Roma, I Papi E Il Vicario Dalla Grande Guerra Alla Crisi Del ’31
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DOTTORATO DI RICERCA IN STORIA CONTEMPORANEA XXIII CICLO Roma, i papi e il vicario dalla grande guerra alla crisi del ’31 Michele Manzo Tutor: Coordinatore: professore professore Roberto Morozzo Della Rocca Mario Belardinelli Anno Accademico 2010/2011 INTRODUZIONE Roma è cattolica. Sembra un’affermazione ovvia, incontrovertibile, scontata. Roma è la città sede del papato, culla del cristianesimo sin dai primi secoli, meta di pellegrinaggi di fedeli provenienti da tutti i luoghi del mondo. Storicizzando tale affermazione nel corso del Novecento se ne riscontrano espressioni ampiamente condivise come quelle delle processioni cittadine nel corso del ventennio fascista, dell’opposizione silenziosa al regime d’occupazione tedesca nell’inverno 43-44, delle manifestazioni di massa del secondo dopoguerra, sino all’accoglienza festosa dei partecipanti alle assemblee conciliari del Vaticano II. Eppure Roma all’inizio del secolo non era poi così cattolica, almeno in quanto alla libera manifestazione della fede cristiana, alla ‘visibilità’ di una pratica religiosa pur esistente ma ricondotta nel privato e nel chiuso degli edifici sacri. La conquista italiana del 1870 e la successiva reazione di chiusura da parte del Vaticano, avevano provocato a lungo andare un certo isolamento delle istanze cattoliche all’interno della città. “Con il 20 settembre 1870 - afferma Andrea Riccardi –, nasce un’altra Roma rispetto alla città dei papi”1. Con ciò non s’intende che la popolazione perda di colpo la sua tradizionale fede cristiana. “Roma – conviene Giacomo Martina - in sostanza va assumendo la fisionomia di una città non meno religiosa di prima, ma certamente meno clericale, più laica”2. La scelta separatista nei rapporti tra Stato e Chiesa, infatti, comporta una certa distanza tra le ‘due Rome’. “Con ogni probabilità – continua Martina –, il vero mutamento del volto religioso della città deve collocarsi qualche anno più tardi, in relazione al forte incremento urbanistico e demografico, di cui il 1870-71 segna appena l’inizio”3. In una relazione ecclesiastica di fine secolo la città, “reina del cattolicismo”, viene descritta come caduta in un “abisso” ad opera “delle sette in- sediatevisi al potere all’ombra del governo rivoluzionario d’Italia”4. La condizione del clero si era andata deteriorando, al punto che diverse parrocchie “non sono rette che dal povero parroco ajutato da un misero e gramo prete che si chiama vice- parroco, molte volte ignorante di latino e mezzo imbecille”5. Tra gli avvisi utili ai pellegrini dell’Anno Santo 1900 si suggeriva di non girare per le vie cittadine con segni evidenti di appartenenza alla fede cristiana6. Sarebbe stato meglio, inoltre, non farsi sorprendere in città nella giornata speciale del 20 settembre, trentesimo anniversario della breccia di Porta Pia, tanto che il pellegrinaggio bergamasco del quale faceva parte il chierico Angelo Roncalli ripartì da Roma il giorno precedente7. 1 A. Riccardi, La vita religiosa, in Roma capitale. Storia di Roma dall’antichità a oggi (a cura di V. Vidotto), Roma-Bari, Laterza, 2002, p. 269. 2 G. Martina, Roma, dal 20 settembre 1870 all’11 febbraio 1929, in Storia d’Italia. Annali 16. Roma, la città del papa (a cura di L. Fiorani e A. Prosperi), Torino, Einaudi, 2000, p. 1073. 3 Ibidem, pp. 1073-1074. 4 Annotazioni riservate sopra il riordinamento della curia vicariale e clero secolare. Omaggio a Mgr. Giulio Lenti patriarca di Costantinopoli e vicegerente di Roma, allegato a F. Iozzelli, Una relazione di Domenico Jacobini sulla riforma del clero romano dopo il 1870, in ‘Ricerche per la storia religiosa di Roma’, 7, 1988, p. 368. 5 Ibidem, p. 381. 6 Cfr. G. Buffon, I giubilei del XIX secolo, in Giubilei e Anni Santi. Storia, significato e devozioni (a cura di L. Mezzadri), Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 1999, p. 242. 7 Sul pellegrinaggio bergamasco cui partecipava il giovane Roncalli cfr. D. Sterpos, Il viaggio 2 In quel fatidico giorno i responsabili del comitato organizzatore dell’Anno Santo (presieduto da quel mons. Radini Tedeschi che poi chiederà a Roncalli di fungere da suo segretario nel 1905, una volta ricevuta la nomina a vescovo di Bergamo) temevano lo scatenarsi dei gruppi anticlericali con aggressioni a sedi e persone cat- toliche, come già avvenuto altri anni nella stessa data. Nel corso dei trent’anni, inoltre, la città non era più la stessa di prima. Un’altra Roma si era aggiunta a quella precedente8. La popolazione era raddoppiata e la parte immigrata non corrispondeva all’identità dei vecchi romani. Altri quartieri si erano aggiunti a ridosso delle mura aureliane, come l’Esquilino, Prati e Testaccio. Un’altra idea di Roma si era fatta presente con la venuta dello Stato italiano. Anche l’amministrazione capitolina, pur nelle mani del cosiddetto blocco clerico-mode- rato, si era piegata a volte alle istanze contrapposte a quelle del mondo cattolico. Il sindaco Torlonia era stato rimosso per essersi recato in visita presso il cardinal vicario. Erano stati eretti il monumento a Garibaldi sul Gianicolo e la statua di Gior- dano Bruno a Campo de’ Fiori. Le forze anticlericali espandono la loro influenza ai primi del Novecento. Si moltiplicano le sedi e le attività dei circoli massonici. Dal 1907 al 1913 la vittoria del blocco popolare porta alla carica di sindaco lo stesso capo della massoneria, Ernesto Nathan. Alle quattro basiliche cristiane meta dei pellegrini durante l’Anno Santo s’intendono sostituire le quattro basiliche laiche simbolo dell’anti-giubileo: Porta Pia, il Gianicolo, il Campidoglio e il Pantheon. Viene costruita la chiesa valdese in piazza Cavour. “Oltre la questione dello statuto del papa nella capitale – conclude Riccardi -, uno soprattutto era il problema, quel- lo della rilevanza della religione cattolica nella vita pubblica della città e in quella privata dei suoi cittadini”9. Quando, dunque, Roma torna più vicina alla libera espressione delle istanze cat- toliche? Quali sono i modi e i tempi del processo di riacquisizione della dimensione visibile dell’identità cristiana che Roma aveva ridotto progressivamente tra la fine dell’Ottocento ed il primo decennio del Novecento e che poi riemerge nelle mani- festazioni religiose degli anni Venti e Trenta, fino alla definizione solenne di ’città sacra’ che avviene con la Conciliazione? Cosa fa l’autorità ecclesiastica per avviare e favorire tale processo, in modo da ottenere la piena visibilità della fede cattoli- ca nella città dei papi? Chi sono inoltre i responsabili dell’atteggiamento assunto dalla Chiesa rispetto alla città, i papi o il loro vicario? Come si dipana il rapporto tra di loro, tra governo ecclesiastico centrale e locale presenti entrambi nella stessa Roma? Quanto spetta all’uno e quanto all’altro? Che importanza assume il compito di vescovo di Roma per le due personalità presenti sul soglio pontificio in questo periodo, Benedetto XV e Pio XI? Quali analogie e differenze si possono cogliere tra loro nel modo di interpretare le esigenze della diocesi e della città di Roma, visti anche i diversi contesti socio-politici in cui si trovano, l’uno dominato dalla grande guerra e l’altro dal regime totalitario fascista? Tali sono le domande a cui cerca di rispondere il presente lavoro, che si assegna dunque il compito centrale di dipanare l’azione dell’autorità ecclesiastica, centrale e periferica insieme, nell’opera di riconquista dello spazio cittadino nell’arco di quasi un ventennio, dal ’14 al ’31. Le precedenti ricerche storiche sull’azione della Chiesa a Roma, infatti, lasciano un varco vuoto proprio tra il 1914, data in cui termina il periodo del pontificato di Pio X analizzato da Fortunato Iozzelli10, ed il 1922, anno verso Roma, in Dodici grandi a Roma, Quaderni di ‘Autostrade’, 20, 1971, pp. 189-196. 8 Cfr. V. Vidotto, Roma contemporanea, Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. 72-118. 9 Riccardi, La vita religiosa, p. 280. 10 F. Iozzelli, Roma religiosa all’inizio del Novecento, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1985. 3 da cui prende avvio la ricerca di Luigi Fiorani sulla figura di Pio XI11. All’assenza di studi storici sulla funzione di vescovo di Roma da parte di Benedetto non supplisce neppure Antonio Scottà nella sua recente e ben articolata opera su Della Chiesa12, così come del resto fa Ives Chiron a proposito di Pio XI13. Il periodo di vuoto, nelle analisi storiche, corrisponde alla presenza sulla cattedra di Pietro di Benedetto XV, un papa ancora ‘sconosciuto’ la cui azione da vescovo di Roma questa ricerca cerca primariamente di dar luce. L’azione di Pio XI nei confronti della chiesa e della città di Roma, invece, è stata oggetto di alcuni notevoli studi, quello già detto di Luigi Fiorani e quello di Andrea Riccardi14, ben documentati, che non potevano però contare sul materiale messo a disposizione dalla recente apertura degli archivi vaticani fino a tutto il pontificato di Achille Ratti. Le biografie dei due pontefici, pur molteplici, manca- no ordinariamente dell’esame di questa dimensione episcopale, secondaria rispetto a quella internazionale ma dall’alto senso simbolico e paradigmatico. ‘Cosa ha fatto’ un pontefice per Roma, la città di cui è pur vescovo, non può essere indifferente per un giudizio sull’opera e la personalità dello stesso pontefice. Non si può tuttavia esagerare con la possibilità dei pontefici di realizzare il loro pur lodevole intento episcopale riguardo Roma. Sarebbe illusorio ed errato parago- nare la potestà di un papa su Roma con quella di un vescovo con la propria diocesi. Andrea Riccardi sostiene da tempo che la Roma cattolica è “una realtà complessa da governare per l’accavallarsi delle influenze e delle competenze”15. Roma è com- plessa come città, coincidendo con la capitale di uno Stato e del suo apparato di governo, ma anche più complessa come diocesi, coincidendo con la sede interna- zionale della confessione cattolica. La presenza delle congregazioni vaticane con lo stuolo di impiegati ecclesiastici e alti prelati, la residenza delle curie generalizie di tutti gli ordini religiosi, la titolarità delle chiese da parte dei tanti cardinali, portano con sé tali e tanti regimi di esenzione dall’autorità diocesana che alla fine il raggio di azione del Vicariato rimane davvero esiguo.