Tanto Per Far Sera

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Tanto Per Far Sera Lino Favaro TANTO PER FAR SERA STORIE e RACCONTI Tempo fa (tanto tempo fa purtroppo) quando era ancora in vita il mio inseparabile amico di infanzia "Gioanin" sono passato a casa sua per salutarlo e l'ho trovato nel cortile intento a "impagliare" una sedia, cioè a costruire il sedile come si usava una volta usando la “esca”, una lunga e robusta erba tipica delle paludi che si trovava qua e là anche nei fossati di campagna. Chi sapeva fare quel lavoro andava a raccogliere quell'erba e la metteva ad essiccare al sole per un lungo tempo finché era pronta all'uso. Nelle case di campagna si vedeva di frequente dei grossi mazzi di quell'erba appesi ad essiccare all'aria e sole attorno ai tipici barchi che servivano per ricoverare gli attrezzi. Ma tornando a quella volta quando sono arrivato vicino al mio amico, dopo il particolare saluto che ci scambiavamo, gli ho chiesto se per caso avesse intenzione di aprire una nuova attività al che egli rispose: mah, è solo per tirar sera, per me è un passatempo. In effetti egli ne aveva tanti di quei passatempi perché aveva una manualità incredibile per fare tante cose. Ricordo quanti oggetti utili faceva con il legno. Ricordo le scale a treppiede da usare in giardino oppure dei rastrelli anch'essi da giardino eppure dei seggiolini per bambini o ancora reti da pesca. Io non ho la manualità del mio caro amico ma ho anch'io dei passatempi tanto per far sera così ogni tanto mi metto a scrivere racconti, storielle, vecchie fiabe e i risultati di tante ricerche che amo fare sul passato della mia famiglia Lino Favaro Indice 1° AGOSTO 1925 3 A ORFEO 9 LA MIA ATLETICA 12 IL RITRATTO DEL NONNO 32 LE FIABE DI UNA VOLTA 38 LA VOLPE E L’OO 38 IO, PIRATA DELLA STRADA 40 1° AGOSTO 1925 Quel giorno, quel 1° Agosto del 1925 capitò di sabato. La giornata si era subito presentata come una tipica giornata di quel periodo della stagione, calda e afosa, senza traccia di un filo di brezza. Le cicale, nascoste tra le foglie degli alberi, non smettevano un momento di diffondere la loro cantilena. Al mattino i passeri avevano cominciato presto il loro caratteristico cinguettio che prelude a una giornata particolarmente calda. Nella casa della patriarcale famiglia Favaro del ramo Scarpazza, situata alla fine della via Bianchi, in direzione Zerman, la vita procedeva normalmente. La nonna Luigia, soprannominata “Tempesta” per la sua esuberanza, aveva svolto con la solita solerzia i compiti di moglie del capofamiglia che lei interpretava come fosse un generale di una armata composta dagli oltre quaranta componenti la famiglia. Aveva provveduto a distribuire la merenda e i vari compiti a tutti i presenti. Poi la truppa si era dispersa: i più grandi verso le varie occupazioni, il gruppo di bambini alla ricerca di passatempi. Questi ultimi passarono a far visita all’imponente albero da frutto posto ai margini del cortile, un pero della specie detta “di San Pietro” che garantiva frutti dalla fine di Giugno fino a oltre metà Agosto. Esso era considerato una vera manna per i numerosi bambini, che dopo quella sosta andarono a rinfrescarsi nel canaletto che scorre proprio dietro casa. Quel corso d’acqua era ed è tuttora chiamato dalla gente del posto Pianton, ma in realtà il nome corretto è Zermanson derivato dal fatto che il percorso dell’acqua lambisce il territorio di Zerman, anzi ne delimita i confini. I bambini andavano ad immergere i piedi nel corso d’acqua per rinfrescarsi ed intanto cacciavano rane ed avevano modo di distrarsi osservando la natura: il volo delle numerose e sgargianti libellule, le picchiate delle rondini a caccia di insetti, l’improvviso apparire del veloce Martin pescatore che passava come un siluro a bassa quota, le scorribande delle varie bisce che procedevano zigzaganti sul pelo d’acqua. Tutto questo teneva occupati i bambini fino alla nuova sosta attorno al pero, poco prima del pranzo. Le mamme dei bambini, ma soprattutto la nonna che sovrintendeva il tutto, non avevano motivo di preoccuparsi se i piccoli andavano con i piedi in acqua perché il livello di questa era sempre modesto, salvo i periodi delle piogge: ma non era questo il momento, ora c’era solo un po’ d’acqua corrente proveniente dalle lontane risorgive. Nel frattempo la nonna Luigia aveva ultimato le incombenze del primo mattino e incominciava a pensare al pranzo per mezzogiorno, ma anche per il giorno successivo visto che si trattava di una domenica. Fece qualche ipotesi, valutò le risorse disponibili e arrivò alla conclusione che, essendo finita la scorta di pane e anche quella della “farina de fior”, 3 sarebbe stato opportuno andare al molino con un sacco di “formento” da macinare. Non si poteva chiedere ai componenti della famiglia di tirare avanti con la solita polenta, anche nei giorni di festa, e magari si poteva pensare di fare anche un dolce, una bella “fugassa” per quei poveri “tosati” che avevano bisogno di crescere. E così la nonna si presentò dal nonno Lorenzo per formulare la sua richiesta motivandola con quanto detto in precedenza. Forse il nonno aveva qualcos’altro da fare, quella mattina, ma sapeva bene che se non avesse esaudito quanto proposto dalla “Tempesta”, questa avrebbe continuato a ripetere la sua richiesta a intervalli ben calcolati in modo da fiaccare la resistenza del marito. Inoltre il nonno non era insensibile quando c’erano di mezzo i bambini, i suoi cari nipotini. Cosicché lascio subito il lavoro che stava compiendo e si preparò per procurare quanto mancava in casa. Andò nel granaio e portò giù un sacco di frumento che caricò nel calesse, prese la sua cavallina, le sistemò per bene i finimenti di cuoio e la approntò per il traino. Poi calzò il cappello e gli zoccoli buoni e si apprestò a partire non prima di aver cercato il nipotino Orfeo che usualmente si portava appresso nel calessino ogni volta che affrontava quei viaggi. A quel tempo Orfeo aveva quattro anni e mezzo e in quel momento si trovava con gli altri bambini nel bel mezzo del canaletto, intento ai giochi descritti in precedenza. Per accontentare il marito la nonna era andata a recuperarlo ma lo trovò tutto bagnato e quindi bisognoso di essere cambiato di vestitino. A quel punto il nonno decise di partire da solo per non rischiare di far tardi per il pranzo di mezzogiorno. Eh già, a mezzogiorno in punto, un capofamiglia che si rispetti deve sedersi a tavola per dare il via al pranzo di tutta la famiglia, non può mancare, ne andrebbe di mezzo il suo prestigio. La cavallina partì decisa verso quel tragitto che l’avrebbe portata al molino di Sanbughè, un percorso che aveva fatto tante volte, quando c’era da macinare un po’ di grano per la famiglia. Il tragitto aveva inizio prendendo la via Bianchi in direzione di Zerman, poi si attraversava il ponte del canale e si sbucava in via Croce. Qui si procedeva a sinistra in direzione Sanbughè percorrendo tutta la tortuosa via che attraversa la campagna fino all’imbocco sul Terraglio, la grande strada statale napoleonica che congiunge Treviso a Mestre. Durante quel percorso il nonno non era insensibile al richiamo dei ricordi che lo portavano ai tempi passati, ai tempi dei suoi antenati. Nella via Croce avevano vissuto suo padre Pietro, suo nonno Giobatta e forse anche il bisnonno Giampietro. Ad un certo punto del percorso sarebbe passato proprio dietro la grande casa che fu tra le proprietà di Domenico Calvi, padre della nonna Maria Anna. Immerso in questi pensieri Lorenzo si trovò ad attraversare il Terraglio e a dirigersi senza indugi al molino. Qui, durante le operazioni di macina, scambiò alcune parole con il mugnaio, ma non si soffermò più di tanto nei 4 convenevoli. Forse si saranno chiesti se le rispettive mogli si erano ricordate di mettere da parte un fiasco di vino bianco per offrire il giorno dopo, di primo mattino, al marito, il bicchiere di vino bianco come è rigorosa consuetudine per il due di Agosto. Eh già, dicono che questo rito preservi l’uomo dal mal di schiena e porti bene in generale. Per questo, In tutte le famiglie è usanza conservare un fiasco di vino bianco per questa evenienza. Completata la macina e i brevi convenevoli Lorenzo ripartì con sollecitudine per il viaggio di ritorno. Non voleva trovarsi costretto a dover chiedere alla sua cara cavallina di andare ad una andatura troppo sostenuta, ma aveva la necessità di essere a casa in orario per il pranzo e soprattutto doveva trovarsi, a sua insaputa, in un determinato istante all’incrocio sul Terraglio. Nel momento della sua partenza dal molino una moto carrozzella partiva da Treviso in direzione di Mestre, transitando per il Terraglio. Era guidata da un giovane ventitreenne di Verona, titolare di una rimessa di autoservizi, che trasportava un professore da Mistretta, provincia di Messina e un maestro elementare abitante a Mestre. Il conducente aveva un po’ di fretta perché i tre dovevano essere a casa del maestro per il pranzo, e non è conveniente arrivare a tavola proprio all’ultimo momento. Inoltre anche per il giovane conducente, a sua insaputa, c’era un appuntamento per un preciso istante, all’incrocio di Sambughè. Già, non si poteva sbagliare nemmeno di un secondo perché in un secondo la moto carrozzella avrebbe percorso una ventina di metri in più o in meno e nello stesso lasso di tempo la cavallina che trainava il calesse del nonno avrebbe percorso cinque o sei metri in più o in meno e questo voleva dire che tutto quello che da sempre era scritto nel grande libro del destino non si sarebbe verificato.
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