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Scienza dell´anima e poetica nella Vita Nuova

ROSARIO SCRIMIERI Universidad Complutense de Madrid Asociación Complutense de Dantología

1. Come è stato detto ripetutamente a proposito della stesura della Vita Nuova, esiste una differenza temporale -e dunque anche di maturazione poetica- tra la scrittura della poesia e quella della prosa. Lungo il percorso vitanovistico l´autore della prosa ne sa di più del suo personaggio, non solo in materia di fatti accaduti ma anche di poetica. Non si può dimenticare che quando comincia a scrivere il proemio ha già sperimentato la "mirabile visione" dove ha visto cose che gli "fecero proporre di non dire più" di Beatrice finché egli "potesse più degnamente trattare di lei" (XLII, 1). Il poeta ha già l´intuizione di una nuova poetica; e questo fatto implica che le varie poetiche che si sono succedute nel "libello" non gli servono più. Infatti Dante le fa fallire una dopo l´altra nel corso dell'opera. L´ipotesi di partenza di questa relazione è che quando Dante comincia a scrivere la prosa della Vita Nuova ha già in mente quello che si potrebbe chiamare poetica della totalità, intesa come una poesia che tende a rappresentare la totalità dell´anima umana. Questa è l´intuizione di Dante dopo la "mirabile visione" e riguarda la scrittura del futuro; in rapporto a quella del passato significa invece la verifica del fallimento di una serie di poetiche che sono per l´appunto rappresentazioni incomplete dell´anima, non la sua totalità. Nella prospettiva di una poetica della totalità l'opera rappresenta dunque l´itinerario dell´anima verso la sua compiutezza, verso l´integrazione della vis vegetativa e sensitiva con l´anima razionale e l´intelletto.

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Secondo questa ipotesi e in chiave metapoetica si può stabilire che fin dall´inizio della prosa l´immagine di Beatrice è il simbolo di una poetica della totalità; in altre parole la sua immagine coinvolge le tre potenze dell´anima e i loro fini. Così, proprio nel primo capitolo, Dante parlando dell'età di Beatrice allude al cielo stellato che, come dice il , è comparabile alla fisica e alla metafisica; si tratta di un indizio astrale, il cui senso allegorico sta a indicare, a mio avviso, che in Beatrice, sotto l'influsso delle stelle di quel cielo, confluiscono simbolicamente gli elementi terrestri e celesti, del corpo e dell´anima, della potenza vegetativa, sensitiva, razionale e intellettuale. D´altra parte, i tratti dell´immagine di Beatrice nel primo incontro con Dante1, interpretati in chiave metapoetica, suggeriscono una poetica della totalità sia nel piano del contenuto che dell´espressione. Dante descrive così Beatrice: "Apparve vestita di nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno, cinta e ornata a la guisa che a la sua giovanissima etade si convenia" (II, 3). Tutte le qualità inerenti al vestito di Beatrice di colore sanguigno riappaiono nel in senso tecnico- poetico e si possono mettere in rapporto con una poetica della totalità. Innanzitutto e riguardo al colore sanguigno, nella tradizione simbolica è un elemento figurativo che rinvia all´amore2; di conseguenza, prima che le parole di Dante riconoscano esplicitamente nel dio Amore il signore della sua anima, questo colore allude alla "matera" d´amore in quanto contenuto iniziale e origine di questa poetica3. "Nobilisisimo", nel De vulgari eloquentia (II, iii), si applica alla canzone, forma metrica perfetta: "E che tutta l'arte del cantare poetico sia chiusa nella canzone, appare da ciò, che tutto quello che si trova d'arte si ritrova in essa, e non al contrario". Dunque per Dante la canzone è nobilissima dal punto di vista formale perché è l´espressione dell´arte poetica totale. Se poi si trasferisce questo significato poetico al contesto della Vita Nuova, il qualificativo nobilissimo potrebbe conferire proprio quel carattere di totalità alla forma dei poemi amorosi suscitati dall'immagine di Beatrice. Tuttavia questa interpretazione sarebbe riduttiva se venisse applicata soltanto alle tre canzoni della Vita

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Nuova che, come è noto, accolgono i momenti cruciali della vita e della morte di Beatrice. La mia ipotesi in quest'ordine di idee è che tutto il prosimetro di Dante, prosa e poesia, vada considerato come una unità testuale che tende alla messa in atto di una poetica della totalità, tanto dal punto di vista del contenuto quanto dell'espressione; la prosa contiene delle forme narrative, descrittive, dialogiche, esegetiche che coesistono con e la voce lirica in prima persona. Riguardo al qualificativo “umile”, Dante nel De vulgari eloquentia lo usa in relazione allo stile dei miseri, uno dei tre modi dicendi legato al genere elegiaco; umile è dunque una categoria poetica sia della forma che del contenuto. Tra tutte le implicazioni del significato di “umile” nei contesti vitanovistici, mi limiterò a citare il sonetto dove il termine acquista persino un senso anagogico : "fu posta da l´altissimo signore / nel ciel de l´umilitade, ov´ è Maria" (XXXIV). Ma sopratutto, dal punto di vista metapoetico, non si può dimenticare, riguardo a questa qualificazione della forma e del contenuto del De vulgari eloquentia, che quando Dante comincia a scrivere la Vita Nuova Beatrice è già morta e che fin dalla prima parola la sua prosa è improntata al lutto. Umile, dunque, può essere letto come un tratto poetico che sta su uno sfondo tematico luttuoso ma, superato il senso ristretto dello stile dei miseri, umile potrebbe acquisire anche un significato tecnico-formale: la semplicità sintattica e lessicale del volgare umile, riferibile a certi momenti della prosa del "libello". Nel contesto dell´epistola a Cangrande, questa caratteristica si collega al modo di parlare delle donne4. Ricordiamo a questo proposito che dal XIX capitolo in poi le donne diventano il destinatario privilegiato della poesia di Dante e che queste ultime in varie occasioni gli rivolgono la parola. L´aggettivo “onesto”, attribuito da Dante al colore sanguigno del vestito di Beatrice, nel De vulgari eloquentia è riferito al piano del contenuto: "l´onesto è ciò che l´uomo cerca quando segue la via della ragione" ("secundum quod rationale, honestum querit") (II, ii), e si concreta nel tema della virtus. “Onesto” da questo punto di vista può

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significare che la poesia d´amore suscitata dall' immagine di Beatrice integra la ragione; che l´anima sensitiva e l´anima razionale procedono di comune accordo, come vorrebbe una poetica che tende alla rappresentazione della totalità dell´anima. La poetica della totalità, intravista alla luce del De vulgari eloquentia nelle caratterizzazioni del colore sanguigno del vestito di Beatrice, trova una conferma esplicita nella Vita Nuova: E avvegna che la sua immagine, la quale continuamente meco stava, fosse baldanza d´Amore a segnoreggiare me, tuttavia era di sì nobilissima vertù, che nulla volta sofferse che Amore mi reggesse sanza lo fedele consiglio de la ragione in quelle cose là ove cotale cosiglio fosse utile a udire (II, 9). Dal punto di vista metapoetico queste parole mettono in rapporto la "nobilissima vertù" dell´immagine di Beatrice, vale a dire, gli effetti che quest´ultima provoca su Dante, con i tre magnalia nominati nel De vulgari eloquentia: la salus -attraverso il termine “utile”- la venus e la virtus. D´altra parte, il Convivio ribadisce la congiunzione fra nobiltà e perfezione nel senso di compiutezza: "per nobilitade si intende perfezione di propria natura in ciascuna cosa" (IV, xvi, 4-8). Il significato di nobile come totalità in questo caso non si riferisce al piano dell´espressione, come accade nel De vulgari eloquentia, ma allude in generale alla compiutezza di ogni cosa secondo la propria natura, quando viene raggiunta la totalità di se stessa; riguardo all´anima, quando mette in atto tutte le sue potenze. Si potrebbe obiettare che il significato di virtù nel De vulgari eloquentia, equivalente al magnalium della virtus dell´anima razionale nella ricerca dell´onesto, non coincide con quello della Vita Nuova, più vicino, forse, al significato del Convivio, quando Dante parla della virtù come influenza dei cieli, come "vertù celeste", ossia, come capacità "di inducere perfezione ne le disposte cose" (II, xiii, 5) in chi è disposto a ricevere il suo influsso. Tuttavia questo significato del Convivio non contraddice quello del De vulgari eloquentia, bensì lo completa poiché

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indurre a seguire i consigli della ragione, come opera la nobilissima virtù dell'immagine di Beatrice, non è altro che tendere a attualizzare in chi è predisposto a riceverne l'influsso, come Dante, le virtù morali e intellettuali necessarie alla ricerca della perfezione dell´uomo. Salus, venus e virtus confluiscono dunque nel contesto citato (II, 9) da cui si può dedurre che l´immagine di Beatrice è simbolicamente legata fin dall'inizio del "libello" a un´intuizione della totalità dell´anima, e dal punto di vista formale alla ricerca di una poetica capace di quella rappresentazione.

2. C'è un' altra questione che riguarda quest' argomento: si tratta delle relazioni fra scienza dell' anima e poetica, inerenti al significato del termine utile nei due contesti in cui appare nella Vita Nuova5. Nel primo contesto (II, 9) appena citato, ho interpretato “utile” nel senso del De vulgari eloquentia: ossia come il fine perseguito dalla vis vegetativa. Ciò permette l´inclusione nel libello della materia della salus oltre a quelle della venus e della virtus. In questo caso la lettura del termine utile è ristretta, all´ambito della conservazione della salute, della vita del corpo. La poetica della totalità che l´autore ha in mente fin dall´inizio implicherebbe dunque anche una poesia che ha come oggetto il tema della salute fisica, il che non è scontato considerando il concetto d´amore nei trattati medici e nella pratica dei poeti provenzali e italiani. Tuttavia non si deve escludere dalle parole di Dante il senso lato dell' aggettivo utile, nei termini in cui si presenta nel contesto filosofico del suo tempo6, vale a dire, come "mezzo per raggiungere il fine" non soltanto dell´anima vegetativa, ma anche di quella sensitiva: il dilettevole; e di quella razionale: l´onesto. Ciò nonostante, è interessante sottolineare che nel primo contesto (II, 9), il senso del termine utile è esplicitamente legato alla vis vegetativa, in quanto Dante mette subito in rilievo i disturbi che l´amore di Beatrice arrecherà alla sua salute. Non va dimenticato che lo spirito vitale, equivalente al principio della vita corporale -"ciò per cui primieramente viviamo" (Aristotele in Penati 1982: 80)- e lo spirito naturale, collegato alla vis

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vegetativa, profetizzano le alterazioni delle loro operazioni future dovute all' amore per Beatrice. Arriviamo così a un punto nodale della Vita Nuova: la difficoltà sperimentata da Dante nell´età adulta e posteriore al mancato saluto di Beatrice, di integrare l´anima vegetativa e sensitiva con quella razionale; il fatto che l´amore non è più fonte di salute, come nel primo periodo della sua vita; il fatto che l´amore non è "utile" e diventa causa di malattia e persino di morte. La perdita del saluto di Beatrice, metonimia della perdita del suo amore, mette a repentaglio la salus del soggetto nelle diverse operazioni dell'anima e annuncia l´inizio di un conflitto tra le esigenze dell´anima sensitiva e quelle dell´anima razionale, così come le successive alterazioni delle operazioni dell´anima vegetativa. Dal punto di vista metapoetico, questa perdita significherà la presenza nella Vita Nuova di una poetica della disintegrazione espressa formalmente dalle figure retoriche della metonimia e della personificazione (il cuore, l´anima, un pensiero, gli spiriti vitali diventano soggetti, parlano e patiscono), e dalla tecnica della drammatizzazione, reppresentative della la distruzione dell´unità del soggetto-amante. Cavalcanti era stato l' esponente paradigmatico di questa poetica. In alcuni capitoli del "libello" assistiamo alla drammatizzazione del conflitto tra le esigenze dell´anima sensitiva del soggetto, e la ragione che proferisce i suoi "consigli". Nel XV capitolo, per esempio, il protagonista dichiara che un pensiero "forte" lo ammonisce continuamente perché egli insiste nel voler vedere Beatrice. Nel sonetto, Amore, consigliato dalla ragione, lo esorta a fuggire Beatrice se non vuole morire: "fuggi, se 'l perir t´ è noia" (XIV, 4). Qui le esigenze dell´anima sensitiva mettono in pericolo di morte -anche fisica- il soggetto. Dopo le parole rivolte da Amore alla ragione, Dante fa discorrere l'anima sensitiva: un pensiero umile -nel significato di basso, legato alla corporalità e al desiderio- risponde e difende il proprio modo di procedere. Il capitolo XVI ratifica l'opposizione tra e'anima sensitiva e quella razionale, sottolineando le conseguenze distruttive dell´amore per la salute e la vita del corpo: "io mi movea

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quasi discolorito tutto per vedere questa donna, credendo che mi difendesse la sua veduta da questa battaglia, dimenticando quello che per apropinquare a tanta gentilezza mi avvenia /.../ e come cotale veduta non solo non mi defendea, ma finalmente disconfiggea la mia poca vita" (XVI 4,5). E anche nel sonetto: "e se io levo li occhi per guardare, / nel cor mi si comincia uno tremoto, / che fa de´polsi l´anima partire" (XVI, 10). La stessa situazione conflittuale tra la ragione e la vis sensitiva si ripeterà nell´episodio della donna gentile (XXXVIII). Qui le esigenze dell´appetito sono rappresentate dal cuore, quelle della ragione dall´anima: "lo mio desiderio si volge tutto verso lei [la donna gentile]; l´anima, cioè la ragione, dice al cuore, cioè a lo appetito" (XXXVIII, 7). È chiaro che in tutti questi contesti il soggetto non segue i consigli della ragione e la salus, anche del corpo, ne viene minacciata. Le poesie vincolate a questi periodi possono rientrare in una poetica dell´incompiutezza, della disintegrazione, in linea con la poetica cavalcantiana, che però Dante farà fallire, tanto nel primo periodo, dopo la perdita del saluto di Beatrice, come nel periodo del lutto e della donna gentile. Il secondo contesto della Vita Nuova dove appare la parola utile è nel capitolo XII, 6. Dante, dopo che il dio Amore si è autodefinito in latino: "Ego tamquam centrum circuli, cui simili modo se habent circumferentie partes; tu autem non sic" (XII, 4), gli domanda perché si esprime così oscuramente e questi risponde: "Non dimandare più che utile ti sia". Qui il termine utile si potrebbe mettere in rapporto con il significato del Convivio (IV, vii, 11-12): "poiché la felicitade de la vita contemplativa è più eccellente che quella de l´attiva, e l´una e l´altra possa essere e sia frutto e fine di nobilitade, perché non anzi si procedette per la via de le virtù intellettuali che de le morali?". Dante risponde: A ciò si può brievemente rispondere che in ciascuna dottrina si dee avere rispetto a la facultà del discente, e per quella via menarlo che più a lui sia lieve. Onde perciò che le virtù morali

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paiono essere e siano più comuni e sapute e più richieste che l´ altre e imitate ne lo aspetto di fuori, utile e onvenievole fu più per quello cammino procedere che per l´altro (IV, xvii, 11-12). Il significato di utile in questo contesto è collegato alla dinamica della vita dell´uomo; questa dinamica si manifesta come attualizzazione delle potenze dell´anima e delle loro corrispondenti virtù: nella prima metà della vita, di quelle dell´anima vegetativa e sensitiva, sotto la guida della ragione accompagnata dalle virtù morali; si tratterebbe della vita attiva; nella seconda metà, di quelle dell´anima intellettuale e delle virtù che le sono proprie, inerenti alla vita contemplativa. Il punto di inflessione fra l´una e l´altra vita si insinua nel capitolo XVIII della Vita Nuova, quando Dante, prima di iniziare la poetica della lode, cita implicitamente le parole di Gesù a Marta a proposito della scelta di sua sorella Maria: questa ha scelto -dice il vangelo di Luca- "quae non auferetur ab ea". Allo stesso modo Dante, d' ora in poi, situa "la fine de la mia beatitudine in quello che non mi puote venire meno" (XVIII, 4). Ma questo episodio è posteriore a quello narrato nel capitolo XII, accaduto immediatamente dopo la perdita del saluto di Beatrice. Sembra che in questo momento il dio Amore, guida di Dante, si rifiuti di rispondere alla sua domanda perché ritiene ch'egli non sia ancora preparato per accogliere la risposta; quest´ultima non sarebbe né utile né conveniente per lui; una risposta connessa al senso delle parole latine del dio, dove l´idea di perfezione e di totalità è espressa dall´immagine del cerchio e dall'equidistanza dal centro di tutti i punti della circonferenza. Sembra quindi che utile in questo contesto coincida col significato del Convivio: le facoltà del discente sono ancora insufficienti per affrontare l´idea di totalità dell´anima e il dio considera che la via più adeguata, più "utile" per guidarlo, sia quella della vita attiva, accompagnata dalla ragione e dallo sviluppo delle virtù morali, "più comuni e sapute e più richieste" delle virtù intellettuali, come si dice nel Convivio. L´utile, dunque, secondo Amore, consiste nel saper badare prima alle esigenze della vita attiva, dove si provvede ai fini dell´anima vegetativa e sensitiva, guidati dalla ragione e accompagnati dalla

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pratica delle virtù morali. In questo senso, il dio consiglia Dante di soddisfare le esigenze dell´anima sensitiva, il cui adempimento garantisce le operazioni dell´anima vegetativa e la salus che ne deriva per il corpo. Amore guida così, sotto il consiglio della ragione e lo sforzo morale, verso il ricupero dell´amore di Beatrice. Questo è, secondo me, il senso della ballata che il dio suggerisce a Dante di comporre. Non a caso nella tradizione poetica questo genere è connesso alla rappresentazione dell´amore naturale e alla sua soddisfazione fisica, e non a caso c'è la musica che ne garantisce il fine dilettevole. Si tratterebbe dunque in questo momento della Vita Nuova di una poetica dell´utile e del dilettevole, sempre sotto la guida della ragione, come pure di una poetica della trasparenza e della verità, in opposizione a quella precedente dello schermo. Ma questa poetica sarebbe incompiuta perché le manca quanto si riferisce alle potenze dell´anima intellettuale, nella dinamica dello sviluppo dell´uomo, normalmente corrispondenti, alla seconda metà della vita. In questo senso, come si è detto all´inizio, Dante quando scrive la prosa della Vita Nuova ha in mente una poetica della totalità, che rappresenti tutti i fini delle potenze dell´anima umana.

3. Da ultimo, ci si può chiedere se la Vita Nuova racchiuda anche il tentativo di una poetica della totalità. Infatti la poetica della lode potrebbe corrispondere a questa aspettativa. Il verso inaugurale di questa poetica, "Donne che avete intelletto d´amore", è il simbolo dell´integrazione dell´anima sensitiva e dell´intelletto. Infatti, avere "intelletto d´amore" più che capire cosa sia l´amore significa situare l´amore, potenza dell´anima sensitiva, nello spazio contemplativo dell´anima intellettuale; si riferisce a un'esperienza amorosa non scissa dall´intelletto a causa delle passioni sensitive, ma bensì a un' esperienza che è riuscita a evitare tale scissione grazie all'attività dell´immaginazione e alla virtù inerente all'immagine di Beatrice7. Secondo il linguaggio della psicognoseologia medievale, in questo primo verso l'amore diventa oggetto della visione intellettuale. Si manifesterebbe così per la prima volta una tensione verso la compiutezza, una poetica che accoglie anche il contenuto delle potenze

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dell´anima intellettuale e delle virtù a essa connesse, proprie della vita contemplativa. La poetica della lode si potrebbe dunque considerare come un tentativo di mettere in pratica una poetica della totalità, sempre che si intenda l'idea di totalità nel senso della struttura trinitaria dell´anima. Beatrice in questo periodo suscita una poesia che coinvolge le tre potenze dell´anima. Ma, proprio all´apice della poetica della lode, la prosa mette alla prova la compiutezza raggiunta mostrando a Dante l´altra faccia della condizione vegetativa e sensitiva dell´uomo. Nel XXIII capitolo Dante ha una visione in cui vede se stesso morto e morta Beatrice. Interpretata in senso letterale, la morte, che colpirà poi la donna, toglie a Dante ciò che credeva non gli potesse mai "venire meno": la capacità del canto poetico. Alla domanda, dunque, se nella Vita Nuova si verifica la messa in pratica di una poetica della totalità, si potrebbe rispondere che una poetica della totalità non può essere trinitaria in quanto quest'ultima elimina gli aspetti "maligni" inerenti alla natura vegetativa e sensitiva dell´uomo, gli aspetti legati alla corporalità come la malattia e la morte, e il dolore che ne consegue per l´uomo. Uno dei possibili significati della morte di Beatrice, dal punto di vista metapoetico, potrebbe mirare propio in questa direzione: l´intuizione di una poetica capace di integrare il male nella trinità beatifica della lode. Si tratta non del male morale, ma di tutto quanto mette in pericolo la sicurezza, la continuità della vita dell´uomo e che causa sofferenza e orrore; il male che per il protagonista è il "leggiero del durare" della vita e la "tanta miseria" della condizione umana, a cui Beatrice stessa è sottommessa: "di necessitade convene che la gentilissima Beatrice alcuna volta si muoia" (XXIII, 3). In senso letterale, dunque, il testo mostra la morte come un fatto impossibile da accettare e, ciò nonostante, da includere necessariamente in una concezione poetica che pretende di render conto della totalità della realtà dell´uomo. Nella fase che precede la lode -l´epoca del conflitto cavalcantiano- il "male" era anche presente come tormento interiore, come esperienza della disintegrazione delle potenze dell´anima dovuta al rifiuto di Beatrice. La sopportazione di questo "male" è paragonabile a una

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discesa negli inferi della propria interiorità, mentre nella visione del capitolo XXIII il "male" si potrebbe paragonare alla discesa nell' della propria natura corporale e terrena; una natura, però, che è necessario riconoscere in nome della totalità dell´uomo. Dal punto di vista della teologia trinitaria medievale questo riconoscimento non è altro che accogliere nell´ambito beatifico della trinità divina -e pertanto nell'ambito dell' anima umana, creata a immagine e somiglianza di Dio- le conseguenze del peccato originale; prima fra tutte l'accettazione della malattia e della morte corporale. Per queste ragioni credo che Dante proponga nella Vita Nuova una poetica della totalità mediante una poetica visionaria, dove l´immaginazione è la facoltà che attua l'integrazione delle diverse potenze animiche e accoglie la realtà del male della malattia e della morte. Lo spazio testuale in cui si manifesta questa poetica è quello della prosa dove Dante narra le tre grandi visioni oniriche e la "forte imaginazione" di Beatrice bambina. A parer mio, qui troviamo il contributo fondamentale della prosa della Vita Nuova alla futura poetica della totalità rappresentata dalla Commedia. Nel capitolo terzo la spinta visionaria scaturisce ancora dalla poesia, dal primo sonetto "A ciascun´alma presa e gentil core", benché la prosa amplifichi in modo decisivo il contenuto visionario del sonetto. Riguardo alla seconda visione, posteriore al mancato saluto di Beatrice (XII) e alla "forte imaginazione" di Beatrice bambina (XXXIX), né la ballata del capitolo XII, né il sonetto del capitolo XXXIX ne fanno menzione; le troviamo unicamente nella narrazione in prosa; questo fatto sta a indicare che esse sono posteriori alle rime e che procedono da Dante prosatore. Dante mette in atto una poetica della totalità come poetica visionaria scritta in versi nel capitolo XXIII. Qui il contenuto della prosa -ossia la narrazione della visione onirica- è ripreso quasi integralmente dalla canzone corrispondente. De Robertis (1980: 158) fa un´interessante osservazione circa la "contemporaneità d´ispirazione" della canzone, dotata di "insoliti caratteri narrativi", e della prosa di questo capitolo; secondo il critico ambedue sarebbero state composte espressamente per la Vita Nuova. Infatti, è la prima volta, a mio avviso,

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che la poesia si misura con successo con la prosa, non solo per la sua capacità narrativa ma anche espressiva, descrittiva e dialogica. La contemporaneità della scrittura della prosa e della poesia può spiegare la differenza di questa canzone dalle altre composizioni poetiche del "libello" e la sua vicinanza alla scrittura della Commedia8. Non è il caso di sottolineare che queste differenze di ordine poetico-formale derivano dall´apertura della poetica trinitaria alla poetica della totalità che accoglie la materia del "male" nel senso precisato anteriormente. Gorni in quest'ordine di idee mette in rilievo le differenze tra questa visione e quelle anteriori: "qui regna una fantasia maligna, impenetrabile al giudizio e non redenta dall´afflato poetico" (1996: 262)9. Si tratta, a mio avviso, di una "fantasia maligna" perché vi è rappresentato il "male" nel senso che Dante fisicamente sofferente vede la propria morte e quella di Beatrice; nel senso che Dante deve affrontare la precarietà della condizione umana, sogetta alla malattia e alla morte. A mo' di conclusione a queste riflessioni sulla possibile presenza di una poetica della totalità nella poesia della Vita Nuova, vorrei accennare al sonetto "Oltre la spera che più larga gira". Anche qui Dante mette in atto una poetica della totalità nel senso di poetica visionaria. Durante il periodo del lutto, la sua era stata una poetica della disintegrazione e dell´incompiutezza dell´anima, scissa tra la potenza sensitiva e la ragione. Metto in rilievo a questo proposito la ricorrenza del tratto "vile" che il soggetto attribuisce a se stesso in questo periodo. "Vile" si potrebbe interpretare in questi contesti anche come "non- nobile": secondo l´etimologia di questa parola nel Convivio, vile rinvia a incompiuto, ricordando il legame che Dante stabilisce fra nobiltà e totalità, fra nobiltà e perfezione di ogni cosa secondo la sua natura. La poetica del lutto sarà superata soltanto grazie all´intervento dello spirito fantastico, l´immaginazione in atto purificata dall´appetito sensibile. In questo sonetto confluiscono in una tesa e sofferta sintesi l´intelletto e l´amore, il desiderio e il dolore, integrati e attratti dalla e nell´immagine di Beatrice10. La poetica visionaria della totalità, nel senso di integrazione di tutti gli opposti che dividono l´anima, implica il superamento dei limiti dell´intelletto, simboleggiati dalla frontiera del

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Cielo cristallino o Primo Mobile, il superamento della "spera che più larga gira" e l'entrata nell´Empireo, l´ambito dei beati e della visione divina, vale a dire, l'entrata nel mondo della fede e della grazia. La dinamica della Vita Nuova dal punto di vista dell´ordinamento dei cieli ha così due momenti cruciali di riferimento: fino al Cielo cristallino, limite dell´itinerario dell´anima verso la conquista dell´intelletto, itinerario collegato a Beatrice in vita; e l´Empireo, "oltre la spera che più larga gira", sede dei beati e della visione beatifica, connesso a Beatrice morta. Questo potrebbe essere un secondo significato della morte di Beatrice: per raggiungere la compiutezza e l´integrazione di corpo e anima, terra e cielo, morte e vita, male e bene, l´intelletto deve morire simbolicamente, cioè trasformarsi, diventare un'“intelligenza nova” e penetrare nel mondo della fede e della grazia.

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NOTE

1 Non credo di forzare il significato simbolico di questa prima immagine che Dante rivede nel momento cruciale del suo conflitto con la donna gentile, immagine che gli dà la capacità di superarlo. Dante parla infatti di una "forte imaginazione": "mi parve vedere questa gloriosa Beatrice con quelle vestimenta sanguigne con le quali apparve prima a li occhi miei; e pareame giovane in simile etade in quale io prima la vidi" (XXXIX, 1). 2 Secondo la tradizione iniziatica questo colore -collegato alla luce del sole nascente- è simbolo anche dell´illuminazione dell´intelletto. Questo senso può confluire con il primo e deve essere sottolineato nell´interpretazione della "forte imaginazione" di Dante (XXXIX, 1) in quanto il processo che l´amore di Beatrice promuove in lui culmina nella conquista della sapienza. 3 In questo senso il "sire de la cortesia" dell´ultimo capitolo della Vita Nuova sarebbe, secondo Gorni, "senz´altro Amore, piuttosto che l´innominato "dio" (minuscolo) del Casini" (Gorni 1996: 232). La difesa dell´amore come esclusiva e unica fonte di ispirazione poetica è ribadita da Dante nel capitolo XXV dove biasima esplicitamente, a proposito della poesia in volgare, "coloro che rimano sopra altra matera che amorosa, con ciò sia cosa che cotale modo di parlare fosse dal principio trovato per dire d´amore" (XXV, 6). Non credo che la Commedia come pratica di una poetica della totalità contraddica questo principio che conferma la materia d´amore come origine della poesia di Dante. 4 Il modo di parlare della Commedia -dice Dante nell´epistola a Cangrande- è umile e semplice "come si conviene al volgare di che pur le feminette si giovano" ("ad modum loquendi, remissus est modus et humilis, quia locutio vulgaris in qua muliercule comunicant" (Alighieri 1997: 1183). 5 López Cortezo considera come prima poetica della Vita Nuova, corrispondente alla fase guittoniana, la poetica dell´utile, una poetica centrata nel "corpo fisico" della poesia, sul significante a detrimento del significato, perché nasconde il suo vero oggetto: Beatrice e quanto rappresenta. Dal punto di vista metapoetico, Beatrice rappresenta la totalità in corrispondenza con la totalità dell´anima. La poetica dell´utile in senso formale capta talmente l´attenzione sul "corpo" della poesia da non lasciar trasparire l'anima, vale a dire il contenuto. Il "corpo" diventa opacità, schermo dell´anima, "schermo della veritate". In questo caso e sempre secondo López Cortezo, si potrebbe parlare di "ghiottoneria della forma", di un "corpo" poetico "grosso" che occulta la propria anima. In questo senso è interessante, a mio avviso, mettere in rapporto la prosa e la poesia di questo primo periodo. Da un lato, la prosa neutralizza la pratica dello schermo svelando il segreto che la poesia nasconde; dall´altra, è da notare che Dante parla in modo distaccato delle rime di questo periodo dedicate alla donna schermo; le definisce con l´espressione "certe cosette per rima" e ne trascrive solo una, lasciando intendere il suo allontanamento nel momento della scrittura della prosa.

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6 San Tommaso nel commento al libro ottavo dell´Etica di Aristotele, dedicato all' amicizia, quando tratta dell´oggetto di quest´ultima, usa il termine utile in senso lato. Non menziona le diverse potenze dell´anima, ma i loro fini: l´onesto è "buono di per se stesso" e implica il fine dell´anima razionale; il piacevole è "ciò che si confà all´uomo a livello dei sensi" e la finalità implicita è quella dell´anima sensitiva; d´ultimo menziona l´utile come "mezzo per raggiungere il fine" (Tommaso d´Aquino 1998: 236), intendendo per fine tanto l´onesto quanto il piacevole. 7 Nella nuova concezione di Beatrice, nella poetica della lode, la virtù che emana dalla sua immagine non solo promuove -dalla potenza all´atto- ciò che l´anima dell'amante virtualmente contiene, ma anche ciò che previamente non esisteva, creandolo ex novo: "per lei si sveglia questo Amore /.../ là ove dorme, ma là ove non è in potenzia, ella mirabilmente operando lo fa venire" (XXI, 1). 8 Non possiamo dimenticare che tanto l´inizio della narrazione della visione nella prosa e nella canzone del capitolo XXIII, come l´inizio della Commedia portano la parola chiave smarrimento, che indica la perdita dello stato di veglia e l´entrata nel mondo dei sogni, vale a dire, dal punto di vista dell´inconscio, nel mondo dei morti. 9 Gorni parla anche dell´"andamento da commedia" (1996: 263) che nella prosa assumono la materia tragica e quella elegiaca dovuto al "gioco incrociato di equivoci e false agnizioni" fra Dante e le donne. "L´andamento da commedia", a mio avviso, si può trovare anche nella canzone e annuncia la poetica della totalità della Commedia. Quest´opera adotterà sotto la scrittura versica tutti gli stili: tragico, comico, elegiaco ma assume come termine definitorio quello di commedia proprio come opposto a quello di tragedia nel senso che Dante nel suo poema rappresenta la redenzione del male (Agamben 1996). 10 Propio da questo punto di vista la Vita Nuova si manifesta come una successiva serie di fallimenti fino a quest´ultimo sonetto, il cui contenuto si può considerare come il tentativo di rappresentazione integrata delle diverse potenze dell´anima, nel senso in cui quest´ultima viene definita da Aristotele: "L´anima è ciò per cui primieramente viviamo e sentiamo e intendiamo" (in Penati 1982: 81) e così come viene spiegata da questo filosofo quando parla della sensazione: "ma se [l´anima] possiede la sensazione, possiede anche l´immaginazione e l´appetito. Giacchè dove è senso, ivi è dolore e piacere, ma dove sono questi vi è necessariamente il desiderio" (in Penati 1982: 80). Tutte le componenti enumerate da Aristotele: l' immaginazione, il desiderio, il piacere, il dolore sono presenti in questo sonetto e ne determinano la sintesi che rappresenta. L´ipotesi del mio intervento è dunque che le poetiche che si succedono nella Vita Nuova fino a questo sonetto sono poetiche della disintegrazione dell´anima o dell´incompiutezza, come la ballata del capitolo XII, o poetiche della totalità intesa come perfezione ma non come compiutezza, come accade nella poetica della lode.

229 Tenzone nº 6 2005

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

AGAMBEN, G. (1996): Categorie italiane. Studi di poetica, Venezia, Marsilio. ALIGHIERI, D. (1987): Convivio, a cura di P. Cudini, Milano, Garzanti. ALIGHIERI, D. (1980): Vita Nuova, a cura di Domenico de Robertis, Milano-Napoli, Ricciardi. ALIGHIERI, D. (1993): . Vita Nuova, Premessa di Maria Corti, Introduzione e cura di Manuela Colombo, Milano Feltrinelli. ALIGHIERI, D. (1997): De vulgari eloquentia, in Dante. Tutte le opere, Roma, Newton. ALIGHIERI, D. (1997): Epistole, Roma, Newton. GORNI, G. (1996): Vita Nova, a cura di Guglielmo Gorni, Torino, Einaudi. PENATI, G. (1982): L´anima, Ed. Brescia, La Scuola. TOMMASO D´AQUINO (1998): Commento all´Etica Nicomachea di Aristotele, Introduzione, Traduzione e Glossario a cura di Lorenzo Perotto, Bologna, Ed. Studio Domenicano.

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