CENTRO ALTI STUDI CENTRO MILITARE PER LA DIFESA DI STUDI STRATEGICI

Marco Di Liddo

Jihadismo e identità etnica fulani. Analisi del rapporto tra mobilitazione jihadista nel Sahel e le istanze indipendentistiche fulani in ottica transazionale

(Codice AO-CC-03) Il Centro Militare di Studi Strategici (Ce.Mi.S.S.), costituito nel 1987 e situato presso Palazzo Salviati a Roma, è diretto da un Generale di Divisione (Direttore), o Ufficiale di grado equivalente, ed è strutturato su due Dipartimenti (Monitoraggio Strategico - Ricerche) ed un Ufficio Relazioni Esterne. Le attività sono regolate dal Decreto del Ministro della Difesa del 21 dicembre 2012.

Il Ce.Mi.S.S. svolge attività di studio e ricerca a carattere strategico-politico-militare, per le esigenze del Ministero della Difesa, contribuendo allo sviluppo della cultura e della conoscenza, a favore della collettività nazionale.

Le attività condotte dal Ce.Mi.S.S. sono dirette allo studio di fenomeni di natura politica, economica, sociale, culturale, militare e dell'effetto dell'introduzione di nuove tecnologie, ovvero dei fenomeni che determinano apprezzabili cambiamenti dello scenario di sicurezza. Il livello di analisi è prioritariamente quello strategico.

Per lo svolgimento delle attività di studio e ricerca, il Ce.Mi.S.S. impegna: a) di personale militare e civile del Ministero della Difesa, in possesso di idonea esperienza e qualifica professionale, all'uopo assegnato al Centro, anche mediante distacchi temporanei, sulla base di quanto disposto annualmente dal Capo di Stato Maggiore dalla Difesa, d'intesa con il Segretario Generale della difesa/Direttore Nazionale degli Armamenti per l'impiego del personale civile; b) collaboratori non appartenenti all'amministrazione pubblica, (selezionati in conformità alle vigenti disposizioni fra gli esperti di comprovata specializzazione).

Per lo sviluppo della cultura e della conoscenza di temi di interesse della Difesa, il Ce.Mi.S.S. instaura collaborazioni con le Università, gli istituti o Centri di Ricerca, italiani o esteri e rende pubblici gli studi di maggiore interesse.

Il Ministro della Difesa, sentiti il Capo di Stato Maggiore dalla Difesa, d'intesa con il Segretario Generale della difesa/Direttore Nazionale degli Armamenti, per gli argomenti di rispettivo interesse, emana le direttive in merito alle attività di ricerca strategica, stabilendo le lenee guida per l'attività di analisi e di collaborazione con le istituzioni omologhe e definendo i temi di studio da assegnare al Ce.Mi.S.S..

I ricercatori sono lasciati completamente liberi di esprimere il proprio pensiero sugli argomenti trattati, il contenuto degli studi pubblicati riflette esclusivamente il pensiero dei singoli autori, e non quello del Ministero della Difesa né delle eventuali Istituzioni militari e/o civili alle quali i Ricercatori stessi appartengono.

CENTRO ALTI STUDI CENTRO MILITARE PER LA DIFESA DI STUDI STRATEGICI

Marco Di Liddo

Jihadismo e identità etnica fulani.

Analisi del rapporto tra mobilitazione jihadista nel Sahel e le istanze indipendentistiche fulani

in ottica transazionale

(Codice AO-CC-03)

Jihadismo e identità etnica fulani. Analisi del rapporto tra mobilitazione jihadista nel Sahel e le istanze indipendentistiche fulani in ottica transazionale

NOTA DI SALVAGUARDIA

Quanto contenuto in questo volume riflette esclusivamente il pensiero dell’autore, e non quello del Ministero della Difesa né delle eventuali Istituzioni militari e/o civili alle quali l’autore stesso appartiene. NOTE

Le analisi sono sviluppate utilizzando informazioni disponibili su fonti aperte.

Questo volume è stato curato dal Centro Militare di Studi Strategici

Direttore f.f. Col. AArnn (Pil.) Marco Francesco D’ASTA

Vice Direttore - Capo Dipartimento Ricerche Col. c.(li.) s.SM Andrea CARRINO

Progetto grafico Massimo Bilotta - Roberto Bagnato

Autore Marco Di Liddo

Stampato dalla tipografia del Centro Alti Studi per la Difesa

Centro Militare di Studi Strategici Dipartimento Ricerche Palazzo Salviati Piazza della Rovere, 83 - 00165 – Roma tel. 06 4691 3205 - fax 06 6879779 e-mail [email protected]

chiusa a ottobre 2019

ISBN 978-88-31203-24-1

INDICE

Sommario 6

Abstract 8

Acronimi 10

Introduzione 11

I Le vulnerabilità del mosaico saheliano 14

II Il popolo Fulani: storia, cultura, politica e società 20

II.I Storia 20 II.I.I Dalle origini all’Alto Medioevo 20 II.I.II L’islamizzazione e la diffusione nel Sahel 23 II.I.III I Jihad Fulani: ascesa e caduta degli emirati 25 II.II.IV L’epoca coloniale e post-coloniale 32 II.II Cenni etnologici, lingua e distribuzione geografica 36 II.III Organizzazione sociale, cultura e codice morale 38 II.IV Attività economiche, ruolo e percezione politica 40 III La proliferazione jihadista nel Sahel 45

III.I Dal Nord Africa al Sahel 45 III.II L’esplosione dell’insurrezione jihadista nel 2010 – 2012 47 III.III i principali gruppi jihadisti del Sahel 49 IV I Fulani e il jihadismo 53

IV.I Le ragioni della radicalizzazione dei Fulani 53 IV.II I principali movimenti jihadisti a partecipazione Fulani 57 Conclusioni e tendenze evolutive 70

Bibliografia 76

NOTA SUL Ce.Mi.S.S. e NOTA SULL’AUTORE 82

5 Sommario

L’obbiettivo di questo lavoro è indagare il rapporto tra l’identità etnica del popolo Fulani1, le sue rivendicazioni politiche e la mobilitazione jihadista2 nel Sahel. Per fare questo, nel primo capitolo, il presente elaborato innanzitutto offre una rapida panoramica su quelle che sono le principali sfide e vulnerabilità economiche, sociali, politiche e securitarie odierne nella regione del Sahel, al fine di descrivere il contesto geopolitico in cui i Fulani vivono e si sviluppano. Infatti, essendo i fattori di radicalizzazione dei Fulani fortemente legati alla precarietà delle condizioni economiche e alle lacune di governance del Sahel, la loro enunciazione, seppur sommaria, appare irrinunciabile. Successivamente, nel secondo capitolo, l’analisi si concentra in una approfondita descrizione della storia del popolo Fulani, delle sue peculiarità economiche, linguistiche, antropologiche e del diverso ruolo politico che assumono in , Nigeria, Niger e Burkina Faso. Infatti, per la definizione dell’identità Fulani, è imprescindibile la conoscenza di tutti i fattori pluridisciplinari che caratterizzano la visione che questo popolo ha di se stesso e che gli altri popoli hanno nei suoi confronti. Inoltre, visto che la propaganda jihadista, in alcuni casi, attinge pienamente alla memoria storica fulani, la sua rievocazione appare funzionale alla comprensione del collegamento tra l’ideologia radicale islamista e il simbolismo condiviso di quel popolo. Nel terzo capitolo sono passati in rassegna i principali gruppi jihadisti del Sahel, evidenziandone la parabola storica e la progressiva crescita di influenza nella regione. Tale approfondimento risulta indispensabile per comprendere tattiche, strategie, modus operandi e narrative utilizzate dai movimenti terroristici per aumentare la propria legittimità sociale e, di conseguenza, il proprio potere sul territorio. L’impianto teorico ed i dati elaborati nei primi tre capitoli conducono all’ultimo che, analizzando le informazioni raccolte, evidenzia i fattori economici, politici, sociali e ideologici alla base della radicalizzazione e all’adesione a movimenti estremisti da parte della comunità fulani. Tale analisi si sviluppa su due livelli: uno generale, che evidenzia i fattori comuni in tutta la regione del Sahel, ed uno particolare che indaga i singoli casi in Mali, Niger, Nigeria e Burkina Faso.

1 Nel presente lavoro, il termine Fulani sarà utilizzato con la lettera maiuscola se riferito al nome proprio del popolo, mentre con la lettera minuscola se usato come aggettivo. 2 Nel presente lavoro, con il termine jihadismo ci si riferisce al jihadismo salafita così definito dalla grande maggioranza della comunità di accademici, analisti ed esperti di terrorismo di matrice islamista. Un gruppo è definito come jihadista salafita quando sottolinea l'importanza di tornare a un Islam "puro", quello dei cosiddetti Salaf, i pii antenati. In secondo luogo, il gruppo ritiene che la jihad violenta sia il fard 'ayn (un dovere religioso personale), al pari degli altri obblighi religiosi (elemosina, pellegrinaggio alla Mecca, preghiera rituale, digiuno del Ramadan e professione di fede). 6 Infine, nella sezione finale dedicata alle conclusioni, saranno riassunti i punti salienti dell’analisi e saranno tracciate le possibili linee evolutive del fenomeno jihadista fulani. Il reperimento dei dati si è basato sulla ricerca in fonte aperta, attingendo a riviste specializzate, articoli di giornale, documenti ufficiali di governi, organizzazioni internazionali ed ONG. Uno spazio rilevante è stato riservato a pubblicazioni accademiche caratterizzate da ricerche sociologiche dedicate ai Fulani ed effettuate con interviste e rilevazioni nei Paesi di interesse. Inoltre, nella selezione delle fonti è stato seguito un criterio di bilanciamento tra autori africani ed autori non africani al fine di equilibrare, per quanto possibile, i diversi punti di vista ed evitare pregiudizi ed altri ostacoli cognitivi e gnoseologici.

7 Abstract

The aim of this research is to investigate the relationship between the Fulani people’s ethnic identity, its political claims and the jihadist mobilization in the Sahel. To do this, in the first chapter, this paper firstly gives a quick overview of the main economic, social, political and security challenges and vulnerabilities in today Sahel region, in order to describe the geopolitical context in which the Fulani live and develop. In fact, since Fulani's factors of radicalization are strongly linked to the precariousness of economic conditions and to the lack of governance in the Sahel, their statement, albeit brief, appears to be indispensable. Subsequently, in the second chapter, the analysis focuses on an in-depth description of the history of the Fulani people, of its economic, linguistic, anthropological peculiarities and of the different political role they assume in Mali, Nigeria, Niger and Burkina Faso. In fact, for the definition of the Fulani identity, it is indispensable to strengthen the knowledge of all the multidisciplinary factors that characterize the vision that this people has of itself and that other peoples have towards it. Moreover, given that jihadist propaganda, in some cases, fully draws on Fulani's historical collective memory, its re-enactment appears functional to understanding the connection between radical Islamist ideology and the shared symbolism of that people. The third chapter explores the main jihadist groups in the Sahel, highlighting their historical parabola and their progressive growth of influence in the region. This in-depth analysis is essential to understand tactics, strategies, modus operandi and narratives used by terrorist movements to increase their social legitimacy and, consequently, their power on the territory. The theoretical framework and the data elaborated in the first three chapters lead to the last that, analysing the information gathered, highlights the economic, political, social and ideological factors at the base of radicalization and adherence to extremist movements by the Fulani community. This analysis is developed on two levels: a general one, which highlights the common factors throughout the Sahel region, and a particular one that investigates the individual cases in Mali, Niger, Nigeria and Burkina Faso. Finally, in the final section dedicated to the conclusions, the salient points of the research will be summarized and the possible evolutionary lines of the Fulani jihadist phenomenon will be traced. Data retrieval is based on open source research, drawing on specialized journals, newspaper articles, official papers from governments, international organizations and NGOs. A relevant space is reserved for academic publications characterized by sociological 8 research dedicated to the Fulani and carried out with interviews and surveys in the countries of interest. Moreover, in the selection of the sources, it has been applied a balancing criterion of choice between African authors and non-African authors in order to equipoise, as far as possible, the different points of view and avoid prejudices and other cognitive and gnoseological obstacles.

9 Acronimi a.C. – avanti Cristo AQMI – Al-Qaeda nel Maghreb Islamico FIS – Fronte Islamico di Salvezza FLM – Fronte di Liberazione di Macina GSIM – Gruppo per la Salvaguardia dell’Islam e dei Musulmani GSPC – Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento HDI – Human Development Index MINUSMA – Missione Multidimensionale Integrata delle Nazioni Unite per la Stabilizzazione del Mali MNLA – Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad MUJAO – Movimento per l’Unicità di Dio e il Jihad in Africa Occidentale SIAO – Stato Islamico in Africa Occidentale SIGS – Stato Islamico nel Grande Sahara UNDP - United Nations Development Program

10 Introduzione

Quando durante la guerra civile maliana del 2012-2015 è stata registrata la massiccia partecipazione di miliziani fulani tra le fila del movimento jihadista MUJAO, la maggior parte degli osservatori ha giudicato l’avvenimento come il semplice avventurismo speculatorio di gruppi armati minori intenzionati a massimizzare benefici di breve periodo. Allo stesso modo, i predicatori islamisti radicali fulani che nel decennio precedente avevano percorso in lungo e in largo il Sahel, diffondendo il verbo jihadista tra le comunità più vulnerabili della regione, erano stati etichettati come figure di secondo piano nella galassia qaedista africana. In sintesi il loro tasso di pericolosità era giudicato poco elevato e le attenzioni della Comunità Internazionale erano rivolte agli algerini e, parzialmente, ai Tuareg in rivolta nel nord del Mali. Sempre nel 2015, sigle come il FLM e Ansarul Islam apparivano oscure al pari del loro connettore regionale, il GSIM, visto come un tentativo qaedista di rebranding avente lo scopo di contrastare l’ascesa mediatica e d’immagine dello Stato Islamico. La sottostima del pericolo della radicalizzazione dei Fulani è cambiata radicalmente proprio a partire dalla fine del 2015, precisamente il 20 novembre. Quel giorno, infatti, la capitale maliana Bamako è stata colpita dal più grave attentato terroristico della sua storia. Un attacco che ha dimostrato un elevato livello di sofisticazione e che ha preso di mira i cosiddetti soft target, ossia i luoghi pubblici frequentati da cittadini occidentali e scarsamente protetti. A rivendicare l’attacco è stato proprio il FLM che, così, usciva dall’anonimato impostogli dai media e saliva alla ribalta del dibattito pubblico e specialistico globale. Allo stesso modo, nei tre anni successivi (2016, 2017, 2018) elementi del FLM e di Ansarul Islam partecipavano agli attacchi del GSIM nella capitale burkinabè Ouagadougou. Nell’ottobre del 2017, il SIGS, branca saheliana di Daesh formata prevalentemente da miliziani fulani, attaccava una pattuglia congiunta nigerino-statunitense presso il villaggio di Tongo Tongo, causando la morte di 4 Berretti Verdi. Sempre nel triennio in questione, in Mali, Burkina Faso, Niger e Nigeria si moltiplicavano esponenzialmente i casi di violenza etnica e settaria su base sociale. Ancora una volta, i protagonisti erano i Fulani, questa volta opposti a due dei loro nemici giurati, ossia i pastori Tuareg e gli agricoltori sedentari. La possente ondata di attentati terroristici nel Sahel iniziata dopo le Primavere Arabe, la caduta del regime di Gheddafi in Libia e la guerra civile maliana ha origini ben più antiche ed affonda le sue radici nella grande fuga dei miliziani del GSPC dopo la loro disfatta contro le Forze Armate di Algeri all’inizio degli Anni 2000. La diffusione del messaggio jihadista nel Sahel, la creazione di emirati de facto all’interno delle sue regioni più remote e la cooptazione dei Fulani sono stati resi possibili dalla commistione di più fattori profondi,

11 rispetto ai quali la crisi maliana e quella libica hanno funto da semplici moltiplicatori e acceleratori. Il primo fattore è inevitabilmente economico. Nel Sahel sono collocati alcuni dei Paesi più poveri al mondo, i cui sistemi produttivi e di lavoro si basano prevalentemente sull’agricoltura e sull’allevamento, soprattutto quello semi-nomade che segue le rotte cristallizzate della transumanza da secoli. Purtroppo, con l’acuirsi degli effetti del cambiamento climatico, tra i quali l’innalzamento delle temperature medie, le risorse idriche e del suolo sono gradualmente diminuite, aumentando la competizione e la conflittualità per il loro accesso e controllo. Ad esacerbare questi elementi di volatilità economica hanno contribuito alcune scellerate scelte dei governi regionali, inclini a promuovere la dispendiosa agricoltura di cash crop a scapito di tutte le altre attività del settore primario maggiormente virtuose a livello sociale. Il risultato di questa combinazione di elementi è stata che i pastori fulani, la comunità semi-nomade più numerosa al mondo, ha visto ridurre drasticamente le quantità di terreno dedicate al pascolo ed è stata costretta a cercare nuove rotte di transumanza e nuove aree per sostentare il bestiame. In uno spazio come il Sahel, caratterizzato da scarse risorse ed intensa pressione demografica, tale ricerca si è tradotta nell’aumento degli scontri tra pastori semi-nomadi fulani ed agricoltori sedentari, spesso appartenenti ad altri gruppi etnici. La conflittualità economica risulta ulteriormente aggravata dalle gravi lacune di governance che caratterizzano i Paesi della regione saheliana e dalla crisi tanto delle istituzioni statali quanto di quelle tradizionali / tribali deputate alla risoluzione pacifica delle controversie sull’uso di terra ed acqua. Infatti, nel loro complesso, queste istituzioni hanno costantemente favorito gli agricoltori, più facili da controllare e da tassare, rispetto ai raminghi pastori semi-nomadi, tradizionalmente avversi ad accettare il pagamento di gabelle sulle loro proprietà. Questa iniquità di giudizio e questa mancanza di tutela istituzionale ha aumentato la sfiducia dei Fulani nei confronti dello Stato e delle autorità tradizionali, spingendoli così ad imbracciare le armi d avviare attività politiche violente ed unilaterali. La mancanza di governance e la cattiva percezione dei Fulani nei confronti dell’Autorità si sono innestate nel più ampio risentimento che questo popolo covava da oltre 150 anni. Infatti, fino alla metà del XIX secolo, i Fulani erano il gruppo dominante nel Sahel ed avevano istituito imperi teocratici dal Mali fino al nord della Nigeria. L’avvento della colonizzazione francese ed inglese e, successivamente, la nascita di nuovi Stati indipendenti modellati su confini e costrutti legislativi ereditati dalla madrepatria avevano bruscamente interrotto questa egemonia politica ed economica. In sintesi, i Fulani erano passati da essere i dominatori ad essere la minoranza discriminata in Stati che non avevano

12 alcun legame con gli imperi che li avevano preceduti e, in qualche modo, originati. Da allora, molti esponenti della loro nobiltà avevano sognato un ritorno a quell’età dell’oro. I movimenti jihadisti del Sahel erano perfettamente consapevoli di queste dinamiche politiche, economiche, sociali, securitarie ed identitarie ed hanno usato questa consapevolezza per costruire sia narrative fortemente attrattive che risposte concrete alle esigenze dei Fulani. Nello specifico, i gruppi terroristici hanno cooptato le agende delle famiglie fulani e, laddove è stato possibile, hanno imposto sul territorio misure amministrative e giuridiche in grado di soddisfare i loro bisogni economici. In breve, sono diventati i principali protettori delle comunità fulani, aiutandola a difendere i loro diritti, integrando sue milizie claniche all’interno delle strutture addestrative e fornendo armi, educazione e servizi di welfare. In questo senso, la radicalizzazione dei Fulani, oltre ad essere l’unica via alla sopravvivenza e alla dignità, è stata funzionale al loro percorso di autodeterminazione. Anche se, ad oggi, l’azione dei gruppi jihadisti fulani ha ancora un raggio locale, nel prossimo futuro potremmo assistere ad una sua massiccia diffusione e ad un suo significativo salto di qualità. Infatti, se la radicalizzazione dei Fulani viaggia parallelamente alle cattive condizioni economiche e politiche sofferte da questa minoranza nel Sahel, le poco incoraggianti previsioni per il futuro dello sviluppo regionale lasciano pensare ad un suo aumento esponenziale. Nel momento in cui si scrive, i Fulani chiedono soltanto terra, acqua e una “pressione fiscale” minore. Gli aneliti indipendentisti e il revanchismo nostalgico degli emirati del XIX sono soltanto un rumore di fondo volto a rinsaldare l’unità dei singoli gruppi. Tuttavia, questo non vuol dire che, nel prossimo futuro, l’ulteriore maturazione dell’agenda politica ed economica del jihadismo fulani non si traduca in una spinta maggiore alla statalizzazione.

13 I. Le vulnerabilità del mosaico saheliano

Lo sviluppo dell’identità di un popolo, compreso quello Fulani, è strettamente connessa allo spazio geografico in cui quel popolo vive. Di conseguenza, il legame tra l’identità fulani e il processo di radicalizzazione jihadista non può essere indagato e capito pienamente senza prima avere consapevolezza di quelle che sono le caratteristiche e le vulnerabilità generali della regione saheliana. Queste vulnerabilità possono essere categorizzate in economico-ambientali, politiche e securitarie. Sotto il profilo geografico, il presenta due principali caratteristiche climatiche: una stagione delle piogge all'anno e agosto come mese delle precipitazioni più elevate. L'area copre in tutto o in parte 12 Paesi africani dalla costa atlantica al Mar Rosso: Mauritania, , Gambia, Mali, Burkina Faso, Niger, Nigeria, Ciad, Sudan, Etiopia, Eritrea e Gibuti. In questo lavoro è presa in esame la parte occidentale dal Sahel, per convenzione compresa tra la costa atlantica e il confine ciadiano occidentale, ed in particolare gli Stati di Mali, Burkina Faso, Niger e Nigeria. I sette Paesi che fanno parte del Sahel occidentale sono fra quelli considerati più vulnerabili a livello globale per la fragilità dei loro sistemi socio-economici e istituzionali, per la scarsa e decrescente capacità di resilienza dei sistemi ecologici e agro-alimentari e per la conseguente insicurezza delle popolazioni a fronte dei principali rischi di shock economico e ambientale. Il basso livello di sviluppo di tali Paesi è certificato dalla maggior parte degli indicatori di sviluppo umano, come lo HDI dell’UNDP li pone tra il 145° e l’ultimo posto3. Per quanto riguarda le vulnerabilità economico-ambientali, gli Stati saheliani sono tra i più poveri al mondo. Basti pensare che il più ricco di essi, il Senegal, risulta essere il 32° Paese più povero al mondo, mentre il Niger addirittura occupa la 6ª posizione. Il PIL pro capite della regione a parità di potere d'acquisto è relativamente basso, e varia da circa 900 a meno di 3000 dollari all’anno, con l'unico reddito statale significativo derivante da risorse naturali come petrolio e minerali. Tuttavia, l'agricoltura impiega la maggior parte della forza lavoro e contribuisce fortemente al PIL. Il dato relativo alla quota di PIL attribuibile al settore agricolo colloca quattro dei sette Paesi fra i primi dieci al mondo per importanza economica dell’agricoltura, con il Ciad al primo posto (55%), Mali al quarto (42%), Niger al settimo (38%) e Burkina Faso al decimo (35%). Anche per i rimanenti, la quota fra il 16% e il 20% risulta elevata e supera ampiamente la media mondiale, di poco al di sopra del 3%, ed è comunque superiore anche alla media continentale che nel 2012 è stata poco sopra il 14%4.

3 Salliot, E. (2010). A review of past security events in the Sahel 1967 – 2007. OECD’s Sahel and Club Secretariat. 4 United Nation Office for West Africa and the Sahel (2018). Pastoralism and Security in West Africa and the Sahel. 14

I sistemi di produzione agricola nel Sahel

In ogni caso, si tratta di un settore altamente sottosviluppato e caratterizzato da una dipendenza quasi totale dalle piogge annuali, da un basso utilizzo di fertilizzanti e dall’assenza di meccanizzazione e di infrastrutture che agevolino i collegamenti con i mercati. A pesare sullo sviluppo delle attività agricole e, più in generale, sugli equilibri sociali della regione, è l’impatto del cambiamento climatico che qui risulta particolarmente forte. I climatologi suggeriscono che la temperatura del Sahel aumenterà da 3 a 5 gradi Celsius entro il 2050 e forse 8 gradi entro il 2100. Le precipitazioni diminuiranno e diventeranno più irregolari. La produzione agricola diminuirà da qualsiasi parte tra il 13% in Burkina Faso e q il 50% in Sudan. Le siccità ricorrenti, iniziate negli Anni 70, hanno causato ingenti perdite di

15 produzione agricola e di bestiame ed hanno avuto un elevato costo di vite umane a causa della fame, della malnutrizione e delle malattie. A rendere ancor più complicato il quadro di sviluppo e le incertezze economiche sono i tassi demografici in forte ascesa che rendono l’indisponibilità di risorse più grave. Ad oggi, la popolazione del Sahel occidentale è di circa 85 milioni di persone ed ha un indice di crescita di oltre il 4%. Questo vuol dire che, entro il 2050, nel Sahel vivranno 330 milioni di individui, la maggior parte con un’età media inferiore ai 20 anni. Il deleterio rapporto tra l’insufficienza della produzione agricola e la crescita della popolazione è pienamente riscontrabile analizzando le tendenza degli ultimi 40 anni. Ad esempio, tra la fine della siccità del 1968-73 e l'inizio degli Anni '80, la produzione di sorgo e miglio resistenti al clima arido aumentava dell'1% all'anno, ma contemporaneamente la popolazione cresceva del 2,5% circa. Il Sahel può sostenere una densità umana di solo 0,3 persone per chilometro quadrato, ma attualmente questa è di 2 persone per chilometro quadrato. La popolazione in rapida crescita richiede un aumento della produzione alimentare, ma i Paesi del Sahel hanno deciso di incoraggiare la coltivazione di cash crop5, risultando intrappolati nella rete della dipendenza dalle commodity agricole. Questo incoraggiamento è avvenuto In risposta alla pressione della popolazione urbana, con i governi saheliani che hanno tentato di mantenere artificialmente bassi i prezzi dei prodotti alimentari. Con le città che crescono a un tasso medio annuo compreso tra il 4 e il 9%, i leader della regione temono il propagarsi dell’instabilità politica in caso di crescita nel prezzo dei beni alimentari di prima necessità. Questa politica ha inevitabilmente scoraggiato la produzione per il consumo locale, spingendo gli agricoltori ad orientarsi sui cash crop. L’elevata crescita demografica, le fragilità ambientali e la scarsa performance economica potrebbero influire sull’incremento del tasso di disoccupazione, aumentando il già consistente numero di inoccupati, pari a circa il 9% della popolazione in età da lavoro. La disoccupazione, a sua volta, rappresenta il primo volano per l’adesione a gruppi criminali o terroristici che, in assenza di altre alternative credibili, rappresentano le uniche fonti di reddito e di affermazione sociale nei Paesi della regione6.

5 United Nations Economic Commission for Africa (2017). Conflict in the Sahel region and the developmental consequences. 6 International Crisis Group (2017). The Social Roots of Jihadist Violence in Burkina Faso’s North. Africa Report N°254. 16

L’emergenza alimentare nella regione del Sahel

Dalle vulnerabilità economico-ambientali derivano direttamente le vulnerabilità politiche. Gli Stati del Sahel, nati sulle ceneri degli imperi coloniali europei, sono realtà multi-

17 etniche caratterizzata da elevata iniquità, corruzione, nepotismo ed autoreferenzialità delle classi dirigenti. In quasi tutti i Paesi della regione esiste un gruppo o una coalizione di gruppi etnici dominanti, che ha diretto controllo delle risorse e della macchina statale nel suo complesso, ed un altro gruppo o un'altra coalizione di gruppi etnici che vive una situazione di subalternità, scarsa rappresentatività politica e insufficiente tutela dei propri diritti economici e civili. Questo è particolarmente vero in Nigeria, dove gli Hausa-Fulani e gli Yoruba godono di posizioni egemoni rispetto alle consistenti minoranze Kanuri, Igbo e Ijaw; in Mali, dove i Mandè dominano l’apparato statale a discapito delle minoranze Fulani e Tuareg; in Niger, dove gli Hausa costringono i Fulani ad una condizione di subalternità ed infine in Burkina Faso, dove le risorse ed il potere sono ancora nelle mani dei Mossi. Gli apparati burocratici e i sistemi politici degli Stati della regione sahelo-sahariana sono caratterizzati, in larga misura, da un rapporto sbilanciato tra centro e periferia. Le diverse realtà locali africane si sono trasformate in “periferia” attraverso un processo di marginalizzazione che ha estremizzato antiche divisioni etniche e tribali, spesso derivate dalle logiche di dominazione coloniale europea e mantenute invariate dai governi indipendenti dell’era post-coloniale. Infatti, le politiche di accentramento economico e gestionale messe in atto dalle etnie egemoni hanno fatto in modo che le regioni economicamente marginali o popolate da gruppi etnici subalterni fossero volutamente trascurate sia in termini di diritti e rappresentanza politica che in termini di accesso al sistema di welfare ed educativo pubblico. A tali lacune di governance, che rappresentano il più antico male delle amministrazioni africane, si aggiungono le difficoltà dell’apparato di sicurezza di controllare e reprimere le attività eversive e le reti criminali. Il dato più allarmante è costituito dal fatto che, in molti casi, oltre ad un deficit capacitivo, quale mancanza di adeguato addestramento, equipaggiamento e mezzi adeguati, le Forze Armate e di sicurezza di questi Paesi accusano lacune di professionalità e, vulnerabili alla corruzione, spesso collaborano con trafficanti e leader tribali locali. Lo sbilanciamento negli equilibri etnici di potere e il malgoverno delle istituzioni alimenta un profondo malcontento all’interno delle minoranze etniche che, non riuscendo a soddisfare le proprie rivendicazioni attraverso gli inefficaci canali legali, decidono di imbracciare le armi in difesa dei propri diritti economici e politici. Nel momento in cui il sottosviluppo economico incrocia la discriminazione politica su base etnica, i conflitti socio- economici assumono significati più profondi e maggiori carichi simbolici e identitari. Nel caso dei popoli della fascia saheliana, la cultura è spesso legata alla religione, secondo forme originali e sincretiche, e l’identità collettiva passa attraverso le relazioni famigliari, tribali e claniche, determinando divisioni interne agli Stati che si materializzano lungo queste

18 direttrici. La proliferazione di organizzazioni ribelli e di gruppi jihadisti autoctoni rappresenta la forma più evidente, più radicale e più violenta di manifestazione del dissenso nei confronti dei sistemi politici esistenti.

19 II. popolo Fulani: storia, cultura, politica e società

II.I Storia

II.I.I Dalle origini all’Alto Medioevo

L’origine del popolo Fulani è tutt’oggi argomento di grande dibattito all’interno della comunità scientifica a causa della generale mancanza di reperti archeologici e di documenti storici che possano offrire un adeguato supporto alle diverse e contrastanti teorie in merito7. Al momento, antropologi ed etnologi appaiono concordi soltanto nell’attribuire alle pitture rupestri del sito di Tassili n'Ajjer (6.000 a.C.) i primi segni di una cultura proto-fulani, deducibile dalle scene riguardanti l’allevamento dei bovini ed i rituali di fertilità. Per il resto, la comunità degli studiosi di divide nel supporto a due teorie principali. La prima asserisce che gli antenati degli attuali Fulani siano nati nella cosiddetta regione del Senegambia, il territorio compreso tra il fiume Senegal e il Fiume Gambia, dove convivevano con altri gruppi etnici locali, soprattutto i Soninke, e dai quali avevano appreso le tecniche dell’allevamento bovino e dell’agricoltura. Intorno al 4° millennio a.C., a causa dei cambiamenti climatici e alla progressiva trasformazione del Sahara Verde8 nell’attuale deserto del Sahara, i Fulani cominciarono a migrare verso sud e verso est alla ricerca di pascoli ed acqua per i loro armenti. Infatti, il lento e progressivo inaridimento del suolo spinse le comunità autoctone del Sahel ad intensificare e migliorare le tecniche agricole, sino ad allora disincentivate dalla generale abbondanza di risorse e dalla fertilità del suolo. Parallelamente, la cattura e la successiva domesticazione degli animali selvatici sospinse lo sviluppo dell’allevamento. In questo contesto, i Fulani predilessero le attività legate all’allevamento, entrando in competizione con le altre etnie e tribù agricole. L’espansione delle terre coltivate spinse i Fulani ad una frattura interna. Alcuni di essi, infatti, decisero di restare nella regione del Senegambia, avviando così un profondo processo di urbanizzazione e originando il gruppo dei Fulɓe Wuro (“Fulani di città”). Al contrario, altri decisero di migrare verso sud e verso est, verso gli attuali Ghana, Burkina Faso, Niger, Mali, Ciad, Algeria, Libia e addirittura Sudan, risalendo il corso dei fiumi Senegal e Gambia, alla ricerca di pascoli e terre vergini nella savana, creando il gruppo dei Fulɓe ladde (“Fulani dei cespugli”) e adottando definitivamente costumi semi-nomadi.

7 Ndukwe, I. (1996). Fulani. Heritage Library of African Peoples West Africa. 8 Nel cosiddetto “Periodo Umido Africano” (12000 – 5000 a.C.), il Sahara non era un deserto, bensì un territorio fertile, caratterizzato da rigogliosa vegetazione, ampi fiumi e laghi. A causa dei cambiamenti climatici originati da una modifica nell’orbita terrestre, le temperature in questa parte dell’Africa Occidentale cominciarono ad innalzarsi, causando un progressivo inaridimento del suolo e la nascita del moderno deserto. 20 La seconda teoria sull’origine dei Fulani è diametralmente opposta ed afferma che questo gruppo etnico sia nato dalla contaminazione e dall’unione di comunità nomadi provenienti dalla Penisola Arabica con popolazioni autoctone della regione del Senegambia dedite all’allevamento dei bovini. Dunque, il nuovo popolo e la nuova cultura ibrida e sincretica nata da questa unione avrebbe conservato i tratti nomadi della parte arabica e la tradizione economica dell’allevamento di quella africana occidentale. Tuttavia, anche in questo caso la comunità fulani si sarebbe divisa in Fulɓe Wuro e Fulɓe ladde, con il primo gruppo incline a stanziarsi in alcune aree a sud e ovest della terra natia, assorbendo gli usi e i costumi dei locali fino a fondersi con essi, ed il secondo gruppo integerrimo nel proseguire la vita semi-nomade e mantenere con più vigore i tratti della cultura originaria. Anche in questo caso, le prime ondate migratorie avvennero risalendo il corso dei fiumi Senegal e Gambia. A parziale sostegno di questa teoria sopravviene l’analisi genomica del popolo Fulani, che sancisce una profonda vicinanza ai popoli arabi e netti tratti distintivi rispetto alla famiglia etnica dei Bantu. Anche una rapida analisi visiva della fisionomia degli esseri umani di etnia Fulani permette di cogliere la differenza con le altre comunità del Sahel: infatti, il colore della pelle è leggermente più chiaro, i tratti più longilinei ed affusolati, le labbra più sottili e, nelle donne, i capelli sono lisci. Inoltre, appare significativo come la teoria delle “origini orientali” sia curiosamente supportata da uno dei miti fondativi fulani, la cosiddetta “leggenda di Uqba”9. Secondo essa, il progenitore dei Fulani fu tale Uqba, un arabo originario di Medina e contemporaneo del profeta Maometto (571 – 632 a.C.) a cui fu profetizzata una vasta discendenza che non avrebbe parlato in lingua araba. In preda alla vergogna, Uqba abbandonò la Penisola Arabica assieme a sua moglie Bajemango per rifugiarsi in Africa. Giunta nel continente africano, la coppia ebbe una figlia muta. Tre anni dopo, Bajemango diede alla luce un figlio maschio. Un giorno, mentre l’infante piangeva, sua sorella maggiore gli si avvicinò e, miracolosamente, lo calmò cantandogli una canzone in una lingua sconosciuta ai genitori. Quella lingua era il Fulfulde, l’idioma del futuro popolo Fulani. L’altro mito fondativo, al contrario, dona maggiore enfasi all’attività economica che caratterizzava originariamente questo popolo, ossia la pastorizia. Infatti secondo esso, il primo uomo fulani emerse da un fiume accanto ad una mucca. L’elemento del fiume potrebbe costituire un riferimento al Senegal, al Gambia o al Nilo, mentre quello della mucca essere legato al fatto che i Fulani sono considerati gli autori della prima domesticazione dei bovini.

9 Nissen, H., (2014). A Guide to Fulani People. Udfordringen 21 Al di là della natura mitica del racconto di Uqba, che probabilmente unisce elementi della tradizione orale fulani pre-islamica ad elementi assorbiti dalla cultura locale in seguito al processo di islamizzazione funzionali a legittimare l’appartenenza del popolo al Dar al- Islam, la leggenda sottolinea come la comunità in questione senta fortemente la propria appartenenza all’universo culturale e religioso islamico e voglia sottolineare la propria diversità e peculiarità rispetto al resto dei popoli africani della fascia saheliana. In ogni caso, con l’inizio delle migrazioni e la sedimentazione degli usi semi-nomadi e dell’allevamento bovino, i Fulani assunsero i tratti distintivi che, ancora oggi, li connotano all’interno della fascia sahariana e saheliana. Inoltre, furono essi, assieme ai Berberi e ai Tuareg, ad iniziare a tracciare ed a percorrere le famose rotte carovaniere trans-sahariane, nucleo del commercio regionale e internazionale sia all’interno dell’Africa che tra questa, l’Europa e il Medio Oriente. In virtù del fatto che il fulcro dell’attività economica dei Fulani era e resterà successivamente l’allevamento, i beni maggiormente venduti erano la carne bovina e caprina, il latte ed i prodotti caseari, utensili da lavoro e monili. Tuttavia, la conoscenza del territorio ed i continui spostamenti contribuirono a rendere le carovane fulani ottimi veicoli per il trasporto e la compravendita di beni di ogni genere, compresi sale, oro e schiavi, anche se in misura minore rispetto a Tuareg e Berberi. Infatti, la società fulani era fortemente gerarchizzata, divisa in caste e caratterizzata dall’imposizione della schiavitù sia sui confratelli che sugli appartenenti ad altri gruppi etnici10. Nel corso dei secoli successivi, il popolo Fulani continuò a diffondersi in tutta la fascia saheliana, traendo il massimo beneficio possibile dalla sua natura semi-nomadica e dalla ricchezza garantita dall’allevamento, dal commercio e dai servizi di scorta offerti alle carovane che attraversavano il Sahara ed il Sahel attraverso le rotte trans-sahariane. I Fulani stanziali fondarono alcune città o divennero l’etnia maggioritaria in altre, come Labé, Pita, Mamou e Dalaba in , Kaedi, Matam e Podor in Senegal e Mauritania, Bandiagara, , Dori, Gorom-Gorom e Djibo in Mali e Burkina Faso, Birnin Kebbi, Gombe, Yola, Jalingo, Mayo Belwa, Mubi, Maroua, Ngaoundere e Garoua in Nigeria e Cameroon, anche se i loro usi semi-nomadici contribuirono a caratterizzarli sempre come una minoranza all’interno di contesti sociali e politici più ampi e strutturati. Tuttavia, si trattò quasi sempre di una minoranza ben integrata e ben accolta dal resto della popolazione, grazie soprattutto al rapporto economico simbiotico che veniva a crearsi tra pastori e allevatori. Infatti, in un contesto generale di sufficienti risorse naturali a disposizione degli esseri umani, gli agricoltori mostravano un sincero entusiasmo verso le mandrie fulani che,

10 Njeuma, M. (2012). Fulani Hegemony in Yola (Old Adamawa) 1809-1902 22 effettuando la transumanza verso le loro terre dopo la stagione del raccolto, le concimavano, fertilizzavano e ricaricavano di nutrienti in previsione della semina successiva. Per millenni, la simbiosi economica che si accompagnava ai cicli naturali contribuiva a rendere saldo e sostanzialmente pacifico il rapporto tra agricoltori e pastori Fulani11. Fu così che i Fulani prosperarono all’interno dei maggiori regni e imperi che si susseguirono sul territorio dell’Africa occidentale, quali la civiltà di Dhar Tichitt (2000. – 500 a.C., in Mauritania), la civiltà di Djenné-Djenno (250 a.C. – 900, in Mali), l’Impero del Ghana, o Wagadou (700 – 1240, tra Mali e Mauritania), i diversi regni Mossi (1200 – 1896, tra Burkina Faso e Ghana), l’Impero del Mali, o Manden Kurufaba (1230 – 1678, tra Mali, Burkina Faso e Mauritania), l’Impero Songhai (1430 – 1591, tra Mali, Burkina Faso, Niger e Mauritania). Tutte queste civiltà, con annesse le relative realtà proto-statuali e statuali, furono costruite dalle etnie stanziali dedite prevalentemente all’agricoltura, come i Songhai e i Mandè (questi ultimi nelle loro due grandi famiglie dei Mandinka e dei Malinke).

II.I.II L’islamizzazione e la diffusione nel Sahel

Sotto il profilo politico, poco è ancora noto su quale fosse il ruolo dei Fulani negli imperi e nei conflitti tra essi che si susseguirono. Tuttavia, in questo contesto avaro di informazioni, è possibile trarre alcune tendenze sufficientemente documentate e attendibili. La prima è che continuava a sussistere una sostanziale differenza tra Fulani di città e Fulani dei cespugli, con i primi maggiormente coinvolti nelle questioni dello Stato in virtù della loro ricchezza e dell’influenza d cui godevano in alcune città. I leader delle diverse tribù fulani sparse per il Sahel strinsero alleanze diversificate e non unitarie con le loro controparti degli altri gruppi etnici a seconda dei loro diversi interessi e calcoli politici. A questo proposito, occorre sottolineare come, con il passare dei secoli, i Fulani di città avevano gradualmente perso alcune delle proprie peculiarità e, tramite la crescente pratica dei matrimoni misti e dell’adozione dei costumi locali, era diventato sempre più difficile distinguerli dagli altri gruppi etnici, eccezion fatta per la lingua ed i codici morali. Diverso è il caso dei Fulani dei cespugli che, a causa del loro accentuato semi-nomadismo, vivevano con distacco i conflitti tra imperi e la gestione dello Stato, collocandosi alla periferia delle strutture sociali urbane. Se i Fulani dei cespugli combattevano, lo facevano su richiesta dei loro confratelli di città e dietro la garanzia precisa dell’ottenimento di vantaggi in termini di sfruttamento del suolo per i loro armenti. Tuttavia, sino all’inizio del 1700, ad accomunare le

11 Fédération internationale des ligues des droits de l’Homme, Malian Association for Human Rights (2018) In Central Mali, Civilian Populations Are Caught Between Terrorism and Counterterrorism. 23 due famiglie di Fulani era l’assenza di spinte politiche indipendentiste o la volontà di creare entità statuali da esse governate. La ragione di queste posizioni è multipla: la mancanza di una omogenea maggioranza Fulani in un territorio geograficamente delimitato e delineato, la capacità dei Fulani di città di ascendere a posizioni di prestigio ed influenza all’interno delle strutture statali dei diversi imperi, qualsiasi essi fossero ed infine l’assenza di una concezione di “Stato” (inteso come territorio unitario e definito governato attraverso un sistema di norme gerarchico valido erga omnes) nei Fulani dei cespugli. Infatti, per questi ultimi l’unità sociale più importante era la tribù mentre la concezione di territorio, essendo intimamente legata al concetto di pascolo e di transumanza, non ammetteva l’idea di confine. La seconda tendenza, fondamentale nel processo di costruzione dell’identità del popolo Fulani, è legata al processo di islamizzazione dell’Africa Settentrionale ed Occidentale. Infatti, la religiose islamica si affacciò nelle due aree in questione a cominciare dal VIII Secolo, portata dai credenti dell’Africa orientale e da mercanti e missionari arabi. Visto il particolare status del primo veicolo di proselitismo islamico in Africa Occidentale e Settentrionale, la prime comunità autoctone ad essere convertite furono quelle che condividevano l’occupazione economica e lo spazio geografico dove questi svolgevano i propri affari, ossia i Berberi, i Tuareg ed i Fulani semi-nomadi che abitavano il Sahel e il Sahara. Dunque, il messaggio islamico viaggiava e si diffondeva parallelamente al commercio, lungo le rotte trans-sahariane. I Fulani rivendicarono a lungo il fatto di essere stati il primo popolo africano occidentale ad essere islamizzato e, con esso, l’appartenenza originaria al mondo arabo, come probabilmente il mito fondativo di Uqba conferma. Appartenere ai pionieri di quella che sarebbe diventata la fede dominante nel continente favorì molto il popolo Fulani, soprattutto i gruppi urbanizzati (convertiti attraverso la mediazione dei confratelli rurali) che si trasformarono prima nell’avanguardia culturale e politica dei nuovi regni ed imperi islamici africani, fornendo costantemente i quadri della classe di teologici, predicatori ed imam, poi nell’élite politica e commerciale dei futuri emirati, sfruttando i canali privilegiati di commercio con il mondo arabo. Infatti, al di là delle ragioni fideistiche inerenti l’adozione del monoteismo, l’Islam racchiudeva molti vantaggi per i Fulani, propugnando l’uguaglianza tra tutti gli uomini (elemento fondamentale per un gruppo etnico costantemente abituato ad essere una minoranza), proponendo un sistema fiscale vantaggioso e diffondendo disposizioni normative shariatiche in materia di proprietà terriera che ben si conciliavano con le esigenze di un popolo semi-nomade dedito all’allevamento. Nella fattispecie, la legge islamica inizialmente insegnata durante la fase di espansione del Califfato affermava che la terra appartiene a Dio e che è concessa agli uomini

24 esclusivamente per uso indiretto e sul principio di equità e fiducia tra essi. Questa norma consentiva ai Fulani dei cespugli di adottare un’interpretazione non-esclusivista nei confronti delle comunità sedentarie degli agricoltori. Secondo essi, chi coltivava la terra non poteva negare ai pastori l’utilizzo di acqua e terreno fertile per il pascolo invocando l’unilateralità della proprietà, poiché la terra, in ultima istanza, non era di un proprietario umano né di chi la coltivava, bensì di Dio12. Nel tempo, l’influenza dei Fulani crebbe di pari passo con il processo di islamizzazione dell’Africa. In particolare, a partire dall’XI Secolo, quando la pressione espansionistica della dinastia degli Almoravidi dal Nord Africa verso i territori meridionali divenne sempre più massiccia e coincise con la trasformazione dei regni africani da Stati multiconfessionali a maggioranza animista a realtà di governo in cui l’Islam era la religione ufficiale, indipendentemente dai rapporti di vassallaggio o autonomia nei confronti del Califfato. Fino all’arrivo dei primi colonizzatori europei (prevalentemente portoghesi e spagnoli) sulle coste dell’Africa Occidentale (XV e XVI Secolo) il cristianesimo scomparve quasi completamente dal continente. L’arrivo dei colonizzatori europei, oltre a segnare la fine del monopolio islamico in Africa, contribuì significativamente al declino delle rotte trans-sahariane quali percorsi privilegiati per il commercio tra il continente e l’Europa. Infatti, lo sviluppo degli avamposti commerciali portuali lungo la costa e lo spostamento dell’asse economico globale verso l’Oceano Atlantico e le Americhe colpirono le attività dei mercanti arabi ed africani del Sahara. Solo una categoria precisa di mercanti beneficiò dai nuovi sviluppi geo-economici globali, ossia quella dei mercanti di schiavi. Infatti, tra il 1500 e il 1853 (anno in cui il Brasile, ultimo Stato ancora impegnato nell’importazione di schiavi) la compravendita di esseri umani arricchì i regni della costa atlantica africana ed i mercanti, prevalentemente sahariani, che li catturavano e commerciavano. Appare doveroso sottolineare come i principali beneficiari del mercato schiavistico furono Berberi e Tuareg, mentre i Fulani, seppur ammettessero l’usanza di possedere schiavi, furono meno coinvolti nell’attività13.

II.I.III I Jihad Fulani: ascesa e caduta degli emirati

Nel XVIII Secolo, i Fulani avevano raggiunto all’incirca l’odierna area di diffusione geografica in Africa Occidentale, spingendosi fino alla regione del Lago Ciad e agli altopiani dell’attuale Nigeria centrale a sud, ed in Africa Orientale, avventurandosi fino al Sudan e alla costa del Mar Rosso. A partire da questo momento, tuttavia, il protagonismo politico dei

12 Sait, S., Lim, H. (2006). Land, Law and Islam: Property and Human Rights in the Muslim World. Zed Books London & New York. 13 De St. Croix, F., (1945). The Fulani of Northern Nigeria. 25 Fulani cominciò a conoscere un sensibile incremento e si manifestò, per la prima volta nella loro storia, sotto forma di volontà statuale. Come élite ed avanguardia islamica nella regione, i Fulani iniziarono a lanciare offensive contro gli infedeli: nella fattispecie, il primo tentativo di jihad avvenne nel 1673 nella regione di Futa Tooro, un territorio nella valle del fiume Senegal a confine tra Mali, Mauritania e Senegal. Seppur sconfitti, i leader delle tribù di Fulani di città assunsero la consapevolezza di poter costruire realtà statuali da essi governate dopo secoli di vassallaggio in favore di altri gruppi etnici14. Tale volontà si manifestò chiaramente nel secolo successivo ed assunse la forma di due ondate espansionistiche generalmente chiamate dagli storici con il nome di “Jihad Fulani”. La prima, tra il 1720 e il 1800, riguardò le ancestrali terre di origine del popolo, ossia le valli del Senegambia, e condusse alla formazione degli imamati di Futa Tooro (1776- 1861) e Futa Jallon (1727 – 1830), sulle omonime alture dell’attuale Guinea, e dei regni islamici prospicenti di Wuli e Bhundu. A certificare il nuovo status di élite politico-militare regionale e come riconoscimento per le vittorie in guerra, nel 1775 l’imam fulani Karamokho Alfa Ibrahim fu nominato Emiro (“” secondo la lingua locale) di Futa Jallon. Entrambi gli imamati erano governati attraverso una interpretazione molto conservatrice e restrittiva della , ammettevano la pratica della schiavitù e del commercio di schiavi con i Paesi europei ed americani ed adottavano una gestione esclusivista del potere. Infatti, il titolo di Almami poteva essere concesso soltanto a chi proveniva dai più alti lignaggi tribali fulani del luogo, nella fattispecie i Lih di Jaaba della provincia di Hebbiyaabe e i Wan di Mbummba nella provincia di Laaw a Futa Tooro, le famiglie nobili delle città di Timbo e Fugumba a Futa Jallon. In quest’ultimo caso, le famiglia nobili appartenevano a due fazioni specifiche: gli Alfaya, chierici conservatori fedeli al lignaggio di Karamokho Alfa Ibrahim, e i Sombya, militari fedeli al lignaggio di Ibrahim Sori.

14 Oppong, Y., (1999). ‘We follow our cow...and forget our home’: Movement, survival, and Fulani identity in Greater Accra, Ghana 26

Regni e Imperi africani nel 1830

La seconda ondata di jihad avvenne tra il 1804 e il 1827 e riguardò i territori dell’attuale Mali, della Nigeria settentrionale ed orientale e del Camerun settentrionale ed occidentale. I Fulani, che tra il 1500 e la fine del 1700 si erano stabili in Nigeria e Camerun, avevano rafforzato il proprio ruolo politico ed economico, aumentando i sospetti ed il malcontento dei leader dei Regni Hausa locali (900 – 1810), la cui città più fiorente era Kano e dove era ammessa la libertà di culto e la pratica di riti connessi alle religioni animiste tradizionali, e dell’Impero Kanem – Bornu (1380 – 1893), governato da dinastie di etnia Tebu e Kanuri che professavano l’Islam, seppur in forme meno conservatrici rispetto ai Fulani15. Deciso a ridimensionare l’influenza Fulani, nel 1804 il re hausa Yunfa espulse dalla città di Gobir l’imam Usman Dan Fodio, uno dei più autorevoli teologi di scuola malikita e dei più insigni appartenenti alla confraternita in Africa occidentale e perseguitò

15 De St. Croix, F., (1945). The Fulani of Northern Nigeria. 27 molti dei suoi discepoli. L’opera di proselitismo di Dan Fodio prescindeva il semplice sforzo di conversione all’Islam ed assunse un’autentica dimensione politica e sociale rivoluzionaria. Infatti, l’imam, oltre alla volontà di islamizzare territori dominati dal multi- confessionalismo, dall’animismo e dal paganesimo, predicava l’uguaglianza di tutti gli uomini (e quindi di tutte le etnie) davanti alla legge, una maggiore equità nei diritti politici e nella redistribuzione delle terre fertili e, soprattutto, un sistema fiscale meno oppressivo di quello attuato dai regnanti hausa. Una simile opera di propaganda politica assicurò a Dan Fodio un seguito enorme e gli permise di ritagliarsi un’aura quasi mistica di santità. Molti dei musulmani locali, in quel tempo, si riferivano a lui con l’epiteto di “Mujaddid” (Illuminato), ossia colui inviato da Dio ogni cento anni per rinnovare la fede degli uomini e riformare la società avvicinandola al disegno divino, e di Emiro, ossia di comandante dei fedeli musulmani. L’esilio del 1804 fu il detonatore del jihad. Usman Dan Fodio, alla guida di un esercito di Fulani e forte del sostegno di molte delle comunità subalterne nei regni hausa, lanciò una inarrestabile offensiva che travolse letteralmente ogni resistenza. Entro il 1808, le truppe fulani avevano assoggettato Gobir e conquistato i regni hausa di Kano e Katsina. L’anno successivo, Il figlio di Usman, Mohamed Bello, trasformò il piccolo villaggio di Sokoto, centro nevralgico delle operazioni militari dell’esercito fulani, nella capitale del neonato Califfato omonimo. Nel 1830, il Califfato di Sokoto aveva già raggiunto la sua massima estensione territoriale, includendo gran parte della Nigeria e del Camerun settentrionali, il Niger sud- orientale e parte del Burkina Faso. Inoltre, anche il vicino Impero di Kanem – Bornu, seppur aveva resistito al tentativo di assimilazione territoriale del Califfato, ne subiva di fatto l’influenza politica dovendo accettare, come dinastia regnante, quella imposta dal potente vicino. Sospinti dall’esempio di Usman dan Fodio e di suo figlio Mohamed Bello, anche altre comunità fulani lanciarono, negli anni successivi, i loro jihad. I più importanti furono quello guidato nel 1809 dall’emiro Modibo Adama, luogotenente di Dan Fodio, nella Nigeria Orientale e nel Camerun Occidentale, che condusse alla formazione dell’Emirato di Adamawa, e quella di nel 1818 contro l’Impero Bambara che condusse alla nascita dell’Emirato di Macina16, in Mali centrale e Burkina Faso settentrionale. Seppur nati da un comune sforzo politico del popolo Fulani, la parabola storica, culturale e sociale degli Stati nati dai jihad di Usman Dan Fodio e dei suoi seguaci fu profondamente diversa. In Nigeria e Camerun, i Fulani urbanizzati subirono sensibilmente

16 Hampshire, K. (2004). Fulani. Encyclopedia of Medical Anthropology (vol.2) 28 l’influenza degli Hausa, fino ad assorbirne usi e costumi ed a creare una comunità omogenea e sincretica. Infatti, oggi risulta sempre più complicato distinguere i due popoli e gli stessi antropologi sono sempre più inclini a chiamarli Hausa-Fulani. A parte le antiche tradizioni, i codici morali e comportamentali ridotti a pura ritualità esteriore, quello che resta come elemento originario e memoria della dominazione Fulani in Nigeria e Camerun è il linguaggio Fulbe, ancora oggi lingua franca in tutta la regione e, soprattutto, nei commerci. La stessa professione dell’Islam subì questa contaminazione culturale hausa, avviando un processo di riforma in senso moderato ben lontano dalle rigidità ultraortodosse professate da Usman dan Fodio. Al contrario, nell’Emirato di Macina, non si assistette ad una contaminazione culturale come quella occorsa in Nigeria e Camerun. I Fulani, in quanto nuovi regnanti, ricordavano con risentimento i secoli di vassallaggio a favore delle etnie di potere precedenti e, di conseguenza, mantennero una profonda separazione tribale con essi. Inoltre, l’Islam imposto in Mali e Burkina Faso risultava molto più ortodosso e radicale, come testimoniato dal divieto di coltivazione e consumo di tabacco, consumo di alcolici e diffusione di musica. Tuttavia, pur nelle loro diversità, è possibile scorgere delle tendenze comuni all’interno delle esperienze statuali fulani, al fine di comprendere quanto e in che modo le ondate di jihad hanno influenzato la cultura e l’identità di questo popolo e cosa hanno lasciato in eredità politica ai posteri. Innanzitutto, la creazione di un pantheon politico comune costruito intorno alla figura di Usman Dan Fodio. L’imam e poi emiro di Sokoto ha avuto un impatto enorme sulla cultura fulani e sulla storia di tutta l’Africa Occidentale e Saheliana. La sua opera di proselitismo, supportata dalle vittorie militari e da un’amministrazione equilibrata e in linea con le esigenze economiche e politiche dei suoi confratelli e delle etnie minoritarie della regione, sopravvisse nei secoli successivi e, ancora oggi, costituisce un punto di riferimento per l’islamismo conservatore regionale dal Mali al nord della Nigeria. Sicuramente, l’innovazione economica più significativa riguardò proprio i diritti di sfruttamento della terra, concessi dal Sultano di Sokoto a tutti i cittadini senza distinzione alcuna. SI trattò di una riforma chiaramente a favore degli allevatori semi-nomadi Fulani, che così potevano portare i propri armenti al pascolo senza violare proprietà esclusive degli agricoltori. I conflitti tra agricoltori e pastori, qualora sorgessero, venivano regolati dalle autorità tribali locali e dai giudici dei villaggi sul principio della fiducia e del mutuo beneficio assicurato. Se questo primo grado di giudizio non risolveva la controversia, le parti in causa si rivolgevano ad autorità giudiziarie sovraordinate che agivano in ottemperanza alla giurisprudenza islamica. Qualsiasi riformatore islamico radicale, sia jihadista che non, continua ad evocare la sua figura e a

29 cercare legittimazione sociale dichiarando la volontà di proseguire o portare a termine la sua opera. Una simile venerazione esiste, seppur in misura minore, per Seku Amadou.

Gli emirati Fulani del XIX secolo

Le due ondate di jihad occorse tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo trasformarono i Fulani di città nell’etnia dominante, facendo corrispondere la ricchezza economica all’influenza politica e religiosa. Tale ruolo apicale sarebbe sopravvissuto e rimasto intatto nei secoli successivi, resistendo addirittura al periodo coloniale e post- coloniale e arrivando ai giorni nostri. Inoltre, sotto il profilo religioso-simbolico, le ondate di jihad e i successi militari nel Sahel alimentarono una narrativa che dipingeva i Fulani come gli autentici custodi del “vero” Islam, quello ortodosso e puro delle origini che si opponeva ai kuffar (infedeli) e ai takfir (gli apostati), ossia coloro che avevano abbandonato la vera fede oppure avevano corrotto le autentiche pratiche musulmane adottando costumi differenti. Tuttavia, è bene sottolineare come furono soprattutto i Fulani urbanizzati a guidare i jihad e a raccoglierne i frutti in termini di potere politico ed economico. Al contrario, i Fulani dei cespugli proseguirono la loro vita semi-nomadica, fatta di transumanze e in continua competizione con gli agricoltori per le risorse idriche e per la terra. Nonostante l’ascesa degli emirati fulani garantì loro maggiori diritti agrari, la loro condizione restò precaria. I

30 legami tribali e famigliari aiutarono quei pastori imparentati con influenti confratelli della città, ma lasciò nella periferia dello scenario politico tutti gli altri, ossia la maggioranza del popolo. L’ascesa degli emirati fulani fu altrettanto rapida quando il loro declino. Innanzitutto, il primo passo verso l’indebolimento fu di natura economica. Infatti, sull’onda della diffusione del pensiero illuminista, I Paesi Europei cominciarono ad abolire lo schiavismo e a contrastare la compravendita degli schiavi verso le Americhe e il Medio Oriente. Inoltre, i mutamenti nel commercio internazionale contribuirono ad aumentare il peso strategico dei prodotti agricoli, sia per il consumo alimentare che per l’industria tessile, incrementando le rendite e il peso politico delle comunità che coltivavano la terra. Questi cambiamenti cominciarono ad indebolire quelle leadership politiche africane, inclusa quella fulani, che traeva la propria forza economica dal commercio degli schiavi e dall’allevamento. Inoltre, sugli emirati fulani cominciò ad allungarsi l’ombra degli appetiti coloniali dei Paesi europei che, sospinti dall’impetuoso sviluppo industriale e capitalista, cercavano nuovi mercati per i propri prodotti e nuove terre per accaparrarsi, a buon prezzo, le risorse necessarie alle proprie imprese. Il primo a cadere fu l’Emirato di Macina, in Mali e Burkina Faso, a causa del sorgere dell’Impero Toucouleur (1848 – 1893), espressione dell’etnia di religione islamica Tukulor. Quasi per ironia della storia, i Tukulor erano discendenti dei Fulani del Senegambia che, nel 4000 a.C., avevano deciso di abbandonare la vita semi-nomade e l’allevamento dei bovini per convertirsi all’agricoltura e alla vita sedentaria. In rapida successione lo seguì l’imamato di Futa Tooro (1858), incapace di resistere all’esercito dei nuovi conquistatori. Tuttavia, anche l’Impero Toucouleur dovette presto arrendersi ad una forza soverchiante, quella dell’esercito francese impegnato nella conquista dei territori lungo il Fiume Senegal, il Fiume Gambia e il Fiume Niger e nella creazione di quelle che sarebbero presto divenute le colonie africane francesi. Iniziata con la conquista di Algeri nel 1830, l’espansione imperialistica di Parigi proseguì in Africa occidentale tra il 1879 e il 1896, quando nella battaglia di Porédaka l’esercito transalpino sconfisse le ultime forze dell’imamato di Futa Jallon. Durante e dopo la campagna militare, la conferenza di Berlino (1884-1885) e l’accordo Anglo-francese (1898) legalizzarono internazionalmente le acquisizioni territoriali in Africa da parte dei Paesi europei, sancirono le rispettive sfere d’influenza e diedero vita ai nuovi possedimento coloniali. Nel 1904, fu stabilita ufficialmente la cosiddetta “Africa Occidentale Francese”, una federazione di colonie con capitale Dakar che comprendeva Mauritania, Senegal, Sudan Francese (oggi Mali), Guinea Francese, Costa d’Avorio, Upper Volta (oggi Burkina Faso), Dahomey (oggi Benin) e Niger.

31 Un destino politico simile fu riservato anche agli emirati fulani del Nord della Nigeria e del Camerun. Infatti, nel 1892, l’Impero Britannico avviò una campagna militare volta ad assoggettare i regni autoctoni i cui territori erano parte dell’odierna Nigeria. Facilitati dalla superiorità tecnologica e militare e dalle profonde divisioni all’interno del panorama politico nigeriano, i britannici, in meno di 10 anni, risalirono il corso del fiume Niger e sconfissero qualsiasi resistenza, creando, nel 1900, i Protettorati della Nigeria Meridionale e Settentrionale. Nel 1902, le truppe di Londra ridussero all’impotenza le forze del Califfato di Sokoto e dell’Impero di Kanem – Bornu. Nel 1914, i due protettorati furono unificati in un nuovo soggetto amministrativo, la “Colonia e Protettorato di Nigeria”, sottoposta all’autorità diretta della corona inglese. Così, dopo un’ascesa durata poco più di cento anni, gli emirati fulani perdevano la propria indipendenza e dovevano accettare la dominazione straniera17.

II.II.IV L’epoca coloniale e post-coloniale

La dominazione coloniale francese e inglese, a causa della loro profonda diversità amministrativa, incisero in maniera diametralmente opposta sul destino politico e sull’identità del popolo Fulani. Nelle colonie francesi, dove vigeva il principio dell’assimilazione18, i Fulani subirono destini molto differenti a seconda delle zone ed ai loro usi. Infatti, il modello organizzativo coloniale francese tendeva a favorire due categorie ben precise: le popolazioni urbane, presto integrate nelle fasce minori dell’apparato burocratico e istituzionale, e le comunità agricole, in quanto i possedimenti francesi erano sfruttati soprattutto per i cosiddetti raccolti di cash crop, ossia coltivazioni promosse esclusivamente per il loro valore di mercato, come arachidi, karité, gomma, palma da olio e cereali. Di conseguenza, l’amministrazione di Parigi sospinse notevolmente l’espansione dell’agricoltura intensiva, diminuendo lo spazio per i pascoli e le terre comuni un tempo appannaggio dei pastori semi-nomadi. In aggiunta a questo il mutamento nella tipologia di produzione agricola, orientata all’esportazione e non più alle esigenze del mercato interno locale e regionale, ruppe i vincoli sociali e gli equilibri economici sui quali si basava la convivenza tra etnie in quelle aree del continente. Inoltre,

17 Eghosa, E., Rotimi. S., (2005). A History of Identities, Violence, and Stability in Nigeria. Centre for Research on Inequality, Human Security and Ethnicity, CRISE. Working paper No. 6 18 Per i francesi, sotto il profilo politico ed amministrativo, erano poche le differenze tra madrepatria e colonie. I cittadini delle colonie dovevano diventare gradualmente cittadini francesi e, di conseguenza, le leggi francesi avrebbero dovuto essere applicate, laddove possibile, nei domini coloniali. Alla convivenza tra diritto francese, consuetudini tribali e leggi islamiche, corrispondeva un apparato di potere fortemente centralizzato che limitava fortemente il ruolo delle comunità autoctone. Inoltre, le autorità tradizionali furono state ampiamente ignorate. L’assimilazione si basava su una presunzione della superiorità della cultura e della "civiltà" francesi. Come parte della "missione civilizzatrice" francese di fronte a popoli "barbari", spettava a Parigi civilizzare l’Africa e trasformarli in Francia autentica e moderna. 32 con lo sviluppo delle infrastrutture ferroviarie, viarie e fluviali, si assistette al miglioramento delle comunicazioni tra l’entroterra e i porti coloniali sull’Oceano Atlantico, con il conseguente ed ulteriore crollo dell’importanza delle rotte carovaniere trans-sahariane. Quindi, le città che sorgevano sui maggiori fiumi (Niger, Gambia e Senegal) ed erano meglio collegate alla costa diventarono i principali centri politici ed amministrativi delle colonie francesi, come Bamako in Mali, N’Djamena in Niger e Dakar in Senegal. In questo contesto, i Fulani di città in Senegal e Guinea riuscirono a mantenere un discreto peso politico, entrando a far parte della burocrazia statale coloniale e usufruendo dei servizi educativi forniti da Parigi, e senza entrare in conflitto con la maggioranza di etnia Wolof. Ben diversamente si evolse la situazione in Mali e Burkina Faso, dove ad assumere maggiore influenza furono rispettivamente le etnie maggioritarie Mandè, agricoltori stanziati nel sud del Paese e a Bamako, e Mossi, coltivatori presenti nel sud e nel centro del Paese e a Ouagadougou. I Fulani urbanizzati maliani e burkinabè furono presto esclusi dalla vita politica e dall’apparato di potere coloniale, isolati nelle remote aree semi-desertiche settentrionali. Ai Fulani dei cespugli, dediti alla vita semi-nomade e all’allevamento dei bovini, toccò il destino peggiore. Privi di qualsiasi rappresentanza politica, lontani dai centri di potere delle colonie e penalizzati da piani di sviluppo economico favorevoli all’espansione delle terre coltivate, essi entrarono in una fase storica caratterizzata da emarginazione, subalternità e discriminazione19. Al contrario, nelle colonie britanniche, la condizione dei Fulani fu generalmente migliore. Infatti, Londra gestiva i possedimenti attraverso il sistema del cosiddetto “governo indiretto”20, che lasciò quasi inalterate, a livello locale, le strutture politiche, amministrative e cultural-religiose precedenti alla colonizzazione. Di conseguenza, in Nigeria settentrionale sopravvissero sia il Califfato di Sokoto che le sue emanazioni regionali (emirato di Kano, emirato di Adamawa ed emirato del Bornu), garantendo ai Fulani di città, ormai di fatto uniti agli Hausa, il mantenimento dei loro privilegi e del loro ruolo politico21. Tale potere fu sancito, a partire dal 1916, dall’istituzione del Consiglio Nazionale Nigeriano, un organo consultivo che affiancava gli organi amministrativi e governativi inglesi nella gestione del Paese, formato dal Sultano di Sokoto, dall’Emiro di Kano e dall’Oba del Benin.

19 Bagayoko, N., Ba, B., Sangaré, B., Sidibé, K., (2017). Masters of the land. Competing customary and legal systems for resource management in the conflicting environment of the , Central Mali. 20 Secondo questo modello, il governo e l'amministrazione quotidiani di aree sia piccole che grandi furono lasciati ai sovrani tradizionali, che mantennero il prestigio personale e la stabilità territoriale grazie alla protezione garantite dalla cosiddetta Pax Britannica, al prezzo di perdere il controllo nella gestione degli affari esteri, tassazione e difesa. 21 De St. Croix, F., (1945). The Fulani of Northern Nigeria. 33 Il mantenimento di questo ruolo politico preminente ebbe un prezzo molto alto. Infatti, la Corona Britannica non ammetteva lo sviluppo di alcun movimento religioso che potesse anche lontanamente criticare il governo coloniale. Per questa ragione, l’Emiro di Kano e il Sultano di Sokoto, nonostante la loro vasta autorevolezza spirituale e politica, vennero accusati di essere meri strumenti di una potenza occupante straniera. Il malcontento popolare nei loro confronti, motivato anche dal profondo sottosviluppo del nord rispetto al sud del Paese, fu canalizzato da due tipi di opposizione: una minoritaria, secolare e costituita da coloro che avevano cominciato ad usufruire dell’educazione inglese, ed una maggioritaria, islamista conservatrice che criticava il lassismo nei costumi religiosi delle autorità tradizionali e propugnava il ritorno ad una vita politica e culturale più vicina ai precetti originari del Corano. Benché questi due movimenti di opposizione avessero visioni opposte sul futuro del Paese, entrambi lottavano per l’indipendenza della Nigeria e per la riforma del suo sistema politico e sociale. L’opposizione islamista, nel secolo successivo, avrebbe assunto forme molto diversificate, anche violente e inneggianti a nuove ondate di jihad, rappresentando la base ideologica per l’insorgenza jihadista iniziata nei primi Anni 2000 ed ancora in corso in Nigeria settentrionale. Al contrario, nessun beneficio politico od economico fu riservato ai Fulani dei cespugli. Essi, al pari dei loro confratelli dell’Africa Occidentale francese, furono sempre più emarginati a causa della crescita del ruolo delle comunità agricole negli equilibri nazionali. Dopo il 1945, con la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’inizio del processo di decolonizzazione, i possedimenti europei si trasformarono lentamente in Stati indipendenti, caratterizzati da confini amministrativi e nazionali stabiliti prevalentemente da Londra, Parigi e Berlino e che non considerarono, in alcun modo, la storia e le peculiarità politiche, etniche ed economiche dei popoli africani. Le esigenze legate alla necessità di costruire velocemente burocrazie autonome in Stati indipendenti spinse le nuove classi dirigenti a costruire le nuove architetture legali ed economiche dei loro Paesi mutuando leggi e strutture delle vecchie potenze coloniali. Quindi, nelle ormai ex colonie francesi vennero a crearsi sistemi ispirati alla Francia e in quelle inglesi ispirate al Regno Unito. Appare importante sottolineare come questi sistemi, però, potevano funzionare efficacemente solo nel contesto di un potere autoritario imposto dall’alto grazie alla superiorità militare dei colonizzatori. Una volta realizzata l’indipendenza, le rivendicazioni politiche, economiche e sociali dei popoli locali avrebbero reso i sistemi ereditati dall’Europa inadeguati. In questo senso, i rapporti di potere emersi durante il periodo coloniale costituirono la base per la nascita delle nuove classi dirigenti africane, lasciando i rapporti di forza inter- etnici inalterati. Di conseguenza, in quella che era l’Africa francese, ora sopravvissuta come

34 Africa francofona, i Fulani delle città mantennero privilegi ed influenza laddove già erano una forza non trascurabile, come in Senegal e Gambia, mentre furono ulteriormente marginalizzati dove la loro stella politica si era eclissata già dopo la conquista francese, come in Mali, Niger e Burkina Faso22. Anche nelle ex colonie britanniche il processo di decolonizzazione fu guidato dalle élite protagoniste del sistema di governo indiretto. In Nigeria, il processo di indipendenza fu condotto prevalentemente dalle popolazioni Yoruba del sud, sostenute dalle autorità tradizionali settentrionali fulani del Califfato di Sokoto e dell’Emirato di Kano. Nella nuova organizzazione politica ed amministrativa della Nigeria, un complesso sistema di consuetudini tribali, common law inglese e legge islamica, le etnie maggioritarie raggiunsero un compromesso per la divisione del potere. I musulmani Hausa – Fulani e i cristiani Yoruba (che insieme rappresentavano oltre il 70% della popolazione nigeriana) avrebbero costituito la spina dorsale politica, economica e militare del Paese nei decenni successivi, escludendo dalla gestione della cosa pubblica le etnie minoritarie, come i Kanuri, gli Igbo e gli Ijaw, anche se questi contavano diversi milioni di persone e costituivano la maggioranza nelle loro regioni di origine. Il Sultanato di Sokoto addirittura continuò ad esistere come entità politica simbolica, priva di poteri reali ma in grado di esercitare ancora una influenza non indifferente. Ad oggi, il Sultano di Sokoto è una delle personalità più potenti e ricche della Nigeria e di tutta l’Africa Occidentale. Non è un mistero, dunque, che moltissimi Fulani abbiano ricoperto e ancora oggi ricoprano ruoli di potere all’interno degli apparati politici dell’Africa Occidentale. Basti pensare ai governatori regionali, alle autorità religiose ed ai comandanti militari fulani che riempiono le istituzioni di questa parte del continente. Tra gli esempi più eclatanti, occorre citare Mohamed Juldeh Jalloh, Vice Presidente della Sierra Lone; Shehu Shagari, Umaru Musa Yar'Adua e Muhammadu Buhari, Presidenti della Nigeria; Macky Sall, Presidente del Senegal; Adama Barrow, Presidente del Gambia; Amadou Cissé, Primo Ministro del Niger e Boubou Cisse, Primo Ministro del Mali. In ogni caso, è bene sottolineare come non tutta la comunità dei Fulani urbanizzati mantenne i benefici del passato. La competizione per il potere fu anche endemica ad essa, fatta di strategie, guerre ed esclusioni eccellenti. Coloro i quali non potevano accedere al vertice del potere politico, rimpolparono i ranghi dell’opposizione, lavorando per aumentare la propria influenza e il proprio prestigio23.

22 Raineri, L. (2018). If victims become perpetrators. Factors Contributing To Vulnerability And Resilience To Violent Extremism In The Central Sahel. International Alert. 23 Nissen, H., (2014). A Guide to Fulani People. Udfordringen. 35 Tuttavia, se i Fulani delle città erano riusciti a ritagliarsi un ruolo preminente nei nuovi Stati Africani indipendenti, lo stesso non può dirsi per i Fulani dei cespugli o per le comunità che abitavano i villaggi delle aree più povere e remote. Per questi ultimi, non esistette differenza nel passaggio tra il regime coloniale e quello dell’indipendenza. Lo stato di emarginazione politica e sociale proseguì, peggiorato dalla crescente autoreferenzialità delle nuove classi dirigenti nazionali, dal nepotismo e dalla corruzione che presto infettarono le nuove burocrazie africane. Sotto il profilo economico e dello sviluppo umano, la condizione dei Fulani addirittura si aggravò, poiché i nuovi governi africani intensificarono ed espansero l’agricoltura cash – crop, tutelando in maniera estesa i diritti fondiari dei coltivatori e riducendo il terreno destinato al pascolo. In questo contesto, l’impressionante crescita demografica africana e il contemporaneo impatto del cambiamento climatico (innalzamento delle temperature, inaridimento del suolo, siccità e carestia) ridussero le risorse naturali a disposizione di agricoltori e pastori semi-nomadi, inasprendo la loro competizione e conflittualità. Le comunità semi-nomadi dei Fulani, quasi sempre ignorate dalle istituzioni centrali, cominciarono a difendere i propri diritti utilizzando la violenza armata. Abbandonati dalle istituzioni centrali, i Fulani dei cespugli radicalizzarono gradualmente le proprie posizioni politiche, fino a cadere vittime del proselitismo jihadista.

II.II Cenni etnologici, lingua e distribuzione geografica

I Fulani sono uno dei gruppi etnici più numerosi dell’Africa boreale, grazie ai loro oltre 40 milioni di persone diffuse in tutta la fascia sahelo-sahariana, dalle coste dell’Oceano Atlantico fino a quelle del Mar Rosso, con significative presenze in Nigeria (14 milioni, circa il 10% della popolazione), Guinea (5 milioni), Mali (3 milioni), Burkina Faso (3 milioni), Senegal (3 milioni) Niger (2,4 milioni) e Camerun (2 milioni). Appare evidente come oltre l’80% della popolazione di etnia fulani viva in Africa Occidentale, nei cui Paesi costituisce, in ogni caso, una minoranza più o meno numerosa e più o meno politicamente ed economicamente influente a seconda del retaggio storico-culturale. I Fulani si dividono principalmente in tre categorie: i Fulani urbanizzati, o Fulɓe Wuro (Fulani di città), caratterizzati dalla sedentarietà; i Fulani di campagna, o Fulɓe ladde (Fulani dei cespugli), caratterizzati da abitudini semi-nomadiche; i cosiddetti Fulani “selvaggi” completamente nomadi e che rifulgono ogni contatto con la civiltà urbana. I Fulani di città costituiscono la maggioranza grazie ai loro circa 30 milioni di membri, mentre i Fulani dei cespugli sono circa 10 milioni, elemento che li rende il gruppo umano semi-nomade più

36 consistente al mondo. Infine, i Fulani “selvaggi” rappresentano la porzione più esigua del popolo con meno di un milione di esponenti. Una menzione speciale meritano i Fulani della Nigeria. Infatti, in questo Paese, spesso si usa la definizione di Hausa – Fulani per definire un unico gruppo etnico-culturale che vive nelle regioni centrali e settentrionali. Tuttavia, è bene sottolineare come questa classificazione abbia una diffusione prettamente nazionale ed un’origine legata alle vicissitudini storiche del Paese. Nello specifico, secondo alcuni studiosi nigeriani, dopo il jihad di Usman Dan Fodio, la creazione del Califfato di Sokoto e due Stati vassalli dell’Emirato di Adamawa e di Kano, si è assistito ad una graduale fusione dei due gruppi etnici, che si sono influenzati vicendevolmente fino a divenire un organismo indistinguibile. Tale teoria è parzialmente vera se ci si riferisce ai Fulani urbanizzati, soprattutto quelli dei centri più popolosi, ma risulta vulnerabile se si volge lo sguardo ai villaggi minori e alle campagne, dove Hausa e Fulani hanno mantenuto una separazione più netta. In ogni caso, i 14 milioni di Fulani nigeriani indicati in precedenza sono proprio quelli dei villaggi minori e delle aree rurali, meno contaminati dal sincretismo culturale e dalla crescita dei matrimoni misti occorsi a partire dalla fine del XIX secolo. La divisione del popolo Fulani in sottogruppi avviene seguendo un doppio criterio binario che lega territorio e lingua. Infatti, la natura semi-nomadica di questa etnia, la sua graduale diffusione in tutta l’Africa sahelo-sahariana e il contatto con altre genti hanno favorito una parziale territorializzazione delle singole comunità e la nascita di numerosi dialetti, alcuni dei quali molto diversi tra loro. Inoltre occorre sottolineare come il nome stesso dei Fulani cambi da regione a regione e risenta della classificazione linguistica adottata dai colonizzatori occidentali. Per essere chiari, “Fulani” è il termine utilizzato dagli Hausa, dai Mande e dagli inglesi per riferirsi a questo gruppo etnico e Fula è il termine utilizzato da essi per riferirsi alla lingua parlata dai Fulani. Peul, Pèl o Pulaar viene utilizzato dai wolofoni e dai francofoni per indicare sia il popolo che la lingua. I Fulani si riferiscono a loro stessi come Fulbe e alla loro lingua come Fulfulde. Il Fulfulde, oltre ad essere utilizzato dai Fulani, è la lingua franca del commercio e dei fori boari in Nigeria centro-settentrionale, Mali centrale, Niger meridionale e Burkina Faso settentrionale. Tuttavia, è bene sottolineare come i Fulani siano frequentemente poliglotti, a causa della necessità di dover interagire con popoli dei più diversi durante i periodi di transumanza, e siano tra le popolazioni africane con il più alt tasso di alfabetizzazione in lingua araba.

37 In base ai dialetti e alla collocazione geografica, i Fulani possono essere così suddivisi24: • Fulbe Adamawa, sedentari, Nigeria nord-orientale; • Fulbe Borgu, semi-nomadi, Nigeria settentrionale; • Fulbe Gombe, sedentari, Nigeria centrale; • Fulbe Jelgooji, sedentari in Niger e Mali, semi-nomadi in Burkina Faso; • Fulbe Massina, sia sedentari che semi-nomadi, Mali e Burkina Faso; • Fulbe Mbororo, semi-nomadi, Nigeria settentrionale, Niger meridionale, Chad, Repubblica Centrafricana, Camerun; • Fulbe Sokoto, sedentari, Nigeria settentrionale e Niger. Per ragioni di trasparenza e rigore scientifico, occorre sottolineare come la maggior parte dei dati sul numero e la distribuzione dei Fulani non possono essere considerati pienamente affidabili. Infatti, quando occorre censire le popolazioni africane, bisogna sempre ricordare che le operazioni di registrazione e catalogazione dei cittadini risentono delle difficoltà delle comunicazioni derivanti dalla carenza infrastrutturale, dall’immensità del territorio da percorrere, dalla scarsa attenzione al tema da parte dei potenziali censibili e, in aggiunta, dalle lacune degli apparati burocratici responsabili di tali attività. Quindi, i dati sui Fulani sono da considerarsi approssimati e con una deviazione statistica incrementale quando ci si riferisce alle comunità semi-nomadi e nomadi. Infatti, appare molto complicato censire esseri umani in continuo movimento che, per giunta, in alcuni casi rifiutano il concetto stesso di confine statuale e di limitazione alla mobilità.

II.III Organizzazione sociale, cultura e codice morale

In un contesto geografico e linguistico così frastagliato, gli elementi di omogeneità che accomunano i Fulani in tutta la fascia del Sahel sono sostanzialmente tre: il codice morale consuetudinario, chiamato “pulaaku”, la religione islamica e la divisione sociale in caste. Il pulaaku o “Laawol Fulbe” (“Lo stile di vita di un buon Fulani”) rappresenta il codice comportamentale e l’insieme di valori di riferimento in cui si riconosce tutta la comunità e che permette di cementare e far sopravvivere in maniera omogenea una identità nazionale che, altrimenti, potrebbe essere sgretolata dalla enorme distanza che separa i diversi nuclei umani, dall’influenza degli altri popoli e dalla mancanza di un territorio “originario” rivendicato come Stato-nazione. Il pulaaku descrive il prototipo Fulani come un individuo che ha sobrietà stoica, riservatezza e forti legami emotivi con il bestiame. I suoi precetti

24 Nissen, H., (2014). A Guide to Fulani People. Udfordringen 38 fondamentali sono la discrezione (Semteende), la perseveranza (Munyal), la gentilezza (Enaam), il coraggio (Ngorgu) e la dignità e il rispetto di sé (Neaaaaku). Ovviamente, tale codice non ha una gerarchia interna dei valori e viene interpretato diversamente a seconda degli individui e delle comunità, che pongono l’enfasi su l’uno o sull’altro aspetto a seconda delle circostanze25. Il secondo elemento unificante dei Fulani è la fede islamica. Se si esclude una sparuta minoranza cristiana in Nigeria e Niger (meno dell’1% della popolazione totale), la quasi totalità dei Fulani è musulmana. Essi aderiscono all’Islam sunnita e, generalmente, alla scuola giurisprudenziale Malikita. Rivendicando la loro antica origine araba e il fatto di essere stati i primi africani ad essere islamizzati, i Fulani ritengono di essere i custodi dell’Islam nel Sahel e in Africa Occidentale. A rafforzare tale convinzione è stata l’esperienza storica del Sultanato di Sokoto e degli altri emirati in Africa occidentale. Ad oggi, molte delle più eminenti figure religiose africane sono Fulani e molti degli imam più ascoltati appartengono a questo popolo. Tuttavia, è bene sottolineare come, al pari del resto del mondo musulmano, anche all’interno del panorama fulani esistono molte differenze e convivono interpretazioni e visioni talvolta opposte e confliggenti. Quindi, possono esistere larghe fasce di Fulani che abbracciano un’Islam moderato ed aperto al dialogo e all’innovazione ma, al contempo, sopravvivere numerose sacche di aderenti al sufismo e di sostenitori del salafismo o di altre forme decisamente conservatrici, anti-moderniste ed ultra- ortodosse. Appare opportuno sottolineare come la diffusione di forme salafite e ultra- ortodosse di Islam abbia un’origine sociale ed economica e sia soltanto marginalmente il frutto di influenze esterne. Infatti, lo spettro religioso autoctono dei Fulani è stato sempre caratterizzato da tonalità variabili, incluse quelle estremiste. Visioni conservatrici che inneggiavano anche a forme violente di lotta armata contro infedeli ed apostati hanno guadagnato terreno in seguito al deterioramento delle condizioni

25 Oloso, Y. (2018). Language against Ethnicity: The Conflicting Linguistic and Ethnic Identities of the Fulani People of Ilorin. International Journal of Language and Linguistics (vol.5). 39 di vita delle comunità di pastori semi-nomadi o come espressione di ribellione a classi politiche inadeguate nelle aree urbane. In questo senso, la predicazione di imam salafiti e wahabiti in Nord Africa e Sahel ha agito come cassa di risonanza e come moltiplicatore di forza di tendenze già presenti nella cultura religiosa fulani26. Infine, l’ultima caratteristica ad unire l’intero popolo Fulani è la rigida organizzazione castale della società e il ruolo riservato alle donne. La società castale fulani si è cristallizzata definitivamente nel 1500 ed è sopravvissuta, quasi inalterata, fino ai giorni nostri. L’unica differenza sostanziale odierna è legata alla caduta in disuso della schiavitù, ormai formalmente abolita. La piramide castale fulani vede al proprio apice i nobili, o Dimo, che forniscono la classe politica (gli anziani dei villaggi, i leader religiosi, i capi militari), seguita dai commercianti e dagli artigiani. Alla base della piramide ci sono i discendenti degli schiavi, che svolgono i lavori più umili ed usufruiscono di pochi diritti rispetto al resto della comunità. La società fulani è una società patriarcale, dove alle donne sono riservati ruoli subalterni e diritti legati a quelli del padre o del marito. Esse non partecipano alle attività di allevamento, ma si occupano esclusivamente dei lavori domestici, delle attività di agricoltura temporanea di sussistenza e dell’educazione dei figli fino al raggiungimento della maturità (14 anni). La struttura sociale dei Fulani è divisa in clan (tra 1.000 e 5.000 membri), lignaggi (gruppi più piccoli con legami e relazioni più stretti), famiglie e Rugas (congregazioni di famiglie, guidati dal maschio anziano più forte). I capi dei Rugas competono tra loro per diventare capi di clan e lignaggi, con gli sconfitti che rendono omaggio e pagano tributi all'eventuale vincitore27. Tutte queste caratteristiche definiscono con forza l’identità fulani e determinano un forte senso di orgoglio nazionale e di sentimento di “diversità” questo e gli altri popoli africani. I Fulani, in virtù della loro presunta discendenza araba e della loro primigenia islamizzazione, avvertono un senso di superiorità rispetto alle etnie sub-sahariane. I Fulani sottolineano con passione le proprie origini e la propria discendenza, vedendo in esse una legittimazione per le loro rivendicazioni politiche, economiche e sociali.

II.IV Attività economiche, ruolo e percezione politica

Il nucleo delle attività economiche svolte dai Fulani risente della divisione tra gruppi sedentari e gruppi semi-nomadi. In ogni caso, in linea generale il popolo Fulani si identifica

26 Van Santen, J. (2014). Fulani Identity, Citizenship and Islam in an International Context of Migration. Religion, Ethnicity and Transnational Migration between West Africa and Europe (vol. 15) 27 Imoro, M., (2018). The Fulani Herdsmen Crisis In West Africa: The Case Of Agogo Area In The Asante-Akim North District, Ashanti Region Of Ghana. 40 e viene identificato dagli altri gruppi etnici come dedito principalmente all’allevamento. Il legame tra bovini e popolo Fulani è talmente forte che le discipline zoologiche, nella loro opera di tassonomia e classificazione delle razze animali africane, hanno etichettato due sottospecie di zebù come “vacca bianca fulani” e “vacca rossa fulani”. I Fulani sedentarizzati praticano una ampia gamma di attività economiche, in linea con le possibilità offerte dal luogo di residenza. Infatti, laddove non li è possibile dedicarsi all’allevamento stanziale, i membri di questo gruppo etnico riconvertono i proventi della vendita dei capi di bestiame per avviare diverse tipologie di commercio, sfruttando il network tribale regionale ed una quasi tradizionale inclinazione naturale. In alcuni casi, la sedentarizzazione ha portato addirittura alla nascita di una classe fulani di agricoltori che, in alcuni casi, entra in contrasto con i pastori semi-nomadi, nella più classica delle lotte intra- etniche. Generalmente, i Fulani sedentari raggiungono livelli di benessere e ricchezza superiori rispetto alla media degli altri gruppi etnici locali, il che garantisce loro sia un notevole grado di influenza politica sia, di rimando, una non trascurabile inimicizia da parte delle comunità non fulani, invidiose delle loro proprietà e standard di vita. Al contrario, i Fulani semi-nomadi praticano quasi esclusivamente la pastorizia, allevando bovini e capre e muovendosi lungo le rotte secolari della transumanza. Le mandrie dei Fulani sono di grandezza variabile e oscillano da un minimo di alcune decine di capi fino addirittura a diverse centinaia. La preferenza per i bovini, talmente radicata nella tradizione da assumere tratti quasi sacrali, è contro-bilanciata dall’avversione per i cammelli. Questi ultimi sono ritenuti animali dannosi, fastidiosi e nocivi per la crescita dei bovini a causa del loro maggiore impatto ambientale. Inoltre, sotto il profilo simbolico, il cammello viene identificato con il popolo dei Tuareg, secolare competitore dei Fulani per i pascoli saheliani. La natura semi-nomadica è indissolubilmente legata alla transumanza e rappresenta l’elemento distintivo principale rispetto ai Fulani completamente nomadi. Infatti, mentre i primi effettuano spostamenti regolari (ogni 4 o 6 mesi) lungo direttrici e percorsi programmati e ciclici, i secondi hanno un’organizzazione erratica ed anarchica dei movimenti. La transumanza dei Fulani semi-nomadi nel Sahel occidentale si sviluppa lungo il corso dei grandi fiumi ed ha nel delta interno del Fiume Niger, nella regione maliana di Mopti, il proprio “Eldorado”. Infatti, questo tratto del corso d’acqua custodisce la zona più fertile e rigogliosa della regione del Sahel-Sahara, particolarmente ricca di bourgou, una sorta di miglio “povero” particolarmente nutriente per il bestiame. Durante l’anno, le carovane fulani si accampano nelle loro tradizionali abitazioni costruite con frasche, fango e legno, i cosiddetti “Suudu hudo" o "Bukkaru”. Mentre gli uomini cercano i pascoli ed accudiscono il bestiame, le donne si dedicano all’agricoltura di sussistenza, alla lavorazione

41 del cuoio e alla preparazione dei prodotti caseari da vendere ai mercati dei villaggi nelle aree rurali28. Per i Fulani dei cespugli, la proprietà del bestiame è sinonimo di ricchezza: più capi se ne posseggono, più la famiglia è ricca ed influente. Una ricchezza, quella legata al bestiame, intimamente legata al benessere della comunità e, dunque, inalienabile e non sottoponibile ad alcuna forma di restrizione, limitazione o tassazione. Infatti, al di là delle necessità legate al nutrimento degli armenti, la transumanza e i movimenti ciclici vengono effettuati per evitare il censimento dei capi e, di conseguenza, la pubblicità del patrimonio famigliare e, soprattutto, la sua tassazione. Dunque, queste caratteristiche peculiari dell’attività di pastorizia fulani possono creare notevoli problematiche e conflittualità con altre comunità di allevatori semi-nomadi, come i Tuareg, e con le comunità agricole per lo sfruttamento delle risorse del suolo e con le istituzioni locali e nazionali per il prelievo fiscale. In questo senso, a causa del loro comportamento, i Fulani vengono etichettati come un gruppo etnico parassitario che sfrutta il territorio dove transita senza contribuire allo sviluppo della comunità che ci vive. Per ovviare a questa accusa, i Fulani affermano di non riconoscere la legittimità della tassazione imposta dai governi o dalle autorità locali ma di seguire esclusivamente i precetti islamici e, dunque, di voler pagare esclusivamente la zakat, ossia la tassa obbligatoria sulla ricchezza (o sul reddito) prevista dal Corano29. Esattamente come nel contesto delle attività economiche, anche il ruolo e la percezione politica dei Fulani dipende dalla loro natura sedentaria o semi-nomade. A questa distinzione sociale, poi, bisogna sovrapporre un’altra variabile di natura storico- geografica legata all’evoluzione delle singole comunità in determinati luoghi. In linea generale, i Fulani semi-nomadi non ricoprono posizioni di potere né all’interno delle istituzioni statali dei Paesi dell’Africa occidentale né tantomeno all’interno delle autorità tribali tradizionali. Infatti, i loro continui movimenti li privano dell’elemento di territorializzazione indispensabile alla sedimentazione del potere e alla sua legittimazione nel tempo. Il nomadismo spesso viene percepito dalle popolazioni stanziali non-Fulani come sinonimo di estraneità e minaccia agli interessi dei nativi. Esempi evidenti dell’atteggiamento ostile delle etnie locali nei confronti dei Fulani si riscontrano in Ghana, dove la popolazione spesso spinge le autorità ad emanare decreti di espulsione per i pastori semi-nomadi30, nella Nigeria centrale e meridionale (la cosiddetta Middle Belt), dove i conflitti tra pastori ed

28 Fédération internationale des ligues des droits de l’Homme, Malian Association for Human Rights (2018) In Central Mali, Civilian Populations Are Caught Between Terrorism and Counterterrorism. 29 de Bruijn, M., Amadou, A., Lewa Doksala, E., Sangaré, B. (2016). Mobile pastoralists in Central and West Africa: between conflict, mobile telephony and (im)mobility. Rev. Sci. Tech. Off. Int. Epiz. 30 Olaniyan, A., Francis, M., Uzodike, U., (2015). The Cattle are “Ghanaians” but the Herders are Strangers: Farmer- Herder Conflicts, Expulsion Policy, and Pastoralist Question in Agogo, Ghana. African Studies Quarterly (vol. 15). 42 agricoltori assumono tratti violenti e sanguinosi e causano diverse migliaia di morti all’anno, e in Mali, dove la competizione per le risorse nel delta interno del Niger vede uno scontro multilaterale tra comunità agricole e pastorali di diverse etnie. Tuttavia, in alcuni casi, come nei territori al confine al Mali, Niger e Burkina Faso, gli esploratori Fulani (“Ragga” in lingua fula) spesso agiscono come mediatori nei conflitti tra pastori ed agricoltori. Ben più complesso è il rapporto tra Fulani stanziali e potere politico e religioso, influenzato massicciamente dalla storia dei singoli imperi africani e degli Stati post-coloniali che ne hanno raccolto l’eredità. In Nigeria, sede di quelle che furono le loro realtà statali più forti e influenti, i Fulani continuano a far parte dell’élite politica e religiosa nazionale, con ampi riconoscimenti e legittimazione regionale. Nello specifico, questo popolo è ben rappresentato nelle istituzioni politiche sia partitiche che istituzionali, esprime personalità di rilievo ai massimi livelli della burocrazia, delle Forze Armate e del governo, controlla la classe religiosa islamica, soprattutto nelle regioni del Nord (Stati Federali di Borno, Yobe, Katsina, Kaduna, Sokoto, Adamawa, etc). Tuttavia, come in ogni agglomerato umano, il loro orientamento non è monolitico ed unitario. Alcuni abbracciano forme di Islam moderato ed aperto alla riforma, al dialogo e alla modernizzazione, mentre altri propendono per interpretazioni più conservatrici o addirittura radicali. Un simile spettro ha un’influenza diretta sulla vita politica nigeriana, in quando l’ala moderata delle autorità religiose fulani propende a rafforzare il dialogo con le altre comunità religiose (soprattutto i cristiani del sud) ed a percorrere la via del compromesso politico in sede istituzionale, mentre l’ala oltranzista e radicale abbraccia visioni meno conciliatorie e si batte per l’imposizione della Sharia quale unica legge nazionale del Paese. Uno scenario simile a quello nigeriano è riscontrabile in altri Paesi dell’Africa Occidentale e della regione saheliana. Ad esempio, in Gambia, Senegal e Mali i Fulani, sebbene siano una minoranza, hanno accesso ai vertici della macchina politica ed istituzionale ed esprimono una parte della classe dirigente. Tuttavia, questa prossimità al processo decisionale dipende dalle aree di provenienza, poiché coloro i quali sono originari della regioni o dei distretti più ricchi o popolosi possono contare su un rateo di risorse elettorali e materiali superiore rispetto a coloro i quali abitano le aree più povere e meno popolate. Inoltre, esattamente come in Nigeria, anche in Mali, Guinea e Senegal, esiste una divisione orizzontale tra Fulani moderati e Fulani conservatori, che spesso ricalca il posizionamento sociale e la provenienza geografica delle diverse comunità e dei leader politici e religiosi. Di conseguenza, nella maggiori aree urbane di questi Paesi, risulta superiore la presenza di orientamenti moderati e riformatori, mentre, al contrario, nelle depresse regioni rurali tende a consolidarsi una visione conservatrice ed ultra-ortodossa.

43 Come se non bastasse, a favorire la retorica salafita contribuisce anche la forza della tradizione e il richiamo del passato. Questo è particolarmente efficace in Mali, nelle regioni di Mopti e Segou, antiche sedi dell’Emirato di Macina, dove la nobiltà fulani è la custode locale di una visione conservatrice dell’Islam nonché promotrice dell’applicazione della Sharia in tutto il Paese. Infine, il Paese dell’Africa Occidentale dove i Fulani soffrono delle maggiori forme di discriminazione ed alienazione dalla vita politica nazionale è sicuramente il Burkina Faso, dove l’egemonia dei Mossi, sia all’interno delle autorità istituzionali che di quelle tradizionali, è dominante. Nonostante il Paese, almeno fino al 2015, sia stato un’oasi di tolleranza e sicurezza all’interno del Sahel, il pluralismo religioso non si è mai tradotto in mature uguaglianza ed equità sociale ed etnica. Nei fatti, queste lacune hanno permesso la lenta incubazione di un malcontento che, nell’ultimo decennio, ha favorito i meccanismi di radicalizzazione jihadista dei Fulani, soprattutto nelle regioni rurali settentrionali e orientali.

44 III. La proliferazione jihadista nel Sahel

III.I Dal Nord Africa al Sahel

Per comprendere l’identità fulani, le rivendicazioni politiche di questo popolo ed il suo rapporto con il fenomeno terroristico regionale, oltre a capire in quale spazio geografico, antropologico e socio-economico esso vive e si sviluppa, occorre identificare la caratteristiche principali della galassia jihadista regionale saheliana. Generalmente, la comunità scientifica fa risalire l’origine del moderno jihadismo del Sahel alla guerra civile algerina (1992 – 2002) e alla trasformazione del FIS in GIA, ossia da movimento per i diritti politici a organizzazione terroristica. Con il proseguire del conflitto tra governo di Algeri e guerriglieri, il GIA ha progressivamente radicalizzato le proprie posizioni ideologiche e aumentato il livello di violenza indiscriminata delle proprie azioni militari, trasformandosi nel GSPC (2004). Furono proprio i miliziani e gli imam radicali del GSPC a cominciare a viaggiare nel deserto del Sahara e nel Sahel, quando ormai le Forze Armate algerine avevano vinto la guerra civile e ne avevano costretto i membri alla fuga e alla clandestinità nelle aree più remote del Paese. Nella loro spinta verso sud, gli esponenti del GSPC cercavano nuove reclute per la propria causa fondamentalista e, nel fare questo, incontrarono i radicali islamisti di Mali, Burkina Faso, Niger, Ciad e Nigeria, soprattutto delle etnie semi-nomadi Tuareg e Fulani. Ad accomunare questi due gruppi vi era la profonda alienazione politica ed economica nei confronti dei governi della regione, retti da gruppi etnici rivali e sordi rispetto alle loro rivendicazioni sociali o autonomiste. Inoltre, nel caso specifico dei Fulani, come visto in precedenza, esistevano ampie sacche di caste nobiliari che già abbracciavano una visione ultra-conservatrice dell’Islam, sostenuta nella sua difesa e propagazione dal proselitismo e dall’azione umanitaria delle organizzazioni caritatevoli delle Monarchie del Golfo, iniziata negli Anni 8031. Nel 2007, con la nascita di AQMI e la consociazione delle sigle jihadiste nazionali del Nord Africa nel network qaedista, la spinta del radicalismo islamista verso sud è diventata più sistematica e strutturale. A spingere i miliziani dell’organizzazione di Osama Bin Laden e Ayman al-Zawahiri ad investire nella penetrazione del deserto sono stati numerosi fattori. Il primo, di ordine tattico, riguardava la necessità di cercare nuovi mercati sociali in aree dove le lacune di governance, di controllo di territorio e di misure di sicurezza

31 Lounnas, D. (2018). Jihadist Groups In North Africa And The Sahel: Between Disintegration, Reconfiguration And Resilience. MENARA Working Papers n.16. 45 consentissero una più rapida ed efficace proliferazione del messaggio e della rete terroristica. Infatti, nei Paesi del Nord Africa, la crescita nelle capacità delle organizzazioni militari e di polizia nazionali, spesso supportate dalla cooperazione internazionale e dall’aiuto di Stati Uniti ed Unione Europea, rendeva più complesso il reclutamento di nuovi membri e la conduzione delle campagne di insorgenza32. Il secondo fattore, di ordine strategico, riguardava le maggiori opportunità sociali ed economiche che il Sahel offriva alle organizzazioni islamiste radicali. Infatti, la perduranza di condizioni di subalternità da parte delle minoranze etniche e il malgoverno delle autocrazie neo-patrimoniali africane rendevano alcune comunità del Sahel più sensibili al messaggio religioso e alla proposta politica qaedista. Inoltre, con lo sviluppo di efficaci misure di contrasto al finanziamento al terrorismo, al-Qaeda ed i suoi franchise regionali avevano disperato bisogno di diversificare le fonti di approvvigionamento delle risorse, non potendo più contare sulle generose elargizioni di Bin Laden o di altri “mecenati del terrore”. In questo senso, l’Africa saheliana, con la porosità dei suoi confini e l’incontrollabilità dei suoi enormi spazi, costituiva il più florido ecosistema per i traffici illeciti di droga, armi ed esseri umani sia all’interno del continente che verso Europa e Medio Oriente. In particolare, il peso economico del traffico di stupefacenti è cresciuto esponenzialmente dal 2005, quando il rafforzamento delle autorità e delle strategie di contrasto al narcotraffico in Asia hanno costretto i signori della droga dell’America Latina a modificare le rotte verso l’Europa, individuando le coste di Nigeria e Guinea Bissau come nuovi porti sicuri e riesumando le antiche vie carovaniere. Per ironia della sorte, il commercio trans-sahariano, dopo i secoli di crisi seguiti alla scoperta dell’America, tornava improvvisamente a ricoprire un ruolo cruciale nell’economia, seppur illegale, del globo. Naturalmente, per gestire questi traffici occorreva integrare membri delle etnie locali che conoscevano e controllavano il territorio33. Il terzo fattore riguardava le rivalità all’interno di AQMI. Infatti, uno dei maggiori promotori della spinta a sud del jihadismo è stato Mokhtar Belmokhtar, per anni tra i più influenti membri di AQMI e acerrimo rivale di Abdelmalek Droukdel, emiro dell’organizzazione. Belmokhtar, una volta persa la lotta per il vertice di AQMI e relegato al ruolo di comandante della brigata sahariana dell’organizzazione, si è dimostrato sempre più insofferente verso gli ordini di Droukdel ed ha cominciato ad ampliare il suo bacino di reclutamento e sostegno nel Sahel, allungando i tentacoli qaedisti mediante una saggia

32 Le Roux, P. (2019). Confronting Central Mali’s Extremist Threat. Africa Center for Strategic Studies. 33 Lounnas, D. (2018). The links between jihadi organizations and illegal trafficking in the Sahel. MENARA Working papers n.25. 46 politica di matrimoni tra miliziani algerini e donne locali, funzionale a saldare quei legami etnici indispensabili per guadagnare la fiducia delle tribù e, di conseguenza, accedere al business dei traffici illeciti.

III.II L’esplosione dell’insurrezione jihadista nel 2010 – 2012

La penetrazione jihadista iniziata nei primi Anni 2000 ha raccolto i suoi dividendi e si è trasformata in una insurrezione generale nel Sahel nel triennio 2010 – 2012, quando si è verificata la contemporanea presenza di due fattori che hanno potenziato drasticamente le capacità dei movimenti terroristici. Il primo fattore, di ordine economico-ambientale, è la grande siccità del 2010, una delle più gravi della regione negli ultimi 30 anni. Infatti, seppur sin dal 1973 la fascia saheliana è stata interessata dall’impatto del cambiamento climatico nella forma di carestie, desertificazione ed inaridimento del suolo, la siccità del 2010 ha condotto ad una gravissima crisi che ha causato la morte di migliaia di uomini ed animali. L’emergenza umanitaria saheliana del 2010 ha rappresentato la base per la rapida crescita del malcontento popolare nei confronti delle istituzioni e per l’altrettanto rapida moltiplicazione dei conflitti tra i diversi gruppi etnici per l’accesso alle risorse. Il secondo fattore, di ordine politico, riguarda l’instabilità politica regionale derivante dal crollo del regime di Muhammar Gheddafi in Libia (2011) e dallo scoppio della guerra civile in Mali (2012 – 2015), due eventi strettamente correlati tra loro. Nel contesto delle cosiddette “Primavere Arabe”, la ribellione anti-gheddafiana in Libia ha condotto all’esautorazione del vecchio autarca e, contemporaneamente, alla dissoluzione delle strutture statali ed alla guerra civile. Questo ha portato alla proliferazione del traffico delle armi trafugate dagli arsenali libici ormai incustoditi e, soprattutto, al ritorno nei Paesi di origine di centinaia di mercenari e guerriglieri dell’Africa sub-sahariana che servivano come guardia pretoriana per il regime di Gheddafi. La maggioranza di questi erano Tuareg del Mali che, una volta costretti al rientro in patria, hanno lanciato l’ennesima offensiva indipendentista contro il governo di Bamako34. Tale offensiva, funzionale alla creazione dello Stato dell’Azawad (il nome con i Tuareg chiamano le proprie terre ancestrali nel Sahara e nel Sahel) nel nord del Mali, ha visto la partecipazione di movimenti espressione di diverse confederazioni tribali e con altrettanto diversi orientamenti ideologici. Nello specifico, si trattava del MNLA, gruppo che

34 Lounnas, D. (2018). The Transmutation Of Jihadi Organizations In The Sahel And The Regional Security Architecture. MENARA Future Notes n.10. 47 rappresentava la confederazione tribale Tuareg Kel Tadmaket di Timbuctu ed era di orientamento moderato, ed Ansar al-Din (“I protettori della Fede”) che rappresentava la confederazione tribale Tuareg Kel Adrar di Kidal ed era di orientamento jihadista. A guidare Ansar al-Din era Iyad Ag Ghaly, uomo di riferimento del network di al-Qaeda nel Sahel ed uno dei leader tuareg più autorevoli di tutta la regione. Proprio grazie a lui, i movimenti jihadisti dell’Africa saheliana irruppero nella guerra civile maliana, trasformando la causa indipendentista in una lotta jihadista tesa alla creazione di un emirato. Oltre ad AQMI, uno dei gruppi terroristici più attivi fu il MUJAO, formazione fondata da Belmokhtar nel 2011 per riunire tutti i miliziani qaedisti non-algerini e le varie milizie tribali, come quelle Fulani, decise a sfruttare la ribellione per realizzare i propri obbiettivi di emancipazione politica e sociale35. L’esperienza della partecipazione all’insurrezione jihadista all’interno del MUJAO è stata decisiva per il percorso di radicalizzazione di molti gruppi etnici dell’Africa sub- sahariana che, fino ad allora, avevano vissuto ai margini della galassia eversiva islamista ed erano stati ritenuti combattenti di rango inferiore. Entrare nel MUJAO ha garantito loro prestigio, autorevolezza e accesso a quella rete logistica indispensabile per sviluppare organizzazioni jihadiste autonome in patria. Questo è particolarmente vero per le organizzazioni terroristiche Fulani del Mali e del Burkina Faso, i cui leader, prima di diventare tali, avevano combattuto tra le fila del MUJAO nella guerra civile maliana36. Anche se l’intervento francese iniziato nel 2012 (operazione “Serval” e successivamente operazione “Barkhane”) e la missione ONU MINUSMA sono riusciti a respingere l’avanzata jihadista verso sud ed a porre un argine all’instabilità maliana, la situazione politica e di sicurezza del Paese è rimasta volatile e fragile sino ai giorni nostri. Le fratture sociali e politiche esplose attraverso la guerra civile non sono state mai sanate e, anzi, hanno ulteriormente peggiorato i fattori alla base della radicalizzazione jihadista. In questo senso, non bisogna in alcun modo sottostimare la percezione popolare dell’intervento onusiano e francese. Infatti, per le comunità locali, i soldati delle Nazioni Unite e della Francia non sono alleati nel processo di ricostruzione e stabilizzazione del Paese, bensì forze straniere occupanti colluse con il governo corrotto di Bamako e intenzionate ad imporre il potere coloniale straniero in Mali. Ovviamente, tale percezione viene assorbita e sistematizzata nella narrativa jihadista che, grazie alla demonizzazione dello straniero, radicalizza e polarizza l’opinione pubblica delle comunità più vulnerabili del Paese.

35 MCGREGOR, A. (2017). The Fulani Crisis: Communal Violence and Radicalization in the Sahel. CTC Sentinel (vol. 10). 36 Raineri, L., Strazzari, F., (2017). Jihadism in Mali and the Sahel: Evolving dynamics and patterns. European Union Institute for Security Studies. Brief Issue n.21 48 Ad oggi, il nord del Mali è la principale base per i network terroristici del Sahel, un enorme spazio geografico dove il governo di Bamako non riesce ad esercitare un efficace controllo del territorio e dove le lacune di governance, unite alla povertà, all’emergenza umanitaria ed ambientale ed ai conflitti etnici, consentono ai movimento jihadisti di imporsi come entità para-statali in grado di amministrare la giustizia, offrire opportunità di lavoro attraverso i canali dell’economia illegale e somministrare servizi di welfare ed educazione. Il dato più preoccupante in questa parte dell’Africa è costituito dalla legittimità e dall’autorevolezza che questi gruppi hanno conquistato agli occhi della popolazione civile che, in una situazione così estrema, preferiscono affidarsi al governo dei radicali islamisti pur di sfuggire all’anarchia e alla povertà. In sintesi, la radicalizzazione jihadista nel Sahel è una radicalizzazione figlia della mancanza di alternative credibili e legata indissolubilmente alle esigenze di sopravvivenza. In un contesto geografico dove i confini sono così porosi e gli Stati così fragili, il Mali si è trasformato nell’epicentro del jihadismo regionale, ossia in un laboratorio politico in grado sia di incubare e diffondere movimenti radicali e modelli alternativi di governo del territorio in Burkina Faso, Niger, Senegal e Ciad sia di fungere tra punto di contatto e moltiplicatore di forza tra la galassia eversiva nordafricana e quella sub-sahariana. In breve, il Mali è il connettore che unisce e tiene insieme l’arco di instabilità che va dalla Libia al nord della Nigeria.

III.III i principali gruppi jihadisti del Sahel

Al momento, nel Sahel sono attive due principali network jihadisti, uno afferenti al panorama di al-Qaeda ed uno a quello dello Stato Islamico (o Daesh)37. Per quanto riguarda il panorama qaedista, il gruppo più importante è il GSIM. Si tratta di una organizzazione ombrello che riunisce le maggiori sigle jihadiste regionali, nello specifico la brigata sahariana di AQMI, al-Mourabitun, il FLM, Ansar al-Din e Ansarul Islam. L’organizzazione è guidata da Iyad Ag-Ghaly, a testimonianza sia del peso delle tribù tuareg al suo interno sia della vocazione fortemente saheliana del gruppo. La brigata sahariana di AQMI è comandata da Djamel Okacha (Yahya Abu Hammam) ed è composta prevalentemente da miliziani algerini. Essa risulta attiva soprattutto a cavallo tra le regioni meridionali di Algeria e Libia e nel nord del Mali. Essa ha compiti sia operativi che logistici, in particolare di mantenere i contatti tra la leadership qaedista della Kabilia

37 Sangare, B. (2019). Fulani people and Jihadism in Sahel and West African countries. Fondation pour la recherce stratégique 49 algerina ed i movimenti dell’africa sub-sahariana e fornire assistenza ai gruppi non-algerini del network regionale. Ansar al-Din rappresenta il gruppo di riferimento per i Tuareg di tutta la regione, soprattutto quelli della confederazione tribale Kel Adrar di Kidal e, parzialmente, sia della Kel Ayr (nord del Niger) che della Kel Ajjer (Ghat e Ubari in Libia). L’affiliazione tribale è l’elemento portante del potere di Ansar al-Din, che può contare sul controllo di un territorio che si estende dal sud-est del Mali (Gao, Kidal) fino alle oasi libiche di Ghat e Ubari e alle città nigerine di Arlit e Agadez38. Al contrario di Ansar al-DIn, al-Mourabitun non ha una forte connotazione etnica, bensì accoglie al proprio interno miliziani tuareg, hausa, fulani, berberi e arabi. Nel contesto dei movimenti inquadrati nel GSIM, al-Mourabitun è sicuramente il più attivo e pericoloso in virtù della sua presenza trasversale sul territorio saheliano e del suo coinvolgimento sia nei traffici illeciti che nelle attività dal forte richiamo propagandistico e politiche (attentati, rapimenti). Un contributo non indifferente alla strutturazione del gruppo e alla sua influenza è da attribuire alla leadership di Mokhtar Belmokhtar, meglio conosciuto come Mr. Marlboro o l’Inafferrabile o lo Sceicco Guercio, emiro e trafficante nonché ideatore del modello di cooperazione tra contrabbandieri, terroristi e leader ribelli delle etnie del Sahel. Il FLM, formazione nata nel 2015 nella regione maliana di Mpoti, raccoglie sotto la propria bandiera i miliziani di etnia Fulani ed è guidata dal leader spirituale Amadou Koufa e dal comandante militare Abou Yehiya. Esattamente come Ansar al-Din, anche il FLM sfrutta la cooptazione delle rivendicazioni tribali per imporsi come movimento legittimo agli occhi della popolazione e cristallizzare il controllo del territorio e delle risorse39. Come il FLM, anche Ansarul Islam è nata nel 2015 ed accoglie al proprio interno prevalentemente miliziani di etnia Fulani. Fondata da Ibrahim Malam Dicko, un allievo di Amadou Koufa, Ansarul Islam è attiva prevalentemente nel nord del Burkina Faso. Le stime sul numero di effettivi dl GSIM variano considerevolmente e, in generale, sono oggetto di disputa nella comunità scientifica. Tuttavia, in base ai dati sinora disponibili, è possibile affermare che l’organizzazione, nel suo complesso, possa contare su uno zoccolo duro di circa 5.000 combattenti. Tuttavia, l’organizzazione ha la capacità di aumentare improvvisamente la consistenza dei propri ranghi grazie all’assimilazione delle milizie etniche e alla cooptazione delle loro rivendicazioni. Inoltre, GSIM può contare su una vasta rete di facilitatori ed alleati che, pur non facendo parte dell’organizzazione in senso

38 International Crisis Group (2018). Drug Trafficking, Violence and Politics in Northern Mali. Africa Report N°267 39 International Crisis Group (2017). The Social Roots of Jihadist Violence in Burkina Faso’s North. Africa Report N°254 50 stretto, rappresentano un capitale sociale ed una “riserva” operativa molto utile nella conduzione delle attività. Anche se non è parte del network del GSIM, un altro gruppo in orbita qaedista è l’Avanguardia per la Protezione dei Musulmani nell’Africa Nera, formalmente conosciuta come Ansaru. Nata nel 2012 da una scissione interna al movimento jihadista nigeriano Boko Haram, Ansaru è presente prevalentemente nella Nigeria settentrionale. Dopo un exploit nei suoi primi due anni di vita, dal 2015 ha conosciuto un sensibile ridimensionamento delle proprie attività. Per quanto riguarda il network dello Stato Islamico, sono due i gruppi più attivi nella regione del Sahel: Boko Haram e il SIGS. Boko Haram, nata nel 1998 come setta caritatevole, dal 2009 si è trasformata in una organizzazione terroristica matura a causa della violenta repressione delle autorità nigeriane e all’uccisione del suo fondatore Mohamed Yussuf. Boko Haram è un movimento radicale che lotta per la trasformazione della Nigeria in un emirato islamico e per l’emancipazione del popolo Kanuri, minoranza etnica subordinata all’interno degli equilibri politici nazionali. Nel 2015, L’affiliazione di Boko Haram allo Stato Islamico, e la sua conseguente trasformazione in un wilayat (provincia) del Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi con il nome di SIAO, ha certificato la dimensione internazionale del movimento ma, al contempo, nel ha diviso la leadership. Infatti, Daesh ha indicato come leader di Boko Haram Abu Musab al-Barnawi, figlio di Mohamed Yussuf, ritenendolo più adatto alla strategia di espansione jihadista in Nigeria. Infatti, secondo gli uomini del Califfato, Shekau era un leader troppo violento ed inadatto alla costruzione di quel consenso popolare fondamentale per la cristallizzazione del potere del territorio. Da quel momento, Boko Haram continua a vivere una forte conflittualità tra le due leadership concorrenti anche se, sotto il profilo operativo, questo non affligge le sue capacità di condurre attacchi contro obbiettivi nazionali e internazionali40. Infine, il SIGS raccoglie quei miliziani ribelli non inquadrati in altre organizzazioni, indipendentemente dalla loro appartenenza etnica. In linea di massima, l’elemento di distinzione del gruppo rispetto ai suoi avversari regionali è la presenza di un alto numero di combattenti saharawi, anche se in Niger la maggior parte degli affiliati è di etnia Fulani, elemento che gli garantisce una solida presenza a Tillaberi e Tahoua. Nonostante la sua nascita relativamente recente (2015), il SIGS si è dimostrato non meno pericoloso ed audace del GSIM, come testimoniato dall’agguato alla pattuglia congiunta nigerino-

40 International Crisis Group (2017). Herders against Farmers: Nigeria’s Expanding Deadly Conflict. Africa Report N°252 51 statunitense a Tongo Tongo, lo scorso 4 ottobre, che ha causato la morte di 4 Berretti Verdi americani. Il movimento, fondato dall’ex comandante militare del MUJAO Adnan Abu Walid al-Sahraoui, è giudicato come in grande espansione in virtù del crescente numero di attacchi e rapimenti compiuti in tutta la regione del Sahel. Tuttavia, nel complesso il SIGS è considerato ancora una forza minoritaria rispetto al GSIM41.

41 Le Roux, P. (2019). Exploiting Borders in the Sahel: The Islamic State in the Greater Sahara. Africa Center for Strategic Studies. 52 IV. I Fulani e il jihadismo

IV.I Le ragioni della radicalizzazione dei Fulani

Il capitolo II, “Il popolo Fulani: storia, cultura, politica e società”, permette di comprendere la complessità antropologica, politica ed economica dei Fulani e di come la loro stratificazione sociale e la loro distribuzione geografica ne influenzino profondamente i comportamenti, le rivendicazioni e le agende. Tale complessità si riflette pedissequamente nei meccanismi di radicalizzazione delle comunità fulani, che cambiano sensibilmente da Paese a Paese e che proliferano grazie allo sfruttamento dei fattori di alienazione politica, economica e sociale sofferti da questo popolo in ognuna delle regioni di stanziamento o transito. Il processo di radicalizzazione e di proselitismo jihadista, come qualsiasi altro meccanismo di cooptazione politica del malcontento e del dissenso verso le istituzioni, è fortemente adattivo. Di conseguenza, non esiste un modello unico di radicalizzazione del popolo Fulani ma differenti percorsi eversivi intrapresi dalle singole comunità regionali e locali. Tuttavia, anche in questo contesto eterogeneo e mutevole, è possibile identificare tre elementi ricorrenti che accomunano la radicalizzazione fulani in tutto il Sahel occidentale: un elemento ideologico-tradizionale, un elemento economico ed un elemento socio-politico, tutti e tre collegati strettamente tra di loro. Per quanto riguarda l’elemento economico, questo attiene alla riduzione delle terre fertili destinate al pascolo e delle risorse idriche per dissetare gli armenti in tutta la fascia del Sahel. Come già evidenziato nel capitolo I, “Il mosaico saheliano”, il Sahel è una regione a costante riduzione di risorse del suolo e di contemporanea e consequenziale crescita della competizione per esse tra le comunità locali. Tale riduzione è dovuta a diversi fattori: 1) il cambiamento climatico e l’innalzamento delle temperature medie che provocano siccità, inaridimento, desertificazione e deterioramento del suolo; 2) lo sviluppo dell’agricoltura intensiva di cash crop (arachidi, cotone, riso) destinati all’esportazione, che ha causato l’espansione delle terre coltivate senza aumentare la disponibilità di cibo per uomini e animali nelle regioni di coltivazione; 3) l’espansione dell’industria estrattiva, l’aumento dell’inquinamento del suolo e della sua sottrazione all’impiego agricolo e pastorale 4) la crescita demografica che ha aumentato la domanda di cibo, acqua, risorse e lavoro in una regione impossibilitata a soddisfarle entrambe42.

42 Raineri, L. (2018). If victims become perpetrators. Factors Contributing To Vulnerability And Resilience To Violent Extremism In The Central Sahel. International Alert. 53 Tali fattori hanno condotto alla diminuzione delle aree destinate al pascolo e, quindi, delle risorse del suolo a disposizione dei pastori-semi-nomadi fulani che, di conseguenza, hanno assistito ad una rapido peggioramento delle proprie condizioni di vita. Inoltre, la scarsità di risorse ha aumentato la concorrenza per il loro sfruttamento, incrementando parallelamente e progressivamente la conflittualità tra pastori semi-nomadi, agricoltori e cacciatori. Per cercare di ovviare all’emergenza ambientale e ai sui diretti impatti economici, i Fulani hanno dovuto modificare le loro tradizionali rotte di transumanza, spingendosi in regioni sino a quel momento estranee al loro transito e migrando verso più fertili territori a sud del Sahel. L’elemento economico alla base del processo di radicalizzazione fulani rappresenta il volano e la causa diretta ed originaria per la genesi di quello socio-politico. Quest’ultimo può essere riassunto nel malcontento e nella crescita del sentimento di alienazione e di marginalizzazione sfociante nella sfiducia nei confronti delle istituzioni sia governative che tradizionali / tribali. Infatti, oltre ad essere i principali promotori delle politiche di espansione dell’agricoltura intensiva, i governi della regione hanno costantemente difeso gli interessi degli agricoltori nelle dispute con i pastori semi-nomadi fulani. Questo schierarsi con le comunità agricole sedentarie dipende da molteplici fattori, tra cui la facilità di tassazione e di controllo della popolazione, il maggior peso elettorale dei sedentari e il ruolo strategico delle colture nelle quote di esportazione nazionale. Tale predilezione per gli agricoltori ha riguardato anche l’azione delle autorità tribali tradizionali, spesso chiamate ad esercitare, per delega governativa, funzioni di amministrazione della giustizia e prelievo fiscale. Come se non bastasse, la ricerca di nuovi pascoli e l’adozione di nuove rotte per la transumanza ha portato i pastori fulani a contatto con comunità sedentarie e con leader tribali con i quali non lo erano mai stati. Di conseguenza, tra agricoltori e pastori, in queste nuove aree di convivenza forzata, non è mai esistita una legge consuetudinaria comune e non si è mai creato quel rapporto di reciproca fiducia essenziale per la costruzione di relazioni pacifiche e per l’accettazione della giurisdizione delle autorità tribali. In aggiunta a questo, in alcuni casi, la discriminazione nei confronti dei Fulani non era solo economica e giuridica, ma anche etnica, poiché in quasi tutti i Paesi dove essi vivono, ad eccezione della Nigeria, il popolo di lingua fula è una minoranza e, di conseguenza, dispone di strumenti limitati per difendere i propri diritti e garantirsi adeguata rappresentanza politica. Sulla base di tutti questi presupposti, dunque, i pastori semi-nomadi fulani si sono sentiti traditi dalle autorità e, gradualmente, non ne hanno più riconosciuto la legittimità e l’efficienza. Piuttosto che affidarsi a meccanismi di risoluzione delle controversie faziosi e influenzati da logiche

54 di interesse economico e non di equità, i Fulani hanno preferito armarsi e formare milizie di auto-difesa che esercitassero ed implementassero la cosiddetta giustizia privata43. L’innalzarsi del livello e del grado di violenza inter-etnica e sociale tra comunità di pastori semi-nomadi fulani, comunità di pastori di altri gruppi e comunità sedentarie di agricoltori, unita al senso di sfiducia verso le istituzioni, alla mancanza di una governance efficiente e diffusa e al progressivo impoverimento di fasce sempre più ampie della popolazione ha costituito la base ideale per la proliferazione della propaganda jihadista e, di conseguenza, del terrorismo. Questa considerazione conduce direttamente all’analisi del terzo elemento fondante la radicalizzazione dei Fulani, ossia quello ideologico-tradizionale. Per un curioso parallelismo con il processo di islamizzazione africano del X e XI secolo, anche agli albori degli Anni 2000 sono stati i popoli nomadi del deserto i primi ad essere corrotti dal messaggio radicale dei predicatori e dei miliziani jihadisti algerini, alla ricerca di nuovi mercati sociali dopo la sconfitta nella Guerra Civile algerina (1992-2002). La scelta dei radicali algerini non è stata casuale, poiché gruppi etnici come i Fulani e i Tuareg, in virtù del proprio stato di indigenza economica ed alienazione politico-sociale, erano nelle condizioni potenziali migliori per accettare un’ideologia massimalista. Consci di questa situazione, gli uomini dell’allora GSPC hanno attinto a piene mani alla storia del Sahel, dipingendo i movimenti islamisti radicali come gli eredi ed i custodi del messaggio originario e puro dell’Islam, quello che, se ripristinato, avrebbe ristabilito giustizia, equità e benessere nella regione. Tale messaggio è maturato con la nascita e l’attività di AQMI che ha descritto la sua agenda politica ed i suoi obbiettivi, ossia la riunificazione della Umma e la rinascita di un nuovo e grande Califfato modellato sull’esperienza di quello Omayyade del 661 – 750, come coerenti con la riabilitazione del popolo Fulani. Infatti, AQMI ha identificato la propria azione come funzionale al ritorno degli emirati e del Sultanato fulani del XVIII e XIX secolo (Futa Jallon, Futa Tooro, Sokoto, Macina, Adamawa). Appare evidente come questa retorica sia stata in grado di sedurre sia i Fulani semi- nomadi delle campagne e delle caste inferiori, sostanzialmente alla ricerca del miglioramento delle proprie condizioni economiche, sia i Fulani sedentari delle città e delle caste nobiliari, più concentrati sull’aumento del loro potere politico. Occorre sottolineare come la diffusione dell’ideologia e del messaggio jihadista sia stata facilitata da condizioni culturali autoctone nella regione. Infatti, come evidenziato nei capitoli precedenti, nel Sahel esisteva già un ceppo islamista ultra-conservatore ed una consolidata esperienza storica di

43 Raineri, L., Strazzari, F., (2017). Jihadism in Mali and the Sahel: Evolving dynamics and patterns. European Union Institute for Security Studies. Brief Issue n.21 55 jihad che prescinde dalle interferenze esterne. Questo vuol dire, contrariamente ad una mitologia largamente affermata nella comunità scientifica, che non è stata l’Arabia Saudita o altre monarchie del Golfo a portare il salafismo in Africa, ma esso esisteva già come corrente di pensiero e interpretazione religiosa squisitamente locale. Gli investimenti e il proselitismo di attori internazionali esterni alla regione ha, al massimo, contributo a rinfocolare i ceppi estremisti esistenti e ad agevolarne la rinascita e il consolidamento. Tuttavia, è bene sottolineare come AQMI e le sigle jihadiste che le sono succedute, come il GSIM ed i movimenti che ne sono parte, non hanno offerto ai Fulani una semplice speculazione ideologica o l’aspettativa di un sistema politico-economico più equo basato sul ritorno ad una fantomatica “età dell’oro”. Al contrario, l’opera di proselitismo e di reclutamento è stata possibile grazie ad un’azione politica, economica e sociale concreta sul territorio. In breve, le sigle terroristiche hanno sopperito alle mancanze delle istituzioni, ergendosi a difesa dei diritti dei Fulani, rifornendo le loro milizie di armi e veicoli, amministrando direttamente o indirettamente la giustizia, il prelievo fiscale e la redistribuzione del reddito, offrendo servizi educativi e lavoro ai giovani disoccupati. Nel contesto delle tensioni inter-etniche nei Paesi del Sahel, quando i gruppi estremisti riescono a ottenere il controllo di un'area vengono spesso percepiti dalle comunità locali come una forza in grado di ristabilire la legge e l'ordine. Perfino la brutalità sommaria della Sharia introdotta dai jihadisti sembra preferibile all'impunità corrotta che deriva dall'anarchia dei sistemi tradizionali e dal cattivo governo. Nelle aree che controllano, i gruppi jihadisti traggono ispirazione da un'interpretazione rudimentale della legge islamica per risolvere le controversie, garantire che i "giudizi" siano seguiti e applicati, punire i colpevoli e risarcire le vittime. In un contesto di scarsa governance, i jihadisti sono apprezzati per il fatto che la loro "giustizia" è percepita come libera, onesta, veloce ed efficace, anche quando sfocia in intimidazioni e crudeltà. Grazie ai movimenti jihadisti, seppur de facto e non de iure, sono rinati gli emirati ed i sultanati fulani dei secoli precedenti, è tornata una tassazione ritenuta equa e sostenibile (basata sulla semplice zakat) ed i Fulani hanno riacquisito i privilegi di un tempo. In tale contesto, uno dei segnali più preoccupanti è rappresentato dall’ammirazione che, in molti casi, i giovani fulani nutrono nei confronti dei jihadisti, visti come degli autentici eroi che combattono per una nobile causa, invidiati per i loro racconti di fantomatiche battaglie nel deserto ed a costante rischio di emulazione per via dei loro beni materiali, primo fra tutti le motociclette, il nuovo “cammello meccanico del deserto”44.

44 Raineri, L. (2018). If victims become perpetrators. Factors Contributing To Vulnerability And Resilience To Violent Extremism In The Central Sahel. International Alert. 56 Tuttavia, esattamente come nelle diverse declinazioni del rapporto e tra Fulani e potere politico, sul quale influiscono inevitabilmente le peculiarità locali (storia, economia, tradizioni, interazioni sociali), anche per quanto riguarda i meccanismi di radicalizzazione e di adesione a movimenti jihadisti sussistono delle caratterizzazioni legate al territorio. Questo vuol dire che, anche se parte di un network regionale e internazionale più ampio, i singoli gruppi terroristici del Sahel hanno profonde caratterizzazioni locali ed utilizzano strumenti e leve differenti per cooptare le agende delle singole comunità e dei singoli gruppi etnici.

IV.II I principali movimenti jihadisti a partecipazione Fulani

Come evidenziato sinora, esistono elementi generali e comuni alla base del processo di radicalizzazione e di adesione a movimenti jihadisti da parte delle comunità fulani. Tali elementi generali, poi, assumono tratti peculiari nei singoli Paesi del Sahel a seconda delle loro diverse caratteristiche economiche, sociali e politiche. Inoltre, l’elemento territoriale, storico e identitario influisce in maniera profonda sulla propaganda e sulle agende politiche dei diversi movimenti jihadisti. Prima di comprendere e analizzare il rapporto tra Fulani e movimenti terroristici è doverosa una precisazione preliminare. La cooptazione del malcontento da parte delle organizzazioni terroristiche segue modelli organizzativi e strategie differenti. Alcuni preferiscono reclutare elementi provenienti da diversi gruppi etnici ed implementare agende diversificate, mentre altri optano per un reclutamento etnicamente omogeneo e per agende indissolubilmente legate alle necessità di specifiche comunità. Di conseguenza, nella complessità del mosaico saheliano, esistono movimenti jihadisti quasi esclusivamente formati da Fulani e che hanno un’agenda politica modellata sulle loro rivendicazioni in determinate regioni o province e movimenti jihadisti che includono membri fulani ma che seguono strategie politiche di respiro multietnico. In base a queste considerazioni preliminari, è possibile affermare che la radicalizzazione e l’adesione a movimenti jihadisti da parte dei Fulani seguono percorsi differenti in Nigeria, Mali, Burkina Faso e Niger. A guidare questo processo di radicalizzazione sono Boko Haram e Ansaru in Nigeria, Ansarul Islam in Burkina Faso, il FLM in Mali e lo SIGS in Niger45.

45 Mcgregor, A. (2017). The Fulani Crisis: Communal Violence and Radicalization in the Sahel. CTC Sentinel (vol. 10). 57

Mappa della Nigeria

In Nigeria, Boko Haram è il principale collettore del malcontento sociale ed economico delle comunità fulani, soprattutto di quella dei pastori semi-nomadi, nonostante il movimento non abbia nel gruppo etnico in questione il suo referente principale. Infatti, come analizzato nei capitoli precedenti, nel Paese i Fulani sedentari, ormai quasi indistinguibili dagli Hausa, rappresentano un’etnia dominante e partecipano a pieno tiolo ai meccanismi politici nazionali. Tuttavia, lo stesso non può dirsi per i pastori semi-nomadi che, al contrario, vivono ai margini della società e soffrono di un profondo stato di indigenza e povertà. Infatti, a causa della desertificazione e dell’inaridimento delle oltre 400 riserve di pascolo nelle regioni settentrionali, i pastori sono stati costretti a migrare verso le regioni centrali, nella cosiddetta “Middle Belt”, un tempo dominata dagli agricoltori. La competizione per le risorse e la crisi delle istituzioni tradizionali deputate alla risoluzione delle controversie (i capi tribali o Ardos) ha spinto i Fulani a cercare altre forme di protezione e tutela. Tale ricerca è stata accentuata dalla sfiducia nei confronti del governo che, nella maggior parte delle occasioni, si è dimostrato propenso alla difesa dei diritti degli agricoltori, una categoria strategica in un Paese dove il 70% della manodopera e il 30% dipende dal settore primario.

58 Questa propensione è stata dimostrata anche attraverso le scelte economiche dei governatori locali e dell’esecutivo centrale che, a partire dagli Anni 70, hanno fortemente investito nell’agricoltura cash crop (pomodori e cipolle), nonostante la Nigeria sia il principale produttore di carne dell’Africa occidentale. Le forme di auto-difesa dei Fulani semi-nomadi nigeriani hanno assunto due tipologie principali: la formazione di milizie claniche atte al saccheggio, ai rastrellamenti nei villaggi di agricoltori e all’abigeato, spesso ai danni di altri gruppi etnici, e l’aumento di attacchi contro leader tribali e rappresentanti delle istituzioni governative (governatori, ufficiali di polizia e delle Forze Armate). La violenza inter-etnica su base economico-sociale ha conosciuto una crescita esponenziale a partire dal 2010 e, dal 2015 ad oggi, ha causato molte più vittime dell’insorgenza di Boko Haram. Nello specifico, nel periodo in questione, gli scontri tra pastori semi-nomadi fulani ed altri gruppi etnici hanno provocato oltre 10.000 vittime e 30.000 sfollati, ossia un numero circa tre volte superiore agli attacchi jihadisti. Tuttavia, è bene sottolineare come la violenza inter-etnica viva di dinamiche autonome ed indipendenti dalle attività di Boko Haram. Infatti, il movimento fondato da Lawal e Yossuf nel 1998 ha una forte caratterizzazione Kanuri, un’etnia sedentaria che, nella Nigeria odierna, vive una situazione di subalternità rispetto agli Hausa-Fulani, agli Yoruba e agli Igbo. I Kanuri, prima della nascita del Sultanato di Sokoto e della colonizzazione inglese e francese del XIX secolo, guidavano l’impero di Kanem-Bornu, uno degli Stati più antichi e potenti dell’Africa Occidentale. Sotto il profilo identitario e propagandistico, Boko Haram intende trasformare la Nigeria in un emirato governato da una interpretazione radicale della legge islamica e, soprattutto, restituire ai Kanuri un ruolo politico di rilievo. I leader di Boko Haram, Abubakar Shekau e Abu Musab al-Barnawi, sono entrambi di etnia Kanuri ed entrambi imparentati con Mohamed Yossuf. Anche Ansaru, movimento jihadista nato come costola di Boko Haram ed attualmente affiliato ad al-Qaeda, ha una base di reclutamento e una leadership quasi esclusivamente Kanuri. Le divergenze tra Boko Haram, parte del network dello Stato Islamico, ed Ansaru sono di matrice ideologica ma non etnica. Infatti, Ansaru e la fazione bokoharamista di al- Barnawi propendono a limitare gli attacchi contro le istituzioni nazionali e i loro rappresentanti (polizia, Forze Armate, governatori), contro la popolazione non islamica e contro obbiettivi internazionali (cittadini stranieri, ambasciate e agenzie delle Nazioni Unite), escludendo, laddove possibile, la popolazione musulmana. Al contrario, Boko Haram adotta una visione più estesa di takfir (apostata) e kuffar (infedele), conducendo operazioni contro qualunque genere di obbiettivo ritenuto ostile. In ogni caso, sia Boko Haram che Ansaru non hanno mai esplicitato agende politiche ed

59 operative che cercassero di difendere o proteggere in maniera diretta i diritti dei Fulani semi- nomadi. Dunque, la convergenza tra Fulani semi-nomadi e movimenti jihadisti nigeriani non è sistemica né strutturale, bensì occasionale ed embrionale. Infatti, sinora, soltanto in poche occasioni e soprattutto nella regione del Lago Ciad, le brigate di Boko Haram hanno integrato milizie di auto-difesa Fulani ed hanno sostenuto le loro rivendicazioni. Al contrario, nella maggior parte dei casi, le comunità di pastori semi-nomadi hanno dovuto subire violenze e saccheggi da parte dei jihadisti, che hanno imposto loro tasse o rubato i capi di bestiame per venderli al mercato e diversificare le fonti di auto-finanziamento. I dati e le analisi sinora disponibili hanno evidenziato un comportamento altamente predatorio da parte sia di Boko Haram che di Ansaru. Nello specifico, entrambi i gruppi hanno difeso gli interessi di agricoltori e pastori-semi-nomadi in maniera discontinua e disomogenea, schierandosi con gli uni o con gli altri a seconda delle circostanze e delle convenienze. In sintesi, la strategia seguita dai due movimenti è stata quella del divide et impera più che dell’adozione sistematica di una posizione netta in favore dei pastori o degli agricoltori. Appare facile comprendere come tale strategia sia stata agevolata, in larga misura, dall’assenza di meccanismi efficienti, statali o tradizionali, di governance ed amministrazione della giustizia. Se in Nigeria l’adesione dei Fulani alla militanza jihadista è momentaneamente marginale, in Mali, al contrario, si manifesta con maggiore virulenza e profondità. Questa diversità, e con essa il superiore reclutamento dei Fulani nelle organizzazioni terroristiche attive nella regione maliana, è correlata alle peculiarità economiche, sociali e politiche del Paese. Innanzitutto, la parte del Mali dove è più forte l’insorgenza jihadista fulani è la regione di Mopti, esattamente al centro del Paese e cesura ideale tra il sud a maggioranza etnica Mandè / Malinke e il nord a maggioranza Tuareg. Si tratta di un’area particolarmente fertile, parte del bacino del delta interno del Fiume Niger, e per questo molto ambita sia dalle comunità agricole che da quelle di pastori semi-nomadi. A Mopti, convivono i popoli Fulani e Tuareg, entrambi dediti alla pastorizia semi-nomade, i Dogon, cacciatori e agricoltori, e i Bozo, pescatori. Le tensioni tra questi gruppi, derivati dalla competizione per le risorse e dalla crisi delle istituzioni governative e tradizionali deputate alla loro gestione, rappresentano la base per la radicalizzazione dei Fulani46.

46 International Crisis Group (2019). Speaking with the “Bad Guys”: Toward Dialogue with Central Mali’s Jihadists. Africa Report N°276. 60

Mappa del Mali

A partire dalla creazione dell’Emirato di Macina nel XIX secolo, la gestione delle terre e delle risorse idriche era affidata al cosiddetto sistema “Diina”, che stabiliva la presenza di 30 aree pastorali controllate dai “Djowros” (letteralmente “padroni della terra e dei pascoli”), membri eminenti della nobiltà fulani. Dai Djowros dipendevano altre istituzioni subordinate, ossia i Bessemas, espressione dell’etnia Bambara (parte del gruppo Mandè) o Dogon, che dovevano occuparsi delle terre dedicate all’agricoltura, ed i Baba Awgals, di etnia Bozo, responsabili delle risorse idriche e dello sfruttamento di fiumi, canali e laghi. Il sistema della Diina, creato dai Fulani, tendeva a favorire gli interessi delle loro caste nobiliari e, sotto il profilo economico, quelli delle comunità di pastori semi-nomadi. I Fulani appartenenti alle caste inferiori, discendenti degli schiavi, erano impiegati nelle attività agricole sedentarie, allora ritenute meno importanti e meno remunerative. Con l’avvento della dominazione coloniale e, successivamente, del governo repubblicano indipendente, il sistema della Diina è stato abolito ed i Fulani hanno perso il potere politico ed economico di un tempo. Infatti, le nuove istituzioni di Bamako, dominate dai gruppi etnici del panorama Mandè, hanno investito pesantemente nella promozione delle

61 attività agricole, soprattutto la coltivazione di riso, grano ed arachidi, ed hanno introdotto un nuovo sistema di gestione delle risorse del suolo, basato sulle divisioni amministrative ereditate dall’ex madrepatria coloniale francese e controllato da rappresentanti nominati dal governo. Questa decisione ha alterato profondamente i rapporti sociali nella regione. In primis, ha ridimensionato profondamente il peso politico e la ricchezza dei Djowros e della nobiltà fulani, ha diminuito le tutele delle comunità di pastori semi-nomadi e ha accresciuto l’influenza e il reddito delle comunità agricole, difese dal governo e dai suoi rappresentanti locali. Di conseguenza, mentre i pastori semi-nomadi fulani hanno sviluppato un sentimento di profonda alienazione nei confronti delle autorità, ritenute inefficienti, corrotte ed autoreferenziali, l’antica nobiltà fulani ha cominciato ad assumere una postura ideologica revisionista e nostalgica del vecchio Emirato di Macina. A contribuire allo sviluppo di tendenze estremiste e di lotta politico-sociale violenta è stato l’atteggiamento delle Forze Armate e di polizia maliane, spesso responsabili di abusi ai danni delle comunità di pastori ed altri comportamenti non-professionali47. Sebbene la propaganda estremista delle organizzazioni jihadiste avesse cominciato a diffondersi gradualmente tra la comunità fulani del Mali centrale nei primi Anni 2000, è stato nel contesto della guerra civile del 2011 – 2015 che il processo di radicalizzazione ed adesione ai movimenti terroristici regionali è giunto a maturazione. Infatti, nel 2012, in piena offensiva jihadista nelle regioni centrali del Mali, i pastori fulani sono stati i primi a unirsi al MUJAO, accedendo così all'addestramento fornito dai suoi miliziani e assicurandosi ingenti quantitativi di armi con cui combattere i Tuareg dalle regioni di Hairé e Gourma, accusati di abigeato e spina dorsale del MNLA, movimento indipendentista espressione della confederazione tribale Idnan. Come spesso accade in aree fragili e volatili, anche in Mali la guerra civile ha rappresentato un acceleratore delle tendenze entropiche già in atto da almeno un decennio. Infatti, il collasso delle già inconsistenti istituzioni governative maliane, l’esacerbazione delle lotte per le risorse, le violenze compiute dalle Forze Armate maliane e la presenza di truppe straniere sul territorio, nello specifico i contingenti della missione ONU MINUSMA e delle missioni francesi “Serval” e successivamente “Barkhane”, hanno ulteriormente aumentato l’alienazione e il malcontento dei Fulani, accrescendo parallelamente lo spazio di manovra per i gruppi jihadisti. Proprio nel 2015, mentre ad Algeri venivano sottoscritti gli accordi di pace tra movimenti tuareg e governo centrale maliano, nella regione centrali di Mopti veniva

47 Jezequel, J., (2019). Central Mali: Putting a Stop to Ethnic Cleansing. International Crisis Group. 62 ufficializzata la creazione del FLM. Il FLM, nato inizialmente come una costola meridionale di Ansar al-Din (con il nome di Katiba Macina), era stato fondato e guidato da Amadou Koufa, poeta originario del villaggio di Nianfukè radicalizzatosi all’interno della confraternita Dawa e grazie agli insegnamenti di Iyad Ag Ghaly48. Il FLM si è subito posto come referente principale della comunità fulani di Mopti, dichiarando pubblicamente la sua volontà di ristabilire l’Emirato di Macina e, con esso, il sistema della Diina. Grazie alla cooptazione delle agende dei Djowros scontenti del governo e all’intimidazione di quelli favorevoli al dialogo con Bamako, il FLM, nei territori da esso controllati, ha ridotto significativamente le tasse per l’accesso ai pascoli, ha introdotto misure per la protezione del bestiame e per il rispetto delle regole consuetudinarie della transumanza ed ha integrato le milizie dei pastori Fulani all’interno delle proprie strutture, fornendo armi ed addestramento. Inoltre, grazie alla fornitura di servizi educativi basati sugli imam itineranti e su insegnamenti tradizionali ispirati alle scuole coraniche conservatrici, il FLM ha sopperito alle mancanze del sistema scolastico maliano, più adatto a popolazioni sedentarie, ed ha incontrato il favore delle comunità locali, contrarie ai concetti secolari e progressisti della scuola nazionale, come la parità di genere e il laicismo. L’appartenenza del FLM all’ombrello del GSIM lo rende un movimento poliedrico ed in grado di combinare agende prettamente nazionali / locali ad agende squisitamente internazionali. Questa è una dualità tipica dell’azione del network qaedista in Africa, dove le azioni locali sul territorio servono ad ottenere supporto sociale, legittimità politica e nuovi adepti, mentre quelle di respiro nazionale e rivolte contro obbiettivi internazionali sono funzionali ad accrescere la visibilità, il prestigio e l’autorevolezza regionali. In un’ottica più ampia, la diarchia locale / regionale è parte del disegno propagandistico e politico qaedista che identifica i jihad locali, nelle loro peculiarità, come tessere di un più ampio mosaico di lotta globale. A testimonianza di questa doppia agenda del FLM pervengono numerosi elementi di natura propagandistica e operativa. Per quanto riguarda la prima categoria, basta osservare come alla retorica sulla ricostituzione dell’Emirato di Macina si affianchi quella generalista contro il governo maliano, i suoi alleati occidentali e, più ad ampio spettro, la coalizione di miscredenti e crociati, formata dagli Stati occidentali (Francia, Stati Uniti e Israele su tutti) che minaccerebbe il mondo islamico. Tale impianto ideologico è supportato dalle operazioni sul campo e dal ventaglio di azioni ostili contro diversi obbiettivi sul territorio. Infatti, per quanto riguarda gli elementi operativi a supporto della natura duale del FLM, occorre

48 International Crisis Group (2017). The Social Roots of Jihadist Violence in Burkina Faso’s North. Africa Report N°254 63 sottolineare come prevalgano nettamente gli attentati contro i leader tribali locali, sia fulani che non, contro i gruppi etnici rivali, in primis Dogon e Bozo, le istituzioni e le Forze Armate maliane. In questo senso, i primi attacchi attribuiti ufficialmente a FLM sono avvenuti all’inizio del 2015 nei villaggi di Nampala, Ténenkou e Boulkessi ed erano tutti contro obiettivi militari. Tuttavia, l’atto più grave della campagna terroristica del FLM resta, ad oggi, il massacro di Sobane Da. Nello specifico, nel giugno 2019, circa 100 Dogon sono stati uccisi dai miliziani del FLM come rappresaglia contro l’attacco del gruppo armato dogon Dan Na Ambassagou (“cacciatori in nome di Dio”) contro il villaggio fulani di Ogossagou del 23 marzo precedente. Questo genere di episodi, seppur con un’entità ridotta, ha una cadenza molto frequente, stimabile in una media di un attacco a settimana. Lo stesso può dirsi per gli attacchi contro i militari e le forze di polizia maliane nella regione di Mopti. Per quanto riguarda gli attacchi contro obbiettivi internazionali, occorre ricordare il raid contro l'hotel Byblos a Sévaré, noto per ospitare personale internazionale e cittadini occidentali, nell'agosto 2015 (13 morti, tra cui quattro soldati maliani e cinque membri del personale di MINUSMA) e, soprattutto, l’attentato contro l’hotel Radisson Blu di Bamako, il 20 novembre 2015. Questo attacco, di cui anche al-Mourabitun ha rivendicato la responsabilità, ha causato la morte di 22 persone e rappresenta, sotto il profilo propagandistico e mediatico, l’episodio più rilevante tra le azioni ostili perpetrate dal FLM. Infine, con l’avvio delle operazioni da parte della G5 Sahel Joint Task Force, forza multinazionale anti-terrorismo formata da truppe di Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad, anche i contingenti regionali sono entrati nel mirino del FLM. Nel dettaglio, il 29 giugno del 2018, il quartier generale della task force situato a Sevarè, nel Mali centrale, è stato assaltato dai miliziani del FLM, in quello che è stato il peggior attacco contro obbiettivi militari nel Paese (6 morti e oltre 30 feriti). Nel complesso, il FLM è diventato il gruppo jihadista più popolare tra le comunità fulani a Mopti nonché l’unico, all’interno del panorama radicale Fulani, a controllare vaste porzioni di territorio. Questo traguardo è stato raggiunto grazie all’opera socio-economica di restaurazione del sistema della Diina, alla difesa dei diritti dei pastori semi-nomadi e alla riabilitazione della nobiltà fulani caduta in disgrazia. Tutto questo unito alla cassa di risonanza mediatica e al supporto logistico garantiti dall’appartenenza al network del GSIM e dagli attacchi contro le istituzioni nazionali e internazionali. Inoltre, il Mali, per la posizione geografica che lo pone nel cuore del Sahel e per l’esperienza della notevole proliferazione terroristica, rappresenta l’epicentro dell’insorgenza jihadista regionale ed una vetrina per tutti quei movimenti radicali che

64 ambiscono a lanciare campagne eversive nei propri Paesi. Questo rende il FLM il punto di riferimento per l’attività ribelle fulani negli Stati attigui, soprattutto nel Burkina Faso. Infatti, nel cosiddetto “Paese degli uomini liberi”, il principale gruppo terroristico è Ansarul Islam (“I Protettori della Fede”), parte del network del GSIM ed anch’esso formato quasi esclusivamente da miliziani fulani. Oltre alla base di reclutamento etnica, numerosi sono i punti di contatto tra Ansarul Islam e il FLM. Innanzitutto l’origine, poiché anche Ansarul Islam è nato, nella sua forma embrionale, attorno ad un nucleo di miliziani burkinabè che avevano combattuto la guerra civile maliana all’interno del MUJAO. Il suo fondatore, Ibrahim Malam Dicko (deceduto nel 2017 a seguito di un raid francese), era un allievo di Iyad Ag Ghaly e di Amadou Sacko. Inizialmente questa prossimità aveva fatto pensare che Ansarul Islam non fosse un gruppo indipendente ma una semplice emanazione regionale di Ansar al-Din o del FLM, soprattutto perché quest’ultimo gli offriva (e continua ad offrigli) supporto logistico ed addestrativo. Nulla di più lontano dalla realtà, non solo per la presenza di clan e famiglie Fulani diverse da quelle maliane, ma soprattutto per l’estrema diversità delle condizioni socio- economiche in Burkina Faso e per la conseguente differenziazione nelle agende politiche, propagandistiche ed operative nel movimento jihadista. Infatti, la regione di maggior radicamento di Ansarul Islam è il Sahel (intesa come unità amministrativa burkinabè e da non confondere con l’omonima regione geografica africana), dove i Fulani sono la maggioranza e dove i Djowros locali controllano la gestione delle risorse incontrastati e in pieno accordo con le autorità di Ouagadougou. In questo contesto, Ansarul Islam è innanzitutto un movimento che sfida l’ordine sociale dominante nella regione burkinabè Sahel, e, in particolare, nella provincia di Soum. La propaganda e l’azione politica di Ibrahim Malam Dicko e, dopo la sua morte, del fratello Jafar, è stata incentrata sulla promozione dell'uguaglianza tra le classi e le caste, mettendo in dubbio il dominio degli Djowros e il monopolio dell'autorità religiosa da parte delle famiglie dei marabout (leader religiosi), accusati di arricchirsi a spese della popolazione49.

49 Le Roux, P. (2019). Ansaroul Islam: The Rise and Decline of a Militant Islamist Group in the Sahel. Africa Center for Strategic Studies. 65

Mappa del Burkina Faso

Il gruppo jihadista burkinabè è una realtà che ha capitalizzato il malcontento sociale ed economico delle fasce più povere e vulnerabili della popolazione, configurandosi come movimento religioso e di protesta alla stesso tempo. Il suo conservatorismo islamico, al contrario di quello propugnato in Mali dal FLM, non vuole restaurare alcun antico sistema sociale, bensì istaurarne uno del tutto nuovo, rifiutando tradizioni ritenute arcaiche e protestando contro l’inefficienza, l’autoreferenzialità e la corruzione delle burocrazie statali e di chi le rappresenta a livello locale. In questo senso, Ansarul Islam esprime le lamentele di una maggioranza silenziosa che non detiene né potere politico né autorità religiosa e raccoglie l’eredità del socialismo africano burkinabè incarnato dall’esperienza politica della rivoluzione di Thomas Sankara negli Anni 70 e 80. Questa spinta rivoluzionaria si concretizza non solo attraverso la retorica politica ma anche mediante gli attacchi rivolti a tutti quei soggetti ritenuti depositari del potere autocratico ed oppressivo, ossia i leader tradizionali, i rappresentanti delle istituzioni governative e le Forze Armate. Di conseguenza, la dimensione etnica della rivolta di Ansarul Islam è una pura derivazione della dimensione economica e sociale. Il movimento recluta prevalentemente i pastori semi-nomadi e gli agricoltori di caste inferiori fulani poiché questi sono le classi più povere e vulnerabili. 66 Allo stesso modo, la retorica anti-governativa e le azioni ostili tendono a colpire il gruppo etnico dei Mossi e la nobiltà fulani degli Djowros poiché questi due sono le classi ricche e politicamente dominanti. Appare particolarmente indicativo come, all’interno della propaganda politica, della narrativa e dei manifesti politici di Ansarul Islam, al contrario del FLM, manchi totalmente qualsiasi riferimento esplicito agli antichi emirati fulani o alla volontà di ricostituire nuovi Stati basati su un’amministrazione di tipo shariatico. L’analisi degli attacchi e degli attentati in Burkina Faso confermano la tendenza all’azione locale e al conflitto con le istituzioni tradizionali. Infatti, la maggior parte delle violenze è rivolte contro i capi villaggio e contro i Djowros, spesso rapiti, intimiditi o addirittura uccisi e contro le Forze Armate burkinabè, accusate di commettere abusi di ogni genere contro la popolazione civile. Appare opportuno sottolineare come tali attacchi colpiscano qualsiasi gruppo etnico o religioso ritenuto dominante. Basti pensare all’assalto contro la base militare di Koutougou (19 agosto 2019, 20 soldati uccisi), all’attentato contro la moschea di Salmossi (12 ottobre 2019, 16 morti) e ai ripetuti attacchi contro i cristiani. A ulteriore conferma delle motivazioni economiche che spingono l’attività di insorgenza di Ansarul Islam è l’attacco del 4 ottobre 2019 contro la miniera aurifera di Dolmane, nella provincia di Soum, nel quale sono rimaste uccise 20 persone. Questo attentato, nel colpire l’industria mineraria nazionale, ha inteso criticare apertamente il governo per la promozione di attività economiche dal profondo impatto locale (inquinamento del suolo, riduzione dei pascoli e delle terre arabili) senza adeguate politiche di redistribuzione dei proventi. Le azioni contro le infrastrutture minerarie ed estrattive rappresentano il punto di congiunzione perfetto tra uno dei pilastri della strategia jihadista e la classica tattica di insorgenza di molti movimenti ribelli africani, entrambi tradizionalmente inclini a colpire gli interessi economici dei propri avversari per indebolirli. In Niger, come in Mali e Burkina Faso, la radicalizzazione dei Fulani e la loro adesione ai movimenti terroristici è strettamente legata allo sfruttamento delle risorse del suolo e all’inadeguatezza delle strutture di governance locale e statale nel risolvere le controversie tra diverse comunità in conflitto. Tuttavia, esattamente come in Mali e Burkina Faso, il percorso specifico di radicalizzazione e le strategie adottate dai gruppi terroristici si adattano alle peculiarità locali. Innanzitutto, al contrario di Nigeria, Mali e Burkina Faso, in Niger i Fulani non hanno alcun diritto consuetudinario sulla terra e sulle risorse idriche, né tantomeno rappresentanze istituzionali in grado di tutelare i loro interessi e soddisfare i loro bisogni. Quindi, in linea di massima, i pastori semi-nomadi fulani del Niger soffrono situazioni peggiori dei loro confratelli nel resto del Sahel.

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Mappa del Niger

Nello specifico, sebbene i Fulani si ritengano come gli "abitanti originali" della regione di Tillabéri, la terra non appartiene a loro e i conflitti per essa li contrappongono a chi effettivamente la controlla, ossia gli agricoltori Zarma e i pastori Tuareg della tribù Daoussakh. Poiché il diritto consuetudinario generalmente favorisce gli Zarma ed i Tuareg, i Fulani cercano di portare le loro rimostranze in tribunale. Tuttavia, a causa della completa impunità dei Tuareg nei numerosi casi di abigeato e razzia, i Fulani credono che il sistema giudiziario sia corrotto e colluso con i gruppi etnici dominanti. Come se non bastasse, nella regione di Tillabéri si registrano i tassi di disoccupazione giovanile e di povertà più alti di tutto il Niger, con una situazione umanitaria disastrosa ed emergenziale. Data la mancanza di azione dello Stato, i Fulani hanno cominciato a percepire un graduale senso di abbandono istituzionale e hanno manifestato una crescente perdita di fiducia nelle autorità50.

50 Le Roux, P. (2019). Exploiting Borders in the Sahel: The Islamic State in the Greater Sahara. Africa Center for Strategic Studies. 68 Questo si è tradotto nella formazione di milizie claniche di auto-difesa presto cooptate dai movimenti jihadisti ed integrate all’interno delle proprie strutture. Per i giovani disoccupati nella regione di Tillabéri, esiste una duplice logica per l'adesione a gruppi estremisti violenti. In primo luogo, offre una possibilità di redenzione e riconoscimento sociale per individui senza lavoro o altre prospettive, che si sentono inutili e che sono disposti a tutto per migliorare la propria condizione. In secondo luogo, per i giovani pastori semi-nomadi fulani entrare a far parte di un gruppo estremista violento può garantire la protezione del modesto capitale della famiglia, ossia il bestiame, da furti e incursioni di banditi e milizie di altri gruppi etnici. Questo è il motivo per cui nella regione di Tillabéri, a differenza di altre regioni, coloro che prendono le armi sono generalmente ammirati per il loro coraggio e salutati come eroi quando tornano al villaggio. Ciò genera dinamiche radicate nei costrutti sociali di genere: i giovani che sono andati al fronte sono l'orgoglio e la gioia delle loro madri e attirano consensi dalle giovani donne. A capitalizzare il malcontento fulani ed integrare le milizie di auto-difesa dei diversi clan di pastori semi-nomadi è stato il SIGS, principale branca saheliana del Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi. Fondato nel 2015 da Adnan Abu Walid al-Sahraoui, ex comandante di etnia sahraui del MUJAO, il SIGS ha iniziato ad operare proprio in Niger e nel nord-est del Mali, per poi espandere il teatro delle operazioni anche al Burkina Faso. Il movimento ha un’agenda regionale e tende ad integrare minoranze emarginate in tutto il Sahel, motivo per quale in Niger esso raccoglie il supporto dei Fulani. Occorre sottolineare come, nel contesto dell’universo jihadista fulani, il SIGS è quello che, al momento, ha avuto il minor impatto. Infatti, la cooptazione delle milizie di auto-difesa dei pastori semi-nomadi di Tillabèri ha limitato l’agenda del movimento, che si è limitato a migliorare il coordinamento tra i diversi gruppi armati ed a fornire armi e supporto logistico. Questo è stato funzionale esclusivamente a migliorare il bagaglio capacitivo delle bande armate nella conduzione dei raid contro i loro avversari e rivali, senza tuttavia proporre un’agenda politica più strutturata o controllare il territorio ed istituire sistemi di governance più favorevoli ai Fulani. In tal senso, gli attacchi contro le comunità Zarma e Tuareg o contro gli obbiettivi militari nigerini ed internazionali rappresentano il tentativo di SIGS di accrescere la propria legittimità e compiere il salto di qualità politico ed operativo sul territorio. In questa direzione dovrebbe essere interpretata anche la propaganda di SISG che, al pari di quella del FLM in Mali centrale, invoca la restaurazione dell’Emirato di Macina. Al di là del suo valore simbolico, questo richiamo sembra aver poca presa sulla comunità fulani del Niger, poiché quell’esperienza storica e, con essa, la forza del suo richiamo, è maggiormente legata al Mali e alle sue dinamiche politiche e sociali.

69 Conclusioni e tendenze evolutive

L’analisi dell’identità fulani e del rapporto tra le rivendicazioni trans-nazionali di questo popolo e la mobilitazione jihadista nel Sahel delinea uno scenario eterogeno e diversificato all’interno della regione. In sintesi, anche se le ragioni alla base della radicalizzazione dei Fulani sono di carattere generalmente economico, in ciascun Paese del Sahel si sono sviluppati modelli diversi di adesione all’estremismo islamista violento. Tale diversità, come ampiamente analizzato, è frutto delle differenze degli ecosistemi socio-economici, del ruolo e del peso politico dei Fulani all’interno di ciascun Paese preso in esame e delle mutevoli parabole storiche vissute dalle comunità di lingua fula in Mali, Nigeria, Burkina Faso e Niger. Una diversità compresa appieno dai movimenti jihadisti e capitalizzata attraverso sia una profonda opera propagandistica, in grado di toccare le corde più intime dell’identità storica fulani, sia sociale ed economica, in grado di tutelare i diritti di questo popolo nelle aree più vulnerabili dell’Africa saheliana. In questo contesto, l’estremismo religioso è soltanto una cornice simbolica e ideologica che serve a giustificare la violenza delle azioni sul territorio ed a rafforzare una legittimità ed un’autorevolezza costruiti sulla somministrazione di servizi di welfare e sull’amministrazione della giustizia. In linea di massima, la ricerca e l’analisi svolte permettono di identificare alcuni tratti comuni del processo di radicalizzazione dei Fulani dal Mali fino al nord della Nigeria: 1) I membri dell’etnia fulani che decidono di aderire a gruppi jihadisti o che assumono posture ideologiche estremiste appartengono prevalentemente alla categoria socio- economica dei pastori semi-nomadi e a quella geografica degli abitanti delle aree rurali. Più raramente si assiste alla radicalizzazione dei Fulani urbanizzati o sedentari. 2) I fattori alla base della radicalizzazione dei Fulani sono di tipo economico e sociale ed appaiono strettamente legati alle lacune di governance e alla crisi delle istituzioni statali e tradizionali deputate alla risoluzione delle controversie tra gruppi etnici in conflitto. Nella fattispecie, negli ultimi 40 anni, i pastori semi-nomadi fulani hanno conosciuto un sensibile impoverimento a causa della progressiva riduzione delle risorse idriche e del suolo (pascoli) a loro disposizione. A tale riduzione ha contribuito sia il cambiamento climatico, alla base di siccità, carestie ed inaridimento del suolo, sia la crescita delle attività agricole cash crop nel Sahel. La riduzione delle risorse e l’aumento delle terre destinate all’agricoltura ha costretto i pastori semi-nomadi fulani a modificare le rotte tradizionali della transumanza ed ad aumentare il livello di conflittualità con altri gruppi di pastori e con le comunità di agricoltori sedentari, spesso espressione di altre etnie. In questo contesto, sia gli strumenti statali che quelli tradizionali di risoluzione delle controversie, affidate all’autorità dei leader tribali locali, si sono dimostrati inadeguati. Infatti, tali istituti statali e tradizionali spesso tutelano gli 70 interessi degli agricoltori per ragioni economiche, legate al maggior peso strategico dell’agricoltura nell’economia, e demografiche, legate alla superiore influenza politica delle popolazioni sedentarie. I Fulani, che costituiscono una minoranza in ciascuno dei Paesi del Sahel (ad eccezione del caso specifico della Nigeria) non hanno mai avuto a disposizione strumenti pacifici adeguati ed efficaci per tutelare i propri diritti e, di conseguenza, hanno adottato forme violente e criminali di lotta. 3) Le milizie di auto-difesa dei pastori semi-nomadi fulani, anche se hanno offerto un contributo non indifferente alla difesa dei loro diritti e della loro proprietà (sostanzialmente il bestiame), sono sempre state isolate, male armate e poco coordinate tra loro. Dunque, per rendere la loro azione ancora più efficace, avevano bisogno di una struttura che le integrasse e ne sistematizzasse le azioni e le agende politiche.

Rispetto a questi tre fattori, i gruppi jihadisti sono stati in grado di soddisfare le esigenze dei pastori semi-nomadi fulani e rispondere concretamente alle loro necessità. Nello specifico, hanno integrato le milizie di auto-difesa all’interno delle proprie strutture, fornendo armi, addestramento, veicoli e coordinamento operativo; laddove hanno imposto il proprio controllo sul territorio, hanno assorbito le agende politiche dei Fulani ed attuato

71 misure giuridiche ed economiche ad essi favorevoli, come una tassazione meno gravosa (basata sulla semplice zakat) ed un sistema di accesso alle risorse agrarie e idriche più equo e bilanciato; infine, grazie agli introiti derivanti dalla tassazione dei territori controllati e ai pedaggi o ai servizi di scorta imposta ai trafficanti del Sahel, hanno costruito un sistema di redistribuzione del reddito e di sostegno alle famiglie fulani colpite dalle calamità naturali. Tuttavia, a livello identitario, il percorso di radicalizzazione dei Fulani e, di conseguenza, le strategie messe in campo dai gruppi jihadisti si sono specializzate nei singoli Paesi. Nello specifico: 1) In Mali, soprattutto nella volatila regione centrale di Mopti, la presa del FLM sulla popolazione fulani è più forte. Questo maggiore vigore deriva dal fatto che, nel Paese, il processo di radicalizzazione è stato il più lungo della regione ed è stato forgiato dall’esperienza della guerra civile maliana e dalla militanza dei giovani fulani nel MUJAO. Inoltre, le particolari condizioni di instabilità del Mali, ancora impantanato in un processo di stabilizzazione difficoltoso, ha permesso ai movimenti terroristici di controllare il territorio ed amministrare economia, giustizia ed educazione. In aggiunta a questo, occorre ricordare che il Mali è stato il Paese dove è nato e si è sviluppato l’Emirato di Macina, uno Stato islamico teocratico governato dalla nobiltà fulani. Questa nobiltà, caduta in disgrazia con la colonizzazione francese e la nascita e la successiva nascita della repubblica maliana indipendente, ha riottenuto gli antichi privilegi grazie all’azione dei movimenti jihadisti e, in particolare, del FLM. Dunque, in Mali, la radicalizzazione dei Fulani si configura come un movimento conservatore atto a restaurare il sistema politico, economico e sociale precedente alla colonizzazione francese. Proprio per questo motivo, i movimenti radicali locali attingono a piene mani alla narrativa di rifondazione dell’Emirato di Macina e, tra i loro obbiettivi politici, hanno la costituzione di vero e proprio Stato fulani teocratico. 2) In Burkina Faso, la radicalizzazione fulani si configura come la risposta ad un malessere sociale ed economico ben più antico della colonizzazione francese. Qui, i leader tradizionali fulani controllano l’accesso alle risorse in perfetto accordo con le autorità nazionali, applicando politiche discriminatorie verso le caste di basso rango. Dunque, la propaganda jihadista ha un intrinseco valore rivoluzionario ed intende sovvertire l’ordine costituito e costruire nuove strutture giuridiche e sociali più eque e solidali. Quindi, al contrario del Mali, in Burkina Faso la radicalizzazione jihadista coinvolge le parti più povere ed emarginate dalla società fulani, arrivando addirittura allo scontro con la nobiltà e le caste di alto rango. In questo Paese, i manifesti politici jihadisti non contengono alcun riferimento alla creazione di nuove realtà statali.

72 3) Una situazione simile è osservabile in Niger, dove il SIGS cerca di intercettare il malcontento dei pastori fulani i quali, al contrario degli altri Paesi esaminati sinora, non godono di alcun diritto sulla terra e sull’acqua e costituiscono la minoranza etnica più svantaggiata. Nonostante gli appelli alla formazione di un nuovo Emirato di Macina, i Fulani del Niger decidono di aderire ai gruppi jihadisti soltanto perché questi sono un impareggiabile moltiplicatore di forza per le loro milizie di autodifesa nelle secolari lotte contro i gruppi etnici rivali per il controllo delle risorse. 4) Infine, in Nigeria, né Boko Haram né Ansaru hanno sinora integrato le rivendicazioni politiche dei pastori fulani né tantomeno adattato le proprie agende in questa direzione. Entrambi i movimenti sono ancora espressione dell’etnia Kanuri, le cui aspirazioni di emancipazione sono ben diverse da quelle dei Fulani.

Oltre a comprendere le dinamiche che legano identità fulani e radicalizzazione jihadista nel Sahel, le evidenze emerse in questo documento permettono di ipotizzare quali potrebbero essere le future tendenze evolutive. Se la base del processo di radicalizzazione dei Fulani inizia con la commistione di povertà e scarsa governance, lo sviluppo dei fenomeni economici e politici nel Sahel ne influenzerà i cambiamenti e le capacità. Ad oggi, le previsioni sull’impatto del cambiamento 73 climatico nella regione affermano che l’innalzamento delle temperature condurrà ad una ulteriore riduzione della terra fertile e dunque, alla diminuzione delle risorse del suolo. Con la parallela crescita della popolazione e della domanda di cibo ed acqua per uomini e bestiame, l’aumento della conflittualità tra gruppi etnici e comunità di pastori ed agricoltori appare quasi inevitabile. Essendo la conflittualità inter-etnica il brodo di coltura del radicalismo, è lecito aspettarsi una ulteriore espansione del proselitismo e del supporto ai movimenti jihadisti. Questo soprattutto nel caso in cui non si registrino significativi miglioramenti nei meccanismi di governance locale ed una riforma in senso pluralista ed egualitario delle istituzioni governative e tradizionali deputate alla risoluzione delle controversie tra comunità di pastori ed agricoltori. Secondo i trend analizzati sinora, si potrebbe assistere ad un peggioramento dell’insorgenza jihadista fulani in tutti i Paesi dove è già attiva. In Mali, Niger e Burkina Faso non è da escludere una saldatura organica tra tre fronti e tre gruppi (FLM, SIGS ed Ansarul Islam) oggi abbastanza indipendenti l’uno dall’altro e con agende diverse. A trainare questa ipotetica grande fusione jihadista fulani potrebbe essere il FLM, ad oggi il movimento di lingua fula più attivo, autorevole ed efficace. Sotto il profilo operativo, appare verosimile immaginare che il jihadismo fulani continuerà a prediligere attività di respiro locale, funzionali a rafforzare il controllo del territorio ed applicare quelle politiche favorevoli agli interessi dei pastori semi-nomadi. Ciononostante, con il crescere dello spettro e dell’area di operazioni in tutto il Sahel, i movimenti jihadisti fulani si troveranno inevitabilmente costretti ad innalzare il livello del confronto con le istituzioni nazionali, con i Paesi stranieri e con le organizzazioni internazionali impegnati nell’opera di stabilizzazione della regione. Così facendo, i movimenti jihadisti fulani potrebbero incrementare la loro attenzione ed i loro attacchi contro le Forze Armate straniere e gli obbiettivi strategici di valore globale (ambasciate e cittadini stranieri) ben lontani dai loro domini delle aree rurali. In questo senso, gli attentati di Bamako e Ouagadougou rappresentano un monito da non sottovalutare. Tuttavia, le maggiori prospettive di crescita per il radicalismo fulani sono in tutte quelle zone dove le conflittualità tra pastori ed agricoltori continuano ad aumentare, in particolare in Nigeria, Sudan, Repubblica Centrafricana e Repubblica Democratica del Congo. Infatti, con il cambiamento climatico e lo spostamento delle rotte della transumanza a sud del Sahel, comunità sinora aliene le une verso le altre si troveranno in una situazione di coabitazione nuova, forzata e conflittuale. La consapevolezza dei fattori all’origine della radicalizzazione dei Fulani e la considerazione delle ipotesi sulla sua evoluzione futura dovrebbe spingere i governi dei Paesi del Sahel ed i suoi partner occidentali a rimodulare le strategie di stabilizzazione della

74 regione. Ad oggi, il mero approccio muscolare e securitario, soprattutto a causa degli abusi compiuti dall’esercito maliano, delle inefficienze di MINUSMA e della percezione imperialista delle truppe francesi, non ha dato i risultati sperati. Per neutralizzare il fenomeno jihadista occorre affiancare il miglioramento delle condizioni di sicurezza al miglioramento delle condizioni economiche e politiche della popolazione civile. Quindi, con riferimento ai Fulani, occorre preservare alcune aree esclusive ad uso pastorale, impedendo così la genesi del conflitto con gli agricoltori, e modificare il sistema di risoluzione delle controversie a livello locale affinché risulti più equo e uguale per tutti.

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81 NOTA SUL Ce.Mi.S.S. e NOTA SULL’AUTORE

Ce.Mi.S.S.51

Il Centro Militare di Studi Strategici (Ce.Mi.S.S.) è l'Organismo che gestisce, nell'ambito e per conto del Ministero della Difesa, la ricerca su temi di carattere strategico. Costituito nel 1987 con Decreto del Ministro della Difesa, il Ce.Mi.S.S. svolge la propria opera valendosi si esperti civili e militari, italiani ed esteri, in piena libertà di espressione di pensiero. Quanto contenuto negli studi pubblicati riflette quindi esclusivamente l'opinione del Ricercatore e non quella del Ministero della Difesa.

Marco Di Liddo

Laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all’Università di Trieste, ha conseguito anche un Master di II livello in Pacekeeping and Security Studies presso l’Università Roma Tre. Analista Senior e responsabile del desk Africa presso il Ce.S.I. – Centro Studi Internazionali di Roma, è docente al Master di II Livello in Geopolitica e Sicurezza Globale nonché presso gli istituti di formazione dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. Contributore per la Rivista Italiana Difesa, tra i campi di ricerca ad analisi figurano i fenomeni di radicalizzazione jihadista in Africa sub-sahariana, la criminalità organizzata in Africa e il rapporto tra cambFOTOiamento AUTORE climatico, insicurezza alimentare e conflitti.

51 http://www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/CeMiSS/Pagine/default.aspx 82 Stampato dalla Tipografia del Centro Alti Studi per la Difesa