Scienza Dell´Anima E Poetica Nella Vita Nuova

Scienza Dell´Anima E Poetica Nella Vita Nuova

Scienza dell´anima e poetica nella Vita Nuova ROSARIO SCRIMIERI Universidad Complutense de Madrid Asociación Complutense de Dantología 1. Come è stato detto ripetutamente a proposito della stesura della Vita Nuova, esiste una differenza temporale -e dunque anche di maturazione poetica- tra la scrittura della poesia e quella della prosa. Lungo il percorso vitanovistico l´autore della prosa ne sa di più del suo personaggio, non solo in materia di fatti accaduti ma anche di poetica. Non si può dimenticare che quando Dante comincia a scrivere il proemio ha già sperimentato la "mirabile visione" dove ha visto cose che gli "fecero proporre di non dire più" di Beatrice finché egli "potesse più degnamente trattare di lei" (XLII, 1). Il poeta ha già l´intuizione di una nuova poetica; e questo fatto implica che le varie poetiche che si sono succedute nel "libello" non gli servono più. Infatti Dante le fa fallire una dopo l´altra nel corso dell'opera. L´ipotesi di partenza di questa relazione è che quando Dante comincia a scrivere la prosa della Vita Nuova ha già in mente quello che si potrebbe chiamare poetica della totalità, intesa come una poesia che tende a rappresentare la totalità dell´anima umana. Questa è l´intuizione di Dante dopo la "mirabile visione" e riguarda la scrittura del futuro; in rapporto a quella del passato la Vita Nuova significa invece la verifica del fallimento di una serie di poetiche che sono per l´appunto rappresentazioni incomplete dell´anima, non la sua totalità. Nella prospettiva di una poetica della totalità l'opera rappresenta dunque l´itinerario dell´anima verso la sua compiutezza, verso l´integrazione della vis vegetativa e sensitiva con l´anima razionale e l´intelletto. 215 Tenzone nº 6 2005 Secondo questa ipotesi e in chiave metapoetica si può stabilire che fin dall´inizio della prosa l´immagine di Beatrice è il simbolo di una poetica della totalità; in altre parole la sua immagine coinvolge le tre potenze dell´anima e i loro fini. Così, proprio nel primo capitolo, Dante parlando dell'età di Beatrice allude al cielo stellato che, come dice il Convivio, è comparabile alla fisica e alla metafisica; si tratta di un indizio astrale, il cui senso allegorico sta a indicare, a mio avviso, che in Beatrice, sotto l'influsso delle stelle di quel cielo, confluiscono simbolicamente gli elementi terrestri e celesti, del corpo e dell´anima, della potenza vegetativa, sensitiva, razionale e intellettuale. D´altra parte, i tratti dell´immagine di Beatrice nel primo incontro con Dante1, interpretati in chiave metapoetica, suggeriscono una poetica della totalità sia nel piano del contenuto che dell´espressione. Dante descrive così Beatrice: "Apparve vestita di nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno, cinta e ornata a la guisa che a la sua giovanissima etade si convenia" (II, 3). Tutte le qualità inerenti al vestito di Beatrice di colore sanguigno riappaiono nel De vulgari eloquentia in senso tecnico- poetico e si possono mettere in rapporto con una poetica della totalità. Innanzitutto e riguardo al colore sanguigno, nella tradizione simbolica è un elemento figurativo che rinvia all´amore2; di conseguenza, prima che le parole di Dante riconoscano esplicitamente nel dio Amore il signore della sua anima, questo colore allude alla "matera" d´amore in quanto contenuto iniziale e origine di questa poetica3. "Nobilisisimo", nel De vulgari eloquentia (II, iii), si applica alla canzone, forma metrica perfetta: "E che tutta l'arte del cantare poetico sia chiusa nella canzone, appare da ciò, che tutto quello che si trova d'arte si ritrova in essa, e non al contrario". Dunque per Dante la canzone è nobilissima dal punto di vista formale perché è l´espressione dell´arte poetica totale. Se poi si trasferisce questo significato poetico al contesto della Vita Nuova, il qualificativo nobilissimo potrebbe conferire proprio quel carattere di totalità alla forma dei poemi amorosi suscitati dall'immagine di Beatrice. Tuttavia questa interpretazione sarebbe riduttiva se venisse applicata soltanto alle tre canzoni della Vita 216 Rosario SCRIMIERI Scienza dell´anima e poetica nella Vita Nuova Nuova che, come è noto, accolgono i momenti cruciali della vita e della morte di Beatrice. La mia ipotesi in quest'ordine di idee è che tutto il prosimetro di Dante, prosa e poesia, vada considerato come una unità testuale che tende alla messa in atto di una poetica della totalità, tanto dal punto di vista del contenuto quanto dell'espressione; la prosa contiene delle forme narrative, descrittive, dialogiche, esegetiche che coesistono con le rime e la voce lirica in prima persona. Riguardo al qualificativo “umile”, Dante nel De vulgari eloquentia lo usa in relazione allo stile dei miseri, uno dei tre modi dicendi legato al genere elegiaco; umile è dunque una categoria poetica sia della forma che del contenuto. Tra tutte le implicazioni del significato di “umile” nei contesti vitanovistici, mi limiterò a citare il sonetto dove il termine acquista persino un senso anagogico : "fu posta da l´altissimo signore / nel ciel de l´umilitade, ov´ è Maria" (XXXIV). Ma sopratutto, dal punto di vista metapoetico, non si può dimenticare, riguardo a questa qualificazione della forma e del contenuto del De vulgari eloquentia, che quando Dante comincia a scrivere la Vita Nuova Beatrice è già morta e che fin dalla prima parola la sua prosa è improntata al lutto. Umile, dunque, può essere letto come un tratto poetico che sta su uno sfondo tematico luttuoso ma, superato il senso ristretto dello stile dei miseri, umile potrebbe acquisire anche un significato tecnico-formale: la semplicità sintattica e lessicale del volgare umile, riferibile a certi momenti della prosa del "libello". Nel contesto dell´epistola a Cangrande, questa caratteristica si collega al modo di parlare delle donne4. Ricordiamo a questo proposito che dal XIX capitolo in poi le donne diventano il destinatario privilegiato della poesia di Dante e che queste ultime in varie occasioni gli rivolgono la parola. L´aggettivo “onesto”, attribuito da Dante al colore sanguigno del vestito di Beatrice, nel De vulgari eloquentia è riferito al piano del contenuto: "l´onesto è ciò che l´uomo cerca quando segue la via della ragione" ("secundum quod rationale, honestum querit") (II, ii), e si concreta nel tema della virtus. “Onesto” da questo punto di vista può 217 Tenzone nº 6 2005 significare che la poesia d´amore suscitata dall' immagine di Beatrice integra la ragione; che l´anima sensitiva e l´anima razionale procedono di comune accordo, come vorrebbe una poetica che tende alla rappresentazione della totalità dell´anima. La poetica della totalità, intravista alla luce del De vulgari eloquentia nelle caratterizzazioni del colore sanguigno del vestito di Beatrice, trova una conferma esplicita nella Vita Nuova: E avvegna che la sua immagine, la quale continuamente meco stava, fosse baldanza d´Amore a segnoreggiare me, tuttavia era di sì nobilissima vertù, che nulla volta sofferse che Amore mi reggesse sanza lo fedele consiglio de la ragione in quelle cose là ove cotale cosiglio fosse utile a udire (II, 9). Dal punto di vista metapoetico queste parole mettono in rapporto la "nobilissima vertù" dell´immagine di Beatrice, vale a dire, gli effetti che quest´ultima provoca su Dante, con i tre magnalia nominati nel De vulgari eloquentia: la salus -attraverso il termine “utile”- la venus e la virtus. D´altra parte, il Convivio ribadisce la congiunzione fra nobiltà e perfezione nel senso di compiutezza: "per nobilitade si intende perfezione di propria natura in ciascuna cosa" (IV, xvi, 4-8). Il significato di nobile come totalità in questo caso non si riferisce al piano dell´espressione, come accade nel De vulgari eloquentia, ma allude in generale alla compiutezza di ogni cosa secondo la propria natura, quando viene raggiunta la totalità di se stessa; riguardo all´anima, quando mette in atto tutte le sue potenze. Si potrebbe obiettare che il significato di virtù nel De vulgari eloquentia, equivalente al magnalium della virtus dell´anima razionale nella ricerca dell´onesto, non coincide con quello della Vita Nuova, più vicino, forse, al significato del Convivio, quando Dante parla della virtù come influenza dei cieli, come "vertù celeste", ossia, come capacità "di inducere perfezione ne le disposte cose" (II, xiii, 5) in chi è disposto a ricevere il suo influsso. Tuttavia questo significato del Convivio non contraddice quello del De vulgari eloquentia, bensì lo completa poiché 218 Rosario SCRIMIERI Scienza dell´anima e poetica nella Vita Nuova indurre a seguire i consigli della ragione, come opera la nobilissima virtù dell'immagine di Beatrice, non è altro che tendere a attualizzare in chi è predisposto a riceverne l'influsso, come Dante, le virtù morali e intellettuali necessarie alla ricerca della perfezione dell´uomo. Salus, venus e virtus confluiscono dunque nel contesto citato (II, 9) da cui si può dedurre che l´immagine di Beatrice è simbolicamente legata fin dall'inizio del "libello" a un´intuizione della totalità dell´anima, e dal punto di vista formale alla ricerca di una poetica capace di quella rappresentazione. 2. C'è un' altra questione che riguarda quest' argomento: si tratta delle relazioni fra scienza dell' anima e poetica, inerenti al significato del termine utile nei due contesti in cui appare nella Vita Nuova5. Nel primo contesto (II, 9) appena citato, ho interpretato “utile” nel senso del De vulgari eloquentia: ossia come il fine perseguito dalla vis vegetativa. Ciò permette l´inclusione nel libello della materia della salus oltre a quelle della venus e della virtus. In questo caso la lettura del termine utile è ristretta, all´ambito della conservazione della salute, della vita del corpo. La poetica della totalità che l´autore ha in mente fin dall´inizio implicherebbe dunque anche una poesia che ha come oggetto il tema della salute fisica, il che non è scontato considerando il concetto d´amore nei trattati medici e nella pratica dei poeti provenzali e italiani.

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