La Battaglia Della Quassa Secondo Il Sacerdote Felice Ferrario (Xix° Secolo)

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La Battaglia Della Quassa Secondo Il Sacerdote Felice Ferrario (Xix° Secolo) LA BATTAGLIA DELLA QUASSA SECONDO IL SACERDOTE FELICE FERRARIO (XIX° SECOLO) La plebe aveva nel XII° secolo scacciata dalle principali città d'Italia (Napoli, Roma, Firenze, Milano) la Nobiltà; ed auspicando ad un governo popolare, si direbbe oggi, amava signoreggiare insolentemente . In Milano i Torriani, levata l'autorità del pubblico Consiglio, avevano ridotto nelle loro mani il potere della pace e della guerra. Morto l'Arcivescovo Leone da Perego, il Pontefice Urbano IV° aveva provveduto alla vacanza della sede nell'anno stesso, 1262, con la nomina di Ottone Visconti, arcidiacono del Capitolo metropolitano. Discendeva questi dalla illustre famiglia omonima di Massino, ed era nipote del Card. Ottaviano Ubaldini di Roma. Martino della Torre, d'accordo col Marchese Uberto Pallavicino, vietò ad Ottone il possesso dei beni della mensa arcivescovile milanese e nella primavera del 1263 andò a snidare Ottone da Arona ove era entrato alla testa dei Nobili: dopo di che smantellò, oltre al castello, anche i fortilizi di Angera e di Brebbia. Defunto Martino, gli succede il fratello Filippo, morto il quale ebbe il potere Napo Della Torre che ne abusò più de' suoi antecessori, persistendo a negare i diritti di Ottone, cui nulla valse il frequente ricorrere all'autorità del Papa. Stanchi del lungo indugiare i Nobili, presero più apertamente le ostilità. Le popolazioni del Sepriese, affezionate al loro arcivescovo, offersero aiuto a questi. A Biella Ottone ed i Nobili scelgono a condottiero dell'impresa Gottifredo, Conte di Langosco, per splendore di famiglia e di ricchezze, primo signore di Pavia, desideroso di gloria e di imperio, e per di più acerrimo nemico del nome Torriano. Lusingato dalle grandissime offerte dei signori milanesi, che lo designavano a futuro Podestà di Milano, con poteri militari e grosso stipendio, Gottifredo accettò di essere capitano supremo. Richiamò quindi d'ogni parte i suoi vecchi soldati; dalla Lomellina si procurò le squadre con le corazze, assoldo balestrieri dalla riviera di Genova e sopra tutto fece d'avere buona cavalleria per resistere alle bande dei Tedeschi di Napo, mandati dal Re Rodolfo di Germania. Si portò senza indugio al Lago Maggiore (1276); ogni castello gli aprì le porte, essendo la famiglia Visconti conosciutissima in quelle parti come grande, ed avendosi in odio invece le crudeltà de' Torriani, i quali nella passata scorreria, non contenti del bottino e della morte degli avversari, avevano distrutto col fuoco e case e biade. Furono prese le fortezze di Arona e d'Angera, mentre l'Arcivescovo co' suoi entrava nella terra del Seprio, avviandosi al Lago Maggiore. Posto l'accampamento a Castel Seprio, si fecero scorrerie per incutere spavento nelle terre vicine. Napo, ciò udito, si prepara alla vendetta levando in massa tutta la Milizia milanese, chiamando a raccolta d'attorno al Carroccio la squadra della morte. Si fa precedere dal figlio Cassone con le bande dei Tedeschi; ad un miglio di distanza seguiva egli, accompagnando il Carroccio dopo aver affidato il governo della Città al fratello Francesco. La marcia lesta in quattro alloggiamenti reca il numeroso esercito al fiume Guassera od acqua nera che dalle vicine valli fra Angera e Ispra, con un letto per tutto sassoso e difficile, impossibile a guadarsi quando le piogge l'ingrossano, corre nel Lago Maggiore. Gottifredo però, intesa la mossa dei nemici, lasciato Castel Seprio, aveva già collocata la sua ordinanza sulla sponda verso Angera, della quale si era presidiata la rocca, e passando a cavallo in rivista le sue truppe disposte fra Quassa e Capronno, impaziente quasi, attendeva l'occasione d'attaccar zuffa, con l'animo d'assalire i nemici quando fossero entrati nel guado assai malagevole, chè impedito da gatteri e grosse pietre. Non tarda Cassone ad opporgli la cavalleria Tedesca, confortandola ed infiammandola al combattimento. I teutonici già desiderosi per se stessi di battersi, si stringono vieppiù compatti e muovono celeri contro l'esercito di Gottifredo. Nella prima fronte, invitato con premi dal Torriani, s'avanza baldanzoso Anzio Laser, capitano dei Tedeschi e riguardevole per armi e "per pennacchi". Il Conte Langosco, vedendo costui, cavalcando animosamente, passare il guado innanzi ad ognuno per aprire la lotta, con ardimento eguale, spronando il cavallo l'assalta piombandogli sopra con la lancia e lo trafigge. Un grido clamororissimo di vittoria e di incitamento scroscia nel campo dei Nobili e scorrendo in frotte i Langosciani si spingono fortemente contro i nemici. La battaglia diviene allora generale e si svolge quasi nel letto stesso del fiume scarso d'acque in quei dì. Terribilmente saettano i balestrieri genovesi nella compagine tedesca, la cavalleria milanese fa prodigi, ed i fanti penetrano tra le file dei cavalli germanici compiendo stragi. Sono già volti in rotta i militi teutonici, feriti per la maggior parte, quando Gottifredo, spinto dal suo valore, eccitato dalla vittoria che già conta d'aver in pugno, penetrato addentro le schiere nemiche trascinato dal suo focoso destriere, è circondato da nemici, rovesciato dal cavallo che affonda nel terreno molle e paludoso, preso, riconosciuto ed inviato a Napo che frattanto aveva espugnata la rocca d'Angera. Vedendo tanta conquista inaspettata, le milizie di Cassone, si stringono un'altra volta compatte, mentre i loro avversari si smarriscono d'animo. Sopraggiunge in questo momento la fanteria di Napo, la quale è tutta spinta contro gli Ottoniani. Questi, inferiori di animo e di forze, sono posti in disastrosa rotta, perseguitati nella ritirata dalla cavalleria che compie un massacro. La squadra dei gentiluomini milanesi tuttavia combatte risolutamente: Teobaldo Visconti, nipote dell'arcivescovo si difende eroicamente: ma tentando ritirarsi in luogo più propizio a sostenersi a lungo, ècircondato da Cassone e con trentadue giovani patrizi fatto prigioniero. Napo, nella rocca di Angera, rallegrandosi col figlio Cassone per la vittoria in una battaglia tanto sanguinosa e durata estremamente accanita appena un'ora, pianse di gioia. S'agitò subito dopo la causa dei prigionieri. Napo ed i Tedeschi vogliono che siano uccisi: Cassone soltanto li vuole risparmiati ritenendoli come ostaggio. Mentre giungono a Gallarate, avviati a Milano, l'odio, la vendetta e la crudeltà anche di Francesco prevalgono, e Langosco, Teobaldo coi trentadue nobili prigionieri, ebbero appoggiate le loro illustri cervici al timone di un carro: "quivi ritornando spesso il colpo furono decapitati". Per Novara, l'arcivescovo Ottone, vinto, ma non domo, si rifugiò a Vercelli, ove coi superstiti di questa battaglia di Quassa, si diede a preparare l'esercito che meno di un anno dopo, 1277, a Desio, nella celebre notte dal 20 al 21 Gennaio, trionfava gettando le basi della grande potenza dei Visconti di Milano. Sac. Felice Ferrario .
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