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Itabolario.Pdf Le sfere 55 Itabolario L’Italia unita in 150 parole a cura di Massimo Arcangeli Carocci editore 1a edizione, febbraio 2011 © copyright 2011 by Carocci editore S.p.A., Roma Realizzazione editoriale: Progedit Srl, Bari Finito di stampare nel febbraio 2011 dalle Arti Grafiche Editoriali Srl, Urbino ISBN 978-88-430-5705-4 Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Siamo su Internet: http://www.carocci.it Indice Sigle 9 Premessa 11 Itabolario 15 Bibliografia 301 Indice dei nomi 335 Indice delle forme lessicali 351 7 Sigle Si elencano di seguito, in ordine alfabetico, i nomi degli estensori delle voci dell’Itabolario, con le sigle con cui compaiono in calce a ciascuna di esse: Mario Alinei (MAL), Marcello Aprile (MAP), Massimo Arcangeli (MAR), Ales- sandro Aresti (AA), Francesco Bianco (FB), Alberto Casadei (AC), Maria Ca- tricalà (MCA), Vanni Codeluppi (VAC), Vittorio Coletti (VIC), Michele A. Cortelazzo (MCO), Lorenzo Coveri (LC), Paolo D’Achille (PD), Debora de Fa- zio (DDF), Maria Vittoria Dell’Anna (MVD), Valeria Della Valle (VDV), Tul- lio De Mauro (TDM), Elisa De Roberto (EDR), Alessandro Di Candia (ADC), Umberto Fiori (UF), Domenico Fiormonte (DF), Pietro Frassica (PF), Rita Fresu (RF), Giovanna Frosini (GF), Guido Gili (GG), Claudio Giovanardi (CG), Yorick Gomez Gane (YGG), Aldo Grasso (AG), Riccardo Gualdo (RG), Filippo La Porta (FLP), Erasmo Leso (EL), Rita Librandi (RL), Francesco Lio- ce (FLI), Francesco Lucioli (FLU), Claudio Marazzini (CM), Giacomo Marra- mao (GM), Yahis Martari (YM), Alessandro Masi (AM), Giovanna Massariello Merzagora (GMM), Francesco Montuori (FM), Mario Morcellini (MM), Silvia Morgana (SM), Rocco Luigi Nichil (RLN), Edoardo Novelli (EN), Silverio Novelli (SN), Marco Paciucci (MP), Elena Pistolesi (EP), Fabio Poroli (FP), Marcello Ravesi (MR), Fabio Rossi (FR), Leonardo Maria Savoia (LMS), Gia- como Scheich (GSC), Alberto Sebastiani (AS), Giuseppe Sergio (GSE), Loren- zo Tomasin (LT), Andrea Tobia Zevi (ATZ). 9 Premessa Centocinquanta brevi schede, una per ciascuno degli anni compresi fra il 1861 e il 2010, intitolate a una parola (o una locuzione) rappresentativa del- l’anno di riferimento. Centocinquanta voci-chiave attraverso le quali, profit- tando dell’occasione del centocinquantenario dalla proclamazione del Regno d’Italia (17 marzo 1861), ho inteso (far) ripercorrere o ricostruire simbolica- mente – senza pretese quantitative, dunque, e anche un po’ arbitrariamente – tappe e momenti centrali della storia linguistica, culturale e sociale della na- zione; consapevole di avere in teoria a disposizione, di volta in volta, un am- plissimo ventaglio di possibilità e, in alcuni casi, mosso dall’intenzione di sfruttare quella determinata parola per una semplice occasione di racconto. Parole che fotografano il paese per temi, aspetti, oggetti portanti della sua storia unitaria. O raccontano di fenomeni che possano vantare, per l’anno prescelto, un più significativo rilievo rispetto ad altri; di eventi, vicende, cam- biamenti di grande importanza per la collettività; di nuove realtà e ideologie, nuove mode e tendenze, nuovi costumi e comportamenti, nuovi movimenti artistici e letterari; di invenzioni capitali e decisive scoperte; di un passato vi- goroso o ingombrante o di un radioso futuro. Non potevano mancare i trat- ti “originali”, inconfondibili o stereotipici, dell’italianità, molti dei quali re- pertoriati, voce per voce, in un gustoso, recente catalogo (Calcagno, 2005b). Tratti distintivi del carattere piuttosto che dell’identità dei nostri connaziona- li, perché le due nozioni – nella loro duplice natura: concettuale e discorsiva – non andrebbero sovrapposte: il carattere di una nazione è il complesso del- le caratteristiche «morali e mentali» (Patriarca, 2010, p. IX), tendenzialmente “obiettive”, che un popolo (eventualmente quello composto dai suoi stessi cittadini) riconosce o definisce come proprie di quella nazione; l’identità di una nazione, invece, è orientata piuttosto a definire una «dimensione più soggettiva di percezione e di auto-immagini che possono implicare un senso di missione e di proiezione nel mondo» (ibid.). Se l’individuazione delle 150 unità lessicali è stata in qualche caso ardua – anche solo per la minore significatività, rispetto ad altre circostanze, degli aspi- ranti al titolo di “parola dell’anno” – in altre occasioni le rinunce, per il peso dei concorrenti, sono state costose o dolorose. Spesso, a rimetterci, catastrofi ed eventi bellici, per la relativa contenutezza temporale dell’impatto emotivo pro- 11 ITABOLARIO dotto o lo svolgimento degli eventi al di fuori del contesto geografico naziona- le (al confronto dell’onda lunga di fenomeni costitutivi o particolarmente rap- presentativi del tipo italiano o di rivoluzioni epocali nella storia del costume occidentale): ecco perché perfino immani tragedie come il terremoto di Messina (1908), la bomba atomica sganciata su Hiroshima e Nagasaki (1945) e l’alluvio- ne di Firenze (1966) hanno ceduto il posto a burino, qualunquismo e minigon- na. Significativa eccezione, giustificata dalla moltiplicazione esponenziale degli effetti generati sull’immaginario collettivo da una tentacolare videocrazia, è la tragedia dell’11 settembre 2001, che ci ha lasciato in eredità l’indelebile ricordo, filmico e ipnotico, dell’impatto contro le Torri Gemelle di due aerei dirottati da un gruppo di fondamentalisti islamici; il termine selezionato è kamikaze. I miei più sentiti ringraziamenti agli amici e ai colleghi, agli affiliati e agli allievi che hanno firmato più dei due terzi, in qualche caso insieme a me, delle voci di questo Itabolario (interamente mia, invece, la responsabilità di averle scelte). Un primo, elementare Dizionario dell’Italiano Unitario, di im- pianto storico-tematico, passibile di futuri – più fitti, puntuali e articolati – sviluppi. Magari un piccolo passo verso un modello più generale – oltre i li- miti temporali “imposti” dai festeggiamenti per i 150 anni di storia unitaria della penisola – per allentare un po’ la morsa dei tormentoni su una nazione irrimediabilmente o costituzionalmente divisa, mai stata davvero tale o (nella migliore delle ipotesi) sempre meno degna di questo nome; l’Italia impieto- samente (e sia pure fondatamente) ritratta da storici, intellettuali, giornalisti illustri – Aurelio Lepre o Aldo Schiavone, Gian Enrico Rusconi o Emilio Gentile – o dai tanti anonimi disfattisti e catastrofisti, profeti (ed esegeti) di sventura che, attingendo alle dotte e documentate analisi altrui, rendono un prezioso servizio all’ennesimo, inveterato luogo comune italico; un micidiale cocktail di inguaribile autolesionismo e radicato senso d’inferiorità: Il complesso d’inferiorità è tipico di molti italiani, e non tanto degl’italiani del popo- lo quanto di quelli {...} delle cosiddette classi dirigenti. Esso consiste nello stare, desi- derare con tutta l’anima di stare e di restare in basso, e godere della propria indivi- duale e nazionale bassezza; nello sporcare con sorriso scettico e ironico ogni volontà individuale e nazionale che tenda ad alcunché di nobile, di elevato; nel valutare con animo vile le proprie e le patrie capacità, affinché, se appena si osi di compiere al- cunché di forte e di ardito, subito si possa in sé e attorno a sé suscitare la pavida dif- fidenza e predire l’esito catastrofico. Consiste nel gioire di ogni schiaffo e frustata che si busca, per toglierne argomento e confermare la propria inettitudine e in essa rin- quattarsi. Che se alcuno si arrischia a proporre un gesto, un esempio magnanimo, non hai appena aperto bocca, che ti accusano di megalomania, o di retorica. Il complesso d’inferiorità consiste inoltre nel bearsi a tutto pasto delle qualità e dei successi dello straniero, per potere poi additare con sadica voluttà i difetti e gli insuccessi propri e nazionali, ma più nazionali che propri. Consiste, infine, in una passione dominante che è la passione dell’oro, la quale però, si badi, non si tramuta tanto in volontà di possedere l’oro in proprio, quanto in ammirazione di colui che lo possiede, e cioè del ricco. Onde l’ideale è essere il servitore o, al più, l’alleato del ric- 12 PREMESSA co, con la speranza di avere da lui di tanto in tanto, in premio dei servigi resigli, una ricca mercede, una lauta mancia. Sono le pesantissime parole di un articolo del 15 gennaio 1944 (Del complesso d’inferiorità) per il settimanale fiorentino “Italia e civiltà”, che aveva esordito l’8 gennaio e chiuso, con il ventitreesimo numero, appena sei mesi dopo (17 giugno). L’impietoso giudizio è del letterato, giornalista, storico dell’arte Barna Occhini (Occhini, 1971, pp. 25-6); gli si potrebbe appaiare questo, altrettanto dirompente e velenoso, formulato da Giuseppe Prezzolini a inizio secolo: C’è un’Italia dei fatti e una delle parole; l’una d’azione, l’altra di dormiveglia e di chiac- chiera; l’una dell’officina, l’altra del salotto; una che crea, l’altra che assorbe; una che cammina, l’altra che ingombra. {...} Fra queste due Italie – una che ripete nella sua son- nolente vita gli intrighi quotidiani e le formulette sterili della vecchia generazione, l’altra che agisce, cresce, moltiplica la patria, ma è ignara di sé, senza fini grandi, meschina in politica, meschina in arte, meschina in pensiero – fra le due Italie: una dell’abitudine re- torica, curialesca, affarista, l’altra dell’incoscienza feconda di energie ma senza direzione, noi dobbiamo essere e la forza che distrugge la prima e la luce che rischiari la seconda, dobbiamo essere una fiaccola
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