Museo d’ arte della Svizzera italiana Estratto del catalogo +41(0)91 815 7971 [email protected] www.masilugano.ch Sviluppi e momenti culminanti del Surrealismo in Svizzera dal 1929 al 1940 Julia Schallberger

“Figure demoniache provenienti da epoche lontane, seppellite all’inferno da millenni, iniziano ad agitarsi e fanno tremare […] la terra su cui abbiamo costruito le nostre case precarie, ma apparentemente così comode e sicure. […] Con il surrealismo prorompe nella consapevolezza europea un universo ultraterreno a lungo sopito”. Queste sono le parole con cui lo storico dell’arte Xaver von Moos, fratello del pittore Max von Moos, commentava la forza sconvolgente e liberatoria del surrealismo in occasione dell’esposizione Neue Kunst in der Schweiz tenutasi presso la Kunsthalle di Basilea nel 1938. L’associazione Allianz – Vereinigung moderner Schweizer Künstler , fondata un anno prima, aveva esposto opere di ventotto surrealisti e costruttivisti allo scopo di richiamare l’attenzione del pubblico sulle avanguardie svizzere, allora disprezzate. Il presente contributo, che si ripropone di raccontare gli anni vivaci del surrealismo in Svizzera tra il 1929 e il 1940, vuole dare una risposta a chi si chiede come potessero trovare terreno fertile un atteggiamento e una concezione dell’arte apertamente a favore del superamento dei valori borghesi e delle norme artistiche tramandate nel clima culturale conservatore della Svizzera degli anni Trenta, in cui venivano esaltati i valori della “stabilità”, della “tradizione” e del “patriottismo”. Quali principi spirituali e figurativi del surrealismo parigino riuscirono a gettare radici nella Svizzera tra le due guerre? Quanto la nascita del surrealismo in Svizzera si deve alla fertilità del terreno e quanto alle caratteristiche e agli interessi dei singoli artisti?

La Svizzera e l’Avanguardia internazionale Con il suo Manifeste du Surréalisme , nel 1924 lo scrittore francese André Breton getta le basi del surrealismo: il movimento di letterati, pensatori e artisti nasce a Parigi e feconda l’arte e la vita con pamphlet, declamazioni, riviste e mostre – estendendosi progressivamente anche oltre i confini francesi. Tuttavia la Svizzera si chiude al movimento internazionale d’avanguardia: fino al 1929 nei programmi dei musei e delle gallerie d’arte svizzere non si trova una singola mostra dedicata al surrealismo. D’altro canto la Svizzera è assente anche dalla carta geografica intitolata Il mondo ai tempi del surrealismo (Fig. 68), che Louis Aragon, André Breton e René Crevel pubblicano intorno al 1929. La Svizzera non desta l’interesse dei surrealisti parigini e anche allo scoppio della Seconda guerra mondiale raramente viene considerata dai surrealisti come terra d’esilio – se non per i cittadini svizzeri che vi fanno ritorno. Figure centrali del surrealismo svizzero come , , Kurt Seligmann, Gérard Vulliamy e Meret Oppenheim approdano alla corrente surrealista a Parigi: tra il 1929 e il 1937 entrano a far parte del circolo di Breton e celebrano notevoli successi. Sono soprattutto le opere dell’epoca parigina, come l’onirica scultura sospesa Boule suspendue (La sfera sospesa ) del 1930–315 (Fig. 69) di Alberto Giacometti o Déjeuner en fourrure (Colazione in pelliccia ) del 1936 (cfr. Fig. 42) di Meret Oppenheim, rese note a livello internazionale attraverso mostre e riviste come Le surréalisme au service de la révolution , Documents , Minotaure , Labyrinthe che trovano posto nella memoria collettiva come incunaboli di un “surrealismo svizzero”. Oltre a loro, a Parigi entrano in contatto con il surrealismo anche figure meno note, come il pittore di Sciaffusa Werner Schaad, che soggiornò nella capitale francese solo per breve tempo, o la scultrice zurighese Isabelle Farner (poi Isabelle Waldberg), che non fece mai parte direttamente del gruppo, ma fu strettamente legata ai suoi protagonisti. Se l’instabilità politica e la crisi economica mondiale del periodo tra le due guerre possono aver rappresentato un peso esistenziale per gli artisti, l’avvento del surrealismo promette loro la liberazione da qualsiasi struttura normativa, almeno sul piano spirituale e artistico. Non a caso Breton, nel suo Manifesto, scrive: “La sola parola libertà è tutto ciò che ancora mi esalta. […] tra le tante disgrazie di cui siamo eredi, bisogna riconoscere che ci è lasciata la massima libertà dello spirito”. Dove questa libertà si manifesti, lo chiarisce nella sua definizione di surrealismo: “Il surrealismo si fonda sull’idea di un grado di realtà superiore connesso a certe forme

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d’associazione finora trascurate, sull’onnipotenza del sogno, sul gioco disinteressato del pensiero. Tende a liquidare definitivamente tutti gli altri meccanismi psichici e a sostituirsi ad essi nella risoluzione dei principali problemi della vita”. Eppure, come potevano convivere un atteggiamento simile e la sua declinazione artistica con i principi della politica culturale svizzera di quei tempi? I temi chiave dei surrealisti, l’interesse per il subconscio nel senso della psicanalisi di Freud, per le paure represse, i sogni, le visioni e le tecniche surrealiste, che prendono le distanze dal controllo per lasciare spazio al caso e all’intuizione, contraddicono nettamente le idee della politica culturale svizzera ufficiale e dell’Associazione dei Pittori, degli Scultori e degli Architetti Svizzeri (GSMBA), che le sosteneva. Queste ultime richiedevano “rappresentazioni didattiche e figurative facilmente leggibili”. Ciononostante agli inizi degli anni Trenta alcuni artisti e artiste svizzere riuscirono a sviluppare il proprio surrealismo prevalentemente in Svizzera. Tra questi vi sono , Walter J. Moeschlin, Max von Moos, Ernst Maass, Otto Tschumi e . Mentre alcuni intraprendono la loro strada ostinatamente da soli, la maggioranza aderisce a gruppi artistici stilisticamente eterogenei come Gruppe 33 (fondato a Basilea nel 1933) o Allianz – Vereinigung moderner Schweizer Künstler (fondato a Zurigo nel 1937), optando per una “disponibilità alla coalizione”, una scelta mai più operata dai surrealisti in nessun altro Paese e in nessun altro periodo. Esamineremo quindi come questo insolito compromesso abbia avuto ripercussioni sul ruolo e sulla produzione dei surrealisti in Svizzera e quali personalità ed eventi siano stati determinanti in questo contesto e ai suoi margini.

1929 – 1930: nascita a Parigi, risveglio in Svizzera Intorno al 1929/1930 lo sviluppo del surrealismo parigino attraversa un radicale cambiamento sociale, spirituale e artistico. Il rapporto tra i leader del movimento come Philippe Soupault, Paul Éluard e André Breton è sempre più conflittuale. Si sciolgono vecchi legami e se ne creano di nuovi. Alcuni lasciano il gruppo di Breton a causa del suo autoritarismo o ne vengono esclusi. Vi sono radicali cambiamenti anche nel ricco panorama delle riviste. L’influente portavoce Georges Bataille esce dal circolo di Breton e fonda la rivista artistica Documents . Qualche mese dopo, il 15 dicembre 1929, viene pubblicato l’ultimo numero della pionieristica rivista dei surrealisti La Révolution surréaliste . Contiene il Manifesto surrealista di André Breton del 1924 integrato da una prefazione. Nel frattempo, contestato da molti artisti e intellettuali, Breton si vede costretto a ridefinire il suo punto di vista. Nella prefazione alla nuova edizione si scaglia contro singoli compagni e sottolinea il “nuovo corso” del movimento, definendo nuove priorità tematiche nel suo S econdo manifesto del surrealismo (1930). In questo modo mette da parte il “surrealismo assoluto” e quindi il libero automatismo come il principio più importante del surrealismo e al suo posto propugna un “surrealismo veristico”, ispirato alla pittura metafisica, che si propone di riprodurre con precisione illusionistica immagini oniriche e visioni. Sostanzialmente si tratta, secondo William S. Rubin, dello “svelamento della peculiare vita simbolica di oggetti ordinari e facilmente identificabili”. Come osserva Anne Umland, tale cambiamento è chiaramente visibile – più che in qualsiasi altra opera dell’epoca – nel film scandalo Un chien andalou (un cane andaluso ), presentato per la prima volta nel 1929 e firmato dai registi spagnoli Salvador Dalí e Louis Buñuel, che nello stesso anno si unirono al gruppo di Breton. Secondo Umland, esso illustra l’“allontanamento dall’allusiva e criptica peinture-poésie del surrealismo degli anni Venti per andare verso il linguaggio figurativo carico di allusioni sessuali, freudianamente condizionato e spesso estremo degli anni Trenta”. Da questo punto di vista, come dimostra la loro produzione, gli artisti svizzeri all’epoca attivi a Parigi sembrano non essere toccati dagli eventi. A Parigi, dove vivrà per sette anni, Alberto Giacometti (1901–1966) riesce a entrare nei circoli surrealisti e sviluppa le prime opere oniriche. Le sculture, realizzate con un linguaggio formale poetico e astratto, scaturiscono direttamente dalle sue opere plastiche cubiste. In alcune sue opere sono presenti riferimenti alla violenza, alla sessualità e al feticismo ma il linguaggio figurativo scelto rimane perlopiù simbolico e astratto (Fig. 72). Serge Brignoni (1903–2002), nato in Ticino e cresciuto a Berna, intraprende il percorso surrealista studiando il linguaggio cubista-surrealista di Picasso e la pittura metafisica di Giorgio de Chirico. A partire dal 1930 inizia a collezionare oggetti d’arte della Nuova Guinea e ben presto ne incorpora gli stilemi nelle proprie opere. Questi diversi impulsi contribuiscono a gettare le basi di un particolare surrealismo metamorfico, che si esprime in forme corporee embrionali e vegetali. L’erotismo si limita – lontano da qualsiasi potenziale

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provocatorio – al momento fecondo della crescita e della vitalità dei sensi (Fig. 73). La partecipazione al Salon des Surindépendants nel 1929 e una mostra personale alla galleria Jeanne Bucher nel 1931 gli aprono le porte dei circoli surrealisti. Tuttavia quelle che più di tutte possono essere ascritte al surrealismo verista sono le opere di Werner Schaad (1905–1979). Durante il suo soggiorno a Parigi l’artista di Sciaffusa è molto riservato e non manifesta l’intenzione di affiliarsi al gruppo di Breton. Lavora invece nel suo atelier in Rue Tourlaque dal 1928 al 1933, cercando ispirazione per i suoi disegni e i suoi dipinti nelle atmosfere di Giorgio de Chirico. Spesso si reca nell’atelier di René Magritte (Fig. 74), dove trae ispirazione per le sue composizioni: esseri ibridi formati da figure umane, bambole e mobili in ambientazioni oniriche. All’inizio degli anni Trenta gli artisti svizzeri trovano nella Parigi surrealista una realtà culturale vivace e in costante evoluzione in cui sperimentare liberamente. A differenza che in patria, vi trovano sia coordinate teoriche che opportunità di dialogo e confronto. Ciò che colpisce è l’autonomia con cui gli svizzeri scoprono il surrealismo e lo adottano senza lasciarsi condizionare dai diktat di André Breton, dimostrando un’indipendenza che sarà propria anche di Meret Oppenheim, Kurt Seligmann e Otto Tschumi. Nel 1929, anno importantissimo per il surrealismo parigino, al Kunsthaus di Zurigo ha luogo la mostra Abstrakte und surrealistische Malerei und Plastik . È la prima mostra in Svizzera dedicata al surrealismo internazionale, sebbene fossero esposte anche opere astratte. La mostra rappresentò un importante stimolo all’affermarsi del surrealismo in Svizzera, poiché incoraggiò l’accoglienza riservata al movimento internazionale e le iniziative d’avanguardia nella Confederazione. Vi partecipano protosurrealisti come Max Ernst, Salvador Dalí, Yves Tanguy, Giorgio de Chirico, René Magritte e . Nei dieci anni successivi, fino allo scoppio della guerra, vengono poi organizzate diverse mostre a Basilea, Berna, Zurigo e Lucerna. Nella sua recensione, Walter Kern riconosce all’esposizione del 1929 l’intento di mostrare “che aldilà dell’arte ufficiale promossa dallo Stato, di tutte le accademie, degli storici dell’arte e delle borse di studio, qualcosa è nato anche di propria iniziativa”. Eppure, dove sono gli artisti svizzeri che avrebbero dovuto comprovare questa affermazione? Gli unici surrealisti della mostra che possono vantare radici svizzere sono Hans Arp – che, secondo Kern, è da considerare un “classico del surrealismo” con le sue “forme pure” – e Paul Klee, che viene considerato il precursore del surrealismo dal punto di vista della “rappresentazione dell’inconscio”. A questi bisogna aggiungere Otto Meyer-Amden, l’unico rappresentante degli astrattisti svizzeri. L’assenza dell’avanguardia svizzera desta sdegno e critiche tra gli artisti interessati, soprattutto da parte dello zurighese Leo Leuppi e di Max Bill. Successivamente, essi si impegneranno senza risparmiarsi per ottenere il diritto di parola all’interno del panorama culturale e per partecipare alle esposizioni ufficiali della Società svizzera di Belle Arti e dell’associazione GSMBA.

Reclusi Hans-Jörg Heusser paragona la situazione dell’arte svizzera a partire dal 1930 a quella, conflittuale, che esiste tra partito di governo e opposizione: il partito “al potere” è quello degli “artisti figurativi”, che godono di riconoscimento e che ricevono commesse pubbliche, mentre l’opposizione è rappresentata dagli “astrattisti”, di cui fanno parte anche i surrealisti. Il paragone di Heusser evidenzia i limiti entro cui vengono costretti gli avanguardisti e, di conseguenza, anche i surrealisti. In questo panorama, Werner Schaad invia nel 1930 alcuni dipinti dal suo domicilio parigino in patria, a Sciaffusa, per l’esposizione natalizia: sono interni dalla prospettiva distorta (Fig. 76), in cui compaiono uomini vestiti in completi eleganti e donne raffigurate come bambole. Uomini dall’espressione pietrificata e costretti nel loro spazio d’azione, vengono posseduti da macchine di tortura, seviziati e tenuti in gabbia o trattati come modellini (Fig. 77). I dipinti e i disegni hanno titoli evocativi come Metamorphose im Raum (Metamorfosi nello spazio ), Menschen und Mächte (Persone e poteri ) o Über Abgründen (Sopra gli abissi ). Schaad mostra l’uomo in uno strano rapporto con ciò che gli sta intorno e che sembra dominarlo. Non è l’unico a fare ricorso a motivi onirici e metaforici tra gli artisti svizzeri a Parigi: basti pensare alle sculture di Alberto Giacometti che riproducono strutture simili a gabbie e oggetti simili a strumenti di tortura come nel caso di Main prise (mano impigliata ) del 1930 (Fig. 78).

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In patria, Schaad incontra incomprensione e rifiuto. La stampa definisce i suoi lavori “eccessivi” e “casuali”, a dimostrazione che, in Svizzera, il terreno non è pronto per il surrealismo. “Il ritorno definitivo a casa, intorno al 1933, [fu] il completamento esteriore di un cambiamento interiore” scrive Isolde Schaad nel 1981 nella monografia sul padre: “Ritorna al mondo dalla stanza in cui ha avuto luogo il suo surrealismo, diventata per lui una prigione”. Sicuramente per pragmatismo, ma anche per sfuggire a ulteriori dissensi, nel 1934 Schaad sceglie di insegnare disegno e volge le spalle al surrealismo a favore di una pittura espressivamente realistica. Oltre a Schaad e Viollier, anche altri artisti attivi a Parigi o di ritorno dalla capitale francese, come Meret Oppenheim e Le Corbusier, vengono aspramente criticati in occasione di mostre in Svizzera. Se per alcuni la sconfitta comporta come unica conseguenza una ritirata silenziosa, per altri è sprone a una decisa controffensiva. All’inizio degli anni Trenta, il basilese Otto Abt, ad esempio, viene definito da un collega del GSMBA come un surrealista che non sa dipingere e che non pensa da svizzero. Gli viene fatto capire, come Abt riferisce successivamente, che deve prendere una decisione. E così fa: nel 1933 lascia la GSMBA e diventa co-fondatore della Gruppe 33 di Basilea che si pone l’obiettivo di rafforzare il singolo, a prescindere dal suo orientamento artistico, attraverso l’unione del gruppo. Negli anni successivi nei principali centri svizzeri di Basilea, Zurigo, Berna e Lucerna si formano una serie di gruppi e si tengono importanti mostre collettive. In reazione alla mostra del 1929 Hans Welti e Max Bill fondano l’associazione Die Augen (Gli occhi ), con l’obiettivo di “aprire gli occhi” e di “penetrare il chiuso muro culturale zurighese”. L’eterogeneità stilistica e la scarsa capacità di imporsi porteranno però ben presto allo scioglimento dell’associazione. Dura poco anche il gruppo bernese Ein Schritt weiter (Un passo avanti ). Avrà invece più successo Gruppe 33 , che, già a partire dalla Prima guerra mondiale, si distingue nel panorama artistico conservatore di Basilea come quarto gruppo d’avanguardia della nuova generazione. Quattro anni dopo, nel 1937, Leo Leuppi e Richard Paul Lohse fonderanno l’associazione nazionale Allianz – Vereinigung moderner Schweizer Künstler .

Delineare i confini per proteggere la comunità Il 10 maggio 1933 a Basilea, quindici pittori e scultori di diversi orientamenti artistici si riuniscono nella Künstlervereinigung 1933 , abbreviata in Gruppe 33 . Fino al suo scioglimento ufficiale, nel 1970, il gruppo raccoglie complessivamente trentotto artisti che, oltre che a Basilea, espongono anche a Berna, Losanna, Glarona e, nel 1950, addirittura a Parigi. Motivi personali e obiettivi programmatici sono alla base della sua fondazione. All’epoca undici dei suoi membri fondatori appartenevano alla giovane ala di sinistra della sezione basilese del GSMBA, che lasciano nel 1933 soprattutto per la crescente contrapposizione dei fronti tra i vecchi membri, attaccati ai valori conservatori tradizionali, e i più giovani, che erano venuti a contatto con le avanguardie internazionali a Monaco, Parigi e Berlino e che ne accoglievano con entusiasmo le relative mostre (retrospettiva di Picasso nel 1932 presso il Kunsthaus di Zurigo, mostra di Matisse nel 1932 e di Braque nel 1933 presso la Kunsthalle di Basilea). Contribuirono alla secessione delusioni personali, come ad esempio il rifiuto di far eseguire un murale a Charles Hindenlang o il fatto che Otto Abt venisse eletto come unico delegato delle giovani avanguardie – e comunque solo come sostituto – nella commissione per gli stanziamenti del credito per l’incoraggiamento delle arti. Inoltre i membri della Gruppe 33 erano spinti da una preoccupazione di natura ideologica e politica: alla dottrina diffamatoria che, dalla presa di potere di Hitler nel gennaio del1933, si stava affermando nella vicina Germania, doveva essere contrapposta una concezione dell’arte che non emarginasse, ma che si aprisse liberalmente alla pluralità delle arti. In una circolare, in cui cercarono di conquistare membri altrimenti passivi, vengono messi per iscritto i principi del gruppo. L’obiettivo non è definire un nuovo orientamento artistico, ma offrire ai membri un sostegno attraverso l’associazione; “la creazione onesta del singolo, la cui peculiarità personale non deve essere limitata, è uno dei presupposti della partecipazione attiva all’associazione”. Con questo credo essi si oppongono coraggiosamente all’“atteggiamento di rifiuto rappresentato dalla difesa spirituale della nazione, che trasfigura la realtà”. È una cinica coincidenza che il giorno della fondazione della Gruppe 33 nella confinante Germania avvenga il rogo dei libri con il bene placito dell’associazione degli studenti tedeschi nazionalsocialisti. Come città di frontiera, Basilea è direttamente interessata da ciò che avviene nel Paese confinante e anche l’ideologia nazionalsocialista vi fa il suo ingresso sotto forma di ronde di frontisti. Il clima politicamente teso rende più difficile il dibattito sull’arte moderna. Stupisce che Gruppe 33 riesca in poco tempo a farsi conoscere dall’opinione pubblica. Già nel 1934 organizza la prima mostra alla Kunsthalle di Basilea

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con le opere di undici membri. Sulla stampa si scatena così un dibattito incentrato principalmente sull’arte surrealista che, come sottolinea Yvonne Höfliger, lascia dietro di sé “una piccola schiera entusiasta di seguaci, ma anche una grande folla di cittadini scossi”. Tuttavia, nonostante le diffamazioni, Gruppe 33 non si lascia mettere in un angolo. Esuberanti festival artistici e il Club 33, creato come luogo di incontro e di discussione, aggiungono valore alla vita culturale della città, tanto che la National-Zeitung commenta così la mostra per il decennale del 1943: “Gruppe 33 si presenta oggi nella nostra città non come una vera e propria opposizione, come negli anni della sua fondazione; piuttosto lo percepiamo come un movimento artistico che ha già trovato debito riconoscimento in una molteplicità di ambienti”. Il fatto che il gruppo di Basilea non si sia reso porta voce di un particolare orientamento, ma abbia raccolto intorno a sé un’ampia comunità di artisti ignorati dagli enti finanziatori ufficiali, può averlo reso invulnerabile e può aver aiutato i suoi membri a sviluppare una peculiarità artistica pur tutelando la propria appartenenza a una comunità.

Interpretazioni personali Che si trattasse di astrattismo, concretismo o surrealismo, di pittura, grafica, scultura, architettura o scenografia, il gruppo si contraddistinse sempre per una molteplicità di stili e di generi. Ma qual era l’importanza dei surrealisti all’interno del gruppo? È possibile individuare alcune caratteristiche comuni ai surrealisti basilesi? Se si considera la produzione artistica e la partecipazione dei membri alle varie mostre, i surrealisti costituiscono una presenza rilevante. Membri della prima ora, Otto Abt e Walter Kurt Wiemken guidano gli artisti surrealisti e sono rappresentati nel corso degli anni anche al di fuori della Gruppe 33 in personali e collettive di minore importanza. Chiamato dai suoi amici basilesi Abt, Wiemken e Bodmer, anche Serge Brignoni, che vive a Parigi già da dieci anni, si unisce al gruppo alla fondazione. Nel 1934 il nome di Kurt Seligmann figura sull’invito alla mostra e nel 1938 diventa membro ufficiale. Al suo ritorno in Svizzera nel 1937 anche Meret Oppenheim viene a contatto con singoli membri del gruppo e nel 1945 espone alla loro collettiva. Oltre che nelle opere degli artisti surrealisti citati, anche in alcuni dipinti degli astrattisti si percepisce una certa “atmosfera surrealista”, come afferma a ragione Yvonne Höfliger-Griesser. Cita come esempio Theo Eble, mentre in Charles Hindenlang e Walter Moeschlin constata il passaggio dalla nuova oggettività degli anni Venti al surrealismo degli anni Trenta. In tema di atmosfere surrealiste è opportuno includere nell’elenco di Höfliger altri importanti membri: Walter Bodmer, Hans Rudolf Schiess e Irène Zurkinden. L’allusione piuttosto vaga da parte di Höfliger a una “atmosfera surrealista” evidenzia una problematica propria del surrealismo, che non si lascia imbrigliare in uno stile definito: è difficile dare una definizione di opera surrealista. Nel contesto svizzero, ciò risulta particolarmente arduo. Nei circoli surrealisti parigini il concetto di surrealismo viene quotidianamente affinato e adattato, nella teoria e nella pratica. Attraverso le sue sentenze perentorie, con cui elargisce e revoca agli artisti il titolo di surrealisti, Breton offre una proposta di categorizzazione, per quanto discutibile e mutevole. Nel contesto svizzero mancano giudizi simili da parte di una massima autorità; non esiste un’associazione vera e propria di surrealisti ma singole figure che, da sole o conazioni comuni, tentano di sensibilizzare l’opinione pubblica. Se non vengono a conoscenza del surrealismo durante soggiorni a Parigi, gli artisti degli anni Venti e Trenta se ne creano un’idea grazie a mostre, riviste e racconti e traggono ispirazione per le loro creazioni – come risulta evidente nella Gruppe 33 – prevalentemente da ciò che li circonda. Anche se i membri della Gruppe 33 si sarebbero probabilmente opposti a questa affermazione, oggi si può dire che lo scambio stretto, per lo più amichevole, tra gli artisti del gruppo ha portato all’influenza reciproca e quindi, alla dissoluzione dei confini tra i diversi stili. Eppure, quali nuclei tematici e quali somiglianze formali tra gli artisti è possibile individuare concretamente? È possibile parlare di un “surrealismo della Gruppe 33 ”?

Spazi surreali e giochi con le forme All’inizio degli anni Trenta, Walter Bodmer (1903–1973), fondatore della Gruppe 33 insieme a Walter Kurt Wiemken e Otto Abt, attraversa un’evoluzione determinante per la sua successiva produzione e alla base di un grande successo internazionale: passa da un linguaggio formale

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realistico a un linguaggio costruttivista. Decisivo è un viaggio di studio nel 1927 e 1928 in compagnia dei suoi amici artisti Abt e Wiemken a Parigi e nella regione circostante. All'inizio del viaggio l'interesse dei tre pittori è rivolto esclusivamente allo studio della natura e alla tecnica dell’impressionismo. Scrive Bodmer: «Rimanemmo totalmente estranei al fauvismo, al cubismo e anche al surrealismo – ci interessavano gli impressionisti, imparammo a dipingere […]”. Il loro soggiorno a Collioure, paese di pescatori nel sud della Francia, dove poi sarebbero costantemente ritornati negli anni successivi, porta un notevole cambiamento nella produzione di ciascuno. A Collioure incontrano artisti provenienti dalla Svizzera, da Parigi e dalla Germania e si fanno un’idea delle avanguardie internazionali. Tra loro discutono di Matisse, Dalí, de Chirico e Picasso; i tre basilesi iniziano a interessarsi al surrealismo soprattutto grazie ai racconti di Serge Brignoni, artista bernese stabilitosi a Parigi. L’esperienza chiave di Bodmer ha luogo durante il suo soggiorno estivo del 1932: lo scenografo e pittore tedesco Hein Heckroth lo introduce alla tecnica della monotipia. Bodmer è affascinato dai fenomeni casuali secondari che si verificano durante il trasferimento dell’inchiostro bagnato dalla lastra di vetro o di metallo alla carta (Fig. 85). Attraverso questa tecnica approda alla linea mossa che da quel momento in poi caratterizzerà la sua produzione e che, dal 1936, verrà trasferita anche ai suoi rilievi e nelle sue sculture. Sebbene Bodmer non si consideri mai un surrealista in senso stretto, con i surrealisti condivide l’interesse per la genesi casuale delle opere e la conseguente predilezione per le atmosfere fragili, fluttuanti e intricate. Anche le prime opere di Wiemken sono una dimostrazione dell’influenza della tecnica della monotipia sulla configurazione degli spazi. Nel suo quadro Il fotografo , ad esempio, la linea suddivide l’immagine in diversi piani spaziali e di conseguenza anche in diversi piani narrativi (cfr. Fig. 87). In Bodmer le opere pittoriche rappresentano una fase di transizione verso la scultura. Nei suoi dipinti linee e superfici morbide si intrecciano per dare vita a forme che sono allo stesso tempo astratte e concrete (Fig. 86). Linee visibili e punti ricordano l’aspetto simbolico nella monotipia. Le sculture in fil di ferro, che si situano tra l’automatismo e il costruttivismo studiato con precisione, diventano il suo marchio di fabbrica e lo elevano, anche grazie all’acquisto da parte della fondazione Emanuel Hoffmann della sua prima costruzione in fil di ferro nel 1936 (Fig. 88), ai ranghi dell’avanguardia internazionale. Theo Eble (1899–1974) compie un’evoluzione simile, passando dalla pittura oggettiva all’astrazione. Come nel caso di Bodmer, la mostra di Braque del 1933 lo sprona a cambiare direzione. Influenzano il nuovo linguaggio formale di Eble anche Picasso, il tardo Kirchner e Hans Arp con le sue sculture biomorfe e i rilievi. Il passaggio verso l’astrazione avviene in modo fluido. Anche nelle composizioni astratte del 1934 (cfr. Fig. 89) si ritrovano infatti elementi figurativi: superficie linee curve si compenetrano dando vita a custodie aperte, costruzioni sceniche e scale che conducono nel vuoto. Le architetture di queste figurazioni incerte e oniriche si mantengono in un equilibrio precario e rispecchiano, secondo Dorothea Christ, “l’insicurezza pericolosa di un mondo in cui si frantumano vecchie oggettività razionali e insospettate realtà acquisiscono importanza nuove”. Con una certa audacia, Christ riassume la cifra artistica di Eble come “tardo cubismo surrealista”. La stessa osservazione può valere anche per Hans Rudolf Schiess (1904–1978). Non esiste un documento che certifichi quando Schiess sia entrato a far parte ufficialmente della Gruppe 33 , ma sicuramente poco prima del 1937. Agli inizi degli anni Trenta adotta la tecnica pittorica della velatura. I suoi dipinti presentano piani fluttuanti, visioni frammentarie, fasci di linee di fuga. Inserisce nei suoi quadri altri elementi in stile cubista, come ad esempio una scacchiera (Fig. 90) oppure frammenti di volti o paesaggi. Schiess arriva a Parigi nel 1931, dovesi unisce al gruppo Abstraction-Création , fondato da Auguste Herbin e Georges Vantagerloo. Qui incontrai membri svizzeri Kurt Seligmann, Hans Erni (Fig. 91), Sophie Taeuber-Arp e Gérard Vulliamy (Fig. 92). Nel 1934, tutti e cinque figurano in una pubblicazione dell’associazione, con testi di Anatole Jakovsky. Per Jakovsky ciò che accomuna questi artisti svizzeri è l’interesse per le forme e per i loro giochi sulla superficie e nello spazio. Sebbene il raggruppamento costruttivista cerchi di prendere le distanze dal cubismo e anche dal surrealismo, le opere dei suoi protagonisti presentano influenze di entrambi i movimenti. Come risulta chiaro dalle esposizioni zurighesi organizzate dal 1936 in poi, dopo il suo ritorno in Svizzera Schiess si allontana dalla rappresentazione tridimensionale e surreale dello spazio, per pervenire a una configurazione che predilige le superfici piane e la loro stratificazione mediante collage. Gli altri membri di Abstraction-Création qui citati si dedicano invece a composizioni più leggere, a tratti narrative, dai caratteri surrealisti più marcati.

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È il caso ad esempio di Kurt Seligmann (1900–1962) che dal 1933 si impegna in una sintesi tra astrazione e surrealismo. Nell’opera giovanile degli anni Trenta, in cui trasforma uova, gemme e forme cellulari in rudimentali teste fantastiche ed esseri ibridi che si stagliano su sfondi scuri monocromatici, è chiaro come egli dialoghi con il linguaggio formale dell’amico Hans Arp. Eleganti forme sagomate danno vita secondo il principio dell’assemblaggio spazi onirici e composizioni fluttuanti. Nel suo linguaggio poeticamente semplice l’oggetto dipinto ricorda le forme di Alberto Giacometti (Fig. JS-27), suo amico d’infanzia. Willy Rotzler riconosce negli esseri ibridi e nelle teste di Seligmann riferimenti alla cultura basilese del Carnevale, con i suoi costumi e le sue maschere. Verso la fine degli anni Trenta – quando ottiene sempre maggiore successo nelle cerchie parigine – le sue opere divengono visioni apocalittiche e lasciano trapelare l’interesse per la magia. L’uso di antiche tecniche pittoriche rivela il confronto con gli artisti rinascimentali basilesi, come i due Holbein o Urs Graf. Seligmann mantiene per tutta la vita un rapporto molto stretto con la Svizzera. Anche quando, allo scoppiare della guerra, è uno dei pochi svizzeri a non tornare in patria e si unisce anzi al grande esodo degli intellettuali parigini verso New York, mantiene saldi legami con la Svizzera e invia alcune sue opere all’ultima mostra del gruppo Allianz – di cui fa parte – tenutasi al Kunsthaus di Zurigo nel 1947.

Dal sogno del teatro all’incubo fascista I temi che ricorrono nelle opere della Gruppe 33 di Basilea sono tradizionalmente legati al mondo del cabaret, del circo, del teatro e, naturalmente, del carnevale. La presenza di questi motivi può indurre a considerare precipitosamente un’opera come surrealista, senza che l’autore o l’autrice si considerino tali. Un esempio è Charles Hindenlang, che venne etichettato come surrealista per via delle sue ambientazioni legate al mondo dei clown e degli acrobati. Lo stesso si può dire della stilista, grafica e pittrice Irène Zurkinden (1909–1987). A Parigi, dove l’artista basilese vive quasi ininterrottamente dal 1929 al 1942, anno del suo ritorno a Basilea, è in contatto con i surrealisti, in particolar modo con Meret Oppenheim, che vi si trasferisce nel 1933. Zurkinden segue una formazione come disegnatrice tessile e dipinge inizialmente con uno stile impressionista. Diventa famosa per le pennellate rapide con cui dipinge i suoi ritratti, gli scorci cittadini e le raffigurazioni degli ambienti parigini. Le influenze surrealiste si notano solo a partire dal 1929 e ancor più nelle opere realizzate nel dopoguerra: scene di balletto, carnevale e circo ricche di incongruenze e pervase da atmosfere da incubo cui si intrecciano percezioni reali, come in Phantasmes . Tuttavia, come anche in Hindenlang, le composizioni oniriche che volgono al fantastico (Fig. 94) sembrano essere legate più ai soggetti che all’idea originaria del surrealismo, volendo portare alla luce le immagini della profondità del subconscio, della psiche e del sogno. Diverse sono, invece, le opere di Otto Abt e Walter Kurt Wiemken. Le loro figure in costume, i clown, i funamboli – esseri sfigurati e inventati – popolano spazi interni ed esterni che ricordano un palcoscenico e che si compenetrano a vicenda. Nei quadri, sogno e fantasia si fondono metaforicamente, tanto da far emergere in un certo senso i temi subliminali della crisi del periodo storico in cui vengono realizzati. Durante i loro viaggi a Parigi e i soggiorni a Collioure, i due artisti vengono a contatto con i temi e le tecniche surrealiste come l’assemblage per associazioni, il collage o la “écriture automatique”. Walter Kurt Wiemken (1907–1940) studia a fondo i dipinti legati al mondo circense e degli acrobati di Picasso, trovando così una nuova forma espressiva e un nuovo senso estetico dello spazio. Secondo Dorothea Christi i corpi si trasformano in “schemi, le ombre in corpi, gli oggetti di arredamento […] in esseri inquietanti”. Nei quadri di Wiemken i temi del circo, del carnevale e della danza macabra si fondono con i temi della guerra e le visioni degli orrori. Nella prima mostra della Gruppe 33 espone la sua nuova creazione di grande formato Alles in Allem (Tutto sommato , Fig. 95). Con i dipinti realizzati due anni dopo Das Leben (La vita , cfr. Fig. 67) e Das Rätsel der Sphinx (L’enigma della sfinge , entrambi del 1935), dà vita a una trilogia allegorica di grande forza. Wiemken mette in scena quello che per lui è il teatro della vita attraverso strutture trapezoidali rivolte verso il cielo che vengono scalate da piccole figure, da clown, da acrobati, ma anche da storpi e scheletri. Mentre nella parte superiore sono raffigurate figure alate simili ad angeli e in tutte e tre le opere, un occhio divino sorveglia l’intera scena, nella parte inferiore si delineano le gioie e i vizi terreni come l’amore, la rabbia, la violenza e la pace. Nel dipinto Am Rande des Abgrunds (Sull’orlo del precipizio , cfr. Fig. 223) risulta ancora più evidente il contrasto tra idillio e catastrofe: il primo è rappresentato da un parco divertimenti sull’orlo del precipizio, e la seconda si sta consumando nel

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sottosuolo. I protagonisti delle opere di Wiemkensono tratti principalmente dal suo ambiente. Parigi, dove nel 1932 soggiorna con Abt in una pensione che chiama “impresa di pompe funebri”, brulica di esistenze naufragate e di maestri nell’arte di vivere. Nei suoi dipinti stilizza la realtà fino a farla diventare grottesca. Conosce bene cosa sia il dolore, fisico e spirituale, a causa della sua poliomielite congenita e dei racconti di guerra del padre, originario della Frisia. Rispetto a Wiemken, le opere di Otto Abt (1903–1982) risultano molto meno complesse e quasi ingenuamente leggiadre. Ma l’apparenza inganna. Secondo Abt, la buona pittura deve “arrivare in punta di piedi”, deve essere “portata dagli angeli”. Le scene in riva al mare, apparentemente innocue, come ad esempio in Côte d’Azur (1934, Fig. 96), a un secondo sguardo si rivelano rappresentazioni teatrali, grottesche e addirittura brutali. Nelle sue composizioni di staffage , che ricordano un palcoscenico, emergono le affinità con il cabaret e il carnevale. I disegni e i dipinti sembrano piccoli assemblage di oggetti comuni e elementi immaginari; ora palcoscenici di teatro con interni accoglienti, ora lignei frammenti d’isola. Come le opere di Wiemken, anche i dipinti buffi e apparentemente frivoli di Abt celano una convinta critica al fascismo. Abt crea il motivo ricorrente della figura femminile in costume, dalla cui testa fuoriescono potenti navi da guerra. Per l’artista si tratta della personificazione diabolica e seducente del fascismo –la “signora Fascismo” (Fig. 97). Anche le sue stesse considerazioni sul periodo trascorso all’interno della Gruppe 33 dimostrano quanto la sua arte fosse connotata politicamente: “Il surrealismo aveva per me una funzione chiaramente politica. Era una presa di posizione inequivocabile. Dal punto di vista dei contenuti era quasi “sovra letteraria”. Era la mia risposta al fascismo, che anche in Svizzera stava conquistando simpatie”.

Paesaggi dell’anima Sono invece lontani dal colorato mondo del circo i paesaggi misteriosi e desolati di Walter J. Moeschlin (1902–1961). Ricordano i panorami di Max Ernst, che insieme a Hans Arp è il punto di riferimento più importante per l’artista. Se si confronta Moeschlin con Max Ernst, come scrive Franz Roh nel 1957, Ernst sembra un “demone in via di cristallizzazione. In Moeschlin, alla fine vince sempre un lirismo pacifico”. Nei quadri, si stagliano in lontananza solo singole figure indistinte o piccoli gruppi, l’artista presenta un mondo lontano dalla realtà o, cambiando prospettiva, la realtà che si cela dietro questo mondo. Il pittore stesso descrive i suoi paesaggi anche come “stati d’animo”. Grazie al suo talento di scrittore inoltre esprime il proprio modo di vedere in poesie, novelle e brevi testi surrealisti. Negli anni Cinquanta aggiunge ai paesaggi forme e strutture geometriche: un cerchio si staglia nel cielo come un sole astratto, triangoli emergono dall’acqua come colline (Fig. 99). Moeschlin sembra iscrivere la forma ordinatrice dello spirito nel cosmo della natura. Le figure in primo piano sono esseri incantati senza volto, generalmente con corpi morbidi che si dissolvono (Fig. 100). Le figure non sono quasi mai in azione ma immerse in un silenzio di morte, che l’artista esprime sotto forma di spazi vuoti e utilizzando per lo più solo toni argillosi. Nei dipinti a tema bellico è spesso rappresentato il corpo di un animale spossato o il cadavere emaciato di un cavallo (cfr. Fig. 318). Il cavallo è un soggetto ricorrente nelle opere dei surrealisti, che si tratti di un animale ferito o del famoso cavallo di Troia come in Gérard Vulliamy (cfr. Fig. 317). In Hans Erni troviamo l’anatra morta (cfr. Fig. 316), in Otto Tschumi di nuovo il cavallo (cfr. Fig. 316). Per Brigitta Vogler-Zimmerli, la raffigurazione di animali feriti nelle opere di Tschumi rappresenta simbolicamente la paura dell’artista di non poter sfuggire alle ristrettezze e alle minacce incombenti dell’epoca (1939).

Zurigo e Lucerna: problemi di tempo e sintesi Tra il 1935 e il 1936 fanno da contraltare al movimento di Basilea anche le fazioni dell’arte progressista di Lucerna e Zurigo. Uno dei portavoce è Leo Leuppi, già nel 1929 tra i critici dell’esposizione surrealista di Zurigo. Da quel momento in poi, Leuppi si batte per dare visibilità all’avanguardia svizzera all’interno di una scena artistica orientata eccessivamente a Parigi, eletta a capitale dell’arte. Impressionato dalla tenacia e dalla capacità di imporsi della Gruppe 33 , così come dall’esempio francese del gruppo Abstraction-Création , chiede al Kunsthaus di Zurigo di poter partecipare alla mostra sull’astrattismo e surrealismo, in programma per il 1934, con il Groupe Suisse Abstraction et Surréalisme , da lui appena fondato. La proposta viene però rifiutata e la scelta dei

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curatori si concentra, come già nel 1929, su artisti conosciuti a livello internazionale: Hans Arp, Max Ernst, Alberto Giacometti, José Gonzales e Joan Miró. Nello stesso periodo, l’artista Hans Erni (1909–2015) e il filosofo e storico dell’arte Konrad Farner lavorano alla concezione della mostra These-Antithese-Synthese , una grande esposizione a Lucerna che avrebbe dovuto offrire una panoramica di tutte le tendenze moderne. Come scrive nella prefazione al catalogo il curatore del Kunstmuseum di Lucerna Paul Hilber, si tratta di “offrire uno sguardo sistematico su quell’arte che vive di vita propria travalicando i confini nazionali e unisce quegli spiriti che credono a una vera espressione artistica del nostro XX secolo”. Erni e Farner introducono qui i concetti di “tesi” e “antitesi”: considerano il purismo, il costruttivismo e l’astrattismo come “immagini scultoree consapevoli” e li definiscono come tesi. In antitesi pongono il dadaismo e il surrealismo, che si concentrano sulla “dissoluzione nel subconscio”. L’obiettivo dichiarato dell’esposizione è estrapolare dalle due correnti alcuni elementi che nella loro unione – come in una “sintesi” – rivelino una “nuova arte”. Non stupisce che la maggior parte delle opere esposte appartenessero agli artisti del gruppo parigino Abstraction-Création , che oscillava proprio tra questi poli. Il fatto che gli svizzeri Schiess, Seligmann, Vulliamy e Max von Moos non vengano considerati in tale compagine può essere dovuto, anche in questo caso, alla preferenza accordata a nomi conosciuti – Erni stesso, in qualità di ideatore, è però abbastanza immodesto da appendere un proprio dipinto al centro della sala principale. Anche lui è membro di Abstraction-Création e nei primi anni Trenta guarda all’astrattismo: da elementi grafici, linee e fasci intrecciati nascono composizioni morbide. In seguito Erni arricchirà le sue strutture con elementi figurativi surrealisti, e può includere in queste combinazioni temi universali come la natura o il rapporto tra microcosmo e macrocosmo. Nella citata mostra di Lucerna espone anche un’opera in gesso il cui titolo, Arpiade und Amphibie (Fig. 105), allude a Hans Arp, mentre le forme riprendono elementi della scultura surrealista di Alberto Giacometti. La ricerca artistica di Erni negli anni Trenta può essere considerata un tentativo esemplare di approdare a una nuova cifra artistica mediante procedimenti surrealisti e costruttivisti. Nel 1936 Leo Leuppi riesce nella sua missione a favore dell’avanguardia svizzera: Wilhelm Wartmann, direttore del Kunsthaus di Zurigo, progetta una mostra dedicata alle opere degli artisti svizzeri contemporanei. Lo storico dell’architettura e critico d’arte zurighese Sigfried Giedion seleziona gli artisti assieme a Max Bill, vagliando un elenco stilato da Leuppi. Alla fine, la mostra Zeitprobleme in der Schweizer Malerei und Plastik riunisce quarantuno artisti e, nonostante i commenti negativi da parte della stampa, ottiene ampio successo di pubblico. Nella prefazione al catalogo della mostra Sigfried Giedion si appella all’apertura mentale del pubblico, che avrebbe dovuto riconoscere come i “problemi della pittura e della scultura svizzere del nostro tempo” (questo il titolo programmatico della mostra), che egli stesso individua nella poliedricità delle tendenze astrattiste, surrealiste, organiche e puramente pittoriche, non fossero un indice di caos, ma un segno della transizione del momento storico, “in cui molte voci risuonano all’unisono” cercando, tutte, di cogliere nuovamente la realtà. In questo contesto, Giedion dedica agli artisti selezionati, suddivisi per regioni, parole di encomio per la loro originalità artistica. L’“écriture automatique”, che Breton ha elevato a strumento ideale dell’arte, ha un ruolo centrale anche nelle immagini lineari di Sophie Taeuber-Arp (1889–1943, Fig. 107). L’artista di origine grigionese, che nel 1922 sposa Hans Arp, è sin dall’inizio tra le figure più importanti del movimento Dada. Negli anni Trenta diventa una pioniera del costruttivismo. Allo stesso modo in cui Le Corbusier libera la linea, Sophie Taeuber-Arp passa da opere rigorosamente geometriche a composizioni maggiormente dinamiche, ma pur sempre bilanciate. Membro del gruppo Abstraction-Création , negli anni Trenta Taeuber-Arp perviene a forme fluide, il cerchio, nelle sue varie forme, diventa elemento centrale della costruzione tridimensionale dello spazio e non fluttua più liberamente sulla superficie dell’opera. “Dipingeva l’anima del sogno, la realtà invisibile. Disegnava messaggi luminosi e geometrici. Disegnava linee che scandagliavano le profondità infinite” scriverà più avanti Hans Arp sull’arte della “sua Sophie”.

Tra i contrasti Come ad Hans Arp e a Paul Klee, anche al pittore berlinese Ernst Maass (1904–1971) viene negata la cittadinanza svizzera. Dopo i primi contatti con la Svizzera, nel 1933 Maass lascia

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definitivamente la Germania per motivi politici e vive come rifugiato tra Italia e Svizzera. Le tensioni storico-politiche non influenzano solo le sue condizioni di vita, ma traspaiono anche nella sua produzione pittorica. Nei paesaggi embrionali, nelle strane architetture che tendono verso il cielo e nei palcoscenici su cui anticheggianti guerrieri in miniatura combattono le loro battaglie, Maass traduce i problemi del suo tempo in metafore universali del fragile equilibrio della vita. Il titolo di una retrospettiva del 1983 dedicata alla produzione di Maass al Kunsthaus di Zugo sintetizza l’essenza della sua ricerca: Tra i contrasti . Lo stesso Maass commenta: “Il futuro deve affiancare il passato, la felicità la tragicità. Voglio esprimere sia ciò che è negativo, sia ciò che è positivo. La forma dev’essere spigolosa e tonda, appuntita e smussata, dura e morbida. Il colore caldo e freddo allo stesso tempo”. La rappresentazione della guerra e della pace, la crescita e la caducità, il corso delle maree e degli avvenimenti contrastano l’ansioso, vuoto persistere dello stato bellico (Fig. 108). L’ambientazione luminosa dei dipinti colloca spesso il soggetto tra il tramonto e il crepuscolo mattutino, vale a dire in un limbo tra sonno, sogno e realtà. Come nelle opere di Abt e di Wiemken, anche nelle opere di Maass emergono alcuni protagonisti tipizzati e alcuni elementi scenici che spingono a voler decifrare il “criptico teatro del mondo” di Maass. La pittura precisa, quasi classica, e le scene costruite con una particolare attenzione alla prospettiva, ben lontane da uno slancio spontaneo, ricordano le opere metafisiche di de Chirico o di Dalí. Maass perviene alla rappresentazione realistica dei soggetti e al loro spesso bizzarro accostamento grazie allo studio rigoroso di forme e piani, ma anche attraverso il processo di percezione aptica degli oggetti e dei materiali. Per questo motivo, nelle sue opere giovanili ricorre ad esempio al collage (Fig. 109), tanto amato dai surrealisti. L’opera di Max von Moos (1903–1979) è fra gli esiti più convincenti del surrealismo svizzero. Anche se, o proprio perché, l’artista critica le teorie del surrealismo parigino e, diversamente dalla maggior parte dei surrealisti svizzeri, non coltiva rapporti con i rappresentanti parigini del movimento, a partire dagli anni Trenta le sue opere si distinguono per un personale linguaggio surrealista. Inizialmente dipinge paesaggi onirici incantati e astratti, abitati da esseri fiabeschi e folletti, che rivelano l’influenza del linguaggio simbolico e giocoso di Klee. Ben presto però la luminosità di queste opere lascia spazio a un’atmosfera cupa e minacciosa. In modo molto espressivo, critico e allo stesso tempo sensibile, rappresenta i disagi del mondo nei suoi dipinti. Macerie e frammenti di antiche architetture si accumulano su sfondi scuri. Attraverso una rappresentazione illusionistica dei piani, gli esseri fantastici e le figure mitologiche che popolano le opere di von Moos sembrano anch’esse di pietra (Fig. 110). Nei suoi dipinti figurano esseri ibridi smembrati con teste di uccello, denti appuntiti, evidenti genitali, corpi macabramente aperti (Fig. 308) – una reminiscenza del corso di dissezione che von Moos ha frequentato nel 1922 a Monaco durante i suoi studi. Sofferenza, dolore, distruzione e decadenza caratterizzano i quadri di von Moos, che egli stesso concepisce come “avvertimenti”, anche se, come constata Roman Kurzmeyer, non è sempre chiaro a chi siano rivolti e in quale circostanza. A volte, tuttavia, i riferimenti sono palesi: nella sua personale presso il Kunstmuseum di Lucerna del 1937, un anno dopo aver partecipato alla mostra Zeitproblem ein der Schweizer Malerei und Plastik , von Moos espone i dipinti Alcazar e Toledo (cfr. Fig. 111), opere che alludono esplicitamente all’assedio della fortificazione medievale di Alcázar nella città di Toledo nell’estate del 1936, uno dei primi eventi simbolici della guerra civile spagnola. Il dipinto Toledo , in particolare, è una stupefacente anticipazione di Guernica di Picasso, non solo dal punto di vista tematico, ma anche della concezione e dell’iconografia, poiché rappresenta in modo stilizzato le sofferenze della popolazione civile. Nello stesso contesto, anche se più come critica generale al razionalismo della civiltà occidentale che come interpretazione storica, deve essere letta anche l’opera Versteinerte Tänzerinnen (Danzatrici pietrificate , cfr. Fig. 272), realizzata l’anno precedente: in primo piano, su uno sfondo scuro, sono allineate figure femminili senza volto. Nella loro rigidità non simboleggiano una resistenza vitale, ma la mancanza di prospettive che contraddistingue il momento storico. Secondo John Matheson, von Moos affronta spesso “una questione esistenziale, dove l’uomo chimerico è al centro di un mondo diventato distopico, testimone e partecipe di una rappresentazione tragica dello stesso”. Le figure di von Moos hanno però spesso un carattere ancora più complesso e ambivalente: dietro al pessimismo che distingue le sue immagini si celano, soprattutto nelle figure femminili – per quanto non meno intimidatorie –dimensioni più promettenti. Le sue opere profonde non hanno quindi niente in comune

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con l’arte ironica, casuale, a volte addirittura effimera, che nello stesso periodo viene esposta nelle mostre del surrealismo parigino.

Un’alleanza tra “fratelli diversi” Il 29 aprile 1937, all’indomani della mostra Zeitprobleme al Kunsthaus di Zurigo, Leo Leuppi fonda insieme ai suoi compagni, presso il ristorante Hinterer Sternendi Zurigo, la Allianz – Vereinigung moderner Schweizer Künstler . Leuppi ne ricopre la presidenza, mentre i membri del consiglio di amministrazione sono gli zurighesi Richard Paul Lohse (secondo presidente) e Verena Loewensberg, i basilesi Walter Bodmer e Hans R. Schiess e i lucernesi Hans Erni ed Ernst Maass. L’Allianz si considera un gruppo che unisce artisti svizzeri astrattisti e surrealisti. In collaborazione con il Kunstverein basilese, nel1938 allestisce la sua prima mostra dal titolo Neue Kunstin der Schweiz , presso la Kunsthalle di Basilea. Molti degli artisti rappresentati avevano già partecipato alla mostra Zeitprobleme del 1936. Prima di ogni mostra organizzata negli anni seguenti, 1942, 1947 e 1954, i membri del consiglio dell’Allianz si consultano sulla rosa di artisti da invitare a esporre per rappresentare la “nuova arte”. L’associazione, inoltre, si adopera perché alcuni membri di spicco possano esprimere nei cataloghi delle mostre il proprio punto di vista su aspetti attuali dell’arte. Nel1938 Walter J. Moeschlin affronta il tema della “funzione dell’immagine astratta” e, nel 1947, quello dell’“inconscio nell’arte”, indicando Hans Arp come esempio. Nel 1940 l’Allianz pubblica l’Almanach neuer Kunst in der Schweiz . Gérard Vulliamy espone il suo punto di vista sul futuro del surrealismo “Le surréalisme et son avenir” e Kurt Seligmann sottopone a un’analisi comparativa i “fratelli diversi” (astrattisti e surrealisti). Richard Paul Lohse (1902–1988), uno degli autori del catalogo del 1947, difende strenuamente l’arte concreta e ne illustra le differenze rispetto alle tendenze astratte ed espressive dell’arte. Lohse è cocuratore dell’Almanach e braccio destro di Leuppi per tutte le decisioni che riguardano l’Allianz . La sua opera concreta si fonda su una concezione di chiarezza geometrica e strutturale ed è esente dalle forme amorfe surreali di Leuppi. I suoi elementi apparentemente fluttuanti evocano, piuttosto, atmosfere al di là del reale (Fig. 116). Sebbene i surrealisti siano coinvolti in tutte le manifestazioni dell’Allianz, risulta evidente – diversamente dalla Gruppe 33 – uno squilibrio tra gli astrattisti e i surrealisti. Bernadette Walter ipotizza che possa essere stata determinante la diversa composizione del consiglio direttivo in cui tutti, tranne Erni, sono vicini al costruttivismo. Nell’Almanach , la prevalenza degli astrattisti sui surrealisti si coglie chiaramente nel dialogo fittizio tra un appassionato d’arte e un pittore. Infine, nella sua comparazione delle tendenze per il catalogo della mostra organizzata dall’Allianz nel 1942, Max Bill definisce i surrealisti “un gruppo passivo, che attinge dal suo tempo, nei confronti del quale è spesso critico, e che dipinge rovine”, mentre definisce i concretisti “un gruppo che pianifica e costruisce oltre il presente”. Ciò porta auna completa ritirata dei surrealisti – primi tra tutti gli artisti basilesi. Matheson richiama l’attenzione sulla discrepanza tra le strutture organizzative dell’Allianz e della Gruppe 33 : mentre negli anni di guerra l’Allianz limita le proprie attività ai membri del consiglio direttivo, prediligendo così – anche se indirettamente – l’arte concreta, la Gruppe 33 coltiva una cultura dell’inclusione e dell’unione tra membri e appassionati d’arte, organizzando feste pubbliche e creando occasioni di incontro. L’Allianz si adopera poco in questa direzione, anche a causa delle difficoltà finanziarie. Alcuni artisti non appartengono a nessuno dei due gruppi dominanti, come Max von Moos o Otto Tschumi e preferiscono lavorare lontano dalla luce dei riflettori.

(Ri)scoperte e trasformazioni Nel 1937, Meret Oppenheim (1913–1985) lascia Parigi per tornare a Basilea. A determinare tale scelta sono soprattutto le ristrettezze finanziarie, ma anche i sintomi di un forte stato depressivo e di una crisi creativa. L’impressione di non essere considerata alla pari in una comunità artistica dominata dagli uomini la turba molto e questa sensazione di discriminazione continuerà anche dopo il suo ritorno in Svizzera. La sua prima mostra personale, che organizza lei stessa quando ancora è a Parigi, ha luogo nel 1936 alla galleria Schulthess di Basilea. All’esposizione la stampa reagisce con commenti derisori: “Meno dissolutezza, più obiettività e una maggiore dimestichezza con i colori, ecco cosa vogliamo consigliare alla piccola Meret”. Il dipinto Steinfrau (Donna di pietra , cfr. Fig. 117),

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realizzato nel 1938, è un sintomo della pietrificazione interiore che Meret Oppenheim percepisce come arista quando, alla fine degli anni Trenta, lascia lo spirito liberale della metropoli francese per rientrare nell’angusta Svizzera. L’immagine mostra una donna con il corpo composto da sassi che giace su una spiaggia. Le gambe snelle – che calzano scarpe col tacco a spillo – lambite dai frangenti del mare, costituiscono l’ultima parte del corpo ancora risparmiata dalla metamorfosi che, pietrificandolo, ha già irrigidito l’intero busto. Al di là della sua situazione personale, il processo di pietrificazione potrebbe essere, per Meret Oppenheim come già per Max von Moos (cfr. Fig. 118), metafora della situazione sociopolitica “pietrificata”: nel 1938 la guerra è ormai alle porte. Come valvola di sfogo contro la sensazione di isolamento di fronte alla chiusura dei confini, gli abitanti di Basilea si tuffano nei piaceri conviviali e nelle celebrazioni carnevalesche. Tra feste, giochi e mascherate, Meret Oppenheim non solo si distrae, ma trova persino stimoli artistici, tanto che approfondisce i suoi contatti con la Gruppe 33 . Durante e subito dopo la guerra realizza solo pochi lavori, tra i quali alcune opere fondamentali in cui riprende motivi e temi già affrontati in passato, ad esempio il dipinto Einige der ungezählten Gesichter der Schönheit (Alcuni degli innumerevoli volti della bellezza , Fig. 119), datato 1942 e esposto nello stesso anno alla mostra dell’Allianz . Una figura femminile fantastica – certamente un alter ego dell’artista stessa – seduta sopra un ceppo d’albero in mezzo a una rigogliosa vegetazione, è colta mentre si sta trasformando in un’entità arborea e, allo stesso tempo, in una “femme maison”, una dimora corporea. La metamorfosi ha luogo in uno scenario onirico e dalla testa emerge un paesaggio bizzarro. Molti degli elementi inscenati sono topoi ben conosciuti: la figura acefala, il coniglio simbolo dell’irrazionale, il cherubino, la nube. L’essere ibrido ricorda chiaramente un cadavre exquis . Meret Oppenheim pratica la trasposizione dell’idea in atto creativo attraverso diversi disegni, cadavre exquises e testi che scaturiscono dalla scrittura automatica. La fine della crisi e l’inizio di una seconda carriera si delineano solo negli anni Cinquanta a Berna, dove Meret Oppenheim vive con il marito, il commerciante Wolfgang La Roche, fino alla morte di quest’ultimo nel1967. Partecipando alla vita culturale del luogo scopre nuove forme espressive nel disegno, nella pittura e nell’arte oggettuale e prende le distanze dalle figurazioni erotiche, cariche di fantasia, dell’opera giovanile per concentrarsi maggiormente sull’astrazione. Rimane tuttavia fedele alla sua inclinazione al feticcio e al gusto surrealista dei contrasti, soprattutto nei suoi assemblaggi di oggetti (Fig. 122). Il surrealismo offre al bernese Otto Tschumi (1904–1985), fantasioso e amante della sperimentazione, il quadro ideale per dare sfogo alla sua passione quasi maniacale per i disegni, i collage, i dipinti e non da ultimo i testi. Matthias Frehner definisce Tschumi un “surrealista del quotidiano”, che trae ispirazione da ciò che lo circonda e non da ciò che è spettacolare. La sua opera giovanile degli anni Venti si contraddistingue per un linguaggio formale cubista che ricorda Picasso e Klee. Già in quegli anni s’interessa al corpo umano e alla sua raffigurazione nello spazio. Affascinato da tutto ciò che è assurdo e inquietante, smembra corpi e oggetti e li distorce, collocandoli in prospettive insolite. Prologo surrealista ante litteram, nel 1923 esce la serie delle Fantasmagorie , una cartella di dieci litografie. In oscure vedute cittadine notturne o in interni nascosti come in una Sterbezimmer (Camera mortuaria ) o in un Atelier des Alchemisten (Atelier dell’alchimista ), terrori ancestrali dell’uomo come la paura della morte si combinano con misteriose immagini oniriche di gabbie vitree e creature mostruose (Fig. 124). Nel 1925 Tschumi si reca per la prima volta a Parigi, dove abiterà successivamente tra il 1936 e il 1940. Qui conosce i surrealisti Max Ernst e Salvador Dalí, frequenta Alberto Giacometti, Hans Arp e Meret Oppenheim. Rientrato a Berna a causa della guerra avrà nostalgia di Parigi per tutta la vita. Nell’ambiente artistico bernese Tschumi è considerato un originale, un solitario, che non ama esporre le proprie opere insieme ad altri artisti, eppure figura in alcune delle collettive più importanti. A partire dalla metà degli anni Trenta, realizza le sue composizioni utilizzando un linguaggio formale organico, amorfo, caratterizzato da forti contrasti di luce e giochi d’ombra (Fig. 125). Animali intrecciati, acrobati, città fantasma e il motivo ricorrente di scafi e relitti di navi sembrano fondersi tra loro o bruciare in un insieme organico. Tschumi riesce a individuare l’assurdo, l’incomprensibile e l’inquietante anche in ciò che è apparentemente innocuo. Se però si paragonano alle rappresentazioni apocalittiche di grande formato di Max von Moos, persino le visioni più oscure di Tschumi sono percepite come danze leggiadre (Fig. 126).

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L’arte figurativa di Tschumi è in costante dialogo con la letteratura, scrive diari, compone poesie e testi in prosa, nei quali gioca con la lingua e a cui abbina disegni e silografie. Inoltre illustra le sue opere preferite, tra le quali Moby Dick o la balena , di Hermann Melville (Zurigo 1942), Il ragno nero di Geremia Gotthelf (Zurigo, 1944) e i Galgenlieder di Christian Morgenstern (Köniz, 1970). Henriette Grindat (1923–1986), fotografa di Bienne, scopre il surrealismo durante il suo soggiorno a Losanna, dove segue un corso presso la rinomata scuola di fotografia di Gertrud Fehr (1943– 1946). Gioca con tecniche come la dissolvenza, la doppia esposizione e la solarizzazione. Nei suoi intriganti collage onirici, inserisce nudi e volti femminili in paesaggi irreali, cattura riflessi, combina dettagli isolati del proprio corpo con oggetti. Sulle sue immagini si posano, in modo casuale o ricercato, tracce di luce come fossero veli. In altri casi, teste di animali, bambole, maschere e recinzioni a traliccio sono illuminati e messi in risalto a tal punto che la loro presenza risulta caricata di un simbolismo mistico, soffocante, a tratti minaccioso. L’interesse per l’oggetto e per la rivelazione di aspetti inconsueti affonda certamente le sue radici nella dottrina allora diffusa del “neues sehens” di Hans Finsler. Nel 1949, Grindat espone per la prima volta le sue fotografie surrealiste a Parigi, nella libreria La Hune, a Saint-Germain. André Breton, così come Man Ray, ammira il suo lavoro. Intorno al 1950, lavora con Albert Camus e René Char al progetto per il libro La Postérité du Soleil (La posterità del sole ). In queste immagini, successivamente divenute famose, si allontana nuovamente dal surrealismo e rivolge la sua attenzione all’aspetto magico dei fenomeni luministici e naturali, ritratti principalmente con intenzioni documentaristiche. La fotografia di Grindat si colloca tra la perfezione tecnica e la gioia di sperimentare. In tal senso, il titolo del libro di Francis Pronge, illustrato da Grindat, descrive perfettamente, seppur solo per caso, l’essenza dell’artista: Träumerinder Materie (Sognatrice della materia ).

1939–40: cosa è stato e cosa resta? Nei dieci anni successivi alla prima mostra surrealista in Svizzera accadono molte cose. La battaglia condotta dagli artisti progressisti ha dato i suoi frutti, le associazioni Gruppe 33 e Allianz hanno destato l’attenzione dell’opinione pubblica. I loro membri espongono e la loro arte è oggetto di discussioni (anche se perlopiù polemiche). La Allianz continuerà ad esistere fino al 1954, in diverse costellazioni artistiche, la Gruppe 33 fino al 1970. Il successo dei surrealisti svizzeri è tuttavia modesto: all’interno dell’Allianz rimangono in secondo piano rispetto ai concretisti, a Basilea la loro produzione e la loro influenza rimangono confinate in un contesto prettamente locale e la loro presenza presso la galleria parigina Kléber nel 1950 come “les peintres bâlois” (i pittori basilesi) è da considerare un evento isolato. Raggiungono la fama internazionale soltanto quegli artisti svizzeri che vivono e lavorano all’estero, a Parigi o, durante l’occupazione francese, in provincia (Gérard Vulliamy), oppure in esilio a New York (Kurt Seligmann, Isabelle Waldberg, Sonja Sekula). In Svizzera lo scambio vivace e proficuo tra artisti e intellettuali, che gli svizzeri avevano sperimentato all’estero, ha luogo solo in piccoli circoli locali. Al contrario dei colleghi francesi, gli artisti svizzeri interpretano il surrealismo soprattutto come forma di espressione, priva di contenuti politici, il che non significa che il surrealismo svizzero non si confronti in modo critico con gli avvenimenti storici. Abt, Wiemken, von Moos, Maass: tutti traggono dagli anni Trenta e dagli anni della guerra, caratterizzati da grandi tensioni e da tetri presagi, l’ispirazione e la forza che trasferiscono nelle loro immagini. Se si trattasse di riassumere un “surrealismo svizzero”, non bisognerebbe soltanto ricercare le caratteristiche tipicamente elvetiche di una convivenza consensuale, ma piuttosto sottolineare il rapporto non dogmatico con alcuni aspetti del surrealismo ripresi e individuati autonomamente. Questo vale, ovviamente, per la maggior parte degli artisti legati al surrealismo, non soltanto per gli svizzeri. La propensione del surrealismo ad attingere alle forme espressive più disparate nell’ambito dell’arte figurativa è quindi uno dei suoi elementi costitutivi: non è, infatti, uno stile particolare la cifra che caratterizza il surrealismo, quanto piuttosto l’atteggiamento artistico che lo permea.

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