My Italian Secret Gli Eroi Dimenticati Di Oren Jacoby Film Documentario Con

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My Italian Secret Gli Eroi Dimenticati Di Oren Jacoby Film Documentario Con Festival Internazionale del Film di Roma Evento speciale My Italian Secret Gli eroi dimenticati di Oren Jacoby Film documentario con Andrea Bartali, Riccardo Pacifici, Pietro Borromeo, Gaia Servadio, Charlotte Hauptman, Piero Terracina, Ursula Korn Selig, Ugo Sciamanno, Mercedes Virgili, Grazia Viterbi, Giorgio Goldenberg, Wanda Lattes, Suor Benedetta Voce Narrante di Isabella Rossellini Stati Uniti 2014 92 min. proiezione stampa - giovedì 16 ottobre, MAXXI, h. 13.00 conferenza stampa – giovedì 16 ottobre, Sala Petrassi, h. 15:15 proiezione ufficiale - giovedì 16 ottobre, Sala Petrassi, h. 20.30 replica - martedì 21 ottobre, Cinema Barberini, h.22.30 Ufficio Stampa VIC COMMUNICATION Lucrezia Viti – [email protected] Livia Delle Fratte – [email protected] Stefano Orsini – [email protected] CAST & CREDITS Regista Oren Jacoby Sceneggiatore Oren Jacoby Direttore della fotografia Bob Richman Produttore Oren Jacoby Produttore Esecutivo Joseph Perella Montaggio Deborah Peretz Voci Isabella Rossellini (Voce Narrante) Robert Loggia (Gino Bartali) Musica Joel Goodman Durata 92 min. Paese Stati Uniti Anno 2014 Lingua Inglese / Italiano Sinossi Rischieresti la tua vita per salvare uno sconosciuto? My Italian Secret racconta la storia del ciclista Gino Bartali, del medico Giovanni Borromeo e di altri italiani che lavorarono segretamente per salvare ebrei e fuggiaschi dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Bartali, il vincitore del Tour de France del 1938, fece centinaia di viaggi trasportando documenti falsi nella sua bicicletta. Il dottor Borromeo inventò una malattia inesistente per spaventare le SS e tenerle lontane dall’ospedale sull’Isola Tiberina in cui nascondeva gli ebrei. My Italian Secret segue il ritorno in Italia dei sopravvissuti che raccontano le loro storie e ringraziano le persone che offrirono la loro vita per salvare degli sconosciuti. BIOGRAFIA – Oren Jacoby Oren Jacoby è uno sceneggiatore, regista e un produttore. I suoi film sono stati premiati dall’America Film Institute, dal Sundance Institut, dal Tribeca Institute e dal DuPont/ColumbiaAwards. Il suo documentario, Sister Rose’s Passion, è stato nominato all’Oscar® nel 2005. Nel 2012 ha portato in scena l’adattamento teatrale di Invisible Man, il romanzo di Ralph Ellison. Attualmente sta dirigendo il documentario Shadowman che racconta la storia dello street artist più famoso di New York. Filmografia SHADOWMAN (in produzione) MY ITALIAN SECRET 2014 MAMA MAFIA 2014 RISK TAKERS Bloomberg TV Series 2012 LAFAYETTE: THE LOST HERO PBS/ARTE 2010 CONSTANTINE’S SWORD with James Carroll 2007 SISTER ROSE’S PASSION Oscar® nomination, winner Tribeca 2005 THE SHAKESPEARE SESSIONS 2001 THE BEATLES REVOLUTION ABC / VH1 TV special 2000 SWINGIN’ WITH DUKE PBS / NHK 1999 THE POWER OF AN IDEA short Human Rights Watch 1998 MASTER THIEF: ART OF THE HEIST ABC TV special 1998 THE IRISH IN AMERICA: SUCCESS DISNEY / PBS 1997 SAM SHEPARD: STALKING HIMSELF BBC / PBS 1997 GHOSTS OF THE BAYOU National Geographic / TBS 1994 BENNY GOODMAN: ADVENTURES IN THE KINGDOM OF SWING PBS 1993 THE SECOND RUSSIAN REVOLUTION BBC Series 1991 THE RETURN TICKET short 1988 Note Di Regia Vivo a New York e da 20 anni vado a tagliarmi i capelli sempre dallo stesso barbiere, Salvatore Macri. Salvatore non si occupa solo dei miei capelli, ma anche della mia mente. Insieme parliamo molto, delle nostre vite e dei film che ci piacciono. Un giorno, mentre mi stavo alzando dalla sedia mi ha presentato l’uomo che stava per sedersi al posto mio: si trattava di Joseph Perella, un finanziatore. Salvatore doveva aver detto qualcosa sul fatto che ero stato nominato all’Oscar. “Che coincidenza!” disse Joseph, “mi serve un regista”. Nessuno dei due aveva idea delle coincidenze che avremmo poi ritrovato man mano che ci conoscevamo. Il film che Joe Perella sognava si sarebbe dovuto basare su un articolo di Dorothy Rabinowitz pubblicato sul Wall Street Journal nel 1993. L’articolo, intitolato An Army of Schindlers from Italy, rivelava il fatto poco noto secondo il quale mentre l’80% degli ebrei europei era stato ucciso nel genocidio nazista durante la Seconda Guerra Mondiale, l’80% degli ebrei italiani era sopravvissuto grazie agli eroici e ingegnosi sotterfugi di cittadini comuni. Il nostro incontro dal barbiere segnò l’inizio di un’odissea che, molti anni dopo, mi ha portato qui al Festival Internazionale del Film di Roma. All’epoca sapevo già qualcosa su come fare un film in Italia e conoscevo la terribile storia degli 8000 ebrei italiani che morirono nell’Olocausto. La parte centrale di uno dei miei film, Constantine Sword, era stata girata a Roma e raccontava anche la storia di un uomo, Piero Terracina, che sopravvisse ad Auschwitz mentre tutta la sua famiglia era stata sterminata. Il mio primo contatto con questa storia avvenne molti anni prima che girassi il film: avevo 19 anni. Quell’anno passai l’estate a Roma per frequentare un corso di regia. Come giovani aspiranti registi, ci fu assegnato il compito di “osservare” alcuni grandi registi italiani mentre erano a lavoro sul set. Tra questi vidi in azione Federico Fellini sul set di Casanova, Lina Wertmuller sul set di Pasqualino Settebellezze e Pier Paolo Pasolini durante il doppiaggio di Salò. Inoltre, molti padri fondatori del neorealismo, tra cui Alberto Lattuada e Giuseppe De Santis, vennero a mostrarci i loro film entrando così in contatto con noi giovani registi. Naturalmente, quell’estate m’innamorai dell’Italia, del cinema italiano e soprattutto di Roma. Ma ebbi un’altra esperienza fondamentale. Un giorno, il professore che teneva il corso, un regista polacco che si chiamava Marian Marzynski, mi portò a pranzo in un bar del Ghetto di Roma, a pochi metri da un monumento che commemorava il rastrellamento degli ebrei romani nel 1943. Marian mi raccontò di come lui sopravvisse nel ghetto di Varsavia da bambino, di come si nascose, protetto all’inizio dal silenzio della gente del popolo e poi dai preti che lo nascosero in un monastero. Tutti rischiarono la loro vita per aiutarlo a scappare. Non avrei mai creduto nel 1975 che, quasi 40 anni dopo, mi sarebbe capitata l’occasione di raccontare la storia di tutti quei bambini italiani che furono nascosti e salvati, la storia di Gino Bartali e di altri eroi che rischiarono la loro vita per mettere in salvo gli ebrei italiani. E non ho mai neanche immaginato che sarei tornato in Italia e avrei avuto l’onore di proiettare il mio film qui a Roma, al festival. Oren Jacoby PERSONAGGI Andrea Bartali è il figlio del campione di ciclismo, mai celebrato prima d'ora per il suo eroismo, Gino Bartali. Colui che ha salvato centinaia, se non migliaia di persone in fuga dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Andrea è il fondatore e il presidente della Fondazione Bartali. Le sue ricerche hanno portato alla luce le attività del padre in tempo di guerra. Attraverso i suoi sforzi è riuscito a dimostrare che il padre, Gino, nascondeva all'interno della sua bicicletta importanti documenti in supporto di un network segreto organizzato dal Cardinale Elia Della Costa, Arcivescovo di Firenze. Sono stati loro ad aiutare e far scappare ebrei, partigiani e altri rifugiati evitando loro la deportazione e la morte nei campi di concentramento tedeschi. Riccardo Pacifici, presidente della Comunità Ebraica di Roma, racconta la storia di suo nonno, il Rabbino Riccardo Pacifici di Genova, che ha viaggiato fino alla Calabria per soccorrere prigionieri ebrei all'interno del campo di internamento di Ferramonti di Tarsia. Durante la guerra ha aiutato l'organizzazione DELASEM, in supporto agli ebrei italiani e agli altri rifugiati ebrei in fuga dalla Germania e da altri paesi europei, a fuggire verso Genova, verso la salvezza. Il Rabbino Pacifici e la moglie tentarono la fuga, ma furono rintracciati, arrestati e uccisi dai nazisti. Riccardo Pacifici racconta anche la storia di suo padre, Emanuele, salvato e tenuto al sicuro dalle suore presso il convento di Settignano, vicino Firenze. Pietro Borromeo, è il figlio del Dottor Giovanni Borromeo, un chirurgo romano che nascose centinaia di ebrei all’interno dell’Ospedale Fatebenefratelli sull’Isola Tiberina. Quando i tedeschi invasero la città e iniziarono la deportazione degli ebrei, il Dottor Borromeo inventò una malattia mortale e altamente contagiosa che chiamò “il morbo di K.” per tenere lontani i nazisti dal suo reparto e proteggere coloro che nascondeva. Pietro nel film racconta la storia straordinaria di suo padre che salvò centinaia di persone nascondendole a pochi passi dal Ghetto. Gaia Servadio è una storica e una scrittrice. Suo padre era un illustre farmacista a Padova prima della Guerra. In seguito alle leggi razziali imposte da Mussolini agli ebrei italiani nel 1938, il padre di Gaia perse il lavoro e, nonostante le leggi vietassero agli ebrei di avere dei domestici, la tata di Gaia decise di ignorare le leggi e di rimanere con la famiglia Servadio per lealtà. Quando i nazisti invasero il nord Italia nel ‘43, il fidanzato carabiniere della tata avvertì la famiglia di Gaia di scappare per evitare di essere arrestati e deportati ad Auschwitz. La famiglia Servadio ottenne dei documenti falsi e si diresse nelle Marche, dove trovò rifugio nel palazzo della Marchesa Gallo. Nel film, Gaia torna in un paesino vicino ad Ancona per incontrare il figlio della marchesa e ringraziarlo per l’atto eroico che aveva compiuto sua madre per proteggerli. Nel 1944 quando il sindaco fascista del paese riconobbe il padre di Gaia e minacciò di denunciare la Marchesa ai nazisti, la donna tentò di dissuaderlo ma S. Servadio dovette lasciare la sua famiglia e trovare un nascondiglio. Gaia, sua madre e sua sorella rimasero a casa della Marchesa Gallo, poi dovettero scappare in bici per sfuggire alle retate dei nazisti e si riunirono con il padre solo alla fine della Guerra. Charlotte Hauptman e i suoi genitori sopravvissero alla Guerra, prima in Calabria, poi vicino Venezia e alla fine nelle Marche, dove un intero paese (soprattutto la famiglia Virgili) li nascose durante il periodo più pericoloso della Guerra.
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    PIERO TERRACINA (Roma, 12 novembre 1928 – 8 dicembre 2019) Piero Terracina, nato a Roma, il 12 novembre 1928, era ultimo dei quattro figli di Giovanni Terracina e Lidia Ascoli. Frequentò fino alla quarta elementare la scuola pubblica “F. Crispi” di piazza Alfredo Oriani, nel quartiere di Monteverde vecchio e dopo la promulgazione delle lezzi razziali, concluse le elementari presso la scuola ebraica “Vittorio Polacco”; fu poi iscritto alla scuola media di via Celimontana, dove era stato istituito un corso di ragioneria. Dopo essere scampato alla deportazione degli ebrei di Roma, il 16 ottobre 1943, Piero rimase nascosto con la famiglia, grazie all’aiuto del portiere dello stabile in cui abitavano. La sera del 7 aprile 1944, mentre erano riuniti per celebrare Pesach, i Terracina furono arrestati, in seguito a delazione. Piero, la madre Lidia, il padre Giovanni, i fratelli Leo, Cesare e Anna, lo zio Amedeo e il nonno Leone David furono dapprima detenuti nel carcere di Regina Coeli, poi nel campo di Fossoli. Il 16 maggio 1944, furono deportati ad Auschwitz-Birkenau, dove giunsero il 23 maggio. Unico sopravvissuto della sua famiglia, Piero fu liberato il 27 gennaio 1945 dalle truppe sovietiche. In drammatiche condizioni di salute, fu trasferito in vari ospedali dell’Europa dell’Est e poi nel Sanatorio Pravda di Soči (URSS). Riuscì a tornare in Italia solamente alla fine del dicembre 1945. Tornato a Roma, Piero si dedicò subito all’attività lavorativa, che iniziò nel gennaio 1946 come apprendista presso la ditta “Bondì”, dove rimase fino al 1965, divenendo magazziniere e poi agente di vendita. Fu poi dirigente della ditta “Fratelli Segré” fino al 1985 e infine, consulente, con funzione di delegato del titolare, presso la ditta “Terracina Rappresentanze”.
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