in produzione prima che fosse conclusa la fase di sviluppo e test. Questo comporta che i velivoli non sono perfettamente operativi e, una volta consegnati, devono inevitabilmente subire interventi di messa a punto. È un paradosso, ma nascono già vecchi. E trattandosi di gioielli tecnologici, il tagliando è costosissimo perché attiene a parti di software ipersofisticate. Non a caso la casa produttrice Lockheed Martin e lo stesso Pentagono, hanno pensato bene di mettere nel contratto-base i costi di questo retrofitting a carico dei Paesi-clienti. Tali costi potrebbero arrivare a 32 milioni per aereo, un quarto del costo unitario previsto (125 milioni ) . "Se ciò fosse vero, il costo per i 12 velivoli già acquistati per lo sviluppo e l'aggiornamento del software di volo sarebbe di ben 400 milioni di euro". E poi via via in una sequenza esponenziale da brivido. Uno sgarbo agli Usa Il problema è che interrompere la sequenza è reso complicato dalla posizione dell'Italia nel programma (che coinvolge oltre agli Usa, Regno Unito, Paesi Bassi, Danimarca, Norvegia, Australia, Canada, mentre è in stand-by la partecipazione della Turchia per motivi di opportunità politica legati all'intervento in Siria): l'assemblaggio di tutti gli F35 destinati al mercato europeo avviene a Cameri, fra Novara e l'aeroporto di Malpensa, in un'area nuova di zecca dell'antica base aerea costruita ai tempi dell'Aeritalia (poi trasformatasi in Alenia e infine in Leonardo Divisione Aviazione), dove da sempre si fa la manutenzione degli aerei dell'Aeronautica Militare. L'unità si chiama Faco F35 ( Final assembly check out ), vi lavorano

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 36 11/06/2018 diffusione:400000 Pag. 1 N.22 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

600 tecnici specializzati dipendenti di Leonardo (mentre la proprietà dell'area è della Difesa) che arrivano a 1000 considerando il personale di altri enti coinvolti. Lì, con una climatizzazione che riproduce le condizioni della fabbrica Lockheed in Virginia a conferma della delicatezza delle componenti, vengono montati gli aerei. Solo l'hardware, però, perché per il sofwtare i velivoli vengono spostati in un hangar adiacente, l'F5 Atf ( Acceptance Test Facility) dove nessun italiano ha accesso e in gran segreto i tecnici americani danno una mano di vernice che li rende invisibili ai radar e inseriscono il software (che gli italiani poi come abbiamo visto dovranno aggiornare "alla cieca" pagando ancora una volta i tecnici americani). Tutto questo è un po' surreale, ma comunque crea un legame speciale con la capogruppo americana, che ha assicurato che sempre a Cameri verrà effettuata tutta la manutenzione degli F35 europei vita natural durante (anche se c'è il caveat della Gran Bretagna che sta facendo lobbying per poter fare la manutenzione in un suo stabilimento). Qualsiasi revisione unilaterale del contratto rimetterebbe in discussione tutto. Il primo "corpo alare" come si chiama nel gergo della difesa, è stato consegnato il 25 marzo 2015 e finora ne sono stati consegnati 48. La previsione è che si arrivi a 835. La riduzione dei militari Tutto è complesso quando si parla di difesa. Anche ridurre il personale. La riforma del 2012 prevedeva il calo da 175mila unità a 150mila entro il 2024 (si era arrivati fino a 350mila ai tempi della guerra fredda quando il servizio militare era obbligatorio), e da 28mila a 20mila per il personale civile. Quest'ultimo sta diminuendo con lentezza esasperante man mano che i dipendenti vanno in pensione,e la riduzione del personale militare procede a ritmi inferiori al previsto: un calo, puntualizza il rapporto, "di 1750 unità l'anno contro le 2083 volute". Ad oggi è sceso a 168mila unità. Il problema è che la spesa (9,2 miliardi pari al 70% del totale per la difesa) è ancora in linea con le percentuali precedenti la riforma. "Il costo del lavoro non è diminuito malgrado la riduzione del personale militare per un problema di composizione", si legge nel rapporto, redatto da Piergiorgio Carapella, uno dei ricercatori che lavorano con Cottarelli. "Il numero degli ufficiali è sceso solo del 4% ma bisogna tener conto degli scatti di carriera che contribuiscono ad aumentare i costi". Più marcato il calo dei sottufficiali (-13,5%), il cui numero però continua ad essere considerato eccessivo malgrado il blocco degli ingressi per concorso. Un blocco che peraltro comporta (problema esistente anche per i militari di truppa) un progressivo invecchiamento degli effettivi, quanto di peggio ci si possa augurare per uomini e donne destinati a essere utilizzati per lo più in missioni di pace in terre ingrate. Il rapportoscrive che gli scatti di grado sono automatici all'interno delle tre categorie (soldati, sottufficiali e ufficiali): ma se sono bloccati i concorsi esterni, non lo sono del tutto quelli interni per il passaggio da una categoria all'altra. Né sono serviti alcuni accorgimenti come la promozione a colonnello o generale subordinata all'esistenza di un comando, di un ente o un'unità da comandare. A tutto questo si aggiungono gli scatti di anzianità. "Il numero dei tenenti colonnello dell'Aeronautica con 25 anni di servizio - scrive il rapporto - è aumentato dal 2012 da 685 a 1112 unità. Va poi considerato il bonus straordinario per le Forze armate di 960 euro annui, che ha comportato nel 2016 un costo aggiuntivo per il ministero della Difesa di 245 milioni. A differenza del bonus degli 80 euro, non è legato al reddito ma viene elargito a tutto il personale senza incarichi dirigenziali". Misure controproducenti A nulla è servita l' aspettativa riduzione quadri , concepita per facilitare i prepensionamenti. Prevede a partire dai 53 anni la possibilità di andare in pensione con il 95% dello stipendio più le indennità: nel 2016 ne hanno usufruito 226 ufficiali, per i quali la spesa è stata di 27,5 milioni con un risparmio inferiore al milione. Per di più al 60° anno, età della pensione ordinaria, si aggiunge un altro benefit per ufficiali e sottufficiali la cosiddetta "in ausiliaria": al militare viene

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 37 11/06/2018 diffusione:400000 Pag. 1 N.22 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

riconosciuto un supplemento fino a 65 anni. In cambio gli viene chiesto di essere disponibile a un richiamo alle armi, che però in assenza di situazioni belliche è rarissimo, o ad essere destinato a incarichi come quello di commissario per i comuni sciolti per mafia. Un impiego però che si è rivelato arduo (difficile immaginare un ammiraglio che va a fare il commissario in un paesino calabrese) e poco usato. Il costo previsto per 2018 per le pensioni del personale in ausiliaria è di 400 milioni. Infine, c'è il capitolo delle missioni internazionali, i cui costi sono difficilmente comprimibili perché connessi con delicate variabili geopolitiche. L'impegno maggiore è in Asia e Medio Oriente dove le spese previste per i primi nove mesi del 2018 sono pari a 387 milioni con l'impiego di oltre 3mila unità di personale e di 847 mezzi terrestri, navali e aerei, La Ragioneria dello Stato,dice il rapporto, stima che il costo nel 2018 delle missioni sia di 1,5 miliardi, 73 milioni in più dell'anno scorso. "Il bilancio di previsione del Mef - osserva il rapporto - assegna al fondo per le missioni 995 milioni per il 2018: si dovranno trovare altri 500 milioni a settembre. Non sono chiari i motivi di tale meccanismo. Per il 2019 lo stanziamento è in linea e quindi anche l'anno prossimo si prevederà di aumentare gli stanziamenti in corso d'opera". Per evitare quest'affannosa rincorsa alle risorse, si cerca di economizzare. Chiudere entro l'estate il capitolo Afghanistan come si è vociferato nei giorni scorsi, dove peraltro lavorano non più di 800 militari nell'addestramento della polizia locale (si era arrivati a 4500), permetterebe un risparmio, calcola l'Osservatorio, di 170 milioni già quest'anno. Ma è tutto da vedere: di ritirarsi dal Paese si parla dal 2012 ma nell'ultimo anno i militari impegnati sono addirittura aumentati. FONTE: OSSERVATORIO CPI S DI MEOLA NUOVA MINISTRA A fianco, la neo-ministra della Difesa, Elisabetta Trenta. Malgrado il M5S fosse fra i più decisi sostenitori del blocco totale del programma degli F35 (anche il Pd chiedeva un suo ridimensionamento), molto più sfumata è la previsione del "contratto" di governo e del programma enunciato dal premier alle Camere: nessun riferimento diretto, ci si limita ad annunciare la "razionalizzazione delle spese militari" e la "rivalutazione della nostra presenza nelle missioni internazionali"I PERSONAGGI Carlo Cottarelli (1) , che da commissario alla spending review aveva chiesto meno spese militari per 1,7 miliardi; Matteo Renzi (2) che ridusse il taglio a 600 milioni anch'egli inascoltato; il premier Giuseppe Conte (3) che nelle dichiarazioni programmatiche a sorpresa non ha fatto menzione del programma F35; Luigi Di Maio (4) che aveva fatto di questo caso un cavallo di battaglia del M5S Nel grafico qui sopra, le missioni estere appena iniziate. Come si vede, sono ancora pochi i militari impegnati (ai quali sono però da aggiungere molti mezzi): realisticamente sono però destinati ad aumentare nei prossimi anni 13,5 MILIARDI DI EURO I costi del programma F35, che prevede 90 aerei i quali però andranno comprati via via. Il problema è che i primi hanno già bisogno di un costoso retrofit: il rischio è che vada a finire come con i 28 Eurofighter della tranche 1, inutilizzati in hangar perché non ci sono i fondi per l'upgrade. La tranche 2 è invece operativa e si sta completando la tranche 3 Foto: Il programma degli F35 costerà oltre 13 miliardi di qui al 2027 Foto: MISSIONI F35 Foto: Sotto, alcune delle voci più rilevanti del bilancio della Difesa: il programma F35, le missioni all'estero e i controlli e soccorsi in mare, gestiti però insieme dalla Marina Militare e dalle Capitanerie di Porto che fanno capo al ministero delle Infrastrutture e Trasporti SOCCORSO Il generale Claudio Graziano (1), Capo di Stato maggiore della Difesa; Marillyn

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 38 11/06/2018 diffusione:400000 Pag. 1 N.22 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Hewson ( 2), ceo della Lockheed

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 39 11/06/2018 diffusione:400000 Pag. 1 N.22 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato I COMMENTI Perchè la legge Fornero serve ai giovani Paolo Onofri

Negli Usa è già iniziata da tempo una lenta e progressiva restrizione monetaria alla quale si sta accompagnando una politica fiscale decisamente espansiva. In Europa l'inversione della politica monetaria si avrà sul finire del 2018. A ciò dovrebbero accoppiarsi politiche fiscali più espansive anche in Europa, se non si vuole che l'economia mondiale ricada in una recessione. segue a pagina 10 Ma ciò comporta che i portafogli dei risparmiatori-investitori dovranno assorbire sia i titoli che le Banche centrali smetteranno di acquistare che quelli aggiuntivi che l'ampliamento dei disavanzi richiederà di emettere. È in questo quadro, eventualmente aggravato dagli sviluppi delle politiche protezionistiche, che dovrà muoversi l'azione del governo. Il discorso di insediamento del premier non ha fornito un disegno strategico della politica economica e non ha ridotto l'incertezza di quanti devono finanziare il debito pubblico. La situazione rimane nervosa e la speranza di una pausa trimestrale estiva di riflessione, in attesa che venga configurata la legge di Bilancio è esile: ci sarà molta voglia di tenere alto il livello di comunicazione verso ciascuno dei due elettorati e la volatilità dei rendimenti dei titoli pubblici continuerà a essere alta. Si dovrebbero sfruttare i mesi estivi per prendere consapevolezza di ciò che è stato fatto nella legislatura appena finita nei singoli settori. Studiando nel silenzio i vari dossier. L'emotività dell'elettorato, stuzzicata dalla conduzione aggressiva della campagna elettorale, induce a rovesciare le riforme strutturali che sono state introdotte (istruzione, PA, lavoro, flexsecurity), senza valutare che per cittadini e operatori gli effetti di tali riforme maturano nel medio periodo, se modificate in itinere rafforzano il senso di instabilità delle regole della vita collettiva che non aiuta a raggiungere gli obiettivi che il nuovo governo si propone. Almeno da parte del premier e dei suoi vice, si dovrebbe prendere consapevolezza dell'impianto strategico della politica economica di questi anni: misure di breve periodo che hanno alzato la dinamica del reddito disponibile delle famiglie a reddito medio basso per innescare la crescita dei consumi, accompagnate da misure di intervento strutturale e di sostegno agli investimenti per alzare la crescita del prodotto potenziale. L'approvazione di queste misure, apprezzate dalla Commissione Ue, e l'impegno di lungo periodo di riduzione del disavanzo e del debito pubblico hanno reso compatibili deviazioni espansive dal sentiero programmato di finanza pubblica, ritorno a tassi di crescita dell'1,5% e riduzione dello spread. C'è un esempio emblematico di disegno di lungo periodo che non può essere ignorato per intervenire sul sistema pensionistico. Le riforme iniziate nel 1992 si ritenevano terminate nel 2012 con l'equilibrio pluridecennale di entrate e uscite del sistema previdenziale. Le caratteristiche: il calcolo contributivo della pensione esteso a tutti, la rivalutazione del montante contributivo al tasso di espansione del Pil nominale, l'indicizzazione del calcolo della rendita pensionistica alla vita media attesa al momento della pensione. Questi due ultimi meccanismi consentono l'equilibrio di lungo periodo del sistema a scapito eventualmente della non adeguatezza del livello della pensione. È qui che interviene l'indicizzazione dell'età della pensione di vecchiaia alla vita media attesa, che prolungando il periodo di lavoro permette di liquidare pensioni più elevate. Pensare di smontare la legge Fornero è un messaggio destabilizzante e punitivo nei confronti dei giovani che vedono messe a repentaglio le pensioni future per favorire gli anziani di oggi. Una distorsione intergenerazionale tramandatasi di riforma in riforma: ci sono voluti 20 anni per correggerla. Introdurre per tutti la possibilità di lasciare il lavoro prima del tempo contraddice l'obiettivo di

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 40 11/06/2018 diffusione:400000 Pag. 1 N.22 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

adeguare lo standard di vita consentito dalle pensioni. Si può fare, ma l'onere delle pensioni anticipate dovrebbe andare a carico delle imposte e non del sistema pensionistico. I cittadini 25-55enni che lavorano dovrebbero essere interpellati da chi si fa vanto della democrazia diretta: siete disposti a pagare più imposte per mandare in pensione anticipata chi non se la sente più di lavorare? Il premier dovrebbe applicarsi nella sua autonomia costituzionale a far emergere il disegno strategico dell'azione di governo come non ha fatto di fronte alle Camere. Due frasi tra le tante che si sono sentite potrebbero aspirare ad avere un tale respiro: il ministro dell'Economia Tria ha lasciato intendere che l'abolizione dell'aumento Iva dal 2019 potrebbe non essere necessaria se quei fondi (12,4 mld nel 2019 e 19 nel 2020) fossero utilizzati per fiscalizzare i contributi sul lavoro dipendente, una forma di deprezzamento fiscale della moneta e miglioramento strutturale della competitività. L'altra è la dichiarazione di Luigi Di Maio che si deve partire con la riforma dei centri per l'impiego prima di parlare di reddito di cittadinanza, per migliorare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro e impostare percorsi di vera formazione. Due misure che agirebbero sulla crescita del Pil rendendo accettabile una temporanea deviazione del sentiero di riduzione del disavanzo pubblico se fosse impostato all'interno di un programma pluriennale di riduzione della spesa corrente che si accompagni alla riduzione delle imposte sul reddito. Cambiamento nella continuità strategica, questo lo slogan?

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 41 11/06/2018 diffusione:400000 Pag. 1 N.22 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato I COMMENTI Il mercato ha bisogno del governo Andrea Boitani

Che il mercato abbia molti meriti è cosa nota e, da parte mia, riconosciuta da prima che molti dei suoi odierni adulatori se ne accorgessero. Ma siamo realisti: il mercato ha anche parecchi difetti, peraltro evidenziati dalla teoria economica nei primi decenni del secolo scorso, se non prima. L'idea smithiana che il mercato sia guidato da una mano invisibile vale solo nel Nirvana della concorrenza perfetta e dell'informazione perfetta. segue a pagina 10 La ragione per cui la mano può essere invisibile "è che semplicemente non esiste, o almeno che se esiste è artritica", ha scritto il premio Nobel Joseph Stiglitz nel 2001. L'artrite della mano invisibile sta nella difficoltà che il mercato ha di raccogliere e trasmettere le informazioni private e asimmetriche dei diversi soggetti economici e nel potere che, in questo contesto, acquisiscono i grandi monopoli dell'industria, della finanza, dell'informatica, ecc.. Perciò si richiedono regole e istituzioni capaci di correggere i difetti ed esaltare i meriti del mercato, disciplinandolo. Non possono che essere il governo, la banca centrale, le autorità di regolazione e l'antitrust a farlo: tutte istituzioni pubbliche che, in diverso grado e in diverso modo, rendono conto al Parlamento democraticamente eletto. I mercati finanziari sono spesso lodati per le loro proprietà stabilizzanti, cioè per la loro capacità di riportare all'equilibrio domanda e offerta di attività finanziarie, di credito, eccetera. Ma i mercati finanziari - in cui tutti noi, direttamente o indirettamente, operiamo per difendere e far fruttare i nostri risparmi - sono anche quelli in cui si producono le bolle, alimentate dalle straordinarie possibilità di indebitamento che permettono di creare piramidi finanziarie rovesciate (cioè che poggiano sulla punta). Piramidi che sono sempre pronte a crollare non appena si avverta uno stormir di fronde un po' più forte del solito, un cambiamento delle sensazioni degli operatori e dei risparmiatori. La bolla scoppia nel panico e nel si salvi chi può generale tutti cercano di disfarsi dei debiti (generalmente a carico dello Stato). Insomma, i mercati finanziari possono essere destabilizzanti e lo abbiamo visto tutti dopo il 2007. Negli anni della crisi dei debiti sovrani l'incompleta unione monetaria europea poteva rompersi. Il rischio che il debito di alcuni stati venisse ri-denominato in valute deprezzate (dracma, lira, peseta) andò alle stelle e fece allargare gli spread più di quanto giustificato dall'intrinseco differenziale di rischio di insolvenza tra Italia, Grecia, Spagna e Germania. I mercati (in realtà tutti noi) erano stati presi dal panico e, di nuovo, erano diventati destabilizzanti, punendo in modo eccessivo i paesi più deboli, proprio come previsto dal Rapporto Delors già nel 1989. Il panico rientrò dopo il famoso discorso di Mario Draghi a Londra il 26 luglio 2012: quello del "whatever it takes". Fu un soggetto pubblico, la Banca Centrale Europea a riportare la calma sui mercati, a dar loro un nuovo baricentro e a far così riprendere comportamenti stabilizzanti. Pensare che siano i mercati a dover "disciplinare" i governi è sbagliato perché i mercati possono essere indisciplinati, ma anche perché sono spesso dominati dalla presenza di gruppi enormi (come Goldman Sachs o Black Rock, per citarne due) che possono condizionare il comportamento dei tanti piccoli fino a destabilizzare mercati e stati. Naturalmente, un errore di politica economica di troppo, perfino un'aspettativa di errori futuri da parte dei governanti in pectore possono scatenare il panico o un'euforia irrazionale. Quanto successo nell'ultimo mese in Italia è un esempio da manuale. Chi di noi, con pochi sudati risparmi, non ha tenuto il dito nervoso sul mouse pronto a vendere con un click tutti i suoi titoli di Stato? Per questo il governo ha il dovere di muoversi con cautela e intelligenza, evitando gli annunci incendiari e le docce

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 42 11/06/2018 diffusione:400000 Pag. 1 N.22 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

scozzesi. Tutti noi viviamo nell'incertezza e nell'ignoranza: dalle istituzioni pubbliche vogliamo punti di riferimento e stabilità. Cerchiamo anche di non perdere di vista quel che conta davvero e di non perderci in dispute ideologiche rétro.

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 43 11/06/2018 diffusione:400000 Pag. 1 N.22 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato IL PERSONAGGIO Azevêdo Mister Wto un brasiliano tra Usa e Cina Alberto Flores d'Arcais

a pagina 6 New York «Ho esortato tutti i paesi dell'Organizzazione Mondiale del Commercio a riflettere molto attentamente prima di intraprendere una guerra commerciale. Perché una volta che si imbocca questa strada diventa molto difficile tornare indietro ed invertire la rotta. E una volta che inizi a prendere misure reciproche in cui ci si danneggia gli uni con gli altri rischi di provocare una valanga, un effetto domino». La guerra dei dazi è in pieno svolgimento e Roberto Azevêdo, direttore generale del Wto (World Trade Organization), si trova suo malgrado al centro di un campo di battaglia commerciale che rischia di provocare molti danni. Per l'uomo che da cinque anni è alla guida dell'organizzazione internazionale che fa da supervisore agli accordi commerciali tra gli Stati membri, non sono giorni facili. Quanto sta accadendo (Trump che la sfida la Cina e Pechino che replica in un gioco che ricorda le schermaglie tra gatto e topo, gli Usa contro l'Europa, Messico e Canada ai ferri corti con il potente vicino) sta però dando - a lui e all'organizzazione di cui è a capo - non solo grane fino a due anni impreviste, ma anche una certa notorietà e (forse) un nuovo potere. Per la prima volta, infatti, sia Trump che i cinesi che ancora Bruxelles hanno preannunciato ricorsi proprio al Wto per far valere le proprie ragioni. Sessant'anni ben portati, Roberto Azevêdo è una vecchia volpe della scena diplomatica internazionale. Nato a Salvador di Bahia (il cuore del Brasile "africano" e la terza metropoli del paese dopo San Paolo e Rio de Janeiro), decise di abbandonare il nord est per studiare a Brasilia, la capitale progettata da Oscar Niemeyer e costruita (in soli 41 mesi) nella seconda metà degli anni '50 al centro dello sterminato altipiano brasiliano. Fu lì, dopo essersi laureato in ingegneria, che scoprì la sua vera passione: gli affari internazionali. E così, mettendo da parte una (forse) più facile carriera nell'industria privata si iscrisse all'Istituto Rio Branco una vera e propria accademia diplomatica, fucina dei civil servant brasiliani. Una carriera che inizia a Itamaraty (la Farnesina del Brasile) nel 1984, dove il giovane Roberto si distingue subito per la sua capacità di mediazione, la sua perenne ricerca della trattativa e, perché no, del compromesso. Portato per le lingue (parla perfettamente - oltre al natio portoghese - inglese, francese e spagnolo), nel giro di pochi anni inizia a girare il mondo come diplomatico. Nel 1988, la prima tappa importante anche per la rete di conoscenze che gli servirà in futuro, è negli Stati Uniti, dove lavora per l'ambasciata brasiliana a Washington; nel 1992 è a Montevideo (Uruguay) dove resta fino al 1995, quando viene richiamato in patria per diventare il numero due del dipartimento affari economici del ministero degli Esteri. Segue una tappa europea (1997), il suo primo incontro con Ginevra e la Svizzera e un ritorno (che sembra quasi definitivo) nel suo paese di origine. Dal 2001 sale rapidamente i gradini della carriera a Itamaraty, prima partecipando attivamente alla creazione del dipartimento che coordina le cause commerciali (che guiderà per quattro anni) poi nel 2005 diventando direttore del dipartimento per gli affari economici, e infine con l'ingresso nei banchi del governo come sottosegretario del ministero dell'Economia e della Tecnologia (nel biennio 2006-2008). Nel 2008 fa il suo ingresso al Wto e come rappresentante del Brasile diventa il capo delegazione in diverse e importanti controversie che il Paese, il "gigante del Cono Sud", si trova ad affrontare. Fra queste due che lo impongono all'attenzione di tutti: quella che riguarda i sussidi del cotone (dove si trova davanti come avversario gli Stati Uniti) e quella che riguarda lo zucchero, in cui lo scontro sarà con l'Europa. Sono gli anni in cui mette a punto le sue numerose relazioni all'interno del Wto e in cui partecipa a quasi

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 44 11/06/2018 diffusione:400000 Pag. 1 N.22 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

tutte le conferenze ministeriali a iniziare dai negoziati di Doha sulla liberalizzazione del commercio mondiale. «Non è una vittoria del Brasile, né di un gruppo di paesi, ma di tutta l'Organizzazione Mondiale del Commercio». Quando nel settembre 2013 Azevêdo venne eletto alla direzione generale del Wto, la prima a congratularsi con lui fu l'allora presidente Dilma Rousseff (che sarebbe poi stata travolta come il suo mentore Lula da una serie di scandali). Parole che non erano del tutto sincere, visto che il Brasile aveva vissuto la "finale" tra Azevêdo e il messicano Herminio Blanco (una sfida durata quattro mesi) quasi fosse una partita di calcio. Del resto era stata proprio lei (che infatti ha poi voluto ringraziare "i governi di tutto il mondo") ad avere affidato alla fine del 2012 il prestigio del Brasile nelle mani dell'allora 55enne diplomatico brasiliano per la successione al francese Pascal Lamy. Fu così che, grazie ad Azevêdo il Brasile, che stava vivendo un momento di forte sviluppo conquistava finalmente uno dei grandi palcoscenici della scena internazionale. Da allora il paese sudamericano è diventato uno dei grandi negoziatori all'interno del Wto, alla pari di Stati Uniti, Unione Europea, Giappone, Australia, della Cina nuova superpotenza, dell'emergente India. E l'ingegnere-diplomatico si è sempre di più caratterizzato nella difesa dei paesi in via di sviluppo (i cosiddetti G20) contrapponendosi agli Usa e all'Europa. Finché oggi arriva a una ribalta mai vista prima. «Il sistema commerciale multilaterale è afflitto da una paralisi totale dei negoziati», ha spiegato in più occasioni. «Occorre rendere questo sistema compatibile con il mondo d'oggi e il solo modo per farlo è quello di incoraggiare il commercio e la liberalizzazione degli scambi rendendoli componenti essenziali delle politiche di sviluppo. A livello di negoziati serve un direttore generale capace di riannodare le fila, dialogare con gli Stati membri e parlare con loro su un piano di uguaglianza». Parole che diventarono una sorta di manifesto elettorale con cui si presentò allo scontro finale (e vincente) contro il candidato messicano. Adesso dovrà dare il meglio di sé, per evitare quell'effetto domino che rischia (parole sue) di travolgere l'organizzazione mondiale del commercio. Da quando ha avuto inizio la guerra dei dazi ha cercato di mantenere un profilo basso, di evitare - come è nella sua natura e nel suo stile - lo scontro troppo aperto, di mediare tra le parti. Sapendo però che questa volta occorre prendere una posizione più o meno decisa e che le azioni intraprese dalla Casa Bianca sono un serio campanello d'allarme sia per l'istituzione che ha sede a Ginevra sia per il multilateralismo. «Il sistema ha chiaramente bisogno di aggiornamenti, su questo non c'è alcun dubbio», ha detto pochi giorni in un colloquio con Bloomberg. «Quando il Wto venne creato nel 1995, Internet esisteva a malapena e l'e-commerce era del tutto inesistente. Oggi è il settore economico più grande e in più rapida crescita. Quindi, se c'è una cosa di cui sono certo è che abbiamo bisogno di aggiornarci rapidamente». Quale sia la strategia del navigato diplomatico per affrontare la guerra dei dazi ancora non è chiarissimo, lui si dice convinto di poter superare «l'aggressiva strategia commerciale» degli Stati Uniti cercando anche di mitigare le conseguenze di ritorsioni diffuse alle nuove tariffe doganali. Se riuscirà a convincerli è ancora tutto da vedere, anche perché Trump sta sfruttando una lacuna nelle regole del Wto che consente ai paesi di adottare misure commerciali per difendere «interessi essenziali di sicurezza». Ci proverà, per l'ingegnere diventato diplomatico è la più grande sfida della carriera. S DI MEOLA SCHEDA La marcia infinita alla liberalizzazione degli scambi internazionali Il Wto (World Trade Organization) nacque il 1° gennaio 1995, in successione al Gatt (General agreement on tariffs and trade), che aveva regolato i commerci mondiali dal 1948. A sancirne la nascita fu la dichiarazione di Marrakesh firmata da 124 Paesi, che entrarono nell'organizzazione. Seicento persone di staff, sede a Ginevra. Primo direttore del Wto fu

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 45 11/06/2018 diffusione:400000 Pag. 1 N.22 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

l'italiano Renato Ruggiero, già ambasciatore e segretario generale della Farnesina, che tenne l'incarico per un quadriennio fino al 1999 quando gli successe il neozelandese Mike Moore. Poi, nel 2001, Ruggiero divenne ministro degli Esteri come tecnico senza partito nel governo Berlusconi II. Ma dopo appena sei mesi, Ruggiero rassegnò le dimissioni per incompatibilità della sua politica europeista e liberista con il localismo del partito di governo della Lega . Tornando al Wto, dopo Moore fu il turno del thailandese Supachai Panitchpakdi, quindi del francese Pascal Lamy e infine di Azevêdo, primo americano (anzi, sudamericano): gli statunitensi, pur essendo azionisti di maggioranza dell'organizzazione, hanno sempre evitato di proporsi per la direzione preferendo la Banca Mondiale e altre organizzazioni multilaterali. Man mano che si succedevano i direttori, continuava la silenziosa opera di "affinamento" della missione e delle prerogative del Wto, i famosi interminabili "round": solo quello di Doha, è durato sedici anni, dal 2001 al 2017, per essere sostituito da quello argentino che è appena cominciato. Ogni volta, attraverso una serie di sessioni plenarie e un intenso lavorìo multi e bi-laterale, si cerca di togliere qualche dazio, qualche tariffa, qualche barriera al commercio. Finché arriva Trump e scompiglia tutto. Foto: Roberto Azevêdo , direttore generale del Wto, visto da Dariush Radpour

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 46 11/06/2018 diffusione:400000 Pag. 49 N.22 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato L'INTERVISTA "Famiglie e aziende si conquistano vendendo qualità" DONATO IACOVONE, AD DI EY ITALIA: LA LIBERALIZZAZIONE DEL MERCATO ALZERÀ LA COMPETIZIONE TRA GLI OPERATORI AUMENTANDO LE OPPORTUNITÀ PER GLI UTENTI FINALI. DECISIVA LA RACCOLTA TEMPESTIVA DEI DATI SULLE LORO ESIGENZE (v.d.c.)

Milano «La strategia delle utilities elettriche oggi si sta focalizzando sul cliente, in passato lo era sul prezzo. Questo significa che nei prossimi anni la sfida tra gli operatori del settore si giocherà sempre di più sui servizi, e non più soltanto sulla vendita di energia. Ma è solo l'inizio: perché la diffusione degli smartmeter e l'ingresso dei contatori 5G consentirà alle aziende di gestire un enorme flusso di informazioni che potrebbero essere utilizzate per migliorare la qualità del servizio al cliente finale». Guarda al futuro Donato Iacovone, ad di EY in Italia e managing partner dell'area mediterranea, affrontando subito uno dei temi al centro della 1° edizione dell'EY Energy Forum di Rapallo, l'evento che ha chiamato a raccolta per due giorni le maggiori utilities e aziende dell'oil&gas con l'obiettivo di confrontarsi sulla trasformazione del mercato energetico e sulle nuove sfide lungo l'intera catena del valore: dall'upstream (generazione-approvvigionamento e trasmissione-trasporto di energia), al midstream (distribuzione) fino al downstream (vendita al cliente finale). Il tema della centralità del cliente è stato il filo conduttore della due giorni del Forum. Secondo lei, quale sarà il modello vincente per le utilities? «Non ci sarà un vero e proprio modello vincente. Credo invece che, in prospettiva, il mercato sia destinato a spaccarsi in due parti ben distinte: da una parte, ci saranno aziende che punteranno tutto sull'efficienza operativa, abilitata dall'innovazione tecnologica finalizzata al contenimento dei prezzi e alla ottimizzazione dei livelli di servizio. Dall'altra, ci saranno aziende che investiranno tutto sul valore arricchendo il proprio portafoglio di servizi. In tutte e due i casi, la competizione si giocherà sui volumi che per una società del settore sono sempre significativi. Chi riuscirà a raggiungere le necessarie economie di scala, potrà ottenere marginalità sostenibili. In caso contrario, sarà un problema». A luglio 2019 ci sarà la fine del mercato tutelato di energia e gas. Che cosa ci dobbiamo aspettare? «Partiamo da un dato: oggi oltre il 60% degli italiani non si è ancora posto il problema. Questo significa che milioni di persone si fidano del loro brand. Detto questo, penso che la liberalizzazione del mercato alzerà ulteriormente la competizione tra gli operatori aumentando di riflesso le opportunità per i clienti finali». Il futuro delle utilities sta nei dati. È così? «La sensazione è questa. Il problema vero sarà la qualità del dato. In un mercato sempre più competitivo e frenetico, anche per effetto della crescita delle rinnovabili, saper gestire con tempismo tutte le informazioni in entrata può fare la differenza per un operatore. Tempismo altro non è che saper estrapolare, elaborare e analizzare i dati in un tempo ragionevole. Sulla base di questi prendere poi decisioni a beneficio dei clienti finali che si tradurranno in un panel di prodotti ad hoc: perché non tutti compreranno gli stessi servizi o cercheranno lo stesso valore da un fornitore di energia. Quindi, più i dati saranno affidabili, granulari e in tempo reale tanto più si riuscirà a migliorare l'efficientamento tra domanda e offerta». Resta il dato inconfutabile che oggi in Italia il prezzo dell'energia è ancora il più caro d'Europa. Perché? «Nel nostro Paese esiste un tema di interconnessione sia verso i mercati esteri sia all'interno delle diverse zone di mercato nazionali che impedisce di sfruttare al meglio la disponibilità di risorse, soprattutto rinnovabili, per servire zone di mercato dove e quando c'è effettiva necessità. Ad esempio, se in una determinata ora del giorno ho tanta produzione di eolico in Puglia (che costerebbe zero) e ho tanta domanda di energia nel Lazio,

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 47 11/06/2018 diffusione:400000 Pag. 49 N.22 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

ma la struttura e le condizioni di rete permettono di trasferire questa energia verso il carico, allora per soddisfare quella domanda dovrò ricorrere a risorse potenzialmente più costose che siano in grado di fornire energia dove e quando mi serve. Questo, è quindi un fattore che contribuisce ad alzare i prezzi all'interno del singolo mercato». In tema di generazione di energia, la Sen ha posto obiettivi molto ambiziosi sia in termini di riduzione delle emissioni di CO2 che in termini di riduzione di costi dell'energia elettrica e di approvvigionamento. Come giudica il piano? «Se la Sen avesse attuazione immediata, avremmo svoltato. Pensiamo solo ai 110 miliardi di euro che il piano ha previsto per l'efficientamento energetico: sarebbe un ottimo punto di partenza, perché si creerebbe un circolo virtuoso per attirare investimenti privati nel settore pubblico. Il problema però non è solo economico, ma strettamente burocratico: ad esempio, per intervenire sulla coibentazione di ospedali o scuole, le aziende chiedono certezze contrattuali su base decennale. Però, almmeno fino a oggi, le gare Consip non vanno poprio in questa direzione». S DI MEO Foto: Nella foto sotto Donato Iacovone , ad di EY in Italia e managing partner dell'area mediterranea

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 48 11/06/2018 diffusione:141346 Pag. 1 tiratura:208615 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato L'INCHIESTA / STAMPA PLUS I centri per l'impiego trovano lavoro a 3 disoccupati su 100 ELISABETTA

PAGINE 14 E 15 Aquante persone dovrebbe trovare lavoro un Centro per l'impiego (Cpi) che funzioni? «Al 10-15% di chi bussa alla sua porta» stima Maurizio Del Conte, presidente dell'Anpal, l'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro che coordina i 552 Cpi d'Italia. E a quante effettivamente lo trova? «A meno del 3%». Spostandosi dai numeri agli esempi il quadro non cambia, peggiora. «Gli uffici non condividono i dati - prosegue -, neanche quando sono vicini di casa come Lecco e Como. Con il risultato che un aspirante infermiere non vede se l'ospedale dell'altra città ha un posto vacante. Arriviamo al paradosso di poter visualizzare sul portale europeo Eures le proposte della Grecia ma non quelle della provincia a fianco». Gli effetti di questo meccanismo sono concreti, calcolati «in un 2025% di posti di lavoro che rimangono vuoti perché domanda e offerta non si incontrano». Ma perché i Cpi non funzionano? Scarse risorse (meno dello 0,05% del Pil mentre la media europea è dello 0,21%, dati Eurostat), scarso personale (7.900 addetti, di cui oltre mille precari, contro i 100.000 della Germania), scarse competenze (il 12% ha solo la licenza media), scarsa chiarezza sui ruoli di Regioni e Stato. Un guazzabuglio che ha origini lontane ma oggi, ancora di più, torna d'attualità. I Centri sono gli eredi dei vecchi uffici di collocamento, cancellati da una legge del 1997 che ne cambiò il nome in Cpi, di competenza regionale. Nell'ambito del Jobs Act, il governo Renzi creò l'Anpal, che avrebbe dovuto esercitare il controllo sui Centri. Ma il referendum costituzionale fu bocciato e la materia è rimasta concorrente tra Stato e Regioni. Con il governo M5S-Lega, i Cpi tornano protagonisti perché saranno loro a prendere in carico i beneficiari del reddito di cittadinanza, qualora ci sarà. Il ministro del Lavoro Luigi Di Maio promette di finanziarli con 2 miliardi. Basteranno? «Sono utili ma non sufficienti - commenta il presidente Anpal -. Do per scontato che sia un investimento annuale altrimenti non serve». Il primo elemento su cui investire è il personale. «Ad oggi le risorse destinate sono scarse - spiega Silvia Spattini, ricercatrice di Adapt, associazione fondata da Marco Biagi -. Nel 2014 eravamo penultimi in Europa per spesa per i servizi per l'impiego, nel 2015, ma con dati ancora provvisori, sestultimi. Senza contare che, fatto 100 di spesa per politiche del lavoro, in Italia il 2,3% va in servizi per l'impiego, il 23,8% in politiche attive (la metà per incentivi all'assunzione) e ben il 73,9% in politiche passive, ossia indennità di disoccupazione e cassa integrazione». Insomma, il lavoro che non c'è si tampona con i sussidi. Secondo l'Osservatorio dei consulenti del lavoro, nel 2015 l'Italia ha destinato 750 milioni di euro per i servizi pubblici per l'impiego, mentre la Germania 11 miliardi e la Francia 5,5 miliardi. Confronto impietoso anche per il personale, rispettivamente 7.900 («il 22% dei quali in Sicilia, che però non ha performance migliori» dice Del Conte), 100.000 e 50.000. Ma è anche questione di competenze. «In molti Cpi sono stati assorbiti dipendenti di altri enti pubblici che non hanno formazione specifica» conferma Del Conte. Come invertire la rotta che vede molti italiani rivolgersi a amici e parenti per trovare lavoro? «Investendo di più - osserva Spattini - e poi, come già proponeva la legge Biagi, lavorando a un sistema integrato di servizi pubblici e privati». I 2 miliardi promessi dal governo come verranno usati? «Un miliardo per gli stipendi, se pensiamo di raddoppiare il personale - spiega Del Conte - e l'altro per corsi di formazione e per modernizzazioni. Oggi il 46% dei Cpi lamenta strumenti non adeguati e l'1,5% lavora addirittura off line». - c

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 49 11/06/2018 diffusione:141346 Pag. 1 tiratura:208615 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Tasso di disoccupazione in Italia (media 2017) Cercare lavoro in Italia 11,2% 37,7% 20-25% 82% 25% 376.397 552 + 288 274 34.000 11 83,5% 46% 70% 50,5% 39,8% 14,4% I Cpi italiani 12% Gli utenti dei Centri 2,7% Tasso di disoccupazione giovanile Posti di lavoro che si stima rimangano vacanti perché domanda e oerta non si incontrano Italiani che cercano impiego rivolgendosi a parenti, amici e sindacati Chi cerca bussando a un ucio pubblico chi si rivolge a un'agenzia privata il numero di Centri per l'impiego, Cpi sportelli territoriali gli utenti per ogni operatore all'anno la richiesta media di operatori in più per ogni Cpi le persone in cerca di lavoro che hanno avuto un contatto con un Cpi in un mese i lavoratori che trovano lavoro grazie a un Cpi ogni anno (cioè 4 lavoratori collocati all'anno da ogni operatore) Cpi che considerano insuciente il proprio personale i Cpi che dichiarano di lavorare con dotazioni non adeguate Operatori dei Cpi che hanno solo la licenza media chi dichiara di aver trovato lavoro grazie a un Cpi hanno meno di 50 anni quelli privi di un diploma superiore - LA STAMPA chi dichiara di vivere in famiglie senza alcun reddito da lavoro o pensione Il confronto con Francia e Germania 750 5,5 11 0,21% 0,046% 50 mila 100 mila 3,5 7.934 di cui 1.737 milioni di euro quelli spesi dall'Italia (nel 2015) per i servizi pubblici per l'impiego miliardi di euro quelli che investirebbe l'Italia se la spesa fosse in linea con la media europea dipendenti dei Centri per l'impiego italiani (Cpi) (il 22%) in Sicilia miliardi di euro la spesa

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 50 11/06/2018 diffusione:141346 Pag. 1 tiratura:208615 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

francese miliardi di euro la spesa tedesca La spesa media europea per le politiche del lavoro come percentuale del Pil quella italiana gli addetti in Francia gli operatori in Germania Fonti: Anpal, Eurostat, Isfol, Istat, Osservatorio statistico dei consulenti del lavoro

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 51

SCENARIO PMI

8 articoli 11/06/2018 Pag. 16 N.24 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Fuori Piazza protagonisti della Finanza Il Risparmio gestito alla sfida low cost a cura di Edoardo De Biasi

Qualcuno le chiama Ryanair del risparmio gestito. E come le compagnie low cost hanno trasformato il modo di volare, così loro stanno cambiando il modo di investire. Si tratta di BlackRock e Vanguard, i due colossi americani specializzati in prodotti indicizzati. Il primo, con circa 6 mila miliardi di dollari di asset, è il più grande money manager del mondo e si è buttato sul fronte della gestione passiva da quando ha capito che era il futuro. Il secondo i fondi indicizzati li ha inventati qualche decennio fa, quando nessuno ci credeva. E adesso fa la sua guerra. I fondi passivi e gli Etf applicano commissioni ridotte perché replicano l'indice di mercato senza affidarsi a un vero e proprio gestore. L'unico criterio di investimento è il rating dei paesi e dei titoli, poi ci pensa l'algoritmo a diversificare il portafoglio. La gara Le due società, con Lyxor e State Street come terzi incomodi, si contendono il podio di questi prodotti dove vince chi applica le commissioni più basse. E sono dei veri e propri maestri. Alcune previsioni sostengono che, complice il fintech, nei prossimi anni gestiranno un patrimonio di oltre 20 mila miliardi di dollari. BlackRock è, comunque, già il sesto operatore in Italia con una società che amministra quasi 75 miliardi di euro. Vanguard finora è rimasto alla finestra. Pur essendo uno dei maggiori investitori dell'indice Ftse Mib di Piazza Affari, non ha una controllata italiana che venda direttamente i suoi prodotti. Il motivo è semplice: le onerose commissioni che vengono retrocesse alle reti di vendita. In Italia la distribuzione è ancora saldamente nelle mani delle banche e dei consulenti finanziari. Uno stretto e costoso collo di bottiglia da cui si è costretti a passare. Il leader dei fondi indicizzati ha, comunque, messo nel mirino il nostro Paese. Il suo arrivo è dato per imminente, sempre che l'attuale turbolenza sui mercati italiani non blocchi lo sbarco. La lista degli asset manager esteri è già molto lunga e la battaglia per il controllo del risparmio sarà molto dura. In Italia sono presenti quasi tutti i colossi del settore: Invesco, Jp Morgan, Morgan Stanley, State Street, Société Générale, Credit Suisse, Allianz, Amundi Group, Axa, Pimco, Bnp Paribas, Deutsche Bank e Ubs am. Senza considerare che i due terzi dei fondi venduti in Italia sono domiciliati in Lussemburgo o in Irlanda. Asimmetrie legislative, regolamentari e fiscali rendono infatti vantaggioso operare in altri paesi europei. E, per completare il panorama, sono presenti anche i grandi gruppi dell'investment banking che puntano alle pmi italiane che, vale la pena ricordarlo, vengono trattate a prezzi di sconto. Il risparmio è, a tutti gli effetti, un asset fondamentale per la stabilità e il rilancio della nostra economia. Secondo recenti stime la ricchezza degli italiani ammonta a circa 10.726 miliardi. Una cifra enorme suddivisa tra attività reali e finanziarie. Le prime sono stimabili in 6.320 miliardi, di cui 5.279 miliardi corrispondono ad abitazioni e i restanti a immobili non residenziali, impianti e terreni. Le attività finanziarie valgono oltre 4.400 miliardi, di cui 2 mila sono risparmio gestito e 1.168 depositi bancari. Il dato che salta subito all'occhio sono gli oltre mille miliardi che dormono nei conti correnti. Una cifra impressionante, di poco inferiore alla metà del debito pubblico. In salute

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 53 11/06/2018 Pag. 16 N.24 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

In ogni caso l'industria italiana dell'asset management si presenta in buona salute, anche se la propensione al risparmio continua a scendere, complici i bassi stipendi percepiti dai giovani. La raccolta netta 2017 è raddoppiata rispetto all'anno precedente e ben avviata anche in questi primi mesi, grazie alla tenuta dei Pir. Non è però oro tutto quello che luccica. Le alte commissioni restano un problema. Certo la concorrenza inizia a sentirsi ma la spinta al cambiamento è dovuta più alle regole che a una reale politica di efficienza. Le nuove normative, come la direttiva Mifid 2, pongono giustamente l'accento sulla trasparenza dei costi e sono entrate in vigore in un momento in cui i tradizionali fondi italiani si trovano sempre più esposti alla crescente concorrenza dei prodotti low cost. Questo sta obbligando le grandi società italiane a ripensare ai modelli di business. Una base di ricavi continuerà a essere garantita dalle tradizionali commissioni di gestione che però subiranno un taglio e si avvicineranno a quelle ben più contenute degli etf. A questo primo pilastro se ne aggiungerà un altro con l'offerta di prodotti con elevate commissioni, legate però alle performance che si riusciranno a garantire. C'è poi un secondo fattore di cambiamento. Si tratta del crescente ruolo che l'industria dell'asset management avrà nel sostenere l'economia reale. La conferma viene dai numerosi fondi che investono nelle infrastrutture o, nel caso italiano, dei piani individuali di risparmio (Pir) che sono stati introdotti per finanziare le piccole e medie imprese. Per il futuro, tuttavia, la parola d'ordine è fintech. Nei prossimi anni i millennial bypasseranno i tradizionali canali, rivolgendosi direttamente alle reti online o ai servizi di robo-advisor (il più noto è Betterment). A ciò va aggiunto un fattore potenzialmente rivoluzionario: le grandi piattaforme Internet. Alcuni studi confermano che se i giganti della rete iniziassero a vendere direttamente prodotti finanziari, gli italiani sarebbero già disposti a comprarli. Amazon, Apple, Facebook e Google hanno già la fiducia dei risparmiatori e quindi un loro ingresso nel settore non è poi così lontano. I campioni tricolori Attualmente, comunque, l'industria italiana del risparmio vede due assoluti protagonisti: le Assicurazioni Generali e Intesa Sanpaolo. La prima vuole arrivare a gestire 500 miliardi e già controlla quasi il 24% del mercato; la seconda ha superato la soglia dei 400, con una quota di circa il 20%. Proprio l'asset management, sotto la guida di Tim Ryan, è uno dei principali strumenti di crescita del gruppo Generali. Il brand e la solidità patrimoniale favoriscono questo sviluppo. Il gruppo di Trieste, comunque, vuole diventare la più grande piattaforma multi-boutique europea. Il primo passo sarà lo sviluppo di una piattaforma sui real asset e di gestione attiva per conseguire migliori rendimenti e profitti maggiori. Importanti poi i rapporti di collaborazione sempre più stretti con Unicredit. Nei giorni scorsi, per esempio, è stata siglata una partnership che consentirà di distribuire prodotti assicurativi nei paesi del sud-est europeo. Anche Intesa Sanpaolo ha progetti ambiziosi: mira ad essere una delle prime cinque private bank in Europa e la seconda nell'Eurozona. Tommaso Corcos, capo azienda Eurizon, da tempo sta lavorando per stringere una partnership internazionale. In passato si è parlato di una possibile aggregazione tra Fideuram Sgr ed Eurizon Capital. Tutto questo è però superato. Entro la fine dell'anno verrà siglata un'alleanza internazionale. E se tutto andrà come previsto il partner sarà proprio BlackRock. Tutto il settore è in fase di consolidamento. Fondamentale a questo proposito è la moral suasion di Banca d'Italia che vede positivamente aggregazioni specialmente tra le piccole banche.

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 54 11/06/2018 Pag. 16 N.24 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Il mercato guarda poi con attenzione alle mosse di Mediobanca. Non è un mistero che una crescita organica nel wealth management supportata da acquisizioni sia uno degli obiettivi dell'istituto. In passato si era molto parlato di un interesse per Banca Generali e Azimut. Quest'ultima ha preso però un'altra strada. La scorsa settimana si è saputo che Peninsula Capital è entrata in Timone Fiduciaria, società che riunisce 1600 soci aderenti al patto di sindacato di Azimut Holding e che possiede il 24% del capitale. Tuttavia c'è chi fa notare il contemporaneo ingresso nel consiglio del fondo inglese di Stefano Marsaglia, ex uomo forte di Mediobanca a Londra. Anche Banca Mediolanum sta guardandosi attorno e l'istituto di piazzetta Cuccia sarebbe l'alleato ideale, specialmente dopo la creazione di Mediobanca Private Banking. Un capitolo a parte merita Anima holding, quarto gruppo italiano nel risparmio gestito con una quota di mercato del 4,6%. La società gravita in orbita Banco Bpm che controlla oltre il 14% del capitale mentre il secondo azionista è Poste che possiede circa un 10%. In molti avrebbero scommesso sulla creazione di un nuovo grande polo nel risparmio ma Matteo Del Fante ha preferito non stringere un rapporto esclusivo con Anima. Per questo motivo non è stata conferita tutta BancoPosta Fondi sgr, ma soltanto le attività di gestione degli asset del ramo vita. La partita non sembra ancora conclusa. © RIPRODUZIONE RISERVATA Foto: Numero uno di BlackRock, il più grande gestore del mondo (6 mila miliardi) che oggi punta su Etf e fondi passivi Foto: guida Eurizon, fabbrica prodotto di Intesa Sanpaolo

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 55 11/06/2018 Pag. 25 N.24 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

investo in startup e lo faccio online Dai chatbot alle auto usate, il boom dell'equity crowdfunding con 8 milioni raccolti nel 2018 Il 50% del mercato è in mano a Mamacrowd, che si basa su un network di incubatori di imprese innovative Giulia Cimpanelli

Siamo un popolo di risparmiatori. I conti correnti degli italiani sono gonfi e a gennaio hanno toccato il tetto dei mille miliardi di euro (dati Unimpresa/Banca d'Italia). «Le risorse da investire ci sono - commenta Dario Giudici, fondatore di Mamacrowd e ceo di SiamoSoci - così come esistono nuove forme di investimento: sarebbe sufficiente fare incontrare domanda e offerta». Giudici si riferisce all'equity crowdfunding che, pur registrando raccolte ancora limitate rispetto al resto d'Europa, in Italia sta crescendo sensibilmente. Il mercato degli investimenti su quote di capitale sociale delle startup sembra oggi aver cambiato passo. Se nel 2017 si sono sfiorati i 12 milioni di euro complessivi, nei primi quattro mesi del 2018 sono stati raccolti già 8,2 milioni di euro di investimenti su quote di capitale sociale di 35 startup (dati Crowdfundingbuzz). Il mercato A detenere il 50% delle quote del mercato è proprio la piattaforma di equity crowdfunding Mamacrowd, che si appoggia a un network composto dai maggiori incubatori di startup in Italia per scegliere i progetti da proporre al pubblico. Nei primi tre mesi del 2018 la piattaforma ha raccolto tre milioni di euro e ha raggiunto l'obiettivo della maggiore raccolta di equity crowdfunding italiana di sempre per la campagna di Club Investimenti 2, il club che supporta la crescita delle startup selezionate dai migliori acceleratori d'impresa, che ha incassato 1,2 milioni di euro, raggiungendo il 621% di overfunding. Ma ricordiamo il funzionamento: l'equity crowdfunding consente alle società di raccogliere fondi online in cambio di quote. L'azienda si presenta sulle piattaforme e fissa il target di raccolta da raggiungere entro la fine della campagna. Secondo dati Crowdfundingbuzz (maggio 2018) l'obiettivo medio fissato è di circa 150 mila euro. Come nel semplice Crowdfunding, in caso di buon esito l'impresa incassa gli investimenti. In caso di mancato raggiungimento dell'obiettivo, gli investimenti non vengono finalizzati. Certo, si tratta un investimento ad alto tasso di rischio. Club Investimenti 2, dunque, deve il successo della campagna alla sua natura di collettore, che lo rende un investimento a rischio differenziato: «Era come investire in 60 startup diverse - continua Giudici - ma anche sulle altre campagne si può differenziare, visto che l'investimento minimo si aggira sempre intorno ai 500 euro». Ma in che genere di aziende si può investire? Scelte Le campagne in corso sono disparate. Sulla piattaforma 200crowd, per esempio, Alfonsino, un chatbot dedicato al food delivery, ha appena raccolto 150 mila euro, superando di 70 mila il tetto prefissato. Il prossimo giugno Goodbuyauto, portale per acquistare auto usate garantite online, lancerà una campagna su Mamacrowd con l'obiettivo di raccogliere un milione di euro e portare il valore della società, post-campagna, a di 13,5 milioni: «Sempre più persone si stanno appassionando al progetto e hanno espresso interesse a condividere la nostra avventura. Per questo metteremo a disposizione quote con un investimento minimo di 500 euro», dice il ceo Carlo Salizzoni. Su Crowdfundme è attiva la campagna per Glass to power 2, uno Spin-off dell'Università Milano Bicocca che ha realizzato pannelli fotovoltaici trasparenti

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 56 11/06/2018 Pag. 25 N.24 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

in grado di integrarsi invisibilmente nelle architetture degli edifici moderni. Infine da gennaio la normativa ha aperto le piattaforme alle Pmi: «Una grande opportunità- aggiunge Giudici - una novità che porta uno strumento davvero efficace per finanziare le tante imprese italiane pronte per un salto di crescita». Che è reale: il Rapporto Cerved Pmi 2017 ha registrato circa 140 mila Pmi in Italia (escluse le microimprese e le finanziarie), il 19,1% fortemente sottocapitalizzate: «Considerando solo il 19 % che ha bisogno di ricapitalizzare si parla di 26mila aziende - conclude -. Se il 15%, circa quattromila aziende, usasse il crowdfunding, si raccoglierebbero almeno 4 miliardi di euro». © RIPRODUZIONE RISERVATA 8,2 Importo totale raccolto in milioni di euro (fino al 15 maggio) 2.946 Investitori in campagne di equity crowdfunding 2.800 Importo medio investito in euro nel 2018 La crescita L'andamento trimestrale del settore 24 20 16 12 8 4 0 1º 2º 3º 4º 6 5 4 3 2 1 0 1º 2º 3º 4º 1º 2º 3º 4º 1º 2º Fonte: Crowdfundingbuzz S. A. 2015 2016 2017 2018 Il 50% a Mamacrowd, su un di imprese

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 57 11/06/2018 Pag. 30 N.24 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato genetic/fisciano (salerno) Soffiare, riempire, sigillare: i flaconi monouso corteggiati da fondi e Borsa «Ogni anno il 10% degli utili vengono reinvestiti in ricerca e sviluppo»

per loro tutte le strade sono possibili. Lo sbarco in Borsa. L'apertura del capitale ai tanti fondi che stanno bussando alla porta dell'azienda. Senza contare la crescita per linee esterne attraverso acquisizioni di altre imprese. Il punto di forza è molto chiaro: i mezzi propri non mancano. «Possiamo contare su un patrimonio netto di 30 milioni di euro. Il gruppo è sano», racconta Rocco Pavese, fondatore e presidente di Genetic, che a Fisciano, in provincia di Salerno, produce medicinali contro l'asma e prodotti per l'oftalmologia. Quali contatti ci sono tra i due settori? «Nessuno, dal punto di vista terapeutico - spiega l'imprenditore - ma entrambi beneficiano di una tecnologia molto innovativa, quella dei flaconcini monodose che ci ha consentito di portare la produzione totale a 600 milioni di pezzi dai 150 milioni di dieci anni fa». In questo modo oggi Genetic, che ha fatturato 37 milioni di euro lo scorso anno (+12% rispetto al 2016) con un Ebitda di 18 milioni e utili netti per 11 milioni ha raggiunto, quanto a produzione di flaconcini monodose, campioni internazionali del calibro di Chiesi Farmaceutica. La tecnologia usata si chiama blow-fill-seal (o Bfs, che sta per soffiare, riempire, sigillare): consente di realizzare confezioni monodose sterili in plastica, ad elevata praticità. Con grandi risparmi, per esempio, di costi e di magazzino. Ma un altro punto di forza è la continua attività di ricerca nel settore delle apparecchiature analitiche e di controllo per sviluppare i farmaci. «In un comparto come questo, che ha elevate barriere all'ingresso, noi osserviamo rigorosamente due parametri richiesti: abbiamo una quota di personale con una laurea specialistica che oramai è ben oltre il 25 per cento di tutti i nostri collaboratori, e facciamo investimenti in research &development per il 10 per cento degli utili prodotti ogni anno», afferma Pavese. A suo parere c'è anche un altro fattore che ha decretato il successo durante gli anni della Grande Crisi. È la scelta di puntare sui mercati esteri. Genetic vende a colossi come Pfizer, Dompé e la stessa Chiesi, ed è presente in 15 Paesi non solo europei. L'export vale il 33% del fatturato, ma l'obiettivo entro il 2022 è approdare a un rapporto sul giro d'affari del 65% all'estero e 35% in Italia. Entro il prossimo anno è previsto il debutto in Russia, ma a Fisciano sono già al lavoro per lo sbarco negli Usa e in Cina, mercati complicati dal punto di vista del rispetto di norme e procedure. Per ora è concentrato qui l'impegno dell'azienda di famiglia, risultata da una ricerca dell'università Luiss di Confindustria, la miglior Pmi della regione Campania. Fabio Sottocornola © RIPRODUZIONE RISERVATA I numeri 37 milioni di euro il fatturato 2017 16,3% Il Cagr (tasso di crescita annuale composto) 2010-2016 33,3% L'Ebitda medio sui tre anni Foto: Rocco Pavese ha fondato l'azienda dopo aver lavorato dodici anni nella chimica. Per l'università Luiss, è la migliore Pmi della Campania

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 58 11/06/2018 Pag. 30 N.24 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

mezzogiorno D'affari

Imprese i «piccoli» grandi Addetti Ragione sociale 2016 Ebitda% media 3 anni Fatturato 2010 Ebitda Regione 2016 Risultato netto 2016 Roe 2016 Rating 2016 Attività Fatturato 2016 Cagr 2010-2016 Come si cresce (al Sud) 34,61% 39,36% 50,20% 62,96% 15,80% 221 129 118 47 119 Raicam Industrie La Tecnomeccanica Sud Susta Texol S.M.A.P.E. 15,18% 17,24% 34,18% 15,47% 30,05% 33.075 19.963 12.860 7.081 12.692 8.048 5.857 9.639 4.152 5.503 Abruzzo Abruzzo Abruzzo Abruzzo Abruzzo 4.893 3.246 5.885 1.724 2.164 12,04% 14,94% 32,45% 23,86% 6,65% AA AA AA BBB A Produzione di pastiglie per freni, ganasce e sistemi frizione per il mercato dei ricambi automotive Progettazione e produzione stampi per i settori automotive e motociclistico Progettazione e produzione stampi per il settore automotive Tecnologie per la produzione di film per dispositivi per l'igiene personale e l'industria farmaceutica Servizi di supporto all'estrazione di petrolio e gas naturale 55.554 33.150 28.507 26.506 20.285 9,03% 8,82% 14,19% 24,61% 8,13% s.F. Indebitamento Distilleria F.lli Caffo Calabria 50.006 16.157 20,72% 11.407 23,54% 7.353 25,94% 33,73% AAA 26 Produzione e commercializzazione liquori Le 37 aziende che L'Economia del Corriere della Sera e ItalyPost presenteranno nel 10imo degli appuntamenti «Meet the Champions» sul territorio, in agenda venerdi 15 giugno a Napoli. Tutte fanno parte della classifica dei «500 Champions» cui abbiamo dedicato il numero speciale del 16 marzo. I criteri di selezione partono dalla base di tutte le piccole e medie imprese (fatturato 20-120 milioni), escluse quelle a partecipazione pubblica; quelle controllate dall'estero, o da fondi, o da gruppi italiani con oltre 120 milioni di ricavi; infine le cooperative UcmSportswear Campania 83.893 20.007 26,99% 9.294 12,44% 5.223 37,67% 51,13% A 747 Distribuzione abbigliamentomaschile con ilmarchio COTTON&SILK Addetti Ragione sociale 2016 Ebitda% media 3 anni Fatturato 2010 Ebitda Regione 2016 Risultato netto 2016 Roe 2016 Rating 2016 Attività Fatturato 2016 Cagr 2010-2016 31,32% 65,38% 29,22% 39,21% 65,55% 69,33% 62,47% 58,93% 24,89% 71 1.067 42 406 100 213 170 89 24 L'aromatika Cosmopol Antimo Caputo Essemoda Dolciaria Acquaviva Guerriero Trans Isole It Wash Saima 21,71% 10,47% 21,26% 21,68% 17,99% 10,14% 18,38% 10,20% 12,58% 13.848 13.728 27.291 4.770 15.317 19.114 15.276 16.800 19.096 16.480 6.216 13.681 10.732 9.002 4.607 7.812 4.327 4.870 10.485 1.551 8.728 6.490 4.652 2.667 3.303 1.361 2.823 34,01% 10,79% 26,96% 28,38% 30,49% 29,40% 20,65% 11,22% 20,60% AAA BBB AAA AA BBB BBB BBB BBB AA 71.919 58.434 57.155 49.415 44.010 41.634 40.796 36.451 35.746 31,60% 27,30% 13,11% 47,64% 19,23% 13,85% 17,79% 13,78% 11,01% Campania Campania Campania Campania Campania Campania Campania Campania Campania Produzione e distribuzione caffè in cialde e capsule Attività di vigilanza Attività molitoria, produzione farine Produzione e vendita abbigliamento (marchio CLAYTON) Produzione dolci da forno lievitati surgelati Produzione borse e articoli di pelletteria Trasporti, logistica e spedizioni, in particolare da e per la Sicilia e la Sardegna. Produzione lavatrici per uso domestico (marchi SAN GIORGIO e IT WASH) Commercializzazione materie prime e semilavorati per pasticceria, panificazione, gelateria Indebitamento Geven Campania 83.382 27.087 20,61% 20.156 27,10% 12.526 47,83% 63,95% A 202 Produzione arredi interni per il settore aeronautico

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 59 11/06/2018 diffusione:175237 Pag. 1 Ed. Firenze tiratura:274745 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato IN PRIMO PIANO IL MANAGER SI PRENDE IN AFFITTO Maurizio Bologni

Di temporary, finora, si conoscevano gli store. Ma ormai da un po' circolano anche i manager. Quelli specializzati in esportazioni si chiamano temporary export specialist. Si mettono al servizio delle Pmi più piccole, prive di una struttura interna dedicata ai mercati esteri. pagina VII Di temporary, finora, si conoscevano gli store. Ma ormai da un po' circolano anche i manager. Quelli specializzati in esportazioni si chiamano temporary export specialist. Si mettono al servizio delle Pmi più piccole, tanto piccole da non potersi permettere una struttura interna dedicata ai mercati esteri. Studiano i prodotti, sondano i mercati esteri, trovano i compratori, ma si impegnano anche a formare professionalità interne all'azienda in grado di proseguire il lavoro svolto quando il "tempo sarà scaduto" e loro cesseranno la consulenza. «Di solito ci vogliono 4-5 anni per stabilizzare i canali di esportazione avviati dal temporary specialist», racconta Giovanni Ferroni, responsabile in Toscana di Co.Mark, azienda specializzata nell'affittare alle Pmi i manager specializzati in export. L'iniziativa è tanto promettente da aver convinto Unioncamere Toscana a farla propria attraverso una convenzione, stipulata a livello nazionale, che ha come obiettivo finale di usare il canale pubblico delle Camere commercio per mettere a disposizione delle Pmi lo specialista. Co.Mark, che fa parte del gruppo Tecnoinvestimenti partecipato indirettamente dal sistema camerale (1.187 dipendenti, 181 milioni di fatturato e 20,3 di utile netto), è presente dal 2007 in Toscana con sedi a Prato e Campi del franchisor Ferroni. «Abbiamo cinque specialisti dipendenti, ciascuno dei quali segue un sottogruppo delle 40 aziende che hanno chiesto la nostra consulenza - spiega Ferroni - Quelle con fatturato sotto i 500mila euro, dove spesso non c'è neppure il personale che parla le lingue straniere, per affrontare i mercati esteri hanno e avranno bisogno di tutto: che gli si trovino i buyer, che si stipulino i contratti per loro, eccetera. Per le Pmi con fatturato tra uno e dieci milioni di euro, che rappresentano l'80% delle imprese clienti, sviluppiamo programmi che prevedono anche la formazione del personale destinato a svolgere il compito di manager estero quando il nostro specialista lascerà l'azienda». Ora il sistema camerale fa proprio "il metodo" attraverso l'accordo stipulato con Co.Mark. Giovedì prossimo la prima riunione operativa a Firenze. Per la sperimentazione, che nella fase iniziale durerà sei mesi, saranno individuate due Camere di Commercio in Toscana. Inizialmente il temporary export specialist, Chiara Viganò, una professionista con esperienza internazionale di consulenza, sarà per mezza giornata ogni settimana in ciascuna delle due Camere di Commercio. «In questa prima fase faremo formazione al personale delle Camere di Commercio, che in futuro potrà svolgere la funzione di consulente export delle Pmi. Ma in una seconda fase contiamo di poter entrare nelle Pmi per aiutarle nel business verso l'estero. Prima studiamo il prodotto, poi indaghiamo quali mercati lo possano ricevere alle migliori condizioni, quindi contattiamo i buyer. È un lavoro che in Toscana facciamo da oltre 10 anni, non c'è settore merceologico e mercato che ci siano preclusi». Il progetto in collaborazione con Unioncamere, a sostegno dell'internazionalizzazione delle Pmi, si chiama EasyExport, prevede seminari e punta a portare nelle Pmi servizi innovativi, offrire il supporto della comunicazione e del marketing. «In 20 anni di attività abbiamo

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 60 11/06/2018 diffusione:175237 Pag. 1 Ed. Firenze tiratura:274745 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

maturato una convinzione - dice Massimo Lentsch, ad di Co.Mark - le Pmi italiane possono sbaragliare la concorrenza sui mercati internazionali purché possano disporre delle competenze e degli strumenti idonei». I numeri I tempi del progetto e il ruolo delle Camere 2 Le Camere di Commercio della Toscana che sperimenteranno in questi mesi la figura del temporary export specialist per le Pmi Gli anni in cui in media il temporary export specialist resta in azienda per permettere che i risultati del suo lavoro siano consolidati e stabilizzati L'export della Toscana Valore in miliardi di euro 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 : - 30,5 32,6 31,2 32,0 33,0 32,9 34,4

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 61 11/06/2018 diffusione:400000 Pag. 26 N.22 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Le aziende di famiglia aprono il capitale con Aim, Spac e private LA SOGLIA CRITICA CHE CONSENTE DI AVVENTURARSI IN BORSA È CONSIDERATA INTORNO AI 50 MILIONI DI EURO, UN LIMITE CHE ALLARGA A QUASI 4MILA AZIENDE LA PLATEA DEI CANDIDATI. LA CLASSIFICA SETTORIALE È DOMINATA DALLA FINANZA Walter Galbiati

Sei imprese su dieci di Piazza Affari sono a controllo familiare. Un numero molto elevato che la dice lunga sul modello del capitalismo italiano e sul maggiore sbocco che le imprese hanno avuto per crescere. La Borsa per anni è stato il porto naturale per gli imprenditori che volevano pensare in grande e crescere appoggiandosi non solo sul proprio capitale o su quello fornito dagli istituti di credito. Lo ha fatto la famiglia Benetton con Atlantia, partecipata attraverso Edizione holding e quotata per attutire l'impatto delle operazioni a leva sul capitale della holding. Lo ha fatto la famiglia Berlusconi per uscire dalla morsa delle banche con le sue partecipazioni in Mediaset, Mediolanum e Mondadori o i decani del capitalismo italiano, gli Agnelli, che attraverso la loro holding Exor controllano, con una quota di maggioranza relativa, le quotate Fca, e Cnh, tutte aziende con un respiro internazionale. E in Borsa negli ultimi anni la galassia Agnelli ha raccolto ottimi risultati, soprattutto con l'arrivo al vertice di un manager di estrazione finanziaria come Sergio Marchionne che con scorpori, quotazioni all'estero e cambi di sede ha fatto la fortuna del gruppo. La recente parabola di Fiat, culminata con il raddoppio del valore del titolo in Borsa, rappresenta quanto di meglio le aziende possano raccogliere dall'essere quotate. L'apertura al mercato dei capitali, tuttavia, permette alle aziende di crescere non solo attraverso i corsi azionari, ma anche con aumenti di capitale per finanziare acquisizioni o attraverso operazioni di scambi azionari. Leonardo Del Vecchio, dopo aver comprato con la sua Luxottica aziende in giro per il mondo, ha potuto risolvere il problema della successione generazionale attraverso una fusione transfrontaliera con il gigante dell'occhialeria francese Essilor. Sono esempi di come i mercati aiutino le grandi imprese a crescere, operazioni che con le dovute proporzioni possono tentare anche le piccole e medie aziende. La soglia critica che consente di avventurarsi in Borsa è considerata intorno ai 50 milioni di euro, un limite che allarga a quasi 4mila aziende la platea dei candidati a Piazza Affari, meno delle 7mila che vi potrebbero aspirare nel Regno Unito, ma pur sempre un bel bacino da cui partire. Certo la propensione alla quotazione in Italia è pari all'8% contro il 45% delle aziende anglosassoni, ma gli ultimi strumenti messi a disposizioni dagli operatori finanziari e dalla stessa Borsa Italiana stanno facilitando il processo di avvicinamento ai mercati, come l'Aim o le Spac. L'Alternative investment market, trapiantato dall'Inghilterra in Italia per favorire la quotazione delle Pmi, è nato nel 2012 e ospita ad oggi 105 aziende, tra cui brand celebri come Italian Independent di Lapo Elkann, Leone Film Goup, Blue note o Gambero Rosso. Il 2017 è stato un anno da incorniciare con una raccolta di capitale sull'Aim pari a 1,26 miliardi di euro, in crescita del 500% rispetto al 2016, risorse che si sono divise in 24 matricole, un nuovo record che ha battuto quello delle 22 quotate nel 2015. La classifica settoriale è dominata dalla finanza, che raccoglie il 38% delle quotazioni (e la fetta maggiore pure in termini di raccolta), seguita dall'industria e dai servizi, entrambi a quota 17%. Quotarsi sull'Aim è più facile e costa meno, perché in fase di ammissione non è richiesta la pubblicazione di un prospetto informativo e successivamente non è nemmeno richiesta la pubblicazione dei resoconti trimestrali di gestione. Inoltre non è prevista una dimensione minima in termini di capitalizzazione e, per quanto riguarda il flottante, è sufficiente collocare solo il 10% del capitale. Non servono requisiti particolari in tema di corporate governance,

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 62 11/06/2018 diffusione:400000 Pag. 26 N.22 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

così come non sono richiesti requisiti economico-finanziari specifici. L'enorme libertà concessa e le poche regole aiutano senz'altro le società a guardare con maggiore interesse alla Borsa, ma proprio per questo lasciano qualche rischio in più in capo agli investitori. Un ruolo chiave è svolto dal Nominated Adviser (Nomad), una specie di tutor per la matricola, un soggetto al tempo stesso responsabile nei confronti di Borsa Italiana e quindi del mercato, incaricato di valutare l'appropriatezza della società ai fini dell'ammissione e in seguito di assisterla, guidarla e accompagnarla per tutto il periodo di permanenza sul listino. Oltre che dalla deregulation, il recente successo dell'Aim, però, è dovuto in buona parte al parallelo successo che hanno registrato i Pir, i piani individuali di risparmio, prodotti di risparmio gestito che raccolgono capitali da investire sulle Pmi in cambio di un beneficio fiscale. Nel 2017, il loro primo anno di operatività, i fondi legati ai Pir hanno raccolto quasi 11 miliardi di euro, pari all'11% della raccolta netta dell'intera industria italiana del risparmio gestito (97,4 miliardi). Un fiume di denaro che in buona parte è stato convogliato sulle piccole e medie imprese, quotate e no. Perché a volte il primo passo verso l'apertura del capitale non avviene attraverso la Borsa, macon un fondo di private equity, un fondo che sceglie di investire la propria raccolta nel capitale di società in cui intravede un futuro di crescita e di successiva quotazione. La Tamburi investimenti, per esempio, ha costituito un fondo pre-Ipo nel cui portafoglio sono presenti marchi noti, come Beta e iGUzzini, il cui sbocco nel medio lungo periodo deve essere Piazza Affari. L'ingresso di investitori istituzionali nelle cosità familiari aggiunge competenze manageriali che integrano quelle della compagine proprietaria, accelerando l'avvicinamento al mercato. E impone il cambio di governance, perché richiede la cooptazione di consiglieri esterni nel consiglio di amministrazione. Nel 2017, ben il 25% delle operazioni di private equity avevano come fine la crescita della società, anche se la parte del leone per questo mercato la fanno le operazioni di acquisto della società da parte dei manager (buyout), i quali dopo aver rilevato il gruppo in cui hanno lavorato con l'aiuto dei fondi di investimento, puntano al mercato e all'internazionalizzazione. Per arrivare in Borsa, poi,esiste un'altra strada, diversa dalla classica Ipo, le Spac, le Special Purpose Acquisition Company, veicoli vuoti che raccolgono capitale, si quotano e attendono di individuare una società target con cui fondersi, permettendo a quest'ultima di trovarsi quotata a sua volta. La Spac è una sorta di accelaratore di Ipo, un nuovo modo di fare private equity che sta riscuotendo un grande successo. Nel 2017, delle 24 matricole dell'Aim, ben 8 sono state Spac. Gli ultimi gruppi approdati in Borsa con questo nuovo strumento sono Guala Closures, il gruppo aerospaziale Avio, le matite Fila, Aquafil e Orsero, attiva nell'import ed export. FONTE: MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO S DI MEO I PROTAGONISTI 1 Anna Gervasoni (1) Aifi; Simone Strocchi (2) presidente Aispac; a destra, Giovanni Tamburi, fondatore Tip, decano dei "club di d'investimento" per le Pmi

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 63 11/06/2018 diffusione:400000 Pag. 36 N.22 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Fiere, sistema in salute Riello: "Motore dell'export ma pesa il nodo tasse" È IL PRESIDENTE DI AEFI, ASSOCIAZIONE DI UN SETTORE DA 6 MILIARDI DI RICAVI, INDOTTO INCLUSO: 35 "QUARTIERI FIERISTICI" IN CRESCITA ANCHE NEL 2018. LA QUESTIONE DELL'IMU SULLE STRUTTURE Vito de Ceglia

Milano Con 31 mila eventi organizzati ogni anno, 1,8 milioni di addetti diretti e indiretti, 98 miliardi di euro di spesa generata da oltre 260 milioni di visitatori e 4,4 milioni di aziende espositrici, l'industria fieristica mondiale dà prova di essere in buona salute. A confermarlo sono i dati dell'ultimo report di Ufi - The Global Association for the Exhibition Industry - che ciclicamente fotografa i trend del comparto a livello globale. Numeri che hanno fatto da cornice all'evento più importante dell'anno per l'industria di settore, la Giornata Mondiale delle Fiere, che si è celebrata lo scorso 6 giugno in oltre 80 Paesi con lo scopo di aumentare la consapevolezza del valore degli eventi fieristici. Le stime di Ufi dicono che ogni euro investito nelle fiere ne genera 2 di indotto diretto e 8 di indotto indiretto. "La Forza delle Fiere Italiane" è stato lo slogan scelto da Aefi, la principale associazione di categoria, per l'edizione di quest'anno che ha replicato a Roma il successo dei due precedenti appuntamenti proponendo un programma di attività sviluppato su 5 parole chiave: creatività, talento, giovani, progettualità e futuro. A cui si sono aggiunti momenti di approfondimento che hanno coinvolto operatori del settore italiani e stranieri provenienti da Emirati Arabi Uniti, India, Giappone, Regno Unito e Usa. Il sistema espositivo italiano genera un fatturato di circa 6 miliardi di euro, indotto incluso, ma nel complesso muove 60 miliardi di euro di esportazioni di prodotti made in Italy. «Il 50% del nostro export nasce da contatti originati dalla partecipazione a manifestazioni fieristiche e il 75% delle Pmi vede nelle fiere uno strumento per il proprio sviluppo», premette Ettore Riello, presidente di Aefi, che raggruppa 35 quartieri fieristici, i quali organizzano oltre 1000 eventi all'anno su una superficie espositiva totale di 4,2 milioni di metri quadri. Secondo i dati dell'associazione, in Italia sono previste quest'anno oltre 900 manifestazioni, di cui 209 internazionali (erano 185 nel 2016: il confronto avviene su base biennale per garantire uniformità di perimetro). La crescita prosegue nel 1° trimestre 2018, come testimoniano i dati dell'Osservatorio Aefi che registrano un incremento del numero di manifestazioni: il 40% dei quartieri ha ospitato più rassegne e la stessa percentuale ha registrato un bilancio stabile. Il saldo (+20%) è in linea con quello dello stesso periodo del 2017 ma in miglioramento rispetto al trimestre precedente quando si attestava a +15%. Costante la crescita anche del numero di espositori: circa la metà (48%) degli associati ha registrato un aumento. «Il sistema fieristico italiano è in salute, ma dobbiamo fare di più: la nostra priorità deve essere l'internazionalizzazione», dichiara Riello. Non a caso, si muovono in questa direzione gli accordi di partenariato che l'associazione ha stretto con Sace e Simest, le due società che costituiscono il polo dell'export e dell'internazionalizzazione del gruppo Cassa Depositi e Prestiti. E con l'Agenzia Ice che nel 2017 ha supportato 50 fiere, le più rappresentative del made in Italy nei rispettivi settori, coinvolgendo 5.700 operatori stranieri e realizzando 52.000 incontri B2b. Ora l'obiettivo è di superare i 6 mila operatori stranieri. Un ulteriore contributo alle attività delle fiere all'estero è arrivato dal rinnovo fino al 2020 dei finanziamenti previsti dal Piano straordinario per il made in Italy del Mise (130 milioni per il 2018, 50 milioni per il 2019 e 50 milioni per il 2020). «È un'ottima notizia - osserva Riello - soprattutto ora che il settore ha ripreso a crescere e prevede di farlo anche nel 2018». Tutto

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 64 11/06/2018 diffusione:400000 Pag. 36 N.22 - 11 giugno 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

bene, dunque. Non proprio. Resta aperta una partita che rischia di frenare lo sviluppo del sistema fieristico italiano. E' di natura fiscale e riguarda la decisione dell'Agenzia delle Entrate di equiparare le fiere ai padiglioni industriali per quanto riguarda l'importo dell'Imu. «L'utilizzo degli spazi, da parte delle fiere, è in media del 15% l'anno - conclude il Riello -non ha senso farci pagare lo stesso carico Imu richiesto a chi utilizza un centro commerciale per 365 giorni l'anno. Parliamo di oneri aggiuntivi per almeno un milione di euro l'anno». S DI MEO Foto: Il presidente di Aefi Ettore Riello (1), il neo ministro dell'Economia Giovanni Tria (2)

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 65 11/06/2018 diffusione:88589 Pag. 14 N.136 - 11 giugno 2018 tiratura:133263 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato I vantaggi tracciati nel documento del Cndcec sulla disclosure non fi nanziaria Csr, anche la pmi ci guadagna Migliorano l'immagine, il capitale umano e fi nanziario BRUNO PAGAMICI

La disclosure non fi nanziaria riserva alle pmi vantaggi in termini di competitività e di immagine. La rendicontazione e la dichiarazione attinente alla «sostenibilità» dell'attività aziendale, che richiedono l'elaborazione del corporate responsibility reporting e del report di sostenibilità, fi no a poco tempo fa prerogativa delle imprese di grandi dimensioni, oggi può consentire anche alle pmi virtuose di ottenere significativi vantaggi economici diretti e indiretti. Secondo lo studio « Corporate responsibility reporting e verifi ca, progetto di responsabilità e opportunità per lo sviluppo sociale ed economico », recentemente pubblicato dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, la policy imprenditoriale sta entrando in una nuova epoca nell'ambito della disclosure aziendale cui, a nuovi adempimenti attinenti alla rendicontazione (anche se non obbligatori) corrispondano altresì ulteriori benefi ci, attribuiti non solo dal sistema sociale in termini di reputation ma è da ritenersi, di qui a poco, anche dal legislatore in termini di agevolazioni o di altri strumenti premiali, a favore di quanti intraprendano il sentiero della sostenibilità produttiva e strategica. In sostanza, il riposizionamento strategico verso la Csr, Corporate social responsibility (termine anglosassone corrispondente alla Responsabilità sociale d'impresa), contribuisce alla creazione di condizioni per benefi ciare di normative di vantaggio e agevolative, nonché all'incremento di valore del brand aziendale e al riconoscimento da parte del mercato. I consumatori sono infatti sempre più attenti alle imprese che realizzano buone pratiche in materia di sostenibilità e sono disposti perciò a riconoscere un maggior valore al prodotto e al servizio offerto da quelle imprese (e ad «accettare» il suo maggior prezzo). La rendicontazione non finanziaria. Il dlgs n. 254/2016 ha introdotto nel nostro ordinamento un obbligo di rendicontazione «non fi nanziaria» e di comunicazione di informazioni sulla diversità degli organi aziendali nel settore privato, le cui disposizioni si applicano, con riferimento alle dichiarazioni e alle relative relazioni, agli esercizi fi nanziari aventi inizio a partire dal 1° gennaio 2017. Nelle intenzioni del legislatore tali imprese daranno verosimilmente una spinta all'intero sistema della sustainability disclosure, promuovendone la diffusione anche tra le imprese che, pur non essendo direttamente obbligate dalla normativa, operino in qualità di fornitori, nell'ambito di una «catena sostenibile del valore». An che se si tratta di un'importante innovazione nella comunicazione di informazioni attinenti alla «sostenibilità» che interessa, nello specifi co, le imprese di dimensioni rilevanti, tuttavia il dlgs n. 254/2016, all'art. 7, prevede anche la facoltà di redigere dichiarazioni di carattere non fi nanziario «conformi» allo stesso decreto per soggetti non obbligati alla disclosure non fi nanziaria i quali, attenendosi alle medesime disposizioni previste per quanti vi siano obbligati, possono apporre sulle proprie dichiarazioni non fi nanziarie la dicitura di «conformità» al dlgs n. 254/2016. Tale decreto ha dunque ampliato le fattispecie coinvolte rispetto a quelle indicate nella direttiva europea 2014/95/Ue, prevedendo la possibilità del riconoscimento di una sorta di «attribuzione reputazionale» a enti che, pur non obbligati agli adempimenti di sustainability disclosure (imprese non di interesse pubblico né di grandi dimensioni), predispongano una dichiarazione non fi nanziaria conforme alle sue disposizioni. Il Reporting. Il Cr - Corporate responsibility reporting (rendicontazione di responsabilità aziendale) può essere defi nito come un processo tramite il quale un'organizzazione descrive e comunica gli impatti

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 66 11/06/2018 diffusione:88589 Pag. 14 N.136 - 11 giugno 2018 tiratura:133263 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

economici, sociali e ambientali delle proprie attività in relazione ai principali stakeholder interni ed esterni di riferimento, in conformità a una serie di specifi ci requisiti e principi metodologici predisposti da operatori di settore «generalmente riconosciuti», descrizione che implica l'analisi dei fenomeni nella loro dimensione economico fi nanziaria e/o non economica. Il report di sostenibilità. Il report di sostenibilità (locuzione cui talvolta ci si riferisce in modo generico anche per indicare ciò che sarebbe più esatto identifi care con altre soluzioni terminologiche, quali, per esempio, «bilancio sociale», «bilancio di missione» o anche «bilancio/rapporto ambientale) è uno tra gli output del Cr reporting; è un documento nel quale un'organizzazione condivide con i propri stakeholder informazioni di natura fi nanziaria e non finanziaria (o anche solo non fi nanziaria laddove l'informativa fi nanziaria, contabile ed extra-contabile, sia fornita in un documento separato come il bilancio annuale o la relazione fi nanziaria) con riguardo alle proprie attività di valorizzazione economica (quando si tratti di un'azienda) o alle attività istituzionali (quando si tratti di un'organizzazione non profi t), con conseguenze su tematiche di carattere sociale e/o ambientale o con riguardo a politiche, strategie e risultati di iniziative realizzate in ambito sociale, ambientale e di sostenibilità economico-produttiva o sistematica. L'asseverazione. Poiché i dati contenuti nel report di sostenibilità devono provenire da fonti certe e verifi cabili, complementari e coerenti con le informazioni della rendicontazione fi nanziaria, esso risulta maggiormente effi cace se verifi cato da una società indipendente, che ne attesti sia il risultato fi nale sia il processo attraverso cui viene redatto. Tale procedimento evita il rischio che il documento risulti sostanzialmente autoreferenziale e contribuisce a garantire la completezza e la veridicità dei suoi contenuti. Vantaggi. L'applicazione delle previsioni del dlgs 254/2016 in termini di corporate responsability, nei confronti delle pmi non obbligate al rispetto della disciplina produce i seguenti vantaggi: - miglioramento dell'immagine e del brand aziendale: il fatto che siano poche le pmi a comunicare in maniera efficace, consente a una pmi virtuosa di differenziarsi dalle altre, potenziando la propria immagine nei confronti di clienti, fi nanziatori e fornitori. In sintesi, il riposizionamento strategico verso la Csr contribuisce alla notorietà e all'incremento di valore del brand aziendale; - migliore posizionamento a livello di supply chain: una pmi virtuosa è in grado di correggere distorsioni e disincentivare comportamenti in con itto con i propri valori e con i propri principi etici, sociali e ambientali. Assume un ruolo di primo piano non solo nei confronti dei propri fornitori (partner selection in base a requisiti etici, ambientali e sociali), ma anche nei confronti dei propri clienti più importanti (di grandi dimensioni e spesso internazionali), che premino le buone pratiche nel campo della sostenibilità; - incremento del capitale relazionale: imprese animate da stessi principi etici, sociali e ambientali, riconoscendo in altre imprese lo stesso livello di rendicontazione di sostenibilità, sono naturalmente portate verso l'attivazione di rapporti di tipo sinergico o aggregativo; - supporto dai propri stakeholder: la Csr favorisce la comunicazione bidirezionale e il coinvolgimento con gli stakeholder, attivando così meccanismi di legittimazione sociale che sviluppano l'interazione dell'impresa con gli altri attori della comunità locale; - reperimento di migliori risorse umane e valorizzazione di quelle presenti: una migliore reputazione aziendale favorisce un'effi cace politica di reperimento di risorse qualifi cate e motivate nonché un clima di lavoro più disteso e, allo stesso tempo, più incentivante a benefi cio della produttività aziendale; - riconoscibilità da parte del mercato: i consumatori sono sempre più attenti alle imprese che realizzano buone pratiche in materia di sostenibilità e sono disposti perciò a riconoscere un maggior valore al prodotto e al servizio offerto da quelle imprese (e ad «accettare» il suo maggior prezzo); - migliore accesso al mercato del credito: una più efficace

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 67 11/06/2018 diffusione:88589 Pag. 14 N.136 - 11 giugno 2018 tiratura:133263 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

rendicontazione economica, sociale e ambientale in una prospettiva di risk assessment può essere funzionale a un migliore accesso al mercato del credito e a una più effi ciente redistribuzione delle risorse finanziarie da parte del sistema creditizio; - più agevole accesso ai rapporti con la p.a.: negli appalti pubblici e negli strumenti di finanza agevolata le buone pratiche in tema di Csr costituiscono un fattore distintivo che incide positivamente nel processo di valutazione da parte della Pubblica amministrazione. Il vademecum della disclosure non fi nanziaria Reporting di Cr Report di sostenibilità Csr Asseverazione Il Corporate responsibility (Cr) reporting è un processo tramite il quale un'organizzazione descrive e comunica gli impatti economici, sociali e ambientali delle proprie attività in relazione ai principali stakeholder alla luce dei fenomeni economico fi nanziari e/o non economici Il report di sostenibilità o "bilancio sociale", "bilancio di missione" è uno tra gli output del Cr reporting; in cui organizzazione condivide con i propri stakeholder informazioni di natura fi nanziaria e non fi nanziaria con riguardo alle proprie attività. Predisposto secondo criteri di accountability, permette di rileggere molti processi aziendali per lo sviluppo di investimenti ambientali e sociali strategici, impossibili da rilevare tramite gli strumenti di rendicontazione fi nanziaria La Corporate social responsability non è più da considerarsi come un aspetto addizionale delle strategie aziendali, ma come un fattore integrante della gestione delle imprese. Ciò vale in particolar modo per le Pmi, che rappresentano una parte consistente del sistema economico europeo L'asseverazione (di documenti e/o processi di rendicontazione) è un'attività che ha lo scopo di aumentare l'affi dabilità delle informazioni divulgate

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 11/06/2018 - 11/06/2018 68