« Italia contemporanea », 1981, fase. 144

La stampa della Concentrazione d’azione antifascista (1927-1934): struttura, diffusione e tematiche

Il problema della stampa nella esperienza concentrazionista

L’esigenza di disporre d’una stampa informata ed efficiente dal punto di vista tecnico, valido e diffuso strumento di propaganda e di orientamento, fu subito avvertita come prioritaria dai dirigenti di quei partiti e di quelle organizzazioni antifasciste che, ricostituitesi in Francia dopo la bufera delle leggi eccezionali, die­ dero vita nella primavera del 1927 alla Concentrazione d’azione antifascista, alla formula politico-organizzativa, cioè, entro la quale, sia pure con oscillazioni e crisi, si sarebbe in sostanza sviluppata, nel corso dei sette anni successivi, l’attività delle forze più rappresentative dell’opposizione di segno non comunista al regime mus- soliniano *. Infatti, della necessità di una efficace presenza pubblicistica, in dire­ zione dell’opinione pubblica europea, di quella emigrata e di quella italiana, soffocata dal fascismo, aveva immediatamente parlato lo stesso Luigi Campolonghi — il segretario della Lega italiana dei diritti dell’uomo, fuoruscito a Nérac — quando si era sforzato di rimettere in moto il faticoso meccanismo della trattativa fra i partiti antifascisti 1 2. Una tale esigenza, seppur assai diffusa e concordemente sentita, non impedì, tut­ tavia, l’immediato manifestarsi di una vivace dialettica all’interno degli ambienti

1 Come è noto la Concentrazione era composta dalla Confederazione generale del lavoro (riformista), dalla Lega italiana per i diritti dell’uomo, dal Partito repubblicano italiano, dal Par­ tito socialista italiano, dal Partito socialista dei lavoratori italiani. Per una storia generale della Concentrazione si veda il sempre valido aldo garosci, Storia dei fuorusciti, , Laterza, 1953, in specie pp. 5-55 e pp. 236-266 e il più recente santi fedele, Storia della Concentrazione anti­ fa s c ista , Milano Feltrinelli, 1976. Per un panorama più ampio di tutto l’ite r dell’antifascismo ita­ liano si veda simona colarizi, L ’Italia antifascista dal 1922 al 1940, 2 voli., Bari, Laterza, 1976 e, per un’analisi complessiva della stampa di opposizione durante il regime, massimo legnani, L a stampa antifascista (1926-1943), in AA.VV., La stampa italiana nell’età fascista (a cura di V. Ca­ stronovo e N. Tranfaglia), Bari, Laterza, 1980 (in particolare per la stampa concentrazionista pp. 278-284). 2 Cfr., specialmente, l. campolonghi, Un programma d'azione, in « La France de Nice et du Sud Est », 27 gennaio 1927. L’attività di Campolonghi, sviluppatasi fin dall’estate del 1926, fu determinante al fine di ritessere un rapporto unitario tra le forze antifasciste emigrate, anche se quel legame non si venne poi ricostituendo secondo le idee del Segretario della Lidu. Per la piattaforma campolonghiana, cfr. gli interventi, apparsi sulla « Pagina italiana » della « France de Nice et du Sud Est », Partiti e Elites (25 giugno 1926), Per una Concentranzione antifascista (22 ottobre 1926) e, in specie, il gruppo di articoli L ’antifascismo prima dell’attentato di , Demolire, Ricostruire, La Concentrazione per la Costituente, I valori, Un programma di azione, O sa re !, pubblicati, rispettivamente, il 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28 gennaio 1927. 48 Bruno Tobia concentrazionisti sul significato e sul ruolo che la stampa avrebbe dovuto assumere nel contesto più generale dell’attività antifascista. Anzi questo dibattito venne quasi a ricalcare, in significativo parallelismo, quell’altro sulla natura, gli scopi e i limiti della Concentrazione che, dall’estate del 1926, aveva caratterizzato la lunga gestazione del « cartello » politico unitario. Come le opinioni dei leaders antifascisti si erano divise, in sostanza, tra i fautori di un movimento antifascista unico in cui le preesistenti formazioni si sciogliessero e finissero per risolversi e gli assertori, invece, di una semplice convergenza uni­ taria fra organizzazioni distinte, così, per ciò che riguardava il problema della stampa, da una parte vi era stato chi aveva messo l’accento con insistenza sul­ l’utilità di concentrare gli sforzi in direzione di un solo organo di stampa, espres­ sione unitaria dell’antifascismo emigrato, avvertendo il rischio della dispersione di energie e di fondi in tante iniziative pubblicistiche quante erano le organizza­ zioni politiche partecipanti alla Concentrazione e, dall’altra, chi, pur non sottova­ lutando questo pericolo, aveva al contrario sostenuto l’opportunità che l’intero arco delle forze « cartelliste » trovasse, comunque, una sua articolata espressione attraverso specifiche, autonome pubblicazioni politiche e sindacali3. Una volta imboccata, però la strada politico-organizzativa dell’accordo unitario fra organizzazioni diverse, piuttosto che quella dell’organismo unico ad adesione indi­ viduale e personale, il problema della stampa nell’ambito concentrazionista dovette di necessità trovare soluzione in un organo comune che semplicemente affiancasse quelli già esistenti dei singoli partiti e organizzazioni. Anzi, il mantenimento di testate politiche tra loro distinte sarebbe divenuto, specie agli occhi di alcune delle forze affiliate alla Concentrazione, quasi una ulteriore espressione di difesa della propria individualità politica e una salvaguardia dei margini d’azione indipendente. Si può affermare perciò che la « struttura » della stampa concentrazionista finì per corrispondere grosso modo abbastanza fedelmente al tipo e al grado di unità effettivamente raggiunta dai soggetti che si impegnarono nell’esperienza politica della Concentrazione. Tra di essi soltanto il Psli rinunciò deliberatamente e calcolatamente a pubblicare in un primo periodo un proprio organo di stampa, se si esclude un semplice, agile bollettino di periodicità mensile, diffuso gratuitamente, in circa duemila copie 4. Un tal fatto potrebbe meravigliare poiché — come è noto — era stato precisa- mente il Psli, tramite Modigliani, a battersi con più forza di altri contro l’ipotesi della liquidazione dei partiti e della costituzione di un organismo unico ad adesione personale, pronunciandosi, invece, a favore di un « cartello » concentrazionista a rigorosa base partitica5. In realtà occorre vedere in questa iniziale rinuncia a

3 Questa differenziazione di posizioni passava anche dentro i partiti, come per esempio nel Psi (cfr. gaetano aefè, Storia dell’« Avanti! », 1926-1940, voi. II, Milano, Ed. «Avanti», 1958, p. 24) o nel Psli (cfr. Il congresso del PSLI, in « La libertà » del 25 dicembre 1927). 4 L’uscita di questo bollettino venne decisa dalla Direzione del Psli nel giugno del 1927. Esso fu pensato, in sostituzione delle semplici circolari che avevano svolto fino allora il compito di organo di collegamento tra le sezioni e gli iscritti al partito. Ne apparvero in tutto 11 numeri Ano all’aprile del 1928 quando anche i socialdemocratici dettero vita ad un vero e proprio organo quindicinale: « Rinascita socialista », direttore Modigliani, redattore Pallante Rugginenti. (Cfr. Una necessità e le sue ragioni e L ’opera della Direzione del Partito ridotta in cifre , in « Bollet­ tino del Partito socialista dei lavoratori italiani (sez. dell’Internazionale operaia e socialista) », rispettivamente, del 10 giugno 1927 e 5 gennaio 1928. 5 Sulla impostazione socialdemocratica del problema concentrazionista, cfr. s. fedele, S to ria della Concentrazione, cit., pp. 24-25 e la testimonianza, per il ruolo di Modigliani, della moglie Vera, in vera Modigliani, E silio , Roma, Garzanti, 1946, p. 128. La stampa della Concentrazione 49 un proprio organo di stampa non una contraddizione quanto, piuttosto, il tentativo da parte socialdemocratica di ribadire, approfondendola, la linea politica di cui il Psli era stato il più deciso patrocinatore. Infatti, attraverso la vittoria del loro punto di vista, i socialdemocratici italiani erano in sostanza riusciti a realizzare, sull’onda di un’iniziativa lanciata nei primi mesi del ’27, quell’unica forma possibile di collegamento fra le forze antifasciste emigrate, sulla base ristretta della mera pregiudiziale negativa dell’opposizione al fascismo e della semplice convergenza nell’unità d’azione, che permettesse loro di battere sia la proposta alternativa di un’unione antifascista più accentuatamente classista, avanzata dal Psi nel febbraio del 1927, e respinta, in quella forma dal Pcd’I, sia quella più spiccatamente repub­ blicana affacciata, pur con differenziazioni interne, dagli esponenti del P ri6. In tal maniera essi si erano posti in grado (rafforzando così, tra l’altro, gli elementi « fusionisti » interni al Psi) di staccare in modo deciso i socialisti dai comunisti, di ribadire e rinchiudere nettamente questi ultimi nel loro isolamento, di presentarsi come la forza democratica e unitaria più coerente della battaglia antifascista. Inoltre, assicurando alle altre formazioni politiche un’ampia sfera di iniziativa specifica, anche al di là dei confini delimitati della Conceptrazione, essi avevano reso assai difficoltosa ai socialisti e ai repubblicani, la motivazione di un rifiuto dell’accordo e, nel contempo, non si erano preclusi, data l’estrema genericità del programma concentrazionista, la possibilità di agganciare all’orbita della propria azione le forze dell’emigrazione politica “liberale” o cattolica, in verità sparute, ma che avevano in taluni uomini, come Nitti e Sforza, Donati e Ferrari, rappre­ sentanti comunque prestigiosi 7. E, in realtà, pur contribuendo a valorizzare l’elemento dei partiti (e chiudendo così definitivamente la prima, confusa fase dell’emigrazione politica antifascista)8, essi — e appunto perciò si erano sforzati di vincolare le espressioni dell’antifascismo emigrato in una organizzazione unitaria — ben sapevano che l’effettiva rappre­ sentanza dell’antifascismo italiano all’estero sarebbe stata generalmente assunta dalla Concentrazione in quanto tale: che sarebbe stata essa, cioè, a dare il tono a tutto l’arco dell’emigrazione politica non comunista. Nel tentativo di assicurar­ sene l’egemonia potevano sperare, perciò, di influenzare largamente la linea del­ l’intero fuoruscitismo e procurare alle proprie idee, tramite « La libertà », il setti­ manale della Concentrazione (non a caso diretto da ), una risonanza molto più vasta e influente di quanto non sarebbe stato loro possibile attraverso un semplice organo di partito 9.

6 Cfr., per la proposta socialista, s. fedele, op. c it., p. 26 e G. arfè, Storia dell’« Avanti! », cit., pp. 22-23; sull’atteggiamento dei comunisti, paolo spriano, Storia del PCI. II. Gli anni della clandestinità, Torino, Einaudi, 1969, pp. 101-102. Per la proposta repubblicana vedi s. fedele, o p . c it., pp. 25-26 e elena aga-rossi, Il movimento repubblicano, Giustizia e Libertà e il Partito d 'A z io n e , Bologna, Cappelli, 1969, p. 14.. 7 Sulle speranze di coinvolgere l’ex-presidente del consiglio nell’attività concentrazionista vedi s. fedele, o p . c it., p. 38 e la testimonianza dello stesso Nitti in Francesco n it t i, Meditazioni dall'Esilio, Bari, Laterza, 1967, p. 732. Sui contatti tra F.L. Ferrari e gli esponenti della Con­ centrazione — anch’essi incentrati, non a caso, sul progetto di una rivista politica (« Rinnova­ mento ») che però non andò mai in porto a causa della nuova situazione determinatasi con la firma dei Patti lateranensi e del Concordato — vedi le lettere di questi a L. Sturzo del 14 set­ tembre, 7 ottobre 1927 e 30 settembre 1928, in l. sturzo, Scritti inediti, voi. II, 1924-1940, Roma, Cinque lune, 1975, rispettivamente pp. 188-189 e p. 208. In generale, sulla stampa cattolica di orientamento antifascista, cfr. m . legnani, La stampa antifascista, cit., pp. 285-292. 8 È stato Garosci ad indicare per primo in questo uno degli aspetti determinanti e positivi dell’esperienza concentrazionista (cfr. a. garosci, Storia dei fuorusciti, cit., p. 42 e anche s. fe­ dele, o p . c it., p. 39). 9 Del resto, tutta la storia « interna » della Concentrazione sta a dimostrare come, fra le organizzazioni affiliate, soltanto il Psli si trovasse in sostanza a proprio agio entro il « cartello » 50 Bruno Tobia Certo, non si intende con questo sostenere, evidentemente, che « La libertà » si sia fatta, anche soltanto in modo velato e implicito, quasi il portavoce ufficioso delle posizioni socialdemocratiche; né, tanto meno, che essa abbia svolto, surret­ tiziamente, il ruolo di un settimanale di parte 10. Ciò che si vuole soltanto e più semplicemente indicare è una certa accentuazione, una prevalenza di temi e di influenze di marca socialdemocratica che, nell’impostazione del periodico fatal­ mente derivavano, specie nei primi tempi, da quel peso preponderante (rafforzato anche da elementi di carattere internazionale), da quella sorta di egemonia che il Psli, come abbiamo accennato, si era venuto guadagnando nei circoli della Con­ centrazione n. In ogni modo, quali che fossero i problemi di indirizzo o, se si vuole, di concor­ renzialità all’interno dell’organismo comune, rimane il fatto che l’obiettivo di assi­ curare 1’esistenza ad una stampa agguerrita e il più possibile all’altezza della situa­ zione costituiva, per le formazioni riunite nel « cartello » di Parigi, il compito più importante su cui esse venivano concentrando le loro energie n.

unitario e come, per converso, le maggiori difficoltà provenissero o dal Pri, che dal febbraio del ’32 al settembre del ’33 uscì addirittura dalla Concentrazione (cfr. s. fedele, Appunti per uno studio sul PRI negli anni della Concentrazione antifascista, in « Storia contemporanea », marzo 1975, n. 1, pp. 59-84 e id., Storia della concentrazione, cit., pp. 112-116 e p. 153) o dal Psi, sempre sospettoso di egemonie moderate o « borghesi », la cui componente « balabanoviana » dopo la scissione di Grenoble del febbraio dei ’30 abbandonò l’organismo unitario (ib id e m , pp. 72-73). 10 Tra l’altro la scelta di direttore cadde su Treves anche in virtù dell’unanime riconosci­ mento per le doti di equilibrio e di correttezza politica, oltre che di perizia professionale, da tutti riconosciutegli. Egli stesso, in un Consiglio Generale della Concentrazione aveva posto l’accento « sullo sforzo unitario che incombe[va] al giornale, il quale escludeva] per sé analisi programmatiche di dettaglio, dovendo con la formula adottata creare un’idea sintetica, appassio­ nata, emotiva, mentre [perseguiva] l’opera critica su tutte le manifestazioni del fascismo » (cfr. 11 Consiglio Generale della Concentrazione delibera di rinvigorire il movimento antifascista, in « La libertà » del 30 settembre 1928). Non è un caso, perciò, se, dopo la morte di Treves, la direzione della « Libertà », per assicurarne un indirizzo equilibrato e unitario, venne assunta da un triumvirato composto da Pacciardi (Pri), Cianca (GL), Saragat (Psi) (cfr. s. fedele, S to r ia della concentrazione, cit., p. 154). H Non ci sembra, infatti, una mera coincidenza fortuita il fatto che i dirigenti socialdemo­ cratici si risolvessero infine alla pubblicazione di un loro quindicinale di partito, « Rinascita socia­ lista », il cui primo numero apparve a Parigi il 25 aprile del ’28, proprio quando l’influenza del Pri si era venuta rafforzando con la svolta repubblicana della Concentrazione, determinata dal mutar di quadro nella politica italiana a causa, prima, dell’approvazione della riforma elettorale e, poi, della « costituzionalizzazione » del Gran Consiglio del fascismo; avvenimenti, ambedue, che avevano fatto cadere ogni residua illusione — tenacemente coltivata nel Psli — di una qualche estrema, anche se tardiva resistenza della Corona all’ultima violazione dello Statuto perpetrata dal fascismo. Il mutamento dell’atteggiamento del partito sulla questione del giornale venne così, retrospettivamente, sintetizzata dal segretario amministrativo Morgari in una circo­ lare inviata agli iscritti: « Cari compagni, vi è noto che — dopo un primo, tenace ma vano sforzo volto a raggiungere l’unità socialista, da un lato, e ad ottenere, dall’altro, che i partiti aderenti col nostro alla Concentrazione Antifascista rinunciassero ai rispettivi giornaletti per dar vita rigogliosa alla "Libertà" ,— questa Direzione dovette risolversi a munirsi di un proprio organo, per evitare che il Partito rimanesse muto ed indifeso nella gara tra le correnti politiche fervidamente intesa a guadagnarsi l’animo degli emigrati. Così nacque il "Bollettino" che ricor­ date, il quale venne distribuito gratuitamente ancora per non nuocere alla "Libertà”, sostituito più tardi dall’attuale "Rinascita”, il cui carattere di rivista fu preferito anche perché ritenuto 11 meno nocivo all’organo della Concentrazione nel campo della concorrenza commerciale e politica » (cfr. Partito socialista unitario dei lavoratori italiani, Circolare n. 27, cicl., Parigi, 1 gennaio 1929, in ACS, Min. Interno, Dir. Gen. di PS, Aff. Gen. e Ris., b. 8, fase. « J-4-1 - Concentrazione antifascista »). 12 « La libertà » fu, in questo senso, il risultato più alto raggiunto dalla loro convergenza unitaria, per tutto l’arco di tempo in cui essa si mantenne. Essa venne a sostituire il soppresso « Corriere degli italiani » che, dopo un’intensa e importante fase di vita, si era completamente La stampa della Concentrazione 51

Infatti il ruolo assolutamente centrale e preminente assegnato alla stampa, nelle considerazioni politiche dei concentrazionisti, derivava di preciso, e in modo diretto, da quel giudizio di fondo sulla situazione italiana e sulle sue prospettive, da quel vero e proprio postulato politico sulla base del quale era nata la Concentrazione stessa: cioè che in Italia, allo stato degli atti, non fosse più seriamente possibile nessuna forma di attività antifascista e che il problema per le forze d’opposizione fosse diventato, ormai, quello di ricostruire all’estero il centro della propria inizia­ tiva in vista di un’eventuale, possibile, futura ripresa d’azione all’interno 13. In quanto organizzazione, essa concepiva, cioè, la lotta al regime mussoliniano come una iniziativa da portare verso l’Italia, qualora se ne fossero create le condizioni, sull’onda di processi spontanei che non avrebbero potuto alla lunga non maturare nel paese. Del tutto lontana dalla mentalità concentrazionista restava la visione della battaglia al regime come una lotta da condursi in Italia, che tendesse a susci­ tare e unificare il malcontento esistente, per trasformarlo in opposizione consa­ pevole e che quindi assegnasse, se mai, all’azione esterna dell’emigrazione politica il compito di assicurare all’attività clandestina le basi, le retrovie e, insomma, i

screditato negli ambienti del fuoruscitismo, finché era stato proibito dal governo francese (cfr. A. oarosci, Storia dei fuorusciti, cit., pp. 17-20, id., Vita di , Voi. I, Firenze, Val­ lecchi, 1973, pp. 159-160 e s. fedele, Storia della Concentrazione, cit., p. 46). Essa si venne ad affiancare (oltre che, naturalmente, agli organi delle associazioni facenti parte della Concentra­ zione) al « Lavoratore italiano », comunista (i comunisti avevano già stampato in precedenza « L’araldo » e « La riscossa »), la « Rivendicazione », anarchico, « La voce socialista », socia­ lista. In provincia, oltre al « Mezzogiorno » che usciva nel tolosano diretto da A. De Ambris e il quotidiano « La voix antifasciste », diretto dal deputato socialista della Loira Ferdinand Faure e che, stampato in italiano e in francese, uscì dalla fine di dicembre del ’27 fino al feb­ braio del ’28 (aveva fra i suoi collaboratori L. Campolonghi e A. Labriola), si deve naturalmente ricordare la già citata « La France de Nice et du Sud Est » che pubblicava giornalmente una « pagina italiana » redatta da L. Campolonghi, P. Montasini, A. Natoli, fino a che la direzione e la proprietà del giornale rimasero al deputato radicale Albert Dubarry. Col cambio di pro­ prietà, infatti, la pagina fu soppressa, pare anche su pressione del governo e di Briand in parti­ colare (cfr. A i nostri lettori, in «La France de Nice et du Sud Est» del 3 aprile 1928. Per le pressioni governative, cfr. Renzo de felice, Mussolini il duce. I. Gli anni del consenso (1929- 1 936), Torino, Einaudi, 1974, p. 361); per l’ipotetico intervento di Briand sulla proprietà del giornale, cfr. la comunicazione del Consolato generale italiano delle Alpi Marittime al ministero dell’Interno, in data 21 gennaio 1928, in ACS, Min. Interno, Dir. Gen. di PS, Aff. Gen. e Ris., 1928, b. 156 (C.2). Un intervento in senso moderatore era già stato compiuto del resto presso Dubarry dal prefetto di Nizza nel gennaio 1927 (cfr. la comunicazione della prefettura di Nizza al ministero dell’Interno in data 28 gennaio 1927, in Archivi nazionali Parigi, F/7 13460 - Italie 1920-1934). I fuorusciti, per parte loro, erano del resto ben consapevoli (e preoccupati) della possibilità di divenire « merce di scambio » nelle trattative diplomatiche e, in generale, nei rap­ porti italo-francesi (cfr., per es. P ro d o m o , in « La libertà » dell’8 gennaio 1928). 13 È su questa base che Garosci qualifica la Concentrazione come un prolungamento del- l’Aventino (cfr. A. garosci, Storia dei fuorusciti, cit., p. 33 e id., Vita di Carlo Rosselli, voi. I, p. 162) e, sulla sua scia, almeno fino alla fondazione di GL, anche Charles f . delzell, 1 nemici di Mussolini, Torino, Einaudi, 1966, p. 56. Questa priorità è espressa con particolare vivezza da in una importante lettera a del 3 febbraio 1929. Egli scrive; « Noi siamo qui soprattutto per parlare all’Estero, dove siamo interamente ignorati, come è ignorato il fascismo nella sua vera atroce realtà e anche nei pericoli che rappresenta per la demo­ crazia, per il socialismo, per la civiltà universale ». Il massimo leader socialdemocratico ribadiva gli stessi concetti, pochi mesi dopo e con una crudezza ancora maggiore, scrivendo a Modigliani il 20 luglio 1929; « Azione in Italia. Quale? Io vedo un misterioso arrabattarsi di tre o quattro amici, ma finora senza il più piccolo risultato sensibile. Comunque, se qualche cosa si potrà tentare in quel senso, sarà in funzione dell’importanza che avremo assunto all’Estero e che finora, ne convengo, è ancora scarsissima » (cfr. Esilio e morte di F. Turati (1926-1932), a cura di Alessandro schiavi, Roma, Opere nuove, 1956, p. 225 e p. 360). In fondo anche critici severi della concezione e dei limiti della Concentrazione, come il Salvemini, non si discostano da questa impostazione della lotta antifascista (cfr. gli articoli salveminiani apparsi sulla « Libertà » e suc­ cessivamente presentati da G. arfè, Salvemini nella Concentrazione antifascista, in « Il ponte », agosto-settembre 1957, n. 8-9, pp. 1168 e sgg.). 52 Bruno Tobia necessari appoggi politici organizzativi14. La piena adesione a questo giudizio di fondo, faceva perciò dei concentrazionisti gli esponenti più schietti e conseguenti del fuoruscitismo, di quelFatteggiamento politico che considerava, appunto, di fatto prioritaria, perché in realtà la sola possibile, l’azione politica al di fuori della penisola, vista ormai come un’unica, immensa, soffocante prigione 1S. È evidente perciò come, sulla scorta di tali considerazioni, l’attività antifascista, secondo i leaders concentrazionisti, non potesse che restringersi fatalmente al geloso mantenimento, alla strenua salvaguardia delle strutture e della tradizione dei partiti rifugiatisi e ricostituitisi all’estero, ad un’opera di chiarimento svolta presso l’opi­ nione pubblica internazionale e, insomma, alla continua e indefinita preparazione delle forze per la riscossa, nella preoccupazione di durare un minuto più del fasci­ smo. Non può stupire dunque se, per il « cartello » parigino, quella opzione centrale, di assoluto privilegiamento dell’attività all’estero finisse, in concreto e nelle diffìcili condizioni dell’emigrazione, per fare tutt’uno coll’esigenza problema­ tica di assicurare nel modo più soddisfacente possibile una presenza continua alla voce dell’antifascismo fuoruscito. Anzi, i dirigenti più legati all’esperienza della Concentrazione finirono in pratica per identificare l’azione antifascista con l’attività pubblicistica e propagandistica, unico obiettivo, questo sì, ai loro occhi veramente indispensabile e assolutamente irrinunciabile16. Né è quindi per caso che alcuni tra i più autorevoli leaders di quella che sarà la futura organizzazione cartellista pensassero di superare la grave situazione di stallo verificatasi nella ricerca di un accordo unitario tra le forze emigrate proprio attraverso l’idea forza del lancio di un organo di stampa antifascista I7, e che, formatosi poi finalmente il « cartello »,

w Neppure la nascita di GL, che aveva fra i suoi scopi principali quello di correggere il grave limite attesistico della Concentrazione, riuscirà realmente a modificare un tale punto di vista. Anche se alcuni, hanno comunque voluto vedere nella maggiore vivacità di temi e di discussioni presenti ne « La libertà » dopo il 1930, un effetto della fondazione del movimento di Rosselli (cfr. adriano dal pont, alfonso leonetti, massimo massara, Giornali fuori legge. La stampa clandestina antifascista - 1922-1943, Roma, ANPPIA, 1964, pp. 224-225). Di qui una delle principali ragioni della tempestosità dei rapporti tra GL e la stessa Concentrazione (cfr. per questo aspetto, s. fedele, Storia della Concentrazione, cit., specialmente i cap. Ili e IV; vedi anche a. garosci, Vita di Carlo Rosselli, cit., p a s sim ); di qui anche uno dei motivi dell’asperrima polemica comunista con la Concentrazione (cfr. per es. Un secondo A ventino, in « Stato ope­ raio », marzo 1927, n. 1, pp. 64-66). 15 Ci pare, cioè, che il termine « fuoruscitismo » sia, a rigore, applicabile soltanto ai concen­ trazionisti. Non evidentemente al Pei, che vide sempre come reale terreno di lotta quello in­ terno, e neppure a GL che, sebbene nata all’estero, fece dell’azione in Italia il suo punto d’onore, tanto da correre a volte il rischio dell’attivismo e del testimonismo. 1* Significativamente Turati aveva scritto all’industriale italo-argentino Torquato Di Telia, uno dei principali finanziatori della Concentrazione (per i rapporti di Turati col Di Telia cfr. bruno tobia, Il problema del finanziamento della « Concentrazione d’azione antifascista » negli anni 1928-1932, in « Storia contemporanea », giugno 1978, n. 3, pp. 425-474), in un momento in cui, per mancanza di fondi, sembrava doversi cessare del tutto l’attività pubblicistica concentrazionista, che « se qualche “zio d’America” non ci aiuta — saremo costretti tra breve a sopprimere le nostre pubblicazioni, ossia praticamente, a far punto e scioglierci. Quale trionfo per il fascismo, liberato dalla spina del fuoruscitismo, autorizzato a gridare che tutto l’antifascismo all’estero è anch’esso disfatto, che la vita del regime è assicurata per sempre! Quale enorme inespiabile delitto da parte nostra! » (cfr. la lettera di F. Turati a T. Di Telia del 24 novembre 1931, in Archivio della Fondazione « Instituto Torquato Di Telia » di Buenos Ayres, Fuentes 1.5.5.; d’ora in avanti citato: Fuentes, seguito dal numero del fascicolo). Come è evidente, in Turati l’azione antifascista (quasi l’esistenza stessa dell’antifascismo, per lo meno all’estero) finiva per coincidere senza residui con la possibilità di proseguire l’attività giornalistico-propagandistica. 17 Era infatti questo il significato che Modigliani attribuiva, scrivendo al segretario dell’Ios F. Adler, il 23 marzo 1927, all’invio di una lettera da parte di Buozzi ai tre partiti della sinistra non comunista (Pri, Psi, Psli) « pour en venir à la publication d’un seule hebdomedair qui serait dirigé par la CGT italienne à l’étrangér » (cfr. la lettera conservata nell’Archivio dellTnternazio- La stampa della Concentrazione 53 gli organismi affiliati ponessero subito mano alla fondazione dell’« Unione giorna­ listi italiani » allo scopo di raggruppare in un’associazione specifica, sotto il nome dell’ex-direttore del « Mondo », tutti i giornalisti italiani antifascisti presenti all’estero ls; né, infine, è casuale che una delle manifestazioni più riuscite della Concentrazione, durante l’intero arco della sua esistenza, fosse strettamente connessa agli ambienti del giornalismo e dell’editoria: cioè la parteci­ pazione, sia pure a titolo non pienamente ufficiale, all’Esposizione internazionale della stampa che si tenne a Colonia nel 1928 19.

naie operaia e socialista [carte Adler], depositato presso l’Istituto di storia sociale di Amsterdam, SAI 2243, d’ora in avanti cit. SAI, seguito dal numero di fascicolo). Vedi anche sulla medesima questione la lettera di Buozzi a Saragat del 26 marzo 1927, in bruno buozzi, Scritti e discorsi politici, a cura di G.E. Epifani, Roma, E.S.I., 1975, p. 220). Quest’iniziativa, si confrontino le date delle missive, dovette alla fine risultare determinante nello sbloccare effettivamente la situa­ zione, per il raggiungimento dell’accordo tra le forze dell’emigrazione e per la fondazione della « Libertà ». 18 L’Associazione, fondata a Parigi nell’estate del ’27, si componeva di una sezione centrale e di gruppi « formati in ogni luogo ove ciò fosse possibile »; essa aveva come scopi dichiarati nel suo statuto quello della denuncia della situazione della stampa sotto il regime fascista, di svol­ gere un’azione di propaganda e di attività culturale, di fare dell’UGIGA l’organismo ufficial­ mente riconosciuto del giornalismo italiano emigrato, di promuovere tutte le opportune iniziative di sostegno morale e materiale per i suoi iscritti divisi nelle categorie dei professionisti e dei pubblicisti (cfr. Statuto provvisorio dell’Unone giornalisti italiani Govanni Amendola, in « La libertà » del 28 agosto 1927 e L'Associazione giornalisti italiani profughi G. Amendola, in « L’o­ peraio italiano » del 23 aprile 1927; il testo dello Statuto è ora riprodotto in a. dal pont, a. leo- netti, M. massara, Giornali fuori legge, cit., pp. 301-302). Scopi e ordinamenti furono approvati nel primo congresso dell’Unione che si tenne a Parigi il 28 ottobre 1927. Il CD con F. Turati come presidente fu composto da F. Buffoni (amministratore), A. Cianca, A. De Ambris (segre­ tario), F. Volterra (Cfr. UGIGA, Assemblea generale, in « La libertà » del 6 novembre 1927). In effetti l’Unione svolse una intensa attività di propaganda e di conferenze (almeno fino al 1930), oltre ad organizzare praticamente, come accenniamo subito oltre nel testo, la partecipa­ zione dell’antifascismo alla Mostra internazionale della stampa di Colonia. Di particolare interesse, per comprendere le idee generali della Concentrazione intorno al problema della funzione e il ruolo della stampa nella moderna società industriale, è la conferenza che, nell’ambito dell’UGIGA, tenne C. Treves sul tema: Stampa libera o stampa di Stato? Sembrava al conferenziere di poter rilevare, nella situazione della stampa contemporanea, una contraddizione di fondo e insoppri­ mibile tra fini e mezzi, tra 1’« alto magistero della vita pubblica » esercitato dalla stampa ed il fatto che ormai essa si concretizzava in una industria « dalla più banale struttura materia­ listica ». Ciò che un tempo era stata una professione liberale era adesso insidiata, soffocata dal suo stesso sviluppo, da un irresistibile processo di monopolizzazione. Ciò non era senza effetti anche per i contenuti: dal giornale di idee si era passati al quotidiano di informazione. Lo sbocco che sembrava possibile prevedere, indotto dallo stesso processo tecnico monopolista, era a suo giudizio, quello della stampa di Stato, di cui esistevano in concreto già due esempi: quello bolscevico che aveva agito sulla proprietà e regolava le concessioni del materiale tecnico neces­ sario alla stampa e quello fascista che, considerando sacra la proprietà privata, agiva sul mercato del lavoro, eliminando forzosamente gli oppositori al regime, e che tendeva, per questa via, al giornale unico, alla sola « Gazzetta ufficiale ». La soluzione socialista, affacciata in verità in modo piuttosto generico da Treves, esaltava invece la necessità permanente della stampa libera e della sua funzione di critica e di controllo, poiché si inseriva in una concezione dello stato inteso come « collettività amministrativa » che non poteva prescindere dalla distinzione tra stato e governo, tra rappresentanti e rappresentanti (cfr. La conferenza dell’UGIGA, Stampa libera o stampa di Stato?, in «La libertà dell’ 11 dicembre 1927). Sulla questione del processo di mono­ polizzazione della stampa si veda anche a. natoli, Un problema principale, in « La libertà » del 13 maggio 1928 e per l’opera di denuncia delle condizioni di non libertà della stampa italiana, soffocata dal regime, e ad esso asservita cfr. Come i prefetti dirigono i giornali, Luci sulla ver- minaia, La plutocrazia e la stampa fascista, Ciò che avviene al « Corriere della Sera », rispetti­ vamente in « La libertà » del 15 maggio 1927, 15 gennaio e 21 ottobre 1928, 24 novembre 1932. Ricordiamo che la Concentrazione seguiva settimanalmente, attraverso una rubrica di selezione della stampa, l’orientamento dei giornali italiani. 19 Cfr. I proscritti inaugurano a Colonia la mostra della stampa antifascista, in « La libertà » del 17 giugno 1928, Esilio e morte di F. Turati, cit., pp. 168-180, UGIGA, Exposition de la presse antifasciste italienne. Cologne, 10 giugno 1928, Paris 1928. Il padiglione della rassegna 54 Bruno Tobia

Ci pare dunque che l’aspetto dell’attività pubblicistica e propagantistica della Con­ centrazione abbia finito per rivelarsi come assolutamente centrale nell’ambito del fuoruscitismo antifascista non comunista, in una fase che si caratterizza, con ogni evidenza, come un periodo di passaggio e di trapasso. Una di quelle fasi in cui vengono a costituirsi le basi e i presupposti per la maturazione del nuovo e che sembrano quasi trovare le loro più vere e profonde ragioni in un’opera, peraltro preziosa, di preparazione20. Se la conquista hitleriana del potere, infatti, col suo drammatico valore periodizzante, venne in sostanza a sancire la fine dell’esperienza concentrazionista e, insieme con essa, quella della prima fase dell’antifascismo emi­ grato, è anche vero che essa, per altro verso, sembrò costituire una sorta di attuazione dei continui avvertimenti che la Concentrazione aveva rivolto all’opi­ nione pubblica internazionale e che avevano trovato, fino allora, un’eco per la

venne allestito fuori del recinto ufficiale dell’Esposizione, nella Casa del popolo di Colonia, ed inaugurato con un discorso di Turati. La mostra venne poi trasportata a dall’8 ottobre al 10 novembre dello stesso anno (cfr. Un messaggio da Vienna, in « La libertà » del 14 ottobre 1928) e se ne progettò il trasferimento a Londra, New York (cfr. La libera stampa italiana alla mostra di Colonia, in «La libertà» dell’ll marzo 1928) e a Berlino (cfr. in ACS, M in . Interno, Dir. Gen. di PS, Aff. Gen. e Ris., 1929, b. 8, fase. « J 4-1 », la comunicazione del­ l’Ambasciata di Parigi in data 18 dicembre 1928). L’Esposizione si componeva di materiale gior­ nalistico, di propaganda e, in genere, documentario riguardante la stampa, montato su tabelloni e diviso in tre sezioni: la stampa soppressa o fascistizzata, le figure dei giornalisti uccisi o perseguitati, la stampa antifascista all’estero e quella clandestina. L’allestimento era stato curato da un comitato dell’UGIGA diretto in un primo tempo, da Salvemini (che scrisse anche l’intro­ duzione al catalogo pubblicato in francese e in tedesco) e composto da Andrich, Buffoni, Vol­ terra (cfr. UGIGA, Assemblea generale, in « La libertà » del 6 novembre 1927); ma la maggior mole di lavoro preparatorio fu svolta da Turati e dalla Balabanoff. Come è noto una prima raccolta del materiale venne saccheggiata e, in parte, dispersa dall’agente fascista Ermanno Me- napace (cfr. , Memorie di un fuoruscito, Milano, Feltrinelli, 1960, p. 102; Esilio e morte di F. Turati, cit., p. 169 e pp. 382-383 e, anche, La criminale manovra e la « ritrattazione » del fascismo di fronte alla mostra della Giovanni Amendola a Colonia, in «La libertà » del 20 maggio 1928), per cui il difficile lavoro di reperimento dei « pezzi » dovette essere intrapreso di nuovo, operazione non tanto facile come sta a dimostrare la nutrita serie di appelli lanciati da tutti i giornali antifascisti affinché i militanti contribuissero alla raccolta della documentazione (cfr., per es., I giornali soppressi, in « La libertà » del 5 gennaio 1928 e G. andrich, La raccolta della carta straccia , in « La libertà » del 3 giugno 1928, Per la mostra della stampa a Colonia, in « L’Italia del popolo » del 10 marzo 1928). Per procurarsi il materiale i concentrazionisti tentarono anche di mettersi direttamente in contatto con l’Italia, come si desume dalla lettera inviata ad un certo Gino Ciolli (ex-direttore tecnico del giornale socialista fiorentino « La difesa »), ma sequestrata dalla polizia (cfr. la comunicazione della Prefettura di Firenze al ministero dell’Interno in data 21 gennaio 1929, in ACS, Min. Interno Dir. Gen. di PS, Aff. Gen. e Ris., 1929, b. 8, fase. « J 4-1 ». « Concentrazione antifascista ». La lettera inviata al Ciolli da Ponte Chiasso recava la data del 12 marzo 1928). 20 E ciò sia che si ponga, in sede di bilancio complessivo, l’accento sugli elementi di conti­ nuità col passato, sulle caratteristiche, diremmo così, « statiche » dell’esperienza concentrazionista, sia che, in un contesto più articolato, se ne sottolineino anche gli aspetti più nuovi e « dinamici ». Nel primo caso, cioè, col Garosci si metterà in rilievo come la Concentrazione sia venuta a costituire il pendant antifascista della stabilizzazione del regime (a. garosci, Storia dei fuorusciti, cit., p. 26); come essa, pur salvaguardando la tradizione dei partiti (ibidem, p. 33), per il proprio atteggiamento attendista debba essere considerata una sorta di « Aventino di sinistra » (ibidem, pp. 36 e 68-69). Nel secondo si sottolineerà, con la Colarizi, il valore, in qualche modo propul­ sivo e vivificante per antifascismo italiano, del contatto con la realtà politica internazionale s. colarizi, L ’Italia antifascista dal 1922 al 1940, cit., p. 16) e il ruolo positivo svolto dalla Concentrazione per la maturazione del processo della riunificazione socialista (ibidem, p. 34 e, anche, G. arfé, Storia dell’« Avanti! », cit., p. 13). Ci sembra perciò ormai indubbiamente da respingere il giudizio avanzato dal Salvatorelli, secondo il quale — stabilendosi una linea senza soluzione di continuità tra Concentrazione e Resistenza — la validità dell’esperienza concentra­ zionista sarebbe consistita più nell’influenza da essa esercitata in Italia che nel ruolo avuto presso l’opinione pubblica internazionale (cfr. l u ig i Salvatorelli, L ’opposizione democratica du­ rante il fascismo, in AA.VV., Il secondo Risorgimento, Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1955, pp. 157-158). La stampa della Concentrazione 55

verità più solidaristica-sentimentale che politica. Ma se quella medesima presa di potere, inoltre, rendendo imperativa, col suo valore maieutico, la necessità di un riesame radicale della strategia dell’antifascismo italiano, finì per segnare uno stacco netto e inequivocabile rispetto all’esperienza concentrazionista, è anche vero che, per certi versi, una tale riconsiderazione strategica finì per assumere proprio l’aspetto di una ridefinizione e sistematizzazione di problemi e questioni che avevano agitato alcuni degli organismi politici formatisi e perfezionatisi aH’intemo dell’influenza concentrazionista. Rimane perciò stabilito, ci pare, che l’aver assicu­ rato fuori d’Italia una tribuna di discussione e di testimonianza di un certo anti­ fascismo italiano costituisca il valore e, insieme, il limite dell’esperienza concen­ trazionista e che, se mai, il problema lasciato ancora parzialmente aperto dall’in­ dagine storiografica sia quello di definire il grado di diffusione e di influenza che il « cartello » di Parigi fu capace di guadagnarsi e di esercitare, della messe di risultati che, in definitiva, esso poté raccogliere. Non ci si può esimere allora, nel tentativo almeno di dare alla questione ancora aperta una risposta, dal mettere a fuoco, sia pure per grandi linee e nei punti principali, i due aspetti in cui essa si viene precisando: la misura della effettiva diffusione delle idee e delle parole d’ordine concentrazioniste e il processo stesso della loro formazione ed elaborazione.

Struttura e diffusione della stampa concentrazionista

In altra sede abbiamo cercato di gettare una qualche luce sulle fonti e la struttura dei finanziamenti di cui il movimento parigino potè disporre 21. I risultati di quella ricerca ci paiono confermare le difficoltà, i limiti, la capacità espansiva della politica concentrazionista. La condizione che Bruno Buozzi, prendendo la parola nel Consiglio generale della Concentrazione nel settembre del 1928 22, aveva delineato come necessaria allo sviluppo di un ampio lavoro politico non dovette mai di fatto realizzarsi: l’istaurazione, cioè, di una vera e propria circolarità tra i mezzi occorrenti all’attività e l’attività stessa, in modo che i successi pratici fos­ sero di stimolo alla crescita, anche finanziaria, del movimento, presupposto, a sua volta, dell’ulteriore allargamento dell’iniziativa antifascista. Non solo, perciò, l’attività concentrazionista venne sempre più a dipendere dal contributo finanziario di alcuni « pochi amici idealisti dell’estero » 23 — e specialmente dell’industriale italo-argentino Torquato Di Telia •— ma il flusso dei finanziamenti finì, in pro­ porzione sempre crescente, per essere devoluto essenzialmente alla sopravvivenza dei vari organi di stampa del « cartello » antifascista. Esiguità relativa e tipo di struttura del finanziamento non potevano inoltre, è del tutto evidente, non riper­ cuotersi sulla qualità e sulla quantità delle pubblicazioni stampate e diffuse dalla Concentrazione, quando, addirittura, non ne insidiavano la stessa esistenza. E infatti, come è noto, il progetto di trasformare in quotidiano « La libertà » non potè mai tradursi in pratica per la mancanza di un’adeguata copertura finanziaria 24.

21 Cfr. B. tobia, Il problema del finanziamento della Concentrazione, cit. 22 Cfr. Il Consiglio Generale della Concentrazione delibera di rinvigorire il movimento anti­ fa s c ista , in « La libertà » del 30 settembre 1928. 22 Cfr. la citata lettera di Turati a Pittoni in Esilio e morte di F. Turati, cit., p. 223. 24 Era stato Turati in persona, con una circolare di presentazione del nuovo settimanale, ad indicare l’obiettivo della trasformazione dell’organo comune in quotidiano (cfr. Esilio e morte di F . T u r a ti, cit., p. 56). È significativo che le pubbliche sottoscrizioni in favore del settimanale venissero lanciate allo scopo preciso di procurarsi i fondi necessari per questo mutamento di periodicità: « Ai bisogni della "Libertà” settimanale hanno provveduto e provvedono i partiti e 56 Bruno Tobia

L’altro progetto di creare una sorta di agenzia giornalistica in lingua straniera, ad uso specialmente dei quotidiani e delle riviste europee, al fine di meglio informare l’opinione pubblica internazionale dei fatti italiani, commentandoli adeguatamente, non potè realizzarsi, per lo stesso motivo, se non più tardi e grazie, appunto, all’apporto finanziario del Di Telia, benché Turati, il quale ne fu il propugnatore più accanito — e che, assieme a Cianca, assunse l’onere della redazione — vi avesse pensato fin dai primi momenti del suo esilio parigino25. L’esistenza del « Becco giallo », il quindicinale satirico diretto da Alberto Giannini, fu più di una

le organizzazioni della Concentrazione. I fondi per la « Libertà » quotidiana debbono essere forniti dai nostri amici, dagli italiani degni di essere liberi, le cui aspirazioni per un’Italia libera e civile anelano di farsi azione » (cfr. Per la « Libertà » quotidiana, in « La libertà » del 1° maggio 1927). Questi introiti vennero versati all’inizio in un fondo vincolato per il quotidiano (cfr. Preludio al quotidiano, in « La libertà » dell’8 maggio 1928). Ma nel settembre dello stesso anno i dirigenti della Concentrazione si resero conto delTirraggiungibilità dell’obiettivo. Infatti sulla « Libertà » del 25 settembre 1927 il titolo sotto il quale fino ad allora erano state pubbli­ cate le liste di sottoscrizione: Per la « Libertà » quotidiana scompare e viene sostituito da varie, diverse diciture. Del resto la decisione di rinunciare al quotidiano era stata il frutto di un trava­ gliato compromesso. Il Psli si era battuto fin dall’inizio a favore di una pubblicazione settimanale, accampando ragionevoli motivi di disponibilità finanziaria. Questa decisione era passata, dopo molti contrasti, soltanto in una riunione della Concentrazione del 13 aprile 1927, capovolgendo, addirittura, una primitiva risoluzione favorevole alla « Libertà » quotidiana, « à la suite de l’intervention des élémentes plus posés de tous les courants, qui se sont réfusés de Iancer un quotidien dont la continuità dépendait entièrement de la realisation future d’aides simplement prévues » (cfr. la lettera di G.E. Modigliani a F. Adler del 14 aprile 1927, in SAI 2244). La questione del quotidiano, a ben vedere, era tanto più spinosa in quanto finiva per intrecciarsi con quella della necessità di assicurare una risonanza più vasta alle posizioni concentrazioniste di quella ottenuta attraverso una pubblicazione settimanale e per di più in italiano. Se la crea­ zione del bollettino « Italia » venne a sciogliere il nodo almeno parzialmente e nelle intenzioni, l’idea di una presenza pubblicistica giornaliera continuava ad essere considerata come risolutiva del problema della stampa negli ambienti concentrazionisti, anche dai più cauti, e, perciò, si ripresentava periodicamente (cfr. la lettera di F. Turati a F. Adler del 14 luglio 1929, in SAI 2266). Dubitiamo, comunque, che i progetti, riferiti dalla polizia al ministero dellTnterno, di creare un’edizione giornaliera a quattro pagine del marsigliese « Radicai », da diffondersi anche a Tolosa, Nizza, Lione, Parigi, utilizzando gli ex-redattori della « Pagina italiana » della « France de Nice e du Sud Est » (Campolonghi, Montasini, Natoli) (cfr. la comunicazione in data 18 aprile 1928 della Polizia politica al ministero dellTnterno, in ACS, Min. Interno, Dir. Gen. di PS, Aff. Gen. e Ris., 1929, b. 156 (C.2) ) e l’altro di acquistare un quotidiano parigino per avere un organo in lingua francese (cfr. l’appunto della Polizia politica al ministero dellTnterno in data 5 giugno 1929, in ACS, Min. Interno, Dir. Gen. di PS, Aff. Gen. e Ris., 1929, sez. I, b. 9, fase. « J 4-III ») corrispondessero alla realtà, specie il secondo. Ma è certamente significativo che gli organi di polizia ritenessero comunque opportuno registrare queste voci. 25 Cfr. la lettera di Turati a Nenni dell’ 11-12 dicembre 1927, in Esilio e morte di F. Turati, cit., pp. 97-98. Notizie più precise sul progetto e sulle sue finalità nella lettera dello stesso a Pittoni, cit., in ib id e m , pp. 225-226. L’idea si concretizzò finalmente nel quindicinale bollettino « Italia » il cui primo numero uscì, ciclostilato (e a stampa dal settimo numero) a Parigi il 22 aprile 1928. Esso fu finanziato inizialmente da un contributo della Psò e, successivamente, con fondi provenienti da Torquato Di Telia (cfr. B. tobia, Il problema del finanziamento della Con­ centrazione, cit.). Per la quasi contemporanea cessazione del contributo finanziario e la morte di Turati il bollettino venne trasformato in uno « spazio » permanente che apparve sulla « Li­ bertà » (cfr. « La libertà » del 5 gennaio 1933 e sgg.). Se ne stampò anche un’edizione inglese dal titolo « Today » a cura del gruppo londinese « Friends of Italian Freedom » (cfr. L ’e d i­ zione inglese del bollettino « Ita lia », in « Italia » del 18 febbraio-1 marzo 1930) e se ne progettò una tedesca che però non uscì mai (cfr. la lettera di Turati a Di Telia de! 9 settembre 1930, in Fuentes 1.5.5.). Inoltre la possibilità di far sentire la voce dell’antifascismo emigrato all’estero, mediante la presenza delle firme più prestigiose del fuoruscitismo su pubblicazioni e quotidiani stranieri, fu sempre ritenuta preziosa dagli ambienti concentrazionisti. In tal senso « Le peuple » (l’organo del Partito operaio belga) pubblicò tre volte alla settimana, dal settembre del 1927, una « colonna italiana » (cfr. I l « P e u p le » per i proscritti, in « La libertà » del 28 agosto 1927). Allo stesso quotidiano collaborava A. Labriola, come anche alla « Depèche » di Tolosa (cfr., sul­ l’attività di Labriola in esilio, d. marucco, Arturo Labriola e il sindacalismo rivoluzionario in Ita lia , Torino, Einaudi, 1970, pp. 279-311); Nenni scriveva su « Le soir » (cfr. s. fedele, S to ria La stampa della concentrazione 57 volta messa in pericolo e soltanto in virtù, anche in questo caso, delle sovvenzioni provenienti dal « fondo Di Telia » potè essere prolungata, e successivamente, al­ meno fino all’agosto del 1931, per un singolare accordo tra Giannini e G L 26. Lo stesso « Operaio italiano », l’organo della Cgdl di Buozzi, che dovette essere certamente una delle pubblicazioni più seguite dall’emigrazione italiana, non avreb­ be potuto continuare le sue apparizioni se non fosse stato soccorso dal contributo della Federazione internazionale degli edili, affiliata alla Fsi di Amsterdam 27. Infine, la periodicità assolutamente irregolare e la frequenza nei mutamenti di formato, testimoniano largamente dell’enorme sforzo a cui « L’Italia del popolo » dovette sottoporsi per far sentire la voce anche del partito repubblicano nel mondo del fuoruscitismo antifascista28. Gli unici organi di stampa che, pur attraverso non poche difficoltà, erano, in qualche modo, posti al riparo se non altro dai rischi maggiori, sembrano essere stati « Rinascita socialista », che poteva contare sul sussidio che l’Internazionale operaia e socialista (Ios) provvedeva ad elargire al Psli ad essa affiliato — che poi dovette senza dubbio essere trasferito all’« Avanti! », avvenuta la riunificazione tra i due partiti socialisti a Parigi nel luglio del 1930 — e, sia pure in misura minore, 1’« Avanti! » stesso grazie alla robustezza relativa del­ l’organizzazione del Psi in terra di esilio 29.

della Concentrazione, cit., p. 41) e G.E. Modigliani aveva un regolare contratto, procuratogli da Turati, col bollettino « Informations internationales » dellTos, per articoli di commento ai fatti italiani (cfr. le lettere di Turati a F. Adler del 2 febbraio e 5 aprile 1927, in SAI, 2266). 26 Cfr. B. tobia, art. c it. Per l’accordo tra Giannini e GL, cfr. Oreste del buono e lietta tornabuoni, I l « Becco giallo » (1929-1931), Milano, Feltrinelli, 1972, pp. 16-17, e un cenno in una lettera di C. Rosselli a Turati dell’8 luglio 1931, in Esilio e morte di F. Turati, cit., p. 450. I rapporti tra Giannini e la Concentrazione, anche prima del passaggio del direttore del « Becco giallo » al fascismo, non furono semplici e lineari, come testimoniano le preoccupazioni di Turati sull’eccessivo onere finanziario che costituiva per la Concentrazione il periodico satirico e le stesse esigenze personali del suo animatore (cfr. la lettera di Turati a A. Cianca del 27 dicembre 1929, in Fuentes 1.5.4. e la lettera di Turati a Di Telia del 9 aprile 1930, in Fuentes 1.5.5.), tanto che si progettò anche un trasferimento di Giannini in Argentina dove egli avrebbe potuto assumere la direzione di un quotidiano locale, o del « Becco giallo » trasferito a Buenos Ayres, ma del quale, comunque, non si fece più nulla (cfr. la lettera di Di Telia a Turati del 10 giugno 1929 e quelle di Turati a Di Telia del 2 e 21 novembre 1929, in Fuentes 1.5.4., e la lettera di Turati a Di Telia del 9 settembre 1930, in Fuentes 1.5.5.). 27 Cfr. la lettera di B. Buozzi al dirigente sindacale francese Carrefour dell’11 marzo 1928 (in b. buozzi, Scritti e discorsi, cit., p. 238). « L’operaio italiano » aveva una gestione autonoma rispetto alla Cgl la quale viveva grazie a una sovvenzione della Fsi mentre il deficit di circa settantamila franchi del settimanale sindacale veniva ripianato dalla Federazione internazionale degli edili con un fondo speciale raccolto tra le federazioni nazionali. Tale contributo era del resto pubblicamente riconosciuto come espressione di fattiva solidarietà internazionalista (cfr. Presentazione, in « L’operaio italiano » dell’ 1 maggio 1926 e La nostra campagna per i tremila abbonamenti, in « L’operaio italiano » del 10 settembre 1927). La trasformazione del settimanale in quindicinale venne giustificata con la necessità di risparmio al fine di poter incrementare la diffusione delle più costose edizioni in velina destinate all’Italia (cfr. P e r la v ita d e ll’« O p e ra io ita lia n o », in « L’operaio italiano » del 7 gennaio 1928). 28 Per lungo tempo l’organo del Pri uscì a due pagine e non superò mai le quattro. Frequen­ tissimi erano anche i numeri doppi e, quindi, la periodicità dimezzata. 29 II Psli, che godeva, infatti, di un sussidio annuo dellTos proveniente dal fondo speciale da questa creato per « i paesi senza democrazia » e intitolato alla memoria di G. Matteotti, ricevette, nel periodo maggio 1926-giugno 1928, 33.431 franchi svizzeri (cfr. Troisieme Congrées de ¡’Internationale Ouvrière et Socialiste. Rapports et compie rendus. Deuxieme section. Questions d ’organisation, Zurich 1928, p. 11, 75). L’Ios, mentre cercò sempre di aiutare il partito italiano affiliato, sia pure senza mostrare una eccessiva munificità, e sotto pressanti ed insistenti richieste, fu invece nella sostanza insensibile alla domanda di finanziamenti proveniente dalla Concentra­ zione antifascista. Nonostante che F. Adler svolgesse un ruolo di mediazione, le resistenze alla concessione di ampi e sostanziosi finanziamenti erano assai forti specialmente da parte della Spd (cfr. l’appunto della Polizia politica in data 17 novembre 1927 al ministero dell’Interno, in ACS, Min. Interno, Dir. PS, Aff. Gen. e Ris., 1928, b. 156 (C.2), fase. « Concentrazione Anti- 58 Bruno Tobia

È del tutto comprensibile, perciò, che i singoli leaders e gli organi direttivi delle associazioni concentrazioniste non si stancassero di porre insistentemente l’accento sul problema finanziario e sulla necessità dell’impegno, da parte dei militanti e dei partiti affiliati al « cartello » a promuovere in ogni modo la raccolta dei fondi e a curare la diffusione degli organi di stampa della Concentrazione, prima fra tutte « La libertà ». Nel Decalogo del buon compagno, a cura del Psli, per esempio, si faceva obbligo, al Punto IV, di aiutare l’organo del partito concorrendo alla sottoscrizione, spe­ dendo le copie a conoscenti e amici, procurando abbonati e rivenditori; al Punto VI le medesime indicazioni erano estese a « La libertà »; al Punto IX si raccomandava di non dimenticare di inviare al Centro un elenco di compagni o simpatizzanti a cui poter spedire numeri di saggio, circolari, schede di sottoscrizione30. A sua volta, Montasini (vice-segretario della Concentrazione) in una circolare agli affiliati, li incitava con forza a porsi l’obiettivo del raddoppio degli abbonamenti alla « Libertà », e ciò per superare al più presto il fatto grave e paradossale per cui la maggior parte degli abbonamenti al settimanalé erano antifascisti non organiz­ zati; nemmeno la metà degli iscritti ai partiti concentrazionisti e alla Lidu aveva sentito il bisogno di abbonarsi, tanto che il numero degli abbonamenti era « asso­ lutamente insignificante » in diverse località dove pure esisteva una qualche orga­ nizzazione dell’antifascismo 31. Appelli dei dirigenti più autorevoli, schede di sottoscrizione, marche di propa­ ganda, cartello di prestito, intrattenimenti politico-ricreativi, furono i mezzi con i quali si tentò — a volte quasi parossisticamente — di assicurare un flusso finan­ ziario alle sottoscrizioni ordinarie e straordinarie lanciate a sostegno della stampa antifascista. Abbonamenti e sottoscrizioni erano considerate infatti, e a ragione, come i pilastri dell’architettura finanziaria della stampa antifascista, dato che la rivendita diretta, limitata, ma estremamente costosa a causa delle spese di distri­ buzione, finì per tramutarsi in un passivo alla lunga insostenibile 32.

fascista. Affari generali. Movimento controistituzionale » e quello, in data 24 agosto 1928, in ACS, ib id e m ). Evidentemente per superare queste difficoltà il segretario dell’Ios aveva proposto, al momento della fondazione del « cartello antifascista, che Tlnternazionale inviasse, per un pe­ riodo di sei mesi, 2500 franchi svizzeri (pari a quindicimila franchi francesi) direttamente al Psli che avrebbe avuto il diritto di disporne come meglio avesse ritenuto. In tal modo l’Ios non avrebbe avuto alcuna responsabilità nei confronti della Concentrazione, né avrebbe avuto rela­ zioni dirette con il « cartello » di Parigi (cfr. la lettera di F. Adler a Modigliani del 20 aprile 1927, in SAI 2244). Sottolineiamo, infine, che quando P. Nenni, nel tentativo di ottenere un aiuto finanziario per la concentrazione scrisse allo stesso Adler nel settembre del ’27 e forzando alquanto la verità, assai significativamente ritenne opportuno di presentare la Concentrazione come un « morseau d’unité socialiste » (cfr. la lettera di P. Nenni del 10 ottobre 1927, in SAI 2254). Sulla struttura organizzativa dei socialisti, vedi Domenico zucaro, L ’organizzazione del PSI fra gli italiani in Francia, in «Mondo operaio», novembre-dicembre 1971, nn. 11-12, pp. 61-65. 30 Cfr. Il decalogo del buon compagno, Parigi, s.d. (ma del 1929), in ACS, Min. Interno, Dir. Gen. di PS, Aff. Gen. e Ris., 1929, b. 8, fase. « J 4-1, Concentrazione Antifascista affari gene­ rali ». 31 Cfr. La Circolare della Concentrazione, s.d. (ma del 1929), in ACS, Min. Interno, Dir. Gen. di PS, Aff. Gen. e Ris., 1929, sez. I, B. 9, fase. « J 4 - III »). 32 Un’altra possibile entrata finanziaria era costituita dai proventi pubblicitari, ma questi fu­ rono assai limitati, nonostante gli sforzi intrapresi dai dirigenti della Concentrazione per incre­ mentarli (cfr. B. tobia, Il problema del finanziamento della Concentrazione, cit., p. 462). In tali condizioni la raccolta di finanziamento avveniva, per solito, attraverso l’invio di una « scheda di sottoscrizione » alle sedi o ai fiduciari periferici dell’organizzazione unitaria e dei partiti affi­ liati. In essa un « cappello » politico precedeva lo spazio riservato all’annotazione dei contri­ buenti e degli introiti. In quello stampato in occasione del Io maggio 1928 (lo si veda in ACS, Min. Interno, Dir. Gen. di PS, Cat. F4, b. 52, fase. I, « La libertà ») si legge, con toni signi­ ficativi dell’argomentare concentrazionista: « Nella immane catastrofe che travolse in Italia, tutte La stampa della Concentrazione 59

Ragioni di costo, dunque, e difficoltà di distribuzione, unite a una certa cronica labilità organizzativa della Concentrazione33, dovettero certamente contribuire a ridimensionare le possibilità espansive della stampa concentrazionista. Le scarse indicazioni che si posseggono sulla tiratura dei periodici che facevano parte del « cartello » sono fra loro fortemente contrastanti, anche perché, con ogni proba­ bilità, date le condizioni in cui si trovano ad operare i fuorusciti, la quantità degli esemplari stampati fu soggetta nel tempo a notevoli variazioni. Ufficialmente, la le conquiste della democrazia, tutta l’opera del Risorgimento, frustrando e sconfessando il sacri­ ficio dei padri, tutte le garanzie di una plebe, elevatasi, col travaglio di mezzo secolo di bat­ taglie civili, a dignità di popolo; ciò che rimane di memorie e di speranze, ciò che è fede, com­ battività, anelito di future riscosse, si raccolse — per durissima necessità di cose — nel fatto della CONCENTRAZIONE ANTIFASCISTA, concentrazione d’uomini, di idee, di partiti, anche sopra e al di là dei partiti; la cui espressione viva è in questo nostro foglio: LA LIBERTA’; simbolo, bandiera, auspicio; strumento — modesto ma oggi l’unico possibile ed efficace — di intesa, di difesa, di preparazione alle deliberazioni future. La Concentrazione e la LIBERTA’ — pur nella attuale desolante angustia di mezzi — rappre­ sentano, come in ¡scorcio, nell’Europa e nel mondo, con l’Italia oggi sequestrata fuori dal con­ fine, ciò che fu di più nobile e imperituro nell'Italia di ieri, ciò che dovrà essere l’Italia di d o m a n i. Chi lo aiuta a resistere a vivere e a combattere è e rimarrà cittadino di cotesta Italia, la sola che sopravvive palesemente, la sola degna, la sola vera. Chi, per scettica ignavia o avarizia sordida, potendo salvarle, si ricusa, quegli si apparta e si esilia, anche moralmente, per fatto proprio, da cotesta patria, che è la sua; diventa, suo malgrado, il complice passivo della obro- briosa tirannide, che devasta e disonora il suo Paese, che lo svelle dal consorzio delle genti civili. Spiriti liberi e cuori saldi — emigrati, operai, amici della libertà, supremo bene dei popoli — aiutate, confortate tutta la non facile opera nostra! ABBONATEVI, FATE ABBONARE, PAR­ TECIPATE E INCITATE ALLA SOTTOSCRIZIONE PERMANENTE. Inscrivetevi nella falange dei pionieri della redenzione. Siate, non potendo dell’oggi, i cittadini del domani. Non vogliate degradare ad apparire, oggi, i disertori, domani i parassiti della riscossa immancabile! » Ben presto, già alia fine del ’27, i dirigenti concentrazionisti si resero conto, dato il costo proi­ bitivo della distribuzione, che gli strumenti principi per ottenere contemporaneamente un sensi­ bile risparmio, un incremento nel finanziamento e una più sicura diffusione era quello della costituzione di « depositi di propaganda » e dell’incremento del numero degli abbonamenti. Un gruppo periferico di militanti avrebbe assicurato la diffusione di un certo numero di copie ordi­ nate direttamente all’amministrazione centrale. In tal modo vennero eliminate tutte le rivendite pubbliche tranne quella di Marsiglia, Nizza, Parigi dove la diffusione della « Libertà », almeno fino ad un certo grado, era assicurata (cfr. L a « L ib e r tà » nel 1928, Due parole ai lettori, e L a « L i b e r t à » n e l 1928, in «La libertà», rispettivamente, dell’ 11 dicembre 1927, e del 28 gennaio 1928). Non è un caso perciò se,, sempre per ragioni di risparmio e di « massimizzazione » della diffusione, il mezzo dell’abbonamento fosse privilegiato dal più povero degli organi dell’anti­ fascismo emigrato « L’Italia del popolo », il quale cercò ànch’esso di creare una rete di riven­ dite volontarie e decise di spedire il quindicinale soltanto agli abbonati e alle sezioni del partito che ne avessero fatto esplicita richiesta (cfr. la Circolare della Direzione del Pri inviata, in data 15 luglio 1929, alle Federazioni, alle sezioni, ai soci isolati, in ACS, Min. Interno, Dir. Gen. di PS, Cat. F4, b. 48, fase. « Rinascita socialista »). Per lo stesso motivo di economicità anche il « Becco giallo », destinato specialmente alla diffusione in Italia, era inviato solo agli abbonati (cfr. Torna ad uscire «Il becco giallo», in «La libertà» del 24 luglio 1927). Quasi a rimarcare invece la diversa condizione materiale del Partito socialdemocratico il bollettino del Psli, grazie a un sussidio di 15.000 franchi francesi da parte dell’Ios, era diffuso gratis (cfr. la lettera di G.E. Modigliani a F. Adler del 5 settembre 1927, in SAI, 2245). 33 Un fiduciario della Polizia, riprendendo una relazione di Facchinetti al CC della Concen­ trazione, informava che l’organizzazione unitaria era strutturata, nell’estate del ’29, tra sezioni e gruppi, in questo modo: Francia e colonie, 101 sezioni e 77 gruppi; Olanda, 5 sezioni; Belgio, 12 sezioni e 4 gruppi; Svizzera, 7 sezioni e 10 gruppi; Lussemburgo, 3 sezioni e 9 gruppi; In­ ghilterra, 8 sezioni e 9 gruppi; Austria, 5 sezioni e 1 gruppo; Germania, 9 sezioni e 16 gruppi; Cecoslovacchia, 3 sezioni; Polonia, 2 sezioni; Norvegia, 1 sezione; Svezia, 2 sezioni; Danimarca, 1 sezione; Balcani, 10 sezioni (cfr. l’appunto della Polizia Politica in data 26 luglio 1929 al mini­ stero dell’Interno, in ACS, Min. Interno, Dir. Gen. di PS, Aff. Gen. e Ris., 1929, b. 9, fase. « J 4-111 - Concentrazione antifascista»). Tali dati però, giova avvertire, vanno presi con largo beneficio di inventario e in senso meramente indicativo, poiché, come avvertiva la stessa amba­ sciata italiana di Parigi, si trattava di organizzazioni per lo più sulla carta (cfr. la comunicazione del ministero degli Affari Esteri al ministero dell’Interno in data 22 luglio 1929, in ACS, M in . Interno, Dir. Gen. di PS, Aff. Gen. e Ris., 1929, ib id e m ). 60 Bruno Tobia

Concentrazione dichiarava una tiratura di quindicimila copie per « La libertà » 34, ma altre fonti, in verità da assumere, per opposti motivi, con le dovute cautele, denunciavano una situazione di assai difficile lettura per la sua contraddittorietà ma, comunque, molto diversa e certamente assai meno positiva3S. Sappiamo, in ogni modo, con sicurezza che Bruno Buozzi non era per nulla soddisfatto della condizione dell’« Operaio italiano », per ciò che riguardava la sfera di influenza del periodico della Cgdl, anche se ci è impossibile verificare l’attendibilità delle fonti di polizia che indicavano in mille e cinquecento il numero delle copie tirate dall’organo socialista36. Una tiratura analoga era quella dell’« Avanti! »: secondo quanto affermato nel primo congresso all’estero del partito socialista, nel dicembre 1927, essa oscillava tra le mille e le cinquemila copie 37. Con maggior attendibilità e precisione possiamo far ammontare a circa tremila gli esemplari diffusi del bollettino « Italia » 38. In ogni modo, qualunque fosse l’effettiva tiratura dei vari periodici concentrazio- nisti, è certo che la « resa » doveva essere cospicua. Pur prescindendo da alcuni casi evidenti, come quello della Jugoslavia e dell’Egitto, dove la diffusione della stampa antifascista era fortemente ostacolata, avendo proibito quei governi l’in­ troduzione della « Libertà » — per cui l’amministrazione di Parigi studiò la pos­ sibilità di inviare il settimanale agli abbonati in busta chiusa col semplice aggravio delle spese postali39 — anche nei paesi, al di fuori della Francia, dove non esiste-

3t Cfr. UGIGA, L ’Exposition de la presse antifasciste , cit., p. 54. 35 Secondo le varie informazioni pervenute alla Polizia, infatti, Tamministratore della Con­ centrazione Pistacchi, in una riunione del CC, aveva considerato possibile il raggiungimento, per il 1928, di 10.000 copie di tiratura (cfr. l’appunto della Polizia Politica al ministero dell’Interno in data 18 febbraio 1928, in AGS, Min. Interno, Dir. Gen. PS, Aff. Gen. e Ris., 1928, b. 156 (C.2) ). Nenni dichiarava inoltre al congresso della Concentrazione che il settimanale concentra- zionista aveva raggiunto le 12.000 copie (cfr. l’appunto della Polizia Politica al ministero del­ l’Interno in data 9 maggio 1929, in ACS, Min. Interno, Dir. Gen. di PS, Aff. Gen. e Ris., 1929, sez. I, b. 9, fase. « J 4 - III »), la stessa tiratura riferita in un rapporto della polizia francese su « La Concentration Antifasciste » del maggio 1927 (cfr. Archivi Nazionali Parigi, F/7 13460 - Italie 1920-1934). Queste notizie sembravano smentite da successive indicazioni raccolte. Alla fine del 1929, l’ambasciata italiana a Parigi comunicava che si era verificata una diminuzione della tiratura per cui « "La libertà" non raggiungeva le 3000 copie » (cfr. il telegramma dell’ambasciata italiana di Parigi al ministero degli Affari Esteri in data 25 novembre 1929, e per conoscenza al ministero dell’Interno, in ACS, Min. Interno, Dir. Gen. di PS, Aff. Gen. e Ris., F4, b. 52, fase. « I La libertà »). La stessa fonte, sulla bsae dei costi unitari di stampa calcolava una tiratura oscillante tra 2000-3000 copie, cioè, « molto inferiore a quella finora conosciuta » (cfr. Telespresso del 28 novembre 1929 del ministero degli Affari Esteri al ministero dell’Interno, Direzione Gen. di Ps, in ACS, Min. Interno, Dir. Gen. di PS, Aff. Gen. e Ris., F4, b. 53, fase. « III La libertà »). Infine, nel maggio del 1930, comunicava alcuni dati più dettagliati: la tiratura settimanale sarebbe stata di 6000 copie, così suddivise: 2500 per abbonamenti, 500 per le rivendite di Parigi, 500 per Bruxelles e alcune località del Nord, 1000 per i dipartimenti del­ l’Est Pirenei, Costa azzurra e nelle località dove la Concentrazione e la Lidu erano rappresen­ tate, 700 copie inviate a Ginevra e di qui smistate ad altri centri svizzeri. Le restanti 800 copie erano suddivise fra Londra, Tunisi, Corsica e un centinaio spedite a scopo di propaganda ad associazioni, giornali, professionisti ecc. (cfr. Telegramma dell’Ambasciata italiana di Parigi al ministero degli Affari Esteri e per conoscenza al ministero dell’Interno in data 21 maggio 1930, in ACS, Min. Interno, Dir. Gen. di PS, Aff. Gen. e Ris., Cat. F4, b. 53, fase. « II La libertà »). 36 Cfr. l’informativa datata Parigi, 7 ottobre 1928 (in ACS, Min. Interno, Dir. Gen. di PS, Aff. Gen. e Ris., 1928, b. 156 (C.2) ). Bruno Buozzi scriveva al Carrefour, nella lettera già citata: « Malgrado la nostra buona volontà noi non siamo riusciti a dare al nostro giornale la diffusione che sarebbe desiderabile e d’altra parte le offerte fatte nel Gers e nelle altre regioni risultano ben lontane dal provare un attaccamento qualsiasi alla nostra organizzazione e al giornale » (cfr. B. buozzi, Scritti e discorsi, cit., p. 238). 33 Cfr. G. arfè, Storia dell’« Avanti! », voi. IL cit., p. 29. 38 Cfr. Esilio e morte di F. Turati, cit., pp. 242-243. 35 Cfr. la circolare della «Libertà» Ai nostri abbonati in Egitto e in Yugoslavia del 16 no­ La stampa della Concentrazione 61 vano ostacoli del genere la stampa concentrazionista doveva avere una diffusione in realtà assai limitata, nonostante gli sforzi ripetutamente compiuti dalla Concen­ trazione per allargare la sfera deH’influenza dell’antifascismo emigrato e, quindi, l’interesse internazionale per la situazione italiana 40. Nell’ambito di questi tentativi si inserisce l’accordo intercorso tra la Concentra­ zione e le agenzie giornalistiche « Zeit-Notizen » per la Germania, e « Presse As- sociée », per la Francia, al fine di favorire la diffusione di notizie sull’Italia e informare delle attività della Concentrazione stessa4I; nonché il sondaggio effet­ tuato attraverso la mediazione di F.S. Nitti per ottenere lo stesso servizio dall’im­ portante agenzia di informazioni « Reichsdienst der deutschen Presse » che però, a causa dell’opposizione del governo tedesco, non sortì alcun effetto 42. Del resto ad una maggiore diffusione delle notizie sulla situazione italiana e delle denunce della Concentrazione si opponeva un fatto, per così dire, tecnico: a causa della lentezza nella raccolta, verifica ed elaborazione delle informazioni, la Concentrazione spesso non era in grado di fornire le notizie con la necessaria esattezza e tempestività 43. I canali diretti di comunicazione dell’Italia erano, infatti,

vembre 1929, in ACS, Min. Interno, Dir. Gen. di PS, Aff. Gen. e Ris., Cat. F4, b. 52, fase. « I. La libertà ». 40 Se ciò è comprensibile per paesi poco importanti o periferici come il Marocco dove, se­ condo la polizia, la Concentrazione inviava 5 o 6 copie a Rabat e addirittura una sola copia a Casablanca (cfr. l’appunto della Polizia Politica al ministero dell’Interno in data 7 aprile 1931, in ACS, Min. Interno, Dir. Gen. di PS, Aff. G e n . e R is ., Cat. F4, b. 53, fase. « III. La liber­ tà »), si spiega meno per paesi come il Brasile dove esisteva una fortissima emigrazione econo­ mica italiana e dove la Concentrazione inviava cinquanta copie della « Libertà » a San Paolo a F. Frola e alcune altre copie all’agenzia giornalistica « Soare » (cfr. l’appunto della Polizia Poli­ tica del 28 ottobre al ministero dell’Interno, in ACS, Min. Interno, Dir. Gen. di PS, A f f . G e n . e R is ., 1927, b. 120, fase. « Brasile »), o l’Austria dove i concentrazionisti potevano usufruire degli appoggi di un partito socialdemocratico particolarmente sensibile alle tematiche antifa­ sciste. Giungevano a Vienna, infatti, soltanto 10 copie della « Libertà » attraverso l’agenzia gior­ nalistica « Goldschmidt » distribuite da quattro rivendite che il più delle volte non riuscivano a smerciarle tutte (cfr. il telegramma della legazione italiana di Vienna al ministero degli Affari Esteri, in data aprile 1931, in ACS, Min. Interno, Dir. Gen. di PS, Aff. Gen. e Ris., Cat. F 4, b. 53, fase. « III. La libertà »). 41 Cfr. Concentrazione antifascista, in « La libertà » del 9 dicembre 1928. Sembra che già nel corso del Terzo Congresso dell’los tenutosi a Bruxelles nell’agosto del 1928, fossero intercorse trattative tra Turati e la delegazione della Spd affinché la « Vorwärts-Verlag » si assumesse il compito della traduzione di articoli apparsi sulla « Libertà » e perché la « Zeitung Zentrale Stiel- ke » di Berlino curasse la distribuzione del settimanale in Germania (cfr. l’appunto della Polizia Politica al ministero dell’Interno in data 24 agosto 1928, in ACS, Min. Interno, Dir. Gen. di PS, Aff. Gen. e Ris., 1928, b. 156 (C.2.) ). 42 F.S. Nitti si era fatto patrocinatore della Concentrazione presso I’ex-Cancelliere Wirth che, a sua volta, aveva interessato il dott. Karl Spiecker, editore dell’Agenzia e uomo vicino al Centro cattolico. Questi, prima di assumere un impegno qualunque, aveva interpellato il redattore per l’Italia dell’Ufficio stampa del ministero degli Esteri tedesco (cfr. l’appunto della Polizia Politica al Ministero dellTnterno in data 20 marzo 1929, in ACS, Min. Interno, Dir. Gen. di PS, Aff. Gen. e Ris., 1929, sez. I, b. 9, fase. « J 4-I-III »), il quale aveva giudicato decisamente inopportuna l’iniziativa. Spiecker perciò si dichiarò disposto soltanto a pubblicare in occasioni particolarmente importanti articoli politici o economici sull’Italia che però non avessero « una intonazione apertamente e fortemente aggressiva contro il Governo fascista » (cfr. l’appunto della Polizia Politica al ministero dellTnterno in data 26 marzo 1929, in ACS, ib id e m ). 43 Era questa la causa principale, secondo la polizia italiana, del fatto che il redattore dei servizi esteri del « Vorwärts », Victor Schiff, e il redattore capo dell’agenzia giornalistica « So­ zialdemokratischer Pressedienst », Enrich Alfringhaus, avevano giudicato il materiale pubblicato sul bollettino « Italia », inviatogli da Modigliani, difficilmente utilizzabile (cfr. l’appunto della Polizia Politica al ministero dellTnterno in data 21 giugno 1929, in ACS, Min. Interno, Dir. Gen. d i P S , Aff. Gen. e Ris., 1929, sez. I, b. 9, fase. « J 4-1-III »). I fuorusciti italiani erano, del resto, perfettamente consapevoli di questa difficoltà e di come l’inesattezza delle notizie pregiu- 62 Bruno Tobia assai labili, difficoltosi e poco sicuri ed è difficile sottrarsi all’impressione che fos­ sero anche affidati a rari, episodici contatti personali, basati sul semplice, seppur generoso, slancio individuale, piuttosto che su un sistematico lavoro cospirativo 44. È senz’altro questo il motivo che spinse la Concentrazione, per temperare almeno in parte una così grave carenza organizzativa, a creare una sorta di biblioteca- archivio in cui raccogliere materiale di informazione e di studio, indispensabile per una più accurata redazione dei suoi organi di stampa 45. Del resto (ciò che, se si vuole, appare ancora più grave) la mancanza di una seria struttura organizzativa e di contatti sistematici con l’Italia influenzò negativamente, con ogni evidenza, non solo la possibilità di ricevere informazioni

dicasse la causa dell’antifascismo all’estero (cfr. la lettera di F. Turati a P. Nenni del 12 dicem­ bre 1927 in Esilio e morte di F. Turati, cit., p. 98). 44 Cfr., in questo senso, la testimonianza di Paolo Treves in id., Quello che ci ha fatto Mus­ solini, Roma, 1945, p. 215 e p. 307; vedi anche A. garosci, Vita di C. Rosselli, cit., pp. 164-168. Significativo del modo d’affrontare il problema dei canali con l’Italia da parte della Concentra­ zione, lo stampato, inviato in Italia, dal titolo Per comunicare coi fuorusciti, nel quale può leg­ gersi: « Non si possono inviare fiduciari, perché il governo non concede passaporti che ai fasci­ sti; non si possono scrivere lettere, perché la posta e specialmente quella che entra in Italia, viene censurata. [...] Certamente tu conosci un indirizzo di un tuo compaesano, di un tuo ex compagno di Partito, di un emigrato qualunque che sai di idee antifasciste. Ebbene tu devi in­ viare periodicamente e con la massima regolarità delle lettere a questo amico. Naturalmente tu non devi firmare. Scrivi le lettere a macchina e senza firma, o con calligrafia alterata. [...] Le tue lettere devono servire prima di tutto ad informare gli emigrati i quali dispongono di una stampa in Europa ed in America. Le notizie dall’Italia giungono saltuariamente, senza regola­ rità, almeno per certi centri. Da alcune città, poi, non arriva nulla. Le notizie che interessano i fuorusciti (e che verranno pubblicate senza alcuna indicazione che possa svelarne l’origine) sono quelle che riguardano le imprese del fascismo nei grandi e nei piccoli centri (ruberie, dissidi e lotte intestine, violenze contro antifascisti, ecc.), nonché quelle che si riferiscono ai nostri compagni ed al movimento antifascista (arresti, processi, deportazioni, notizie personali di nostri amici, stampa clandestina, ecc.). [...] Tutto ciò che la stampa fascista non pubblica è utile a noi. Manda anche giornali fascisti di provincia (che difficilmente giungono all’estero), ritagli, fotografie ecc. Tutto serve. Nella tua lettera unisci sempre copie di giornali clandestini, franco­ bolli o manifestini di propaganda distribuiti in Italia ecc. Questo materiale fa ottima impressione all’estero e dà la sensazione del vostro lavoro in Italia. Se poi qualche antifascista poco vigilato riesce ad ottenere il passaporto, raccomandagli di prendere contatto, in qualche città all’estero, ma soprattutto a Parigi, con le organizzazioni antifasciste. La cosa è possibile, senza compro­ mettere nessuno- (in ACS, Min. Interno, Dir. Gen. di PS, Aff. Gen. e Ris., Cat. F4, b. 52, fase. “I. La libertà”) ». 45 Cfr. Alimentate la Biblioteca della Concentrazione, in « La libertà » dell” 1 dicembre 1929. L’istituzione di quest’archivio-biblioteca fu possibile grazie ai fondi messi a disposizione dal Di Telia (cfr. b. tobia, Il problema del finanziamento della Concentrazione, cit., pp. 450-451). La raccolta del materiale iniziò nel gennaio del 1929 con l’abbonamento al « Corriere della sera » (dal 1926) alla « Gazzetta ufficiale » e proseguì con quello a numerose riviste italiane e francesi specialmente di carattere politico, tramite la « Libreria italiana » di Parigi (cfr. la lettera di Pi- stocchi a Turati del 14 gennaio 1929, in Fuentes 1.5.4). I quotidiani a cui la Concentrazione era abbonata erano: « Il Corriere italiano » (dal ’29), « Il Corriere padano » (dal ’30), « L’osser­ vatore romano » (dal ’29), il « Popolo di Romagna » (dal ’31), « Il resto del Carlino » (dal ’30), « Il Regime fascista » (dal ’30), « Il Tevere » (dal ’30), « La tribuna » (dal ’30) e all’autorevole « Le temps » (dal ’29). Fra le riviste: « Problemi del lavoro », « La nuova antologia », i « Cahiers de la LFDH », « Revue des vivants », « Monde nouveau ». Fra gli strumenti di consultazione vennero acquistati gli A tti parlamentari, le Prospettive economiche del Mortara, VAnnuaire Gé­ nérale de la SdN, VAnnuario statistico della SdN\ l’Anné politique française et étrangère. 46 Cfr. la comunicazione ai prefetti del ministero dell’Interno in data 12 gennaio 1929, in ACS, Min. Interno, Dir. Gen. di PS, Aff. Gen. e Ris., 1929, b. 156 (C.2). A. Garosci parla anche di un deposito di stampa clandestina a Lugano, ma del tutto inoperante al fine dell’intro­ duzione del materiale in Italia (cfr. A. garosci, Vita di Carlo Rosselli, vol. I, cit., p. 166). La stampa della Concentrazione 63 effetti, l’unico sistema largamente utilizzato era costituito dall’arrivo per posta, na­ turalmente in busta chiusa, di esemplari dei giornali o volantini, stampati su carta velina, ad ex-militanti dei partiti affiliati, simpatizzanti, semplici sconosciuti, o locali pubblici, ditte e, a scopo provocatorio, anche a noti fascisti e redazioni di giornali italiani47. Si trattava, in realtà, di un sistema rudimentale, costoso e poco redditizio, che venne facilmente scoperto dalla polizia, la quale poté senza fatica neutralizzarne in massima parte l’elfìcacia 48. Per quanto attiene alla capacità di penetrazione della stampa concentrazionista tutto sembra concorrere, dunque, a delineare un quadro. non positivo, denso di difficoltà. Questione più complessa rimane quella di individuare le ragioni specifiche di un simile e tanto grave stato di cose. Un primo elemento che, plausibilmente, finì comunque per influenzare in senso negativo la possibilità di allargare l’udienza goduta dagli organi dei vari partiti ed enti affiliati al « cartello » unitario (e in primo luogo della « Libertà »), dovette essere la concezione stessa che i dirigenti concentrazionisti avevano della funzione e del compito della stampa antifascista e, in generale, dell’antifascismo. Lo abbiamo già posto in rilievo: si trattava di quella particolare concezione che rendeva la Concentrazione l’esponente più schietto del fuoruscitismo, di un modo di intendere la lotta al regime mussoliniano come bat­ taglia da condursi ormai essenzialmente dall’estero e, tutto al più, da portare dall’esterno verso il regno. Una concezione quindi che vedeva nell’emigrazione politica e, conseguentemente, nei suoi organi di stampa, come è stato notato, una mera « opportunità conservativa » 49 per le forze che, sconfitte in Italia, volevano continuare ad opporsi in ogni modo alla dittatura fascista.

47 Come nel caso del materiale inviato al « Messaggero » che il direttore, Pier Giulio Breschi, si affrettò a consegnare alla polizia, accompagnandolo con un breve biglietto diretto a Bocchini (cfr. ACS, Min. Interno, Dir. Gen. di PS, A ff. Gen. e Ris., Cat. F4, b. 52, fase. « I. "La liber­ tà" »; il biglietto reca la data del 7 giugno 1927). L’impegno di inviare in Italia gli stampati della Concentrazione era richiesto esplicitamente ai militanti dagli organi direttivi (cfr. la lettera del 21 luglio 1928 di Montasini al Comitato locale della Concentrazione di Grenoble e la circo­ lare di G. Salvi, per la Direzione del Psi, in data 28 settembre 1927, rispettivamente in ACS, Min. Interno, Dir. Gen. di PS, A ff. Gen. e Ris., 1929, sez. I, b. 9, fase. « J 4-III » e ACS, M in . Interno, Dir. Gen. di PS, Aff. Gen. e Ris., Cat. F4, b. 52, fase. « I. "La libertà” »). La sezione di Nizza della Concentrazione aveva addirittura stampato una circolare, nel settembre del ’27 dal titolo A tutti gli antifascisti, in cui si davano dettagliate istruzioni di come effettuare la spedi­ zione del materiale (indirizzi, tipi di buste, ecc.) (in ACS, Min. Interno, Dir. Gen. di PS, Aff. Gen. e Ris., 1928, b. 156 (C.2), fase. « Concentrazione antifascista. Aff. Generali. Movimento controistituzionale »). Naturalmente preoccupazione precipua della Concentrazione era che, una volta penetrato in Italia il « pezzo » di propaganda avesse la più ampia diffusione possibile. A tal fine si incitavano gli antifascisti a riprodurre in proprio il materiale e a farlo comunque circolare. Spesso assieme al materiale clandestino veniva spedito anche il seguente appello datti­ lografato: « Questo giornale vi viene inviato a caso, avendo rilevato il Vostro nome da una rubrica di indirizzi in possesso nostro. Noi non conosciamo naturalmente i Vostri sentimenti nei riguardi del fascismo che opprime il nostro Paese, per cui facciamo appello alla Vostra per­ sona solo in quanto ci siate vicino nella lotta che conduciamo per portare il popolo italiano alla riscossa, per il ripristino delle sue libertà. Fate leggere questo foglio a quante più persone vi è possibile. Se vi manca il coraggio incaricate qualcun altro, speditelo ad un amico o a un fascista, abbandonatelo in una chiesa, nel tramway, in un luogo pubblico. Se poi questo giornale non condivide le Vostre idee o comunque il riceverlo potesse recare pregiudizio alla Vostra per­ sona, potete respingerlo alla direzione la quale provvederà affinché non Vi venga più inviato » (in ACS, Min. Interno, Dir. Gen. di PS, Aff. Gen. e Ris., Cat. F4, b. 53, fase. « IL “La liber­ tà" »). Istruzioni analoghe anche in I doveri di ogni ora (in ACS, Min. Interno, Dir. Gen. di PS, Aff. Gen. e Ris., Cat. F4, b. 52, fase. « I. "La libertà" »). A volte erano gli stessi isolati militanti ad accludere qualche riga di spiegazione e di incitamento (cfr. ACS, Min. Interno, Dir. Gen. Aff. Gen e Ris., 1929, sez. I, b. 9, fase. « J 4-III »). 48 Cfr. guido leto, OVRA, Fascismo e antifascismo, Bologna, Cappelli, 1951, p. 42. 49 Cfr. M. legnani, La stampa antifascista, cit., p. 262 e pp. 280-81. 64 Bruno Tobia In tal senso la stampa concentrazionista si avvicinava assai significativamente al modo in cui intendevano il proprio impegno pubblicistico alcuni, isolati fuorusciti liberali — uomini politici o di governo — come Nitti e Sforza. Nasceva perciò nell’ambito della Concentrazione, precisamente sulla questione cruciale del ruolo della stampa, una vera e propria contraddizione: per influenza di classe e per la natura dei partiti e dei movimenti affiliati, il « cartello » unitario si sarebbe venuto, tendenzialmente, a proiettare verso l’Italia; eppure, per la sua tensione a configurarsi come espressione di tutte le forze antifasciste non comuniste, esso era sospinto — come appunto venivano facendo Nitti e Sforza — ad utilizzare quasi esclusivamente gli avvenimenti politici e gli atti del regime come semplice materia di commento, come exempla da offrire alla riflessione dell’opinione pubblica inter­ nazionale, quali ammonimenti sulla natura e i fini del fascismo 50. Tutto ciò non poteva non ripercuotersi, indebolendola, sulla funzione organizzativa che sempre un giornale o un periodico, in misura più o meno accentuata, finiscono per svol­ gere e quindi non poteva non limitare la possibilità di diffusione della stampa concentrazionista. La sfera nella quale una simile paralizzante contraddizione avrebbe potuto essere superata restava quella dell’emigrazione politico-economica, specialmente in terra di Francia. Nel vario e multiforme mondo degli emigrati italiani la spinta attivi- stico-organizzativa, peculiare ad ogni formazione politica che abbia come proprio riferimento privilegiato la classe operaia, avrebbe potuto coniugarsi con le istanze tipiche di un antifascismo d’opinione di matrice borghese-liberale, intrecciando lo sforzo di organizzare in senso antifascista la massa dei lavoratori italiani all’estero con quello di diffondere tra di essa le analisi e le parole d’ordine della Concentra­ zione, al fine di arrivare, anche per questa via, ad influenzare l’opinione pubblica europea. Solo che la formula organizzativa prescelta dai concentrazionisti mal si prestava, a ben vedere, ad un tale, complesso obiettivo. I dirigenti emigrati, infatti, non seppero concepire sul terreno politico-organizza­ tivo null’altro che la trasposizione semplice dei moduli tradizionali esperimentati con successo in quasi trent’anni di regime liberal-democratico in Italia, prima che la bufera fascista venisse irrimediabilmente a disperderli. La struttura territoriale e verticale (gruppo, sezione, federazione) e quella dirigenziale (responsabile di gruppo, segretario di sezione e di federazione, segretario di partito, con relativi organi collegiali) ricalcava, cioè, pedissequamente il modello classico del partito moderno quale si era sviluppato anche in Italia in regime di libertà, ma esso veniva ora inserito in un ambiente e in una situazione, per quanto democratici, nei quali mancavano — per gli emigrati italiani — alcuni elementi essenziali e per certi versi costitutivi: il riferimento all’assemblea elettiva di ogni ordine e grado e la possibilità quindi che le istanze partitiche (o sindacali) trovassero sul terreno delle sanzioni giuridiche il modo di concretizzarsi in effettive affermazioni, per quanto limitate, di potere. Né è da dire che da questo punto di vista soccorresse sufficientemente, o potesse addirittura svolgere una funzione sostitutiva, il rapporto intrattenuto da alcuni partiti concentrazionisti con le omologhe formazioni francesi, le quali, appunto, per la scarsa udienza che i partiti italiani ricostituiti a Parigi godevano, rimanevano, in realtà, tutte da conquistare alle ragioni di un impegno antifascista non generico né meramente solidaristico. Ma al di là dei motivi tecnico-organizzativi che ostacolavano una più vasta e capil­ lare diffusione della pubblicistica del fuoruscitismo al fine della denuncia e della

50 Cfr. M. LEGNANI, o p . c i t ., p. 263. La stampa della Concentrazione 65 chiarificazione propagandistica all’estero, allo scopo d’agitazione e d’organizzazione politica in Italia, esisteva, ci pare, una ragione più di fóndo del fatto che come già sottolineammo, da una parte, l’udienza internazionale dell’antifascismo emigrato non comunista, prima dell’avvento di Hitler al potere in Germania, fu, tutto sommato, abbastanza limitata e generica, e dall’altro, lo sforzo di suscitare dal­ l’esterno una opposizione cosciente, irt Italia, andò incontro ad un sostanziale fallimento.

Il giudizio sul fascismo e sulla democrazia

Il motivo era più propriamente politico. Ci riferiamo al fatto, che nell’ambito con- centrazionista finivano per coesistere, intorno al giudizio da dare sul fenomeno fascista, diverse e, in realtà, incompatibili interpretazioni, per cui l’immagine della dittatura mussoliniana che la Concentrazione si sforzò di diffondere propagandi­ sticamente in Europa e tentò di porre alla base di una sua eventuale attività in Italia, era destinata ad apparire, nell’impossibilità di una sintesi reale, eclettica­ mente contraddittoria: tale da pregiudicare in modo grave la stessa possibilità espansiva dell’influenza dell’antifascismo fuoruscito non comunista. Infatti, nella interpretazione concentrazionista, si possono rinvenire i germi di quei giudizi generali sul fascismo (ciascuno rappresentato nel « cartello » unitario da un partito o da una corrente politica) che, a volte coniugandosi piuttosto super­ ficialmente, in specie sulle pagine della « Libertà » 51, e meglio chiaritisi nella seconda metà degli anni trenta52, costituiranno la base delle tre interpretazioni classiche: quella rivelazionistica, quella classista, quella morale. L’interpretazione rivelazionistica aveva, infatti, all’interno della Concentrazione, nel Pri il suo rappresentante più conseguente. In realtà i repubblicani non pote­ vano non vedere nel fascismo, in virtù della propria formazione mazziniana alla quale facevano risalire ancora gran parte dei loro ascendenti politico-ideologici, l’estremo, inevitabile risultato negativo, l’approdo ultimo e conseguente dell’intero processo di unificazione nazionale che essi, erano portati a qualificare nei termini semplificati e semplificatori di una rivoluzione fallita. I vizi della « conquista » pie­ montese, troppo insufficientemente corretti dall’iniziativa popolare, del « compro­ messo » con la monarchia, della morta gora giolittiana, invano riscattata dalla prova esaltante della guerra, si completavano e, appunto, si rivelavano nel fascismo; il Concordato del ’29 fungeva da coronamento e suggello d’un patto scellerato destinato ad affossare definitivamente lo spirito, già così depotenziato e svilito, del Risorgimento. Non v’era dubbio, per essi, che la conquista dell’unità aveva arrestato, non compiuto il moto della Rivoluzione nazionale, che il problema politico della libertà era ancora tutto da risolvere e risolvere non potevasi con le istituzioni vigenti, [...] che occorre[va], per la salvezza dell’Italia, riprendere il moto iniziatosi agli albori del secolo scorso ed arrestato o traviato dalla controrivoluzio­ ne ». [Con la stipulazione del Concordato, dunque,] « l’antirisorgimento [aveva] avuto tutti i suoi sviluppi. Ricomincia[va] ora l’opera del Risorgimento italiano, lunga, aspra, difficile, ma sicura del successo- e della vittoria » 53.

51 Dove, come abbiamo visto, Treves si proponeva non un’analisi programmatica di « det­ taglio », ma la delineazione di un’idea « sintetica » del fascismo, non a caso però in termini sol­ tanto « appassionati » ed « emotivi ». 52 Cfr. R. de felice, Le interpretazioni del fascismo, Bari, Laterza, 1970, p. 11. 53 Antirisorgimento, in « L’Italia dei popolo » del 20 febbraio 1929, e si veda anche La demo- 66 Bruno Tobia

Erano, invece, soprattutto i socialisti massimalisti del Psi ad insistere — spesso con i toni più immediati e diretti —• sul tema del fascismo come reazione di classe. In obbedienza ad una lettura alquanto schematica, se non per certi versi, addirittura approssimativa del marxismo, essi erano portati a giustificare la storica sconfitta del proletariato, dopo la grande tensione « rivoluzionaria » del « » col fatto che la borghesia italiana era riuscita a trovare nelle squadre fasciste l’elemento tecnico-militare più adatto per arrestare e poi battere la spinta proletaria. Essi nel tentativo di rivalutare quell’esperienza contro le accuse di estremismo e di forzatura avventuristica che gli venivano mosse da « destra », fini­ vano così per dare del fascismo l’interpretazione di un fenomeno meramente stru­ mentale, mentre la lotta antifascista si faceva, coerentemente e senza mediazioni, lotta anticapitalista. Scriveva infatti 1’« Avanti! »:

Il fascismo è il capitalismo italiano. Il capitalismo italiano nato e cresciuto schiavista, pigro, retrogrado. Che non ha mai chiesto il proprio profitto alle audacie del progresso tecnico, ma nella lotta di concorrenza internazionale ha cercato sempre di vivere del più inumano e intenso sfruttamento della mano d’opera e del protezionismo più rovinoso per la vita del paese. [...] Posta di fronte al problema della ricostruzione economica del dopoguerra la borghesia italiana ha fatto ritorno allo schiavismo di trenta anni or sono. Tutti gli industriali e gli agrari italiani fanno oggi una politica di salari di fame e di disciplina da bagno penale. Il fascismo è il regime politico che li garantisce della sicu­ rezza e della continuità di tale politica. [...] La lotta antifascista non può essere quindi che lotta anticapitalista. La forza antitetica del fascismo è la forza proletaria. Rianimare, inquadrare, armare questa forza è fare la rivoluzione antifascista54. Ancora diversa la posizione socialdemocratica. Per essa, nel giudizio da dare sulla natura e sugli svolgimenti del fascismo, non era possibile prescindere dalla guerra, dallo sconvolgimento da essa provocato nelle cose e nelle coscienze. Era stato il fatto bellico ad interrompere inopinatamente un positivo sviluppo civile che si era prolungato, sia pur fra alterne vicende, con un ritmo di sostanza ascendente. La feroce reazione di classe succeduta al « biennio rosso » non era posta, come nella visione massimalistica, all’origine del fascismo ma costituiva solo la necessaria e inevitabile conseguenza di una generale psicosi bellica. Questa, ed era l’aspetto più grave e foriero di nefaste conseguenze, aveva finito per contagiare anche il prole­ tariato, come attestava proprio la rovinosa, estremistica esperienza del 1919-20, nella forma di un pericoloso ritorno indietro su posizioni di esaltazione soggetti- vistico-volontarista di stampo pre-marxista; sicché il filo della « normale » e fecon­ dante antagonistica dialettica di classe aveva finito per essere smarrito da tutti e due i fondamentali soggetti sociali in lotta, con l’esito negativo e oscuro del­ l’affermazione finale del fascismo 55.

crazia italiana non è mai esistila , in « L’Italia del popolo » del 15 maggio 1927; analogamente, a. cianca, Medioevo che ritorna , in « La libertà » del 17 febbraio 1929 ora anche in s. colarizi, L ’Italia antifascista, cit., pp. 224-226. 54 Le classi e il fascismo, in «Avanti!» del 3 luglio 1927; sulla stessa linea anche L a v o c e delle masse, in « Avanti » del 3 aprile 1927. I temi del fascismo come reazione di classe sono anche svolti, con maggiore finezza, da c. treves (R. Mauro), Fascismo e socialismo, in « Rina- scista socialista » del 25 luglio 1928. 55 Sulla considerazione dei socialdemocratici italiani della guerra cfr. f . turati, L a « g ra n d e guerra » e noi, in « Rinascita socialista » dell’ 1 agosto 1929, ora anche in Esilio e morte di F. T u r a ti, cit., pp. 291-294. Era questa una posizione che possedeva più di un punto di contatto con l’interpretazione crociana del fascismo (per questo abbiamo potuto affermare la compresenza nella Concentrazione delle tre classiche interpretazioni del fascismo). G. Manacorda ha messo in rilievo per primo l’affinità della posizione dei socialdemocratici italiani sul fascismo con quella liberale (cfr. gastone Manacorda, Il socialismo nella storia d’Italia, Bari, Laterza, 1966, p. 546). Analoghi i punti di contatto con quella di Kautsky, nel quale, come ha notato M.L. Salvadori, la considerazione « parentetica » del fascismo si basa sulla concezione del progresso civile come La stampa della Concentrazione 67

Ora sta di fatto che queste tre interpretazioni del fenomeno fascista presenti nel­ l’ambito della Concentrazione erano tutte, seppur in diverso grado, gravemente incomprensive della realtà del fascismo. Quella rivelazionistica, per il fatto di rimandare al semplice ed immediato livello di una descrittiva sociologica delle forze che avevano generato il fascismo, rischiava di ribaltarsi sterilmente nel mora­ lismo; quella classista, con l’identificazione del fascismo/borghesia, sembrava per­ dere di vista ogni elemento di specificità del fenomeno fascista se non, come abbiamo accennato, quello di una sua natura di strumento del grande capitale 56; quella morale (sia pure nella versione socialdemocratica), anche se coglieva nella guerra l’elemento centrale per la nascita del fascismo, sembrava però sottacere del tutto le novità rivoluzionarie che quella frattura aveva pur introdotto nella storia dell’umanità (in primo luogo l’esperimento del bolscevismo) e finiva perciò per dare della situazione mondiale un giudizio aprioristicamente legato ad una deter­ minata lettura ideologica del marxismo, pregiudicandosi così la via per una più piena, positiva azione politica. Se si aggiunge poi che, prescindendo dalle gravi insufficienze di ciascuna di queste tre interpretazioni, esse venivano contraddittoriamente a coesistere nell’ambito concentrazionista, si comprende bene come l’influenza del fuoruscitismo presso l’opinione pubblica internazionale potesse risultarne gravemente indebolita. Né ciò basta. È stato notato che, per assicurare un reale interesse europeo al dramma italiano, sarebbe stato necessario accantonare l’interpretazione rivelazionistica, trop­ po legata alla specificità della nostra storia nazionale57. Certo, quella classista avrebbe potuto con maggiore facilità mettere in luce gli elementi sociali e politici che, in determinate condizioni, avrebbero potuto determinare l’estendersi del fa­ scismo anche all’Europa; ma essa avrebbe avuto una capacità di diffusione piena se mai, soltanto presso gli ambienti proletari, mentre era ambizione precisa del « cartello » di Parigi quella di rivolgersi convincentemente a tutte le componenti democratiche europee. Non rimaneva, dunque, che la terza posizione. Però, a ben vedere, la presenta­ zione del regime mussoliniano come un’interruzione violenta, anche se transeunte, e quindi in qualche modo « parentetica » d’una progressiva crescita civile, che sarebbe stata determinata dallo sconvolgimento irrazionale della guerra, se poteva, forse, essere utile a dare slancio e speranza di vittoria all’emigrazione antifascista italiana, era veramente in grado di suscitare in Europa una effettiva opposizione nei confronti del processo politico in corso di svolgimento in Italia? Non avrebbe piuttosto ispirato alle forze politiche europee un semplice atteggiamento di pur vigile attesa dal momento che il fascismo, a causa di una intrinseca e insupera­ bile contraddizione con i fondamenti medesimi del mondo moderno — così suo­ nava il giudizio dei socialdemocratici italiani — avrebbe potuto prima o poi neces-

democrazia sociale, indissolubilmente connessa alla società industriale moderna e che quindi non può non riprendere prima o poi, a dispetto di qualsiasi temporanea interruzione o rallenta­ mento, il suo corso (cfr. massimo salvadori, Kautsky e la rivoluzione socialista, 1880-1938, Mila­ no, Feltrinelli, 1978, pp. 327-328). 56 Giova sottolineare comunque che fra i tre giudizi sul fenomeno fascista, questa interpreta­ zione classista, e specialmente nella versione affacciata dai comunisti, potè rivelarsi alla lunga feconda almeno sul piano politico nel suo sollecitare — dopo la sconfìtta degli anni Venti — l’unità e la ricomposizione in classe del proletariato. 57 Cfr. s. fedele, Storia della Concentrazione, cit., p. 40. Come risulta da quanto precede e da quanto segue ci discostiamo però dal Fedele per quanto riguarda la ricostruzione del giudizio fornito dalla Concentrazione In quanto tale sul fascismo. 68 Bruno Tobia sanamente concludersi come, del resto, per definizione è pretesa di ogni parentesi per quanto lunga e dolorosa? Ci sembra che, per sottrarsi all’insuperabile difficoltà pratica cui non poteva non condurre anche questa posizione nonché quasi consapevoli dell’aporia interpreta­ tiva che in essa era insita (come chiarire le ragioni di una tale, improvvisa, su­ bitanea insorgenza irrazionalistica?) i dirigenti concentrazionisti finissero, a ben vedere, per rintracciare le cause dell’avvento del fascismo nelle storiche arretra­ tezze nazionali e nei vizi dello stato unitario, esplose con la guerra e nell’infuocato dopoguerra. Essi correggevano così empiricamente in un punto cruciale, l’interpre­ tazione rivelazionistica, che, in obbedienza alla sua origine radical-democratica di stampo risorgimentale non aveva mai visto — né poteva a rigore vedere — nella grande guerra un mero disvalore. Ci pare, insomma, che essi si cimentassero nel­ l’impossibile tentativo di fondare le ragioni di una interpretazione alla radice parentetica, attraverso una spiegazione, in definitiva, rivelazionistica58. Inoltre, per dar conto della relativa facilità del triónfo fascista, essi fecero ampio ricorso alla spiegazione secondo cui la forza d’urto del movimento mussoliniano era derivata dall’incontro degli interessi plutocratici coll’irrequietezza dei ceti spostati dalla guerra. Ma tutto ciò valse a accentuare il quadro sincretistico dell’interpretazione, introducendo anche gli elementi propri del giudizio sul fascismo come reazione di classe, piuttosto che a convincere una opinione pubblica europea già predisposta, nella sua parte democratica, a considerare la dittatura fascista come un caso meramente italiano, di cui perciò ci si potesse tutto sommato disinteressare, o più che pronta, nella sua parte conservatrice, a vedere positivamente il ruolo di difesa dell’ordine giocato dal regime mussoliniano e al quale, per questo fosse da guar­ darsi con simpatia59 60. Sulla base dunque della interpretazione appena delineata, per tutta una fase dell’esperienza concentrazionista (terminata tra la fine del 1929 e gli inizi del 1930, in significativa coincidenza con l’estendersi della crisi economica mondiale, il primo impetuoso svilupparsi del movimento nazista, la fondazione e i primi passi di GL, la « svolta » del movimento comunista internazionale), la polemica fuoruscita si poggiò, nella sostanza, su tre concetti principali, da essa del resto logicamente derivati: il fascismo come Medioevo che ritorna (e quindi il regime fascista visto come dominio di un’oligarchia, di una banda rapinatrice, accampata sul corpo vivo della nazione, da scacciare come un esercito straniero) “ j l’esisten­ za, però, di un’altra Italia (in realtà l’unica, vera e legittima Italia, mal rappre­ sentata ed anzi usurpata dal fascismo, donde un contrasto profondo tra interesse reale del popolo italiano e il ristretto, partigiano profitto del regime)61; la fiducia,

58 Una operazione simile aveva tentato già il Bonomi nel suo Dal socialismo al fascismo, Ro­ ma, Formiggini, 1924. Come nota il De Felice egli fu il primo, del resto, a parlare del fascismo di una « parentesi » (cfr. r. de felice, Antologia sul Fascismo. Il giudizio politico, voi. I, Bari, Laterza, 1976, p. 185). 55 Sintomatico documento di questa interpretazione sincretistica ci pare lo scritto di Turati, Per un’unica internazionale dei lavoratori nel mondo, dove è contenuta un’ampia analisi del fenomeno fascista (vedilo in Esilio e morte di F. Turati, cit., pp. 122-137 ed anche, sotto il titolo Fascismo, socialismo e democrazia, in II Fascismo. Antologia di scritti critici, a cura di C. Casucci, Bologna, Il Mulino, 1961, pp. 241-258). 60 Cfr., per es., La Repubblica del fascismo, in « Rinascita socialista » del 25 settembre 1928. Si veda anche a. labriola, L ’orda predatrice, in « La libertà » del 30 settembre 1928. 81 Numerosissimi i luoghi della stampa concentrazionista in cui si affaccia questo giudizio che, del resto, cominciò a circolare fin dai primissimi commenti alle leggi eccezionali (cfr., per esem­ pio, L. campolonghi, Organizziamoci e combattiamo, in « La France de Nice et du Sud Est » del 9 dicembre 1926). La stampa della Concentrazione 69 infine, che in un tempo più o meno lungo, l’Italia della libertà avrebbe ripreso il sopravvento sulla banda profittatrice (ripristinando così, quasi attraverso un se­ condo risolutivo Risorgimento, la normalità di uno sviluppo civile violentemente ed improvvisamente interrottosi)62. È proprio attraverso l’approfondimento di quest’ultimo concetto (il ripristino della libertà e delle condizioni democratiche della lotta politico-sociale) che il dibattito interno e l’elaborazione dei partiti concentrazionisti poterono svilupparsi lungo una linea ulteriore, più articolata e complessa. Si trattava, infatti, di affrontare due questioni fra loro legate: quali fossero i principi aspiratori della lotta al fasci­ smo e quale natura dovesse essere il futuro regime da instaurare in Italia. Ma il duplice problema richiamava subito l’altro, del resto più che implicito nel giu­ dizio della Concentrazione sulla dittatura fascista: quale fosse stata, in Italia, la sostanza del regime liberale pre-bellico. La risposta dei repubblicani, dato, come abbiamo visto, il contenuto rigorosamente « rivelazionistico » del loro pensiero politico, era nella sostanza netta: in Italia non vi era mai stata una vera democrazia; non era quindi possibile parlare di ripristino, quanto piuttosto di un intero sistema di rapporti sociali e politici vera­ mente democratici da fondare. Il dichiarato obiettivo polemico di questa posizione era essenzialmente costituito dal Psli nel quale, come abbiamo accennato, le illusioni di utilizzare la monarchia in senso antifascista durarono più a lungo che in altri, visto che i socialisti mas­ simalisti rimanevano in fondo per il loro secco classismo, alquanto eccentrici rispetto al dibattito e, se mai, nel loro deciso repubblicanesimo trovavano, almeno in un punto, l’occasione di un’importante convergenza strategica col Pri. In realtà alla radice del sin troppo prudente atteggiamento socialdemocratico stava un intero modo di concepire la politica che, tipico della posizione socialista riformista, co- mincerà a sciogliersi nell’ambito del socialismo italiano — e quindi di riflesso, per quanto ci interessa, anche nella Concentrazione — soltanto quando il dibattito sull’unificazione socialista entrerà nella sua fase cruciale e poi, in modo sempre più netto e preciso, quando il nuovo partito rifondato diverrà una realtà a tutti gli effetti operante63. Alla base di quella posizione stava, cioè, il fatto che dai leaders socialdemocratici italiani — e primi fra tutti dai più autorevoli esponenti della tradizione riformista, Turati, Treves, Modigliani — la democrazia era sempre

62 Cfr., per es., La bonifica , in « Rinascita socialista » del 20 ottobre 1928. La certezza della riscossa antifascista affondava le sue ragioni nella considerazione della lotta di classe come maieu- ticamente liberatrice. Di qui, dunque, la polemica contro le affermazioni mussoliniane sulla fine in Italia della « questione sociale ». La Concentrazione si sforzò di dimostrare che ciò che era venuto meno era non già la dialettica classista (ritenuta insopprimibile) quanto, piuttosto, la possibilità di una sua libera esplicazione a livello politico e sindacale. Di qui, allora, le prese di posizione sulla non rappresentatività dei sindacati fascisti e sui contratti di lavoro capestro da essi sottoscritti (cfr. Il contratto di lavoro dei metallurgici e la libertà degli operai, in « La liber­ tà » del 28 febbraio 1928 e di pallante rugginenti, Sindacato fascista, sindacato socialista, ih « Rinascita socialista » del 15 agosto 1929), la denuncia del carattere artificioso e anti-operaio del sistema corporativo (cfr. Mentre si costituisce il Consiglio nazionale delle Corporazioni si prepara un nuovo assalto ai salari, in « L’operaio italiano » del 21 dicembre 1929), l’attenzione prestata ai fenomeni di « razionalizzazione » produttiva (cfr. La razionalizzazione, in « Avanti! » del 29 maggio 1927, p. rugginenti, Taylorismo, fordismo, razionalizzazione, in « La libertà » del 7 agosto 1927 e b. buozzi, La razionalizzazione , in « La libertà » del 16 dicembre 1928). 63 Sul processo di riunificazione dei due partiti socialisti cfr. G. arfè, Il Partito Socialista Ita­ liano nei suoi Congressi. Voi. IV: I congressi dell’esilio, Milano, Ed. « Avanti! », 1963, pp. 19-49, e simona colarizi, Il partito socialista italiano in esilio (1926-1933), in « Storia contemporanea », marzo 1974, n. 1, pp. 47-92. 70 Bruno Tobia stata intesa, e continuava ad esserlo con accresciuta convinzione dopo l’avvento del fascismo, come assolutamente comprensiva del l’intera dimensione politica. Una tale posizione, rigorosamente democraticistica, comportava senza dubbio che, ai loro occhi, Tiniziativa proletaria, non essendo mai veramente all’ordine del giorno la questione del potere della classe operaia, dovesse ancora sostanziarsi di un periodo di lunga preparazione e sviluppo democratico (come a più riprese si era verificato, a livello sempre più alto, nell’ultimo trentennio della storia italiana, prima di fronte ai Crispi, ai Di Rudinì, ai Salandra e, come appunto si pretendeva, adesso, di fronte a Mussolini), il quale evolutivamente preparasse la finale matu­ razione del socialismo, concepito nella sostanza come una « democrazia in dive­ nire ». Certo, al fondo di un tal modo di considerare le cose, viveva, sia pure in un contesto erroneo, una importante nonché feconda intuizione: che l’avanzata del movimento operaio dovesse compiersi nella democrazia e che quindi, il proleta­ riato dovesse costruire il proprio stato secondo metodi e sulla base di principi da essa derivati. Ma occorre subito dire che, con singolare ed in definitiva paraliz­ zante contraddizione, i dirigenti riformisti continuavano a vedere nella democrazia una forma statuale di dominio borghese e non erano in nessun modo portati a riconoscere in essa, come la stessa storia del movimento operaio avrebbe ormai dovuto loro suggerire, magari sulla base stessa delle sue drammatiche svolte, una forma, anzi la forma pienamente omogenea al potere proletario; essi continuavano a permanere, cioè, in quella posizione, peraltro illustre, che concepiva tutt’al più, la democrazia come il terreno più favorevole allo sviluppo della lotta di classe e ad avere, dunque, di essa un visione limitata, asfittica, riduttiva perché, al fondo, strumentale. Ora, l’attardarsi in un ambito siffatto di fronte al fascismo (che era venuto a misurare nel concreto drammaticamente proprio l’inadeguatezza del movimento operaio e che avrebbe preteso, al contrario, un massimo di inventiva e di agilità teorica e pratica), non poteva alla lunga non svelare tutte le insuffi­ cienze della politica socialdemocratica; rischiava, anzi, di isterilire e vanificare anche il nucleo positivo e fecondo che pure essa cercava, con mezzi inadeguati e contraddittori, di mantenere e di difendere: la decisività, lo abbiamo già richia­ mato, della dimensione democratica come valore universale, permanente ed omo­ genea al potere del proletariato. Ma il disvelamento di questa verità, il raggiun­ gimento di una chiara consapevolezza di questo decisivo enunciato, avrebbero potuto essere conseguiti assai difficilmente da chi fosse rimasto — come in effetti era nel caso dei leaders socialdemocratici — in una visione del marxismo del tutto fissata, e irrigidita, entro i confini dell’ideologia e che, sulle orme di una interpre­ tazione deterministica, evolutiva della lettera di Marx fosse stato perciò sospinto a considerare il capitalismo come un sistema « chiuso », seppure internamente contraddittorio. In esso, secondo un tal modo di considerare le cose, un ruolo pieno di soggettività politica poteva essere per principio attribuito soltanto, a ben vedere, alla borghesia; al proletariato se mai restava un mero compito di pres­ sione, di incalzamento, di condizionamento, appunto « democratico », il quale sarebbe risultato veramente decisivo solo nella fase finale del suo maieutico, rivo­ luzionario atto risolutivo. In definitiva, allora, nel momento in cui era divenuto essenziale di fronte al fascismo ripensare insieme la democrazia e il socialismo, i socialdemocratici italiani venivano proprio irrigidendo e separando i due coes­ senziali termini del rapporto. Ne è da dire che le conseguenze di un tal modo di impostare le cose fossero destinate a rimanere circoscritte in un ambito riguar­ dante esclusivamente la strategia da applicare alla situazione interna italiana: era l’intera strategia internazionale, da condursi a livello statuale o di movimento, che ne risultava influenzata in modo profondo. La stampa della Concentrazione 71

La politica internazionale e il ruolo del proletariato

E, in realtà, anche per ciò che riguardava le condizioni e i rapporti della vita internazionale da porre in atto allo scopo di contribuire, pure per questa via, all’iso­ lamento e alla sconfitta del fascismo, i socialdemocratici italiani, allineandosi in ciò con tutte le più significative espressioni della socialdemocrazia europea del tempo, partivano dal concetto, che non potesse parlarsi come, al contrario, Lenin aveva sostenuto fin dal ’14, della dissoluzione del sistema capitalistico in quanto tale-, e ciò nonostante la rottura degli interni legami dell’assetto mondiale deter­ minata dalla guerra imperialistica, malgrado la creazione del primo stato nel mondo a conduzione non capitalistica, contro le palesi difficoltà, dopo Versailles, di riannodare organicamente i normali rapporti tra gli stati capitalistici, di fronte alla stessa insorgenza del fascismo M. Anche sul terreno internazionale, perciò, lungi dall’essere all’ordine del giorno la rivoluzione proletaria, il problema per le organizzazioni operaie (prima fra tutte l’Ios) non poteva essere che quello di favorire la rimozione degli ostacoli, neces­ sariamente intesi, nell’ambito di queste categorie, come postumi accidentali del conflitto mondiale, i quali si frapponevano alla ricostruzione di un assetto inter­ nazionale veramente democratico e, perciò, finalmente ordinato, condizione ogget­ tiva più avanzata e più piena, presupposto finalmente adeguato per la conclusiva presa di potere da parte del movimento operaio. Gli svolgimenti della politica internazionale, sul finire degli anni venti, sembravano consentire la formulazione di giudizi siffatti, come nel caso della firma del Patto Briand-Kellog.

Il capitalismo che ha fatto le patrie grandi per far cessare gli urti fra le patrie piccine del medioevo — scriveva « Rinascita socialista » —, comincia ad avvertire il bisogno (anche dal punto di vista della difesa dei propri finanziamenti!) di conciliare le patrie grandi, e di impedire loro di azzuffarsi... per non rovinarsi. Gli interpreti politici di questo bisogno nuovo del capitalismo internazionale, sono tutt’altro che energici e decisi. Troppi pregiudizi li trattengono. E forse un sicuro presentimento li avverte che nel pre­ parare una più durevole pace fra i popoli essi lavorano per una società che dia alla pace il fondamento definitivo: la soppressione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo col- l’istaurazione del regime socialista. Ma non sarà la prima né l’ultima volta che gli uomini di un regime saranno gli artefici involontari della sua scomparsa! 64 65 La ripresa del programma wilsoniano, l’appoggio della SdN 66, una lettura revisio­ nistica dei trattati di pace, che ne smorzasse le più acerbe punte anti-tedesche e

64 Per l’impostazione dei complessi rapporti tra i socialdemocratici italiani e l’Internazionale socialista, cfr. b. tobia, Politica estera socialista e problema del fascismo durante l’epoca di Lo­ c a m o , in « Storia contemporanea », ottobre 1980, n. 4-5. Sulla centralità, all’interno del discorso socialdemocratico, del rifiuto di considerare ormai dissolto il capitalismo come sistema e sulle decisive conseguenze che ciò ha comportato per la politica della socialdemocrazia tra le due guerre, cfr. Filippo sacconi, Note sull’imperialismo: II - Kautsky e Stalin di fronte all’eredità le­ n in ia n a , in «La rivista trimestrale», a. Ili, n. 11-12, settembre-dicembre 1964, pp. 534-581 e franco rodano, Il riformismo e la crisi della guerra imperialista: fine dell’egemonia borghese, in « La rivista trimestrale », a. VII, n. 26-27, estate-autunno 1968, pp. 26-61. 65 La guerra fuori legge, in « Rinascita socialista » del 25 agosto 1928. Nell’ambito di tali considerazioni di stampo « ultra-imperialistico » si passava da una posizione piattamente evolu­ zionistica come quella affacciata da « L’operaio italiano » in L ’internazionale capitalistica (cfr. « L’operaio italiano » del 4 settembre 1926) a giudizi più articolati e complessi, ma non meno netti, come quelli espressi, per altro dallo stesso settimanale, in La conferenza economica (in « L’operaio italiano » del 14 maggio 1927) o nell’intervento a proposito del patto Kellog di R. mauro [C. Treves], Il patto Kellog, in « La rinascita socialista » del 25 agosto 1928). 66 Cfr. g.e. Modigliani, La Società delle Nazioni, in « Rinascita socialista » del 15 febbraio 1929. 72 Bruno Tobia che strappasse dalle mani del fascismo la bandiera del revisionismo67 68, la lotta per il disarmo 6S, costituivano perciò il naturale terreno dell’azione politica del pro­ letariato internazionale 69. Il cardine di questa strategia era costituito dalla ricom­ posizione del dissidio tra i vincitori democratici della guerra, la Gran Bretagna e la Francia, veri garanti del sistema di Versailles, e una Germania democrati­ camente rinnovatasi a Weimar70; lo sfondo era costituito dalla prospettiva del­ l’Unione europea, il grande obiettivo che le forze veramente democratiche e non già velleitariamente rivoluzionarie del continente, avrebbero dovuto con pazienza perseguire 71. L’omogeneità fra gli obiettivi politici che la linea antifascista proposta dai social- democratici italiani additava per il nostro paese e quelli che venivano proposti per l’Europa da una siffatta strategia internazionale ci sembra confermata dal fatto che anche per questa ultima via era possibile, a veder bene, tornare al punto di partenza del ragionamento dei leaders riformisti e dal quale anche noi abbiamo preso le mosse: cioè dal giudizio da essi dato sul fascismo. E, infatti, inquadrato in questa prospettiva internazionale e giudicato secondo queste categorie, il regime mussoliniano finiva per essere anch’esso, lo abbiamo già accennato, uno di quegli accidenti, uno di quei residui della guerra, anche se si vuole il più vistoso, ano­ malo e, a loro parere, pericoloso, che la necessaria ricostruzione di un ordinato sistema mondiale doveva incontrare come un ostacolo, fra gli altri, nel corso del suo cammino; quell’elemento, cioè, che un’Europa sempre più consapevole dei suoi fondamentali e comuni interessi di civiltà, e sempre più solidale nelle sue storiche parti costitutive, avrebbe dovuto di necessità soffocare e quindi final­ mente espungere dal proprio seno. Ma allora, permanendo da parte socialdemocratica il medesimo giudizio di fondo sul fascismo e, anzi, discendendo la posizione internazionale della socialdemocrazia italiana da ipotesi che a quel giudizio erano pienamente omogenee, il contrasto che abbiamo già visto opporre il Pri al Psli sul piano della politica interna della strategia antifascista da svolgere in Italia e strettamente dipendente dalle due differenti interpretazioni del fenomeno fascista, non sarebbe forse dovuto riemer­ gere anche sul terreno internazionale, con conseguenze ancor più negative per l’udienza in cui poteva sperare la Concentrazione antifascista nel suo complesso? In realtà, proprio lungo tale linea di politica internazionale quel contrasto, quanto meno quell’accesa diversità di vedute, era destinato a cadere in virtù dell’antica tradizione risorgimentale di stampo mazziniano dei repubblicani e sulla scorta

67 Cfr. Centotrentadue miliardi, in « Rinascita socialista » del 25 ottobre 1928. 68 Cfr. R. mauro [C. Treves], Capitalismo e disarmo, in « Rinascita socialista » dell’ 1 mag­ gio 1929. 69 Numerosissimi gli interventi e i richiami socialdemocratici a questa linea. Vedi per es. g.e. Modigliani, Controllo internazionale, in « Rinascita socialista » del 25 aprile 1928. Del resto i socialisti riformisti italiani erano preparati da tempo a sostenere una linea politica di tal genere, considerate le simpatie con cui avevano guardato alla linea wilsoniana fin dal suo primo apparire (cfr. b. tobia, Il partito socialista italiano e la politica di W. Wilson (1916-1919), in « Storia contemporanea », giugno 1974, n. 2, pp. 275-303). 70 Cfr. g.e. Modigliani, Le elezioni francesi, in « Rinascita socialista » del 10 maggio 1928 e, dello stesso, Germania e Francia, in « Rinascita socialista » del 10 luglio 1928. Vedi anche La vittoria dei socialisti tedeschi, in « Rinascita socialista » del 25 maggio 1928 e, sempre di Modi­ gliani, Nancy, in « Rinascita socialista » del 15 giugno 1929. 71 Di qui l’importanza che tutti i partiti socialisti avessero finalmente una loro concreta politica estera. In questo senso cfr. Realtà internazionalista, in « Rinascita socialista » del 1° ago­ sto 1929, e di g.e. Modigliani, Politica estera socialista, in « Rinascita socialista » dell’ 1 gennaio 1929. Sui progetti europeisti di Briand, cfr. Pan-Europa e l’Internazonale, in « Avanti! - L’Avve­ nire del lavoratore » del 13 settembre 1930. La stampa della Concentrazione 73 della loro più recente vocazione interventista-democratica che li spingeva a vedere in una libera unione di nazioni democratiche su scala continentale la massima garanzia della definitiva sconfitta del militarismo, del principio monarchico, del temporalismo clericale e, in definitiva, dello stesso fascismo. Certamente, lungo questa medesima linea si veniva anche a pagare l’alto prezzo dell’isolamento (e della vera e propria contrapposizione) rispetto alle istanze rivo­ luzionarie che si erano espresse nell’esperienza bolscevica e nell’intero movimento comunista; si continuava perciò a contribuire rovinosamente all’intera frattura del movimento operaio internazionale. Ma senza dubbio sul terreno della compattezza della « politica estera » concentrazionista si conseguiva, comunque, un risultato di non poco conto, toccando in sorte al Psi, in questo caso, di rimanere isolato, nella sua debole posizione di affiliato alla esigua e in fondo evanescente Inter­ nazionale rivoluzionaria di Paul Louis e nel suo tentativo di operare, su questa base, una problematica mediazione tra le due Internazionali rivali72. In tal modo sviluppo democratico aH’interno dei singoli stati europei, da una parte, e, dall’altra, pacifica, mutua cooperazione internazionale (che comportava, in ogni caso, l’esclusione della realtà sovietica, quanto meno fino a che essa non fosse rientrata — così scolasticamente si argomentava — negli « usuali », « nor­ mali » svolgimenti della dialettica della storia), finirono per essere i due aspetti interdipendenti e complementari della strategia che la Concentrazione in quanto tale venne proponendo agli antifascisti italiani e ai democratici europei, al fine di impedire la diffusione del fascismo in Europa e per schiacciarne definitiva­ mente il dominio in Italia73. Ora, a ben vedere, furono proprio queste due coordinate generali della politica concentrazionista a vanificarsi di fronte allo scoppio della crisi economica del ’29 e alla nascita, sviluppo e affermazione del movimento nazista in Germania. La possibilità di un assetto armonico dell’economia internazionale sembrava, infatti, dissolversi alla radice74; quella di un accordo « revisionistico » col fascismo e tanto meno, col nazismo suonava, evidentemente, come una bestemmia agli orec­ chi degli antifascisti di Parigi7S. Di fronte al dissesto capitalistico e alla tragedia tedesca una linea politica democraticistica non solo non sarebbe stata in grado di opporsi con successo al fascismo avanzante su scala internazionale ma al contrario,

72 Cenni sull’attività di Paul Louis in George d.h. cole, Storia del pensiero socialista, voi. IV, p. 38 e voi. V, p. ili, Bari, Laterza, 1973; cfr. anche , La mia vita di rivoluzionaria, Milano, Feltrinelli, 1979, pp. 246-247. 72 Per questa via la posizione socialdemocratica tra le due guerre viene a costituirsi, nel­ l’ambito del movimento operaio a ispirazione marxista, come l’antitesi precisa della politica comu­ nista che, con Stalin affidava invece alla ripresa e all’inacerbirsi inevitabile delle contraddizioni imperialistiche le sorti della rivoluzione mondiale. Si trattava di un’antitesi tanto più netta e precisa in quanto anche il dirigente bolscevico (modificando in un punto teorico fontamentale Lenin, risolvendo, cioè, in un processo ciò che questi aveva considerato come il punto della cata­ strofe imperialista) giungeva a negare che il sistema capitalistico in quanto tale si fosse dissolto nel 1914, pur traendone ovviamente, rispetto alla socialdemocrazia, conseguenze del tutto diverse sul piano pratico (cfr. f. sacconi, Note sull'imperialismo, cit., specialmente pp. 562 e sgg.). Come documento, da parte dei socialdemocratici italiani, dell’antitesi fra le due posizioni, cfr. g.e. Mo­ digliani, Vigor di vita e fulgori di visioni, in «Rinascita socialista» del 25 agosto 1928 e L ’In­ ternazionale socialista e la guerra, in « Rinascita socialista » del 15 gennaio 1929. 74 Cfr., per es., La Conferenza di Ginevra, in « L’operaio italiano » del 15 marzo 1930. 75 Cfr. Dalla « valorizzazione della vittoria » alla « valorizzazione della rivincita », in « La libertà» del 6 settembre 1930, e, specialmente, La Conferenza di Zurigo, in « L’A vanti !-L’avve­ nire del lavoratore » del 21 maggio 1932. Sul « revisionismo » della politica estera italiana si veda H. james burgwyn, Il revisionismo fascista. La sfida di Mussolini alle grandi potenze nei Balcani e sul Danubio (1925-1933), Milano, Feltrinelli, 1979. 74 Bruno Tobia avrebbe finito per risultare addirittura controproducente. Sul piano interno, stato per stato, infatti, la surenchère rivendicativa, che per principio costituisce, definen­ dola, quella linea, avrebbe dovuto, in un quadro caratterizzato da margini econo­ mici via via sempre più stretti, per cercar di sfuggire al proprio fatale esito corpo­ rativo ed anarchico, contraddittoriamente, autolimitarsi, fino a negarsi come tale, pena il rischio di provocare alla lunga, un violento contraccolpo reazionario, inevi­ tabile se fosse proseguita, come pure era possibile, sulla strada dell’esasperazione massima della conflittualità classista. Nell’un caso progressivamente, drammatica- mente nell’altro, era comunque da prevedersi che il democraticismo sarebbe giunto presto o tardi, al termine della propria parabola. Sul piano internazionale, poi, esso avrebbe finito necessariamente per ribadire il dominio anglo-francese che era stato stabilito nel ’19 dai trattati di pace. Infatti le classi dirigenti di quei paesi, nel tentativo di far fronte alla pressione redistribuzionistica sviluppata sul piano interno dai rispettivi proletariati, si sarebbero certamente sforzate di rinsaldare la posizione di privilegio internazionale che avevano ereditato dalla guerra, raffor­ zando così i vincoli di Versailles. In tal modo, però, non avrebbero potuto evitare di accrescere, per contraccolpo, il malcontento, la volontà di rivincita, la spinta nazionalitaria di cui si nutriva largamente il movimento fascista in Italia e su cui cresceva, con maggiore e più grave pericolosità, quello nazista in Germania 76. Anche su questo piano, dunque, la linea democraticistica avrebbe finito per sboc­ care in esiti esattamente antitetici rispetto agli obiettivi che si era venuta propo­ nendo. I dirigenti della Concentrazione si trovavano perciò, negli anni tra il ’30 e il ’34, di fronte al viluppo di contraddizioni a cui la politica intesa in un senso pura­ mente democratico aveva finito per mettere capo. Di fronte a questo vero e proprio passaggio, quasi il redde rationem di un’intera politica perseguita dalla Concentra­ zione, sia pur faticosamente, nel corso di un settennio, i socialisti italiani — poiché senz’altro su di loro ricadeva, ormai, il peso maggiore della politica concentra- zionista, costituendo essi del « cartello », dopo la riunificazione dell’estate del ’30, il nucleo di gran lunga più compatto ed omogeneo — avrebbero potuto scegliere la strada, assumendo e reinterpretando alcuni temi dell’elaborazione dei néos- socialistes francesi, dello stemperamento progressivo del democraticismo, sino al depotenziamento definitivo di quella sua interna spinta classista che, seppure con­ tinuamente compressa ed imbrigliata, e soprattutto mai pienamente trasposta e risolta sul piano della politica, ne costituisce, tuttavia, non solo un connotato essen­ ziale, ma la vera e propria molla propulsiva. Una tale strada, però, poiché si sarebbe risolta nell’abbandono puro e semplice di ogni linea che volesse ancora tenere conto, marxisticamente, della dialettica classista avrebbe finito per negare anche il nucleo positivo e fecondo che la politica democraticistica si era pur tut­ tavia sforzata di affermare e di conservare: quello della difesa del quadro demo­ cratico. Il socialismo italiano —- c assieme ad esso la Concentrazione — avrebbe rischiato di essere sospinto con stupefacente paradosso su una strada al termine della quale esso, negando la propria più vera peculiarità, e riconoscendo ambigua­ mente (e non, come necessario, criticamente) nel fascismo alcune sia pur distorte caratteristiche « democratiche », « popolari » o, quanto meno, secondo categorie

76 Non è un caso quindi che la politica estera fascista sia entrata in una fase di più accen­ tuato, progressivo dinamismo proprio intorno al 1928-30 (cfr. Giampiero carocci, La politica estera dell’Italia jascista (1925-1928), Bari, Laterza, 1968, pp. 113 e sgg. R. de felice, Mussolini il duce. I. Gli anni del consenso (1929-1936), Torino, Einaudi, 1974, pp. 366 e sgg.; ennio di nolfo, Mussolini e la politica estera italiana (1919-1933), Padova, 1960, pp. 237 e sgg. e pp. 250 e sgg.) La stampa della Concentrazione 75 meramente sociologiche, « di massa », avrebbe finito per sboccare nella collusione e nel più completo cedimento opportunistico77 78. Su di una tale strada, evidente­ mente del tutto esiziale e rovinosa per il socialismo italiano, sembrò incamminarsi, in un primissimo tempo, G.E. Modigliani 7S. Esisteva però un’altra possibilità, l’unica che potesse in qualche modo sottrarre il socialismo italiano agli esiti catastrofici cui ormai conduceva la palese inade­ guatezza della posizione democraticistica; una linea lungo la quale, appunto, criti­ cando i limiti del democraticismo fosse però possibile, nello stesso tempo, un recupero del suo nucleo positivo e fecondo (la difesa della democrazia); una linea che si sforzasse di ricomporre, in sostanza, quell’antinomia tra momento demo­ cratico e prospettiva socialista in cui — abbiamo visto — veniva a riassumersi e quasi a coronarsi tutta 1’insufficienza del democraticismo. Occorreva cioè impe­ gnarsi nel tentativo di affermare nella teoria e cercare di far vivere nella pratica l’idea che il socialismo nasce, si afferma e permane nella dialettica democratica e che esso perciò — come pretende il democraticismo — non sgorga, si espande e si consolida dallo sviluppo evolutivo di essa. A ben vedere fu questa la strada tentata in quegli anni dal Psi, sotto il precipuo impulso del suo nuovo gruppo dirigente 79. E infatti, sull’onda di queste impellenti necessità pratiche, sulla scorta di una rimeditazione di alcune tematiche marxiane, specialmente degli spunti politici contenuti in alcuni scritti storiografici del rivoluzionario tedesco, e sotto l’influenza delle espressioni più avanzate della socialdemocrazia internazionale, anch’essa impegnata, del resto, nella sua parte più responsabile, in una operazione di pro­ fonda autocritica, il socialismo italiano veniva arricchendo, in modo autonomo e del tutto peculiare, il modo di intendere il rapporto tra democrazia e socialismo 80.

77 Del resto era appunto ciò che stava succedendo in alcuni settori, in specie sindacali, della socialdemocrazia tedesca di fronte al nazismo (cfr. Gian Enrico rusconi, La crisi di Weimar. Crisi di sistema e sconfitta operaia, Torino, Einaudi, 1977, specialmente la parti III, IV e V e le considerazioni finali, pp. 493 e sgg.). Per una prima informazione sui « néos-socialistes » cfr. Georges lefranc, Le mouvement socialiste sous le troisième République (1875-1940), Paris, Payot,

1963, pp. 288-300 e su Déat, donald n. baker, T w o Paths to : Marcel Déat and Marceau Pivert, in «Journal of contemporary History », voi. 11, january 1976, n. 1, pp. 107-127. Per le suggestioni esercitate dal neo-socialismo francese sull’antifascismo fuoruscito, cfr. s. colarizi, Classe operaia e ceti medi, Padova, Marsilio, 1976, pp. 19-37 e pp. 55-60; brevi cenni anche in A. garosci, Storia dei fuorusciti, cit., p. 76. 78 Cfr. g.e. Modigliani, Socialismo nuova fase?, in « L’avanti l-L’avvenire del lavoratore» del 5 agosto 1933. Gli rispose indirettamente ma non meno duramente, Pietro Nenni in una serie di articoli di commento alla Conferenza di Parigi dell’Ios del ’33 (cfr. Punti fermi, Commento alla Conferenza, Dopo la Conferenza di Parigi. Il daltonismo di Dalton, Dopo la Conferenza. La lotta per il potere, in « L’Avanti!-L’avvenire del lavoratore », rispettivamente del 2 settembre 1933, ibidem, 23 settembre 1933, 30 settembre 1933. 79 Sull’enuclearsi di questo nuovo gruppo dirigente e sui suoi compiessi rapporti col Centro interno del Psi in Italia, cfr. Stefano merli, Documenti inediti dell’archivio Angelo Tasca. La rinascita del socialismo italiano e la lotta contro il fascismo dal 1934 al 1939, Milano, Feltrinelli, 1963. 80 L’influenza di testi come La lotta di classe in Francia o II 18 Brumaio su uomini come Nenni e Saragat è troppo nota ed evidente per essere ricordata, come del resto è chiara l’atten­ zione, specialmente del secondo, verso il dibattito ideologico e politico della socialdemocrazia tedesca e austriaca. Per le tematiche di questo dibattito vedi g.e. rusconi, La crisi di Weimar, cit.; id., Hilderfing e l’esperienza socialista di Weimar, in « Mondo operaio », giugno 1977, n. 6, pp. 63-68 e erwin weissel, L ’Internazionale socialista e il dibattito sulla socializzazione, in AA. VV., Storia del marxismo, voi. III, Il marxismo della Terza Internazionale, Torino, Einaudi, 1980, pp. 195-213; suU’austromarxismo vedi, invece, Giacomo marramao, Austromarxismo e socia­ lismo di sinistra tra le due guerre, Milano, La Pietra, 1977; id., Tra bolscevismo e socialdemo­ crazia: Otto Bauer e la cultura politica dell’austromarxismo, in AA.VV., Storia del marxismo, 76 Bruno Tobia Sta di fatto però che, la maniera di vedere questo rapporto rimaneva tutta interna al marxismo. E non a caso allora i termini tipici della contraddizione marxiana secondo ia quale, da una parte, esiste una compatibilità tra quadro democratico e sistema capitalistico (per cui la democrazia rimane insuperabilmente una forma di potere borghese, costituendosi, tutt’al più, come il terreno più avanzato della lotta di classe) e, dall’altra, contemporaneamente, essa si svela come la forma politica nella quale il capitalismo non può permanere (e in cui, anzi si inizia la fase del suo superamento), non venivano nonché superati nemmeno lontana­ mente compresi da parte dei dirigenti del socialismo italiano. Ma il semplice fatto di permanere in essi, aderendo, comunque, ad uno dei luoghi più ricchi del­ l’elaborazione politica di Marx, faceva sì che essi potessero cominciare a rendersi conto che, se la forma democratica era capace di porre in crisi il rapporto capita­ listico di produzione, risultava però del tutto inadeguata a determinarne, di per sé, l’organico superamento, come invece, abbiamo visto, pretendeva precisamente una lettura democraticistica del marxismo. È vero, di fronte al problema di indi­ viduare i modi concreti e soprattutto i contenuti precisi che l’iniziativa proletaria (di quell’unica classe cioè veramente omogenea al quadro democratico) dovesse porre in essere per avviare quel processo di superamento, fornendone l’indispen­ sabile base strutturale, il socialismo italiano — come del resto anche tutte le espressioni più avanzate della socialdemocrazia europea — rimaneva in sostanza senza parole, salvo ad affermare la necessità della fondazione, come sostrato e sostegno della democrazia politica, di una non meglio precisata « democrazia so­ ciale » (dietro la quale poteva celarsi, tutt’al più, una ripresa della tradizionale politica del riformismo) o di una cosiddetta « democrazia economica » (che, peg­ gio, costituiva, a ben vedere, una contraddizione in termini) 81. Ma ciò che importa qui rilevare, ai fini del nostro discorso, è che incamminandosi su questa strada — e cominciando ad uscire, così, in modo positivo dai pesanti limiti della linea democraticistica — esso veniva ad incontrarsi con l’altra grande esperienza del

cit., pp. 241-287 e, soprattutto, norbert lener, Teoria e prassi dell’austromarxismo, Roma, Mondo operaio-ed. Avanti!, 1979. In più particolare riferimento al tema del fascismo, cfr. Gerhard botz, Austro-Marxist Interpretation of , in « Journal of contemporary History », voi. II, october 1976, n. 4, pp. 129-156. Per un’analisi circostanziata dell’interpretazione del fascismo come « bo­ napartismo » (che in qualche modo circolò anche in ambienti concentrazionisti, ma più come un. tema allusivo-analogico che come vero e proprio, articolato giudizio), cfr. Leonardo rapone, Trotskij e il fascismo, Bari, Laterza, 1977, pp. 137-195 e luisa mangoni, Per una definizione del fascismo: i concetti di bonapartismo e cesarismo, in « Italia contemporanea », aprile-giugno 1979, pp. 17-52. 81 In realtà, come abbiamo accennato nel testo, era sorta e si era sviluppata con crescente chiarezza nella mente dei socialisti italiani, da una parte, la consapevolezza di una contraddizione fra forma politica democratica e struttura economico-sociale capitalistica e, dall’altra, la nozione del fatto che l’esistenza di una tale contraddizione non era però sufficiente ad assicurare di per sé il superamento del sistema capitalistico. Nel tentativo di abbozzare i contenuti di una de­ mocrazia « sociale » ed « economica » occorre perciò intravedere lo sforzo dei socialisti italiani per risolvere il problema di fornire ad un quadro democratico che si voleva sempre più pieno e dispiegato, una struttura economica ad esso finalmente omogenea ed adeguata. Solo che la forma proposta al fine di pervenire, lungo la strada del superamento del capitalismo, alla ricom­ posizione della contraddizione tra sfera politica e sfera economica, rimaneva poi rigidamente e dogmaticamente compressa nel canone marxista dell’« abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione » e della loro socializzazione. In tal modo, se si additava il compito di dar vita ad una struttura economica nuova, che eliminasse alla radice i limiti e i pesanti costi umani del capitalismo, ci si incamminava però lungo una strada che finiva per smentire di fatto (a causa della natura dirigistica e coortatrice degli strumenti concreti preposti allo scopo) la possibilità di tenere conto insieme alla nuova struttura, e come aspetto organico ed omogeneo di essa, della pienezza della dimensione democratica. Per questi temi vedi, per es., Proletariato, ceti medi e borghesia intellettuale, in « Avanti ¡-L’avvenire del lavoratore» del 15 ottobre 1932 e Da un anno all’altro, in « Avanti ¡-L’avvenire del lavoratore » del 7 gennaio 1933. La stampa della Concentrazione 77 movimento operaio che quei limiti aveva sempre visto e che anzi dalla loro critica aveva trovato le ragioni stesse della sua nascita: cioè col movimento comunista, sospinto anch’esso, dopo la catastrofe tedesca, a precisare e approfondire nella nuova situazione la strategia della propria prassi politica. Essi venivano ad incon­ trare, cioè, quell’esperienza politica della classe operaia che con più insistenza, a prezzo anche di un certo settarismo e di un indubbio esclusivismo politico, aveva comunque costantemente richiamato in quegli anni, sia pure come notammo, nella semplice forma di un’empirica revisione del leninismo, l’attenzione sul problema dell’iniziativa rivoluzionaria della classe operaia. Come è noto il risultato di questo incontro, di questo duplice, complesso processo era destinata a sboccare nella stagione dei Fronti popolari che non sarebbe bastata, peraltro, a risolvere in modo adeguato né il problema di sbarrare la strada ai fascismi, né tanto meno, a deli­ neare una linea rivoluzionaria finalmente adeguata alla fuoruscita dal capitalismo « nei punti più alti », ma sarebbe stata comunque più che sufficiente a segnare in modo inequivocabile la fine dell’esperienza concentrazionista, come la forma politica tipica, sul versante non comunista, di un’epoca di divisione e di contrasto insanabile fra le fondamentali forze proletarie dell’antifascismo italiano. Esso sarebbe stato destinato a rimanere come prima testimonianza di uno sforzo di elaborazione teorica e pratica che, negli anni seguenti, e nel turbine della seconda guerra mondiale, avrebbe contribuito a far maturare, in quelle stesse forze, ancor più alte e più comprensive esperienze. BRUNO TOBIA