Collana diretta da Orazio Cancila Collana diretta da Rossella Cancila

1. Antonino Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390), 2006, 21. Orazio Cancila, Nascita di una città. Castelbuono nel secolo XVI, 2013, pp. 560 pp. 902 2. Antonino Giuffrida, La Sicilia e l’Ordine di Malta (1529-1550). La centrali tà 22. Claudio Maddalena, I bastoni del re. I marescialli di Francia tra corte della periferia mediterranea, 2006, pp. 244 diplomazia e guerra durante la successione spagnola, 2013, pp. 323 3. Domenico Ligresti, Sicilia aperta. Mobilità di uomini e idee nella Sicilia 23. Storia e attualità della Corte dei conti. Atti del convegno di studi, Palermo 29 spagnola (secoli XV-XV1I), 2006, pp. 409 novembre 2012, 2013, pp. 200 4. Rossella Cancila (a cura di), Mediterraneo in armi (secc. XV-XV1I1), 2007, 24. Rossella Cancila, Autorità sovrana e potere feudale nella Sicilia moderna, pp. 714 2013, pp. 306 5. Matteo Di Figlia, Alfredo Cucco. Storia di un federale, 2007, pp. 261 25. Fabio D'Angelo, La capitale di uno stato feudale. Caltanissetta nei secoli XVI 6. Geltrude Macrì, I conti della città. Le carte dei razionali dell’università di e XVII, 2013, pp. 318 Palermo (secoli XVI-XIX), 2007, pp. 242 26. Jean-André Cancellieri, Vannina Marchi van Cauwelaert (éds), Villes portuaires 7. Salvatore Fodale, I Quaterni del Sigillo della Cancelleria del Regno di Sicilia de Méditerranée occidentale au Moyen Âge Îles et continents, XIIe-XVe (1394-1396), 2008, pp. 163 siècles, 2015, pp. 306 8. Fabrizio D’Avenia, Nobiltà allo specchio. Ordine di Malta e mobilità sociale 27. Rossella Cancila, Aurelio Musi (a cura di), Feudalesimi nel Mediterraneo nella Sicilia moderna, 2009, pp. 406 moderno, 2015, pp. VIII, 608 9. Daniele Palermo, Sicilia. 1647. Voci, esempi, modelli di rivolta, 2009, pp. 360 28. Alessandra Mastrodonato, La norma inefficace. Le corporazioni napoletane tra teoria e prassi nei secoli dell’età moderna, 2016, pp. VII, 337 10. Valentina Favarò, La modernizzazione militare nella Sicilia di Filippo II, 2009, pp. 288 29. Patrizia Sardina, Il monastero di Santa Caterina e la città di Palermo (secoli XIV e XV), 2016, pp. XIV, 270 11. Henri Bresc, Una stagione in Sicilia, a cura di M. Pacifico, 2010, pp. 792 30. Orazio Cancila, I Ventimiglia di Geraci (1258-1619), 2016, Tomo I-II, pp. 496 12. Orazio Cancila, Castelbuono medievale e i Ventimiglia, 2010, pp. 280 31. P. Sardina, D. Santoro, M.A. Russo (a cura di), Istituzioni ecclesiastiche e 13. Vita Russo, Il fenomeno confraternale a Palermo (secc. XIV-XV), 2010, potere regio nel Mediterraneo medievale. Scritti per Salvatore Fodale, 2016, pp. 338 pp. XXVI, 214 14. Amelia Crisantino, Introduzione agli “Studii su la storia di Sicilia dalla metà 32. Minna Rozen, The Mediterranean in the Seventeenth Century: Captives, del XVIII secolo al 1820” di Michele Amari, 2010, pp. 360 Pirates and Ransomers, 2016, pp. VII, 154 15. Michele Amari, Studii su la storia di Sicilia dalla metà del XVIII secolo al 33. G. Sodano, G. Brevetti (a cura di), Io, la Regina. Maria Carolina d'Asburgo- 1820, 2010, pp. 800 Lorena tra politica, fede, arte e cultura, 2016, VIII, 306 16. Studi storici dedicati a Orazio Cancila, a cura di A. Giuffrida, F. D’Avenia, 34. Valeria Cocozza, Trivento e gli Austrias. Carriere episcopali, spazi sacri e D. Palermo, 2011, pp. XVIII, 1620 territorio in una diocesi di Regio Patronato, 2017, pp. 168 17. Scritti per Laura Sciascia, a cura di M. Pacifico, M.A. Russo, D. Santoro, P. Sardina, 2011, pp. 912 18. Antonino Giuffrida, Le reti del credito nella Sicilia moderna, 2011, pp. 288 In formato digitale i Quaderni sono reperibili sul sito 19. Aurelio Musi, Maria Anna Noto (a cura di), Feudalità laica e feudalità www.mediterranearicerchestoriche.it. A stampa sono disponibili ecclesiastica nell’Italia meridionale, 2011, pp. 448 presso la NDF (www.newdigitalfrontiers.com), che ne cura la 20. Mario Monaldi, Il tempo avaro ogni cosa fracassa, a cura di R. Staccini, distribuzione: selezionare la voce "Mediterranea" nella sezione 2012, pp. 209 "Collaborazioni Editoriali"

n° 43

Agosto 2018 Anno XV Direttore: Orazio Cancila

Responsabile: Antonino Giuffrida

Comitato scientifico: Bülent Arı, Maurice Aymard, Alessandro Barbero, Franco Benigno, Henri Bresc, Rossella Cancila, Federico Cresti, Antonino De Francesco, Gérard Delille, Salvatore Fodale, Enrico Iachello, Olga Katsiardi-Hering, Salvatore Lupo, Cecilia Novelli, Walter Panciera, María Ángeles Pérez Samper, Guido Pescosolido, Paolo Preto, Luis Ribot Garcia, Daniela Saresella, Mustafa Soykut, Mario Tosti, Antonio Trampus, Marcello Verga, Bartolomé Yun Casalilla

Segreteria di Redazione: Gianclaudio Civale, Vittorio Coco, Amelia Crisantino, Nicola Cusumano, Fabrizio D'Avenia, Matteo Di Figlia, Daniele Palermo, Lavinia Pinzarrone, Roberto Rossi

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Nel 2017 hanno fatto da referee per “Mediterranea – ricerche storiche” Nicola Aricò (Messina), Anna Baldinetti (Perugia), Nicoletta Bazzano (Cagliari), Marco Bellabarda (Trento), Salvatore Bono (Perugia), Giorgio Borelli (Verona), Giovanni Brancaccio (Chieti), Filippo Burgarella (Cosenza), Marina Caffiero (Roma), Giuseppe Caridi (Messina), Rita Chiacchella (Perugia), Cinzia Cremonini (Milano), Gemma Colesanti (CNR), Pietro Colletta (Enna), Guido Dall’Olio (Urbino), José Domingues (Porto), Santi Fedele (Messina), Giulio Fenicia (Bari), Claudio Ferlan (Trento), Vincenzo Ferrone (Torino), Vittoria Fiorelli (Napoli), Massimo Firpo (Pisa), Josep Maria Fradera (Barcelona), Francesca Gallo (Teramo), Maurizio Gangemi (Bari), Maria Giuffrè (Palermo), Jean-Yves Grenier (Parigi), Paolo Grillo (Milano), Maria Guercio (Roma La Sapienza), José Antonio Guillén Berrendero (Madrid), Egidio Ivetic (Padova), Patrizia Lendinara (Palermo), Rosario Lentini (Palermo), Luca Lo Basso (Genova), Gianfranco Marrone (Palermo), Nunzio Marsiglia (Palermo), Rolando Minuti (Firenze), Aurelio Musi (Salerno), Giovanni Muto (Napoli), Jose Javier Ruiz Ibanez (Murcia), Javier San Julián Arrupe (Barcelona), Antonio Spagnoletti (Bari), Alessandro Stella (Parigi), Giovanna Tonelli (Milano), Giovanni Vigo (Pavia).

Mediterranea - ricerche storiche è classificata in fascia "A" dall'Anvur per il settore concorsuale 11/A2. È presente in ISI Web of Science (Art & Humanities Citation Index), Scopus Bibliographic Database, EBSCOhost™ (Historical Abstracts, Humanities Source), CiteFactor, DOAJ, ERIH 2011 (Int2), ERIH PLUS, Ulrich’s web, Bibliografia Storica Nazionale, Catalogo italiano dei periodici (ACNP), Google Scholar, Intute, Base - Bielefeld Academic Search Engine, Scirus, BayerischeStaatsbibliothek – Digitale Bibliothek, ETANA (Electronic Tools and Ancient Near Eastern Achives). 1. SAGGI E RICERCHE

Salvatore Fodale Un’isola di scomunicati: Sicilia, 1339 219 Orazio Cancila Una famiglia di professionisti nella Sicilia del Cinque-Seicento 245 Germano Maifreda Reading Il Caffè: scientific method and economic knowledge in the “School of Milan” 275 Antonio Trampus Porti franchi e scuole di commercio: il «sistema» asburgico di Trieste e Venezia nella politica adriatica e mediterranea del XIX secolo 301 Andrea Azzarelli Cesare Ballanti. Una carriera di polizia tra la Sicilia degli anni Settanta dell’Ottocento e la Napoli del processo Cuocolo (1846-1910) 315

2. APPUNTI E NOTE

Enrico Iachello Storia e letteratura. Catania, il fascismo e la guerra nel racconto di Sebastiano Addamo 335

3. FONTI

Alberto Rescio Una amicabile practica tra l’Albania e la Puglia nel 1514 355

4. LETTURE

Aurelio Musi, Rita Chiacchella A proposito di feudalesimo negli stati del centro Italia in età moderna 371

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 216 Indice

5. RECENSIONI E SCHEDE

Simona Feci, Laura Schettini (a cura di) La violenza contro le donne nella storia. Contesti, linguaggi, politiche del diritto (secoli XV-XXI) (Nicoletta Bazzano) 383 Marco Albertoni La missione di Decio Francesco Vitelli nella storia della Nunziatura di Venezia. Dai primi incarichi alla guerra di Castro (1485-1643) (Giuseppe Mrozek Eliszezynski) 386 Stefano Menna Gonzalo Guerrero e la frontiera dell’identità (Giuseppe Mrozek Eliszezynski) 389 M.M. Rabà Potere e poteri. “Stati”, “privati” e comunità nel conflitto per l’egemonia in Italia settentrionale (1536-1558) (Stefano Calonaci) 393 Emanuele Fiume Giovanni Calvino (Rita Profeta) 398 Silvana Nitti Lutero (Rita Profeta) 398 Stefano Levati Storia del tabacco nell’Italia moderna (Paolo Calcagno) 402 R. Quirós Rosado Monarquía de Oriente. La corte de Carlos III y el gobierno de Italia durante la guerra de Sucesión española (Valentina Favarò) 407 Lionardo Vigo Protostasi sicula o genesi della civiltà (Daniele Palermo) 410

6. GLI AUTORI 413

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) n. 42 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aprile 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online)

Salvatore Fodale

UN'ISOLA DI SCOMUNICATI: SICILIA, 1339

DOI 10.1929/1828-230X/43112018

SOMMARIO: Nel 1339 i legati di Benedetto XII scomunicarono, con il re di Sicilia Pietro d'Aragona, un centinaio di siciliani, i cui nomi erano stati tralasciati negli Annales ecclesiastici. L'identifi- cazione dei personaggi consente di valutare l'ampiezza del provvedimento, di esaminarne i criteri, di supporne le fonti e di ricavarne il quadro complessivo dei sostenitori dell'indipendenza siciliana contro Roberto d'Angiò.

PAROLE CHIAVE: Medioevo, Sicilia, Scomunica, Benedetto XII.

AN ISLAND OF EXCOMMUNICATED MEN: SICILY, 1339

ABSTRACT: Papal legates, appointed by Benedict XII, excommunicated in 1339 the king of Sicily, Peter of Aragon, and one hundred of Sicilian men, whose names were omitted in the Annales ecclesiastici. Their identification allows to estimate the extension of the measure, to enquire the criterion of condamnation, to suppose the sources of information and to draw a picture of the sup- porters of Sicily's independence against Robert of Anjou.

KEYWORDS: Middle Ages, Sicily, Excommunication, Benedict XII.

Alle insistenze degli ambasciatori di Roberto d’Angiò, che chiede- vano l’aggravamento delle pene spirituali e temporali, alle quali era stato sottoposto Federico III dalle condanne pronunciate dalla Sede Apostolica, perché il re di Trinacria le sopportava con disprezzo della Chiesa, il neoeletto Benedetto XII il 20 marzo 1335 rispose che in quanto vicario di Cristo, il quale cerca «non mortem peccatorum, sed vitam», sperava che Federico d’Aragona tornasse all’obbedienza della Chiesa «corde contrito et humiliato spiritu». Aggiunse tuttavia che, in attesa dell’arrivo degli ambasciatori dalla Sicilia, stava facendo riesa- minare i vecchi processi contro il re, per essere pronto a deliberare con- tro di lui, se non fosse tornato alla devozione della Chiesa1. Un legato apostolico, l’arcivescovo di Embrun, Bertrand de Deux, si preparava ad andare a trattare con Federico, ma re Roberto era d’in- tralcio ad ogni iniziativa di pace, perché allestiva una armatam magnam da inviare nell’isola. Temendo che in tali turbatione, costituita

1 Benoît XII, Lettres closes et patentes intéressant les pays autres que la France, ed. J.M. Vidal, Paris 1913-1950, n. 123, col. 29.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 220 Salvatore Fodale dalla guerra, il re di Trinacria non sarebbe stato nelle condizioni adatte per dare ascolto alle parole del papa, prevedendo anzi che si sarebbe rifiutato di «audire monita pacienter», papa Benedetto paventava che il viaggio, durante le operazioni militari, fosse pericoloso per il legato. Il 23 luglio rimise comunque la decisione sull’opportunità della missione in Sicilia alla valutazione dello stesso Bertrand de Deux2, il quale nono- stante tutto la effettuò. Tornato a Napoli, per informarlo sui risultati del viaggio, trasmise al papa la documentazione dell’ambasceria, comprese le risposte e le lettere di Federico. Benedetto XII il 29 settembre ne trasse la conclu- sione, prima facie, che non ci fosse da sperare in un buon risultato, perché il re siciliano non gli pareva mosso da recto zelo. Giacché Fede- rico aveva manifestato l’intenzione di inviare in proximo ad Avignone una ambasceria solenne, il pontefice chiese, per poter meglio delibe- rare, di ricevere l’intero incartamento (che così tolse dalle mani del legato), inclusi «instrumenta et alia scripta» che l’arcivescovo, «propter viarum discrimina», non aveva spedito3. Dopo la morte di Federico III, avvenuta il 25 giugno 1337, Roberto d’Angiò informò Benedetto XII sui provvedimenti conseguenti che, come re di Sicilia, aveva disposto. Avendo risposto nel merito ai nunzi verbalmente, il pontefice per iscritto assicurò Roberto che non avrebbe consentito che gli fosse arrecato alcun pregiudizio e che lo avrebbe assistito per quanto possibile «cum Deo et honestate»4. Nell’interesse di Roberto d’Angiò, e a sua istanza, il 4 luglio 1338 Benedetto nominò due legati apostolici, i quali senza procedere all’ac- certamento dei fatti, perché ritenuti notorii, istruirono un processo che nella contumacia dei siciliani, e quindi senza contradittorio, si concluse solennemente a Roma, nella basilica di San Pietro, il 6 aprile 13395. Il successore di re Federico, suo figlio Pietro II, già associato al trono e incoronato con l’approvazione del Parlamento, fu condannato per la violazione del trattato di Caltabellotta, benché avesse inviato ad Avi- gnone degli ambasciatori. Essi dovevano dichiarare la sua disponibilità ad adempiere tutti gli obblighi verso la Chiesa, e in particolare a pre-

2 Ivi, n. 445, coll. 99 s. 3 Ivi, n. 591, coll. 148 s. 4 Archivio Segreto Vaticano, Reg. Vat. 132, f. 72r (n. 244); Benoît XII, Lettres closes et patentes intéressant les pays autres que la France cit., nn. 358, 1466, coll. 223, 426 s.; O. Raynaldi, Annales ecclesiastici, XVI, Coloniae Agrippinae 1691, p. 56. 5 S. Fodale, Benedetto XII e il nullum jus di Pietro II sulla Sicilia: le scomuniche e l’in- terdetto del 1339, in B. Pio (a cura di), Scritti di storia medievale offerti a Maria Consiglia De Matteis, Spoleto 2011, pp. 191-213.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Un'isola di scomunicati: Sicilia, 1339 221 stare giuramento e omaggio e a pagare il censo, presentando le scuse al papa e al collegio dei cardinali, perché il re a causa della guerra non si era presentato personalmente. Dovevano quindi chiedere il rinnovo dell’investituram perpetuam del Regno, ma ottenendo una transazione sugli arretrati del censo e l’annullamento delle sanzioni pontificie. Per sostenere le richieste in favore della successione al trono di Pietro II, il messinese Andrea de Ioffo e il palermitano Nicolino de Tancredo, rispettivamente il 10 aprile e il 5 maggio 1338, avevano avuto la pro- cura delle loro due città6. Per complicità nel crimine di occupazione abusiva della Sicilia, fu condannato a dure sanzioni con re Pietro un gruppo ristretto di mas- simi responsabili: l’infante Giovanni d’Aragona, il conte di Modica Gio- vanni II Chiaromonte il Giovane7, il cancelliere del Regno Damiano Palizzi, il conte di Nogara Matteo Palizzi8, Blasco d’Alagona9 e Raimondo Peralta10. Per l’infante Giovanni si specificò che era fratello del re, per Damiano Palizzi che pretendeva di esserne il cancelliere, per Giovanni Chiaromonte e Matteo Palizzi che s’intitolavano come conti. Blasco venne confuso come Blascum de Aragona, né a lui, né al Peralta era attribuito il titolo di conte. Mentre la Sicilia fu sottoposta all’interdetto, con il re e i sei principali suoi consiglieri al termine del processo furono nominativamente sco- municati, per disobbedienza al papa, un considerevole numero di sici- liani, giudicati colpevoli di continuare ad obbedire a Pietro d’Aragona, in quanto erano officiales del Regno o consiliarii del re, o comunque perché ritenuti suoi auxiliatores et valitores. Essi formarono un elenco di altri 112 nomi, che Odorico Rinaldi tralasciò di trascrivere negli Annales ecclesiastici, per la sua lunghezza11. Il vescovo di Agrigento precedeva tutti, ma il suo nome non era spe- cificato. Si trattava di un domenicano catalano, Filippo Ombau, il quale

6 M. Moscone, Un modello di documento semipubblico nella Sicilia tardomedievale: la designatio syndicorum di Palermo e Messina per l’ambasceria del 1338 a Benedetto XII, «Mediterranea-ricerche storiche», 5 (2005), pp. 495-520. 7 I. Walter, Chiaramonte, Giovanni, il Giovane, conte di Modica, in Dizionario Biografico degli Italiani, 24, Roma 1980, pp. 527-530; A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390), Associazione Mediterranea, Palermo 2006, pp. 135 s. 8 Cfr. F.P. Tocco, Palizzi, in Dizionario Biografico degli Italiani, 80, Roma 2014. 9 F. Giunta, Alagona, Blasco, il Giovane, in Dizionario Biografico degli Italiani, I, Roma 1960; A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., pp. 26-28. 10 M.A. Russo, Peralta, conti di Caltabellotta, in Dizionario Biografico degli Italiani, 82, Roma 2015. 11 O. Raynaldi, Annales ecclesiastici cit., pp. 98-102.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 222 Salvatore Fodale era stato eletto da Giovanni XXII nel 1328 e consacrato l’anno dopo12. Nel corso di una articolata procedura, i legati di Benedetto XII, dopo avere scomunicato a Terracina l’infante, il cancelliere e i quattro conti, e avere sottoposto la Sicilia all’interdetto, il 9 gennaio 1339 avevano ingiunto a tutti i prelati siciliani, e ad ogni preposto ecclesiastico, di dare diffusione a quei provvedimenti, ma un monito diretto e specifico era stato rivolto soltanto ai tre vescovi di Agrigento, Cefalù e Siracusa. La loro espressa indicazione probabilmente non corrispondeva, come altrimenti si potrebbe pensare, ad una scelta motivata dalla condotta di quei vescovi rispetto agli altri prelati, ma pare che il monito fosse rivolto solo a loro per la circostanza che fossero gli unici vescovi ancora effettivamente presenti nelle diocesi siciliane, ai quali la sede apostolica si potesse rivolgere per la loro legittimità. A Palermo infatti l’arcivescovo Teobaldo, eletto da Benedetto XII, era assente, essendo rimasto alla curia pontificia, della quale faceva parte. Assente doveva essere anche l’arcivescovo di Monreale, Emanuele Spinola, eletto dallo stesso papa. Le vacanze delle altre diocesi (Messina, risalente al 1333, Mazara, al 1335, Malta, Patti e Catania) saranno colmate solo sotto il pontificato di Clemente VI, quando i vescovi che erano stati eletti dai capitoli delle cattedrali saranno rimossi dal papa13. La scomunica, inflitta come vescovo soltanto all’Ombau, non sembra quindi dipendere da un suo comportamento particolarmente condanna- bile, che non risulta, ma dalla circostanza che fosse l’unico vescovo, tra quelli legittimamente consacrati, ad essere residente in Sicilia, e natu- ralmente dal fatto che fosse inadempiente, ma non più degli altri, rispetto alle disposizioni dei legati apostolici, che cioè risiedendo nel Regno fosse rimasto fedele al re. Il vescovo di Cefalù, il frate minore messinese Roberto Campolo, eletto nel 1333 da Giovanni XXII, si era infatti schierato deci- samente a sostegno del conte Francesco Ventimiglia, il quale si era ribel- lato a Pietro II14. Morirà durante il pontificato di Benedetto XII, ma se al momento delle scomuniche era ancora vivo, è da ritenere che nessuna inadempienza potesse essergli attribuita da parte pontificia. Diverso era il caso del vescovo di Siracusa. Morto nel 1336 il cata- lano Pietro Moncada, il capitolo aveva eletto Ogerio de Virzolio, ciantro

12 S. Fodale, L’introduzione dello ‘ius spolii’ pontificio nella Sicilia del Trecento, in A. De Vincentiis (a cura di), Roma e il papato nel Medioevo. Studi in onore di Massimo Miglio, Roma 2012, I, pp. 284-287; S. Fodale, La svolta siciliana nel pontificato di Clemente VI, in Miscellanea per mons. Sergio Pagano, Città del Vaticano, in corso di stampa nella «Col- lectanea Archivi Vaticani», pp. 635-648. 13 S. Fodale, La svolta siciliana nel pontificato di Clemente VI cit.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Un'isola di scomunicati: Sicilia, 1339 223 della Cappella Palatina di Palermo, un ecclesiastico che Federico III nel 1335 aveva inviato come ambasciatore ad Avignone, dopo l’elezione di Benedetto XII, insieme a Nicolò de Lauria. L’elezione del Virzolio sarà annullata da Clemente VI, il quale, dopo avergli riservato il decanato della Chiesa messinese, lo eleggerà vescovo di Malta15. È da ritenere che i legati apostolici non avessero aggiornato inizial- mente le informazioni di cui disponevano, e che esse provenissero dal riesame dei vecchi processi contro Federico. Rivolgendo nel gennaio 1339 il monito al vescovo di Siracusa, lo avrebbero quindi fatto con riguardo al Moncada, benché fosse defunto da tempo. Non pronuncia- rono però la scomunica contro il vescovo di Siracusa, perché Pietro Mon- cada risultava morto e il Virzolio non era un vescovo legittimo. Avevano già commesso lo stesso tipo di errore nei riguardi dell’infante Guglielmo d’Aragona: il 3 ottobre 1338 a Reggio lo avevano dichiarato decaduto con i suoi fratelli da ogni diritto sulla Sicilia, benché fosse già morto. Ne pre- sero atto il 4 dicembre, e non pronunciarono la scomunica16. Tra gli officiales fu scomunicato prima di tutti il gran senescalco, nonché viceammiraglio, il conte Manfredi II Chiaromonte17. Figlio di Lucca Palizzi e di Giovanni I Chiaromonte il Vecchio18, e cugino del conte di Modica, era destinato ad essere il successore di entrambi. Dopo avere sostituito il padre, il quale sfuggì alla scomu- nica perché defunto, come suo luogotenente nell’ufficio di capitano e giustiziere di Palermo, ed essere stato maggiordomo reale19, gli era subentrato anche come siniscalco20. Lo troviamo col titolo comi- tale, perché nel 1335 era stato già creato conte di Chiaromonte21,

14 Michele da Piazza, Cronaca, a cura di A. Giuffrida, Palermo 1980, pp. 56 s.; S. Fodale, La svolta siciliana nel pontificato di Clemente VI cit. 15 S. Fodale, La svolta siciliana nel pontificato di Clemente VI cit. 16 Ivi. 17 S. Fodale, Chiaramonte, Manfredi, conte di Modica, in Dizionario Biografico degli Italiani, 24, Roma 1980, pp. 533-535; A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1290) cit., pp.136 s. 18 I. Walter, Chiaramonte, Giovanni, il Vecchio, in Dizionario Biografico degli Italiani, 24, Roma 1980, pp. 525-527; A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., pp. 145 s. 19 A. Marrone, I titolari degli uffici centrali del Regno di Sicilia dal 1282 al 1390, «Medi- rerranea-ricerche storiche», 4 (2005), p. 311. 20 Ivi, pp. 305 s. 21 Nell’aprile 1338 così si sottoscriveva, come testimone nella procura della città di Palermo per gli ambasciatori inviati a Benedetto XII: Nos Manfridus de Claromonte Dei et regis gratia comes Claromontis et regni Sicilie senescalcus (M. Moscone, Un modello di documento semipubblico nella Sicilia tardomedievale: la designatio syndicorum di Palermo e Messina per l’ambasceria del 1338 a Benedetto XII cit., p. 514).

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 224 Salvatore Fodale benché solo dopo la morte di Giovanni II diverrà conte di Modica. La famiglia, oltre che col conte di Modica, è presente nell’elenco, in posizione più arretrata, anche con un terzo scomunicato, Enrico, fratello di Manfredi II. Non è indicato tra gli officiales scomunicati l’ammiraglio, perché era lo stesso conte di Modica Giovanni II. Sono però elencati più avanti, oltre a Manfredi II, altri due viceammiragli: Andrea de Ioffo di Messina22 e Andrea Tagliavia di Palermo23. Entrambi parteciperanno alla battaglia di Lipari del 18 novembre 1339 e saranno catturati dagli angioini. Lo Ioffo morì poco dopo a Napoli, dove fu sepolto. Il miles Andrea de Ioffo aveva partecipato con Nicolò de Lauria nel 1338 all’ambasceria per chiedere l’investitura a Benedetto XII. Il Tagliavia aveva sottoscritto a quello stesso scopo la procura della città di Palermo. Matteo Sclafani24, al decimo posto iniziando dal re, apre il gruppo dei tre maestri razionali, immediatamente seguito da Luigi Incisa25 e

22 S. Fodale, Benedetto XII e il nullum jus di Pietro II sulla Sicilia: le scomuniche e l’in- terdetto del 1339 cit., pp. 191, 200. 23 Chronicon Siculum, in R. Gregorio, Bibliotheca scriptorum qui res in Sicilia gestas sub Aragonum imperio retulere, Panormi 1791, I, p. 254; G. e H. Bresc, Lavoro agricolo e lavoro artigianale nella Sicilia medievale, in H. Bresc, Una stagione in Sicilia, Associazione Mediterranea, Palermo, 2010, II, p. 491; M. Moscone, Un modello di documento semipub- blico nella Sicilia tardomedievale: la designatio syndicorum di Palermo e Messina per l’am- basceria del 1338 a Benedetto XII cit., p. 515. 24 A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., pp. 389-391; Id., I tito- lari degli uffici centrali del Regno di Sicilia dal 1282 al 1390 cit., p. 344; M. Moscone, Un modello di documento semipubblico nella Sicilia tardomedievale: la designatio syndicorum di Palermo e Messina per l’ambasceria del 1338 a Benedetto XII cit., pp. 507, 514; M.A. Russo, I testamenti di Matteo Sclafani, «Mediterranea-ricerche storiche», n. 5, dicembre 2005. 25 Miles, di Sciacca, dove nel 1330 fu procuratore di Leonardo Incisa nella causa contro i figli del defunto Federico Incisa. Signore di San Bartolomeo. Nel 1334 fu uno dei testimoni del testamento di Federico III. Parteciperà nel 1342 alla sommossa anti- catalana di Messina. Nel 1349, quale procuratore di re Ludovico nelle trattative per il matrimonio di Eleonora d’Aragona, imporrà all’infanta un giuramento che le consentirà di lasciare il palazzo reale di Messina e di salpare con gli ambasciatori aragonesi per sposare il re d’Aragona Pietro il Cerimonioso, con la promessa che non si sarebbe ado- perata in soccorso dei catalani contro il Regno di Sicilia. Nel 1351 come maestro razio- nale gli sarà chiesto dalla regina Eleonora di favorire l’assegnazione di una dote conveniente per il matrimonio dell’infanta Eufemia con il re di Navarra. Nel 1353 la regina gli invierà il suo secretarius per trattare una soluzione alle questioni rilevanti del Regno di Sicilia. Morì il 1° novembre 1353. I. Peri, La Sicilia dopo il Vespro. Uomini, città e campagne, 1282-1376, Laterza, Roma-Bari, 1982, p. 152; E. Pispisa, Messina nel Trecento. Politica economia società, Intilla, Messina, 1980, pp. 175 s; H. Bresc, Le gouvernement de l’étranger: aristocrates et marchands ‘experts’ à la cour de Sicile (1296- 1355), in Id., Una stagione in Sicilia, a cura di M. Pacifico, Associazione Mediterranea, Palermo 2010, p. 197; L. Sciascia, Le donne e i cavalier, gli affanni e gli agi. Famiglia e potere in Sicilia tra XII e XIV secolo, Messina 1993, pp. 217, 222, 226; A. Marrone, I

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Un'isola di scomunicati: Sicilia, 1339 225 dal conte Enrico Rosso26. Ad essi si collega, riguardo all’ufficio, il mae- stro notaio Nicola de Pisano27, seguito da quello della Cancelleria, Gia- como de Turri28. Al Rosso è poi da accostare, più oltre nell’elenco, Riccardo (Riccardello) Rosso, che non è il noto iuris civilis professor 29 (non è qualificato infatti come dominus), ma un miles, fratello del conte Enrico30. Diversamente dall’ammiraglio, conte Giovanni Chiaromonte, il can- celliere Damiano Palizzi31 era stato indicato col titolo del suo ufficio, pur trattandosi anche nel suo caso di un personaggio di primo piano nel Regno, e quindi tra i primi ad essere scomunicato, per l’insieme significativo della sua attività, ma soprattutto per la natura dell’ufficio, alla quale si aggiungeva l’aggravante dello status ecclesiastico. Come l’ammiraglio, neppure il gran camerario32 è espressamente indicato col titolo dell’ufficio, perché anche in questo caso si tratta di un personag- gio, Raimondo Peralta, comunque scomunicato per un complesso pro- filo di attività. Forse per difetto d’informazione, il titolo comitale non è attribuito a Matteo Sclafani, che re Pietro aveva creato conte di Adernò, come a Raimondo Peralta, il quale contemporaneamente a lui era stato nomi- nato conte di Caltabellotta, e a Blasco d’Alagona, creato conte di Mistretta. Né il Peralta e l’Alagona vengono indicati quali pretesi conti, come Giovanni Chiaromonte e Matteo Palizzi, i quali come loro erano stati condannati alla perdita dei feudi, per la gravità della loro condotta.

titolari degli uffici centrali del Regno di Sicilia dal 1282 al 1390 cit., p. 345; S. Fodale, Un matrimonio al tempo della peste nera e della ‘pestifera sediciuni’: Pietro il Cerimo- nioso, re d’Aragona, ed Eleonora di Sicilia (27 agosto 1349), in A. Giuffrida, F. D’Avenia, D. Palermo (a cura di), Studi storici dedicati a Orazio Cancila, Associazione Mediterra- nea, Palermo 2011, p. 44; Id., Su l’audaci galee de’ Catalani (1327-1382). Corona d’Ara- gona e Regno di Sicilia dalla morte di Giacomo II alla deportazione di Maria, Roma 2017, pp. 79, 92. 26 A. Marrone, I titolari degli uffici centrali del Regno di Sicilia dal 1282 al 1390 cit., pp. 308 s. 27 Il notaio parteciperà alla rivolta di Messina del 1342, dopo la cui sconfitta sarà arrestato. E. Pispisa, Messina nel Trecento. Politica economia società cit. pp. 175, 179. 28 H. Penet, Le Chartrier de S. Maria di Messina, I, Messina 1998, doc. 130, pp. 75, 451 (Jacobus de Turri de Messana. 1341). 29 L. Sciascia (a cura di), Pergamene siciliane dell’Archivio della Corona d’Aragona (1188-1347), Società Siciliana per la Storia Patria, Palermo 1994, pp. 176 s., 230-233; Ead., Le donne e i cavalier, gli affanni e gli agi: famiglia e potere in Sicilia tra 12. e 14. secolo, Sicania, Messina, 1993, pp. 169, 174, 181, 192. 30 Cfr. Michele da Piazza, Cronaca cit., pp. 167, 312 s.; L. Sciascia, Le donne e i cava- lier, gli affanni e gli agi. Famiglia e potere in Sicilia tra XII e XIV secolo cit., p. 204. 31 A. Marrone, I titolari degli uffici centrali del Regno di Sicilia dal 1282 al 1390 cit., p. 314. 32 Ivi, pp. 308 s.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 226 Salvatore Fodale

Sono invece indicati nell’elenco e riconosciuti come conti Manfredi Chiaromonte, Enrico Rosso, Guglielmo Raimondo Moncada e Ruggero de Passaneto. Indicati anche questa volta come “Aragona”, solo a metà elenco, tro- viamo molto probabilmente altri due Alagona. Sono Giovannuccio, un figlio di Blasco33, e Artale, che potrebbe essere un fratello del conte34. Se non si può comunque escludere che Giovanni fosse un discendente, forse illegittimo e finora sconosciuto, della famiglia reale35, la stessa ipotesi sembra davvero improbabile per Artale. Non meraviglia troppo che, come Blasco, anche un figlio e un fratello, personaggi la cui esi- stenza non è ipotetica, ma documentata, siano indicati come degli Ara- gona, un errore e una confusione tra Alagona ed Aragona ricorrente nelle fonti del sec. XIV, che non siano siculo-catalane. Il magister marescallie Francesco Valguarnera è preceduto dal vice- marescalco36, Raimondo de Villaragut37, il quale si trova in tredice- sima posizione, ma cosa più singolare non è indicato col proprio nome, ma con l’appellativo evidentemente ingiurioso di Maloguarne- rio, che sembra corrispondere alla sua fama negativa e corroborarla38.

33 Il conte Blasco d’Alagona ricorda il figlio Giovanni nel codicillo testamentario (1355). A. Giuffrida, Il cartulario della famiglia Alagona di Sicilia, Ila Palma, Palermo 1978, doc. 28, pp. 47-49. 34 Miles, nobilis, dominus. Cittadino di Messina. Forse fratello del conte Blasco. Acqui- stò il casale pheudale di Racalmeni (1337). Morì prima del febbraio 1343. A. Giuffrida, Il cartulario della famiglia Alagona di Sicilia cit., doc. 3, pp. 26 s.; A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., p. 522. 35. H. Bresc, Una stagione in Sicilia: Nompar de Caumont a Isnello (1420), in Id., Una stagione in Sicilia cit., II, p. 270, ricorda che gli Aragona di Avola discendevano da Orlando, figlio illegittimo di Federico III e che nel 1420 era signore di quella terra Pietro d’Aragona, figlio legittimato di Giovanni d’Aragona. 36 Id., Le gouvernement de l’étranger: aristocrates et marchands ‘experts’ à la cour de Sicile (1296-1355) cit., p. 193, ha notato come «la réalité de l’exercice de l’autorité sur les troupes à cheval» fosse passata «au vice-maréchal, le Catalan Raymon de Vilaragut en 1337». 37 Regio familiare. Stratigoto di Messina (1331-1332). Regio giustiziere di Palermo (1334). Abitante di Licata, vicemaresciallo, parteciperà nel 1342 col duca Giovanni alla repressione della rivolta di Messina. Nel 1345, domiciliato ad Eraclea, sarà tenuto a con- tribuire all’adoa per 5 cavalli armati. I. Peri, La Sicilia dopo il Vespro. Uomini, città e cam- pagne, 1282-1376 cit., p. 152; A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., p. 455. 38 Dominus, cittadino di Palermo. Signore di Vicari (1338). Si sarebbe falsamente attribuito il merito dell’uccisione del ribelle conte di Geraci Francesco Ventimiglia. Fu accusato dinanzi alla Magna Curia per l’uccisione a tradimento a Messina di Andreotto de Ioffo. Fu castellano a Palermo del palazzo reale e si rifiuterà di conse- gnare un prigioniero maiorchino per trasferirlo nel castellammare (1341-42). Nel 1342 combatterà col duca Giovanni a Messina contro i Palizzi. Nell’adoa del 1345

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Un'isola di scomunicati: Sicilia, 1339 227

Prima di lui il vexillarius39, il conte di Augusta Guglielmo Raimondo Moncada40. In quattordicesima posizione troviamo il tesoriere, il dominus Bernardo de Montroig (Morrogio o Monterubeo)41, in diciot- tesima il viceprotonotaro dominus Giovanni Grammatico42, e si nota l’assenza tra gli scomunicati del protonotaro43, ma non è casuale,

risulterà domiciliato a Palermo e sarà tassato per 10 cavalli armati (pari ad un red- dito di 200 once). Sarà colpito nel 1346 con un’ammenda di 100 once per aver pre- teso il pagamento dello ius dohane dal feudo Margana, appartenente ai cavalieri dell’ordine teutonico della Magione di Palermo. Nel 1348 combatterà a Messina a fianco di Blasco d’Alagona. Con l’uccisione del nunzio Ruggero de Noto avrebbe pro- vocato il fallimento delle trattative segrete di pace condotte dalla regina Elisabetta. Nel giugno 1349 parteciperà alla difesa di Catania e sarà costretto alla ritirata. Dopo la fuga dell’infanta Eleonora e il matrimonio con il re d’Aragona, fu in contatto con la regina per le sue trame segrete in Sicilia. Entrato nell’orbita di Matteo Sclafani, nel dicembre 1350 bandirà da Vicari i palermitani, giustificando il provvedimento come una ritorsione, ma la città di Palermo gliene chiese conto come suo cittadino. Per lui garantì il conte Sclafani, ma nel gennaio 1351 continuava ad ospitare a Cala- trasi predoni, i quali danneggiavano specialmente Lorenzo Murra, e ad essere in con- tatto con Cristia. Nel 1351 parteciperà con Artale d’Alagona contro i Chiaromonte alla conquista di Licata. Morirà prima del settembre 1354, lasciando in Catalogna il castello di Anglès. L. Sciascia (a cura di), Acta Curie, 7 (Registri di lettere 1340-48), Palermo 2007, docc. 121, 160, 215, pp. 175 s., 232 s., 303 s.; C. Bilello, F. Bonanno, A. Massa (a cura di), Acta Curie, 9 (Registro di lettere 1350-1351), Palermo, 1999, docc. 10, 19, 24, 41, pp. 16, 24 s., 31 s., 51 s.; E. Lo Cascio (a cura di), Il Tabulario della Magione di Palermo (1116-1643). Repertorio, Roma 2011, docc. 640, 645, pp. 339, 342; A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., p. 435; S. Fodale, Un ignobile cavaliere catalano nella Sicilia di metà trecento: Francesco Val- guarnera, in V. Rivera Magos, F. Violante (a cura di), Apprendere ciò che vive. Studi offerti a Raffaele Licinio, Bari 2017, pp. 229-234. 39 H. Bresc, Le gouvernement de l’étranger: aristocrates et marchands ‘experts’ à la cour de Sicile (1296-1355) cit., p. 193, ha osservato che «la fonction de porte-étendard, vexillarius, paraît [...] purement honorifique [...] elle est en 1344 au comte d’Augusta Guglielmo Raimondo Moncada [...] de prestigieuse origine catalane et de maison princière (c’est celle des comtes de Foix et des seigneurs de Béarn)». 40 Nel 1337 fu investito da Pietro II come conte di Augusta. Nel 1348 salirà sulle galee al soldo di Blasco d’Alagona, comandate da Raimondo Peralta. Morirà in cattività a Mes- sina, forse avvelenato. I. Peri, La Sicilia dopo il Vespro. Uomini, città e campagne, 1282- 1376 cit., pp. 187, 193; L. Sciascia, Le donne e i cavalier, gli affanni e gli agi. Famiglia e potere in Sicilia tra XII e XIV secolo cit., pp. 100 s.; A. Marrone, I titolari degli uffici centrali del Regno di Sicilia dal 1282 al 1390 cit., p. 329. 41 Miles, dominus. Tesoriere del Regno. Nel 1333 ebbe l’investitura del feudo di Manchina, che gli fu confermato nel 1337, con un reddito di 40 once. Ricoprì per breve periodo la carica di cancelliere del Regno in sostituzione di Raimondo Peralta, recatosi in Catalogna per la guerra di Rossiglione e Cerdaña. Possedette il feudo Misilcassimo (1342). Domiciliato a Taormina, nel 1345 contribuirà all’adoa per 11 cavalli armati (220 once di reddito). Risulta già morto all’atto del testamento di Bla- sco d’Alagona (7/1/1347). A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282- 1390) cit., p. 295 s. 42 Tra il 1330 e il 1335 fu notaio a Piazza. C. Ardizzone, I Diplomi esistenti nella Biblio- teca comunale ai Benedettini, Catania, 1927, docc. 204, 216, 239-240, pp. 118, 122, 133. 43 A. Marrone, I titolari degli uffici centrali del Regno di Sicilia dal 1282 al 1390 cit., p. 317.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 228 Salvatore Fodale perché si trattava del conte d’Asaro, Scalore degli Uberti, di nobile famiglia ghibellina e figlio di Giacoma Palizzi. Roberto d’Angiò, garantendone la «vera conversione et contricione», lo raccomanderà a Clemente VI, perché come combattente al suo fianco, e ribelle a re Pietro, ottenesse una pubblica assoluzione del suo passato ghibel- lino44. Schierato Scalore con gli angioini, le funzioni di protonotaro erano state assunte, con titolo di logotheta, dallo zio, il cancelliere Damiano Palizzi45. Tra la posizione ventunesima e la ventiquattresima dell’elenco degli scomunicati troviamo i quattro giudici della Magna Curia. Due sono messinesi: Genoisio Porco46 e Gregorio de Gregorio47, gli altri due paler- mitani: Roberto de Laurenzio48 (più avanti sarà scomunicato anche suo figlio Sion o Simone) e Omodeo de Carastono (Castrono, Crastono)49, i

44 S. Fodale, La svolta siciliana nel pontificato di Clemente VI cit. 45 A. Marrone, I titolari degli uffici centrali del Regno di Sicilia dal 1282 al 1390 cit., p. 318. 46 Legum doctor. Familiaris e consigliere di Federico III. Fu giudice della Corte dello strategoto di Messina negli anni 1304, 1307, 1310, 1311, 1312, 1316, maestro razionale del Regno e luogotenente del maestro giustiziere. A. Romano, ‘Legum doctores’ e cultura giuridica nella Sicilia Aragonese. Tendenze, opere, ruoli, Milano 1984, pp. 26, 97, 110, 276; H. Bresc, Le gouvernement de l’étranger: aristocrates et marchands ‘experts’ à la cour de Sicile (1296-1355) cit., p. 196; A. Marrone, I titolari degli uffici centrali del Regno di Sicilia dal 1282 al 1390 cit., pp. 320, 324. 47 Giudice della Corte dello strategoto di Messina nel 1316, 1319 e 1324. Nel 1345 sarà ancora giudice della Magna Curia. Comprò per 70 once una vigna a Larderia. E. Pispisa, Messina nel Trecento. Politica economia società cit, p. 103; A. Marrone, I titolari degli uffici centrali del Regno di Sicilia dal 1282 al 1390 cit., p. 324. 48 Giudice giurista di Palermo (1316). Giudice della Magna Curia (1328-29). Nel 1333 fu testimone nel testamento di Matteo Sclafani: iudex Robertus de Laurentio de Panormo magne regie curie iudex. A. Romano, ‘Legum doctores’ e cultura giuridica nella Sicilia Ara- gonese. Tendenze, opere, ruoli cit., pp. 101, 278; P. Corrao (a cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 5 (Registri di lettere ed atti 1328-1333), Palermo, 1986, docc. 16, 30, 51, 80, 81, 138, pp. 36 s., 64, 94, 147 s., 241; A. Marrone, I titolari degli uffici centrali del Regno di Sicilia dal 1282 al 1390 cit., p. 324; M.A. Russo, I testamenti di Matteo Sclafani cit., pp. 533 s.; n. 6 (aprile 2006), p. 63; M. Moscone, Un modello di documento semipub- blico nella Sicilia tardomedievale: la designatio syndicorum di Palermo e Messina per l’am- basceria del 1338 a Benedetto XII cit., p. 516. 49 Cittadino palermitano. Figlio di Giacomo. Studente di diritto civile a Bologna nel 1326. Giudice a Palermo nel 1328, ha una questione con un giudice bolognese per una fideiussione. Giudice della Corte Pretoriana, nel 1332 è ingiuriato da un notaio, per un provvedimento di esecuzione da lui emesso. Nel 1335 era giudice della Magna Curia. Nel 1342, advocatus della Magna Curia, sarà inviato dalla città di Palermo con Abbo Barresi, Giovanni Calvelli, Orlando de Milia a trattare col duca Giovanni l’incoronazione di re Ludovico. H. Bresc, Livre et société en Sicile (1299-1499), Palermo 1971, doc. 6, pp.113 s.; A. Romano, ‘Legum doctores’ e cultura giuridica nella Sicilia Aragonese. Tendenze, opere, ruoli cit., pp. 64, 71, 101, 114, 277; M.R. Lo Forte Scirpo (a cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 4 (Registro di lettere 1327-1328), Palermo 1985, doc 58, pp. 95 s.; P. Corrao (a cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 5 (Registri di lettere ed atti 1328- 1333) cit., doc. 115, p. 206; L. Sciascia (a cura di), Acta Curie, 6 (Registri di lettere 1321-

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Un'isola di scomunicati: Sicilia, 1339 229 quali nel 1338 avevano sottoscritto a Palermo, il secondo come Magne Curie advocatus, la procura per gli ambasciatori che dovevano chiedere al papa di riconoscere la successione al trono di Pietro II. Chi non è nominato è il gran giustiziere, ma si tratta di Blasco d’Ala- gona50, e vale per lui lo stesso criterio adottato per l’ammiraglio e per il gran camerario. Troviamo invece ancora un altro giudice della Magna Curia, Filippo de Rimina, nella parte finale dell’elenco, quasi una inte- grazione, al 114° posto. Prima del suo, nelle ultime posizioni, i nomi di due giudici palermitani: Nicolino de Panormo o de Tancredo51 e Filippo de Lentini, il quale aveva sottoscritto la procura palermitana del 133852, e quelli di due notai: il legum doctor palermitano Roberto de Cripta (de Gruptis), il quale era stato uno dei testimoni nella suddetta procura 53, e il messinese Ranieri de Nigrino54.

22 e 1335-36), Palermo 1987, doc 46, p. 47; L. Sciascia (a cura di), Acta Curie, 7 (Registri di lettere 1340-48) cit., docc. 230, 231, 257, 258, pp. 327 s., 378, 380; B. Pasciuta, I notai a Palermo nel 14. secolo: uno studio prosopografico, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1995, nn. 57, 447, pp. 117, 337; A. Marrone, I titolari degli uffici centrali del Regno di Sicilia dal 1282 al 1390 cit., p. 324; M. Moscone, Un modello di documento semipubblico nella Sicilia tardomedievale: la designatio syndicorum di Palermo e Messina per l’amba- sceria del 1338 a Benedetto XII cit., p. 516. 50 A. Marrone, I titolari degli uffici centrali del Regno di Sicilia dal 1282 al 1390 cit., p. 320. 51 Iurisperitus, nel 1332 fu giudice giurista di Palermo. Nel 1338 fu inviato come ambasciatore ad Avignone. Riceverà un legato di tre once da Matteo Sclafani (1354). P. Burgarella, Le pergamene del monastero della Martorana, «Archivio Storico Siciliano», 4 (1978), doc. 70, p. 91; A. Romano, ‘Legum doctores’ e cultura giuridica nella Sicilia Ara- gonese. Tendenze, opere, ruoli cit., pp. 100, 277; M.A. Russo, I testamenti di Matteo Scla- fani cit., n. 5, p. 558; M. Moscone, Un modello di documento semipubblico nella Sicilia tardomedievale: la designatio syndicorum di Palermo e Messina per l’ambasceria del 1338 a Benedetto XII cit., pp. 513, 518. 52 Giudice in officio capitanie urbis Panormi. Giudice e assessor del giustiziere di Palermo (1334). L. Sciascia (a cura di), Acta Curie, 6 (Registri di lettere 1321-22 e 1335- 36), cit., doc. 142, pp. 244, 247, 249; B. Pasciuta, I notai a Palermo nel 14. secolo: uno studio prosopografico cit., n. 249, pp. 243 s.; M. Moscone, Un modello di documento semi- pubblico nella Sicilia tardomedievale: la designatio syndicorum di Palermo e Messina per l’ambasceria del 1338 a Benedetto XII cit., p. 516. 53 Legum doctor. Notaio a Palermo (1328). Giudice a Messina. É in relazione di paren- tela con il notaio Francesco de Cripta e con syri Nicola de Cripta. Nel 1345 sarà testimone per il testamento di Matteo Sclafani. M.R. Lo Forte Scirpo (a cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 4 (Registro di lettere 1327-1328) cit., docc. 50, 84, pp. 80, 136; A. Romano, ‘Legum doctores’ e cultura giuridica nella Sicilia Aragonese. Tendenze, opere, ruoli cit., pp. 36, 97, 278; B. Pasciuta, I notai a Palermo nel 14. secolo: uno studio prosopografico cit., n. 142, p. 186; M.A. Russo, I testamenti di Matteo Sclafani cit., 5, p. 543; 6, p. 63; M. Moscone, Un modello di documento semipubblico nella Sicilia tardomedievale: la designatio syndicorum di Palermo e Messina per l’ambasceria del 1338 a Benedetto XII cit., p. 514; E. Lo Cascio (a cura di), Il Tabulario della Magione di Palermo cit., doc 33, p. 38. 54 Parteciperà alla rivolta di Messina del 1342, dopo la cui sconfitta riparerà in Cala- bria. E. Pispisa, Messina nel Trecento. Politica economia società cit, pp. 175 s., 179.

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Accompagna i giudici della Magna Curia, in 25a posizione il maestro notaio agli atti della Gran Corte, Vincio de Vito55, ma li precede il pre- tore di Palermo Alberto de Milite56, il quale è a sua volta sopravanzato dallo strategoto di Messina Juan de Loharra (o Lohar, o Livarra)57. Più avanti, trentesimo, il protontino di Messina, Damiano Salimpipi58. Più oltre, troviamo un altro Salimpipi, Bartolomeo.

55 H. Penet, Le Chartrier de S. Maria di Messina cit., doc. 108, p. 388: Vinchius de Vito de Messana regie curie actorum notarius (1323). 56 Detto de Jaconia. Dominus. Possedette il feudo Michikeni. Pretore di Palermo (1331-32). Nel 1338 come pretore aveva firmato in qualità di testimone l’atto di procura per la richiesta della città al papa di riconoscere la successione al trono di Pietro II. Teneva una delle chiavi dell’archivio di Palermo (1340). Nel 1342 sarà tra i garanti di un consistente debito della vedova di Pietro Lancia, donna Costanza. I. Peri, La Sicilia dopo il Vespro. Uomini, città e campagne, 1282-1376 cit., p. 165; B. Pasciuta, I notai a Palermo nel 14. secolo: uno studio prosopografico cit., n. 107, p. 155; M. Moscone, Un modello di documento semipubblico nella Sicilia tardomedievale: la designatio syndicorum di Palermo e Messina per l’ambasceria del 1338 a Benedetto XII cit., p. 514; A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., p. 268. 57 Nobilis, regius consiliarius et familiaris (1329). Nel 1345 venderà una vigna. E. Pispisa, Messina nel Trecento. Politica economia società cit, p. 103; P. Corrao (a cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 5 (Registri di lettere ed atti 1328-1333) cit., doc. 77, p. 142; H. Bresc, Le gouvernement de l’étranger: aristocrates et marchands ‘experts’ à la cour de Sicile (1296-1355) cit., p. 194. 58 Miles. Viceammiraglio. Nel 1348 sarà inviato ad Avignone per chiedere a Clemente VI la ratifica del trattato di pace concluso nel 1347 con Giovanna d’Angiò. La corte napoletana gli accordò il salvacondotto e un finanziamento di 50 once. Il 5 luglio ebbe dal papa, per la sua partecipazione all’ambasceria, l’indulgenza plenaria in mortis articulo per sé e per la moglie Pellegrina, che fu accompagnata dalla collazione di un canonicato nella Chiesa agri- gentina al messinese Antonio Salimpipi, canonico della cattedrale di Mazara. Nel 1349 la regina Eleonora d’Aragona lo informò dell’invio in Sicilia di un agente segreto, chiedendogli di dirigerlo in agendis e di favorire il pagamento della propria dote di matrimonio con Pietro IV d’Aragona. Nel 1351 Clemente VI sollecitò la corte siciliana a dare risposta agli articuli contenenti le osservazioni pontificie sul trattato di pace, chiedendo il ritorno ad Avignone dell’ambasciatore, il cui nome era trasformato dalla cancelleria pontificia in Octavianum Salimpepere. Nel 1353 la regina Eleonora lo informò dell’invio in Sicilia del suo secretarius, il notaio Giacomo de Alafranco di Messina. Nel 1354 la regina d’Aragona gli chiese di pro- curare che da Messina fossero inviati due o tremila remi. All’arrivo dei reali aragonesi con la flotta in Sardegna, fu inviato da re Ludovico ad incontrare all’assedio di Alghero Pietro IV, il quale lo nominò suo consigliere. Nominato da Enrico Rosso governatore di Messina, represse duramente una congiura a favore dei Palizzi (1354). Di ritorno da un’ambasceria alla corte napoletana, nel 1355 intercettò una nave con un carico di mille salme di grano. Nel 1356 riuscì a far esiliare da Messina altri congiurati, ma fu costretto alla fuga dalla rivolta di Nicolò Cesareo. Nel 1362 Eleonora gli annunciò l’arrivo di un’ambasceria per pre- tendere, con argomenti anche minacciosi, la consegna dell’atto di donazione dell’isola, nel caso di morte senza figli di Federico IV. E. Pispisa, Messina nel Trecento. Politica economia società cit, pp. 218-220, 223, 226; H. Bresc, Le gouvernement de l’étranger: aristocrates et marchands ‘experts’ à la cour de Sicile (1296-1355) cit., p. 198; A. Marrone, I titolari degli uffici centrali del Regno di Sicilia dal 1282 al 1390 cit., p. 345; S. Fodale, Su l’audaci galee de’ Catalani (1327-1382). Corona d’Aragona e Regno di Sicilia dalla morte di Giacomo II alla deportazione di Maria cit., pp. 93, 97, 101, 143, 171.

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Segue, al 28° posto, il maggiordomo o senescalco del palazzo reale, Mar- tino de Santo Stefano59, accompagnato dal viceammiraglio Andrea de Ioffo, dal protontino Damiano Salimpipi e da altri quattro consiglieri reali: Fede- rico d’Aragona, Bonifacio60 figlio di Alfonso d’Aragona, Pietro de Medico61 e Berardo de Ferro di Marsala62. Nelle ultime posizioni, subito dopo fra’ Pie- tro, dell’ordine dei frati minori, confessore, forse della regina Elisabetta, il siniscalco maggiore della regina, Federico, e il suo cancelliere Bartolomeo (o Bartolo) de Cultellis63 e, a chiudere l’elenco degli scomunicati, il confes- sore del re, fra’ Guglielmo de Aitona, dell’ordine dei predicatori. Gli altri personaggi elencati è da ritenere che siano scomunicati in quanto genericamente considerati auxiliatores et valitores del re deposto, suoi importanti sostenitori nel mantenere l’illegittimo possesso del Regno. Sono cavalieri e signori feudali, a volte ben noti, altre volte solo parzial- mente noti, ma alcuni finora ignoti. L’assistenza da loro prestata al re era consistita essenzialmente nel loro servitium e si era probabilmente aggravata con i giuramenti a lui fatti. Alcuni di questi domini e milites in precedenza erano anche stati officiales, o lo saranno in seguito. Va notato che in qualche caso i nomi anche di questi scomunicati sono accostati o raggruppati tra loro e che tra di loro vi sono dei facoltosi mercatores, par- tecipanti alla difesa militare del Regno non con uomini d’arme e azioni belliche, ma col finanziamento della guerra contro gli angioini.

59 H. Bresc, Le gouvernement de l’étranger: aristocrates et marchands ‘experts’ à la cour de Sicile (1296-1355) cit., p. 191, nota che «les titres de majordome, de portier majeur, ou même celui de «scribe des quittances de nos gens» sont à l’évidence le tremplin de car- rières: Martin de Sancto Stephano, stratigot et majordome en 1338-1339, épouse une Allemande de la suite de la reine Élisabeth de Carinthie et parente de cette dernière; il est également le “mentor” du roi, au témoignage de Michele da Piazza, en 1342». 60 Consanguineo del re. Castellano di Patti e Tindari. Nel 1356 reprimerà la sommossa popolare di Patti. Parteciperà nel 1357 alla battaglia di Aci, castello che poi perse. I. Peri, La Sicilia dopo il Vespro. Uomini, città e campagne, 1282-1376 cit., pp. 200, 202, 204. 61 Un Pietro de Medico, figlio ed erede di Pietro Catalano, medico agli stipendi di quell’universitas, e anch’egli medico, sarà nel 1356 notaio degli atti della Curia civile di Sciacca, della quale insieme col padre avrà in locazione le gabelle, il cui prezzo sarà trat- tenuto dallo stipendio (1358). I. Scaturro, Storia della città di Sciacca, Gennaro Majo edi- tore, Napoli 1924-1926 (rist. Edrisi, Palermo, 1983), I, pp. 462, 464. 62 Miles di Marsala, dove abitava. Nel 1338 incaricò il palermitano Filippo de Nicolao di miniare in oro e a colori omnia capita et ystorias di quattro suoi libri, tra i quali era la Conquesta Sicilie. Sarà attestato ancora nel gennaio 1340. H. Bresc, Livre et société en Sicile (1299-1499) cit., doc. 10, p. 118; A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., p. 165. 63 Nel 1326 iudex civitatis Cathanie. Baiulo di Catania nel 1329. Giudice ai contratti della città di Catania nel 1330. C. Ardizzone, I Diplomi esistenti nella Biblioteca comunale ai Bene- dettini cit.. docc. 197, 208, pp. 115, 119; M.L. Gangemi (a cura di), Il Tabulario del monastero San Benedetto di Catania (1299-1633), Palermo 1999, docc. 6, 10, pp. 128, 131, 138.

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Primo tra questi cavalieri, al 35° posto, è un conte, Ruggero de Pas- saneto64, la cui ribellione al re, che nel luglio 1338 forse aveva fatto sperare Roberto d’Angiò, era rientrata ad opera di Blasco d’Alagona, col quale si era imparentato. Subito dopo di lui, l’atto di scomunica ricorda, raggruppandoli, Enrico Abbate65 e poco oltre Palmerio Abbate66 e con loro Abbo Barresi (nel 1338 uno dei testimoni nella procura palermitana per il riconosci- mento della successione di Pietro II67), Enrico Chiaromonte68, Lamberto de Montaperto69. Essi sembrano costituire un gruppo, a capo del quale è collocato Enrico Abbate, concentrato nel Val di Mazara tra Palermo, Trapani, Agrigento e Corleone. A Palermo, dopo aver partecipato nel 1325 alla difesa della città, guidata da Giovanni Chiaromonte, contro la spedizione navale del duca di Calabria Carlo d’Angiò, Enrico Abbate era stato giustiziere nel 1329, Palmerio vi sarà pretore nel 1342-43, Abbo Barresi l’anno successivo. Trapani era terra d’origine della fami- glia Abbate. Ad Agrigento risiedeva Enrico Chiaromonte, il quale dal 1339 sarà maestro razionale e giustiziere nella Valle nel 1347; nella città erano le origini dei Montaperto, Abbo Barresi vi era stato giusti-

64 Signore di Tavi. Morto prima del 1355. A. Marrone, Repertorio della feudalità sici- liana (1282-1390) cit., p. 325. 65 Figlio di Riccardo, prestava un servitium di 9 cavalli armati (180 once di reddito). Morì tra il 1343 e il 1344. Cfr. I. Peri, La Sicilia dopo il Vespro. Uomini, città e campagne 1282-1376 cit., p. 98; P. Corrao (a cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 5 (Registri di lettere ed atti 1328-1333) cit., doc. 60, p. 108; L. Sciascia, Le donne e i cavalier, gli affanni e gli agi. Famiglia e potere in Sicilia tra XII e XIV secolo cit., pp. 142, 144; A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., p. 21. 66 Miles, nobilis, dominus. Di Trapani. Figlio di Nicola. Fu tassato per dieci cavalli armati (200 once di reddito). Federico III nel 1328 lo aveva convocato nella piana di Milazzo. Cfr. A. Giuffrida, Introduzione a F. Giunta, A. Giuffrida (a cura di), Acta Siculo- Aragonensia, II (Corrispondenza tra Federico III di Sicilia e Giacomo II d’Aragona), Palermo 1972, p. 34; B. Pasciuta, I notai a Palermo nel 14. secolo: uno studio prosopografico cit., n. 448, p. 357; A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., p. 21; S. Fodale, Su l’audaci galee de’ Catalani (1327-1382). Corona d’Aragona e Regno di Sicilia dalla morte di Giacomo II alla deportazione di Maria cit., p. 139. 67 Miles. Figlio di Giovanni, ereditò Militello, del quale fu investito nel 1319, dallo zio Giovanni Camerana. Sposò Ricca Matina, dama di corte della regina Eleonora, ricevendo come dote Pietraperzia. Sarà testimone per il testamento di Matteo Sclafani (1345). Domi- ciliato a Palermo, fu tassato per 9 cavalli armati (180 once di reddito). Cfr. A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., p. 77; M. Moscone, Un modello di documento semipubblico nella Sicilia tardomedievale: la designatio syndicorum di Palermo e Messina per l’ambasceria del 1338 a Benedetto XII cit., p. 515. 68 Cfr. A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., pp. 146 s. 69 Il duca Giovanni gli farà sequestrare i beni per insolvenza, ma la moglie si opporrà per recuperare la dote (1342) e otterrà dalla Magna Curia la restituzione di alcuni beni (1344). Sarà ancora vivo nel 1362, quando la moglie Isabella fece testamento. Cfr. ivi, pp. 280 s.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Un'isola di scomunicati: Sicilia, 1339 233 ziere nel 1333-34. A Corleone Enrico Abbate aveva dei possedimenti, mentre Abbo Barresi, il quale era figlio di Giovanna, figlia di Bonifacio Camerana, vi sarà inviato come paciere nel 1341. Carini fu feudo di Palmerio, Salaparuta di Enrico Abbate, Grotte di Lamberto de Monta- perto, il quale aveva sposato una figlia di Giovanni Chiaromonte. Seguono due personaggi: Ferrarono de Abella e Giovanni de Calta- girone, che non sappiamo per quale motivo siano collegati. Ferrarono era nipote di Ferrer de Abella, un domenicano eletto nel 1330 vescovo di Mazara e nel 1334 trasferito a Barcellona; sposò la nipote di un altro vescovo siciliano, anch’egli catalano, il vescovo di Siracusa Pietro Mon- cada, e fu signore di San Filippo d’Argirò (Agira)70. Pochi nomi più avanti, forse a lui collegato, troviamo un Guglielmo Moncada, prece- duto da un altro catalano: Gonçal Eximenis (Scimeni) de Arenós (Are- noso), (dompnum Consalvum Yssimerus de Renoso), il quale come strategoto di Messina nel maggio 1338 fu presente al rilascio della pro- cura cittadina per il riconoscimento della successione al trono71. Giovanni de Caltagirone, signore di Vallelunga e di Misilmeri, omo- nimo sia del padre che di un figlio, fu elencato nel 1321 tra i milites ai quali Federico III vietava di intromettersi nella gestione della città di Palermo, nel 1338 aveva sottoscritto col padre come testimone la pro- cura palermitana per la successione di Pietro II. Possedeva presso Nico- sia il casale Sarracenorum, beni a Caltagirone e a Palermo72. Dopo di lui, ma non immediatamente, è scomunicato anche Riccardo (Riccar-

70 Nel 1348 i vassalli si ribelleranno contro di lui e chiederanno di non avere mai più un signore catalano. Cfr. C. Eubel, Hierarchia catholica medii aevi, Monasterii 1913, I, pp. 128, 332; F. Giunta, Ferrer de Abella e i rapporti tra Giacomo II e Giovanni XXII, in Studi Medievali in onore di Antonino De Stefano, Palermo 1956, pp. 253 s., 259 s.; L. Scia- scia, Le donne e i cavalier, gli affanni e gli agi. Famiglia e potere in Sicilia tra XII e XIV secolo cit., pp. 101 s.; A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., p. 22. 71 Cfr. H. Penet, Le Chartrier de S. Maria di Messina cit., doc. 128, p. 445; H. Bresc, Le gouvernement de l’étranger: aristocrates et marchands ‘experts’ à la cour de Sicile (1296- 1355), in Id., Una stagione in Sicilia, a cura di M. Pacifico, Palermo 2010, p. 194; M. Moscone, Un modello di documento semipubblico nella Sicilia tardomedievale: la designatio syndicorum di Palermo e Messina per l’ambasceria del 1338 a Benedetto XII cit., p. 517. 72 Il 6 settembre 1339, tramite il figlio omonimo, depositò a Firenze presso la compa- gnia dei Bardi 1.000 once, che si presumono frutto di una vendita di feudi o di beni mobili. La Regia Curia di Palermo dispose che 375 once andassero a Giovanni Siracusia, figlio di Aloisia Caltagirone, la quale nel 1341 ad istanza della società dei Bardi confermò di aver ricevuto la somma. Morì tra l’ottobre 1340, quando fu citato per il feudo di Misil- meri dal procuratore fiscale, e il febbraio 1342. Cfr. L. Citarda (a cura di), Acta Curie, 3 (Registri di lettere 1321-1326. Frammenti), Palermo 1984, doc. 1, p. 4; B. Pasciuta, I notai a Palermo nel 14. secolo: uno studio prosopografico cit., nn. 386, 461, pp. 309, 346; A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., pp. 102 s.; M. Moscone, Un modello di documento semipubblico nella Sicilia tardomedievale: la designatio syndicorum di Palermo e Messina per l’ambasceria del 1338 a Benedetto XII cit., pp. 514 s.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 234 Salvatore Fodale dello) Filangeri73, un altro dei firmatari della procura, il cui padre omo- nimo (morto prima del giugno 1327) era stato tra quei milites esclusi dal governo di Palermo. La Magna Curia lo pose nel 1327 sotto la tutela di Giovanni de Caltagirone e dello zio Guido Filangeri. Vengono elencati prima due palermitani, in rapporti tra loro: Orlando (Orlanduccio) de Milia74, il quale ebbe in territorio di Palermo il feudo di Monte Cane e nel 1336, morti entrambi i genitori, aveva avuto Enrico Abbate come patrigno e come tutore proprio l’altro paler- mitano, Giovanni de Calvelli, il quale nel 1308 era stato giustiziere di Agrigento ed era stato anch’egli indicato tra i milites che a Palermo non dovevano ingerirsi. Entrambi nel 1338 avevano sottoscritto la richiesta al pontefice per il riconoscimento di Pietro II75. Un altro gruppetto di scomunicati è poi costituito da due milites di famiglia trapanese: Riccardo e Ridolfo de Manueli, il primo dominus del feudo di Culcasi, per il quale nel 1327 fu in contrasto con i figli di Palmerio Abbate76, il secondo signore di Burgio e cit-

73 Dominus, miles, morto nel 1337. Ancora nel 1329, assistito come vicebalio dal figlio Giordano, ne amministrava i feudi (il castello e la terra di Licodia in Val di Noto e il casale Montemaggiore in Val di Agrigento), dai quali nel 1335 ricavava un reddito di 140 once. Nel 1337 diede in appalto le gabelle di Licodia per 50 once annue. Domiciliato a Palermo, nell’adoa del 1345 sarà tenuto a prestare due cavalli armati. Convocato per il servizio militare tanto nel 1361 che nel 1365, nel 1363 sarà capitano di Mineo. In occasione delle nozze, con una damigella della regina Costanza, gli fu concesso di estrarre 400 salme di frumento provenienti dalla sua masseria di Licodia. Nel 1370 il re gli assegnerà 20 once annue sul Biviere di Lentini. Nel 1378 sarà strategoto di Messina. Nel 1380 sarà tra coloro ai quali il re d’Aragona comunicherà, tramite il viceammiraglio Francesch d’Averçó, che il matrimonio della regina Maria con l’infante Giovanni non si era potuto concludere. L. Citarda (a cura di), Acta Curie, 3 (Registri di lettere 1321-1326. Frammenti) cit., doc. 1, p. 4; A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., pp. 168 s.; S. Fodale, Su l’audaci galee de’ Catalani (1327-1382). Corona d’Aragona e Regno di Sicilia dalla morte di Giacomo II alla deportazione di Maria cit., p. 307. 74 Nato attorno al 1323 da padre omonimo. Giovanni de Calvelli si occupò del recu- pero di tre botteghe, che aveva a Palermo in contrada Loggia dei Genovesi. Nel 1342 sarà coinvolto con i Calvelli ed altri in una controversia finanziaria con l’infante Giovanni, che ne causerà la rovina economica. Cfr. I. Peri, La Sicilia dopo il Vespro. Uomini, città e campagne, 1282-1376 cit., p. 165; L. Sciascia (a cura di), Acta Curie, 6 (Registri di lettere 1321-22 e 1335-36) cit., doc. 167, pp. 281 s.; A. Marrone, Repertorio della feudalità sici- liana (1282-1390) cit., pp. 267 s. 75 Cfr. L. Citarda (a cura di), Acta Curie, 3 (Registri di lettere 1321-1326. Frammenti) cit., doc. 1, p. 4; P. Sardina, Il labirinto della memoria: clan familiari, potere regio e ammi- nistrazione cittadina ad Agrigento tra Duecento e Quattrocento, Sciascia, Caltanissetta- Roma 2011, pp. 208, 488; M. Moscone, Un modello di documento semipubblico nella Sicilia tardomedievale: la designatio syndicorum di Palermo e Messina per l’ambasceria del 1338 a Benedetto XII cit., p. 515. 76 Nel 1304 a Trapani è testimone nella nomina dei sindaci che giureranno fedeltà a Giacomo re d’Aragona. Perse dinanzi alla Magna Curia un’altra controversia per il pos- sesso del feudo Misilxarari (1332). Sarà capitano di Corleone (1341). A. Marrone, Reper-

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Un'isola di scomunicati: Sicilia, 1339 235 tadino di Palermo77. Ai due è collegato Ruggero de Vallono, il quale aveva posseduto i casali Rachalsuar e Fiumedinisi e le saline di Nicosia, ma la cui morte, che pare fosse avvenuta da tempo78, con- fermerebbe l’utilizzazione per il procedimento di scomunica di dati non aggiornati. Ormai giunti verso la metà dell’elenco, troviamo in 51a posizione Gio- vanni (Giovannuccio) d’Alagona, subito seguito dallo zio Artale, il quale introduce una lunga serie di cavalieri scomunicati. Sia Giacomo Mustaccio, signore del casale di San Teodoro, cittadino e protontino di Palermo, il quale aveva firmato la richiesta al papa del 1338 per il rico- noscimento del re79, sia Nicolò de Lauria, inviato da Federico III nel 1335, e da Pietro II nel 1338, come ambasciatore alla curia avignonese

torio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., pp. 252 s.; L. Sciascia (a cura di), Perga- mene siciliane dell’Archivio della Corona d’Aragona (1188-1347) cit., doc. 44, p. 129. 77 Discendente dal cavaliere omonimo che fu uno degli incaricati dell’organizzazione del duello tra Pietro III d’Aragona e Carlo I d’Angiò. Nel 1345, domiciliato a Trapani, sarà tassato per 6 cavalli armati. Nel 1353 farà testamento. Cfr. I. Scaturro, Storia della città di Sciacca cit., I, pp. 361, 389, 558; A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282- 1390) cit., p. 252; P. Sardina, Il labirinto della memoria: clan familiari, potere regio e ammi- nistrazione cittadina ad Agrigento tra Duecento e Quattrocento cit., p. 204. 78 Nel 1335 riceveva un reddito di 160 once. Era già morto il 20 marzo 1336. Cfr. A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., pp. 436 s. 79 Entrò in contrasto nel 1322 con Giovanni Chiaromonte per lo sfruttamento delle acque del fiume dell’Ammiraglio e fu da lui citato in giudizio dinanzi alla Magna Curia. Nel 1327 fu uno dei due sindaci inviati dalla città di Palermo al re per difendere i propri privilegi e la legittimità dell’operato nella celebrazione del processo contro un messinese. Percepiva un tarì per ogni barca che caricasse frumento, orzo o legumi nel porto di Ter- mini (1328), dal quale riceveva 15 once di reddito (1335). Nel 1336 fu, con due cavalli armati, uno degli stipendiarii, abitanti a Palermo, mobilitati per la spedizione all’isola di Gerba. Nel 1337 fu uno dei tre sindaci della città di Palermo inviati a Catania, per pre- sentare delle richieste al re. Nella battaglia di Lipari (1339) sarà fatto prigioniero dagli angioini. Nel 1345 corrisponderà l’adoa per cinque cavalli e mezzo (100 once di reddito). Fu pretore di Palermo (1347-48), città nella quale abitava al Cassaro in ruga domini Iacobi Mustacii militis, come da lui prendeva nome. Morirà nel 1349. Cfr. H. Bresc, Un monde méditerranéen. Économie et société en Sicile 1300-1450, Rome-Palermo 1986, II, p. 789; L. Citarda (a cura di), Acta Curie, 3 (Registri di lettere 1321-1326. Frammenti) cit., docc. 1, 23, pp. 4, 49 s.; M.R. Lo Forte Scirpo (a cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 4 (Registro di lettere 1327-1328) cit., docc. 24, 82, 93, pp. 41, 131, 151; L. Sciascia (a cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 6 (Registri di lettere 1321-22 e 1335-36) cit., docc. 25, 33, 207, 217, pp. 41, 56, 336, 355; L. Sciascia (a cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 7 (Registri di lettere 1340-48) cit., doc. 196, p. 278; C. Bilello - A. Massa (a cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 8 (Registro di lettere 1348-49 e 1350), Palermo 1993, docc. 144, 246, 260, p. 190, 317 s., 333; C. Bilello, F. Bonanno, A. Massa, Acta Curie felicis urbis Panormi, 9 (Registro di lettere 1350-1351) cit., doc. 49, p. 63; A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., pp. 302 s.; M. Moscone, Un modello di documento semipubblico nella Sicilia tardomedievale: la designatio syndicorum di Palermo e Messina per l’ambasceria del 1338 a Benedetto XII cit., p. 515.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 236 Salvatore Fodale dopo l’elezione di Benedetto XII80, i quali erano nobili di Messina, sia Giovanni de Cosmerio, pretore di Palermo nel 1330-31, anch’egli testi- mone della suddetta procura nel 133881, facevano anche loro parte dei milites ai quali era stato vietato di intromettersi nella gestione di Palermo. Amato de Amato, cittadino palermitano, nel 1326 era stato capitano di Corleone, nel cui territorio aveva il possedimento Lu Iulfu, e nel 1328 giustiziere della Valle di Agrigento, di Cefalù e Termini82. Nino de

80 Lo accompagnarono nella prima ambasceria Ogerio de Virzolio e il cronista Nicolò Speciale, nella seconda Andrea de Ioffo, con una procura rilasciata a Messina il 31 marzo 1338 per assicurare firma et indefessa devotio al pontefice. Per le sue attività tam intra, quam extra Siciliam fu compensato (2 maggio) con la foresta della porta di Taormina, che dava 55 once di reddito. Per l’adohamentum del 1342 sarà tenuto a versare con Giacomo de Abella 7 once per armare due cavalli e mezzo. Nel marzo 1343 ricoprirà la carica di scriba quietacionis gentis regie. Sarà a Catania con Blasco d’Alagona nel 1349, quando la città sarà assediata dai Palizzi. Il cronista Michele da Piazza racconta gli ultimi episodi della sua vita. Al ritorno da Reggio, dove era stato celebrato il matrimonio della figlia con Nicola Abbate, fu affrontato con due galee salpate da Messina dal genovese Costantino Doria, il quale lo aveva fatto spiare per vendicarsi di essere stato catturato per opera sua, torturato a Catania e relegato nel castello di Lentini. Dopo l’affondamento della sua nave, morì in mare nel gennaio 1350, senza aver potuto fare testamento. Il cadavere fu ripescato e, per aquam retrahendo, sicut canem, fu portato a Messina, dove ne fu fatto scempio, come quello di un traditore, per le vie e per le piazze. Alla fine fu cremato extra civitatem. Con i denti, che gli erano stati strappati, fecero dei dadi, de quibus ludebant ad azardum. Cfr. N. Specialis, Historia Sicula, in R. Gregorio, Bibliotheca scriptorum qui res in Sicilia gestas sub Aragonum imperio retulere cit., I, p. 498; II, p. 472; Archivio Segreto Vaticano, AA, Arm. I-XVIII, n. 4460; O. Raynaldi, Annales ecclesiastici cit., XVI, pp. 68 s.; J.C. Lünig, Codex Italiae Diplomaticus, II, Francofurti et Lipsiae 1726, coll. 1099-1102; F. Giunta, Aragonesi e Catalani nel Mediterraneo, I, Dal regno al viceregno in Sicilia, Palermo 1953, p. 36; P. Sardina, Tra l’Etna e il mare. Vita cittadina e mondo rurale a Catania dal Vespro ai Martini (1282-1410), Messina 1995, p. 143; A. Marrone, Reper- torio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., p. 231. 81 Nobile, miles. Parteciperà alla rivolta del 1351. Sottoposto a tortura, morì dopo avere rivelato i nomi dei complici. Cfr. L. Citarda (a cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 3 (Registri di lettere 1321-1326. Frammenti) cit., doc. 1, p. 4; P. Sardina, Palermo e i Chiaromonte: splendore e tramonto di una signoria. Potere nobiliare, ceti dirigenti e società tra XIV e XV secolo, Caltanissetta-Roma 2003, pp. 29, 208; A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., p. 152; M. Moscone, Un modello di documento semipubblico nella Sicilia tardomedievale: la designatio syndicorum di Palermo e Messina per l’ambasceria del 1338 a Benedetto XII cit., p. 515. 82 Miles, nobilis, acquisterà dalla Magna Curia all’asta per 1.000 once il feudo Verdura e il possedimento di Raghalsemo (1343). Domiciliato a Caltabellotta, corrispondeva per l’adoa due cavalli armati (1345). Concluderà un accordo, che poi fu sciolto, con Enrico Chiaromonte per il matrimonio dei rispettivi figli Maria Amato e Giovanni Chiaromonte. Vicesecreto del Val di Mazara. Era ancora in vita nell’anno della XIV indizione (1345-46), ma già defunto nel 1360. Cfr. I. Scaturro, Storia della città di Sciacca cit., I, pp. 453, 483; H. Bresc, Le gouvernement de l’étranger: aristocrates et marchands ‘experts’ à la cour de Sicile (1296-1355) cit., p. 199; L. Citarda (a cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 3 (Registri di lettere 1321-1326. Frammenti) cit., doc. 64, p. 120; M.R. Lo Forte Scirpo (a

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Un'isola di scomunicati: Sicilia, 1339 237

Tagliavia, signore di Castelvetrano e dei casali, di Petra di Bilichi e Sommatino, fatto prigioniero nella battaglia di Lipari, sarà riscattato con i prigionieri palermitani83. Si noti come l’elenco, che già aveva incluso il fratello Andrea Tagliavia, non comprenda Giovanni Tagliavia, il quale a Palermo era stato nel 1338 un altro dei testimoni nella richie- sta di riconoscimento del re84. Simone Fimetta di Calatafimi, attestato nel 1291 a Palermo, dove nel 1298 era proprietario di una bottega, era stato strategoto di Mes- sina nel 1308 ed era signore del casale di Fiumefreddo, presso Len- tini85. Nicola de Monteliano, il quale nel 1329 aveva avuto l’investitura del feudo Naduri, fu portulano di Sciacca, con il privilegio ereditario (1336) di riscuotere un terzo dei diritti del porto, con l’obbligo del ser- vizio di un cavallo armato86. Luca de Cannariato era succeduto verso il 1336 al padre omonimo sia nella capitania di Eraclea che negli introiti del caricatore e delle saline87. Blasco Lancia, abitante a Paternò, dominus di Ficarra, Galati e Longi, e del feudo Mongialino88, è accom-

cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 4 (Registro di lettere 1327-1328) cit., doc. 52, p. 83; P. Corrao (a cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 5 (Registri di lettere ed atti 1328- 1333) cit., doc. 137, p. 238; A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., p. 42; P. Sardina, Il labirinto della memoria. Clan familiari, potere regio e amministra- zione cittadina ad Agrigento tra Duecento e Quattrocento cit., pp. 208, 488. 83 Nel 1342 re Ludovico gli confermerà Sommatino. Ebbe anche il feudo Gibilioso. Domiciliato a Palermo nell’adoa del 1345 sarà tenuto a contribuire con 4 cavalli armati (80 once di reddito). Nell’ottobre 1345 farà testamento. A. Marrone, Repertorio della feu- dalità siciliana (1282-1390) cit., p. 414. 84 Id., Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., pp. 415 s.; M. Moscone, Un modello di documento semipubblico nella Sicilia tardomedievale: la designatio syndicorum di Palermo e Messina per l’ambasceria del 1338 a Benedetto XII cit., p. 515. 85 Domiciliato a Lentini, nell’adoa del 1345 sarà tassato per 4 cavalli armati. Posse- dette delle terre in territorio di Naro (1345). A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., p. 173; E. Lo Cascio (a cura di), Il Tabulario della Magione di Palermo cit., doc. 245, pp. 146 s. 86 Miles, dominus. Domiciliato a Sciacca, contribuirà all’adoa nel 1345 con due cavalli armati (pari a 40 once di reddito). Nel 1347, per pagare un debito con Alberto de Milite, prenderà in prestito dalla moglie 100 once. Morirà nel maggio 1349. Cfr. H. Bresc, Le gou- vernement de l’étranger: aristocrates et marchands ‘experts’ à la cour de Sicile (1296-1355) cit., p. 201; A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., pp. 293 s. 87 Domiciliato ad Eraclea, nell’adoa del 1345 sarà tassato per due cavalli armati (40 once di reddito). Nel 1357 le saline di Eraclea erano state già devolute al fisco, per delitto di tradimento. Sarà ucciso nel marzo 1360. A. Marrone, Repertorio della feudalità sici- liana (1282-1390) cit., p. 115. 88 Dette 50 once nel 1337 al maestro portulano Bartoluccio Salimpipi di Messina, a nome del defunto cancelliere Pietro d’Antiochia, per diritti ceduti dal conte Ruggero di Passaneto. Nel 1345 risulterà già defunto. Cfr. A. Marrone, Repertorio della feudalità sici- liana (1282-1390) cit., pp. 212 s.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 238 Salvatore Fodale pagnato non immediatamente da Ugo89 e da Manfredi Lancia, signore di Sinagra90. Il cavaliere messinese Lancia de Grifo era un cugino di Matteo Scla- fani, il quale nel 1311 gli aveva donato il feudo denominato Modulus Campane nella contea di Adernò e nel testamento redatto nel 1333 gli aveva lasciato un legato di 30 once per il matrimonio della figlia, nomi- nandolo sostituto dell’erede universale, con l’obbligo di prendere il suo cognome, nell’eventualità che non rimanesse in vita nessun discen- dente, ma in subordine rispetto all’altro cugino Orlando de Milite, prima che l’eredità dello Sclafani andasse distribuita ai poveri91. Poco sappiamo di Federico de Guercio92, e nulla di Giovanni, appartenente alla stessa famiglia messinese, scomunicato separatamente ed elencato molto più avanti; mentre di un altro cavaliere messinese, Riccardo (Ric- cardello) Rosso, fratello del conte Enrico, abbiamo notizie solo poste- riori alla sua scomunica. Tacciono le nostre fonti su Filippo Curto, come sul siracusano Guglielmo de Bellomo93. Tre cittadini palermitani, Abate Manfredi de Pando94, in 69a posizione, e di seguito Roberto de

89 Nel 1322 Ugo Lancia vendette per 180 once Castania. Nel 1335 riceveva dalla metà del casale Limbaccari 20 once di reddito. Nel 1341 re Pietro gli concederà i censuali di Piazza. Nel 1343 era già morto. Cfr. Id., Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., p. 214. 90 Manfredi Lancia sarà stratigoto di Messina nel 1343. Possedette la foresta di Revo- cato, presso Roccella. Nel 1345 re Ludovico gli concederà metà del feudo di Luchito. Domiciliato a Messina, sarà tenuto a dare un cavallo armato (1345). Cfr. Id., Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., p. 214. 91 Nel testamento del 1345 Matteo Sclafani invece nominerà il Grifo tutore con Blasco d’Alagona di un eventuale figlio postumo e lascerà 30 once al miles e dominus Lancia de Grifo iunior, suo consanguineus et socius. Nel testamento del 1348 lo Sclafani nominerà soltanto il dominus Andrea de Grifo, per un legato di 50 once, ma comparirà la firma come testimone del miles Lancia de Grifo di Messina. C. Ardizzone, I Diplomi esistenti nella Biblioteca comunale ai Benedettini cit., doc. 330, p. 169; A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., p. 189; M.A. Russo, I testamenti di Matteo Scla- fani, 5, pp. 524 s., 529, 537, 543, 553, 558 s., 6 (2006), pp. 41, 49, 52, 66. 92 Comparirà a Palermo nel 1343 per un acquisto di frumento. B. Pasciuta, I notai a Palermo nel 14. secolo: uno studio prosopografico cit., n. 403, p. 316. 93 É ricordato che il monastero di San Benedetto a Siracusa fu eretto (1365) a fianco della sua abitazione. C. Orlando, Una città per le regine. Istituzioni e società a Siracusa tra XIII e XV secolo, Caltanissetta-Roma 2012, p. 189. 94 Gabelloto con Manfredi Boccadorzo della gabella cassiarum et dohane maris di Palermo. Possedeva delle case nel Seralcadio. Nel 1332 fece una vendita di 2.000 salme di frumento. Nel 1340-41 sarà giurato di Palermo. Cfr. I. Peri, La Sicilia dopo il Vespro. Uomini, città e campagne, 1282-1376 cit., pp. 109 s., 160; B. Pasciuta, I notai a Palermo nel 14. secolo: uno studio prosopografico cit., nn. 180, 439, pp. 204, 331; H. Bresc, Mar- chands de Narbonne et du Midi en Sicile (1300-1460), in Id., Una stagione in Sicilia cit., I, p. 382.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Un'isola di scomunicati: Sicilia, 1339 239

Pando95, appartenenti ad una famiglia di origine amalfitana, e Manfredi Boccadorzo96 introducono nell’elenco la categoria non dichiarata dei mercatores, i quali con le relazioni commerciali avevano consentito la sopravvivenza economica del Regno e con i prestiti ne avevano finan- ziato la difesa armata. Ad essi segue poco dopo Oberto de Aldobran- dini97, e più avanti nell’elenco altri mercanti palermitani: Giacomo de Cisario, il quale nel 1338 era stato uno dei testimoni nella procura cit-

95 Avrà parte nel 1351 nella rivolta palermitana guidata da Lorenzo Murra. Risulta già morto nel 1363. Cfr. A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., pp. 318 s.; L. Sciascia, Introduzione, in Ead. (a cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 7 (Registri di lettere 1340-48) cit., pp. XXIII-XXIX; P. Sardina, Palermo e i Chiaromonte: splendore e tra- monto di una signoria. Potere nobiliare, ceti dirigenti e società tra XIV e XV secolo cit., pp. 8, 15, 26-29, 227, 367; S. Fodale, Su l’audaci galee de’ Catalani (1327-1382). Corona d’Aragona e Regno di Sicilia dalla morte di Giacomo II alla deportazione di Maria cit., pp. 72 s., 85. 96 Banchiere (prestanome dei Peruzzi), cittadino palermitano di origine pisana, secreto. Nel 1316 aveva fatto un prestito all’universitas di Palermo per esigenze di guerra. Nel 1326- 27 partecipò con Oberto Aldobrandini ed altri ad un mutuo alla regia curia per 3.500 once. Per un altro prestito, ottenne dal re la priorità del rimborso (1328). Fu uno dei tre sindaci della città di Palermo nominati il 1° luglio 1328. Ebbe in locazione per 1.500 once le tonnare della regia curia per il biennio 1328-1330 e per 5.000 once le gabelle della secrezia e della cassia propter guerram del 1328-29, versando subito al re l’intera somma. Nel 1342 per un debito di cui era fideiussore gli sarà sequestrata una casa al Cassaro. Aveva una bottega a Palermo in contrada Marittima. C. Trasselli, Note per la storia dei Banchi in Sicilia nel XIV secolo, Palermo 1958, pp. 37, 41; H. Bresc, Le gouvernement de l’étranger: aristocrates et marchands ‘experts’ à la cour de Sicile (1296-1355) cit., p. 199; P. Corrao (a cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 5 (Registri di lettere ed atti 1328-1333) cit., docc. 36, 50, 55, 57, 59, 105 s., 109, 114, pp. 73 s., 92 s., 101, 103 s., 106 s., 189 s., 196, 204; L. Sciascia (a cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 7 (Registri di lettere 1340-48) cit., doc. 196, p. 278; B. Pasciuta, I notai a Palermo nel 14. secolo: uno studio prosopografico cit., nn. 56, 180, 233 pp. 116, 204, 230; P. Sardina, Palermo e i Chiaromonte: splendore e tramonto di una signoria. Potere nobiliare, ceti dirigenti e società tra XIV e XV secolo cit., p. 127. 97 Robertum de Odobrandino. Cittadino palermitano, mercante in panni e pelli, ban- chiere. Nel 1316 rappresentò la città di Palermo in Parlamento. Nel 1321 effettuò un pagamento per conto del pretore di Palermo. Attivo a Palermo come mercante di panni di lana (1323-1327), partecipò con Manfredi Boccadorzo ed altri mercatores, alla con- cessione alla regia curia nel 1326-27 di un prestito per 3500 once, garantito sulle gabelle palemitane. Nel 1328 ebbe l’officium di amministratore del ricavato dalla vendita della cera della cattedrale di Palermo. Fu inoltre incaricato dell’approvvigionamento granario della città, colpita dalla carestia (1329). Fu con Matteo Falcone uno degli arbitri in una controversia ereditaria (1329). Fece parte della confraternita palermitana di San Barto- lomeo della Kalsa (1344). C. Trasselli, Note per la storia dei Banchi in Sicilia nel XIV secolo cit., p. 41; I. Peri, La Sicilia dopo il Vespro. Uomini, città e campagne, 1282-1376 cit., pp. 62, 81, 84, 114 s., 129; G. Bresc Bautier - H. Bresc, Maramma. I mestieri della costru- zione nella Sicilia medievale, in Id., Una stagione in Sicilia cit., II, p. 542; M.R. Lo Forte Scirpo, Società ed economia a Palermo nel sec. XIV. Il conto del tesoriere Bartolomeo Nini del 1345, Palermo 1992, pp. 44, 67; B. Pasciuta, I notai a Palermo nel 14. secolo: uno studio prosopografico cit., n. 127, pp. 165, 167 s; P. Corrao (a cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 5 (Registri di lettere ed atti 1328-1333) cit., docc. 18, 62 s., 70, 121, 134, pp. 40-43, 113-116, 127, 129 s., 216, 233; V. Russo, Il fenomeno confraternale a Palermo (secc. XIV-XV), Associazione Mediterranea, Palermo 2010, pp. 162 s.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 240 Salvatore Fodale tadina98, e i fratelli Matteo99 (Theo) e Bartolomeo Falcone100. Precede l’Al- dobrandini un gruppetto di tre domini: Tommaso (Masino) de Michele, il quale nel 1338 aveva testimoniato a Palermo nella procura per il ricono- scimento del re101, Angelo Saccano102 e Pietro Stagno (Cestany o Estany)103.

98 Cittadino palermitano. Mercante, attivo a Palermo nel mercato dei panni di lana (1323-1332) e nel commercio del frumento (1329). Accusato di omicidio, nel 1332 rinun- ciò al privilegio della cittadinanza e accettò di essere giudicato dalla Magna Curia. Nel 1339 finì in carcere per insolvenza, per una procedura promossa dalla Compagnia dei Bardi. Dopo un anno di detenzione, l’universitas palermitana nel 1340 ne chiederà la liberazione, per i privilegi della città. I. Peri, La Sicilia dopo il Vespro. Uomini, città e cam- pagne, 1282-1376 cit., pp. 114 s., 129, 135, 165; P. Corrao (a cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 5 (Registri di lettere ed atti 1328-1333) cit., doc. 155, pp. 266 s.; L. Sciascia (a cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 7 (Registri di lettere 1340-48) cit., doc. 49; B. Pasciuta, I notai a Palermo nel 14. secolo: uno studio prosopografico cit., n. 274, p. 258; Sardina, Palermo e i Chiaromonte, p. 208; M. Moscone, Un modello di documento semi- pubblico nella Sicilia tardomedievale: la designatio syndicorum di Palermo e Messina per l’ambasceria del 1338 a Benedetto XII cit., p. 515. 99 Cittadino di Palermo, mercante, Matteo Falcone è attestato nel 1324. Nel 1326-27 è rationalis dell’universitas di Palermo. Nel 1327-28 è tenuto quale fideiussore in una causa dinanzi alla Magna Curia. Con Oberto Aldobrandini ed altri è uno degli arbitri in una controversia ereditaria (1329). Nel 1332 caricò sulla sua cocca 800 salme di fru- mento. Nel 1340 avrà una causa relativa ad un mutuo concesso agli Incisa. I. Peri, La Sicilia dopo il Vespro. Uomini, città e campagne, 1282-1376 cit., p. 110; M.R. Lo Forte Scirpo (a cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 4 (Registro di lettere 1327-1328) cit., docc. 3, 50, pp. 8, 80; P. Corrao (a cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 5 (Registri di lettere ed atti 1328-1333) cit., doc. 134, p. 233; L. Sciascia (a cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 7 (Registri di lettere 1340-48) cit., doc. 35, pp. 48-52; B. Pasciuta, I notai a Palermo nel 14. secolo: uno studio prosopografico cit., nn. 443, 454, pp. 334, 340. 100 Cittadino di Palermo, notaio. Nel 1340 sarà procuratore del fratello Matteo in una causa per mutuo concesso agli Incisa. Nel 1349 subirà un sequestro dei beni. L. Sciascia (a cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 7 (Registri di lettere 1340-48) cit., doc. 35, pp. 48-52; C. Bilello - A. Massa (a cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 8 (Registro di lettere 1348-49 e 1350) cit., doc. 249, p. 321. 101 Miles. Possibile discendente dell’omonimo, i cui creditori pro male ablato nel 1338 furono soddisfatti, secondo le disposizioni del defunto, in una riunione nella chiesa mag- giore di Castrogiovanni. Ebbe in feudo (1336) il casale di Chabica, che gli fu conteso. Sarà pretore di Palermo nel 1346-47 e sarà coinvolto nelle vicende della rivolta palermi- tana del 1348. Fu ricordato da Matteo Sclafani nel suo testamento (1354). Morì prima della fine del 1355. C. Ardizzone, I Diplomi esistenti nella Biblioteca comunale ai Bene- dettini cit., doc. 264, p. 142; C. Bilello - A. Massa (a cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 8 (Registro di lettere 1348-49 e 1350) cit., doc. 250, pp. 322 s.; C. Bilello, F. Bonanno, A. Massa (a cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 9 (Registro di lettere 1350- 1351) cit., doc. 49, pp. 63-65; P. Sardina, Palermo e i Chiaromonte: splendore e tramonto di una signoria. Potere nobiliare, ceti dirigenti e società tra XIV e XV secolo cit. p. 124, 128 s., 458; M.A. Russo, I testamenti di Matteo Sclafani, 5, p.562, 564; M. Moscone, Un modello di documento semipubblico nella Sicilia tardomedievale: la designatio syndicorum di Palermo e Messina per l’ambasceria del 1338 a Benedetto XII cit., p. 515. 102 Dominus, miles di Messina. Sarà testimone in un atto del 1360. Ebbe i casali di Santo Stefano di Brica e la torre del Giglio, posta tra le fiumare di Santo Stefano (1365). Fino al 1374 è attestato. A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., p. 373. 103 Magister, catalano, scriba quietacionis gentis regie (1326). Nel 1311 fu inviato da Federico III a Giacomo II. Nel 1342 sarà preso di mira dai rivoltosi di Messina. Nel 1349 si

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Un'isola di scomunicati: Sicilia, 1339 241

Dal 76° posto in poi troviamo nell’elenco i nomi di Matteo Serafino, Bartolomeo (Bartolo) Frisario104, Bartolomeo (Bartoluccio) Salimpipi105, Giovanni Russello106. Ad essi segue ancora un gruppetto di domini: Pie- tro107 e Cristoforo da Piscina de Itri, Simone (o Sion) de Laurenzio108 (o Iudice Roberto, o Notar Roberto, o Domino Roberto), Matteo de Mayda109 e Giordano Filangeri110, i quali ultimi due nel 1338 avevano sottoscritto a Palermo la richiesta al papa per il riconoscimento del re.

ha notizia che i suoi eredi e quelli di Giacomo Mustacio avevano posseduto un feudo cia- scuno appartenuto a Simone de domino Roberto (o de Laurencio). E. Pispisa, Messina nel Trecento. Politica economia società cit, p. 177; H. Bresc, Le gouvernement de l’étranger: ari- stocrates et marchands ‘experts’ à la cour de Sicile (1296-1355) cit., p. 191; L. Sciascia (a cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 6 (Registri di lettere 1321-22 e 1335-36) cit., doc. 207, pp. 335 s.; A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., p. 409. 104 Nel 1351 sarà inviato da Matteo Palizzi a Catania per trattare la pace. Cfr. E. Pispisa, Messina nel Trecento. Politica economia società cit, Messina 1980, p. 204. 105 Nel 1315 partecipò con i famigliari alla concessione in enfiteusi a Messina di una vigna nella fiumara di San Michele. Nel 1323 ebbe una controversia con la società dei Peruzzi dinanzi alla Gran Corte dei maestri razionali. Maestro portulano di Messina (1332 e 1337-1341). Giudice cittadino. Godette di una concessione, che vendette nel 1338, sui censi della secrezia di Messina, per la quale era tenuto al servizio militare di un cavallo armato e mezzo, e di diritti sul pontile del caricatore di Agrigento, che furono fatti sequestrare da un creditore. Domiciliato a Messina, per altre concessioni feudali corrisponderà un cavallo armato (1342, 1345). B. Pasciuta, I notai a Palermo nel 14. secolo: uno studio prosopografico cit., n. 140, p. 186; H. Penet, Le Chartrier de S. Maria di Messina cit., doc. 92, p. 341; E. I. Mineo, Nobiltà di stato. Famiglie e identità aristocra- tiche nel tardo medioevo. La Sicilia, Roma 2001, p. 191; H. Bresc, Le gouvernement de l’étranger: aristocrates et marchands ‘experts’ à la cour de Sicile (1296-1355) cit., p. 200; A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., p. 375; Id., I titolari degli uffici centrali del Regno di Sicilia dal 1282 al 1390 cit., p. 341. 106 Attestato nel 1320. B. Pasciuta, I notai a Palermo nel 14. secolo: uno studio proso- pografico cit., n. 343, p. 285. 107 Miles. Giustiziere del Val d’Agrigento nel 1332-33. P. Collura, Le più antiche carte dell’Archivio Capitolare di Agrigento, Palermo 1961, regg. 78, 78a, p. 277; P. Sardina, Il labirinto della memoria: clan familiari, potere regio e amministrazione cittadina ad Agri- gento tra Duecento e Quattrocento cit., pp. 208, 489. 108 Figlio di Roberto. Nel 1336 fu inviato al re come sindaco di Palermo. Ebbe da Pietro II la gabella dell’arrenteria di Palermo (1337). Sarà luogotenente del maestro giustiziere nel 1349-51. Sarà in lite con Pietro Stagno e Giacomo Mustaccio (1349). A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., p. 220. 109 Benché si ricordi un Pietro Lopez de Mayola, barcellonese, con beni feudali a Librizzi (Id., Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., p. 263), si tratta del miles Matteo de Mayda. Cfr. Palermo, Archivio di Stato, Tabulario di S. Martino delle Scale, perg. 57 (28 settembre 1328); M. Moscone, Un modello di documento semipubblico nella Sicilia tardomedievale: la designatio syndicorum di Palermo e Messina per l’ambasceria del 1338 a Benedetto XII cit., p. 515. 110 Nobile, miles, dominus. Figlio di Guido (pretore di Palermo nel 1316-17 e nel 1328- 29), al quale succedette nei feudi (1337). Nel 1340 sarà giustiziere del Val di Mazara. Domiciliato a Palermo, nel 1345 fu tassato per un cavallo armato. Ancora vivo nel 1345, era già morto nel 1349. B. Pasciuta, I notai a Palermo nel 14. secolo: uno studio prosopo-

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 242 Salvatore Fodale

All’85° posto, Giovanni de Garresio111, quindi Parisio de Barba112, Giacomo de Damiata113 e di nuovo un gruppetto di cinque signori feu- dali, aperto da Giovenco de Gangalandi114 e formato da Federico d’Ales- sio, Riccardo de Thori115, Ribaldo Fasano116 e Nicola Urgillatis. In 93a posizione è collocato Perbono (Pietro Bono o Perobó) de Calan- drino o Calandrí117. Lo seguono Francesco (Cicco) de Graziano e più

grafico cit., n. 414, p. 320; A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., p. 170; M. Moscone, Un modello di documento semipubblico nella Sicilia tardomedie- vale: la designatio syndicorum di Palermo e Messina per l’ambasceria del 1338 a Bene- detto XII cit., p. 515. 111 Iohannem de Garresio. Cittadino di Agrigento, ereditò col fratello Bartolomeo dal padre Rainaldo e dalla madre Marchisia, figlia di Lamberto Montaperto, i feudi Chicalbi (Montallegro) e San Lorenzo (Montaperto di Agrigento) che davano 30 once di reddito (1335). Il fratello gli vendette Aynchucaffa (o Chiuccafi) per 50 once (1336). Nella divi- sione del feudo San Lorenzo (1339), dove era anche un casale abitato, gli toccarono 2/3, uno per successione, l’altro per donazione dei genitori. A. Marrone, Repertorio della feu- dalità siciliana (1282-1390) cit., p. 182. 112 Dominum Parisio de Barba. La famiglia Barba risulta insediata nelle isole maltesi e a Noto e imparentata con i Landolina. A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., pp. 72-75. 113 Iacobum de Damiata. 114 Appartenente ad una famiglia ghibellina di antica nobiltà toscana, due esponenti della quale saranno espulsi nel 1341 perché accusati di complicità con Scalore degli Uberti, nel 1348 sarà a capo della rivolta popolare palermitana. I. Peri, La Sicilia dopo il Vespro. Uomini, città e campagne, 1282-1376 cit., p. 151; C. Bilello, F. Bonanno, A. Massa (a cura di), Acta Curie felicis urbis Panormi, 9 (Registro di lettere 1350-1351) cit., doc. 49, p. 65; L. Sciascia, Introduzione a Ivi, pp. XXXVII, XXXIX; P. Sardina, Palermo e i Chiaro- monte: splendore e tramonto di una signoria. Potere nobiliare, ceti dirigenti e società tra XIV e XV secolo cit., p. 19. 115 Supponiamo possa trattarsi del miles che nel 1338 firma a Palermo come Ricardus de Tetis quale testimone nella procura per chiedere al papa il riconoscimento di Pietro II. Cfr. M. Moscone, Un modello di documento semipubblico nella Sicilia tardomedievale: la designatio syndicorum di Palermo e Messina per l’ambasceria del 1338 a Benedetto XII cit., p. 515. 116 E. Lo Cascio (a cura di), Il Tabulario della Magione di Palermo (1116-1643) cit., doc. 503, p. 270: Raymbaldus de Fasana de Policio (1308). Probabilmente imparentato col Ribaldu Faxana di Polizzi, citato in H. Bresc, Reflets dans une goutte d’eau: le carnet de Girard de Guy, marchand catalan à Termini (1406-1411), in Id., Una stagione in Sicilia cit., II, pp. 396 s., 399, 418. 117 Ricostruirà il castello di Patellaro (Battalari) presso Bisacquino (circa 1353). Il re d’Aragona Pietro IV il Cerimonioso nel 1355 chiederà sia a lui, sia a Guglielmo Peralta e ad altri catalani, in quanto suoi sudditi (naturals), la liberazione di Giacomo Valguarnera, non sapendo chi di loro lo tenesse prigioniero. Sarà convocato da Federico IV (1356). Fu capitano di Corleone (1361). Il figlio omonimo disporrà l’edificazione di una cappella inti- tolata a S.Nicola nella chiesa di S. Maria del Bosco di Calatamauro, per la propria sepol- tura e perché nella stessa tomba fossero traslate le ossa del padre, il quale era sepolto nel Patellaro, e di un suo fratello, sepolto nel castello di Calatamauro. A. Marrone, Reper- torio della feudalità siciliana (1282-1390) cit., p. 97; S. Fodale, Su l’audaci galee de’ Cata- lani (1327-1382). Corona d’Aragona e Regno di Sicilia dalla morte di Giacomo II alla deportazione di Maria cit., p. 107.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Un'isola di scomunicati: Sicilia, 1339 243 oltre Ansaldo de Patti, il quale potrebbe essere quell’Ansaldo de Ior- dano, giudice messinese presente nella procura del 1338118, Riccardo de Cannaretto, Giacomo de Siragusa e un altro piccolo gruppo di signori feudali: Rodorico de Sosa, Filippo de Cavasilice, Giovanni de Genuisio, Simone de Omodeo, che non riusciamo a identificare. Al 109° posto è collocato un magister palermitano: Biagio de Dentici. Lo segue un ultimo gruppetto di cavalieri, costituito da Guglielmo de Inturrella119 e dai messinesi Filippo120 e Vassallo (o Vassallino) Sardo121 e Aloisio de Bonsignore. La massiccia scomunica dei siciliani, a sostegno dell’invasione angioina, sembra che riguardasse soprattutto palermitani e messinesi, pochi catalani. Con Matteo Sclafani colpiva duramente Chiaromonte e Palizzi e i loro seguaci. Colpiva, ma pare meno duramente, gli Alagona, i Peralta, i Moncada e i rispettivi partigiani, in ragione di un rapporto di forze che vedeva prevalere i latini sui catalani nelle posizioni di governo, attorno a re Pietro. Evitarono la scomunica ovviamente quanti non avevano avuto, o non avevano ancora, ruoli rilevanti, o rilevabili, e coloro che avevano tradito e preso posizione a sostegno del re angioino, o per essere ribelli all’autorità del re stavano per farlo o si sperava che lo facessero, in primo luogo evidentemente i Ventimiglia, nessuno dei quali venne scomunicato, e i loro aderenti. L’elenco degli scomunicati, che esclude completamente le donne, segue grossolanamente un criterio che tiene conto del grado e della dignità delle persone, dell’importanza degli uffici ricoperti, probabil- mente anche della gravità dei comportamenti e degli atti, ma forse soprattutto della rilevanza del ruolo avuto o ricoperto. La sua compi- lazione sembra ricorrere alla documentazione disponibile agli atti, ed

118 Tra il 1272 e il 1283 nella famiglia Patti è ricordato un Ansaldo. Cfr. C. Salvo, Giu- rati, feudatari mercanti. L’élite urbana a Messina tra Medio Evo e Età Moderna, Roma 1995, p. 71; M. Moscone, Un modello di documento semipubblico nella Sicilia tardome- dievale: la designatio syndicorum di Palermo e Messina per l’ambasceria del 1338 a Bene- detto XII cit., pp. 517, 520. 119 Miles. Ebbe in feudo da Pietro II le saline della terra e territorio di Castrogiovanni, che gli furono confermate da re Ludovico. Domiciliato a Castrogiovanni (Enna), nell’adoa del 1345 sarà tassato per 4 cavalli armati. Nel 1352 risulta già morto. Il possesso delle saline e i diritti dei centimoli di Castrogiovanni, perduti per le vicende della guerra, furono riottenuti dal figlio Pietro. A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282- 1390) cit., pp. 421 s. 120 Miles (1343). H. Penet, Le Chartrier de S. Maria di Messina cit., p. 76. 121 Nato alla fine del XIII secolo, nel 1312 ricevette dai tutori i beni, che erano stati loro affidati nel 1308, consistenti in vigne e case a Messina. H. Penet, Le Chartrier de S. Maria di Messina cit., doc. 87, pp. 323-326.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 244 Salvatore Fodale esserne in buona parte debitrice, probabilmente utilizza i nomi dei cit- tadini palermitani e messinesi che con la loro presenza e con la firma testimoniale avevano sostenuto la richiesta al pontefice di ammettere la successione al trono, in violazione degli accordi di Caltabellotta. L’elenco pare comunque risentire di un accumulo progressivo di nomi, che in parte potrebbero provenire da informazioni di fonte angioina, piuttosto che ecclesiastica. Il quadro complessivo, seppure incerto, è comunque interessante, perché fornisce un’immagine d’insieme, seb- bene sfocata, e dei dati, seppure di parte, che riguardano un momento di grave crisi e una situazione in evoluzione. Non risulta se l’elenco abbia avuto quella pubblicità, alla quale sarebbe stato destinato, almeno fuori dalla Sicilia. Né si ha notizia di effetti concreti prodotti da tali, e così generalizzate, scomuniche, che pare non abbiano avuto eco, né riflessi, diversamente dall’interdetto. Del resto sulla regolarità del complessivo procedimento sanzionatorio, almeno in rapporto all’interdetto, espresse perplessità, se non una vera e propria critica, perfino il successore di Benedetto XII, dichiarando Cle- mente VI non solo il disagio per i suoi pericolosi effetti, ma la propen- sione a condividere le proteste dei siciliani per la sua iniquità e nullità122.

122 S. Fodale, La svolta siciliana nel pontificato di Clemente VI cit.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Orazio Cancila

UNA FAMIGLIA DI PROFESSIONISTI NELLA SICILIA DEL CINQUE-SEICENTO*

DOI 10.1929/1828-230X/43122018

SOMMARIO: Il saggio ricostruisce le vicende di una famiglia siciliana di professionisti lungo tre generazioni, dal capostipite Pietro Paolo Abruzzo, notaio a Castelbuono per tutta la seconda metà del Cinquecento, al figlio Ottavio, giudice presso la locale Gran Corte Marchionale, nonché storico della famiglia feudale dei Ventimiglia, che alla sua morte nel 1606 lasciò una biblioteca con circa un centinaio di testi giuridici; ai nipoti ex filio, il medico Gaspare, il giureconsulto Francesco e il giurista Baldassare, autore di apprezzate opere di diritto, una delle quali sulla Regia Monarchia di Sicilia pubblicata nel 2012.

PAROLE CHIAVE: Castelbuono, età moderna, giuristi, Baldassare Abruzzo.

A FAMILY OF SICILY PROFESSIONALS BETWEEN THE FIFTEENTH AND THE SIXTEENTH CENTURY

ABSTRACT: This essay reconstructs the story of a Sicilian family of professionals across three gen- erations, from the founder Peter Paul Abruzzo, notary at Castelbuono throughout the second half of the sixteenth century, his son Ottavio, a judge at the local High Court Marchionale as well as historian of the feudal family of Ventimiglia, who at his death in 1606 left a library with about a hundred legal texts to the grandchildren ex filio the doctor Gaspar, the jurisconsult Francesco and the jurist Baldassare, author of acclaimed works of law, one of which is about the Royal Monarchy of Sicily published in 2012.

KEYWORDS: Castelbuono, modern age, jurists, Baldassare Abruzzo.

Nel corso del Cinquecento, Castelbuono – capitale del marchesato di Geraci e residenza abituale della famiglia feudale, diversamente da quanto era accaduto nel Quattrocento – ebbe una crescita e uno svi- luppo considerevoli, demograficamente soprattutto nella prima metà del secolo, urbanisticamente nel corso della seconda metà. Il borgo in crescita aveva bisogno di competenze e di specializzazioni che a livello

* Abbreviazioni utilizzate: Asti = Archivio di Stato di Palermo, sezione di Termini Imerese; Trp = Archivio di Stato di Palermo, fondo Tribunale del Real Patrimonio; uid = utriusque iuris doctor.

N.B. Il testo non è stato sottoposto a referaggio.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 246 Orazio Cancila locale ancora non esistevano e perciò bisognava farle venire da fuori, da aree più sviluppate che potevano fornirgliele. Forestieri erano così i numerosi artigiani che lavoravano alla crescita edilizia, i muratori lon- gobardi (ma anche i gestori delle taverne e i panettieri) provenienti dal nord Italia e i lapicidi dalla Toscana (da Carrara, in particolare), mentre i mercanti e i merciai giungevano dal napoletano e dall’Umbria e i sarti da Palermo. Anche la burocrazia e l’esercizio delle professioni erano pressoché interamente affidati a forestieri provenienti dalla vicina Polizzi, dal messinese, dal regno di Napoli, da Palermo. Da Polizzi a metà Cinquecento giunse il notaio Pietro Paolo Abruzzo (1521-1602), che soppiantò rapidamente il notaio Nicolò Matteo De Castro, palermitano, e si costituì una numerosa clientela che com- prendeva anche parecchi abitanti della vicina Pollina − dove egli perio- dicamente si recava a rogare per qualche giorno al mese – che gli restò sempre fedele. Probabilmente la sua rapida affermazione fu agevolata dal matrimonio con Margherita Milana alias Sangallo (†1572)1, figlia del defunto notaio Giacomo, dalla quale ebbe il notaio Fabio, l’utriu- sque iuris doctor Ottavio, il notaio Ortensio e Lucrezia (moglie di Vin- cenzo Provina). Confrate della prestigiosa confraternita di Santa Maria del Soccorso, egli appare refrattario alle cariche, concentrato com’era sulla sua atti- vità di notaio, che non disdegnava anche l’acquisto di numerose partite di seta grezza e soprattutto la concessione di mutui e prestiti a inte- resse. Rogò dal 1553 al 1599 e le sue prestazioni erano molto costose per i clienti; peraltro, nei confronti dei suoi debitori morosi, egli non esitava a promuovere azione di recupero che si concludeva con l’espro- priazione a suo favore del bene su cui il debito gravava, come nel caso dell’abitazione di Bella Occorso, madre della sua domestica Apollonia, che per una rendita annua di onza 1 gli doveva canoni arretrati per onze 4, oltre a tarì 25 di interessi: gli esperti la valutarono onze 13.21 e il notaio se ne impossessò, a compensazione del capitale della rendita (onze 10) e di parte del debito accumulato, consentendo alla Occorso di continuare ad abitarla ancora per l’anno in corso. Di contro Apollo- nia si accollava il debito residuo della madre (onze 1.9), che veniva compensato dai servizi svolti sino ad allora in casa del notaio2. Nel 1584, ormai vedovo della moglie Margherita, Abruzzo viveva da solo con un servitore, un ragazzo di dodici anni, e dichiarava un patri- monio netto di onze 264 (lordo onze 318), costituito da pochi immobili

1 La dote di Margherita comprendeva anche una schiava (Asti, notaio Francesco Guarneri, b. 2233, testamento di Margherita in data 9 marzo 1571 (s. c. 1572), cc. 140 sgg). 2 Ivi, b. 2232, 26 giugno 1562.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Una famiglia di professionisti nella Sicilia del Cinque-Seicento 247 e numerose rendite3. Al successivo rivelo del 1593 lo ritroviamo ancora da solo, senza più neppure il servitore, ma intanto il suo patrimonio netto balzava a onze 703 (lordo onze 810), costituito soprattutto da ren- dite acquistate negli anni precedenti. Abitava in una casa solerata di cinque vani «in lo quarteri di la piacza dentro», che da un lato confinava con la casa che il figlio Ottavio, trasferitosi temporaneamente a Palermo, aveva in precedenza ottenuto in permuta dai cugini Sangallo. Era ubi- cata quindi nel quartiere Vallone, all’inizio della attuale via Sant’Anna, e ritengo gli provenisse proprio dai Milana (Sangallo), ossia dalla fami- glia della moglie. Il suo studio era a poche decine di metri, sulla attuale piazza Margherita, «in una potega… in lo quarteri di la piacza publica». Gli altri immobili erano costituiti da un modesto vigneto in una con- trada San Filippo che non riesco a collocare topograficamente. Il notaio – come si vede – non amava investire i suoi guadagni negli immobili o nei gioielli (ne aveva per un valore di appena un’onza): pre- feriva continuare a concedere mutui a brevissimo termine e soprattutto acquistare numerose rendite al 10 per cento, ciascuna di pochi tarì l’anno, sino a disporne nel 1593 per un capitale di quasi 600 onze, a carico soprattutto di castelbuonesi, ma anche di abitanti di Cefalù, Polizzi, San Mauro e Geraci. Rivelava anche parecchi crediti, tra cui uno di onze 44.10 a carico dell’Università di Castelbuono, con garanzia personale degli amministratori municipali del tempo4. Anche il figlio Ortensio, notaio e giurato nel 1580-82, deceduto in giovanissima età anteriormente al marzo 1582, era solito impiegare i suoi guadagni nella concessione di prestiti con ipoteca sui beni del debitore: nel 1581 il sacerdote Gian Antonio Mineo gli vendette 185 tra pecore e capre, due case solerate di due vani ciascuna, un vigneto, un uliveto. Ho la convinzione che l’atto di vendita simulasse un grosso pre- stito: il sacerdote doveva avere una forte necessità di denaro e il notaio Ortensio non era disposto a fornirglielo senza la garanzia costituita dagli immobili. L’atto di vendita risulta infatti cassato nel dicembre 15835 e negli anni successivi gli stessi beni risultano nuovamente in possesso del sacerdote. Il primogenito del notaio Pietro Paolo, Fabio († 1617), anch’egli notaio, si era trasferito a Cefalù, dove nel 1575 aveva sposato con una dote di 400 onze Autilia Del Duca, figlia di Gian Pietro nonché sorella del noto architetto e scultore Jacopo Del Duca6. Senonché Fabio dis-

3 Trp, Riveli, 1584, b. 939, cc. 538-543. 4 Trp, Riveli, 1593, b. 940, cc. illeggibili. 5 Asti, notaio Filippo Guarneri, b. 2235, 9 ottobre 1581, cc. 68r-69r. 6 In occasione del matrimonio, il padre notaio Pietro Paolo gli donò in conto successione delle rendite annue di onze 5 su Polizzi e Castelbuono e una casa solerata in più vani a Castelbuono (Ivi, b. 2234, 11 gennaio 1574 (s. c. 1575), cc. 116v-117v).

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 248 Orazio Cancila sipò presto i propri beni e anche quelli dotali della moglie, riducendosi in povertà e fortemente indebitato. Nel 1595 avvenne una prima resti- tuzione della dote, che fu completata nel 1613, quando Fabio, ormai vecchio e infermo, assegnò alla moglie una rendita di onze 14.18 per un capitale di onze 146 a carico di abitanti di Castelbuono, la bottega nella piazza di Castelbuono detta la banca, ereditata dal padre (lo stu- dio del notaio Pietro Paolo), e altri beni a Cefalù ereditati dalla defunta zia Barbara Arcabaxio7. Il secondogenito Ottavio (1556-1606), giudice della corte marchio- nale nel 1594, 1600, 1601, 1602 e 1606, mastro notaio dell’Università nel 1595-97 nonché suo avvocato8, quasi certamente aveva conseguito la laurea in utroque iure nell’Università di Catania. Secondo la testimo- nianza del figlio Baldassare, si formò alla scuola dello zio (eius avun- culus), il noto giureconsulto Pietro Andrea Grimaldi (†1591)9, maestro razionale del Tribunale del Real Patrimonio e infine giudice della Regia Gran Corte10, nonché consulente e finanziatore del marchese di Geraci Giovanni III Ventimiglia. Sarà pure vero che Ottavio in gioventù avesse svolto pratica legale nella Regia Gran Corte sotto la guida di Grimaldi, ma mi lascia molto perplesso il rapporto di parentela testimoniato da Baldassare, che non trova alcun altro riscontro nella documentazione. Baldassare attribuisce al padre alcuni scritti giuridici lasciati mano- scritti, come manoscritta rimase la Storia di Castelbuono (Tradado de Castelbono y sus principes, la chiamava il marchese di Geraci in un suo memoriale al sovrano del 1660)11, continuata poi dallo stesso Bal- dassare, che non vide mai la luce e fu dispersa tra Otto e Novecento assieme all’archivio della famiglia Ventimiglia, dove era conservata; oggi ne resta soltanto la memoria e se ne ignora completamente il conte- nuto. Non abbiamo la controprova, ma sono convinto che più che di

7 Atto di restituzione della dote in notaio Salvatore Sanfilippo di Cefalù, 25 novembre 1613, copia nel registro di atti della Cappella del Sacramento di Castelbuono, presso l’Archivio Parrocchiale di Castelbuono, vol. 205, cc. 183 sgg. 8 Nel 1596-97, il salario annuo di onze 8 gli doveva essere corrisposto direttamente dal gabelloto della carne Antonio De Almerico (Asti, notaio Vittorio Mazza, b. 2363, ottobre 1596, cc. 8r-v). 9 B. Abruzzo, Lectura practicabilis, Panormi, 1644, p. 292. 10 Cfr. T. Davies, Famiglie feudali siciliane. Patrimoni redditi investimenti, Sciascia, Caltanissetta-Roma, 1985, pp. 29-31. 11 Memorial genealogico de don Iuan de Ventimilla y Nortman, conde de Ventimilla, vigesimo quinto conde, y undecimo marques de Irachi, y primero de todos de los reyno de Sicilia, quarto principe de Castelbono y tercero de la Escaleta. Baron de las dos Tusas, S. Mauro, Polina, Guidomandro, Nisoria, Rapisi, Gaureri, Casteluzo y Forestas de Traina ... que presenta al rey n. señor don Iuan de Ventimilla y Aragon su hermano, Madrid, 1660, c. 18v, n. 34.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Una famiglia di professionisti nella Sicilia del Cinque-Seicento 249 una storia del borgo, essa fosse soprattutto una storia dei Ventimiglia, ai quali egli era molto legato. Ottavio Abruzzo era certamente un professionista molto preparato e molto colto, come documentano il suo inventario post mortem (1606)12 e soprattutto l’elenco dei suoi libri (bona mobilia reperta in scriptorio) che nel 1611 i figli assegnarono alla vedova a parziale restituzione della dote13. Purtroppo i due notai, con scrittura a volte ostica, hanno rile- vato dai frontespizi quelli che, spesso senza comprenderli, sembravano a loro autori e titoli, che inoltre indicavano molto sommariamente. E tuttavia il numero (oltre cento) e la qualità dei testi che possono comunque rilevarsi dalle trascrizioni che riporto in appendice docu- mentano una circolazione della cultura giuridica del tempo molto capil- lare, se giungeva anche nelle località più remote dell’Europa, come era la Castelbuono del tempo, e dimostrano che il suo proprietario si muo- veva in un orizzonte europeo e cosmopolita. Con una forzatura, per definire il fenomeno, potremmo anche usare il termine “globalizza- zione”, oggi di moda, che, grazie all’adozione della comune lingua latina, consentiva al giudice castelbuonese di potere utilizzare testi editi non soltanto a Palermo, Venezia (soprattutto), Roma e Bologna, ma anche a Lione, Francoforte, Basilea, e di recepire stimoli esterni che ne influenzavano i comportamenti. Ovviamente, si trattava di una circolazione tra élite molto ristrette, perché i ceti subalterni e una parte delle stesse élite ne rimanevano del tutto estranee. Tra le opere indivi- duate, oltre ai testi canonici del diritto, con particolare attenzione a quello siculo, mi piace segnalare la presenza dell’opera sulla nobiltà di André Tiraqueau, ancor oggi ritenuta fondamentale dagli studiosi che si occupano di questioni attinenti alla nobiltà. Mancavano invece i testi letterari in lingua italiana, presenti soltanto con la Gerusalemme libe- rata, il Pastor fido e uno spezzone del Petrarca14. Il suo primo incarico di avvocato documentato è il patrocinio nel 1583 a favore di mastro Vincenzo Ventimiglia di Tusa15. Nel 1585 egli era a Castelbuono uno dei tre rettori della confraternita del Sacra-

12 Asti, notaio Gian Giacomo Russo, b. 2299, 12 settembre 1606, cc. 3v-5r. 13 Asti, notaio Baldassare La Prena, b. 2346, 13 ottobre 1611, cc. 92v-93v: retentio dotium pro Altadonna. 14 Ho pensato che l’Abruzzo, per la familiarità con il marchese di Geraci, fosse potuto entrare in possesso della ricchissima biblioteca di don Cesare Ventimiglia, prozio del marchese, deceduto nel 1583, ma tra i 121 libri lasciati dal prelato quelli di diritto erano rari, come quelli di scienze naturali, mentre parecchi erano i classici latini e greci, i testi italiani di letteratura, di storia e di geografia, i testi sacri e le vite di santi (O. Cancila, Nascita di una città. Castelbuono nel secolo XVI, Associazione Mediterranea, Palermo, 2013, p. 715, http://www.storiamediterranea.it/portfolio/nascita-di-una-citta-castelbuo no-nel-secolo-xvi/). 15 Asti, notaio Filippo Guarneri, b. 2235, 5 gennaio 1582, s. c. 1583, c. 178r.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 250 Orazio Cancila mento e l’anno successivo uno dei deputati per la fabbrica della nuova Matrice, ma nel 1588, appena sposato, era costretto a vivere con la famiglia a Pollina in casa d’affitto, perché il capomastro cui aveva affi- dato la ristrutturazione della sua casa castelbuonese non rispettava la scadenza dei termini16. Proprio quell’anno aveva sposato a Pollina la ricchissima Altadonna Ortolano (1570-1639)17, che l’anno successivo comincerà a dargli una schiera di figli: l’utriusque iuris doctor Francesco (n. 1589), il medico Gaspare (1600-1674), l’utriusque doctor e sacrae teologiae et philosophiae professor Baldassare (1601-1665), Margherita, Maria, Barbara, Tommasa, Antonina18. In previsione del matrimonio, Ottavio aveva acquistato pochi mesi prima due case collaterali nel quartiere Piazza dentro (di fronte la chiesa della Misericordia), una di due vani (soprano e sottano) e l’altra solerata19, che il giorno dopo cedette ai parenti Ippolito e Vincenza Sangallo alias Milana, ottenendo in cambio una casa solerata nello stesso quartiere, limitrofa all’abita- zione del padre notaio Pietro Paolo (in prossimità dell’antica Porta di terra): era proprio questa l’abitazione che doveva essere ristrutturata. Alla professione di avvocato, Ottavio Abruzzo alternava quella di arbitro nelle controversie le cui controparti ritenevano più utile risol- verle privatamente. Nell’aprile 1589, insieme con il collega Gian Pietro Prestigiovanni fu chiamato a dirimere, come «arbitri et iudices compro- missarii», una lite tra Ottavio e Francesco Lupo fu Marco Antonio, da una parte, e il loro ex tutore Bartolo Ficarra, dall’altra. Il primo set- tembre successivo, i due arbitri emisero la sentenza di condanna del Ficarra a restituire ai Lupo i due terzi dei frutti pendenti dei beni stabili annotati nell’inventario post mortem di Marco Antonio, sentenza che fu letta dagli arbitri, «pro tribunali sedentes», alle due controparti nel- l’abitazione dell’avvocato Abruzzo, scelta come sede del giudizio («pro loco curie electo»). La sentenza fu registrata agli atti della Curia Com- promissaria, da cui il mastro notaio Gian Francesco Prestigiovanni estrasse la copia che è oggi conservata agli atti del notaio Abruzzo: «ex attis Curie Compromissarie… extratta est presens copia»20.

16 Ivi, b. 2236, 3 dicembre 1588, cc. 35r-36r. 17 Figlia di Andrea Ortolano, defunto barone di Pasquale (territorio di Cammarata), e sorella di Giovanni, barone di Pasquale, nonché dei baroni di Bordonaro, Egidio e Domenico Ortolano, Altadonna disponeva di una dote elevatissima, onze 1600, che i fratelli, sulla base del contratto matrimoniale redatto a Palermo dal notaio Francesco Almao in data 1 gennaio 1587 (s. c. 1588), si impegnarono a versare ratealmente nel corso degli anni successivi. 18 Gaspare nel 1626 sposerà Francesca Agliuzzo, Margherita nel 1616 Vincenzo Ruberto, Maria nel 1626 Ortensio Di Vittorio jr, Barbara nel 1626 Martino Giaconia di Geraci (fratello o nipote dell’arciprete di Geraci don Nicolò Giaconia), Antonina Giuseppe Leta. 19 Asti, notaio Filippo Guarneri, b. 2236, 19 marzo 1587 (s. c. 1588). 20 Asti, notaio Pietro Paolo Abruzzo, b. 2195, 13 settembre 1589, cc. 27r-32r.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Una famiglia di professionisti nella Sicilia del Cinque-Seicento 251

Dal 1594, l’uid Ottavio, ormai giudice del marchesato, carica che alternava con quella di avvocato dell’Università, visse stabilmente a Castelbuono e in giugno acquistò un’altra casa solerata confinante con la sua abitazione21. Ma la nascita di altri figli rendeva insuffi- ciente l’abitazione e perciò nel 1597 Ottavio assunse in affitto dai figli del defunto medico Scipione Granozzo una grande casa con giardino nel quartiere Vallone. La locazione per un canone molto pesante era valida per la sola annata 1597-98, ma nel luglio 1599 Ottavio ne era ancora locatario e negli anni successivi la acquistò con patto di ricom- pra, che ancora nel 1665, alla morte di Baldassare, non era stato esercitato dagli eredi del dr. Granozzo. Contemporaneamente, attra- verso il cugino Ippolito Sangallo, acquistava numerose partite di seta grezza, con anticipazione di denaro ai produttori e consegna al rac- colto al prezzo della meta. Alla sua morte nel 160622 egli lasciò agli eredi un patrimonio rag- guardevole, costituito non tanto da immobili quanto essenzialmente da rendite, che solo parzialmente aveva ereditato dal padre Pietro Paolo, perché la parte più consistente era frutto delle sue attività. Dopo la restituzione della dote alla vedova Altadonna, i suoi figli nel 1607 rive- lavano infatti un patrimonio netto di 2238 onze, mentre Altadonna, per suo conto, rivelava beni per altre onze 1733. In tutto, la famiglia Abruzzo possedeva un patrimonio netto di onze 3971, che la collocava al secondo posto per ricchezza complessiva a Castelbuono. I figli rive- lavano due case confinanti nel quartiere Piazza dentro: «casa solerata in otto corpi con suo baglio… confinanti cum la casa di Virgilio Alteri et di un’altra casa chi li ditti heredi have in comuni cum Fabbio di Abruzzo [loro zio] di prezzo di unzi cento»; «altra casa solerata in cinco corpi… confinanti con la casa sudetta et con la casa di Andria Flodiola et via puplica, la quali tenino in comuni con Fabbio di Abruzzo di Cefalù di prezzo di unci sessanta, chi ad essi heredi ci ni tocca unci trenta». Quest’ultima era l’abitazione del defunto nonno Pietro Paolo Abruzzo, che Ottavio, alla sua morte, aveva ancora in comune con il fratello notaio Fabio. Rivelavano ancora un castagneto a Sant’Ippolito, rendite (onze 1436, di cui onze 1267 in contestazione), oro e argento

21 Asti, notaio Vittorio Mazza, b. 2362, 13 giugno 1594. 22 Testamento in Asti, notaio Gian Giacomo Russo, b. 2299, 5 agosto 1606, cc. 215r- 217v. L’uid Ottavio Abruzzo veniva sepolto nella chiesa di San Francesco, dove sin dal 1592 aveva ottenuto dai frati, in considerazione del patrocinio da lui prestato al convento in più occasioni, «locum unum in medio ecclesie dicti conventus subtus maiorem crucifixum pro sepultura ad libitum dicti Ottavij seu suorum filiorum, heredum, liberorum, posterum et successorum» in perpetuo (Asti, notaio Vittorio Mazza, b. 2361, 14 dicembre 1592, cc. 138r-v).

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 252 Orazio Cancila lavorato (onze 91), una botte di vino, crediti (onze 1242, di cui onze 897 in contestazione), oneri (onze 36) e debiti (onze 552, di cui onze 500 nei confronti della madre per la dote da restituire)23. Altadonna, a sua volta, rivelava la proprietà di «una casa solerata di undice corpe con suo baglio et giardino et soi apartinentii… a lu quar- teri di lu Valluni, confini con la casa di Morganti Peroxino et con la casa di Augustino Domanti [recte: Agostino De Marti]», del valore di 150 onze, molto probabilmente lasciatale dai figli a parziale restituzione della dote, in attesa di riceverne altre 500 a completamento: compren- deva parte dei locali dell’attuale collegio di Maria, che l’uid Ottavio aveva ottenuto dagli eredi del defunto medico Scipione Granozzo, i quali nel 1639 ne contestavano ancora il legittimo possesso agli Abruzzo. Altadonna rivelava inoltre un’altra casa terrana nello stesso quartiere, una casa a Pollina, rendite (onze 30) e crediti (onze 1542), tra cui – come si è già detto – le onze 500 nei confronti dei figli per il completamento della restituzione della dote e onze 999 «in contencione supra lu fego di Pasquale». Di contro aveva oneri e debiti per onze 4924. Nove anni dopo, nel 1616, il rivelo a nome di Altadonna Abruzzo – redatto da Giustiniano Panclis «d’ordine et voluntà di la sopradetta revelante per non sapere scrivere» – comprendeva tutti i beni della famiglia, ossia i soliti immobili con in più, in comune con i fratelli Orto- lano, una casa «palazzata in corpi cinque» nella piazza di Pollina e due oliveti in territorio di Pollina. Le rendite si erano però volatilizzate: ne rimaneva soltanto una a carico del nipote Gregorio Provina per un capi- tale di appena onze 30. Anche il valore di gioielli e argenteria si era ridotto (onze 70). Con le 300 onze che i fratelli dovevano ancora ad Alta- donna la ricchezza lorda degli Abruzzo ammontava a onze 1027, che si riducevano a onze 842 a causa degli oneri e debiti per onze 185 che vi gravavano, tra cui onze 100 per resto di dote al genero Vincenzo Ruberto, il quale proprio nel 1616 aveva sposato Margherita con una dote di onze 30025. L’arretramento rispetto al 1607 era pesante! Della famiglia di Altadonna facevano ancora parte i figli Gaspare, Baldassare, Maria, Barbara e Antonina, mentre di Francesco non c’è traccia né nel rivelo del 1616 né in quello del 1623. Francesco, che nel 1610 era indicato dai notai come chierico, nel 1611 aveva abbandonato l’abito talare ed era già laureato in utroque iure, grazie al contributo finanziario degli zii materni in conto della dote di Altadonna, come si legge in una transazione del 1625: «alias partitas… solutas uid Fran-

23 Trp, Riveli, 1607, b. 941, , cc. illeggibili. 24 Ivi, cc. 229r-230r. 25 Trp, Riveli, 1616, b. 945, cc. 384r sgg.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Una famiglia di professionisti nella Sicilia del Cinque-Seicento 253 cisco de Abrutio pro eius doctoratu et manutentione studii dicti Fran- cisci tam in urbe Panhormi quam Cathane»26. E poteva così assumere con Antonio La Fracita il patrocinio di mastro Antonio Capuana nella lite per beni ereditari27 e fare da giudice compromissario in una ver- tenza tra gli eredi di Epifanio Peroxino e il chierico Gian Simone Mili- tello alias Ruberto fu Francesco28, ruolo ricoperto più volte anche negli anni successivi. Nella sua qualità di tutore dei fratelli, nel 1615 otte- neva dal marchese Giovanni III Ventimiglia una cessione di crediti per onze 95, a saldo delle onze 200 che il feudatario doveva al padre Ottavio sin dall’ottobre 159529. Per compiacerlo, nel 1618 partecipò all’asta per l’arrendamento del marchesato di Geraci, organizzata a favore di un prestanome del marchese30. E nello stesso anno assumeva il patrocinio dei coniugi Antonia e mastro Giuliano La Vizza in una causa presso la curia capitanale per un compenso di onze 231, mentre il compenso del patrocinio prestato alla vedova Elisabetta Trentacoste nell’azione di recupero di un giardino gli era pagato in natura: l’affitto per un anno dei gelsi del giardino per un valore di onze 532. Contemporaneamente prestava assistenza legale al sacerdote Francesco Pagesi, suo cliente per un quinquennio33. Nel 1620, infine, svolgeva a Castelbuono le fun- zioni di giudice della Gran Corte Marchionale, mentre l’anno successivo il marchese Francesco III gli affidava il patrocinio della Società dei Bianchi, di cui era governatore, che la vedova del defunto giudice Romanzolo aveva chiamato in giudizio presso il Tribunale della Regia Monarchia34. Nel 1623, la composizione della famiglia di Altadonna non aveva subito cambiamenti: Francesco continuava a non farne parte, mentre Baldassare, che invece ne faceva parte, «habita[va] in Palermo» dove svolgeva pratica legale, e Gaspare aveva già conseguito la laurea in medicina ed esercitava la professione. Il patrimonio netto della famiglia si era ulteriormente ridotto a onze 405, anche perché una delle case era stata temporaneamente assegnata in comodato al genero Ruberto in conto della dote di Margherita, in attesa che si definisse la compen-

26 Cfr. Asti, notaio Vittorio Mazza, b. 2366, 6 settembre 1625, c. 5v: transazione tra Altadonna e gli eredi del fratello Egidio. 27 Asti, notaio Baldassare La Prena, b. 2346, 12 settembre 1611, c. 14r. 28 Ivi, b. 2343, 20 settembre 1613, c. 82v. 29 Asti, notaio Filippo Guarneri, b. 2243, 12 settembre 1615, cc. 9r sgg. 30 Asti, notaio Baldassare La Prena, b. 2344, 7 agosto 1618, cc. 185v sgg. 31 Asti, notaio Vittorio Mazza [recte: notaio Francesco Muxa], b. 2364, 27 ottobre 1618, cc. 42r sgg. 32 Ivi, 16 marzo 1619, cc. 165v-166r. 33 Asti, notaio Francesco Schimbenti, b. 2293, 13 luglio 1620, c. 310v. 34 Asti, notaio Filippo Guarneri, b. 2250, 3 febbraio 1621, c. 228v.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 254 Orazio Cancila sazione: «otto anni sono che li donano casa franca et si deve fare la compensatione»35. Qualche anno dopo, nel 1626, convolavano contem- poraneamente a nozze Barbara con Martino Giaconia di Geraci (fratello o nipote dell’arciprete di Geraci don Nicolò Giaconia); il medico Gaspare con Francesca Agliuzzo (†1662), figlia del medico Ottavio e di Rutilia Di Vittorio nonché cugina di Ortensio Di Vittorio jr, il quale, vedovo, a sua volta sposava Maria36, da cui nascerà Barbara, moglie di Mario Piraino, primo barone di Mandralisca. In occasione della stipula dei capitoli matrimoniali di Maria, Fran- cesco si trovava da alcuni anni a Petralia Sottana, dove – dopo un ritorno a Castelbuono nel 1628-30 per tenervi nuovamente l’incarico di giudice del marchesato – visse sino alla morte ab intestato all’inizio del 163437. Gli eredi, la madre Altadonna e i fratelli Gaspare e Baldas- sare, decisero che la giumenta spettasse a Gaspare, con una valuta- zione di onze 10, e tutti i codici e i libri a Baldassare, con una valutazione di onze 50, e lasciarono indivisi tutti gli altri beni, tra cui l’abitazione petraliese nel quartiere Badia, un vigneto, un certo numero di suini e di ovini e altro. Nel caso il possesso della giumenta fosse stato contestato, «stante quella essere dell’erranteria» (era stata cioè acqui- stata all’asta da Francesco come animale disperso), Gaspare doveva essere risarcito dai due congiunti; e così pure Baldassare nel caso si fosse scoperto che alcuni libri erano tenuti in pegno e non erano pro- prietà del defunto («che ci siano alcuni peczi alieni dati in pigno a ditto quondam dottor Francisco»)38. Al rivelo del 1636, Altadonna e il figlio Gaspare, denunciavano cia- scuno per un terzo i beni di Petralia. Inoltre Altadonna – che viveva con il figlio chierico Baldassare, mentre Antonina nel 1630 aveva sposato Giuseppe Leto di Geraci – rivelava due terzi dell’abitazione castelbuo- nese e di un podere a Pollina, mezza casa solerata a Castelbuono nel

35 Trp, Riveli, 1623, b. 947, cc. Illeggibili. 36 Altobella e i figli uid Francesco (assente perché a Petralia Sottana), medico Gaspare e dottor Baldassare (non ancora sacerdote quindi) donavano a Maria che sposava Ortensio Di Vittorio jr una casa del valore di onze 100 nel quartiere Piazza dentro, confinante con casa degli eredi di Andrea Flodiola e casa degli eredi di Virgilio Alteri; e ancora onze 110 in biancheria e utensili di casa, onze 50 in contanti, onze 12 di legato di maritaggio del fu Andrea Ortolano, suo avo materno, onze 8 legato di maritaggio di Antonino Ortolano, consanguineo della sposa, onze 10 legatele dalla fu Margherita Ortolano e Rabbeni, altro legato di onze 10, onze 40 che gli Abruzzo dovevano avere dai fratelli Paolo e Pietro Ortolano del fu Egidio, ossia dai gabelloti di Bordonaro soprano. Inoltre Gaspare le donava onze 30, da versare un anno dopo la benedizione nuziale. Gli Abruzzo donavano le onze 200 pretese sul feudo Pasquale. Ortensio costituiva alla sposa un dotario di onze 30. (Asti, notaio Antonino Rohasi, b. 2322, 22 marzo 1626). 37 Cfr. Asti, notaio Francesco Prestigiovanni, b. 2231, 1 febbraio 1634, cc. 344r sgg. 38 Ivi, 2 marzo 1634, cc. 374r sgg.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Una famiglia di professionisti nella Sicilia del Cinque-Seicento 255 quartiere Vallone, la solita rendita per un capitale di onze 30 a carico degli eredi Provina, che le dovevano anche arretrati per onze 34, ossia per 11,3 annualità, e infine 30 pecore, con un solo onere annuo di tarì 12 a favore della chiesa di San Giuliano di Pollina. In tutto un patri- monio netto di onze 277.14, molto ridimensionato rispetto a quello rive- lato nel 160739. Nel gennaio 1639 Altadonna dettò il suo testamento: voleva essere sepolta nella chiesa di San Francesco, accanto al marito Ottavio, e nominava eredi universali i figli don Baldassare e Gaspare40. Don Baldassare Abruzzo fu certamente uno degli uomini più illustri di Castelbuono. Autore di testi giuridici assai apprezzati dai contem- poranei41, scrisse anche un Dialogus de sanctorum angelorum custodia. Opusculum mirae devotionis, ac non minoris eruditionis (apud Petri de Insula, Panormi, 1651)42, in collaborazione con il nipote acquisito uid Tommaso Vittimara, allora residente a Collesano; una Storia della Sici- lia in latino, inedita presso la Biblioteca Comunale di Palermo; e delle Additiones ad historiam Castriboni Ottavii Abruzzi patris, che costitui- vano la continuazione della storia di Castelbuono del padre Ottavio, anch’essa conservata nell’archivio del marchese di Geraci e quindi anch’essa dispersa43. Gli Scrittori d’Italia del Mazzuchelli44 e il Diziona- rio Biografico dei Giuristi Italiani45 gli attribuiscono anche la Practica iuris quaestiones, pubblicata a Palermo 1663, che in realtà, come ha accertato M.T. Napoli, è la ristampa con altro titolo della Lectura prac- ticabilis del 1643, priva della dedica allo spagnolo Gaspare Criales e dei riferimenti alla Regia Monarchia46. Il suo primo approccio con il diritto fu certamente influenzato, come del resto anche per il fratello maggiore Francesco, dalla memoria del padre Ottavio, che lo aveva lasciato bambino di appena 5 anni, e dal

39 Trp, Riveli, 1636, b. 950, cc. 241 sgg. 40 Asti, notaio Vittorio Ortolano, b. 2382, 14 gennaio 1639, cc. 180v-182v. 41 Tra cui Interpretactio ad pragmaticam unicam de modo procedendi summarie, et de plana, sola facti veritate inspetta, Panormi apud Alphonsum de Isola, 1638; Lectura practicabilis, Panormi ex typographia Alphonsi de Isola, 1644; Commentaria duo ad capitulum LXIII maiestatis Ferdinandi, Hispaniorum et Siciliae catholici regis, Panormi apud Decium Cyrillum, 1647; Tractatus de nonnullis Regiae Monarchiae Siciliae Regni ultra Pharum praeheminentiis, inedito. 42 Dedicato ad Antonio Ronquillo, presidente del Regno di Sicilia. 43 Octavii Abruzzo, Castrumbonum sive historiam Castriboni, cum additionibus Balthassaris Abruzzo, ms. apud marchiones Hieracenses. 44 G. Mazzuchelli, Gli scrittori d’Italia cioè notizie storiche e critiche intorno alle vite e a agli scritti dei letterati italiani, Brescia, 1753, vol. I, parte I, ad vocem. 45 Il Mulino, Bologna, 2013, vol. I, ad vocem, redatta da M.A. Cocchiara. 46 M.T. Napoli, Censura e giurisdizione. Il Tractatus de nonnullis Regiae Monarchiae ultra Pharum preheminentiis di Baldassarre Abruzzo (1601-1665), Aracne, Roma, 2012, p. 79, n. 111.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 256 Orazio Cancila desiderio di ripercorrerne la strada, grazie anche all’ausilio della sua biblioteca ben fornita di testi di diritto. Sappiamo già che nel 1623, al momento della presentazione del rivelo da parte della madre, Baldas- sare Abruzzo abitava a Palermo, presso il cui collegio gesuitico si era addottorato in teologia alla scuola di padre Francesco Garofalo: «me docuit eruditissimus eximij ingenij quondam pater Franciscus Galofa- lus iesuita felic. recordat. in almo Gymnasio Panormitano tunc tem- poris Sacrae Theologiae»47. E sempre a Palermo si era dedicato anche agli studi giuridici sotto la direzione del giurista termitano Giuseppe Faraci («sub cuius auspiciis ego, adhuc iuvenis, nunnulla didici in fae- licissima urbe Panormi»)48, conseguendo la laurea in utroque iure. Il primo incarico come avvocato gli fu conferito a Castelbuono nel dicembre 1622 dal notaio Vittorio Mazza e da Giustiniano Panclis – che per ordine del Tribunale dell’Inquisizione scontavano un periodo di relegazione in località religiose fuori le mura cittadine – per il recupero dal segretario del Sant’Uffizio di alcune somme di denaro49. L’anno suc- cessivo, i fratelli Bonafede, facoltosi gabelloti, in lite per una compra- vendita di una partita di grano con la vedova suor Imperia Peroxino, gli affidarono la loro difesa sia nella Regia Gran Corte sia in qualsiasi altra Corte ecclesiastica o secolare50. Baldassare aveva cominciato a far pratica come auditor presso la Regia Gran Corte, nella quale nel 1622 era giudice il cugino Andrea Ortolano, più volte indicato come «meus dulcissimus consobrinus», il quale a giudicare dai pochissimi accenni autobiografici sparsi nelle opere costituì per lui, patrocinante nella Regia Gran Corte, un importante punto di riferimento51, «sub cuius auspiciis [nel 1624] ego tunc satis iuvenis… elucubravi» presso il Tribunale del Real Patrimonio, come difensore del concittadino Nicolò Antonio Cusimano Maurici52. E che all’occorrenza gli forniva anche testi, come nel 1627 quando gli mise a disposizione il manoscritto del Tractatus de Regia Monarchia di Antonino Scibecca allora conservato presso la Gran Corte53.

47 B. Abruzzo, Lectura practicabilis cit., p. 215. 48 Ivi, p. 121. A proposito del Faraci, scrisse anche che «sub eius auspitiis iuvenis legum facultati operam dederimus» (Id., Interpretactio ad pragmaticam unicam de modo procedendi summarie, & de plana, sola facti veritate inspetta, Panormi, 1638, p. 99. 49 Asti, notaio Filippo Guarneri, b. 2252, 26 e 28 dicembre 1622, cc. 144r-145r, 148r-v. 50 Ivi, 11 giugno 1623, cc. 337v sgg. 51 M.T. Napoli, Censura e giurisdizione cit., p. 57. Il giudice Andrea Ortolano era figlio di Domenico Ortolano, fratello della madre Altadonna (cfr. F. Cangelosi, Pollina nel ‘500. Documenti e ricerche, Edizioni “Le Madonie”, Castelbuono, 1985, p. 69; Id., Scenario quotidiano di Pollina nel ‘600, Le Madonie, Castelbuono, 1993, p. 56). 52 B. Abruzzo, Interpretactio ad pragmaticam unicam cit., p. 166. 53 B. Abruzzo, Tractatus de nonnullis Regiae Monarchiae ultra Pharum preheminentiis, in M.T. Napoli, Censura e giurisdizione cit., pp. 157-158.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Una famiglia di professionisti nella Sicilia del Cinque-Seicento 257

Nel 1625 Baldassare Abruzzo ritornò a Castelbuono per esercitarvi l’avvocatura e a lui il fratello Gaspare affidò la procura per transigere per una somma non inferiore a 900 onze nella vertenza intentata dalla famiglia contro gli zii materni circa l’eredità spettante alla madre Alta- donna54. Un mese dopo si giunse alla transazione, che riconosceva agli Abruzzo un indennizzo di onze 900 a carico di Paolo Ortolano fu Egidio, nipote ex fratre di Altadonna, oltre a un terzo dell’eredità di Antonina, madre di Altadonna55. L’anno successivo (1626) patrocinava presso la Curia Marchionale in difesa del notaio Vincenzo Cridenzeri contro don Francesco Aiello (credo fossero entrambi abitanti di Tusa): il giudice Cesare Ventimiglia accettò la sua tesi secondo cui un salario non pat- tuito a priori non era dovuto, ma era equo corrisponderlo se l’incom- benza fosse stata faticosa, come nel caso di una tutela56. Difese anche Clemente Castiglia nella causa con Leonardo Battaglia57 e fu proprio allora che, prevedendo non lontano un suo ritorno a Palermo, rilasciò procura generale al fratello Gaspare, revocata un trentennio dopo, nel 1657. Nello stesso 1626 lo ritroviamo infatti a colloquio con il giure- consulto Simone Sitaiolo nella città di Palermo58, dove dimorava («inco- latum facerem») anche nel 162759. E fu certamente lui il difensore nella Regia Gran Corte di Vincenzo Ruberto, suo cognato, contro il sacerdote Michele Trentacoste, il quale dopo avergli concesso una dilazione quin- quennale per il recupero di un credito continuava a molestarlo60. Dalla fine degli anni Venti la sua presenza a Castelbuono si fece più assidua, impegnato come avvocato, talora giudice compromissario e

54 Asti, notaio Vittorio Mazza, b. 2365, 5 agosto 1625, cc. 405r-v. 55 Ivi, b. 2366, 6 settembre 1625, cc. 5r sgg. 56 B. Abruzzo, Interpretactio ad pragmaticam unicam cit., p. 161: «licet regolariter salarium non conventum non debeatur, tamen ex aequitate debetur, quando officium fuit laboriosum». Cesare Ventimiglia, giudice della Gran Corte Marchionale dalla fine del 1622, era figlio di don Carlo, conte di Naso; aveva studiato a Pisa, dove fu anche testi- mone di lauree nel marzo 1583 e nel marzo 1589 (R. Moscheo, Mecenatismo e scienza nella Sicilia del ‘500. I Ventimiglia di Geraci ed il matematico Francesco Maurolico, Messina, Società Messinese di Storia Patria, 1990, p. 166n), ma si laureò in utroque iure a Bologna il 27 febbraio 1590 (M.T. Guerrini, “Qui voluerit in iure promoveri...”: i dottori in diritto nello Studio di Bologna (1501-1796), Clueb, Bologna, 2005, p. 330). Nel dicembre successivo, mentre egli rivestiva l’incarico di priore insieme con Francesco Claudini di Mondaino, nell’atrio dell’Archiginnasio bolognese fu collocata una lapide in onore del professore Melchiorre Zoppio con l’assenso dei sei assessori alla memoria, tra cui Ales- sandro Tassoni, l’autore del poema eroicomico La secchia rapita. 57 B. Abruzzo, Interpretactio ad pragmaticam unicam cit., p. 177. 58 Id., Lectura practicabilis cit., p. 54. 59 Id., Tractatus de nonnullis Regiae Monarchiae ultra Pharum preheminentiis cit., p. 157. 60 Id., Interpretactio ad pragmaticam unicam cit., p. 187: «debitor [recte: creditor] qui obtenuit dilationem quinquennalem, ea dilatione pendente, non possit molestare suos debitores».

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 258 Orazio Cancila nel 1630-31 giudice della Gran Corte Marchionale. Secondo i suoi bio- grafi, che si ripetono l’un l’altro, Abruzzo svolse la professione di avvo- cato per 13 anni («applicatosi al foro, difese molte cause e comentò e dilucidò alcune nostre leggi»)61, ma sulla durata della sua professione di avvocato è lui stesso a creare imprecisione, perché se nel 1651 ricor- dava al nipote uid Tommaso Vittimara di essere stato per 13 anni «dot- tore seculare»62, nel 1638 affermava che per 15 anni era stato impegnato in diverse curie del Regno di Sicilia63. Non si conosce comunque con esattezza l’anno del suo passaggio allo stato sacerdo- tale: non era ancora avvenuto nel marzo 1634, mentre nel 1636 egli risultava, come sappiamo, convivente con la madre Altadonna a Castel- buono come «C. me dr. d. Baldassare sacte figlio», ossia come «chierico, maschio d’età [superiore a 18 anni], dottore, don Baldassare sacerdote, figlio [del capofamiglia Altadonna Abruzzo]». Come chierico era soggetto al rivelo, ma come sacerdote non doveva invece essere inserito tra i familiari perché esente, come esenti erano i suoi beni, che infatti non risultavano rivelati. E allora: era chierico o sacerdote? In realtà, già allora egli era passato allo stato sacerdotale, perché nel novembre 1636 da Randazzo, dove evidentemente allora soggior- nava, come sacerdote e utriusque iuris doctor dedicava all’arcivescovo di Messina Biagio Proto (1626-1646) il primo dei suoi lavori a stampa, l’Interpretactio ad pragmaticam unicam64, pubblicato poi due anni dopo a Palermo con un incredibile refuso (Interpetractio) proprio nel titolo sul frontespizio, che però si ripete anche nel testo e fa pensare a un vero e proprio errore. Nella lunga dedica, Baldassare ringraziava con molto calore l’alto prelato per avere favorito in tutti i modi il suo desi- derio di ascendere al sacerdozio, per avergli affidato l’incarico di avvo- cato fiscale nella Gran Corte Arcivescovile di Messina e averlo infine scelto come uno dei giudici della corte arcivescovile in occasione delle

61 Cfr. «Giornale di scienze, letteratura ed arti per la Sicilia», 1834, pp. 18-19; D. Orlando, Biblioteca di antica giurisprudenza siciliana, Palermo, 1851, p. 46. 62 B. Abruzzo, Dialogus de sanctorum angelorum custodia. Opusculum mirae devotionis ac non minoris eruditionis, Panormi, 1651, p. 52. Dell’operetta, irrintracciabile nelle biblioteche italiane, sembra esista un solo esemplare, quello della Biblioteca centrale della Regione Siciliana Alberto Bombace di Palermo, ai segni BPRARI SIC. 95, che mi è stato agevole consultare grazie alla cortesia di Peppe Cucco, che ringrazio. 63 Id., Interpretactio ad pragmaticam unicam cit., p. 132: «Tamen ut verum fatear in praxi per annos quindecim in quibus diversis Regni Siciliae in Curijs versatus fui». 64 Vi commentava la prammatica 24 marzo 1577 del viceré Marco Antonio Colonna sul «modo di procedere summariamente nelle cause criminali e civili» (cfr. Constitutioni prammaticali del Regno di Sicilia fatte sotto il felicissimo governo dell’illustrissimo, & eccellentissimo vicere, luogotenente, et capitano generale il signor M. Antonio Colonna, Palermo, 1583, disponibile presso la Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, collocazione Rari Sic. 441).

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Una famiglia di professionisti nella Sicilia del Cinque-Seicento 259 visite periodiche alle varie comunità della diocesi («et tandem me in Assessorem ordinarium in visitactione elegisti»)65. E non è improbabile che l’occasione della conoscenza tra i due, Baldassare e l’arcivescovo messinese, fosse stata proprio la visita pastorale che l’arcivescovo Proto fece nel giugno 1634 nei centri abitati del marchesato di Geraci e quindi a Castelbuono, capitale del marchesato. «Fattosi sacerdote si trasferì in Roma, ove assai si distinse e fu ascritto nell’accademia del gius pontificio»: così si legge nella breve nota a lui dedicata nel 1834 dal «Giornale di scienze, letteratura ed arti per la Sicilia». La sua permanenza romana dovrebbe collocarsi tra il feb- braio 1637 (si trovava allora a Taormina in visita come assessore66) e il febbraio 1643, quando si schierò a favore del clero di Mistretta contro il medico Antonino Agnello, seguendo l’insegnamento di Gaspare Cria- les, «vir eximii ingenii et numquam satis laudatus»67, dal 1640 giudice della Regia Monarchia di Sicilia (Legazia Apostolica) e futuro arcive- scovo di Reggio Calabria, al quale nell’ottobre successivo dedicò da Castelbuono la sua nuova opera, Lectura practicabilis, una accurata rassegna della giurisprudenza sui poteri della feudalità laica ed eccle- siastica e sui rapporti con i vassalli. Dal frontespizio dell’opera, pubblicata l’anno successivo, si rileva che Abruzzo, professor in sacra theologia et philosophia, aveva soggior- nato per qualche tempo a Roma dove aveva esercitato come avvocato («olim in alma urbe causarum patronus»), dopo avere esercitato l’avvo- catura nei più alti tribunali del Regno di Sicilia e tenuto l’incarico di assessore presso l’arcivescovato di Messina. A Roma nel 1637 si occupò del giudizio presso la Congregazione dei vescovi e regolari a carico dell’arcivescovo Proto, «accusato dal Senato messinese, che pre- tendeva il suo trasferimento invitus [= forzato], dei reati più disparati, quali simonia, corruzione, estorsione, traffici illeciti (ovvero quei reati che suscitavano scandalum e dunque motivo di trasferimento o di per- dita del beneficio), a causa dell’intransigente difesa dell’arcivescovo della propria giurisdizione». Accuse dalle quali Proto fu assolto68, sal- vandosi dal trasferimento a Mazara, anche perché si affermò il princi- pio secondo il quale neppure il papa poteva costringere, senza giusta causa, un vescovo o un abbate a trasferirsi di sede contro la sua volontà (invitus)69. L’anno successivo Abruzzo fece parte dei professori

65 B. Abruzzo, Interpretactio ad pragmaticam unicam cit., p. 3. 66 Id., Lectura practicabilis cit., p. 357. 67 Ivi, pp. 107-108. 68 M.T. Napoli, Censura e giurisdizione cit., pp. 58-59. 69 Ecco come egli nel Tractatus ricorderà i fatti: «Cum anno 1637 adessem in alma Urbe, Illustriss. et Reverendiss. D. Blasius Proto, archiepiscopus messanensis, tunc esset inquisitus ad instantiam multum illustris Procuratoris generalis fiscalis Sanctitatis

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 260 Orazio Cancila di filosofia, teologia e diritto dell’Accademia di San Girolamo della Carità di Roma: «per Philosophie, Theologie et Canonum Professores, inter quos ego aderam, fuit proposita…»70. La Napoli ritiene che possa collocarsi nel periodo romano «la sua nomina a vicario generale di Pavia, carica a cui rinunciò adducendo motivi di salute, per ritirarsi definitivamente in Sicilia»71. Baldassare non ritornò più al servizio dell’arcivescovo Proto, che era entrato in conflitto non soltanto con il Senato di Messina ma anche con il Tribunale della Regia Monarchia72, del quale come si è detto era giudice il Criales. In realtà, il conflitto con il Tribunale della Regia Monarchia andava oltre la persona di Proto e riguardava i complessi rapporti politico-giurisdizionali con la Santa Sede, che nell’ultimo decennio si erano fortemente deteriorati, perché le curie ecclesiastiche non erano disposte a cedere prerogative e competenze a favore del tri- bunale regio. Stretto tra l’obbedienza al papa e quella verso il sovrano, Abruzzo optò per la seconda e si avvicinò al vescovo di Cefalù Pietro Corsetto, grande giurista che nel 1607-09 era stato giudice della Regia Gran Corte e successivamente presidente dello stesso Tribunale, pre- sidente del Tribunale del Real Patrimonio, presidente del Concistoro e nel 1640-41, già vescovo di Cefalù, presidente del Regno in assenza del viceré impegnato in Lombardia nella guerra dei Trent’Anni73. Corsetto – deceduto proprio nell’ottobre 1643, mentre Baldassare da Castel-

Sue, adsistente per illustri agente nobilissime urbis Messane pro causi in informationibus contentis, suspicabatur ex parte dicti Archipresulis quod Sanctitas Sua illum cogeret ad renunciandum ad archiepiscopatum et mazariensem episcopatum invitum adire. Cuius anima versaretur in angustiis, mihi tunc cum eo familiariter agenti amicabiliter commisit preces in hoc fundendo ut aliquos super hoc articulo devolverem libros. Et licet hoc ipsum numquam in mentem Summi Presulis Urbani Octavi venerit, ut exitus acta probavit, tamen ego curiosus agendo adinveni aliquos D.D. asserentes Papam non posse sine legitima causa Episcoporum suo episcopatu privare, inter quos Abb. Panor. in prima questione post sua consilia in tota sollemni questione in prima resolutione, potissima ratio quam adducit illa videtur esse quod Dominus noster Iesus Christus, quamvis potestatem Petro tamquam capiti Ecclesie dedisset, adhuc etiam dedit aliis Apostolis dicens: “ite et predicate omni humane creature et accipite Spiritum Sanctum quorum remiseritis peccata remictuntur eis et quorum retinueritis sunt retenta”. Cumque Apostoli habuissent a Deo et de iure divino iurisdictionem eodem modo habent Episcopi qui Apostolorum loco successerunt» (B. Abruzzo, Tractatus de nonnullis Regiae Monarchiae ultra Pharum preheminentiis cit., pp. 183-184). 70 Ivi, p. 185. 71 M.T. Napoli, Censura e giurisdizione cit., p. 59. 72 Ead., La Regia Monarchia di Sicilia. «Ponere falcem in alienam messem», Jovene, Napoli, 2012, p. 506. 73 A Pietro Corsetto ha dedicato un bel profilo Vittorio Sciuti Russi, come introduzione al testo Instrucción para el principe Filiberto quando fue virreynato di Sicilia dello stesso Corsetto, di cui ha curato l’edizione (Il governo della Sicilia in due relazioni del primo Seicento, Jovene, Napoli, 1984, pp. XLIII-LXXXIV, 55 sgg).

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Una famiglia di professionisti nella Sicilia del Cinque-Seicento 261 buono dedicava il suo libro al giudice Criales – era stato avversario di Proto, che l’anno precedente in una relazione inviata in Spagna aveva accusato di intelligenza col nemico, ossia con gli avversari della Regia Monarchia74. Nominato nel 1644 vescovo di Reggio Calabria, Criales gli chiese di seguirlo, ma egli preferì rimanersene a Castelbuono e mesi dopo (nel 1645) difese le ragioni della città presso il Tribunale della Regia Monarchia75. Contemporaneamente, presso il Tribunale della Gran Corte Vescovile di Cefalù difendeva le ragioni della Matrice di Tusa nella lite contro la cappella del Rosario76. Il 10 agosto 1644 Baldassare aveva intanto completato il Tractatus de nonnullis Regiae Monarchiae, che aveva già sottoposto alla lettura di Corsetto, ricevendone il consiglio di dedicarlo a un personaggio poli- tico di primo piano77 per superare più agevolmente i possibili veti della censura ecclesiastica, in considerazione delle tesi regaliste da lui pro- fessate con il conforto di dottrine già censurate78. Continuò tuttavia a rivederlo per alcuni anni, preferendo piuttosto dare alle stampe nel 1647 i Commentaria duo ad capitulum LXIII, un testo sulle immunità ecclesiastiche che da Cefalù, dove si trovava nell’agosto 1646, aveva dedicato a don Luigi Moncada, principe di Paternò e conte di Collesano. Moncada era stato presidente del Regno di Sicilia nel 1635-37 ed era allora viceré di Sardegna (1638-1649) e più tardi sarà viceré di Valencia (1652-1659). Non so quali fossero i rapporti tra Abruzzo e Moncada, personaggio di notevole peso politico, stimatissimo a Madrid, dove rico- prì altri importanti incarichi. Intanto la dedica contiene un lungo elogio del Moncada, esteso a tutti i rami della famiglia. Forse al loro rapporto si deve la presenza a Collesano, con qualche incarico nell’azienda feu- dale, del nipote acquisito uid Tommaso Vittimara, suo coautore nel Dialogus de sanctorum angelorum custodia, che egli stimava moltissimo come «iuvenis eximij ingenii et magnae expectationis»79. Nell’autunno del 1649, Baldassare Abruzzo, che abitava ormai sta- bilmente a Castelbuono, fu in punto di morte e fece testamento presso il notaio Bartolomeo Bonafede, che poco dopo modificò ampiamente con dei codicilli presso il notaio Giovanni Ortolano. Riconfermava suoi

74 Cfr. M.T. Napoli, Censura e giurisdizione cit., p. 59, n. 97. 75 B. Abruzzo, Tractatus de nonnullis Regiae Monarchiae ultra Pharum preheminentiis cit., p. 141. 76 A. Pettineo, Tusa dall’Universitas Civium alla Fiumara d’Arte, Armando Siciliano Editore, Messina – Civitanova Marche, 2012, p. 162, n. 94. 77 M.T. Napoli, Censura e giurisdizione cit., p. 59, n. 97. 78 Scriverà più tardi: «Operum authores persepe solent pergrandes viros illorum adoptare patronos, tum ad animi erga eos benevolentiam designandam, verum etiam ut opuscula a malevolentia facile eorum patrocinio tueantur» (cit. Ivi, p. 74n). 79 B. Abruzzo, Lectura practicabilis cit., p. 49.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 262 Orazio Cancila eredi universali i fratelli Gaspare, Maria Di Vittorio e Antonina Leto, il nipote Pietro Ottavio Giaconia e la nipote Anna Vittimara (in sostitu- zione della sorella Margherita appena deceduta) e designava come luogo della sua sepoltura il coro della chiesa del convento di San Fran- cesco, in prossimità della porta che comunicava con il chiostro. Elen- cava i beni lasciatigli dalla madre: la metà della casa dove egli abitava, la quarta parte di una casa nel quartiere Piazza dentro dove abitava la sorella Antonina, la quota a lui spettante delle somme vantate sopra il feudo Pasquale, la metà dell’uliveto presso il fiume di Pollina. Dispo- neva che l’uid Tommaso Vittimara facesse un inventario dell’oro, argento, denaro, seta, frumento, olio, vino, bestiame da lui lasciati e quindi «habbia di farne li partenzi… con quella sua solita giustizia, pru- denzia et integrità», in modo che ogni erede potesse scegliere la sua parte, a cominciare da Anna Vittimara e di seguito via via Antonina Leto, il dottor Gaspare, Pietro Ottavio Giaconia e Maria Di Vittorio. Si riservava di redigere una “lista secreta” a firma sua e del suo padre spirituale, il francescano padre Francesco Cammarata, in due copie conservate a cura dello stesso francescano e dell’uid Vittimara: lista che avrebbe fatto parte integrante dei suoi codicilli testamentari. Segui- vano vari legati80. Ristabilitosi dalla malattia che lo aveva colpito, nel novembre 1650 Abruzzo decise finalmente di dare alle stampe il Tractatus, ma la dedica al viceré don Giovanni d’Austria sembra non fosse valsa a convincere la commissione di comprofessores a concedere l’imprimatur e l’opera – dal «contenuto univoco nella difesa delle prerogative del tribunale [di Regia Monarchia], anche delle più controverse, sia pure nel costante ricorso al diritto canonico ed ai testi sacri»81 – rimase manoscritta presso la Biblioteca Comunale di Palermo, ai segni Qq F 277 e 5Qq E 98, sino al 2012, quando Maria Teresa Napoli ne ha curato l’edizione critica, preceduta da un’ampia e interessantissima introduzione, di cui mi piace riportare qualche brano:

Il Tractatus di Baldassarre Abruzzo si segnala all’attenzione degli studiosi poiché è il primo testo ad esaminare, in forma sistematica, sotto un profilo rigorosamente tecnico, le competenze del Tribunale di Monarchia, ad oltre ses- sant’anni dalla sua istituzione avvenuta nel 1579: tema non secondario poiché completa, armonizzandolo, il sistema dei grandi tribunali di Sicilia ed al con- tempo si inscrive nella più complessa questione dei rapporti tra la Chiesa e la “Sacra Cattolica Maestà”, tra autorità civile ed ecclesiastica... Non si ha notizia di opere consimili, in Sicilia, ascrivibili al periodo in esame: si può dunque rite-

80 Asti, notaio Giovanni Ortolano, b. 2475, 9 dicembre 1649, cc. 58v-62r. 81 M.T. Napoli, Censura e giurisdizione cit., p. 73.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Una famiglia di professionisti nella Sicilia del Cinque-Seicento 263 nere, con margini di dubbio invero minimi, che l’opera si configuri come un raro esemplare, forse un unicum del genere, e che pertanto possa proporsi quale documento ineludibile per la ricostruzione dei conflitti giurisdizionali tra Spagna e S. Sede intorno alla metà del sec. XVII, al pari di analoghi scritti, più diffusi in altre parti d’Europa. Da segnalare è il profilo dell’autore. Si tratta di un ecclesiastico – aspetto di per sé non qualificante nell’ambito della letteratura specifica – già attivo nella pratica del foro prima dei voti sacerdotali, legato per estrazione familiare alle magistrature centrali del Regno: di un soggetto, in altri termini, non riconducibile agli apparati, seppur ad essi contiguo, e con fre- quentazione di personaggi eminenti della curia pontificia82. Tali peculiarità si rendono più evidenti qualora si consideri che la lettera- tura sull’argomento, disponibile a stampa, appare di utilità assai relativa. Due aspetti hanno infatti in comune le opere che hanno trattato la questione della Regia Monarchia: la loro concentrazione in periodi di scontro politico tra la potestà civile e l’ecclesiastica, e dunque la loro fuorviante vis polemica che le anima, l’esser rimaste inedite, com’è il caso del Tractatus, per il veto incrociato di papi e principi apposto – attraverso gli strumenti legislativi dell’imprimatur e dell’exequatur – ad ogni iniziativa editoriale su temi inerenti la giurisdizione, salvo esser riproposte, alcune, in periodi di nuovi conflitti, il che ha impedito, peraltro, di collocarle nel periodo storico in cui esse furono composte83... [Per Abruzzo] la giurisdizione è diritto umano, non divino in virtù del prin- cipio della separazione delle potestà, ricade cioè nella sfera del temporale. Ne consegue l’adesione senza riserve alla tesi, corroborata da incursioni nella sto- ria giuridica romana, secondo cui la giurisdizione dei vescovi deriva per indulto da una concessione dei Principi, non da Dio… È inoltre dell’opinione che il vescovo non debba tenere familia armata, giacché le armi proprie del clero sono le preghiere…, sottolineando la differenza tra territorio e diocesi, laddove l’uno presuppone la giurisdizione, l’altra l’amministrazione delle cose sacre, ed affer- mando che il vescovo sia tenuto a far conoscere sommariamente, incidenter, gli atti del processo al giudice laico prima che questi gli conceda il braccio armato84... Ciò che tuttavia distingue l’autore del Tractatus è [la] libertà nella fruizione degli scritti dei regalisti sottoposti a censura, espurgati o in via di espurgazione, specie negli anni tra il 1643 ed il 1647,… per affermare che le prerogative in sacris dei sovrani di Sicilia non sono abrogabili dal Concilio o dalla bolla In Coena Domini… Emerge su tutti, quale costante suo punto di riferimento tra i curialisti, Antonino Diana, fiero avversario della Monarchia sicula, sia pure per contrastarne le opinioni85.

82 Ivi, p. 11. 83 Ivi, pp. 11-12. 84 Ivi, p. 72. 85 Ivi, p. 75.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 264 Orazio Cancila

Le difficoltà per la pubblicazione del Tractatus, un’opera che lo aveva così a lungo impegnato, turbarono notevolmente Baldassare, che da allora si propose di «intendere e scrivere conforme allo intendimento di detta Santa Chiesa», come confessò al nipote Vittimara proprio a conclusione del Dialogus de sanctorum angelorum custodia, già pronto nel 1648 ma dato alle stampe solo nel maggio 1651. A Tommaso, che gli chiedeva: «so ch’avete mandato in luce alcune opere de lege civile, come l’interpretazione della prammatica unica, et in tempo ch’era [= che io, Tommaso, ero] aggiutante del vostro studio, la lettura prattica- bile e li commentari al cap. 62 di Re Ferdinando, havete adesso opi- nione di mandar in luce opere temporali o ecclesiastiche», Baldassare rispose: «Vi dirò. Io fu tredici anni dottor seculare et ho sodisfatto all’obligo ch’havea come tale, doppo per gratia del Signore mi fece sacerdote, voglio attendere alle cose ecclesiastiche, et habbiamo com- posta questa operetta devota et una disputa de Primatu Pontificis Romani eiusque Sedis dignitate non transferenda, nella quale ho pro- curato imitar S. Thomaso nelle questioni disputate e sto essercitan- domi nella Sacra Scrittura per satisfare in alcuna parte all’obbligo sacerdotale»86. Da allora Baldassare non si mosse più da Castelbuono: nel 1657 ruppe i rapporti con l’indebitato fratello Gaspare e, dopo un trentennio, gli sottrasse l’amministrazione dei suoi beni. In data che non sono riu- scito ad accertare con esattezza, ma nel 1663, fece presso il notaio Luciano Russo un nuovo testamento, al quale nel settembre 1664 fece seguire nuovi codicilli che rimettevano tutto in discussione. Contraria- mente a quanto aveva disposto nel 1649, adesso ordinava che il suo cadavere fosse sepolto nella chiesa di Santa Maria del Soccorso, l’antico pantheon dei Ventimiglia nel borgo suburbano del Fribaulo ormai disa- bitato, e precisamente nella cappella di San Michele, in luogo scelto dall’arciprete, al quale lasciava ben 60 onze, di cui onze 2 per la cap- pella e onze 58 per le spese del suo funerale e per la celebrazione di messe lette, in ragione di tarì 1 ognuna, per metà nella citata cappella e per metà nella cappella degli Angeli Custodi nella chiesa madre. Alla Comunia dei sacerdoti di Castelbuono legava 200 ovini (in sostituzione dei 120 legati col testamento) che lui stesso aveva concesso in gabella a Giovanni e Pietro Failla e ordinava anche che col canone della gabella fossero celebrate altre messe lette. Aveva lasciato a Diana Castagna, sorella del defunto chierico Fran- cesco Polvina, la vigna detta la Cavallarizza, gli ulivi in contrada Cas-

86 B. Abruzzo, Dialogus de sanctorum angelorum custodia cit., pp. 52-53.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Una famiglia di professionisti nella Sicilia del Cinque-Seicento 265 sanisa e la casa nel quartiere Terravecchia, ma poiché Diana era intanto deceduta lasciava tutto agli eredi della stessa e legava loro una rendita annua di onze 3. Revocava la precedente decisione con la quale lasciava i libri e i suoi manoscritti ai pronipoti Pietro Paolo, Margherita e Altadonna Vittimara (l’uid Tommaso, loro padre, era già deceduto) e al pronipote dottor Andrea Leto, e disponeva il lascito soltanto a favore di Pietro Paolo e di Altadonna. I suoi eredi non avrebbero potuto richie- dere nessun credito (debito, nella fonte) suo e dell’uid Tommaso Vitti- mara (i due evidentemente erano in rapporto d’affari) non indicato nei suoi libri di conti («se prima non demostriranno le libra di negotii di esso codicillatore»), perché alcune partite erano state saldate in tutto o in parte senza che fosse stata rilasciata ricevuta. I libri sarebbero rimasti in potere della nipote Anna Vittimara (madre di Pietro Paolo e di Altadonna), una dei suoi eredi universali. Per l’assegnazione degli altri suoi beni mobili ai suoi eredi delegava donna Felice Ventimiglia, marchesa di Geraci, se presente a Castel- buono al momento della sua morte, oppure l’arciprete pro tempore. Se qualcuno dei suoi eredi non si fosse trovato d’accordo con quest’ultima sua decisione, sarebbe decaduto dalla sua parte di eredità a favore della Comunia dei sacerdoti di Castelbuono per la celebrazione di altre messe, metà nella cappella di San Michele e metà in quella degli Angeli Custodi nella Matrice. Il frumento in magazzino sarebbe spettato per metà all’arciprete, per distribuirlo ai poveri a suffragio della sua anima, e per metà ai suoi eredi universali, che ne avrebbero donato una salma alla sua domestica (creata). Lasciava al fratello Gaspare tutti i pegni per un valore di onze 49 che si trovavano in possesso dello stesso codi- cillatore: sorge il sospetto che potesse trattarsi di beni di Gaspare lasciati in pegno a Baldassare, che in punto di morte glieli restituiva. Revocava infine tutti i legati pii degli altri suoi testamenti, lasciando soltanto quelli del codicillo e quelli del testamento in notaio Russo non revocati87. La malattia che lo aveva spinto a dettare i codicilli si protrasse ancora per alcuni mesi e l’1 aprile 1665 don Baldassare rilasciò al notaio Neglia nuovi codicilli, con i quali disponeva che, della porzione di beni mobili, denaro e animali che le sarebbero spettati, la sorella Antonina sarebbe stata solo usufruttuaria e alla sua morte sarebbero stati divisi a metà tra il figlio Giuseppe Leto e gli eredi della defunta Diana Castagna di Tusa. Prima di entrare in possesso dei predetti beni, la sorella Antonina avrebbe dovuto procedere alla stesura di un inven- tario pubblico e prestare fideiussione presso la Curia Capitanale per

87 Asti, notaio Antonino Neglia, b. 2503, 8 settembre 1664, cc. 21r-24r.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 266 Orazio Cancila restituirli alla sua morte al figlio e agli eredi Castagna. Senza la fide- iussione, da rilasciare entro un mese dalla morte del sacerdote, Anto- nina sarebbe decaduta a favore di Giuseppe Leto e degli eredi Castagna. Poiché la madre Altadonna Abruzzo aveva lasciato ad Anto- nina onze 50, «delli quali ni spettavano a pagare unzi 25 ad esso codi- cillatore e altre unzi 25 al dottor Gaspare Abruzzo», Baldassare esigeva che la sorella confessasse per atto pubblico di avere ricevuto da lui tale somma, pena la decadenza dalla parte di beni mobili che le lasciava in eredità, a favore degli eredi Castagna. Disponeva infine che, dopo la sua morte, la nipote Anna Vittimara continuasse ad abitare nella sua casa gratuitamente per tutto l’agosto successivo (evidentemente la nipote abitava con lui) e che tutti i suoi atti pubblici rimanessero in suo potere, con la possibilità per gli altri eredi di ottenerne copia88. Fu questo l’ultimo codicillo di don Baldassare Abruzzo, il cui cada- vere tre giorni dopo, il 4 aprile 1665, fu sepolto nella chiesa extramoe- nia di Santa Maria del Soccorso. Per Pietro Paolo Vittimara, in precedenza Baldassare era stato nominato vescovo di Patti, ma, durante il viaggio a Roma in compagnia del fratello Gaspare per essere consacrato dal pontefice, si ammalò gravemente, perse il senno e dovette ritornare a Castelbuono, dove due anni dopo lo colse la morte89. In merito non ho trovato alcun documento e sinceramente l’indicazione non mi pare attendibile, perché il vescovo di Patti Ignazio D’Amico rimase in carica dal 31 luglio 1662 al 15 dicembre 1666, dopo una vacanza di quasi tre anni successiva alla morte del vescovo Simone Rau il 20 settembre 1659. Un’eventuale nomina dell’Abruzzo cadrebbe quindi negli anni 1659-1662, ma il suo testamento del 1663 e i codicilli successivi sino alla vigilia del decesso nell’aprile 1665 dimostrano che soltanto nel 1663, dopo la precedente esperienza del 1649, egli si sentì davvero vicino alla morte e che comunque non perse mai il senno se più volte modificò il testamento. Il fratello Gaspare Abruzzo gli sopravvisse ancora per quasi un decennio. Aveva partecipato alla vita amministrativa della città, assu- mendo la carica di giurato nel 1628-29 e tenendo ininterrottamente dal 1658 al 1668 e ancora nel 1674 l’incarico di procuratore generale del marchese di Geraci. Più che il medico faceva l’imprenditore, a giu- dicare almeno dai suoi riveli, allevatore inizialmente e poi anche colti- vatore sulle orme del suocero Ottavio Agliuzzo, il quale però nel 1630

88 Ivi, 1 aprile 1665, cc. 318r-319. 89 Pietro Paolo Witmara, Genealogie di alcune famiglie sì antiche che moderne di Castelbuono… e copiati dal suo antico originale manoscritto da Antonio Minà La Grua. Debbo copia fotografica del ms, redatto attorno al 1760-70, alla cortesia dell’avvocato Mario Lupo, che ringrazio.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Una famiglia di professionisti nella Sicilia del Cinque-Seicento 267 lo coinvolse in una vertenza col Sant’Uffizio che lo costrinse forse anche a un periodo di latitanza. Nel 1636 cumulava un patrimonio netto di onze 401: oltre agli immobili di Petralia in comune con la madre, dichiarava il possesso di una grande casa di undici vani nel quartiere Fera, limitrofa a quella del suocero, che faceva parte della dote della moglie Francesca Agliuzzo, e ancora un uliveto di 400 ceppi in territorio di Pollina, contrada Mulino, del valore di onze 220, acquistato in diverse partite nel biennio precedente e ancora in parte da pagare. Pos- sedeva inoltre 34 vacche figliate, 15 vitelloni, 160 pecore e capre, 2 giu- mente, 1 cavallo e crediti a minuto per onze 12. A distanza di parecchi anni però doveva ancora per resto di dote onze 35 al cognato Di Mar- tino e onze 30 al cognato Di Vittorio, oltre a onze 16 a Giuseppe Muxia per l’acquisto di seta90. Eppure doveva disporre di una buona liquidità, se nel 1634 era stato in condizione di prestare onze 420 al marchese Francesco III91. E c’è da chiedersi che fine avesse fatto il resto della dote di France- sca, che ammontava a onze 700: oro, argento, mobili e utensili di casa (onze 200); contanti (onze 300); la grande casa nel quartiere della Fera dove abitava, valutata allora onze 20092 e che invece nel suo rivelo egli valutava appena onze 78 e tarì 27, capitalizzando al 7 per cento il pre- sunto canone di locazione di «onze cinque e tarì 15 l’anno, franca di conzi». E dov’era finito l’oro e l’argento di Francesca, di cui non c’è trac- cia nel rivelo? Si ha una ulteriore conferma che i valori dei riveli del 1636 erano ormai molto sottostimati e che la pratica della occultazione di beni era alquanto diffusa. Nei diciotto anni successivi il dottor Gaspare riuscì comunque a quadruplicare il suo patrimonio netto, che nel 1652 ammontava a onze 1658, senza contare i mille ulivi nella contrada Mulino di Pollina, che nel 1646 aveva donato al fratello sacerdote Baldassare come aumento del patrimonio sacerdotale. La sua ricchezza non consisteva tanto negli immobili (l’abitazione del quartiere Fera della moglie e metà della grande casa del quartiere Vallone che la madre gli aveva lasciato in comune con Baldassare), quanto nei beni mobili: oro e argento per onze 60, 3 cavalli, 5 giumente d’armento, 10 muli, 2 somari, 52 buoi, 56 vacche d’armento, 10 vitelloni, 7 vitelli, 600 pecore, 200 porci, salme 40 di grano, 15 di orzo e 3 di ceci e fave seminati in territorio di Petralia. Era stato costretto però a contrarre dei mutui per complessive onze

90 Trp, Riveli, 1636, b. 952, cc. 424 sgg. 91 Cfr. Asti, notaio Francesco Prestigiovanni, b. 2311, 28 dicembre 1634, c. 199r. 92 Asti, notaio Bartolomeo Bonafede, b. 2454, 13 ottobre 1662, c. 56r: testamento di Francesca Abruzzo.

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322, di cui onze 212 a favore degli eredi del medico Vincenzo Guer- rieri93. L’attività iniziale di allevatore nei feudi vicini (Sant’Anastasia e Culia) si era quindi allargata anche a quella di coltivatore fuori territo- rio, come era da sempre per i castelbuonesi. Nel dicembre 1672 si spin- geva addirittura sino a Mussomeli (Caltanissetta) in società con don Leonardo Cusimano Maurici, nipote ex filio dell’ormai defunto arren- datario di Castelbuono nel primo decennio del Seicento: i loro impiegati Francesco e Pietro Barreca prendevano in affitto per il pascolo delle vacche 12 aratati di terra (salme 108) nel feudo Rabbione, per un canone di onze 9 ad aratato oltre mezzo cantaro di caciocavallo per la gabella della farina di Mussomeli94. Non sempre però i conti tornavano e non mancarono momenti di grande difficoltà, come documentano i mutui che aveva dovuto contrarre anteriormente al 1652. La vendita nel 1657 di un vigneto con gelsi, castagni, fichi, casa e palmento in contrada fontana di Corradino (Pedagni) da parte della moglie France- sca fa pensare alla necessità di recuperare un grosso pegno dalle mani dell’acquirente del podere, il sacerdote don Giuseppe Milana. Del prezzo di onze 70, Francesca aveva già ricevuto onze 40 come prezzo di una catena d’oro smaltata, stimata dall’argentiere Benedetto Anfuso, mentre il resto le sarebbe stato pagato dall’acquirente in ragione di onze 3 l’anno sino al saldo della somma95. Una conferma delle difficoltà finanziarie di Gaspare Abruzzo è data dalla dilazione concessagli sei mesi dopo dal fratello sacerdote Baldassare per la restituzione di onze 167, di cui onze 12 dovutegli a saldo dei conti dell’amministrazione dei suoi beni e onze 155 prelevati dai preziosi (gioielli, argenteria, vestiti, biancheria, ecc.) conservati in due bauli di proprietà del sacerdote presso il monastero di Santa Venera, che evidentemente faceva da cas- saforte per i benestanti della città. La concessione della dilazione faceva certamente seguito a forti dissidi insorti tra i due fratelli che portavano Baldassare a revocare a Gaspare – il quale sosteneva che l’indebita- mento era dovuto alle spese sostenute per il pascolo e il mantenimento delle pecore e delle vacche (sembra in occasione di epizoozie) – la pro- cura concessagli nel lontano 1626 e, non fidandosi più del fratello, a pretendere addirittura anche la fideiussione del cognato Mariano Agliuzzo, fratello di Francesca96.

93 Trp, Riveli, 1652, b. 954, cc. 221r sgg. 94 Asti, notaio Antonino Bonafede, b. 2543, 5 dicembre 1672, cc. 160.161, lettera A. 95 Asti, notaio Bartolomeo Bonafede, b. 2449, 29 aprile 1657, c. 148v. 96 Ivi, b. 2450, 14 novembre 1657, cc. 70v sgg. La restituzione della somma sarebbe avvenuta alle seguenti scadenze: entro un mese onze 18, il 15 agosto 1658 onze 37.20, il 15 agosto 1659 onze 55.20, il 15 agosto 1560 onze 55.20 a saldo. A margine si legge

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Cinque anni dopo, nel 1662, moriva la moglie Francesca Agliuzzo. Disponeva che il suo cadavere, in attesa che fosse definitivamente tumulato nella cappella che il marito stava costruendo nella chiesa dei domenicani, fosse lasciato in deposito nella chiesa del convento di San Francesco, dove erano sepolti i suoi genitori. Designava suoi eredi uni- versali il fratello Modesto e il pronipote Ottavio Agliuzzo, del quale insieme col marito aveva la tutela e al quale aveva fornito gli alimenti (quasi certamente lo aveva allevato personalmente) da quando nel 1657 la madre Francesca Rexifina si era risposata con il notaio Francesco Alfano di Petralia Sottana, dove si era trasferita. Al marito, che oltre alla dote di onze 700 le doveva onze 200, ordinava che su quest’ultima somma costituisse una rendita annua di onze 1.18 (capitale onze 32 al 5 per cento) al convento di San Francesco per la celebrazione setti- manale di una messa letta, che dopo la tumulazione definitiva del suo cadavere sarebbe stata celebrata nella nuova cappella della chiesa dei domenicani. Sulle onze 200 dovutele, legava a lui onze 40, al pronipote Ottavio onze 50 e ai conventi dei cappuccini, di Santa Maria delle Gra- zie sub vocabulo di Liccia, di Sant’Antonino e San Domenico onze 2 ciascuno. Gaspare le doveva ancora la restituzione di un prestito di altre onze 200, che essa ordinava si trasformassero in immobili o in una rendita di onze 20 l’anno a carico del marito, il cui usufrutto sarebbe stato goduto da Ottavio e quindi dai suoi successori oppure, in assenza di suoi eredi, dalla Comunia dei sacerdoti per la celebra- zione di messe per la sua anima e per quella del marito. Lasciava onze 20 della sua dote a Mario Agliuzzo, figlio naturale del suo defunto fra- tello Carlo. Col denaro contanti da lei lasciato si dovevano acquistare 200 pecore, da concedere annualmente in gabella a favore di Ottavio e, perdurando nella condizione di vedovo, di Gaspare, alla cui morte sarebbe subentrato Ottavio interamente. Lasciava infine a Ottavio le 23 vacche che teneva al pascolo presso la mandria di Giovanni Failla e che voleva si vendessero per acquistarne immobili97. Gaspare Abruzzo sopravvisse alla moglie altri 12 anni, ma alla sua morte nel 1674 non aveva risolto i suoi problemi finanziari, se ancora

che il 5 agosto 1661 Gaspare non aveva ancora del tutto saldato il debito al fratello e doveva un residuo di onze 31.20. L’ipoteca riguardava i seguenti beni che Gaspare aveva in comune con Baldassare: la grande casa, in diversi corpi, già del nonno Pietro Paolo e del padre Ottavio, nella piazza di Castelbuono, confinante con la casa della nipote Anna Vittimara n. Ruberto e con quella di Zenobio Gerardi; la casa del quartiere Vallone (ex casa Granozzo), confinante con la casa delle cappelle del Santissimo Sacra- mento e del Santissimo Crocifisso; gli uliveti in territorio di Pollina. Agliuzzo ipotecava la sua parte del vigneto in comune con il fratello Modesto, in contrada Rocca Lupa (ter- ritorio di Pollina). 97 Ivi, b. 2454, 13 ottobre 1662, cc. 55 sgg.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 270 Orazio Cancila non era riuscito a ultimare la cappella funeraria nella chiesa del con- vento di San Domenico sotto titolo del SS. Rosario, dove doveva essere tumulata la moglie e dove anche lui disponeva di esserlo. E se era stato costretto a lasciare in pegno per onze 30 all’arciprete di Geraci una catena d’oro del nipote Ottavio Agliuzzo, che voleva fosse recuperata (spignorata) dagli eredi e consegnata al legittimo proprietario. In attesa che i suoi eredi universali (la nipote Anna Ruberto, vedova dell’uid Tommaso Vittimara, per un sesto; la sorella Antonina, vedova di Giu- seppe Leto, per un sesto; la nipote Barbara Di Vittorio, moglie del barone di Mandralisca Mario Piraino, per due sesti; i pronipoti figli del defunto nipote Pietro Ottavio Giaconia, per due sesti) entro due anni dal giorno della sua morte completassero la cappella, con una spesa di onze 50 a carico dell’eredità, disponeva che il suo corpo fosse lasciato in deposito nella stessa chiesa dei domenicani. Gli eredi avrebbero pro- ceduto alla divisione dei suoi beni alla fine dell’anno, dopo aver liqui- dato le spese della mandria di pecore e saldato tutti i debiti nei confronti dei lavoratori e di altri creditori. Istituiva fedecommissario il pronipote uid Pietro Paolo Vittimara e gli lasciava tutti i suoi libri di medicina e di filosofia, eccetto i due libri di Marsilio Ficino e di Giovanni Schembri, che legava al medico Andrea Leto, altro suo nipote, e il libro della Bibbia, che legava al padre francescano Bonaventura Bonafede. Dichiarava infine che nella sua mandria di pecore teneva 200 pecore di Ottavio Agliuzzo, al quale dovevano essere consegnate alla sua morte; e che le mucche che pascolavano nei feudi da lui tenuti in affitto appartenevano, tranne due, allo stesso Ottavio che le aveva ereditate dal nonno Mariano e dal prozio Modesto Agliuzzo98. Gaspare non lasciava eredi diretti (il figlio Diego era deceduto nel 1627) e, con la sua morte, il ramo castelbuonese degli Abruzzo si estinse.

98 Asti, notaio Antonino Neglia, b. 2507, 2 ottobre 1674, cc. 49r sgg. L’inventario post mortem, redatto il 10 ottobre dal notaio Gian Paolo Agrippa di Castelbuono – i cui atti sono erroneamente inventariati tra quelli dei notai di Collesano – registra, tra l’altro, «molti libri di medicina, circa altri cento libri legati a Pietro Paolo Vittimara, oro, argento e, tra i tanti, «un quadro dell’Epifania con cornice negra di piro dello Racalmutisi ad olio», che viene dunque ritenuto dagli estensori dell’inventario opera del Monocolo di Racalmuto Pietro d’Asaro» (R. Termotto, La conduzione del feudo Cava tra XVII e XVIII secolo, in Giuseppe Antista, Architettura e arte a Geraci (XI- XVI secolo), Geraci Siculo, 2009, pp.155- 163).

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Appendice

1. La biblioteca del giudice Ottavio Abruzzo (dall’inventario post mortem)

Mi limito a riportare i titoli e gli autori che sono riuscito a individuare:

«Cinco testi civili» (probabilmente i cinque volumi del corpus iuris civilis), l’opera di Bartolo compresi i volumi con i trattati e i consilia e compreso il repertorio, un «index alfabeticum omnium Capitulorum Siciliae», la Summa artis notariae di Rolandino de’ Passaggeri, lo Speculum di Guglielmo Durante, Giason del Maino, un «Repertorium Marsilii» (riferibile ad un’opera di Ippolito Marsili), il De origine Italiae (di Mirsilo Lesbio? il nome è sconciato), la Practica sindicatus di Girolamo Giorlando, le Constitutioni prammaticali del Regno di Sicilia fatte sotto… Marc’Antonio Colonna (Palermo, 1583), l’Istruzione della mili- zia ordinaria del regno di Sicilia riformata dal Viceré conte di Olivares nel 1595, gli Iura municipalia seu consuetudines felicis urbis Panormi di Paolo Caggio, il Convivium Quadragesimale di Valente Quaresima, Speculum confessorum del francescano Matteo Corradone, il Tiraqueau, la cosiddetta Practica di Lanfranco di Oriano, la cosiddetta Practica Baldi (cioè la Compendiosa di Tancredi da Corneto), il Tractatus de maleficiis di Angelo Gambiglioni, un De pactis (di Andrea ab Exea? il cognome è sconciato), la Pratica criminalis di Pietro Follerio, delle «communes opiniones criminales» (di Ippolito Bonacossa), Egidio Bossi, Giulio Claro, le Prammatiche del Regno di Sicilia, il Supplementum chronicarum orbis ab initio mundi usque ad annum 1482 di Giacomo Filippo di Bergamo, Nicolò Intriglioli, Ottavio Corsetto, Giuseppe Cumia.

(Asti, notaio Gian Giacomo Russo, b. 2299, 12 settembre 1606, cc. 3v-5r).

2. La biblioteca del giudice Ottavio Abruzzo (dall’atto di restituzione della dote alla vedova)

Riporto appresso il brano del notaio La Prena, inserendo tra parentesi qua- dre gli autori e i testi da me identificati, con il preziosissimo aiuto di Paola Maf- fei nella lettura del documento e più ancora nella individuazione di autori e di testi. A lei un sentito ringraziamento e al lettore l’augurio di riuscire a rico- struire per suo conto l’intero elenco.

«Sacram Bibiam; item Concilium tredentinum; item Opera abbatis [Niccolò de’ Tedeschi / Nicolaus de Tudeschis detto Abbas Panormitanus, Commentaria su tutto il corpus iuris canonici]; item Summam silvestrinam et angelicam [Summa summarum quae Silve- strina dicitur di Silvestro Mazzolini e Summa angelica di Angelo da Chivasso; item Decisiones Graffiis [Giacomo Graffi, Decisiones aureae casuum con- scientiae, quatuor Libris distinctae], Albertum de hereticis [forse Arnaldo Albertini, Repetitio noua, siue Commentaria rubrice et. c.j. de hereticis];

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item Grillandum de sortilegiis [Paolo Grillandi, Tractatus duo, unus de sortilegiis]; item Cove Ruvias tomos tres [Diego de Covarrubias, Variarum ex iure pon- tificio, regio, et caesareo resolutionum libri 3]; item Decisiones canonicas [forse Decisiones canonicae ab ... Aegidio Bellamera, Gulielmo Cassiodoro, Capilla Tholosana, Petro de Benintendis]; item Questiones sinodales Messane et Pattis; item Divum Thomam super epistulas Sancti Pauli [Sancti Thome de Aquino, Super epistolas sancti Pauli commentaria preclarissima]; item Vitam Sancti (sic!) Marie; item Istitutiones civiles et Angelum [Angelo Gambiglioni Aretino, Lectura Institutionum], Fabium [forse Marco Fabio Quintiliano, Institutiones oratoriae], Nicasium [Nicasius de Voerda super Institutionibus], Portium [Cristoforo Porzio], Virginium [forse Virginio Boccacci] super Istitutiones; item Vocabularium in iuris; item copiam Evilardi [forse Nicolaus Everardus, Loci argumentorum legales]; item Flores legum; item Divinum de regulis iuris [Dino del Mugello, De regulis iuris]; item Expositiones titulorum [Sebastian Brant, Expositiones titulorum: Expo- sitiones sive declarationes titulorum tam iuris ...]; item Catalogum sanctorum [Petrus de Natalibus, Catalogus sanctorum et gestorum eorum]; item Calepinum nelcistensem (?) Salustium epistulas Marci Tulli… elegan- tiam Aldi Manutii; item Institutionem in linguam sanctam [Benedetto Blancuccio, Institutiones in linguam sanctam hebraicam]; item Tabulam in gramaticam [Nicolò Clemardi, Tabulam in grammaticam hebream] aliam operam anginelli breviarium; item Offitium edomode sancte [Tomás Luis de Victoria, Officium Hebdomadae Sanctae], la (?) tablam verborum Cicironis; item Trattatum commissionis; item Conciones patavini [T. Livii Patavini, Conciones]; item Dispoterium preconium, Donisium de quatuor novissimis [Dionigi il Certosino, De quattuor novissimis], Hierosalem liberatam [… T. Tasso, Gerusalemmr liberata], Pastorem fidum [G.B. Guarini, Il pastor fido]; item Emblemata Alceati [Omnia d. And. Alciati emblemata ad quae singula, praeter concinnas acutasque inscriptiones…]; item Raube (?) de memoria sermones rimade, montem davidichi; item Testes civiles [Corpus iuris civilis] et Bartulum [Bartolo di Sassoferrato], Paulum [Paolo di Castro], Alexandrum [Alessandro Tartagni] et Iasonem [Giason del Maino] super leges civiles; item Questiones pragmaticas, Capitula regni (Capitula Regni Siciliae), Afflittum super questiones [forse Matteo D’Afflitto, Decisiones], Cumiam super ritu [Giuseppe Cumia, In ritus magne regiae curiae, ac totius regni Siciliae curia- rum commentaria]; item Summam aczonis [Azzone, In omnibus codicis institutionum et digesto- rum voluminibus: aurea summa], Speculatorem [Guglielmo Durante /

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Guillaume Durant / Guillelmus Durantis detto lo Speculator per l’opera Speculum iuris]; item Consilia a baroi [Agostino Berò, Consiliorum siue responsorum], beci (?), Belognetti [Giovanni Bolognetti], Gravatti [Aimone Cravetta]; item Conclusiones Grabrielis [forse Gabriele Paleotti, De Sacri Consistorii Consultationibus]; item Consilia signorolomi [Signorolo Omodei, Consilia ac quaestiones] et analle (?); item Decisione berio,Puteo [Paride Dal Pozzo], ursulis,Aflitti [Matteo D’Af- flitto], pedemontani [Ottaviano Cacherano, Decisiones Sacri Senatus Pedemon- tani], Beroy [Agostino Beroi], Capitii [Capecelatro]; item Operas Joannis Arnonei; item Tractatum sindicati diversorum dd.; item Tractatum Maranta [Roberto Maranta, Tractatus de ordine iudiciorum, vulgo Speculum aureum], Tiraquel [André Tiraqueau], Follerij [Pietro Follerio], et Intriglioli super bulla et singularia [Nicolò Intriglioli, Super bulla papae Nico- lai V et pragmatica regis Alphonsi de censibus]; item Asinett (?) de iudiciis; item Praticam sindicatus Jorlandi [Girolamo Giorlando, Practica sindicatus], Cumie [Giuseppe Cumia, Practica sindicatus]; item Praticam Baldi [la cosiddetta Practica Baldi, cioè la Compendiosa di Tancredi da Corneto], civi ruinas liberti Lamfrangi [Lanfranco Oriano ?]; item Questiones Corsetti [Ottavio Corsetto, Quaestiones forenses super ritu Magnae Regiae Curiae Regni Siciliae]; item Conclusiones Granatij; item Consuetudines Panormi [Paolo Caggio, Iura municipalia, seu consue- tudines foelicis urbis Panhormi]; item Straccam in Aymonis [Benvenuto Stracca ... In egregii i.c. Aymonis Cravettae responsa annotationes], Paulum de pignoribus [Paulus Graseccius et Zacharias Biccius, Disputatio vicesima quarta de pignoribus et hypothecis], repetitiones mote baxam,De pattis [forse Andrea ab Exea, De pactis], relondam de ultimis voluntatibus de nullitatibus glossam Capue gabellionem de evitione Suarex de comunibus opinionibus, Durant de arte testandi [Giovanni Diletto Durante, De arte testandi et cautelis ultimarum voluntatum tractatus], Marzarium de fideicommissis [Francesco Marzari, In materiam fideicommissariam epitome], Angelum de maleficijs [Angelo Gambiglioni Aretino, De maleficiis], praticam criminalem Clari [Giulio Claro], Marsilij [Ippolito Marsili] et Carerii [Ludovico Careri], Novellam in criminali [forse Jacopo Novelli, Practica et theorica causarum criminalium], Gidium Bossium tractatum criminalem diversorum doctorum [Egidio Bossi, Tractatus varii, qui omnem fere criminalem materiam excellenti doctrina complectuntur], Con- silia criminalia Marsilij [Ippolito Marsili, Consilia et singularia nova], Folle- rium in criminali [Pietro Follerio, Practica criminalis], Comunes opiniones criminales bona cosse [Ippolito Bonacossa, Communes doctorum iuris vtriu- sque criminales opiniones usu receptae], Crassum de exceptionibus [Caroli de Grassis, Tractatus de exceptionibus, ad materiam statuti excludentis omnes exceptiones];

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item Arte notariatus; item Summam totius artis notariatus [Rolandino de’ Passaggeri, Summa totius artis notariae]; item Capitula regni [Capitula Regni Siciliae]; item Cronica bergami [Giacomo Filippo di Bergamo, Chronica di tutto il mondo volgare] et Sanzovini [Francesco Sansovino, Cronologia del mondo] et alium brevem fragmenta Marsilij [Ippolito Marsili]; item Angulleram [Giovanni Andrea Anguillara ?]; item Lecturas Giasonis [Giason del Maino, Lectura preclarissima]; item Historiam Michaeli; item Costantium de otto partibus creationis; item Petarcam pecium [Francesco Petrarca]; item Cosmograffiam Pij; item Collectiam prime partis; item Dio[do]rum Siculum [Diodoro Siculo]»

(Asti, notaio Baldassare La Prena, b. 2346, 13 ottobre 1611, cc. 92v-93v: retentio dotium pro Altadonna).

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READING IL CAFFÈ: SCIENTIFIC METHOD AND ECONOMIC KNOWLEDGE IN THE “SCHOOL OF MILAN”*

DOI 10.1929/1828-230X/43132018

ABSTRACT: This paper takes into consideration the contents of the main journal produced by the so-called School of Milan, one of the main centers of irradiation of the Italian Enlightenment and among the most important intellectual circles in Eighteenth-century Europe. The essay analyzes, in particular, the reception of new scientific methodologies by the Milanese illuminists (including Pietro Verri and Cesare Beccaria), as well as their application to the renewal of coeval economic knowledge. The main conclusion is that the School of Milan had a critical and, in a way, disen- chanted view of seventeenth- and eighteenth-centuries scientific innovation; and precociously learned to grasp the limits of mathematics applied to the social sciences.

KEYWORDS: Enlightenment, Milan (History), Pietro Verri, Cesare Beccaria, «Il Caffè» (journal), Econom- ics, Science (Sistory).

METODO SCIENTIFICO E CONOSCENZA ECONOMICA NELLA “SCUOLA DI MILANO”: LETTURE DA “IL CAFFÈ”

SOMMARIO: Questo articolo passa in rassegna alcuni contenuti della principale rivista prodotta dalla cosiddetta Scuola di Milano; uno dei principali centri di produzione e irradiazione intellettuale illuminista italiana e fra i maggiori nell’Europa settecentesca. Il saggio analizza, in particolare, la ricezione delle nuove metodologie scientifiche da parte degli intellettuali illuministi milanesi (tra cui Pietro Verri e Cesare Beccaria), e la loro applicazione al rinnovamento della conoscenza eco- nomica coeva. La principale conclusione è che la Scuola di Milano ebbe una visione critica e dis- incantata della nuova scienza sei-settecentesca, e seppe precocemente cogliere i limiti della matematizzazione applicata alle scienze sociali.

PAROLE CHIAVE: Illuminismo, Milano (Storia), Pietro Verri, Cesare Beccaria, “IL Caffè” (periodico), Economia, Scienza (Storia).

* This essay is the result of a paper delivered at the conference Ideas And Enlightenment: The Long Eighteenth Century (David Nichol Smith Seminar in Eighteenth-Century Studies XV), University of Sydney, 10-12 December 2014, and was greatly improved by the discussion emerged in the session Political Economy & Science chaired by Professor Rowland Weston (University of Waikato). I wish to thank the all the participants in that session and, in particular, Dr. Alexandra Ortolja-Baird (European University Institute– British Museum). A first partial version of this work was made available in Italian in the proceedings of the conference L’illuminismo delle riforme civili: il contributo degli economisti lombardi, held at the Società Storica Lombarda (Milan) in 2011. Abbreviations: Franzoni, G., Romagnoli, S. (eds), «Il Caffè»: 1764-1766, 2 vols, Turin, Bollati Boringhieri, 19982 (hereafter FR, followed by volume number).

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1. The Lombard Enlightenment and Scientific Method

One of the chief areas of interest for international scholars of the history of economic culture today is that of the relationship between the evolution of economic learning and the development of modern sci- entific inquiry in Europe between the 16th and 18th centuries. In this context studies regarding the scientific, methodological, aspects of the economic ideas originating in Lombardy during the second half of the 18th century, as well as their practical application in reforms enacted by Maria Theresa and Joseph have – unlike the Neapolitan Enlighten- ment1 – as yet been only superficially studied. Yet material as important and vivid as the correspondence between Pietro Verri (1728-97), known as the establisher of the “School of Milan”, as Voltaire called it2, and his brother Alessandro, is full of far from academic references to the great fathers of the European scientific revolution. In October of 1766, Pietro Verri’s first letter from Milan to his brother and Cesare Beccaria, who were on their way to Paris and London, remarked of the hours spent with Luigi Stefano Lambertenghi: «He comes of an evening with his little Bacon to read in my room, while I pore over Alessandro’s work with a sense of consolation»3. Indeed, the Lord Chancellor remained one of the favorite authors of the group which called itself Accademia dei Pugni [‘The Punching Academy’] and, in particular, a favorite of Beccaria’s (1738-1794), the main follower of Verry and, by far, the best known name of the Italian economic school of the time. He had copied out a number of passages for his own use in about 17624. Alessandro’s letters are studded with

1 See for example R. Ajello, Introduzione. Cartesianismo e cultura oltremontana al tempo dell’«Istoria civile», in R. Ajello (ed.), Pietro Giannone e il suo tempo: Atti del convegno di studi nel tricentenario della nascita, , Jovene, 1980, vol. 1, pp. 1-181; G. Galasso, Scienze, istituzioni e attrezzature scientifiche nella Napoli del Settecento, in R. Ajello (ed.), L’Età dei lumi: Studi storici sul Settecento europeo in onore di Franco Venturi, Naples, Jovene, 1985, vol. 1, pp. 191-228. J. Robertson, The Case for the Enlightenment: Scotland and Naples 1680-1760, Cambridge, Cambridge University Press, 2005. 2 P.L. Porta, , in V. Barnett (ed.), Routledge Handbook of the History of Global Economic Thought, London-New York, Routledge, 2015, pp. 58-67, p. 63. 3 G. Gaspari, Viaggio a Parigi e Londra (1766-1767): Carteggio di Pietro e Alessandro Verri. Milan, Adelphi, 1980, p. 4. See ibid., as well, the letter written two days later (p. 10): «Dear Luisino regularly comes to pass the evening with me: he reads his Bacon, I correct the Storia [of Milan]». On Lambertenghi and his scientific/mathematic interests, praised by Pietro Verri in letters to Gian Rinaldo Carli, see C. Capra, Luigi Stefano Lambertenghi, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 63, Rome, Edizioni dell’Enciclopedia italiana, 2004. 4 G. Gaspari, Viaggio a Parigi e Londra, cit., editor’s note. Beccaria’s reputation is almost entirely due to the pamplhlet Dei delitti e delle pene; he is therefore not perceived as an economist, although he is one of the first professors of Political Economy worldwide. See C. Scognamiglio Pasini, L’arte della ricchezza. Cesare Beccaria economista, Milan, Mondadori, 2014.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Reading Il Caffè: scientific method and economic knowledge in the “School of Milan” 277 admiring references to Newton’s work as well as to the simple, direct, communicative style of figures like Diderot, d’Alembert and d’Holbach; an attitude and tone British scientific circles had already made em- blematic of their intellectual production in the 17th century.

Let me say a few words about these people. The character which they require of Men is first of all goodness, rather than science. Their tone is familiar, philanthropic. There is nothing of the magniloquent; there is no pedantry; they discuss among themselves with fervor and rigor, with all the good faith in the world5.

The Accademia dei Pugni and its periodical Il Caffè (‘The Coffee House’) both belonged to a very intense period that saw the birth of several masterpices of the Italian Enlightenment: Pietro Verri’s Meditazioni sulla felicità (‘Meditations on Happiness’, ca. 1763) and, above all, Beccaria’s Dei delitti e delle pene (1764, ‘An Essay on Crimes and Punishments’) made the “School of Milan” one of the true centers for cosmopolitan dialogue6. The international relevance and originality of the economic knowledge developed in eighteenth-century Lombardy is undisputable, and was clearly perceived by contemporaries. One of the few obituaries published in the death of Adam Smith in July 1790, which appeared in the Times and then reprinted on the Gentleman’s Magazine stated that Smith had drawn attention to «subjects that un- fortunately have become too popular in most countries of Europe. Dr Smith’s system of political oeconomy is not essentially different from that of Count Verri, Dean Tucker, and Mr Hume»7.

5 G. Gaspari, Viaggio a Parigi e Londra, cit., p. 24, Paris, October 19, 1766. From the mid 17th century the Royal Society required of its members, as an internal memorandum of the period declares, «a discrete mode of speaking, simple, natural, clear in meaning, preference for the language of craftsmen and merchants rather than that of philosophers»: see P. Rossi, Il tempo dei maghi. Rinascimento e modernità, Milan, Cortina, p. 7. 6 Italy, in M. Delon (ed.), Encyclopedia of the Enlightenment, London-New York, Rout- ledge, 2001, p. 724. 7 Quoted in E. Rothschild, Economic Sentiments: Adam Smith, Condorcet and the En- lightenment, Cambridge Mass, Harvard University Press, 20022. On Verri’s economic thought see initially P.D. Groenewegen (ed.), Pietro Verri 1771: Reflections on Political Economy, Sydney, University of Sydney, Reprints of Economic Classics (now reprinted New York, Augustus M. Kelley, 1993); P.D. Groenewegen, Pietro Verri’s Mature Political Economy of the Meditazioni, in M. Albertone, A. Masoero (eds), Political Economy and National Realities, Turin, Fondazione Einaudi, 1994, pp. 107-125; P.D. Groenewegen, The Significance of Verri’s Meditazioni in the History of Economic Thought: The Wider Eu- ropean Influence, in C. Capra (ed.), Pietro Verri e il suo tempo, Milano, Cisalpino, vol. 2, pp. 693-708; C. Capra, I progressi della ragione. Vita di Pietro Verri, Bologna, Il Mulino, 2002; P. Barucci, Gli Scritti di economia nella edizione nazionale delle Opere di Pietro Verri, «Nuova Antologia», 2008, n. 2247, pp. 157-69.

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The relations between economic knowledge and mathematics were – as Tubaro has opportunely noted – characterized by a decided origi- nality8. Attempts to formalize economic argumentation were very pre- cocious – Giovanni Ceva’s fundamental De re numeraria was printed in Mantua in 1711 – and, indeed, appeared much earlier than in France, where reference to exact science within economic studies was often more a declaration of principle than a rigorous and methodologically accurate procedure. Still in 1771, in his first writing on political economy contained in letters written to Pietro Verri, an innovative mathematician such as Condorcet expressed all his skepticism about the deluded use of «the language of geometry» in the «economic sciences»; a use that he discerned in the Lombard scholarship9. Giovanni Ceva, a mathematician expert in hydraulic engineering, as well as a public official, created an algorithm which aimed at rep- resenting an economic system through two fundamental variables – population and the quantity of money in circulation – whose interaction would, in his opinion, determine the buying power of the coinage. While, from a theoretic-monetary point of view, Ceva’s argu- mentation added no significant qualitative knowledge to prior elabo- rations (and his mathematics were, in reality, limited to simple arith- metic operations like fractions and proportions), his methodological innovation consisted chiefly in the attempt to analyze monetary questions geometrically, dealing with them in precise, univocal, lan- guage and with rigorous logic. The problem of the relations between the proportions of the metals involved and the quantification of monetary circulation had in any case already been explored since the Middle Ages and, in the Early Modern period, had become the object of rigorous analyses by Coper-

8 See P. Tubaro, Un’esperienza peculiare del Settecento italiano: la «scuola milanese» di economia matematica, in «Studi settecenteschi», 2000, n. 20, pp. 193-223. On the general aspects of the Political Economy elaborated by the «Milanese School» see A. Quadrio Curzio (ed.), Alle origini del pensiero economico in Italia: il paradigma lombardo tra i secoli XVIII e XIX, Bologna, Mulino, 1996; P.L. Porta, R. Scazzieri, Pietro Verri’s Political Economy: Commercial Society, Civil Society, and the Science of the Legislator’, «History of Political Economy», 2002, n. 1, pp. 83-110; L. Bruni, P.L. Porta, Economia civile and pubblica felicita in the Italian Enlightenment, in N. De Marchi, M. Schabas (eds), Œconomies in the Age of Newton, Annual Supplement of «History of Political Economy», 2003, n. 34, pp. 261-86; L. Bruni, S. Zamagni, Civil Economy. Efficiency, Equity, Public Happiness, Oxford, Peter Lang, 2007; P.L. Porta, Lombard Enlightenment and Classical Political Economy, text of the Blanqui Lecture The School of Milan: Competition and Public Happiness in Pietro Verri’s Political Economy delivered at the XIII Eshet Annual Conference, Thessaloniki, 23 April 2009, available on http://www.eshet.net. 9 Quoted in E. Rothschild, Economic Sentiments, cit.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Reading Il Caffè: scientific method and economic knowledge in the “School of Milan” 279 nicus, Scaruffi and Montanari10. It should also be noted that Ceva’s work was not intended to have explicitly methodological ends, consti- tuting, rather, a group of precepts to aid the «Prince» (who remained the chief actor in the economic system) in the wielding of power; the scientist’s analysis was to serve principally as general orientation, to adopt for useful and discretionary legislative regulations. For these reasons, too (and the choice of Latin for the printed text is a clear cor- roboration), Ceva’s brief study had a distinctly limited circulation and exercised no direct influence on successive economic thought. The passages in Cesare Beccaria’s work where we find mathematic methods applied to economic discussions have a deeper historic and epistemological weight. In 1762, Beccaria wrote Del disordine e de’ rimedi delle monete nello Stato di Milano (‘Monetary Disorder and Its Remedies in the State of Milan’), revealing the mathematic talents of the author – whom fellow students at Parma’s Collegio dei Nobili had significantly nick-named Boy Newton («Newtoncino»). The first section of this study presented three fundamental theorems on the value of coins and some corollaries in political economy. The second part in- troduced an empiric study of the Lombard case based on data from a study by Gian Rinaldo Carli11. As we know, Beccaria made some nu- meric-monetary errors here in considering the dimensions proposed and this skewed his conclusions, drawing a number of criticisms. Further, in Il Caffè Beccaria represented the problem of contraband with a mathematic model (Tentativo analitico dei contrabbandi, 1764), advancing, however – as we shall see better – numerous and opportune doubts. The lessons he held at the Scuole Palatine (published posthu- mously in Elementi di economia pubblica, 1804), clearly show Beccaria’s limits – and his caution – in using “geometric demonstrations”, including, indeed, the fleeting annotation: «It is not possible to fix the intrinsic value of human labor with arithmetic precision…»12.

10 See G. Maifreda, From Oikonomia to Political Economy: Constructing Economic Knowledge from the Renaissance to the Scientific Revolution. Farnham Uk-Burlington Vt, Ashgate, 2012. Marco Bianchini has acutely written that Ceva’s audacity consists chiefly in «discovering an area in which all men are equal and may be represented by a combination of goods and coin which, in turn, are linked in a network of functional rela- tionships wholly analogous to those of the physical universe» (M. Bianchini, Alle origini della scienza economica. Felicità pubblica e matematica sociale negli economisti italiani del Settecento, Parma, Studium Parmense, 1982 197). See also M. Bianchini, Some Fun- damental Aspects of the Italian Eighteenth Century Economic Thought, in D.A. Walker (ed.), Perspectives on the History of Economic Thought, Aldershot, Elgar, 1989, pp. 53-67. 11 For an evaluation of Carli’s monetary intuitions, A. Cova, Pietro Verri e la riforma monetaria, in C. Capra (ed.), Pietro Verri e il suo tempo, vol. 1. Bologna, Cisalpino, 1989, pp. 763-88. 12 P. Tubaro, Un’esperienza peculiare del Settecento italiano, cit., p. 202.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 280 Germano Maifreda

The exponent of the Milan School most engaged in formalizing eco- nomic discourse was the Barnabite Father Paolo Frisi, the first person in the history of the field to apply differential and integral calculus – not without provoking heated criticism from his contemporaries and giving rise to a harsh methodological dispute. Mathematician, astronomer – and, once again, a hydraulic engineer – Frisi took the mathematicized mechanics perfected by Newton as his frame of reference, completing the so-called ‘sixth edition’ of Pietro Verri’s Meditazioni in language strongly influenced by physics. The mindset of physics represented an overall filter through which Frisi read the economic system as a whole, even in scientifically less qualified material than Verri’s celebrated tract. The Milanese economists were directly involved with the design and practical implementation of the Theresian Reforms in the territories of the Austrian Lombardy. In this way, the ‘public’ dimension became more prominent and intertwined with the practical needs for reforms and the utilitarian language more explicit and richer13. On the occasion of the death of Maria Theresa of Austria, Frisi’s Elogio a Maria Teresa imperatrice (1781), listed among the most important fundamental principles characterizing her en- lightened government the recognition of the fact – which he felt to be indisputable – that «full and reciprocal competition and conflict always increases the industry and wealth of bodies politic, as it increases the mobility of elastic bodies»14. In the same essay, Frisi cites the famous Law of Prices postulated by Verri (whose view of Frisi and the theories he formalized in his Meditazioni was not, in any case, wholly positive), view which he had made explicit in a very sophisticated manner given the culture of the century, which only in its last decades saw differential calculus receive an overall theoretical formulation15. Frisi’s mechanical-mathematic recasting of Verri was famously de- plored by Luigi Einaudi, who judged it a damaging blurring of the originality of Verri’s thought16. The fact that this project was already strongly criticized in the late 1700s allows us a glimpse into the

13 P.L. Porta, Italy, cit., p. 63. 14 P. Tubaro, Un’esperienza peculiare del Settecento italiano, cit., pp. 202-3. 15 It should be recalled that already in 1748 Gaetana Maria Agnesi published in Milan her Intuizioni analitiche, in the same year in which Euler printed his Introductio in analysin infinitorum: see F. Minozio, Chiarezza e metodo: L’indagine scientifica di Maria Gaetana Agnesi, Como: New Press, 2006. 16 On the «illuministic friendship» between Frisi and Verri see G. Barbarisi, Frisi e Verri: storia di un’amicizia illuministica, in G. Barbarisi (ed.), Ideologia e scienza nell’opera di Paolo Frisi (1728-1784): Atti del Convegno internazionale di studi, Milan, FrancoAngeli, 1987, vol. 2, pp. 353-379 and C. Capra, Nota introduttiva, in C. Capra (ed.), Per Paolo Frisi: Lettere e memorie (1782-1787). Edizione nazionale delle opere di Pietro Verri, vol. 6, Scritti politici della maturità, Rome, Edizioni di Storia e letteratura, 2010, pp. 145-54.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Reading Il Caffè: scientific method and economic knowledge in the “School of Milan” 281 general cultural climate within enlightened debate, and not only in Lombardy. It testifies the presence of a significant skepticism as to the heuristic reach of geometrization of the social sciences. In 1772, when the so-called ‘sixth edition’ was published, Ignazio Radicati di Cocconato already advanced a number of basic criticisms, writing to Frisi in March of that year to express his disappointment and fears for the future: «they will make of political economy what the Scholastics made of philosophy». The important reservations of the Tuscan math- ematician, Pietro Ferroni, followed in 1796. A particularly outraged analysis was contained in an anonymous pamphlet entitled Meditazioni sull’economia stercoraria, which Franco Venturi has shown to be the work of Carli, probably offended by Verri’s failure to mention his earlier criticism in the new edition of his work. The Meditazioni parodied the «excremental economy», following a pattern of argumentation already visible elsewhere – for example in the letters exchanged by the Genoese Pietro Paolo Celesia and Ferdinando Galiani in December, 177217. The uneven response accorded to the mathematization of economic knowledge proposed by the Milanese Barnabite, Frisi, is worth a brief widening of our perspective and a few further elements to fill out the picture may be useful premises for some more specific considerations I shall develop in the second part of this paper concerning ways in which the figures of the Lombard Enlightenment dealt with the theme of scientific method in relation to economics and the other social sciences. As Pier Luigi Porta has observed, one of the distinctive traits of the Lombard Enlightenment project for the elaboration of a new economic science is its reforming intent and the will it embodies to break open the tradition of the public administrator with a wholly legal formation in favor of a broadly economic figure with special, scientific, charac- teristics. This was especially the case after the creation on November 20, 1765, of the Supreme Royal Council on Public Economy (Supremo Reale Consiglio di Pubblica Economia), presided by Gian Rinaldo Calvi, Verri’s antagonist as well as one of the most important economists in the Milan of the time18. Verri’s own economic thought – which con- stituted the prime expression of that great political and cultural moment – went from Elementi di commercio (whose first version dates from 1760), to the last of the Discorsi entitled Sull’indole del piacere e del dolore [‘On the Disposition of Pleasure and of Pain’] (1773): a work in which he once again took on themes of major scientific import, ar-

17 P. Tubaro, Un’esperienza peculiare del Settecento italiano, cit., p. 203. 18 Bognetti, Moioli, Porta, Tonelli 2006, 1-91.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 282 Germano Maifreda ticulating an anthropology based on two principles – pain as a me- chanical, automatic, element and freedom as a moral reality – which he felt to be his most original theoretic contribution. Here, indeed, Verri, wavering between the physical/environmental and the moral explanations of anthropic characteristics, firmly excluded a third solution – advanced, among others, by both Hume and Voltaire19 – which explained the variety of individuals composing the human species by citing ‘racial’ factors («being domiciled a few degrees closer to the poles, or to the equator», Verri observed tersely, «does not create a diversity in the species»). Verri’s experience is fully expressive of a period and an intellectual current which saw in political economy the true «human science» on whose bases, with more robust and general concepts and ideas, the project of reform might be undertaken and the search for «public felicity» find resolution. Franco Venturi noted some years ago that Pietro was moved by «enthusiasm at the discovery of political economy, key [for him] to all reforming action», together with «his growing conviction that he found himself in the presence of a genuine science»20. Among the ideal origins of this project were also, among many others, the Locke of Some Considerations on the Consequences of Lowering the Interest and Raising the Value of Money21 – especially for its definition of money as «universal commodity» (merce universale [Verri] or una generale mercanzia as the Italian edition had put it), as well as the principle of price determination through the number of buyers and sellers (Hotta 1999). And the academic members of ‘I Pugni’ discussed Locke in the pages of Il Caffè as well, with, as we shall see, results that were not always predictable. If, in any case, as Paola Tubaro has observed, the quintessence of 18th century political economy, even when compared to the earlier political arithmetic à la Petty, consisted in the crucial movement from quantification to formalization, since «the new science is intrinsically

19 Imbruglia 1999, 466. 20 Venturi 1998, 557. 21 The economic writings, a number of papers – of which the leading title indicated here is a letter to a member of Parliament – were composed by Locke during his term as Secretary of the Board of Trade and Plantations as well as Secretary of the Lord Proprietors of the Carolines for Lord Ashley (Shaftesbury). Though the first Italian translation is usually ascribed to the Neapolitan Galiani, whose own book Della moneta was published in 1751 when its author was twenty, Stapelbroek 2005 affirms that the first Italian publication, edited by G.F. Pagnini and A. Tavanti, came out in Florence in 1751, with various annotations and «remarks concerning a proper evaluation of the things and the coinage and the commerce of the Romans». Galiani declares that he abandoned Locke in the ‘40s as he found himself in growing disagreement with the opinions expressed.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Reading Il Caffè: scientific method and economic knowledge in the “School of Milan” 283 mathematical, though not necessarily numerical» (a characteristic from which coherently proceeds «the refusal of the phenomenological data, the need to highlight the functional relations hidden among the various components of reality»22) – then I think we need to examine more closely the possibility of including Verri’s economic production (and, more broadly, the ideas regarding scientific method applied to the social sciences formulated by the participants in the Lombard En- lightenment), under this heading. Let me then take a few pages to open up this line of thought. The bibliography regarding Verri has introduced some important elements of complexity into the apparently compact methodological structure within which Verri formulated his economic theory. Already in the Meditazioni, where the basic goal of happiness (felicità pubblica23) is presented as an algebraic formula in the reduction of the relationship between the terms of desire and possibility, and where, as a staunch utilitarian, Verri leans towards addition in the form of an enlargement of the possibilities offered to mankind, the propensity to take advantage of one of the concepts destined to become essential to his political economy – that is, the creativity whose existence is the indispensable condition for the passage from the merely passive possession of things to the enjoyment of full-bodied happiness – has been remarked. «The excess of needs beyond […] power [to assuage them] is the measure of man’s unhappiness, and it is no less the unhappiness of a State», he would later write in his Economia politica. So the mere enjoyment of goods is distinguished from their desirable creative enjoyment, that is, the pleasure of doing and making with all the elements open to human possibility. From this premise comes, on the one hand, Verri’s analysis of virtù, defined as every useful act and thus a term/concept with an active meaning; on the other, an anthropology which focuses on the possibility of activating, with adequate stimuli, the personal, human, resources producing creativity. Even in Verri’s most important economic essay, the Meditazioni, the insistence on the theme of creativity as the fountainhead and origin of the formation of wealth – and so a proper object of political economy – is evident24. An immediate indication, with strong methodological consequences, of the role Verri assigns to ideal and practical creativity in the develop- ment of economic discourse may be seen in the process integrating the principle of «automatic mechanisms» into the theory and policy of

22 P. Tubaro, Un’esperienza peculiare del Settecento italiano, cit., p. 194. 23 The notion of public happiness best conveys the significance of the contribution of the Milanese School (see P.L. Porta, Italy, cit.). 24 P. Tubaro, Un’esperienza peculiare del Settecento italiano, cit., pp. 47-8.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 284 Germano Maifreda international trade. Explicitly formulated by David Hume and already present in the work of important thinkers – including Cantillon – it de- clared that, should the operations of purchase and sale of goods and services coming from a specific country add up to different totals, that difference must be compensated in coin, and that this flow of metal inevitably acted upon the level of prices and income. These, in turn, contributed to a modification in the number of orders and thus in the flow of goods, determining automatically (according to this model) the balancing of the active and passive voices and a distribution of gold sufficient to sustain the prices resulting from the process. Though Verri started from Hume’s classic position, he gave it a wholly original development, highlighting just that creativity on which his «economy of supply» depends. In an addition to the ‘sixth edition’, in fact, Verri goes on to declare the inexactness of Hume’s «mechanism» when «universal goods [are] acquired through toil». In this case, the quantity of «specific goods will multiply in proportion to the overall ex- pansion [in quantity] of all goods and the number of contracts will grow in proportion to the means for making them, as we shall presently see; so it follows that universal goods acquired through labor and scattered across a large number of individuals will more rapidly remedy and compensate the bad effects which mass alone is supposed to pro- duce». Where «untiring industry and a florid commerce make the quantity of universal goods grow steadily, they will bring about a new stimulus to industry itself, increase the number of contracts, make in- ternal circulation ever more rapid, make known new commodities for life and new easements, refine the arts and manufactures, invent new models to make them more perfect and construct them more rapidly; everything will breathe culture, fortune and life» (ibid.). Having learned from Hume that the implications of the monetary aspect and of prices in active and passive commerce were not in and of themselves inevitable, so that it was possible to hypothesize a sort of self-regulatory mechanism of exchange between them, Verri ended up reorienting the whole theory by assuming the altering of the relative positions of national and foreign goods. Already when he had compiled his Estratti da Hume – and had then reaffirmed forcefully in his presentation of the balance of trade for 1762 – he had shown himself conscious of the fact that this sort of automatic re-balancing might not come into play in daily economic life25.

25 A. Moioli, Nota introduttiva to P. Verri, Bilancia del commercio dello stato di Milano, in Bognetti, G., A. Moioli, P.L. Porta, G. Tonelli (eds), Scritti di economia, finanza e ammi- nistrazione, Edizione nazionale delle opere di Pietro Verri, Rome, Edizioni di Storia e let- teratura, 2003, pp. 459-86, p. 459.

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Even for the famous «Verri formula», as Pier Luigi Porta has again pointed out, Verri’s thought does not appear to be at all ingenuously formalizing, however much it may have been subsequently «stiffened» in this sense by Frisi’s re-elaboration. In its original version, the ‘formula’ was already extremely cautious in treating the question of the heuristic potentialities of the formalizing process as applied to society: «So, then, the price of things», Verri wrote, «is to be inferred from the number of sellers as compared to the number of buyers: the more the first increase or the second diminish, by so much will the price become lower, and the more the former are lowered and the latter multiply, so much the more will prices rise. We may use the lan- guage of that science which treats quantity, for that is just what we are dealing with, nor do I know of any other way of expressing myself with exactness […] The price of things will be in direct relation to the number of buyers and in inverse ratio to the number of sellers». This explanation was qualified even more carefully in a sentence inserted into the text in the ‘sixth edition’, in which Verri, almost anticipating the most obvious objection which would be advanced – that is that the mere number of sellers and buyers is an imperfect indicator of the re- spective aggregates of supply and demand – declared that, «these ratios are approximately true; for, to be rigorous, the buyers should all purchase equal quantities so that geometric exactitude might be satisfied»26. A few thoughts concerning the forms and the significance of the application of mathematical formalism to economic knowledge by those among the leaders of the Lombard Enlightenment engaged in this field might also be stimulated by a new look at the political and ethical sense assigned to this operation in the specific historic/cultural context in which they operated. It was on the occasion of the bicentennial of Galileo’s birth, in 1764, that Paolo Frisi wrote the ‘Saggio su Galileo’ published in Il Caffè; rereading it now could furnish a wealth of suggestions for evaluating the deeper meanings in the text. Frisi’s essay – which has been defined «a provisional statement, meant to weigh up prevailing judgments and prejudices within the limits [im- posed by] an efficacious popular style»27 – was prompted by the conde- scendence with which his friend, d’Alembert, conceding only a few lines to Galileo in the Preliminary Discourse to the Encyclopédie, had

26 P.L. Porta, Nota introduttiva, in G. Bognetti, A. Moioli, P.L. Porta, G. Tonelli (eds.), Scritti di economia, finanza e amministrazione, Edizione nazionale delle opere di Pietro Verri, tome 2, vol. 2, Rome, Edizioni di Storia e letteratura, 2007, pp. 1-91, pp. 52-3. 27 P. Casini, Frisi e Galileo, in R. Ajello (ed.), L’Età dei lumi: Studi storici sul Settecento europeo in onore di Franco Venturi, Naples, Jovene, vol. 2, 1985, pp. 976-85, p. 67.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 286 Germano Maifreda referred to the astronomer’s merits; «to whose discoveries», he noted, «geography owes much»28. With an attentive evaluation of current opinion and an analysis of the historic data, Frisi aimed directly at re- establishing Galileo’s key role in the history of science. «Italians», he declared directly, «might perhaps be suspected of some partiality if they barged in choosing between the two opinions we have outlined and immediately proclaimed the divine Galileo as the greatest genius who, second only to Newton, has honored human kind». The real unacknowledged theme underlying Frisi’s synthesis was, however, the question of the ancient primacy of Italian science on the European scene and the consequences of the Holy Office’s 1633 condemnation to abjure, both in terms of an irreversible change in the political and social climate within which scientific research was carried out in the peninsula and in the fact that freedom of scientific inquiry had been undermined for the following century. Though caution induced Father Frisi (a heated adversary of the Jesuits, against whose «literary and scientific merits» he had leveled a ferocious attack in an Elogio del [Bonaventura] Cavalieri, which remained unpublished for many years) not to center his remarks upon the Dialogo sopra i due massimi sistemi in his analysis of Galileo’s work, treating instead his successes and failures as the founder of modern mechanics, the un- derlying framework – made explicit in Frisi’s subsequent work – allows us to discern the deeper sense of his intellectual project and of his philosophical/mathematical applications extended to economic culture29. In the historic context in which the Lombard Enlightenment elabo- rated its deductions and its epistemological proposals – and, as well (above all), in the fields of humanistic and social knowledge, engaging in science might then also mean tacitly claiming national pasts of which one was justly proud and, thus, a return to pondering the problem of method. A problem in which some correctly identified one of the basic challenges of the new season of political reform – and which they addressed with acute and mature philosophic awareness.

28 Ibid. 29 Frisi first reordered and enlarged his considerations in the Elogio a Galileo Galilei, written in 1774, when he was already a professor at the Scuole Palatine in Milan, royal censor and a protagonist of the second wave of reform as one of those charged with the technical supervision of the network of Lombard canals. “The militant scientist”, concludes Casini, «protagonist of the Theresian reforms, was spurred by an active faith in the enlightened view. This faith was nourished by a coherent conception of scientific reason and had in the very progress of the experimental method its core […]. Frisi’s lucid outline was equal to the times. It reopened Galileo’s case and marked a decisive turning point in his posthumous history, laying down the foundations of a subsequent critical historiography» (P. Casini, Frisi e Galileo, cit.).

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2.“Nose-ological Elements Demonstrated by Mathematical Method”: Readings from Il Caffè

«This work was launched by a small group of friends for the pleasure of writing, for love of praise and with the ambition (which they are not ashamed to confess) of awakening a more vital taste for reading in Italian spirits, as well as an esteem for the sciences and the arts, and - most important – a love of virtue, honesty; the fulfillment of one’s duties»: so recites the appeal “To the reader” in the first issue of Il Caffè, setting a program faithfully adhered to and developed in the two years that followed30. The “esteem for the sciences” was without doubt among the principal traits of the articles which appeared in the periodical between 1764 and 1766, even though one of the questions most tenaciously examined by these enlightened Lombards was precisely the clarification of the term ‘science’ and the definition of the limits of applicability of the scientific method to a knowledge of the economy and the society: a task which the adepts of the Accademia dei Pugni considered must necessarily regard the reforming intellectual closely, forming part of his “fulfillment of [his] duties”, as well as satisfying his love for «virtue» and «honesty». The ample and suggestive description in Verri’s Temple of Ignorance31 (‘Tempio dell’Ignoranza’), which appeared in one of the first sheets printed by the Enlightened Milanese in 1761, furnishes us with a powerful analysis of cultural structure and knowledge which was the heritage of earlier centuries, and at the same time, formulates a lucid procedural program:

The vast temple is Gothic in structure, and at the topmost point of its great portal, roughly hewn, an enormous yawning mouth may be discerned; on the two sides of this door stand two statues, one to the right and the other to the left, each naughtily turning its back in the very act of going off in the opposite direction from the other – and on the pedestal of the one we see etched Theory, on the other read Practice32.

Thus the schematic, sclerotic, opposition between theory and practice is the premonitory sign of ignorance, which finds its resolution in the long description of the temple’s interior nave and, above all, of the crypt hollowed out beneath it, filled with

30 FR1, 5; the italics are mine. 31 FR1, 27-9. 32 FR1, 28-9.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 288 Germano Maifreda a host of very solemn sages pottering about and learning by heart, hefty advisors, holdovers, treatise writers; there they are, admiring the dusty medallions, the crumbling inscriptions, the [ritual] pateras, the ancient tripods, some bristly and ill-washed erudites; […]there they consign to the flames every year, on the appointed day of high solemnity, the works of Bacon, Galileo, and Newton, a copy of The Spirit of the Laws and another of The Treatise on Sensations [by Condillac]33.

Abstraction, sterile obsequy towards the Authorities, vulgar anti- quarianism, ignorance of scientific method (emblematically symbolized by the figure of the bonfire) and of the more recent developments of political thought and sensationalism are the traits of ignorance; their opposites give rise to the culture the present era requires. Yet with some limits which the Enlightened Lombards seem well aware of. If it is applied to society, which may indeed, for convenience’s sake, be represented in terms of mechanism, still contemporary culture cannot be abstractly analytic: «In nature everything is done by grades. The body politic is a machine whose diverse and complicated wheels are not perceivable to many, nor may many of them be displaced abruptly without creating confusion», he writes in Elementi di commercio34. «Every shock is fatal and the unfortunate effects disclose to the incautious associations [among elements] of which they had not pre- viously been aware. To take in hand such intervention requires someone who knows the whole mechanics [of the situation] perfectly.» The very technique of classification – one of the constituting elements of 18th century naturalistic culture – is attentively examined by Cesare Beccaria, as we can clearly see in his Thoughts on Smells (‘Frammento sugli odori’), in which he distinguishes between «simple» and «composite» odors and classifies the latter in three principal types, «which, however, are not separated in nature if not by minute differences, like every other thing. The classes are merely points of ref- erence which aid our minds in sorting through the variety of natural objects, and often, indeed, lead it astray»35. The scientific method proposed by the participants in the Lombard Enlightenment, some of the more significant pages of their review seem to suggest, is then intrinsically systemic and never schematically classificatory. Even – and above all – when it approaches the very fashionable theme of sensations and their relationship to human edu- cation. This is an epistemological approach, but at the same time it is

33 FR1, 29. 34 FR1, 30-8, 33. 35 FR1, 39-47, 41.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Reading Il Caffè: scientific method and economic knowledge in the “School of Milan” 289 ethical and aesthetic, as we can see quite clearly in the poetic analysis of Dante’s Divine Comedy36. Here is how Pietro Verri begins:

What inconceivable sort of people might those pedants ever be who, in sit- uations which are made to excite those quivers in the soul called sentiment, instead of surrendering to the magic of the illusion, draw their pendulum or calipers from their pocket to examine them frigidly and to pass judgment on them? You set before them a painting full of poetry and expression […] [and they] limit themselves to criticizing the draftsmanship and the proportions of a leg or a finger, the uncertain crease in a stocking, or other small defects of the sort, and, puffed up by this discovery, they forego real pleasure with a lightheartedness that ill suits the rarity with which [such moments] occur among the series of our sensations37.

There could be no more programmatically explicit declaration of the spirit of inquiry adopted by the intellectual circles we are considering than Alessandro Verri’s article The Obeisance (‘Le riverenze’) which is satiric as is the Report Concerning a Prodigious Comet Observed in Milan (‘Relazione d’una prodigiosa cometa osservata in Milano’), in which his brother, Pietro, in high astronomic style, parodies the prodigious hats worn by Teresa Blasco, Cesare Beccaria’s wife38. In the Obeisance (FR 73–8), Alessandro appealed to “friend Demetrio”, host of the imaginary café in which his circle periodically gathered, exhorting:

Tell your writers of the Caffè that I am about to publish a very instructive work, whose title will be A Mathematical-Logical-Political Treatise on the Obeisance. The title is weighty and I hope to make it brilliant in invention and erudition. You know, oh blessed Demetrio, that the men of our times want analysis, demonstrations and algebraic calculations everywhere; I, as a sensible man, shall use that language and furnish the theory with which to calculate the disposition and character of nations and men concerning the diverse ways of bowing. Let me explain myself. Let us consider the human body as a line perpendicular to the horizon; this line I call felicity; let us consider the man lying upon the ground as parallel to the horizon; this line I call misery; the angle which these two lines form is, in fact, 90 degrees: that is, a right angle; now, I shall show that all possible bows are comprised between these two terms; and I shall propose the solution of the nature of so- cieties and men derived from the angle to which they are accustomed. I shall

36 FR1, 50-5. 37 Ibid., 50. 38 P. Verri, Relazione d’una prodigiosa cometa in Milano-1763, in P. Verri, Cose varie buone, mediocri, cattive del conte Pietro Verri fatte ne’ tempi di sua gioventù, le quali con eroica clemenza ha trascritto di sua mano nell’anno 1763 ad uso soltanto proprio o degl’intimi amici suoi, in Schettini, M. (ed.), Milano in Europa, Milan, Cino del Duca editore, 1963, pp. 103-112. I should like to thank professor Carlo Capra for bringing this work to my attention.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 290 Germano Maifreda further show how the perpendicular denotes the distribution of goods and the horizontal their concentration; I shall then add a very exact Table of the various angles that characterize the obeisance in the diverse degrees of latitude39.

Irony, self-deprecation, a full acceptance of the limits of a method and of a period which sought «everywhere analysis, demonstrations and algebraic calculations», these were the blocks with which the En- lightened Lombards raised a methodologically up to date scientific/critical edifice. Alessandro Verri’s introspective critical capacities once again settle upon the inadequacy of any classification which pretends to be definitive, when he adds caustically: «The first bows, barely deviating from the perpendicular, are called obeisance of protection, when they are executed by few individuals, and bows of safety, when they are ex- ecuted by the many; they are accompanied by a smile or by ‘Your servant, sir’ if rare, and by a ‘good day, friend’, if common»40. The so-called ‘useful sciences’, whose characteristics make them more immediately applicable to forms of manufacture, are singled out for the slowness of their progress towards methodological rigor, without underestimating their importance and, indeed, sometimes highlighting their formal elegance. «A terse style, stripped of superfluous words, is the only one I care for», declared Giuseppe Visconti, as he opened his Meteorological Observations Taken in Milan. On the Barometer (‘Osser- vazioni meteorologiche fatte in Milano. Sul barometro’). «Such is the spirit of my native idiom. The time I lost in astrology led me to realize observation and following nature in its phenomena, though slowly, step by step, is the only way to fix some rule or laws in the science of meteors; a science which may also be among the most useful and where, if one should wish to predict movements, there are nothing but chimera and inconsequence»41. In the pages of Il Caffè, the epistemological debate on traditional knowledge – above all in the field of agriculture – was incessant and waged with no polemic holds barred, in the caustic conviction that, as Pietro Verri tersely put it, «the strongest obstacle all the arts and sciences encounter in perfecting themselves [is] the stubborn preference most men have for the old ways»42. The privileged object of polemic de- construction is naturally superstition: the very emblem of anti-science. A passage in the long essay On Agriculture. A Dialogue. Afranio and

39 FR1, 73. 40 FR1, 74. 41 FR1, 72-82, 78. 42 FR1, 72.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Reading Il Caffè: scientific method and economic knowledge in the “School of Milan” 291

Cresippo, by the future Inspector of the Milan Mint, Sebastiano Franci, declares: «I should go on at great length, should I wish to represent in detail the worth and usefulness of agriculture; my intent is simply to give you a sufficing [sic] idea to make you fall in love with this science, which, Columella declares: tam discentibus egeat, quam magistris (lacks pupils as well as teachers)». Franci praises «the learned masters» who have engaged their «sublime capacities in investigating the secrets of nature», among whom Linnaeus, and adds:

Do not take into any great account the knowledge of the farmers: this pro- duces only a simple, trivial, practice - the same employed by their great, great grandparents and which was never able to advance the science of agriculture by an iota. […] The idiocy and the simplicity of these poor folk should not, however, dispense you from loving them tenderly and considering them the chief support of human society, in which they have a more important role than that of those who have themselves drawn about the city in handsome coaches. You are dedicated to an art which is the most useful among the earthly sciences, which has been the delight of many crowned heads and was very common to the most powerful citizens, to the conquerors of the world who were the Romans43.

The continuous oscillation between social elitism and an opening towards professional – when not authentically popular – knowledge, is one of the most typical marks of the style, both as to content and as to language, of Il Caffè. In Some Legislation on Pedantry44. (‘Saggio di leg- islazione sul pedantismo’), Alessandro Verri seems to be joining the discussion to save Franci’s pessimistic vision, hitching up forms of knowledge with varied social origins to the wagon of true science, so long as their method shares the same urge towards rigor. «In the sciences and in letters – in every human learning, I dare say – all kinds of coin are necessary», as Alessandro puts it metaphorically; «big, small, of gold or of silver, for as in a State from large gold coins men descend to those in copper or in silver, so that each of them may be facilitated in trade, while whoever cannot spend a doubloon spends a paolo, so likewise it is the case to proceed in the sciences». The par- allelism between science and trade, intrinsically democratic, opens then, in the purest traditional Enlightened stance, new ways to the formulation of the cognitive itinerary of which the Lombard circle is proud spokesman. «Let all men participate, if possible; let the simple laborer know the tenth part of what the enlightened man knows, let

43 FR1, 60-71, 71-2. 44 FR1, 133-40.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 292 Germano Maifreda the artisan know three times as much as that laborer, and the merchant more than the artisan; finally, let every living being know somewhat more than how to eat, drink, sleep, yawn, and annoy his neighbor, the which marvelous qualities are wonderfully found together most often in a life without the misery of need»45. In the pages of Il Caffè, the new enlightened culture is, then, an open form of co-partnership and dialogue, free of discriminations that are not those related to the cognitive method chosen for each separate case. There is no authentic cognitive construct without social relations: «All the human sciences are but a luxury attached to the condition of sociable man», Pietro Verri declares unequivocally in The Useful Studies (‘Gli studi utili’)46.

Savage societies go on without any sort of science, but this luxury of reason is what, in fact, distinguishes the crude nations from those civilized; this luxury is what makes customs more gentle and humane; that which provides for infinite needs and ennobles, may I say, our species. Whoever, then, says that a given science is not useful, because the world could go on without it, accuses that science of an absolute superfluity common to all the others47.

Crude men «know that winning a case at law is something useful, that curing an illness is useful; so they conclude that the science of the laws, the science of medicine, are useful sciences». But such men «do not know that intimate and delicate connection which all sciences have between them; nor do they know that there is but one science in the world, whose name is the discovery of truth, and that, whatever the truths may be, they are always useful to mankind and are, in the universal culture in which Europe finds itself in this century, glorious at least for the nation in which more [of them] are discovered». The real difference between ignorance and learning passes, then, through the overcoming of banal purposing of learning to the useful; it is in this framework that the praise of the geometric spirit – which represents one of the most lucid and poetic pages of the entire repertory of the Lombard Enlightenment – is here so fervently expressed.

I know mathematics – just as they easily disclose even the most unexpected and sublime truths – are, equally, stingy in producing some that are immediately useful; but the geometric spirit is a spirit which spreads through all the sciences and all the arts, perfecting and adorning them in such a way

45 FR1, 135. 46 FR1, 311-8, 313. 47 Ibid., 313.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Reading Il Caffè: scientific method and economic knowledge in the “School of Milan” 293 that, in the nation where it is most diffuse, every single thing produced must be perfect of its kind. This enlightening spirit mounts the Chairs of lecturers and makes them methodic, exact, precise; it spreads throughout the world of judges and it teaches them to compare facts, to analyze the probabilities and reach correct judgments; it even reaches down to the craftsmen and suggests more compact, safe, industrious, procedures to make their work more perfect. Indeed, each of us can ascertain from experience that all the most efficient and most precise manufactures come to us from nations where the geometric spirit reigns and that, to the contrary, where it does not hold sway, everything is suffused with the coarseness and the inexactitude that characterizes un- cultivated nations48.

«That’s enough, friend, I told him, your book doesn’t deserve even a Zero». So Pietro Verri, in his essay on The Fortune of Books, cut short «a philosopher’s» reading of a text he meant to show pretentious and antiquated, and whose opening declared: «The love of feeling well, stronger than that of existence itself, should have the same function for morality as gravity has for mechanics»49. The unwarranted extension of the physical-mathematical metaphor is deplored and deprecated in tones echoed in the corrosive title Cesare Beccaria gave to «a work [he is] contemplating in three folio volumes», Nose-ological Elements Demonstrated by Mathematic Methods50) (‘Elementa naseologiae methodo matematica demonstrata’). This is a tone we would seek in vain in the text of the rigorous analysis, written shortly afterwards, by Beccaria and published in Il Caffè: the famous An Analytic Project Concerning Contraband51 (‘Tentativo analitico su i contrabbandi’). The article, posing the question of what duty ratios would persuade a merchant to trade legally with foreign countries and not, instead, import goods as contraband – hypothesizing that any contraband goods, once discovered, would be confiscated –, took a most cautious position from its very premises, in which Beccaria declared explicitly his conviction that algebra could serve economy «up to a point». He further made a clear distinction between human affairs (the «political sciences») and those of nature, though both shared an inclination towards formalization:

Since algebra is only a precise and rapid way of reasoning on quantity, it cannot be applied to simple geometry or the other mathematical sciences, but everything which may in some sense grow or dwindle, everything which has relations that can be compared, may be submitted to it. Thus even the

48 Ibid., 314. 49 FR1, 150-2, 151. 50 FR1, 44. 51 FR1, 173-5, 173.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 294 Germano Maifreda political sciences can admit [its use] up to a certain point. They deal with the debts and credits of a nation, with taxes, etc.; things which allow calculations and notions of quantity. I said up to a point, because political principles, de- pending in great part upon the outcome of many, particular, decisions and very varied passions (which cannot be determined with precision), policy con- structed on numbers and calculations would be ridiculous and more [appropriate] for the inhabitants of the island of Laputa than our Europeans52.

The skepticism on the results of the formalizing of culture regarding society was, in other famous pages of Il Caffè, bolstered by Pietro Verri’s implacable demolition of the scientific pretenses of contemporary medical culture. Opening an ample and acute historical and philosophic study on this very touchy subject, The Medicine (‘La medicina’), he once again anchored his discussion to questions of scientific method. «Medicine is nothing but physics applied to the human body, that is to the machine which even today is very imperfectly known and may per- haps never be so in all its extension»53. The mechanistic metaphors do not, however, take on here the usual task of simplification and the tranquilizing functions of schematization which they so frequently assume in 18th century medical texts.

For if the veil which hides from us the principles due to which a healthy body lives, moves, generates, nourishes itself – that is to say, a body in the state in which it is proper to subject it to the greatest number of observations, for it is the condition common to the greater part of mankind - is so dense, so much the more must you believe the principles which distort the order of animal economy and make mankind pass out of a healthy into an unwell state to be obscure!54.

From these reflections, supported by robust injections of empiric evidence and free of any awe of the auctoritates dutifully cited, Verri briskly draws his conclusions:

[…] a consequence: and that is, medicine will always be very uncertain both in its principles and in the application of these same principles; and a philosopher who makes this his profession, when he has adhered to the most scrupulous diligence in specific cases, will have a cautious doubt as his constant companion and a reasonable Pyrrhonism which will lead him always

52 FR1, 173-4. Laputa is a flying island of which we read in the Third Part of The Travels into Several Remote Nations of the World, by Jonathan Swift (1726); it is inhabited by extremely learned physicists, mathematicians and musicians. 53 FR1, 200-11, 201. 54 Ibid., 201.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Reading Il Caffè: scientific method and economic knowledge in the “School of Milan” 295 to omit rather than overdo as he goes about his work. Aspire to this from the beginning, and know that what has been said perhaps too generically of all the sciences – that is that their extremes touch and that ignorance is equally to be found at both ends – is particularly the case for medicine, in which, if you are mediocre, you think you share nature’s secrets but, as you progress and examine your notions with deeper analysis, the number of secrets unveiled declines and you approach learned ignorance; which is waiting as the career’s final line […]. So medicine is, then, an art whose nature is very circumscribed and merits the name of conjectural which is assigned it55.

Verri’s is a praise of doubt and of his Caffè interlocutors, who never give in to gross skepticism and are always careful to draw constructive consequences on the formative plane to their epistemological reflections. Just as Pietro outlines – immediately after the methodological caveat we have just seen – the formative profile of the good doctor, that is, the specialist in “the science of conjecture”:

I shall chiefly seek in a young man the preparation for science, that is a constant intellectual habit of analyzing his own ideas, of defining each word exactly – forming almost a well-linked chain of his thoughts – so that the desire for truth remains always stronger in him than the inertia to which, perhaps more than to other causes, we must attribute the greatest part of the fallacious argumentations of mankind. If this disposition of the spirit, which the Scholastics call Logic, is the prime foundation of human cognitions, if this is the only reserve which can allow us to make progress in all the sciences, all the more must it be indispensable where the science in question is one of con- jecture, where the omission of even one item of data, or of a single observation sometimes leads us to perfectly opposite conclusions56.

«I shall make here no long pedantic declamations to prove to you that to cure illness and to reason in medicine we need statics, hydro- statics, geometry, algebra and all the other fields of mathematics», he continued, setting aside once again the dubious purpose of pan-for- malization. «There is certainly a great deal of deception in such argu- ments, which are repeated by some poets, repeated by some doctors, and even by some jurists, almost as if their occupations required the Encyclopédie; what I will say is that notions of universal physics are necessary, for, as I have already noted, medicine is an application of physics to the human body»57. At any rate, nothing is more apt to bring on a crisis in the traditional separation between theory and practice than knowledge regarding the body and health:

55 Ibid., 203. 56 Ibid., 203-4. 57 Ibid., 204.

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A ridiculous pretension, indeed, is that of those who try to hide their ignorance in medical theory bragging of their knowledge of practice. The series of disorders to which the machine of the human body is subject is, alas, vast, and in comparison the life of any man is a brief burst of lightning. […] The ob- servations, the experiences – and, perhaps even more, the fortuitous cases and the very errors of many centuries – have added to the material of that science; from this whole mass, inherited from by-gone generations, a good doctor seeks to deduce his practice, which becomes the practice of centuries, the practice of many men compacted into one single man; and it is this that is the real practice respected by those who are wise, from which we may hope to draw benefit58.

What distinguishes the men of Il Caffè – despite the variety of the interests they pursued – from the sterile encyclopedic approach of those who used the new gamut of scientific knowledge as a means of self-centered exhibition, is precisely this constant, diligent and un- quenchable questioning (and self-questioning) of what, within con- temporary historic coordinates, was to be considered scientific and what was not; of the political significance of science; of the difference between sciences and objects of scientific inquiry; of the very birth and development of the category of science. «Philosophic Man» – Pietro Verri observed in another essay, the Thoughts on the Spirit of Italy’s Literature59 (‘Pensieri sullo spirito della letteratura d’Italia’) –, was also at that time nearly the same as in the preceding century, except that recent discoveries concerning the globe they inhabited, the busier and more daring navigation, stimulated in some ideas in natural history, in the figure of earth, in celestial observations – and with these, some elementary ideas of geometry. At the end of this great century Galileo appeared: the honor of our homeland, Newton’s great forerunner, whose name shall remain glorious as long as mankind conserves the habit of thought – the person, finally, whose misadventures will be an eternal mark of shame for the century in which he lived. It was he who first shook the yoke of that science of words which tyrannized men’s minds and, without loving or seeking the truth, proudly declared itself philosophy 60.

These great «men born to educate others» gave a «new look» to phi- losophy in Europe, and «though the number of truths discovered in this change be not very ample, the way of reasoning introduced was the cause of discoveries that came afterwards and continue still». This is the cause of the victory of «reason», «and then a man who believed

58 Ibid., 206. 59 Ibid., 211-2. 60 FR1, 213.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Reading Il Caffè: scientific method and economic knowledge in the “School of Milan” 297 he could explain with the two sole principles of matter and movement all the phenomena of the universe was termed a philosopher». A situation unsatisfactory for Verri, believing as he did that his times had «notably, much […] improved the condition of minds in Italy and all of Europe», after Newton’s discoveries which had «added to the reason Descartes had already brought to philosophy, analysis, its faithful companion»61. In the sciences, and in «matters of simple rea- soning, he recommended in To Young Men of Talent Who Fear Pedants (‘Ai giovani d’ingegno che temono i pedanti’), the best judgment is «that which results from serious examination»62. The epistemology developed by Verri in his essay on Medicine is ac- companied by another – briefer and for several aspects hermetic – pro- grammatic discussion: Cesare Beccaria’s 1765 essay, On Periodic Jour- nals63 (‘De’ fogli periodici’). The essay illustrates the various techniques «a periodical writer» must adopt to secure the results most appropriate for this kind of expression, which are «to make virtue respectable, to make it pleasant, to inspire that pathos of enthusiasm for which it seems men for a moment forget themselves for the happiness of others»: these are the Apology, the Dialogue and «those serious arguments that invite one to virtue not for rigorous motives of duty, but for utility’s sake; not with geometric demonstrations, but with the sweet enchantment of a smooth eloquence neither exalted nor sublime». Finally, this is the «style of presenting views and highlights that make one think and stir up the ideas of the reader», with the warning, however, that periodical journals «should not serve so much to extend positive ideas as to curb the many negative notions – that is to say, to destroy the prejudices and pre-conceived ideas which make up the em- barrassment, the difficulty and, I should almost say, the mountainous and craggy [terrain] of every science». He concludes:

All these techniques must be weighed up and mixed together with great care because, as each is excellent of its kind, constant change spurs the desire and the curiosity to see what follows, nor is one ever wearied by a boring uniformity, which oozes lethargy and drowsiness over everything64.

In another suggestive article, The Pleasures of Imagination65 (‘I piaceri dell’immaginazione’), Beccaria further observed:

61 FR1, 216. 62 FR1, 392-5, 395. 63 FR 2, 413-6. 64 FR2, 415-6. 65 FR2, 476-80.

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Working with one’s hands makes the imagination agile and leads to respect for reason, our sovereign, without becoming her servile courtiers – for otherwise she sets leaden seals upon the imagination and obliges you to dig in, where you need to flow. It is not a question of analyzing, but one of composing. Be stingy with pleasing errors and, for heaven’s sake do not allow one of Plato’s handsome chimeras to slip through your hands for a sober ar- gument by Locke. Gaining a little philosophic indolence in things human is very appropriate for your purpose, in business as in the search for truth, of which you shall neither be an unfaithful nor a rebellious subject, but simply an obscure and idle farmer66.

For an author in whom we should perhaps be hard put to recognize the same voice as that of The Attempt at the Analysis of Contrabands, a «handsome chimera» of Plato’s is preferable to the «sober argument» of the beloved Locke, who would not perhaps have approved of this praise of “philosophic indolence” and the sweet invitation to allow things to «slip through […] your hands» instead of «dig[ging] in». In Some Thoughts on the Origins of Errors67, Pietro Verri, in turn, reminds us that many of our errors have a common origin:

Our errors also originate in the narrow limits of our sensibility, which – whether sometimes shaken, or lacking in vigor – barely reacts to the objects which strike the senses, or indeed, heavily battered and absorbed in a single conquering phantom, sees other things only vaguely and with blurred shapes; in the first case, it finds itself on intermediate steps to sleep, in the latter, on the road that leads to delirium68.

«Flowing» rather than «digging» may be a good antidote, for those who are engaged in science, to the illusions generated by the senses. In Some ideas on Moral Philosophy69, Alessandro Verri leaves few illusions on this head: «Men hear more or less wholesale what is useful to them, and the actions of their life are directed by a mechanism of sensations rather than a reasoned analysis». «Man is always imbecile», as he put it in the longer Little Commentary of a Bad Tempered Gentleman Who is Right, on the Definition: Man is a Reasonable Animal, in Which We Shall See What It Is All About. «[He] makes an effort to scale the cliff of truth, stumbling he reaches it and, from time to time, even up there he plays the child»70. The hard work of truth, and the uncertain hold reason offers, open the way to cognitive results that are far from the trusting optimism sometimes still today attributed to enlightened culture and

66 Ibid., 478. 67 FR2, 537-9. 68 FR2, 538. 69 FR2, 685-95. 70 FR2, 624-53.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Reading Il Caffè: scientific method and economic knowledge in the “School of Milan” 299 its way of conceiving science. «Let science fall silent for a moment and opinion hold sway – farewell humankind – you fall back into your delir- iums and good-bye until you reawaken. […] Your fears, the taste for the marvelous, the dreams (now weighty, now sad) of your imagination, the deception of the senses in things physical are inexhaustible sources of many strange things that now and again circle round our globe»71. The conquests in the art of measurement are not necessarily harbingers of good: «Man then measures distance, weight, the velocity of the planets; he knows then the miracles of mathematics; he has built ships, clocks, carriages, fountains, telescopes, has, in brief, perfected the arts and the sciences in the highest degree; and yet he has no clear, simple and exact ideas of morality». The ancients based their moral systems on a great and admirable investigation: everything was enthusiasm, the virtues were gigantic. They rarely reasoned; almost always they were poets. In recent times, conversely, it seems all morality is to be reduced to exact analysis. Perhaps neither the one nor the other of these methods is the true one. That of the ancients brought forth proud Stoics, sublime men – very nearly, I should say, monsters – of virtue; but that is simply the effect of a robust enthusiasm which can never be a common trait of mankind; and morality must be common. Yet the chill analysis of some of our modern men carries with it the inconvenience of making them become used to being too straightly on guard towards their own sentiments and to calculate the actions of life with the same detachment [«esatta discussione»] with which they work through a mathematical problem72. Reasoning upon good and evil, truth and falsehood, brings him again to mathematics and formalization: but with results it is difficult to connect back to the full and confident participation one seems to find in other pages written during this complex and multifaceted period of our modern history.

Conclusions

From a first reconsideration of the literature and some of the available sources, we can see that the analyses and the projects of the Enlightened Lombards were amply suffused with acceptance and ad- miration for the scientific method, consolidated in a continuing circu- lation of individuals and written material among the various European areas between the Sixteen and Seventeen hundreds. A reading of

71 FR2, 636-7. 72 See in FR2, 686-94, the article by Pietro Verri Alcune idee sulla filosofia morale.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 300 Germano Maifreda some of the material published in Il Caffè – which should be accompanied by the analysis of the major works and the correspondence of Pietro and Alessandro Verri, Cesare Beccaria, Paolo Frisi and various other participants in the great season of general renewal of political and economic culture which was the latter half of the 18th century in Lombardy – would make it possible to perceive with immediacy the admiration for the mathematical, physical, astronomic and, more broadly, philosophic-scientific tradition that had grown up in the West thanks to Galileo, Bacon, Newton, Harvey, Petty and the other protagonists of the development of the research method we consider ‘scientific’ today. However, the admiration of the leading exponents of the Lombard Enlightenment for the methodological/scientific innovations of the preceding decades never becomes the sterile acceptation of pre- existing quantitative schematization, nor the banal imposition of mechanistic readings and interpretations of economic and social systems. Instead, it is precisely in the natural sciences, on the one hand, and in the social sciences (and therefore economics), on the other, that we find one of the original elements of the Lombard En- lightenment: at once a marker of its cultural status as a phenomenon of European significance and of its precocious emancipation from the uncritically ‘scientific’ patterns evolving in other European areas during the same decades. So it seems we ought to proceed very carefully indeed in hypothesizing that the members of the enlightened Lombard circle most engaged in the construction of a project of political reform and, thus, in the elab- oration of a new economic culture, gave their full and authentic support to the geometric/mechanistic conception of social – and economic – life; or even to Political Economy as a discipline replicating the model of the exact sciences, since that might schematize functional relations to the detriment of the phenomenological and empiric dimension of social and cultural reality. The richness and the up to date information of the methodological debate appearing in the pages of Il Caffè allows far more articulate concepts to come into view – and with implications not of secondary importance for the reformatory political project, both as regards the epistemological aspects that most directly invest the formation of eco- nomic culture and as regards the relations between this and the other sciences concerning society.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Antonio Trampus

PORTI FRANCHI E SCUOLE DI COMMERCIO: IL «SISTEMA» ASBURGICO DI TRIESTE E VENEZIA NELLA POLITICA ADRIATICA E MEDITERRANEA DEL XIX SECOLO*

DOI 10.1929/1828-230X/43142018

SOMMARIO: La storiografia italiana e quella austriaca hanno sovente esaminato la storia dei porti franchi di Trieste e di Venezia e delle relative scuole di commercio come capitoli separati e solo occasionalmente collegati. L’avvio di un progetto internazionale sulla storia globale dei porti franchi e nuove fonti documentarie consentono di mettere queste vicende in una relazione più diretta, e di mostrare come la creazione delle prime Scuole di commercio fosse parte integrante di una strategia più ampia nella politica adriatica e mediterranea della monarchia asburgica e poi del nuovo Regno d’Italia.

PAROLE CHIAVE: porti franchi, scuole di commercio, Adriatico, Mediterraneo, Venezia, Trieste.

FREE PORTS AND SCHOOLS OF COMMERCE: THE «ASBURGICAL SYSTEM» OF TRIESTE AND VENICE IN NINETEENTH-CENTURY ADRIATIC AND MEDITERRANEAN POLITICS

ABSTRACT: Italian and Austrian historiography have often examined the history of the free ports of Trieste and Venice and the birth of the relative schools of commerce as separate chapters, only occasionally connected. The launch of an international research project on the global history of free ports and new sources makes it possible to relate these events in a more direct relationship, and to show how the creation of the Schools of Commerce was an integral part of a broader strat- egy of the Habsburg monarchy in the Adriatic and Mediterranean politics.

KEYWORDS: free ports, schools of commerce, Adriatic, Mediterranean, Venice, Trieste.

La ricorrenza dei 150 anni dalla fondazione dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, alla cui storia già Marino Berengo dedicò vent’anni fa pagine di notevole interesse1, coincide sostanzialmente con quella dell’avvio a Trieste di un’altra iniziativa, quella del veneziano Pasquale Revoltella, che nel testamento del 1866 disponeva un legato di dieci- mila fiorini austriaci per l’istituzione di una Scuola superiore d’istru-

* Abbreviazioni - Ancp: Archivio Negrelli presso la Comunità di Primiero; Asve: Archivio di Stato di Venezia; Fgsa: Fondazione Giovanni Scaramangà di Altomonte Trieste, Archivio Nobile; Ivsla: Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti Venezia, Archivio Luzzatti. 1 Sugli inizi della Scuola di Commercio a Venezia, poi Università Ca’ Foscari, cfr. M. Berengo, Le origini dell’insegnamento di filologia romanza a Ca’ Foscari, in Studi medievali e romanzi in memoria di Alberto Limentani, Jouvence, Roma, 1971, pp. 11-20; Id., La fonda- zione della Scuola Superiore di Commercio di Venezia, il Poligrafo, Venezia, 1989, pp. 7-16.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 302 Antonio Trampus zione «nelle Scienze e Materie Commerciali su basi pratiche»2. Si tratta di due avvenimenti prossimi dal punto di vista geografico e cronologico, che però sono stati accostati raramente e per riferimenti occasionali, e quasi mai sono stati messi direttamente in relazione tra loro. La loro ricostruzione e interpretazione è stata sovente condizionata da letture che utilizzavano non solo come punto di osservazione privilegiato lo spazio locale o micro regionale, ma che limitavano anche l’orizzonte cronologico entro il quale spiegare queste iniziative ai soli esiti della terza guerra d’indipendenza. L’istituzione della Scuola veneziana sarebbe stata la lungimirante conseguenza dell’annessione di Venezia al Regno d’Italia3, mentre quella triestina sarebbe stata la risposta del porto franco asburgico alla nuova concorrenza dell’antica Serenissima4. L’avvio del progetto per una storia globale dei porti franchi in colla- borazione con l’Università di Helsinki, l’Helsinki Centre for Intellectual History e l’Accademia finlandese delle Scienze5, in relazione anche ai nuovi quadri d’insieme emersi dalle indagini storiografiche e dalla rilet- tura delle fonti d’archivio, consente di ricollegare queste vicende alle loro radici sette-ottocentesche e di collocarle entro un quadro assai più ampio, che è quello della politica asburgica nell’Adriatico e nel Mediter- raneo all’indomani della Restaurazione, in un contesto che evidenziava la crisi delle tradizionali funzioni dei porti franchi e invitava a cercare nuove soluzioni per rilanciare il ruolo internazionale della monarchia asburgica dinanzi alla nascente Confederazione germanica. Rispetto a questo progetto originario, ciò che sarebbe mutato profondamente nel- l’imminenza e nella fase immediatamente successiva al 1866 sarebbe stato il contesto geopolitico nel quale le Scuole di Commercio, con Vene- zia e Trieste, si sarebbero effettivamente inserite. Non più quello di grandi città e porti franchi destinati a servire altrettanti spazi strategici dell’impero austriaco – Venezia per il Lombardo-Veneto, Trieste per l’Au-

2 Cfr. Ritratto ed il completo testamento del barone Pasquale Revoltella, G. Mayer edi- tore, Trieste, 1869; inoltre A. Artico, Il barone Pasquale Revoltella e il suo Testamento alla città di Trieste, in M. Masau Dan (a cura di), Pasquale Revoltella 1795-1869: sogno e consapevolezza del cosmopolitismo triestino, Comune di Trieste-Civico Museo Revoltella, Trieste, 1996, p. 500. 3 R.D. 4.11.1866 nr. 3300, in Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, nr. 304, 5.11.1866, p. 1. Si vedano anche i documenti pubblicati in Ministero d’Agricoltura, Industria e Com- mercio, Ordinamento della Regia Scuola Superiore di Commercio in Venezia, Barbera, Firenze, 1868, pp. 3-6. 4 Queste vicende sono ricostruite criticamente in A. Millo, Storia dell’Università di Trieste. Mito, progetti, realtà, Università degli Studi-Lint, Trieste 1997, pp. 100-101 5 Questa mia ricerca nasce nell’ambito del progetto finanziato dall’Università di Hel- sinki e dall’Academy of Finland su A Global History of Free Ports. Capitalism, Commerce and Geopolitics (1600-1800) (https://www.helsinki.fi/en/researchgroups/a-global-his- tory-of-free-ports/about).

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Porti franchi e scuole di commercio: il «sistema» asburgico di Trieste e Venezia 303 stria inferiore, Fiume per il regno d’Ungheria –, ma quello di una terri- torializzazione dell’Adriatico divenuto luogo di competizione internazio- nale fra il Regno d’Italia e l’Impero austro-ungarico6.

Il declino dei porti franchi e la prima idea di una Scuola di commercio

Benché ripetutamente la storiografia veneziana abbia fatto risalire le origini della Scuola di commercio al momento del passaggio di Vene- zia al Regno d’Italia, quando il vicepresidente della Provincia Edoardo Deodati scrisse al giovane Luigi Luzzatti, nominato professore straor- dinario di diritto costituzionale a Padova, proponendogli di collaborare al progetto di ricreare una scuola di formazione per gli operatori eco- nomici, le radici di Ca’ Foscari sono ancora più antiche. Quel progetto riprendeva infatti, a distanza di vent’anni, l’idea che già nel 1847 Daniele Manin aveva lanciato per aprire una scuola di commercio in un clamoroso discorso tenuto all’Ateneo Veneto, durante il quale, lamentando il ritardo di Venezia rispetto alle «altre nazioni [che] non dormono»7, aveva indicato gli strumenti per restituire a Venezia influenza nello scacchiere Adriatico: una scuola commerciale sul modello di quella di commercio e nautica di Trieste e uno studio accu- rato per ricondurre allo spazio adriatico e veneziano il commercio con l’Oriente. Da dove Manin traesse a sua volta gli spunti immediati per un acco- stamento così diretto fra il contesto veneziano e quello triestino non è dato a sapere. Vale la pena però di segnalare, a fronte di una storio- grafia che ha spesso voluto accentuare nei rapporti fra le due città adriatiche la logica della competizione piuttosto che della complemen- tarietà, che l’idea di una collaborazione in termini di sinergia tra i due porti era stata lanciata con forza dal governo francese delle Province Illiriche riprendendo soprattutto gli studi dell’ingegnere bavarese Carl von Wiebeking, autore nel 1810 dei Mémoires concernant les améliora- tions des ports de Venise, la conservation des îles nommées Lidi… avec

6 Su questo tema si vedano ora E. Ivetic, Un confine nel Mediterraneo. L’Adriatico orientale tra Italia e Slavia (1300-1900), Viella, Roma, 2014, pp. 195-202 e G. Mellinato, L’Adriatico conteso. Commerci, politica e affari tra Italia e Austria-Ungheria (1882-1914), FrancoAngeli, Milano 2018, in particolare pp. 32-52. 7 Si veda il processo verbale di quella seduta, pubblicato con il titolo Sunto delle pro- posizioni fatte a voce all’Ateneo dal socio corrispondente Avv. Daniele Manin per migliorare il commercio di Venezia in Esercitazioni scientifiche e letterarie dell’Ateneo Veneto, vol. VI, fasc. II, Dalla tipografia di Giovanni Checchini, Venezia, 1848, pp. 232-234. Ripubblicato anche in A. Errera, C. Finzi, La vita e i tempi di Daniele Manin corredata da documenti inediti (1808-1848), Antonelli, Venezia, 1872, pp. 42-44.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 304 Antonio Trampus un le projet d’un port de mer devant Trieste8. Il progetto era il risultato di tre anni di studio trascorsi a Vienna fra il 1802 e il 1805 e intera- mente dedicati alla progettazione di un sistema complesso di infra- strutture marittime, portuali, di vie d’acqua e di terra funzionali a mettere i tre porti di Trieste, Fiume e Venezia in collegamento più diretto con l’Europa centrale9. Ripreso, come si accennava, dall’ammi- nistrazione napoleonica del Regno d’Italia e delle Province Illiriche, quel piano venne implementato in funzione della nuova politica adriatica della Francia anche in vista della creazione di una rete di scuole di nautica e commercio. Un documento conservato presso l’archivio della Fondazione Scaramangà di Trieste, diretto nel febbraio 1813 dall’inge- gnere capo dei ponti e strade Blanchard al governatore generale delle Province Illiriche, riprendeva analiticamente lo studio di Wiebeking, estendendo l’area da considerare sino alla punta di Salvore nell’Istria già veneta e trasformandolo in un vero e proprio piano di fattibilità, atteso che quelle proposte «méritent d’être développés»10. La memoria di questi progetti non si era spenta nella Venezia di trent’anni dopo, ormai all’ombra dell’aquila asburgica e posta dinanzi al confronto, come Trieste, con le politiche economiche della Restaurazione e con le spinte centralizzatrici del governo di Vienna11. L’orizzonte nel quale si muoveva Daniele Manin era da un lato quello di una sfida all’inerzia del governo austriaco nel Veneto, dall’altro quello del confronto con Trieste e della riflessione sulla funzione dei due porti franchi (Trieste lo era dal 1719, Venezia dal 1830) nel contesto geopolitico dell’Adriatico e del continente europeo: non una logica di competizione, spiegava Manin nel suo discorso all’Ateneo Veneto, ma di complementarietà. Secondo il suo pensiero, istituzioni come le Scuole di commercio «dipen- dono dalla condizione speciale d’un luogo, non dall’utilità generale d’uno Stato, toccano ai privati o ai Comuni, non al Governo». A Venezia abbon- davano i capitali ma «qui non si arrischia, non si lucra», mentre guar- dando a Trieste si nota che «i fallimenti di alcuni, ma la prosperità di

8 Mémoires concernant les améliorations des ports de Venise, la conservation des îles nommées Lidi, l’amélioraton du cours de la Brenta, du Bacchiglione et des canaux de des- séchement et de navigation entre Venise, Padoue, Verone et l’Adige ; avec un le projet d’un port de mer devant Trieste, De l’Imprimerie de Zangl, Munic, 1810. 9 U. Schwarz, Wiebekings Wasserbaukunst am Beispiel des Rheins, in 8. Kartogra- phiehistorisches Colloquium Bern 1996. Vorträge und Berichte. Herausgegeben von Wolf- gang Scharfe in Verbindung mit dem Arbeitskreis „Geschichte der Kartographie“ der Deutschen Gesellschaft für Kartographie und der Arbeitsgruppe D-A-CH deutscher, öster- reichischer und schweizerischer Kartographiehistoriker, Fachzeitschrift Cartographica Gel- vetica, Murten, 2000, pp. 41–44. 10 Fgsa Trieste, Archivio Nobile, Lettera e osservazioni datate Lubiana 12 febbraio 1813, carte non numerate. 11 G. Benzoni, G. Cozzi (a cura di), Venezia e l’Austria, Marsilio, Venezia, 1999.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Porti franchi e scuole di commercio: il «sistema» asburgico di Trieste e Venezia 305 molti [...] ivi frutta»12. L’esperienza triestina poteva diventare quindi un modello e la sinergia tra le due città portuali avrebbe potuto realizzarsi proprio a partire dagli interessi comuni e complementari: a Venezia non solo si sarebbe potuto aprire una Scuola di commercio, ma anche un nuovo giornale sull’esempio di quello del Lloyd Austriaco. Quasi a suggellare quelle idee, come ricordano Alberto Errera e Cesare Finzi tra i primi biografi di Manin, giunse a Venezia nelle stesse settimane Richard Cobden (1804-1865), il celebre economista della scuola di Manchester che era riuscito a far revocare dal governo bri- tannico molti provvedimenti di carattere protezionistico, favorendo il passaggio dell’Inghilterra al sistema del libero scambio13. Cobden fu accolto e guidato attraverso la città proprio da Manin sotto lo sguardo vigile delle autorità asburgiche, perché «le discipline economiche che l’Austria avversava erano qui coltivate con amore, e sebbene si seque- strassero, come proibiti, i libri più rinomati di economia politica di quel tempo (per es. i trattati di G. B. Say), pure il nome di Cobden e la cogni- zione di ciò c’egli aveva fatto, erano diffusi tra gli studiosi»14. Come notato già da Piero Del Negro, il discorso di Manin all’Ateneo Veneto era importante non solo perché era la prima volta che il patriota veneziano metteva piede in quella istituzione e perché consente di documentare il suo impegno politico, ma soprattutto perché si muo- veva in direzione diversa rispetto al tradizionale dibattito sulle sorti economiche di Venezia, fino ad allora affidato al ruolo degli ex patrizi e alla fiducia nelle risorse proprie della città15. Manin allargava il discorso sia sul piano politico–fu di quelle settimane l’istanza inviata al governo austriaco affinché «la valigia delle Indie passi per Venezia», accompa- gnata dalla firma di 62 commercianti, intellettuali, scienziati ed espo- nenti politici16-, sia sul piano qualitativo. Il contesto nel quale Manin

12 Sunto delle proposizioni fatte a voce all’Ateneo dal socio corrispondente Avv. Daniele Manin cit., p. 232. 13 Sulla figura di Cobden, si veda la raccolta di saggi più recente apparsa per cura di A. Howe, S. Morgan, Rethinking Nineteenth-Century Liberalism. Richard Cobden Bicente- nary Essays, Routledge, London 2017. Sulla visita veneziana di Cobden si veda M. Taylor (a cura di), The European Diaries of Richard Cobden 1846-1849, Routledge, London, 2017, pp. 501-502. 14 A. Errera, C. Finzi, La vita e i tempi di Daniele Manin cit., p. 45. Le notizie sulla visita di Cobden a Venezia e prima a Milano provengono soprattutto dalla «Gazzetta di Venezia», 16 e 17 giugno 1847 e dagli Annali universali di statistica, economia pubblica, geografia, storia, viaggi e commercio, vol. XII, serie 2, 1847, pp. 321-329. 15 P. Del Negro, Il 1848 e dopo, in Storia di Venezia. L’Ottocento e il Novecento, 1, Vene- zia città suddita 1797-1866, Treccani, Roma, 2002, pp. 107-187. 16 Istanza estesa da Daniele Manin e firmata da 62 cittadini, con la quale si chiede che la valigia delle Indie passi per Venezia, in A. Errera, C. Finzi, La vita e i tempi di Daniele Manin cit., pp. 40-41.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 306 Antonio Trampus vedeva la fondazione di una Scuola di commercio era da un lato oppo- sto alla politica protezionista austriaca e in favore della libertà di com- mercio, dall’altro favorevole a una rete integrata nella quale Venezia con i suoi commerci avrebbe trovato una collocazione precisa al servizio del Lombardo-Veneto grazie allo sviluppo delle infrastrutture, del porto e del sistema ferroviario austriaco17. Manin era parte attiva nella Società per la costruzione della ferrovia nata nel 1835 nell’ambito della Camera di commercio veneziana e nel dibattito, con Carlo Cattaneo, sulla scelta del percorso più efficace per collegare Venezia con Milano18. L’idea di Manin per una scuola di commercio e di nautica, che ripren- desse e migliorasse il modello offerto da Trieste, era in questo senso del tutto simmetrica al dibattito che si stava svolgendo in Lombardia, animato ancora una volta da Carlo Cattaneo, per lo sviluppo di scuole professionali e di commercio sostenute dai ceti imprenditoriali locali affinché fossero libere il più possibile da condizionamenti del governo viennese19. L’iniziativa di Manin era già la risposta a un contesto di decadenza che avrebbe accompagnato quindi la realizzazione effettiva delle due Scuole di commercio a Venezia e a Trieste anche nel volgere degli anni Sessanta. Una decadenza legata al fallimento della politica dei porti franchi, non più efficaci in un contesto europeo e internazionale in profonda trasformazione. A Venezia, nonostante gli investimenti del- l’amministrazione austriaca nelle infrastrutture e nelle opere portuali, nelle manutenzioni dei litorali, nella costruzione di pozzi artesiani e nella Società per l’esercizio del molino a vapore20, il regime del porto franco aveva mancato l’obiettivo di risollevare i traffici commerciali. La grande proprietà veneta, che era fondamentalmente una proprietà terriera, rimaneva per tradizione più incline alla rendita che all’inve-

17 P. Del Negro, Il 1848 e dopo cit., p. 117. 18 Si veda la voce di M. Gottardi, Manin Daniele, in Dizionario biografico degli italiani, 69, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 2007, pp. 38-44. 19 C. G. La Caita, Istruzione e sviluppo in Lombardia da Cattaneo al primo Novecento, in L. Cafagna, N. Crepax (a cura di), Atti di intelligenza e sviluppo economico. Saggi per il bicentenario di Carlo Cattaneo, il Mulino, Bologna, 2001, pp. 105-153. M. Romano, Alle origini dell’industria lombarda: manifatture, tecnologie e cultura economica nell’età della Restaurazione, FrancoAngeli, Milano, 2012, p. 274 e passim; A. Bianchi, Ceti dirigenti e istruzione a Milano e in Lombardia tra età delle Riforme e Restaurazione. Alcune note sul rapporto di Carlo Cattaneo «Sull’ulteriore sviluppo della pubblica istruzione», in A. Mon- ticone, M. Tosti (a cura di), Europa mediterranea. Studi di storia moderna e contempora- nea in onore di Angelo Sindoni, Studium, Roma, 2018, pp. 235-251. 20 Si veda la traccia delle discussioni svolte fino al 1834 in Asve, Archivio della Camera di Commercio, industria, artigianato e agricoltura, busta 586 (registri del porto franco 1809-1834).

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Porti franchi e scuole di commercio: il «sistema» asburgico di Trieste e Venezia 307 stimento e l’Austria stessa non voleva che Venezia – destinata origi- nariamente a servire il vasto bacino del Regno Lombardo-Veneto – divenisse dopo la cessione della Lombardia (1859) una concorrente di Trieste, la cui funzione rimaneva quella di servire il bacino austriaco e centro europeo. Il grande disegno di un sistema meridio- nale della monarchia, nel quale i tre porti franchi di Venezia, Trieste e Fiume avrebbero assolto ciascuno ad una specifica funzione geopo- litica diversa e complementare, si era ormai incrinato. La guerra del 1859 consegnava poi la monarchia a una situazione di profonda sof- ferenza economica. Il ministro Karl Ludwig von Bruck, morendo sui- cida nel 1860, lasciava il bilancio dello Stato con un disavanzo di 280 milioni di fiorini e con un debito destinato a salire a 3 miliardi nel 1863, contemporaneamente a una perdita di valore della moneta del quaranta per cento21. Pure a Trieste la crisi economica dell’Impero si rifletteva in una costante riduzione delle attività emporiali, cui faceva specchio la chiu- sura di ben otto società di assicurazione tra il 1860 ed il 1865. La pro- gettazione e la fondazione delle scuole di commercio avveniva quindi in un contesto generale di criticità e di riposizionamento dei commerci22 che costringeva le due città adriatiche a riflettere sulla funzione dei porti franchi, sui rapporti con il governo centrale, sulle politiche eco- nomiche ormai inadeguate a superare una fase così delicata. E’ il caso di notare che il problema accomunava anche altre città europee, tra cui Anversa che è l’esempio più frequentemente citato dalla storiografia veneziana e triestina, dove già tra il 1853 e il 1854 era stato aperto l’In- stitut Supérieur de Commerce de l’État come risposta alla crisi econo- mica e come conseguenza del dibattito sull’utilità di avviare un regime di porto franco23. La grande speranza era riposta da tutti nel progetto, a lungo elabo- rato, del taglio dell’istmo di Suez, sostenuto dai ceti imprenditoriali di Venezia e di Trieste, ma anche da quelli milanesi, tedeschi e poi fran-

21 E. Bruckmüller (a cura di), Parlamentarismus in Österreich, Öbv&Hpt, Wien, 2001, p. 61. 22 Si vedano a proposito anche le osservazioni di A. Millo, Storia dell’Università di Trieste cit., pp. 100-101, che sottolinea tuttavia la carenza degli studi su questo parti- colare contesto storico e geopolitico. 23 V. Bierkens, Le port d’Anvers, son avenir, son importance économique pour la Suisse, Imprimerie Attinger frères, Neuchâtel, 1920, p. 198; S. François, Le port d’Anvers : sa fonction nationale et la politique commerciale belge après la guerre, Librairie du Recueil Sirey, Paris, 1935, pp. 198-200. Sull’istituto di Anversa cfr. M. L. Aen den Boom, L’Ins- titut Supérieur de Commerce de l’État à Anvers 1853-1937, L’Institut Supérieur de Com- merce de l’État, Anvers, 1937.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 308 Antonio Trampus cesi, a dimostrazione del fatto che la questione del futuro economico e politico di Venezia e di Trieste non era più riducibile agli interessi locali24.

Venezia e Trieste nel sistema integrato del canale di Suez

Il taglio dell’istmo di Suez era stato immaginato sin dalla seconda metà degli anni Quaranta con la nascita della Société d’études du Canal de Suez incoraggiata dal principe di Metternich e animata dal trentino Luigi Negrelli a partire dal 1846. La sua realizzazione avrebbe risollevato le sorti non solo dell’Egitto, ma di tutto il bacino adriatico- mediterraneo attraverso la ripresa dei traffici verso l’Oceano Indiano25. Come ben hanno mostrato le ricerche condotte negli ultimi decenni, il progetto di Suez, tanto nella visione di Negrelli quanto in quella del ministro Karl Ludwig von Bruck, era parte di un grande sistema nel quale assumevano rilevanza non solo lo sviluppo delle rotte commer- ciali verso l’Oriente ma anche il rafforzamento della politica dei porti franchi a Trieste, Fiume e Venezia accompagnata da importanti inter- venti portuali (a Venezia sulle bocche di porto, a Trieste con la proget- tazione del nuovo arsenale)26 e la creazione di una vasta rete di infrastrutture viarie e ferroviarie, sotto l’egida della Società delle Fer- rovie Meridionali con le sue competenze sulla Lombardia, sul Tirolo Meridionale e sul Litorale Austriaco, in cui era direttamente coinvolto Negrelli stesso27. Era a questo che guardava Manin auspicando il ritorno della «valigia delle Indie» nell’Adriatico e a Venezia. Uno dei protagonisti di quest’impresa sarebbe stato il veneziano ma naturalizzato triestino Pasquale Revoltella. Era nato proprio a Venezia nel 1795 da una famiglia di macellai che, con lui ancora piccolo, alla

24 Il riferimento alle sorti delle due città e al contesto della nascita delle Scuole di commercio ricorre tanto in M. Berengo, Le origini dell’insegnamento cit., p. 11 e in Id., La fondazione cit., p. 8, quanto in A. Millo, Storia dell’Università di Trieste cit., p. 100. Sulla funzione di Suez per Venezia si veda M.P. Pedani, Venezia e Suez, in Venezia e Suez 1504-2012, Autorità Portuale di Venezia, Venezia, 2011, pp. 9-17. 25 A. Bernardello, Venezia nel Regno Lombardo Veneto. Un caso atipico (1815-1860), FrancoAngeli, Milano, 2015. 26 Sul contesto cfr. G. Tatò, Trieste e Fiume: la concorrenza fra i due porti nelle carte della Camera di Commercio di Trieste, in M. Cattaruzza (a cura di), Trieste, Austria, Italia tra Settecento e Novecento: studi in onore di Elio Apih, Del Bianco, Udine, 1996, pp. 181- 196. 27 Cfr. Z. O. Algardi, Luigi Negrelli, l’Europa e il canale di Suez, Le Monnier, Firenze, 1988; significativa le lettere di Luigi Negrelli a Pasquale Revoltella del 3 e del 7 maggio 1850 in Ancp, Nr. 09_0821 e Nr 09_0822. L’intero archivio di Luigi Negrelli a Primiero è ora online, https://negrelli.primiero.tn.it/

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Porti franchi e scuole di commercio: il «sistema» asburgico di Trieste e Venezia 309 caduta della Repubblica si era spostata verso la vicina Trieste, forse a causa del crollo del mercato bovino nel Veneto. Iniziata l’esperienza nel commercio appena tredicenne, Revoltella aveva fatto fortuna subito dopo la fine del blocco continentale approfittando della fase di massima espansione del commercio internazionale e diventando socio di com- mercianti ginevrini attivi a Trieste e poi, attraverso loro, di Alphonse Théodore Charles Necker, console svizzero a Trieste e secondo cugino – attraverso il celebre Jacques Necker – di Madame de Stael. Negli anni Trenta, Revoltella aveva esteso le sue attività al ramo della navigazione, divenendo co-fondatore del Lloyd Austriaco, e poi a quello assicurativo e a quello bancario, diventando un punto di riferimento per la finanza e per il commercio triestino e austriaco28. Meno noto è il fatto che avrebbe continuato a interessarsi anche a Venezia, sua città natale, promuovendo opere di edilizia e di beneficienza29. Queste esperienze e l’impegno diretto nei capitali e nei lavori della Società per il canale di Suez30 fornivano a Revoltella gli strumenti per una valutazione ad ampio raggio del quadro economico internazionale. Benché attento a ricercare costantemente l’appoggio del governo di Vienna, Revoltella denunciò chiaramente i problemi del porto franco di Trieste nel 1864, pubblicando un suo saggio su La compartecipazione dell’Austria al commercio mondiale, in un contesto nel quale assai intenso era il dibattito sul destino dei porti franchi di Trieste e di Vene- zia31. Come nel caso di Venezia, lo sfondo sul quale si muoveva il pen- siero di Revoltella era quello delle mutate relazioni fra Trieste e Vienna e fra il ceto commerciale cittadino e il governo asburgico32. Aveva chiaro il fatto che i porti dell’Adriatico dovessero cessare di guardare al com- mercio di esportazione e di importazione in regime di protezionismo e dovessero puntare invece al commercio di transito, in modo da inserirsi più organicamente nel quadro del ‘commercio mondiale transoceanico’, rispetto al quale la prossima apertura del canale di Suez avrebbe svolto un ruolo fondamentale. Come Luigi Negrelli e Daniele Manin prima,

28 A. Millo, Storia dell’Università di Trieste cit., p. 38. 29 F. Caputo, Appaesarsi nel mondo: le città di Pasquale Revoltella, in M. Masau Dan (a cura di), Pasquale Revoltella (1795-1869) cit., pp. 53-69. 30 Si veda in particolare G. Cervani, Il Voyage en Egypte 1861-1862 di Pasquale Revol- tella, Alut, Trieste, 1972. 31 A titolo di esempio vanno ricordati almeno i saggi di G. Paulovich, Del porto franco di Venezia e dei porti franchi austriaci in generale, Antonelli, Venezia, 1863, e di M. Rasco- vich, Dei porti franchi dell’Austria e segnatamente di quello di Trieste, Herrmanstorfer, Trieste, 1863. 32 Si trattava di un cambiamento iniziato già dagli anni Quaranta, si veda A. Apollo- nio, La ripresa economica di Trieste dopo il ritorno degli Asburgo e i suoi protagonisti (1814- 1840), Deputazione di Storia Patria per la Venezia Giulia, Trieste 2011, pp. 235-242.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 310 Antonio Trampus

Revoltella aveva chiara quale fosse la rete dei commerci internazionali alla quale dovevano guardare i porti dell’Adriatico: «Il mare è la via di comunicazione più semplice e conveniente», «le ferrovie hanno accre- sciuto infinitamente l’influenza dei commerci sulla vita intellettuale, intrecciandosi in terraferma ad una gran rete di comunicazioni brevi e sollecite ed operando sul continente il pareggio fra produzione e con- sumo». Occorreva dunque difendersi dinanzi ai «recenti attacchi contro i porti franchi austriaci partiti dal ceto industriale della Monarchia» e interessati più allo sviluppo verso l’interno dell’area germanica e del- l’Europa orientale che allo spazio adriatico. Di contro, «dobbiamo qui far risaltare marcatamente, che la tendenza principale del Governo ita- liano è diretta evidentemente a superare l’Austria nell’Adriatico e ad attirare a’ propri porti il nostro commercio marittimo»33. Ecco quindi il ruolo del ceto imprenditoriale ed ecco la funzione delle Scuole di commercio, del codicillo nel testamento e del coinvolgimento del mondo economico in un progetto che si poneva in forte dialettica, come a Venezia, dinanzi alle autorità di governo: «Mi lusingo che Trie- ste, ed in specialità il suo ceto mercantile, avrà gradita questa mia isti- tuzione ispiratami dal riflesso, che gli studi attuali non sembrano bastevoli per animare i giovani ingegni a grandi e maturi concepi- menti»34. Anche a Venezia il progetto di creazione della Scuola a novembre 1867 avrebbe previsto anzitutto la nascita di una convenzione tra il Comune e la Camera di Commercio35 e lo stesso Luigi Luzzatti sarebbe stato in qualche modo espressione dell’imprenditoria veneta attraverso le aziende di famiglia, che si erano dedicate alla pettinatura della canapa grezza e alla produzione di coperte di lana36.

33 P. Revoltella, La compartecipazione dell’Austria al commercio mondiale. Considera- zioni e proposte, Tipografia del Lloyd Austriaco, Trieste, 1864, p. 17. Per inquadrare il problema si vedano anche le pagine di H. Rumpler, Economia e potere politico. Il ruolo di Trieste nella politica di sviluppo economico di Vienna, in R. Finzi, L. Panariti, G. Panjek (a cura di), Storia economica e sociale di Trieste, II, La città dei traffici 1719-1918, Lint, Trieste, 2003, pp. 89-107. 34 Il ritratto e il testamento cit., p. 24. 35 M. Berengo, La fondazione cit., p. 10. 36 P. Pecorari, P. L. Ballini, Luzzatti, Luigi, in Dizionario biografico degli Italiani, 66, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 2006, pp. 724-733.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Porti franchi e scuole di commercio: il «sistema» asburgico di Trieste e Venezia 311

L’apertura di Ca’ Foscari e il ruolo “internazionale” dei professori giuliani

Come si accennava, fu l’annessione del Veneto al Regno d’Italia a mutare la prospettiva nella quale si sarebbe collocata la Scuola di com- mercio veneziana e a indirizzare la sua funzione strategica non più verso il ‘sistema meridionale’ dell’impero austriaco ma verso i destini geopolitici dello spazio adriatico. In questo l’opera del giovane Luigi Luzzatti avrebbe svolto un ruolo importante, perché la sua figura diventava la naturale confluenza di numerose istanze: dell’imprendi- toria veneta, anche per l’esperienza attraverso le aziende di famiglia; e dell’eredità di Daniele Manin e dei suoi progetti per Venezia, ai quali Luzzatti avrebbe dedicato diverse pagine37. In questa logica si inserisce anche il coinvolgimento nella fondazione di Ca’ Foscari dei primi professori giuliani38, provenienti dal Litorale Austriaco e dall’Istria, che univano alle loro competenze giuridiche o economiche anche una conoscenza approfondita della lingua tedesca. Anzitutto Raffaele Costantini, triestino, docente al ‘banco’ o scuola di applicazione e cioè sostanzialmente di gestione aziendale39 o, come si scriveva al tempo, di ‘pratica mercantile’40. Su di lui Marino Berengo aveva lamentato la scarsità di notizie, ma scandagliando la biografia si colgono gli aspetti squisitamente politici e internazionali di una nomina che Luigi Luzzatti avrebbe rivendicato come proprio merito nelle Memo- rie41. E sul nome di Costantini sarebbe giunto l’assenso di Francesco Ferrara, che con Luzzatti si impegnò a capire come lo «possiamo con- quistare» fino ad attivare effettivamente alla nomina per chiamata

37 M. Molinari, Ebrei in Italia: un problema di identità (1870-1938), pref. di Giovanni Spadolini, pres. di Pietro Scoppola, Giuntina, Firenze, 1991, p. 74. Per l’eredità culturale di Manin in Luigi Luzzatti si veda dello stesso L. Luzzatti, Daniele Manin in «Il Fanfulla della Domenica», Roma 24 marzo 1877, p.70 e, benché posteriore, L. Luzzatti, Grandi italiani: sacrifici per la patria, Bologna, Zanichelli, 1924, pp. 346-366. 38 Come noto, fu proprio all’inizio degli anni Sessanta dell’Ottocento che Graziadia Isaia Ascoli coniò il termine Venezia Giulia per indicare le regioni ancora designate come Litorale Austriaco e Istria. Rimane valido a proposito, tra i numerosi studi, F. Salimbeni, Graziadio Ascoli e la Venezia Giulia, «Quaderni Giuliani di Storia», I, 1 (1980), pp. 51-68. 39 Sui caratteri di questi insegnamenti cfr. G. Favero, L’insegnamento delle discipline aziendali a Venezia dalla Scuola superiore di commercio all’Università Ca’ Foscari, in D. Mantoan, S. Bianchi (a cura di), 30+ anni di aziendalisti in Laguna, pp. 21-35, in parti- colare p. 23. 40 V. Ravà, Ebrei in Venezia, «L’Educatore Israelita. Giornale mensile per la storia e lo spirito del giudaismo», XIX, Vercelli, Guglielmoni, 1871, p. 142, che ricorda il nome di Costantini accanto a quello di Luigi Luzzatti offrendo un quadro interessante del contri- buto della comunità ebraica allo sviluppo dell’istruzione pubblica veneziana. 41 M. Berengo, La fondazione cit., p. 19; L. Luzzatti, Memorie, I, Zanichelli, Bologna, 1924, pp. 273-274.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 312 Antonio Trampus diretta nel novembre 1868, anche se appena due anni dopo lo avrebbe costretto alle dimissioni per contrasti sulla politica monetaria della Banca Nazionale nella quale Costantini era stato impegnato42. Perché il gruppo dei promotori di Ca’ Foscari aveva contato tanto sul triestino Costantini? Esponente di punta del gruppo liberale e membro di spicco della comunità ebraica triestina, Raffaele Costantini era stato nel 1848 uno dei segretari della Società dei triestini e colla- boratore stretto del dalmata Federico Seismit-Doda, riparato in Italia e poi deputato della Sinistra storica e futuro ministro delle finanze con interim del tesoro dal 187843. Eletto nel 1861 nel Consiglio comunale di Trieste44, Costantini era stato sottoposto ad attenta sorveglianza da parte della polizia, era emigrato a Firenze divenendo segretario del- l’agenzia generale della Riunione Adriatica di Sicurtà diretta proprio da Seismit-Doda ed era stato processato in contumacia per alto tradi- mento45. Le sue competenze di carattere economico, peraltro molto sot- tovalutate da Berengo46, riguardavano specificatamente il problema dello sviluppo dei commerci in relazione ai porti franchi e al loro ruolo geografico. Ma il significato della nomina di Costantini era chiaramente politico: già all’indomani del 1848 Costantini si era impegnato attiva- mente per dimostrare al governo piemontese come l’unione di Trieste e di Venezia al futuro Regno d’Italia fosse giustificata da ragioni di geo- grafia economico-politica e dagli indubbi vantaggi che il Piemonte ne avrebbe ricavati47. Nella Memoria sulle condizioni politiche ed economi- che della città di Trieste del 186648 scritta per essere portata all’atten- zione di Bettino Ricasoli49, Costantini aveva dedicato poi ampio spazio ad un’analisi della politica economica del governo asburgico che, pur

42 M. Berengo, La fondazione cit., p. 60. Si veda anche Isvsla, Archivio Luzzatti, busta 36, nr. 1605, lettera di Francesco Ferrara a Luigi Luzzatti, nr. 1605.13. 43 Sulla figura di Seismit-Doda conviene ancora rimandare all’ampia biografia di L. Sanzin, Federico Seismit-Doda nel Risorgimento, Cappelli, Bologna, 1950. 44 A. Scocchi, Gli ebrei di Trieste nel Risorgimento italiano, «Rassegna Storica del Risorgimento», 38 (1951), p. 650. 45 G. Cervani, Nazionalità e stato di diritto nel pensiero di Pietro Kandler. Gli inediti del procuratore civico, Del Bianco, Udine, 1975, p. 58. 46 A Berengo risultava pubblicato un suo unico scritto del 1869 sul corso forzoso delle monete e ciò lo faceva stupire della nomina a professore a Ca’ Foscari, cfr. M. Berengo, La fondazione cit., p. 60 n. 24. 47 Si veda la posizione di Costantini discussa da A. Millo, Trieste 1830-1870: From Cosmopolitanism to the Nation, in Laurence Cole (ed.), Different Paths to the Nation. Regional and National Identities in Central Europe and Italy 1830-70, Palgrave Macmillan, New York, 2007, pp. 73-74. 48 R. Costantini, Memoria sulle condizioni politiche ed economiche della città di Trieste, Barbera, Firenze, 1866. 49 G. Sapelli, Trieste italiana, mito e destino economico, FrancoAngeli, Milano, 1990, p. 56.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Porti franchi e scuole di commercio: il «sistema» asburgico di Trieste e Venezia 313 aumentando la produzione e il movimento commerciale e diminuendo il debito pubblico, stava ripercuotendosi negativamente sulla finanza triestina e sul ruolo delle compagnie di assicurazione. La sua difesa dell’autonomia finanziaria delle compagnie assicurative, soprattutto triestine, passava attraverso una denuncia netta della pretesa bilate- ralità dell’atto di dedizione di Trieste all’Austria che era a fondamento della condizione giuridica della città, che ora veniva portato all’atten- zione di Bettino Ricasoli. Alla vigilia dell’arrivo a Ca’ Foscari, Costantini era a Milano per costituire con altri esuli il Comitato triestino istriano che doveva caldeggiare presso il governo italiano anche la liberazione di Trieste e che preparava un memoriale per Bismark50. Altrettanto significativo è il nome dell’altro professore giuliano entrato a far parte del gruppo fondatore di Ca’ Foscari, questa volta attraverso un concorso svolto nel novembre 1868, e cioè Carlo Combi, andato ad occupare la cattedra di diritto civile. Combi (1827-1884), che nelle proprie pagine autobiografiche avrebbe ricordato gli anni spesi nelle scuole di lingua tedesca perché nell’Istria l’Austria non ammetteva l’insegnamento della lingua italiana, apparteneva allo stesso Comitato triestino istriano cui aveva aderito Costantini ed era noto come capo del partito liberale nazionale nel- l’Istria. Sempre con Costantini e altri aveva collaborato alla raccolta di materiali per il volume di Sigismondo Bonfiglio, avvocato e professore, su Italia e confederazione germanica: documenti di diritto diplomatico storico e nazionale intorno alle pretensioni germaniche sul versante meri- dionale delle Alpi51. Benché avesse spiccati interessi storici e geogra- fico-politici52, Combi avrebbe profuso il suo impegno a Ca’ Foscari soprattutto come giurista e civilista. Lasciata Capodistria nel 1866 per le intimazioni della polizia austriaca e rifugiato pure lui a Firenze, avrebbe trovato a Ca’ Foscari l’ambiente adatto a proseguire la batta- glia in favore della rivendicazione dell’Istria al Regno d’Italia, poi anche nelle vesti di assessore alla Pubblica Istruzione del Comune di Venezia assunte nel biennio 1878-1879. Nonostante le precoci dimissioni di Costantini, l’arrivo tra i primi componenti del corpo docente di Ca’ Foscari di questi due studiosi giu-

50 A. Gentile, Arrigo e Attilio Hortis e il liberalismo triestino, «Rassegna Storica del Risorgimento», 42, 2-3 (1955), p. 286. 51 C. Combi, Venezia nel 1866, note e ricordi; Commemorazione del prof. Cav. Carlo Combi letta alla R. Scuola Superiore di Commercio in Venezia, Visentini, Venezia, 1885. S. Cella, Combi Carlo, in Dizionario Biografico degli Italiani, 27, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1982, pp. 533-535. 52 Sul ruolo di Combi nella Società Geografica Italiana cfr. D. Natili, Un programma coloniale: La Società geografica italiana e le origini dell’espansione in Etiopia (1867-1884), Gangemi, Roma, 2016, p. 119.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 314 Antonio Trampus liani esponenti di primo piano nel dibattito politico italiano fa capire quindi che, nel momento in cui veniva realizzato, il progetto della Scuola di commercio mutava radicalmente rispetto alle premesse degli anni precedenti. Nei suoi fondatori non si rilevava più solo la ricerca di competenze specifiche nei rispettivi campi disciplinari, ma soprat- tutto la coerenza con una strategia di politica estera del giovane Regno d’Italia (o quantomeno di alcune sue componenti di governo). Tale stra- tegia era tesa da un lato a estendere o programmare il proseguimento del conflitto con l’Austria-Ungheria fino alla conquista della Venezia Giulia e dell’Istria53, e dall’altro a delineare una strategia internazionale della questione adriatica da considerare storicamente come il mercato naturale di Venezia dinanzi alle pretese dell’Austria-Ungheria e della Confederazione germanica54. Combi stesso del resto, da professore di Ca’ Foscari e da assessore al Comune di Venezia, lo avrebbe reso palese in un dibattito nel Consiglio comunale del 30 gennaio 1884: discutendo l’approvazione di un contributo municipale per l’introduzione dell’in- segnamento della lingua rumena a Ca’ Foscari, avrebbe precisato in quell’occasione che, anche se «la politica non ha a che fare con l’inse- gnamento», la funzione della Scuola di commercio e dei suoi insegna- menti andava letta nel contesto in cui «Venezia ha reso veneziano tutto l’Adriatico»55. L’affermazione del primato di Venezia, entro una retorica risorgi- mentale che rievocava il dominio della Serenissima e in una logica non più di collaborazione ma di competizione tra i porti dell’Adriatico, san- civa non solo il tramonto dell’utopia tardo settecentesca di un «sistema» integrato del commercio adriatico, ma anche dell’idea dell’utilità stessa dei porti franchi, destinati a entrare nel mito per il ruolo che avevano svolto in età moderna56.

53 Sul ruolo di Costantini presso Bettino Ricasoli si sofferma anche A. Millo, Un porto fra centro e periferia (1861-1914), in R. Finzi, C. Magris, G. Miccoli (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi. Il Friuli-Venezia Giulia, I, Einaudi Torino, 2002, p. 190. 54 G. Stefani, Il problema dell’Adriatico nelle guerre del Risorgimento, Del Bianco, Udine, 1965, pp. 76-85. 55 Così M. Berengo, Le origini dell’insegnamento di filologia romanza a Ca’ Foscari cit., p. 17. 56 Il dibattito già tardo settecentesco sull’utilità e sul declino dei porti franchi è stato ridiscusso recentemente da C. Tazzara, The Free Port f Livorno and the Trasformation of the Mediterranean World 1574-1790, Oxford University Press, Oxford 2017, pp. 232-260; altri riferimenti in C. A. Iodice, L’istituzione del porto franco in un Mediterraneo senza frontiere, «Politics. Rivista di Studi Politici», 5, 1 (2016), pp. 19-33, online in https://rivi- stapolitics.files.wordpress.com/2016/07/02_politics_5_iodice1.pdf e in G. Mellinato, L’Adriatico conteso cit., pp. 123-124.

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CESARE BALLANTI. UNA CARRIERA DI POLIZIA TRA LA SICILIA DEGLI ANNI SETTANTA DELL’OTTOCENTO E LA NAPOLI DEL PROCESSO CUOCOLO (1846-1910)*

DOI 10.1929/1828-230X/43152018

SOMMARIO: Il testo ripercorre, sulla base di documenti reperiti in vari archivi italiani, la carriera di Cesare Ballanti, questore della Polizia italiana noto per il suo coinvolgimento nelle indagini sull’omicidio Cuocolo, storia di e politica dei primi del Novecento. A partire dagli anni Quaranta della Roma dell’Ottocento e attraverso gli eventi della Sicilia degli anni Settanta, quando Ballanti presta servizio ad Agrigento, il saggio arriva a toccare la svolta di fine secolo e si chiude nuovamente nella capitale, dove il poliziotto si ritira in pensione nel 1909. La sua car- riera e alcuni eventi della sua vita intersecano degli snodi fondamentali di alcune storie e ques- tioni dell’Italia post-unitaria, vale a dire i rapporti tra mafia, camorra e politica, la graduale centralizzazione dei servizi di polizia, le difficoltà nella formazione e nel progressivo consolida- mento di una Polizia civile e l’importanza degli eventi siciliani sui lunghi tempi di tale percorso. La carriera di Cesare Ballanti è dunque un prisma attraverso cui guardare le vicende della Pub- blica Sicurezza italiana dalla metà degli anni Settanta del XIX secolo al primo decennio del XX.

PAROLE CHIAVE: Mafia, Camorra, Sicilia, Napoli, processo Cuocolo, Polizia, Età Liberale.

CESARE BALLANTI. A POLICE CAREER BETWEEN SICILY IN THE SEVENTIES OF THE XIXTH CENTURY AND NAPLES DURING THE YEARS OF THE CUOCOLO TRIAL (1846-1910)

ABSTRACT: The article relates in detail, and on the basis of documents found in various Italian archives, the career of Cesare Ballanti. He was a questore of the Italian Police, known for his involvement in the investigations on the murder of Gennaro Cuocolo, a history of Camorra and politics of the early 20th century. Starting from the ‘40s of the 19th century and from the events of Sicily during the ‘70s, when Ballanti worked in Agrigento, the essay passes through the critical turn-of-the-century and it ends in Rome, where the policeman retires in 1909. His career and some events of his life run alongside several decisive points of post-unitary Italy: namely, the relations between mafia, camorra and politics, the gradual centralization of police services, the difficulties in the formation and consolidation of a civil police force and the importance of the Sicil- ian events in determining the course of this consolidation. Cesare Ballanti’s career is therefore a prism through which the events of the Italian Public Security can be investigated, from the Mid- Seventies of the Nineteenth century to the first decade of the Twentieth.

KEYWORDS: Mafia, Camorra, Sicily, Naples, Cuocolo trial, Police, Liberal Age.

* Abbreviazioni: Archivio Centrale dello Stato (Acs), Acs, ministero dell’Interno, Dire- zione Generale Affari Generali e del Personale, Divisione Personale, Fascicoli Personale Fuori servizio, 1910, II, b. 247, fasc. Ballanti Cesare (Fasc. Ballanti), Archivio di Stato di Roma (Asrm), Archivio di Stato di Milano (Asmi), Archivio di Stato di Palermo (Aspa), Biblioteca Comunale di Imola (Bci), fascicolo (fasc.), scatola (sc.), versamento (vers.). Ringrazio per i preziosi suggerimenti e per aver letto criticamente il testo il professor Livio Antonielli, Carlo Bazzani, Michele Di Giorgio, Claudio Grasso, Giulia Alessandro e Andrea Podini.

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Cesare Ballanti è uno dei tanti nomi senza volto della storia ita- liana1. Funzionario del ministero dell’Interno sin dalla metà degli anni Settanta dell’Ottocento, egli giunge agli onori delle cronache nella Napoli di primo Novecento quando, questore della città, dirige le inda- gini su un duplice delitto, quello di Gennaro Cuocolo e Maria Cutinelli, trovati morti il 6 giugno 1906. Si tratta di due piccoli esponenti della criminalità napoletana, ricettatore il primo ed ex prostituta la seconda. L’omicidio ha tutta l’aria di un regolamento di conti, una vendetta per una spartizione di refurtiva. Su questa pista si muovono le indagini della Questura, ma non mancano indizi convincenti che collegano l’omicidio a Enrico Alfano, detto Erricone, considerato uno dei capi della criminalità partenopea. Il nome che corre sulle bocche di tutti è camorra: Enrico Alfano e il fratello Ciro, Gennaro Ibello e Giovanni Rapi, a banchetto il giorno dell’omicidio in un ristorante poco lontano dal luogo di ritrovamento del cadavere di Cuocolo, vengono arrestati e rilasciati di lì a breve, il 17 luglio 1906. L’ipotesi che il duplice omicidio sia di matrice camorri- stica non convince il giudice istruttore e la magistratura si persuade che la pista da seguire sia quella della vendetta, di una rappresaglia per questioni di refurtiva. Non la pensa così Fabbroni, capitano dei Carabinieri di Monteoliveto, che decide per lo scontro a viso aperto con la Questura, additando, in un incontro con il capo della Polizia napo- letana, i legami tra politici e camorristi, tra questi ultimi e i funzionari, tra Ballanti e la malavita della città. Di lì a breve, un pentito si fa avanti a sostenere le ipotesi dei Carabinieri. Si tratta di Gennaro Abbatemag- gio, giovane malavitoso da tempo confidente di polizia. Grazie alle sue rivelazioni si aprirà uno dei processi più famosi di inizio secolo, il cosid- detto processo Cuocolo. Chi sia il questore della città, nella ricostruzione storiografica, passa decisamente in secondo piano: a interessare sono le storie di camorra e politica che riverberano dalle aule processuali, nei dibattimenti che si svolgono dalla primavera del 1911 e per i 12 mesi successivi2.

1 È stato Clive Emsley a parlare una prima volta dei poliziotti francesi come degli uomini senza volto della storiografia d’Oltralpe. La definizione è applicabile ai poliziotti italiani, anche se la storiografia inizia a muovere dei primi passi, cfr. C. Emsley, The French Police: Ubiquitous and Faceless, «French History», 1989, n. 3, pp. 222-227. Per un elenco aggiornato degli studi sulle polizie si veda la bibliografia curata dal CEPOC [ultima consultazione: aprile 2018], cfr. http://www.cepoc.it/materiali/bibliografia- nota/bibliografia-temi 2 Sul processo Cuocolo esiste un’ampia bibliografia, cfr., almeno, M. Marmo, “Processi indiziari non se ne dovrebbero mai fare”. Le manipolazioni del processo Cuocolo (1906- 1930), in M. Marmo, L. Musella (a cura di), La costruzione della verità giudiziaria, Clio-

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Cesare Ballanti. Una carriera di polizia... (1846 – 1910) 317

Eppure, Ballanti non è il primo parvenu del Ministero. È certo al suo primo incarico da questore, eccezion fatta per alcune settimane di ser- vizio a Livorno nel 19013, ma ha avuto fino a quel momento una brillante carriera. Il suo cammino fino a Napoli si è intrecciato più volte con altri funzionari di una certa rilevanza, quali Giuseppe Alongi, ben noto autore di saggi sulla mafia e la camorra4, Ermanno Sangiorgi e altri5, ma, a dif- ferenza di quei poliziotti, egli non ha quasi mai scritto, è sempre stato uomo d’azione, impegnato ora contro il brigantaggio, ora in delicati inca- richi politici, ora a rintracciare il bandito Varsalona, ora a controllare, per conto di Giolitti, l’operato dei prefetti italiani in occasione di scioperi e manifestazioni. La sua carriera e le sue vicende, che si ripercorreranno lungo i contorni di un primo profilo biografico, sono, per così dire, un prisma attraverso cui guardare all’evoluzione della Pubblica Sicurezza italiana tra XIX e XX secolo, dai difficili anni ’70 della Sicilia post-unita- ria agli sconvolgimenti della Napoli investita dal processo Cuocolo.

1. 1846-1874

Ultimo di quattro fratelli, Cesare Ballanti nasce a Roma, il 21 gen- naio 18466. Il padre, Ascanio, si è trasferito nella capitale dello Stato Pontificio nei primi anni ’20, per proseguire gli studi di medicina e chi- rurgia intrapresi nella non lontana Monterosso nelle Marche, oggi fra- zione di Sassoferrato7. È una carriera universitaria che inizia con

Press, Napoli, 2003, pp. 101-170; G. Garofalo, La seconda guerra napoletana, Società editrice napoletana, Napoli, 1984; R. Salomone, Il processo Cuocolo, Corbaccio, Milano, 1938; G. Di Fiore, La camorra e le sue storie. La criminalità organizzata a Napoli dalle ori- gini alle ultime «guerre», Utet, Torino, 2005, pp. 101-127. 3 Cfr. “Prefetto di Livorno a ministero dell’Interno”, telegramma del 01/07/1901, in Fasc.Ballanti. 4 Cfr., almeno, G. Alongi, La mafia nei suoi fattori e nelle sue manifestazioni, F.lli Bocca, Torino, 1886; G. Alongi, La camorra, F.lli Bocca, Torino, 1890. Sulla sua figura, cfr. S. Lupo, Storia della mafia dalle origini ai giorni nostri, Donzelli editore, Roma, 1993, ad indicem. 5 Su Sangiorgi, cfr. S. Lupo, Storia della mafia. Dalle origini ai giorni nostri, Donzelli, Roma, 1997, ad indicem; J. Dickie, Ritratto di questore con mafia, in S. Lupo, Il tenebroso sodalizio. Il primo rapporto di polizia sulla mafia siciliana, XL, Roma, 2011; Santino pub- blica le relazioni integrali di Sangiorgi sulla criminalità palermitana, cfr. U. Santino, La mafia dimenticata. La criminalità organizzata in Sicilia dall’Unità d’Italia ai primi del Nove- cento. Le inchieste, i processi. Un documento storico, Melampo, Milano, 2017, pp. 429 sgg; Diemoz si concentra in particolare sulle inchieste contro gli anarchici da parte di Sangiorgi, cfr. E. Diemoz, A morte il tiranno: anarchia e violenza da Crispi a Mussolini, Einaudi, Torino, 2011, pp. 113-116. 6 Cfr. “Matricola del personale di P.S. – n. 1930”, in Fasc.Ballanti. 7 “Francesco Bucci al cardinale Zuola, Prefetto de’ studi, per Ascanio Ballanti”, istanza del 15/07/1831, in Asrm, Congr. Degli Studi, b. 442, fasc. 1989.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 318 Andrea Azzarelli difficoltà quella di Ascanio, ma che, con qualche anno di ritardo, si conclude con successo: nel 1842, firmando una breve lettera per il Giornale arcadico di scienze, lettere ed arti, il padre di Cesare è ormai dottore e può scrivere al maestro Francesco Bucci, chirurgo primario dell’arcispedale di Santo Spirito, fregiandosi ormai di quel titolo8. Non è chiaro quali siano le vicende della famiglia lungo il decennio e prima dei rivolgimenti del ’48. Di certo, i tre fratelli di Cesare frequen- tano i corsi delle scuole del Collegio Romano, antico istituto gesuitico scelto dal padre, non casualmente, per «conservare ed accrescere tante preziose qualità nei Suoi figli e [guardarli] scrupolosamente da ogni contatto che potesse divvagarne l’ingegno o deturparne l’indole»9. Ascanio è uno schietto conservatore. Nel diffondersi delle idee liberali vede una minaccia per i figli e cerca di proteggerli, controlla le loro frequentazioni, chiede l’aiuto dei maestri. Non è facile nella Roma di fine anni ’40. Il 16 giugno 1846, a pochi mesi dalla nascita di Cesare, il Conclave, chiamato a eleggere il successore di Clemente XVI, ha nominato un nuovo Pontefice. Si tratta di Giovanni Mastai Ferretti, arcivescovo di Imola, che sceglie il nome di Pio IX. Quali passioni e speranze susciti la sua ascesa al soglio di San Pietro è sto- ria nota e altrettanto noto è quanto quelle speranze si siano esaurite in breve, nel rapido succedersi degli ultimi tre anni del decennio10. Alla rivolta siciliana e alla concessione di tiepide costituzioni in alcuni Stati italiani, segue la nascita della Seconda Repubblica in Francia, la Prima Guerra d’Indipendenza, le rivolte nel Regno Austriaco e, nel novembre del ’48, la fuga del Papa da Roma. È la rivoluzione e la nascita della Repubblica Romana11, i cui fervori inve- stono anche la famiglia Ballanti. Conquistato alle «funestissime massime dei novatori»12, Adriano, il maggiore dei fratelli, si dà anima e corpo alla causa rivoluzionaria. La madre lo appoggia, contro il parere di Ascanio, il quale, nel tentativo

8 Osservazione di chirurgia. Lettera del dottore Ascanio Ballanti al ch. Sig. prof. Fran- cesco Bucci, membro del collegio medico-chirurgico di Roma, chirurgo dell’arcispedale di s. Spirito ec., «Giornale arcadico di scienze, lettere ed arti», 1842, pp. 303-304. 9 “Ballanti Ascanio a ministro dell’Interno”, supplica del 1853, in Asrm, ministero dell’Interno, Protocollo riservato, b. 31, fasc. 1427. 10 Su Pio IX si veda il classico lavoro di Giacomo Martina, cfr. G. Martina, Pio IX: Chiesa e mondo moderno, Studium, Roma, 1976. 11 Per una ricostruzione d’insieme degli eventi del 1848 europeo, cfr. M. Rapport, 1848. L’anno della rivoluzione, Laterza, Bari, 2009. Sulle vicende della Repubblica Romana si vedano, tra gli altri, i recenti volumi di Severini e Monsagrati, cfr. M. Severini, La Repubblica Romana del 1849, Marsilio, Venezia, 2011; G. Monsagrati, Roma senza il papa. La Repubblica romana del 1849, Laterza, Bari, 2014. 12 “Ballanti Ascanio a ministro dell’Interno”, supplica del 1853 cit.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Cesare Ballanti. Una carriera di polizia... (1846 – 1910) 319 di imporre la sua autorità, vieta ai figli e alla moglie la frequentazione di alcune famiglie democratiche13: e da questo per non si sa quale infernale astuzia mosse la catena dolorosa delle sue sventure. La moglie irritata da tale divieto, rompe la coniugale soggezione, i figli continuano la tresca per poco che il padre, onde attendere all’esercizio della sua professione, abbia a muovere di casa, ed il maggiore si mostra in breve tempo già così dotto nella scienza degli empi da invocare contro la paterna autorità la libertà individuale. Di qui la resistenza della consorte con- tinuata per più anni, la depredazione delle cose domestiche, ed infine l’abban- dono della casa coniugale per ricoverarsi in un luogo diffamato, ove i figli ogni giorno sono testimoni di scandalose scene. Né basta. Dopo venti giorni dalla partenza della consorte il Ballanti venne col mezzo della forza pubblica con- dotto in carcere colla incolpazione di mentecatto!14

Sono eventi forse successivi ai rivolgimenti del 1849 – la citazione è del 185315 –, ma che di quegli avvenimenti hanno tutta la tensione, in un confuso miscuglio di difficoltà familiari e profondi dissidi politici: Cesare percorre i primi passi dell’infanzia in una famiglia divisa, in con- flitto, nella quale il vibrare delle contese dell’Italia degli anni ’50 si inne- sta sui difficili rapporti tra il padre e la madre, tra il genitore e i figli. La politica rimarrà una costante nella vita del giovane romano; così, verso la metà degli anni Sessanta, all’indomani dell’Unificazione, la famiglia Ballanti è costretta all’esilio, coinvolta nelle attività del Comi- tato Nazionale Romano16. L’accusa è di cospirazione contro lo Stato e Cesare, allievo del Collegio dei gesuiti come i suoi fratelli prima di lui, viene espulso, abbandona Roma e si dirige a Napoli, dove decide di arruolarsi come volontario. Presterà servizio nel 1° e 8° reggimento fan- teria dal 9 novembre 1864 al 2 dicembre 1870 e lascerà l’Esercito con il grado di sergente, dopo aver combattuto contro il brigantaggio in Sici- lia e aver partecipato alle campagne militari del 186617.

13 Nella supplica del 1853 Ascanio fa riferimento a tali Montagnani e Mauri, cfr. “Bal- lanti Ascanio a ministro dell’Interno” cit. 14 Ibidem. 15 Cfr. “Prefetto delle scuole del Collegio Romano”, 04/12/1850, allegato a “Ballanti Ascanio a ministero dell’Interno”, supplica del 1853 cit. 16 Cfr. “Prefetto di Agrigento a ministero dell’Interno”, lettera n. 15 del 06/01/1888, in Fasc.Ballanti. Non è chiaro quale fosse la posizione del padre. Sull’attività del Comitato Nazionale Romano, compagine di ispirazione liberale guidata da Giuseppe Checchetelli ed effettivamente impegnata in attività cospirative, cfr. I. Bellini, Il Comitato Nazionale Romano ed il Governo Italiano nel 1864, «Rassegna Storica del Risorgimento», 1927, pp. 123-187; F. Bartoccini, La “Roma dei Romani”, Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, Roma, 1971. 17 Ballanti riceverà una medaglia commemorativa per la partecipazione alle battaglie del ’66, cfr. “Pel ministero dell’Interno a ministero della Guerra”, copia di telegramma

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 320 Andrea Azzarelli

Con la Breccia di Porta Pia e Roma capitale Cesare si congeda e trova un impiego all’ufficio di spedizione del ministero delle Finanze18. Sarà un’esperienza di breve durata: nel 1874 egli sostiene gli esami per un posto di applicato nell’amministrazione della Pubblica Sicurezza e, ottenuti buoni risultati, viene destinato in Sicilia, ad Agrigento19, dove, come soldato, ha prestato servizio per tre anni20. Da quel momento, rimarrà sempre legato all’isola: sarà il luogo dove incontrerà sua moglie, dove nasceranno i suoi figli, dove passerà i lunghi anni fino al 1888 e dove, peraltro, tornerà più volte anche in seguito, all’epoca dei Fasci e nei difficili anni di fine secolo.

2. 1874-1901

La Sicilia degli anni ‘70 è una regione in fermento. Tra l’8 e il 15 novembre 1874 si sono svolte le elezioni per il rinnovo della Camera e in tutto il Meridione, in Sicilia in particolare, le consultazioni hanno segnato «il crollo definitivo della Destra»21. Minghetti, tuttavia, ha ancora la maggioranza e, pur indebolito, nel giugno del 1875 presenta al Parlamento progetti di provvedimento eccezionale. L’obiettivo è far fronte alla difficile situazione dell’ordine pubblico in Sicilia, funestato, a dire dei ministeriali, dalla piaga del malandrinaggio22. Il dibattito alla Camera ridimensiona i progetti governativi e il Parlamento vota per la

del 04/06/1897, in Fasc.Ballanti. Anche un fratello di Ballanti parteciperà e troverà la morte nel corso delle campagne risorgimentali, cfr. “Prefetto di Agrigento a ministero del- l’Interno”, lettera n. 15 del 06/01/1888 cit. Sul conflitto del 1866, cfr. H. Heyrès, Italia 1866: storia di una guerra perduta e vinta, il Mulino, Bologna, 2016. 18 Cfr. “Ballanti Cesare a prefetto di Roma”, lettera del 18/03/1874, in Fasc.Ballanti. 19 Cfr. “Prefetto di Agrigento a ministero dell’Interno”, lettera n. 591 del 25/12/1874, in Fasc.Ballanti. 20 Sui risultati ottenuti negli esami, cfr. “Attestato”, 01/12/1874, in Fasc.Ballanti. 21 G. Astuto, La Sicilia e il crispismo. Istituzioni statali e poteri locali cit., p. 65. Per un classico studio sulle lotte politiche in Sicilia durante il governo della Destra, cfr. P. Alatri, Lotte politiche in Sicilia sotto il governo della Destra, Einaudi, Torino, 1954. Nel corso della campagna elettorale la Sinistra si divide tra Sinistra storica e un blocco che inizia a essere chiamato Sinistra giovane, guidato da Giovanni Nicotera. Al Meridione i due gruppi riescono ad accordarsi per presentare deputati unitari, cfr. G. Astuto, La Sicilia e il crispismo. Istituzioni statali e poteri locali cit., p. 63. Su Giovanni Nicotera, cfr. M. De Nicolò, Trasformismo, autoritarismo, meridionalismo: il ministro dell’Interno Giovanni Nico- tera, il Mulino, Bologna, 2001. 22 Per un riassunto dei dibattiti parlamentari in quell’occasione, cfr. L. Mascilli Miglio- rini, Il mondo politico meridionale di fronte alla legge di pubblica sicurezza del 1875, «Rivi- sta Storica Italiana», 1979, 4, pp. 725-752. Su Minghetti, cfr. R. Gherardi, N. Matteucci (a cura di), Marco Minghetti statista e pensatore politico. Dalla realtà italiana alla dimen- sione europea, Il Mulino, Bologna, 1988.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Cesare Ballanti. Una carriera di polizia... (1846 – 1910) 321 nomina di una commissione, incaricata di verificare le condizioni del- l’isola23. Di lì a breve, con le elezioni del 1876, la Sinistra prende defi- nitivamente il potere. All’inchiesta pubblica della commissione si opporrà quella privata di due giovani parlamentari, Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti. Sarà in particolare il secondo a raccontare di una Sicilia preda di una piccola e media borghesia rapace e arretrata, un’indagine dai forti con- notati politici, in realtà, e che contribuirà non poco a definire i toni della cosiddetta ‘questione meridionale’24. È questo il clima politico quando il giovane Ballanti raggiunge la provincia di Agrigento. Dal 1874 al 1885 se ne sposterà solo di rado, per alcune missioni in altre province dell’isola e per un breve periodo a Roma25. Ad Agrigento sposerà Grazia Scaglia26, dalla quale, nel corso degli anni, avrà 7 figli, di cui il primogenito, Pietro, nascerà il 23 set- tembre 188027. Proprio di quel periodo è una lettera pubblicata a firma di Cesare Ballanti sul Manuale del funzionario di sicurezza pubblica e di polizia giudiziaria. L’anno è il 1884 e il funzionario vuole replicare alle rifles- sioni di un collega, il quale, in un articolo del 1883, ha svolto sulla medesima rivista alcune considerazioni in favore di una maggior tolle- ranza nella concessione del porto d’armi. Quello delle armi è un tema delicato nella Sicilia dell’Ottocento e Cesare difende le leggi in vigore, convinto che alle autorità politiche debbano essere lasciate ampie discrezionalità nel concedere o meno i permessi. È certo una questione tecnica, che affronta l’argomento delle tipologie di arma da fuoco e delle relative autorizzazioni all’uso, ma che dice di un certo pragmatismo e di un impegno quotidiano nei comuni della Sicilia del tempo, dove la

23 Sui lavori della commissione, cfr. E. Iachello, Stato unitario e disarmonie regionali: l’inchiesta parlamentare del 1875 sulla Sicilia, Guida, Napoli, 1987. 24 Partecipò al viaggio in Sicilia, almeno inizialmente, anche Enea Cavalieri. Per uno studio su Franchetti, cfr. P. Pezzino, A. Tacchini (a cura di), Leopoldo e Alice Franchetti e il loro tempo, Petruzzi, Città di Castello, 2002. Per un recente studio sulle questioni del cosiddetto meridionalismo, cfr. S. Cassese (a cura di), Lezioni sul meridionalismo. Nord e sud nella storia d’Italia, il Mulino, Bologna, 2016. Sulle implicazioni politiche dell’inchiesta Sonnino si vedano le riflessioni ancora attuali di Giarrizzo, cfr. G. Giarrizzo, Mezzogiorno senza meridionalismo. La Sicilia, lo sviluppo, il potere, Marsilio, Venezia, 1992, pp. 11-12. 25 Prestò brevemente servizio in provincia di Siracusa, cfr. “Ministero dell’Interno a prefetto di Agrigento”, copia di telegramma del 23/04/1878, in Fasc.Ballanti. Sulla breve permanenza in provincia di Roma, ad Alatri e Frosinone, cfr. “Decreto”, 25/07/1878, in Fasc.Ballanti. 26 Cfr. “Prefetto di Agrigento a ministero dell’Interno”, lettera n. 189 del 06/05/1879, in Fasc.Ballanti. 27 Cfr. “Prefetto di Agrigento a ministero dell’Interno”, lettera n. 2843 del 14/10/1880, in Fasc.Ballanti.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 322 Andrea Azzarelli revoca o la concessione del porto d’armi hanno spesso conseguenze che sfociano nel politico e nelle polemiche locali e parlamentari28. Ebbene, nei 14 anni di servizio ad Agrigento, Ballanti risiede per lungo tempo a Favara, località mineraria poco distante dal capoluogo, indicata di sovente nelle fonti dell’epoca come uno dei contesti più dif- ficili per l’ordine pubblico29. Alla fine degli anni Settanta e nei primi anni Ottanta la città è lo scenario di alcuni procedimenti penali contro una presunta associazione a delinquere. Sull’onda delle inchieste pro- mosse dall’ispettore romagnolo Ermanno Sangiorgi, alla guida dell’uf- ficio di P.S. della provincia di Agrigento dal 187630, la Polizia e la magistratura decidono di procedere con decisione contro un gruppo di zolfatari. Si tratta della cosiddetta Fratellanza di Favara, un sodalizio di più di 500 individui, colpevole, in teoria, di furti, grassazioni e omi- cidi31. Ballanti è uno dei delegati che partecipano alle indagini prelimi- nari e la sua conoscenza della città e dei dintorni è di certo utile all’ispettore Sangiorgi32: in un’Italia dove comincia a emergere il tema della mafia e dove circolano i primi paradigmi interpretativi del feno- meno, vuoi per il tramite delle prime inchieste giudiziarie, vuoi per i dibattiti provocati dalle riflessioni di Franchetti e Sonnino, Ballanti è in prima linea nelle indagini sulla criminalità delle varie aree dell’Agri- gentino. Non è un caso che sia proprio lui a subentrare a Sangiorgi nella guida dell’ufficio provinciale di Polizia: ancora delegato – la pro- mozione a ispettore arriverà infatti soltanto nel 188733 – a lui viene affi-

28 Cfr. C. Ballanti, Ancora sull’interpretazione dell’articolo 462 del Codice Penale, «Manuale del funzionario di sicurezza pubblica e di polizia giudiziaria», 1884, pp. 74-75. Sul manuale di Astengo, cfr. N. Labanca, M. Di Giorgio, Una cultura professionale per la polizia dell’Italia liberale: antologia del Manuale del funzionario di sicurezza pubblica e di polizia giudiziaria (1863-1912), Unicopli, Milano, 2015. 29 Cfr. P. Pezzino, Stato violenza società. Nascita e sviluppo del paradigma mafioso, in M. Aymard, G. Giarrizzo (a cura di), Storia d’Italia: le regioni dall’Unità ad oggi. La Sicilia, Einaudi, Torino, 1987, p. 952. Ad Agrigento da diverso tempo, e in particolare nel corso degli anni Ottanta, si è assistito a un vero e proprio boom del settore estrattivo, cfr., almeno, G. Barone, Zolfo. Economia e società della Sicilia industriale, Bonanno Editore, Acireale, 2000; G. Barone, C. Torrisi (a cura di), Economia e società nell’area dello zolfo (secoli XIX-XX), Sciascia, Caltanissetta, 1989. 30 Cfr. J. Dickie, Ritratto di questore con mafia cit., p. 169. 31 Sulla Fratellanza di Favara si veda l’analisi di Pezzino, il quale ben sottolinea come l’associazione avesse forse tendenze repubblicane, in una stretta commistione tra vio- lenza organizzata e violenza politica, cfr. P. Pezzino, Violenza e competizione per le risorse nell’area degli zolfi a fine Ottocento: «La Fratellanza» di Favara, in G. Barone, C. Torrisi (a cura di), Economia e società nell’area dello zolfo (secoli XIX-XX), cit., pp. 165-188. 32 Cfr. “Prefetto di Agrigento a ministero dell’Interno”, lettera n. 3403 del 30/11/1884, in Fasc.Ballanti; sul trasferimento ad Agrigento, cfr. “Decreto”, 17/08/1885, in Fasc.Bal- lanti. 33 Cfr. “Decreto”, 28/11/1887, in Fasc.Ballanti.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Cesare Ballanti. Una carriera di polizia... (1846 – 1910) 323 data la direzione della Pubblica Sicurezza di Agrigento già nel 188534 e Sangiorgi, peraltro, si ricorderà del suo sottoposto di lì a breve, quando, nominato da poco questore a Napoli, chiederà al Ministero di metterlo a sua disposizione per alcuni servizi di carattere confidenziale35. Nel capoluogo partenopeo, così racconta Dickie, è stato avviato un pro- fondo rinnovamento degli uffici di Polizia e il nuovo questore vorrebbe valersi dell’opera di Ballanti36, il quale, trasferito da poco a Milano, sarebbe comunque pronto a partire per la in breve tempo37. Dal Ministero, tuttavia, arriva un secco rifiuto. A opporsi è l’allora pre- fetto di Milano, Giovanni Codronchi Argeli, severo conte romagnolo, senatore, appartenente alle fila della Destra minghettiana38: «riconosco giusto che Stagna rimanga a Napoli – scrive il prefetto non senza un certo fastidio –, ma chiedo V.S. sia revocato decreto trasloco Ballanti, altrimenti Questura Milano diventa il vivaio di quella di Napoli»39. Nel capoluogo lombardo Cesare rimarrà dal giugno del 1890 al dicembre del 1893. Se in Sicilia si è impegnato anzitutto nel contrasto

34 Cfr. “Regio delegato straordinario del comune di Agrigento a presidente del Consi- glio Crispi”, lettera del 06/1887, in Fasc.Ballanti, «Il Delegato Cesare Ballanti fa qui le funzioni di Ispettore di Pubblica Sicurezza. Ha già fatto gli esami di Ispettore e li ha supe- rati con esito soddisfacentissimo ma non ha ancora ricevuto né nomina né designazione. La nomina di lui a titolare dell’ufficio che ora regge sarebbe per molte ragioni conve- niente. Egli è assai capace e qui per le sue doti morali e intellettuali è da tutti apprezzato e ben voluto. Rende attualmente servizi interessanti e io mi giovo con vantaggio dell’opera sua quando occorre. Faccio pertanto preghiera alla E.V. che, se ostacoli non vi siano, voglia nominarlo Ispettore qui in Agrigento, ove l’opera sua può essere utile e la nomina sua farà ottima impressione». 35 “Ballanti a direttore generale della P.S. commendator Berti”, lettera del 30/10/1890, in Fasc.Ballanti, «Mi azzardo però per consiglio datomi dal Cav. Sangiorgi, di far presente che in poco meno di due anni ho subito quattro traslochi, l’ultimo del quale data appena da tre mesi. E al Cav.re Sangiorgi, che mi interpellò nello interesse del servizio che avrei seguito a Napoli dissi che lo avrei contentato purché il trasloco fosse avvenuto prima dell’epoca in cui a Milano si rinnovavano gli affitti». 36 Dickie stesso, tuttavia, sottolinea che il tema dovrebbe essere approfondito, cfr. J. Dickie, Ritratto di questore con mafia, cit., pp. 174-175. 37 Sul trasferimento a Milano, cfr. “Decreto”, 18/06/1890, in Fasc.Ballanti. 38 Su Giovanni Codronchi Argeli, già prefetto a Napoli e sottosegretario al ministero dell’Interno nel 1875, cfr. N. Galassi, Giovanni Codronchi Argeli, in Galassi N., Figure e vicende di una città, Editrice Coop, Imola, 1986, vol. II, pp. 285-375. Cenni biografici anche nel saggio di Erminia Cicozzi, cfr. E. Cicozzi, L’archivio del Commissariato Civile per la Sicilia, «Clio», 2006, 1, p. 101, nota 49; R. Cambria, CODRONCHI ARGELI G. Jr., in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XXVI, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1982, pp. 605-615; sul suo impegno a Napoli, cfr. G. Aliberti, Potere e società locale nel Mezzogiorno dell’800, Laterza, Roma, 1987, p. 167; sul suo impegno a Milano, cfr. M. De Nicolò, Trasformismo, autoritarismo, meridionalismo. Il ministro dell’interno Giovanni Nicotera, Il Mulino, Bologna, 2006, p. 282; F. Fonzi, Crispi e lo Stato di Milano, Giuffré, Milano, 1972, p. 38. 39 “Codronchi a commendator Berti”, copia di telegramma n. 14495 del 02/10/1890, in Fasc.Ballanti.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 324 Andrea Azzarelli alla criminalità e al banditismo – ma sarebbe bene non dimenticare le numerose voci che vogliono che la Fratellanza di Favara sia in realtà una forma, per quanto violenta, di associazionismo popolare e repub- blicano40 – a Milano egli presterà servizio nella settima sezione, quella delle fabbriche e delle organizzazioni operaie, e avrà il delicato compito di controllare anarchici e socialisti. Sono a sua firma i rapporti che rac- contano al questore milanese le prime avvisaglie della preparazione di un’agitazione su vasta scala nelle industrie meccaniche della città, in particolare negli stabilimenti Vago e Breda41. Nel luglio del ’91 quel movimento è solo accennato ma, di lì a breve, assumerà le dimensioni del primo sciopero generale di categoria degli operai meccanici di Milano, per l’abolizione del cottimo in tutto il Regno d’Italia42: Codron- chi, valendosi delle capacità del funzionario nella gestione della piazza43, affiderà a Ballanti la direzione del servizio all’Arena Civica, luogo di riunione per migliaia di operai durante i giorni dello sciopero. A quell’incarico, che varrà all’ufficiale una promozione di classe per merito44, ne seguiranno altri, di sovente nelle piazze e nelle strade, a diretto contatto con le popolazioni dei quartieri operai di Milano. Il rapporto professionale con Codronchi non si interromperà dopo il trasloco di Ballanti dal capoluogo lombardo. Il funzionario incontrerà nuovamente il senatore imolese di lì a qualche anno, al tempo del Regio Commissariato Civile per la Sicilia. Terminato il mandato di Codronchi in Lombardia, difatti, Ballanti torna nell’isola. Nelle campagne del Palermitano e in tutte le altre province si è diffuso il movimento dei Fasci e l’agitazione è ormai degenerata nelle violenze di piazza45. Quando il 23 aprile 1896, all’indomani dello stato d’assedio, il senatore Codronchi giunge a Palermo per assumere il ruolo di regio commissario civile, Cesare si trova in città. Gli anni appena trascorsi sono stati per lui molto difficili: nel 1892, un fratello, farmacista a Roma negli stessi

40 Cfr. supra, p. 5, nota 31. 41 Cfr. “Ispettore Cesare Ballanti a questore di Milano”, nota di gabinetto n. 43 del 15/07/1891, in Asm, Questura, Gabinetto, b. 84. Si veda anche quanto scrive Susanna Di Corato Tarchetti, cfr. S. Di Corato Tarchetti, Anarchici, governo, magistrati in Italia. 1876-1892, Carocci, Roma, 2009, p. 286. 42 Su tali vicende, e per una bibliografia su questi temi, cfr. A. Azzarelli, Soldati e ordine pubblico. Il caso dello sciopero degli operai meccanici del 1891 a Milano, «Società e Storia», 153, 2016, pp. 417-444. 43 Durante il periodo milanese Ballanti otterrà varie promozioni. Fu ad esempio pro- mosso per la gestione di alcuni tafferugli provocati da un gruppo di anarchici all’ingresso delle cucine economiche della città, cfr. “Prefetto di Milano a ministero dell’Interno”, let- tera n. 660 del 08/02/1892, in Fasc.Ballanti. 44 Cfr. “Decreto”, 07/07/1892, in Fasc.Ballanti. 45 Cfr. “Direttore generale P.S. a prefetto di Milano”, copia di telegramma del 01/12/1893, in Fasc.Ballanti.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Cesare Ballanti. Una carriera di polizia... (1846 – 1910) 325 locali dove ha esercitato la professione il padre, si è suicidato, si dice per dissesti finanziari46; un altro parente, Ettore Ballanti, è stato arre- stato per l’omicidio di una domestica e Grazia, la moglie di Cesare, nuo- vamente incinta, ha dato i primi segni di quella fragilità mentale che obbligherà il marito a farla rinchiudere in manicomio47. La legge di istituzione del Regio Commissariato Civile, punto d’arrivo dei progetti di decentramento della Destra rudiniana, affida a Codron- chi l’alta direzione di tutte le province dell’isola per un anno, in ambiti quali la sanità, le finanze comunali e provinciali, le Opere Pie e, tra gli altri, l’ordine pubblico48. Ballanti, di per sé, non fa parte del gabinetto del Commissariato, eppure il regio commissario si affiderà a lui in diverse circostanze, per missioni di carattere confidenziale e politico, ora contro i banditi Col- lotti e Botindari, ora nella ricerca di alcuni anarchici fuggiti dall’isola di Favignana, ora a Messina in preparazione delle elezioni politiche, ora a Carini, nelle indagini che portano allo scioglimento del corpo di guardie campestri locale, infestato, così sembrerebbe, dalla cosca mafiosa che opera in quelle campagne49. In diretto rapporto con il cen-

46 Cfr. Notizie italiane – Roma – suicidio, «La Gazzetta Piemontese», 02 febbraio 1892. Sulla causa giudiziaria relativa alla farmacia Cicconi, dove i Ballanti esercitavano il mestiere sin dagli anni Quaranta, cfr. Fallimento Ballanti, «La Corte suprema di Roma. Raccolta periodica delle sentenze della Corte di cassazione di Roma», 1893, pp. 310-311. 47 I primi segni della malattia appaiono già a fine ’95. Si aggraveranno più avanti, nel 1897, quando, per l’appunto, Grazia Scaglia verrà ricoverata in manicomio, cfr. “Codron- chi a direzione generale P.S.”, lettera n. 16832 del 03/11/1896 in Fasc.Ballanti; “Prefetto di Palermo a ministero dell’Interno”, telegramma n. 4433 del 07/02/1897, in Fasc.Bal- lanti. 48 Sull’istituzione si veda il recente contributo di La Lumia che riporta gran parte della bibliografia in argomento, cfr. C. La Lumia, La “tutela straordinaria”: il Commissario civile per la Sicilia (1896-1897), «Le Carte e la Storia», 2017, 1, pp. 101-113; sui progetti di regionalismo di Rudinì, cfr. G. Astuto, Rudinì e la Destra storica. Decentramento e rifor- mismo conservatore, in E.G. Faraci (a cura di), La classe dirigente siciliana e lo Stato uni- tario, DEMS, Palermo, 2017, pp. 260-276. 49 Sull’arresto degli anarchici fuggiti da Favignana, cfr. Palermo – L’arresto di sei coatti fuggiti dalla Favignana, «La Stampa – Gazzetta Piemontese», 4 giugno 1896; Aspa, Gabi- netto di Questura, b. 19, fasc. “Anarchici coatti evasi da Favignana”. A quanto risulta dalle carte, Ballanti fu in missione quasi ininterrottamente dal giugno del ’96 fino al giu- gno dell’anno successivo, cfr. “Foglio di appunti relativo all’ufficio di P.S. di Molo Orien- tale”, foglio di appunti del 09/09/1901, in Aspa, Gabinetto di Questura, b.20. Sulla distruzione delle bande Collotti e Botindari, cfr. “Codronchi a ministero dell’Interno”, copia di telegramma n. 4543 del 15/12/1896, in Fasc.Ballanti; “Verbale commissione valutativa promozioni per merito”, verbale del 19/12/1896, in Fasc.Ballanti; “Codronchi a ministero dell’Interno”, 12/03/1897, in Fasc.Ballanti. Sull’impegno in provincia di Messina, cfr. “Ballanti a Codronchi”, telegramma del 02/02/1897, in Bci, Giovanni Codronchi Argeli Jr., b. 106, fasc. “7992 – Elezioni politiche riguardanti il collegio elet- torale di Mistretta”. Su Carini, cfr. Aspa, Gabinetto di Prefettura – serie I, b. 160, fasc. “Carini – Guardie Campestri”.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 326 Andrea Azzarelli tro politico-amministrativo dell’isola e libero da relazioni di dipendenza con le élite locali, Cesare può agire nei diversi punti della Sicilia al di là degli stretti confini delle singole province e, inviato in rappresentanza del regio commissario, può muovere da una posizione di maggior indi- pendenza rispetto ai funzionari in servizio sul territorio. L’impegno in favore del potente patron non è senza effetto: il sena- tore, superando gli ostacoli frapposti dalla burocrazia del Ministero50, ottiene per il funzionario promozioni, encomi e gratificazioni51 e, a pochi giorni dal termine del suo mandato, ottiene il trasferimento di Ballanti a Roma, corrispondendo a un suo antico desiderio. Siamo a fine ’97 e nella città è in via di costituzione un corpo di Polizia per la sola Capi- tale52. Cesare vi presterà servizio tre anni, dal 1898 al 1901, quando, insieme al collega Buonerba, anche lui in servizio in Sicilia sotto Codronchi, verrà nominato ispettore generale di P.S., nuovo ruolo orga- nico istituito il 30 giugno 190153. Da quel momento, e fino al 1904, egli agirà in contatto diretto con il ministro dell’Interno e diverrà ufficial- mente, nella sostanza, l’uomo di fiducia di Giovanni Giolitti.

3. 1901-1910

Dai primi vent’anni di carriera emerge dunque il profilo di un fun- zionario dal forte pragmatismo, impegnato nel duplice campo della lotta alla criminalità e del servizio politico: Ballanti, antico cospiratore nella Roma Pontificia, ha conosciuto la Sicilia degli anni ’70, il Paler- mitano del periodo dei Fasci e del Commissariato Civile per la Sicilia; ha servito sotto la direzione di Ermanno Sangiorgi e del senatore

50 È il questore di Palermo Lucchesi a parlare di opposizioni da parte dei burocrati del Ministero alla promozione di Ballanti, cfr. “Questore di Palermo Michele Lucchesi a Codronchi”, lettera del 25/06/1897, in Bci, Giovanni Codronchi Argeli Jr., b. 89, fasc. “7146”. 51 Già nominato cavaliere della Corona d’Italia in precedenza, ottiene grazie a Codron- chi la nomina a ufficiale, cfr. “Codronchi a ministero dell’Interno”, lettera n. 109 del 27/05/1896, in Fasc.Ballanti; Codronchi ottiene per il funzionario anche la promozione a ispettore di seconda classe, cfr. “Decreto”, 23/07/1896, in Fasc.Ballanti; viene con- cesso inoltre a Ballanti un consistente sussidio per sostenere le spese di una operazione chirurgica a cui deve sottoporsi, cfr. “Codronchi a direzione generale di P.S.”, lettera n. 16832 riservata del 03/11/1896, in Fasc.Ballanti. 52 Sul nuovo corpo di Polizia per la Capitale, progetto attuato ma accantonato in breve, cfr. «Manuale del funzionario di sicurezza pubblica e di polizia giudiziaria», 1897, ad indicem. 53 La legge del 30 giugno 1901 prevedeva la creazione di una nuova pianta organica degli ufficiali della Pubblica Sicurezza, cfr. legge 30 giugno 1901 n. 269. Per avere un’idea del nuovo ruolo organico istituito con la Legge 30 giugno 1901, n. 269, cfr. «Manuale del funzionario di sicurezza pubblica e di polizia giudiziaria», 1901, pp. 215-216.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Cesare Ballanti. Una carriera di polizia... (1846 – 1910) 327

Codronchi, da lui incontrato una prima volta a Milano all’inizio del deli- cato decennio ’90; è tornato poi a Roma con la creazione del corpo di Polizia per la Capitale e, pochi anni dopo, è stato selezionato per primo nel nuovo ruolo di ispettore generale di Pubblica Sicurezza. Non è un caso che il ministero dell’Interno selezioni proprio Ballanti. La scelta traccia un chiaro filo di continuità con le esperienze maturate in Sicilia dalla Polizia nell’ultimo trentennio del XIX secolo e il profilo di Salvatore Buonerba, anche lui nominato ispettore generale, non si discosta da quello di Cesare: originario di Lecce, ha anche lui prestato servizio per lungo tempo nell’isola e, dopo alcuni mesi passati a Palermo nell’ufficio riservato del Regio Commissariato Civile, è stato commissario capo a Roma54. Il provvedimento che permette ai due funzionari di raggiungere i più alti gradi della Pubblica Sicurezza, del 30 giugno 1901, avrà ripercus- sioni profonde nella storia della Polizia. L’introduzione del nuovo ruolo organico, difatti, è il coronamento di una serie di riforme del servizio ispettivo del ministero dell’Interno tentate sin dai primi anni Settanta55. Per la prima volta, viene riconosciuta al personale di Polizia la possibi- lità di «partecipare in proporzioni esigue a funzioni direttive, […] un diritto riconosciuto agli impiegati delle altre amministrazioni»56. Ai due uomini, scelti tra gli ufficiali di P.S., il nuovo regolamento per funzio- nari e agenti, del dicembre 1901, affida il compito di periodiche ispe- zioni negli uffici di Polizia; l’art. 98 specifica inoltre che gli ispettori generali di P.S. possono essere «inviati in qualsiasi Comune del Regno

54 Tracce della carriera e della vita di Buonerba si trovano nel suo fascicolo personale, cfr. Acs, ministero dell’Interno, dir. gen. aa. gen. e del personale, fasc. personale fuori servizio, vers. 1910, II, bb. 170 et 292; per quanto riguarda le confidenze sui socialisti di Palermo cfr. M. Savoca, I socialisti di Palermo e il Commissario Civile, «Archivio storico siciliano», 2000, 4, pp.78-119; N. Musarra, Le confidenze di “Francesco” G. Domanico al Conte Codronchi, «Rivista Storia dell’Anarchismo», 1996, n.1, pp. 45-92. 55 L’ispettorato generale di P.S., peraltro, è l’antecedente diretto dei vari ispettorati ideati durante la Prima Guerra Mondiale e in pieno periodo fascista. Sulla storia del ser- vizio ispettivo del ministero dell’Interno si veda in particolare il saggio di Giannetto, che non si sofferma però sulla creazione dell’Ispettorato Generale di Pubblica Sicurezza, cfr. M. Giannetto, Dalle ispezioni alle questure e prefetture al controllo della società civile. Il servizio ispettivo del Ministero dell’Interno, in G. Melis (a cura di), Etica pubblica e ammi- nistrazione. Per una storia della corruzione nell’Italia contemporanea, CUEN, Napoli, 1999, pp. 137-178. Sugli ispettori generali durante la Prima Guerra Mondiale, e poi, si veda il recente lavoro di Coco, che, pur dimenticando i precedenti dell’età giolittiana, propone comunque un’utile sistematizzazione, cfr. V. Coco, Polizie speciali dal fascismo alla repub- blica, Laterza, Bari, 2017. Sulla polizia di epoca fascista, cfr. M. Franzinelli, I tentacoli dell’Ovra: agenti, collaboratori e vittime della polizia politica fascista, Bollati Boringhieri, Torino, 1999; M. Canali, Le spie del regime, il Mulino, Bologna, 2004. 56 Sugli ispettori generali di P.S., «Manuale del funzionario di sicurezza pubblica e poli- zia giudiziaria», 1901, p. 165.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 328 Andrea Azzarelli in cui reati di eccezionale gravità o l’ordine pubblico e la pubblica inco- lumità» richiedano «la direzione e l’intervento di un funzionario supe- riore»57. La riforma è un chiaro tentativo di centralizzazione, che si inserisce nel contesto delle politiche adottate dal direttore generale della P.S. Francesco Leonardi, il quale, negli anni in cui sarà in carica, dal 1898 al 1911, più che pensare a grandi stravolgimenti, si concen- trerà sull’organizzazione precisa del servizio e sull’introduzione «di tutti i mezzi resi disponibili dai progressi della polizia scientifica e dall’an- tropologia criminale»58. Ebbene, gli ispettori generali di Pubblica Sicurezza divengono in breve tempo un duttile strumento nelle mani del ministro dell’Interno Giolitti. Egli può infatti disporre di uomini alle sue dirette dipendenze, in grado di intervenire sul territorio nazionale in sua rappresentanza senza i limiti geografici tipici delle questure, su richiesta dei vari pre- fetti o per controllarne l’operato59. Una delle prime missioni di Ballanti sarà proprio il controllo delle azioni di un prefetto, a Firenze, nel 1902. Mentre il collega Buonerba si reca nel Polesine, per condurre delle trattative nel contesto di una serie di scioperi bracciantili60, Cesare raggiunge il capoluogo toscano,

57 Regolamento per i funzionari ed impiegati di P.S. approvato il 12 dicembre 1902, «Manuale del funzionario di sicurezza pubblica e polizia giudiziaria», 1902, p. 11. 58 G. Tosatti, Storia del Ministero dell’Interno: dall’Unità alla regionalizzazione, il Mulino, Bologna, 2009, p. 111. La riforma si inserisce nel contesto di una serie di poli- tiche di centralizzazione che investono tutte le polizie europee negli ultimi decenni del XIX secolo e nei primi del XX. Per quanto concerne l’esempio francese, cfr. J.M. Berlière, La professionnalisation de la police en France: un phénomène nouveau au début du XXème siècle, «Déviance et société», 1987, 1, p. 70. Per un’analisi delle riforme della polizia fran- cese di quel periodo, cfr. L. Vergallo, Muffa della città. Criminalità e polizia a Marsiglia e Milano (1900-1967), Milieu Edizioni, Milano, 2016, pp. 43-45; J.M. Berlière, Naissance de la police moderne, Perren, Paris, 2011; J.M. Berlière, R. Lévy (a cura di) Histoire des polices en France de l’ancien régime à nos jours, Nouveau Monde Editions, Paris, 2011; D. Kalifa, P. Karila-Cohen (a cura di), Le commissaire de police au XIXe siècle, Publica- tions de la Sorbonne, Paris, 2008. Sulla polizia scientifica, cfr. M. Gybson, Nati per il cri- mine. Cesare Lombroso e le origini della criminologia biologica, Bruno Mondadori, Milano, 2004; N. Labanca, M. Di Giorgio (a cura di), Salvatore Ottolenghi. Una cultura professio- nale per la polizia dell’Italia liberale e fascista. Antologia degli scritti, Unicopli, Milano, 2018; I. About, La police scientifique en quête de modèles: institutions et controverses en France et en Italie (1900-1930), in J.-C. Farcy, D. Kalifa, J.-N. Luc (a cura di), L’enquête judiciaire en Europe au XIXe siècle. Acteurs, imaginaires, pratiques, Creaphis, Paris, 2007, pp. 257-269. 59 La riforma avrà successo, tanto che il numero degli ispettori generali di Pubblica Sicurezza passerà dai 2 del 1901 ai 12 del 1914. Deduco il dato dalla lettura del Calen- dario Generale del Regno d’Italia di quegli anni. 60 Sugli scioperi del Polesine si veda il giudizio di Fabio Bertini, che sottolinea come l’agitazione, portata avanti ad oltranza, causò l’uscita di ben 20.000 lavoratori dalla Fede- razione locale della terra, cfr. F. Bertini, Le parti e le controparti. Le organizzazioni del lavoro dal Risorgimento alla Liberazione, Franco Angeli, Milano, 2004, p. 129.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Cesare Ballanti. Una carriera di polizia... (1846 – 1910) 329 dove, nell’agosto del 1902, la locale Camera del Lavoro ha deliberato lo sciopero generale cittadino61. Giolitti chiede esplicitamente a Bal- lanti di controllare da vicino l’operato del prefetto della città, quell’An- tonio Winspeare già in servizio a Milano fino agli eventi del maggio 189862. Alla missione in Toscana, dove Ballanti ha guidato la Questura fiorentina e integrato l’azione delle varie forze di Polizia, segue un impegno di lungo periodo in Sicilia. Il Ministero vuole la cattura del latitante Varsalona e Cesare giunge nell’isola con compiti e prerogative ben definite: su richiesta del prefetto di Palermo De Seta, Giolitti lo incarica di costituire un servizio interprovinciale di Pubblica Sicu- rezza, giovandosi della collaborazione di un piccolo gruppo di uomini, tra i quali Giuseppe Alongi, allora in servizio nel Palermitano63. La mis- sione, pur fallimentare, impegnerà i funzionari per diversi anni e, nel frattempo, Ballanti riceverà anche altri incarichi, ora di verifica del- l’operato di alcuni ufficiali di P.S., ora in indagini riservate per conto di vari ministeri64. Quando nel 1904 si libera la Questura di Napoli, il governo ha biso- gno di un funzionario affidabile, ben inserito nelle dinamiche della burocrazia e che abbia dato prova di capacità nella direzione dell’ordine pubblico. Il 1° aprile Cesare assume le funzioni di questore della città partenopea. In anni recenti il capoluogo campano è stato teatro di un’accesa lotta politica interna alla classe liberal-conservatrice, che si è divisa sul tema della corruzione e dell’affarismo e sulla possibilità di investimenti nel settore produttivo del Napoletano. In particolare, l’in- chiesta amministrativa affidata al presidente del Consiglio di Stato Giu- seppe Saredo ha rivelato anni di mala gestione delle finanze comunali

61 Lo sciopero generale di Firenze fu, dopo quello di Torino del 1901, il secondo scio- pero generale in Italia dall’inizio del secolo, cfr. P.L. Ballini, Lotta politica e movimento sindacale in Toscana agli inizi dell’età giolittiana. Lo sciopero generale di Firenze, «Rasse- gna Storica Toscana», 1975, n.2, pp. 243-295; N.C. Maccabruni, La classe operaia fio- rentina e gli scioperi del 1902 e del 1904, «Rassegna Storica Toscana», 1975, n. 1, pp. 91-110; A. Pellegrino, La città più artigiana d’Italia. Firenze 1861-1929, Franco Angeli, Milano, 2012, p. 66; per un quadro degli scioperi del 1902, cfr. G. Procacci, La lotta di classe in Italia agli inizi del secolo XX, Editori Riuniti, Roma, 1972, pp. 66-75. 62 Cfr. “Ministro dell’Interno Giovanni Giolitti a ispettore generale di P.S. Ballanti”, minuta di telegramma del 31/08/1902, in Acs, carte di personalità dello Stato, carte Giolitti, sc. 3bis, fasc. “Sciopero di Firenze”, «Le raccomando intanto di far che arresti di pregiudicati e anarchici siano eseguiti sopra vasta scala in modo da togliere di mezzo gli elementi più pericolosi. Mi telegrafi pure se azione prefetto sia sufficiente [corsivo mio]». 63 Sul servizio per la cattura del bandito Varsalona, cfr. Aspa, Gabinetto di Questura, b. 21; S. Lupo, Storia della mafia dalle origini ai giorni nostri, Donzelli, Roma, 1996, pp. 166-168; per una ricostruzione giornalistica, cfr. V. Lo Scrudato, Varsalona, l’ultimo bri- gante. Nel latifondo siciliano tra ‘800 e ‘900, Pietro Vittorietti Edizioni, Palermo, 2010. 64 Ne rimane una traccia nelle carte del ministero dell’Interno, cfr. Acs, ministero del- l’Interno, direzione generale P.S., divisione personale P.S., versamento 1963, b. 157.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 330 Andrea Azzarelli e delle Opere Pie e, pubblicata nell’autunno del 1901, è stata lo spunto per importanti discussioni parlamentari sulla ‘questione meridionale’65. Passo ulteriore di quei dibattiti è stato, proprio nel 1904, il progetto di legge per il risorgimento economico della città, frutto della collabora- zione di Nitti e Giolitti66. La Napoli di inizio secolo è dunque una città in fermento, all’alba di un rilancio industriale, crocevia di interessi economico-politici tra i più disparati e teatro da diversi anni di una campagna di denuncia delle collusioni tra politica e affarismo, una polemica che dalla fine dell’Ot- tocento ha investito la Campania e l’intero Meridione e che ha visto il curioso convergere, seppur momentaneo, della Destra rudiniana e dell’Estrema Sinistra67. Le prime mosse di Ballanti nel complicato mondo della criminalità partenopea seguono lo schema classico delle operazioni di polizia del periodo, vale a dire il tentativo di ricostruire più o meno estese asso- ciazioni a delinquere68. Nel frattempo, egli si impegna nella prepara- zione delle campagne elettorali, sfruttando in favore dei candidati ministeriali le estese relazioni della Questura. La sua solerzia ha una certa efficacia, tanto da attirargli le ire degli esponenti delle aree poli- tiche di opposizione, pronti a brandire l’arma dell’accusa di collusione con la camorra pur di screditare il questore e, con lui, il governo Gio- litti69. Sono accuse per certi aspetti comprensibili, qualora si consideri

65 Cfr. F. Barbagallo, Storia della Camorra, Laterza, Bari, 2010, pp. 73-78; M. Marmo, L’economia napoletana alla svolta dell’Inchiesta Saredo e la legge dell’8 luglio 1904 per l’incremento industriale di Napoli, «Rivista Storica Italiana», 81, 4, pp. 954-1029; G. Machetti, La lobby di piazza Municipio: gli impiegati comunali nella Napoli di fine Otto- cento, «Meridiana», 2000, n.38-39, pp. 223-267. 66 Cfr. F. Barbagallo, Storia della Camorra cit., p. 79. 67 Sulla Napoli a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, cfr. F. Bar- bagallo, Napoli, Belle Époque, Laterza, Bari, 2015. Sulla convergenza di Destra rudiniana ed Estrema Sinistra, cfr. F. Barbagallo, Storia della Camorra cit., p. 76. 68 Cfr., Il processo della Pubblica Sicurezza. Gli attriti fra P.S. e carabinieri. L’interes- sante deposizione di un delegato sulle faccende dei confidenti e malfattori, «La Stampa», 20 dicembre 1908, «[Il delegato Catalano] ricorda che, per iniziativa del questore Ballanti, non potendo raggiungere i malviventi per singoli reati, si pensò di raggiungerli nelle maglie di un’associazione a delinquere, e ne derivò quello che fu detto il processo dei “Centouno”». Un esempio classico è l’estesa associazione a delinquere descritta da Ermanno Sangiorgi nella sua famosa inchiesta, cfr. supra, nota 5. 69 In particolare, sebbene a posteriori, sarà Marvasi ad accusare di collusione con la camorra sia il prefetto di Napoli che Ballanti, cfr. R. Marvasi, Così parlò Fabroni, Biblio- teca di Scintilla, Roma, 1914, pp. 12-13. Sull’uso politico di termini come mafia e camorra, cfr. F. Benigno, M.N. Borghetti (traduttrice dall’italiano), L’imaginaire de la secte: Littérature et politique aux origines de la camorra (seconde moitié du XIXe siècle), «Annales HSS», 2013, 3, pp. 755-789; del medesimo autore si veda il più recente contri- buto sulle origini della mafia e della camorra, cfr. F. Benigno, La mala setta: alle origini di mafia e camorra, 1859-1878, Einaudi, Torino, 2015.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Cesare Ballanti. Una carriera di polizia... (1846 – 1910) 331 l’ambigua posizione del questore e dei suoi uomini: non è facile, infatti, comprendere quanto i contatti tra la Polizia partenopea e alcuni camor- risti siano funzionali alla raccolta di preziose notizie e quanto, invece, ambigui legami utili a consolidare le posizioni dei candidati governa- tivi70. Il processo Cuocolo si inserisce in questo contesto, dominato da un acceso confronto politico e dal diffondersi di voci di una piena col- lusione tra Pubblica Sicurezza e camorristi, talvolta manovrate dai socialisti e dai loro giornali. Quando il 6 giugno 1906 viene ritrovato il cadavere di Cuocolo, Bal- lanti segue due piste, quella che porta a Enrico Alfano e quella che decide di seguire uno dei suoi sottoposti, il delegato Ippolito, a capo della brigata mobile di Napoli e già alle dipendenze di Cesare in Sicilia, durante le operazioni per la cattura del brigante Varsalona71. Ippolito si affida alla sua rete di confidenti e, grazie alle rivelazioni di un ricet- tatore, tal Ascrittore, ricostruisce i contorni di una vicenda completa- mente diversa rispetto alle ipotesi che in quegli stessi giorni stanno vagliando i Carabinieri: mentre gli uomini dell’Arma sono convinti che a ordinare l’omicidio siano stati i presunti alti vertici della camorra, Ippolito ritiene che il delitto sia stato compiuto da due ricettatori, De Angelis e Amodeo, antichi collaboratori di Cuocolo, il quale, così vogliono le voci raccolte dal funzionario, si sarebbe rifiutato di spartire i proventi di un furto di gioielli72. Ballanti invita Ippolito a continuare nelle sue indagini, ma gli dà ordine di non comunicare le risultanze al procuratore del Re, «per non creare possibili dualismi con l’Autorità Giudiziaria e con l’Arma dei Reali Carabinieri»73. Il questore, probabilmente, ha intuito che le indagini dirette dal capitano Fabbroni seguono una pista pericolosa per la Questura. Rive- lare al procuratore che la Polizia sta svolgendo ricerche secondo ipotesi opposte rispetto a quelle dell’Arma e all’insaputa dell’autorità giudizia- ria condurrebbe allo scontro diretto con i Carabinieri, che peraltro, nonostante tutte le cautele del questore, vengono a sapere delle inda- gini di Ippolito. Il diverbio tra il capitano Fabbroni e Ballanti è solo l’ini- zio del confronto tra i due corpi. La tensione arriva a tal punto che i Carabinieri raccolgono una serie di prove per incriminare di fronte

70 Ciconte propende per questa seconda ipotesi, cfr. E. Ciconte, Storia criminale. La resistibile ascesa di mafia, ‘ndrangheta e camorra dall’Ottocento ai giorni nostri, Rubbet- tino, Soveria Mannelli, 2008, p. 270. 71 Cfr. In guerra contro un latitante siciliano, «La Stampa», 16 ottobre 1902. 72 “Delegato Ippolito a direttore generale P.S. Leonardi”, lettera del 23/02/1897, in Acs, ministero dell’Interno, direzione generale P.S., divisione affari generali e riservati, atti diversi, b. 2, fasc. “Processo Cuocolo”. 73 Ibidem.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 332 Andrea Azzarelli all’autorità giudiziaria la brigata mobile della Questura di Napoli74. Ippolito, sottoposto a processo, viene trasferito a Treviso75, Ballanti, accusato dalla stampa e in Parlamento76 e ferocemente avversato da Fabbroni, viene trasferito a Firenze77. Le preoccupazioni, tuttavia, continuano a tormentarlo. Durante il processo contro gli uomini della brigata mobile egli cerca di difendere l’operato della Polizia di Napoli e di ristabilire il prestigio dell’autorità di Pubblica Sicurezza78. I suoi sforzi risultano vani e le ansie finiscono per aggravare le sue condizioni psicofisiche. A Firenze passa più tempo in ospedale che negli uffici della Questura e, dopo circa due anni, chiede il collocamento a riposo79. Il primo giugno 1909 egli ritorna a Roma e si ritira a vivere presso il figlio Pietro, in via Tempio della Pace, dove andranno ad abitare anche alcune delle figlie80.

Conclusioni

Il mio stato di salute, in seguito alla lunga malattia sofferta, si è andato sempre più aggravando, tanto da rendermi impossibile ogni ulteriore ripresa del servizio. Sono stato quindi costretto a richiedere, a decorrere dal primo cor- rente, il collocamento a riposo, a cui ho diritto per i prescritti trentaquattro anni e sei mesi di servizio compiuti nell’Amministrazione, oltre i sei anni di servizio militare e una campagna. Mi permetto ora di rivolgermi alla sua bontà per pregarla di far sbrigare al più presto la pratica non potendo più trattenermi [a Firenze] ove non ho che le mie figlie le quali non possono prestarmi l’assi- stenza necessaria al mio caso81.

74 Cfr. G. Garofalo, La seconda guerra napoletana cit., pp. 163-168. 75 Cfr. “Ippolito Nicola – Delegato di P.S.”, foglio di appunti, in Acs, ministero dell’In- terno, direzione generale P.S., divisione personale P.S., versamento 1963, b. 158, fasc. “Inchiesta Alongi sul processo intentato ai delegati Ippolito Nicola e Matera Riccardo nonché varii Agenti di P.S. (1907) – Processo Cuocolo – Marvasi Fabbroni”. 76 Le accuse vengono mosse in particolare da , cfr., ad esempio, Camorra e polizia, «Il Mattino», Anno XVI, n. 284. Forti sono anche le accuse della stampa e dei deputati socialisti, cfr., ad esempio, Dopo l’inchiesta del questore Ballanti. Una lettera di Roberto Marvasi, «Avanti», 25 giugno 1907. 77 Cfr. “Ministero dell’Interno a prefetto di Napoli”, telegramma del 04/05/1907, in Fasc.Ballanti. Viene collocato a riposo anche il prefetto Caracciolo, cfr. La camorra contro i carabinieri, «La Stampa», 25 gennaio 1908. 78 Cfr. Una requisitoria alla Camera contro la camorra e contro gli scandali della Polizia a Napoli, «La Stampa», 18 giugno 1907. 79 Cfr. “Prefetto di Firenze a ministero dell’Interno”, lettera n. 2550 del 18/05/1909, in Fasc.Ballanti. 80 Cfr. “Prefetto di Firenze a ministero dell’Interno”, lettera del 04/07/1909, in Fasc.Ballanti. 81 “Ballanti a commendatore”, lettera del 04/06/1909, in Fasc.Ballanti.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Cesare Ballanti. Una carriera di polizia... (1846 – 1910) 333

Si apre così una delle ultime lettere conservate nel fascicolo perso- nale del questore Ballanti. La sua carriera racconta molti aspetti della Pubblica Sicurezza del tempo. Tutte le esperienze acquisite sul campo dal funzionario – il suo impegno nell’Agrigentino, il suo rapporto con Codronchi e le varie missioni svolte nei diversi punti della Sicilia – sono state un bagaglio prezioso per lo Stato italiano, tanto che il ministero dell’Interno, venuto il momento di scegliere i primi uomini della Polizia chiamati a ricoprire incarichi di alta direzione nei ranghi della buro- crazia centrale, ha guardato a lui e al suo collega Buonerba, entrambi in servizio per lungo tempo nella Sicilia di secondo Ottocento. Ecco forse un primo suggerimento per lo studio della Polizia italiana a cavallo tra XIX e XX secolo: l’importanza delle vicende siciliane nella formazione e nel progressivo consolidamento di una Polizia civile dello Stato postunitario. Ma la carriera di Ballanti è lo spunto anche per altre riflessioni, un invito, per così dire, a riandare alle vicende del pro- cesso Cuocolo e a interrogarsi sulle influenze culturali e politiche che ebbero quelle vicende, frutto delle forzature di un ambizioso capitano dei Carabinieri82, come racconta chi ha studiato con precisione quel processo83, e di una campagna di stampa e parlamentare dove il teo- rema della collusione tra camorra e Polizia diviene, oltre che doverosa denuncia, strumento per accumulare risorse politiche e impadronirsi della spazio pubblico locale e nazionale84. Lo scontro tra Questura e Carabinieri, infatti, finisce per dare una «specifica coloritura politica» al processo e per dividere l’opinione pubblica in due schieramenti, quello degli innocentisti e quello dei colpevolisti85. Tra i quotidiani socialisti è in particolare l’Avanti!, ma non solo, a farsi portavoce di

82 Lo scontro tra il capitano Fabbroni e la Questura di Napoli propone anche il clas- sico tema del confronto tra diverse polizie. Per una riflessione sulla questione nel conte- sto dell’Italia liberale, cfr. N. Labanca, Un giornale per la gestione e per la riforma della polizia, in N. Labanca, M. Di Giorgio, Una cultura professionale per la polizia dell’Italia liberale cit., pp. 40-41; per un approccio diverso, che, pur nel contesto francese, sotto- linea il progressivo convergere di polizia militare e polizia civile di stato, cfr. L. Lopez, La guerre des polices n’a pas eu lieu. Gendarmes et policiers, coacteurs de la sécurite publique sous la Troisième République, PU Paris-Sorbonne, Paris, 2014. Per una ricostruzione dello scontro tra i Carabinieri e la Pubblica Sicurezza di Napoli, cfr. E. Saracini, I crepu- scoli della polizia, S.I.E.M., Napoli, 1922, pp. 186-187. 83 Cfr., ad esempio, M. Marmo, “Processi indiziari non se ne dovrebbero mai fare”. Le manipolazioni del processo Cuocolo (1906-1930) cit., pp. 148-150. 84 Sono queste, sebbene in tema di mafia, le riflessioni proposte da Briquet, cfr. J.L. Briquet, Comprendre la mafia. L’analyse de la mafia dans l’histoire et les sciences sociales, «Politix», 1995, 8, p. 149. Si vedano anche le riflessioni di Pezzino, cfr. P. Pezzino, Stato, violenza, società. Nascita e sviluppo del paradigma mafioso, cit., p. 958. 85 M. Marmo, “Processi indiziari non se ne dovrebbero mai fare”. Le manipolazioni del processo Cuocolo (1906-1930), cit., p. 139, in particolare nota 54.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 334 Andrea Azzarelli una polemica a mezzo stampa che arriva sin nelle aule parlamentari e si connota per una chiara «impostazione giustizialista»86. Sarà proprio quel clima, che paralizza la Questura e «ogni iniziativa del prefetto»87, a travolgere Ballanti. La sera del 7 agosto 1910 in casa dell’ormai ex questore non ci sono che Alessandro, figlio diciottenne di Cesare e impiegato postale, e la cameriera Lea Brandimarte. Da alcuni mesi Ballanti è stato colpito da paralisi ed è afflitto da una profonda depressione. A soli 64 anni, egli è reso invalido e incapace a muoversi. Le tre figlie che vivono con lui sono in villeggiatura a Cori, una piccola cittadina di collina a una cin- quantina di chilometri da Roma. Dopo cena il figlio esce a passeggio e la cameriera si ritira nelle sue stanze. Ballanti rimane solo, sdraiato su una chaìse-longue della sala da pranzo. Il cadavere verrà ritrovato qualche ora dopo dal figlio Alessandro:

Il Ballanti rimase solo nella stanza da pranzo, sdraiato su di una chaise longue, presso la tavola, sulla quale ardeva una candela. E fu così che egli ebbe agio di mettere in esecuzione il suo tristo disegno. Alle 23.30, infatti, il figliuolo, ritornando a casa, ebbe la dolorosa sorpresa di trovare il padre già morto per una revolverata che si era esplosa alla tempia destra. Nel parossismo della disperazione chiamò dapprima la cameriera, quindi scese a precipizio le scale, si recò ad avvertire del tragico fatto una pattuglia di guardie di città, che si tro- vavano a passare per via Cavour. Accorsero infatti per primi gli agenti Rizzo e Poce e più tardi il vice-commissario Mascioli da Campitelli e il cav. De Silva della Questura. Sul tavolo presso il suicida fu rinvenuto un biglietto diretto alle signorine Ballanti, nel quale si leggono poche parole di estremo saluto; in terra fu trovata una rivoltella di piccolo calibro mancante di un solo proiettile88.

86 Marcella Marmo sottolinea come l’impostazione aggressiva nei confronti della Que- stura da parte dei Carabinieri trovi convergenze in certe fasce della Sinistra napoletana e nazionale. Se alcuni quotidiani, come La Propaganda, sono diffidenti verso l’Arma ed evitano campagne di stampa sulle collusioni tra camorra e politica, altri, come La Scintilla o, per l’appunto, l’Avanti! prendono posizione in favore del fronte colpevolista. In Parla- mento saranno in particolare Turati, Ferri e Bissolati ad accusare la Questura di Napoli e il Governo di Giolitti, cfr., M. Marmo “Processi indiziari non se ne dovrebbero mai fare”. Le manipolazioni del processo Cuocolo (1906-1930), cit., pp. 141-143. 87 Ivi, p. 145. 88 Il suicido del comm. Ballanti, «Manuale del funzionario di sicurezza pubblica e di polizia giudiziaria», 1910, p. 256.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Storia e letteratura. Catania, il fascismo e la guerra nel racconto di Sebastiano Addamo 335

Enrico Iachello

STORIA E LETTERATURA. CATANIA, IL FASCISMO E LA GUERRA NEL RACCONTO DI SEBASTIANO ADDAMO

DOI 10.1929/1828-230X/43162018

SOMMARIO: Questo contributo riprende il confronto tra storia e letteratura e, per uscire dall’im- passe delle polemiche tra ‘verità’ e ‘finzione’, sposta il terreno sui modelli di rappresentazione utilizzati da entrambe le discipline, ciascuna con proprie e specifiche modalità: la prima, per delineare la realtà del passato, la seconda per delineare la ‘coerenza’ e l’efficacia’ di una finzione che su un altro livello vuol comunque produrre un sapere sulla società che rappresenta. Il testo letterario prescelto come caso studio è un romanzo/saggio del 1974 (riedito nel 2008) di Sebastiano Addamo, Il giudizio della sera, che rappresenta Catania negli anni della seconda guerra mondiale. Il racconto offre indicazioni metodologiche interessanti per gli storici (non solo contemporaneisti) grazie alla complessità dei modelli che leggono la città come un ‘sistema’ messo in tensione e poi travolto dalla crisi bellica.

PAROLE CHIAVE: Storia, letteratura, fascismo, guerra.

HISTORY AND LITERATURE. CATANIA, FASCISM AND WAR IN THE NOVEL BY SEBASTIANO ADDAMO

ABSTRACT: This contribution takes up the comparison between history and literature and, depart- ing from the impasse of the polemics between "truth" and "fiction", shifts the ground to the rep- resentation models used by both disciplines, each with its own specific modalities: the first, to delineate the reality of the past, the second to delineate the 'coherence' and the 'effectiveness' of fiction that on another level wants to create knowledge about the society it represents. The literary text chosen as a case study is a 1974 novel / essay by Sebastiano Addamo, Il giudizio della sera, reissued in 2008. The work takes place in Catania during the Second World War and offers interesting methodological clues for historians (not just contemporary) thanks to the complexity of the models that portray the city as a "system" placed in tension and overwhelmed by the war.

KEYWORDS: History, literature, fascism, war.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 336 Enrico Iachello

Nel 2010 le Annales, la prestigiosa rivista francese, dedicarono un numero speciale a Savoirs de la littérature1. Il tentativo, esplicito, era di provare a spingere gli storici (e i letterati) a uscire dalla situazione di impasse e contrapposizione in cui li aveva in qualche modo costretti la provocazione di Hayden White, che sfumava la differenza tra i due ‘saperi’ e riconduceva la storia alla ‘fiction’. La gran parte degli storici aveva rea- gito alle tesi dello studioso statunitense rivendicando, giustamente, la propria ‘diversità’ e l’ancoraggio a un regime di ‘verità’ irrinunciabile per la disciplina. La lista è lunga, mi limito a citare Carlo Ginzburg, per la chiarezza e l’erudizione con cui respinge «la tendenza moderna ad abolire la distinzione tra storia e finzione»,2 e un contributo più recente di Giu- seppe Ricuperati che, sia pure a proposito della storia della lettura, in modo convincente esplora legami e diversità tra racconto letterario e sto- ria3. Si resta però comunque nell’ambito di una reazione difensiva che non ha molto aiutato la ripresa dei rapporti con la letteratura. I curatori del citato numero delle Annales spostano invece il ter- reno sul confronto tra ‘saperi’: «Plutôt que de traquer la part de fiction, de narration ou d’invention stylistique dans les textes des historiens; pourquoi ne pas s’interroger sur la nature du savoir dont la littérature est elle-même porteuse?»4. E invitano gli storici ad accreditare alla let- teratura «une capacité à produire, par les formes d’écriture qui lui sont propres, un ensemble de connaissances, morales, scientifiques, philo- sophiques, sociologiques et historiques»5. Non si tratta di porre le due forme di conoscenza in competizione (operano a livelli differenti), ma neanche in contrapposizione, bensì in una prospettiva di possibile col- laborazione che del resto renderebbe più consapevole una pratica in qualche modo diffusa. Gli storici leggono i romanzi e a volte li citano per rafforzare le loro interpretazioni, i romanzieri spesso leggono gli storici per dar ‘coerenza’ alle loro ‘finzioni’. Il tentativo di confronto può svilupparsi in vari modi e con varie modalità: dall’esame dell’apporto della letteratura di un’epoca alla conoscenza della società di quell’epoca (ad esempio gli studi su Balzac di Jerôme David)6, al ruolo che la letteratura svolge in alcuni contesti

1 E. Anheim, A. Lilti (eds.) Savoirs de la littérature, «Annales. Histoire, Sciences Sociales», n. 2, mars-avril 2010. 2 C. Ginzburg, Il filo e le tracce. Vero falso finto, Feltrinelli, Milano, 2006, p. 156. 3 G. Ricuperati, Riflessioni su storia e narrazione in margine ad un libro recente, «Rivista Storica Italiana» II, agosto 2011, pp. 720-740. 4 E. Anheim, A. Lilti, Introduction a Savoir de la littérature cit., p. 253 5 Ivi, p. 254 6 J. David, Balzac, Une éthique de la description, H. Champion, Paris, 2010. Nel citato numero delle Annales si veda dello stesso autore, Une “réalitè à mi-hauteur”. Exem- plarités littéraires et généralisations savantes au XIXe siècle, pp. 263-290.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aagosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Storia e letteratura. Catania, il fascismo e la guerra nel racconto di Sebastiano Addamo 337 nella creazione di identità culturali e/o sociali. Ma ci si può spingere anche su un altro terreno, oltre l’assunzione della letteratura come documento. Si può cioè provare ad analizzare i modelli e meccanismi di rappresentazione della ‘finzione’ letteraria per trarne indicazioni utili per le nostre rappresentazioni. Per evitare equivoci su possibili confu- sioni di ruoli e saperi conviene però entrare subito nel merito. Questo contributo prende in esame, a partire dalle considerazioni sopra svolte, il romanzo/saggio di Sebastiano Addamo, Il giudizio della sera pubblicato nel 1974 a Milano dall’editore Garzanti e ripubblicato nel 2008 da Bompiani7. Un libro bellissimo quanto sfortunato. L’attacco ad alcuni luoghi comuni della cultura marxista di quegli anni e l’ironia nei confronti di Marx (vedremo) non ha certo giovato alla sua diffusione. A mia conoscenza la più efficace descrizione di Catania negli anni del secondo conflitto mondiale in un romanzo la dobbiamo a Seba- stiano Addamo. Un ‘provinciale’ che ha trascorso a Catania gli anni giovanili della formazione, prima gli anni di liceo (cui fa riferimento il testo in questione), poi l’università, infine da anziano pensionato, dopo aver vissuto a Lentini. Quel che sorprende, leggendo il racconto, è la complessità e profondità di rappresentazione che, apparentemente inserendosi nel solco della tradizione letteraria degli ‘ingravidabalconi’ e delle descrizioni brancatiane (l’ossessione della ricchezza e soprat- tutto del sesso)8, forza i luoghi comuni per rivelare le complesse arti- colazioni e relazioni del tessuto sociale. Ma ancor più sorprende il fatto che la sua rappresentazione si contrapponga in modo evidente alla tra- dizionale separazione che ancora negli anni ’70 (e oltre) aveva caratte- rizzato l’approccio delle scienze sociali alla città9. Da una parte storici e sociologi descrivevano gli ‘uomini’, dall’altra gli architetti le ‘case’, per esprimersi schematicamente. E ciascuno stava saldo nella sua parte. Le case restavano vuote e gli uomini senza un tetto. Le azioni dei “cit- tadini” galleggiavano nel vuoto di uno spazio urbano indifferente. Nel romanzo, una storia di formazione raccontata alla luce della tarda maturità, Addamo fa i conti con il parricidio, e sarebbe meglio dire il suicidio dei padri, protagonisti di un mondo, il fascismo, che nella tragedia bellica aveva trovato la sua tragica fine. Ma esplicita-

7 S. Addamo, Il giudizio della sera, a cura di Sarah Zappulla Muscarà, Garzanti, Milano, 2008. Da questa edizione le nostre citazioni. 8 Per definire i catanesi Addamo parla di «laico gusto della vita che perennemente li insegue e perseguita, il folle e caotico e quasi levantino affanno dietro la ricchezza e dietro il sesso, i due tragici despoti del catanese». S. Addamo, Il giudizio della sera cit., p. 11. Quando non diversamente indicato le citazioni sono tratte da questo romanzo. 9 Cfr. B. Lepetit, C. Olmo, E se Erodoto tornasse ad Atene? Un possibile programma di storia urbana per la città moderna, in Id. (a cura di), La città e le sue storie, Einaudi, Torino, 1995, pp. 3-50

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 338 Enrico Iachello mente prendendo le distanze dal “ricordare” proustiano, il nostro percorre le vie della complessa ricostruzione di una storia in cui luo- ghi e persone sono colti nel profondo legame che si stabilisce tra spazio e società. E viene subito da chiedersi da dove provenisse que- sta sensibilità e questa capacità di leggere la complessità urbana, prevalente essendo nella letteratura di quegli anni una linea appunto per così dire proustiana che scioglieva ‘nell’immaginazione’ la descrizione. Sin dall’inizio (lo vedremo a breve) la differenza dal- l’autore della Recherche è rivendicata e, alla fine del racconto, ancora ribadita contrapponendo alla tazza di tè di Proust una tazza di caffè che i protagonisti bevono centellinandolo dopo una lunga privazione: «quasi che in quella tazza … ciascuno stesse vivendo non tanto la malinconia del proprio passato, come nella tazza di tè di Proust, bensì il vibrante timore del presente, l’orrore del futuro» (p.125). Se il caffè del signor Domenico (il marito della proprietaria della pensione dove il nostro adolescente e i suoi compagni alloggiano) ha un sapore diverso, ben più forte e tragico del tè proustiano, altrettanto netta appare un’altra differenza evidenziata dal confronto con le ‘assenze’ nella descrizione di Orano di Camus e le ‘presenze’ in quella di Addamo. In effetti analoga rispetto a Proust è la presa di distanza, sia pure apparentemente meno esplicita. Si rilegga e confronti l’am- bientazione urbana del romanzo La peste dello scrittore francese, di cui lo scrittore lentinese si è con grande lucidità occupato proprio negli anni di elaborazione del suo ‘serale’ giudizio10. Con il romanzo di Camus non mancano invero punti di contatto e rinvii11, ma la rappresentazione di Catania sembra per più aspetti costruita e contrario rispetto a quella di Orano, la città franco-algerina dove è ambientata La peste. Come Camus anche Addamo avvia il rac- conto con la descrizione dei luoghi dell’azione. Ma gli stessi elementi che in Camus sono invocati a definirla per assenza, in Addamo diven- tano presenze. Camus, Orano: «la città in se stessa, bisogna ricono- scerlo, è brutta ... Come immaginare, ad esempio, una città senza piccioni, senza alberi e senza giardini, dove non si trovano né battiti d’ali né fruscii di foglie»12. Addamo, Catania: «un’ampia conca circon- data di alberi e di silenzio, e le case, i palazzi, le strade, gli alberi folti

10 S. Addamo, Introduzione a Albert Camus, «Annuario dell’Istituto Magistrale Tur- risi Colonna 1968-69», Catania 1969, pp. 145-162. 11 Debbo a Silvano Nigro l’indicazione del saggio di Addamo su Camus, di cui alla nota precedente, e di alcune analogie tra Il giudizio della sera e La peste. 12 A. Camus, La peste, in Id., Opere. Romanzi, racconti, saggi, a cura di Roger Gre- nier, Bompiani, Milano, 2000, p. 373.

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… digradando … parevano precipitarsi verso le acque … del porto» (p. 10). E qui ancor più forte si fa la distanza perché Camus, pur lodando la baia davanti alla quale sorge Orano, si rammarica che essa «sia costruita voltando la schiena alla baia e che, pertanto, sia impossibile scorgere il mare»13. Una città Orano, «senza pittoresco, senza vegeta- zione, senz’anima»14. Queste prese di distanza e l’approccio ‘urbanistico’ del nostro scrit- tore mi vanno convincendo, pur senza essere riuscito a trovare riscon- tri specifici15 (anche se nella visione d’insieme comunque appaiono ‘compatibili’), che un ruolo deve aver giocato, nella complessa visione dello scrittore lentinese, Franco Marescotti, l’urbanista che redigeva proprio in quegli anni il piano regolatore di Lentini (la nozione di piano urbano e quella di sistema urbano – che vedremo a breve utilizzata da Addamo – sono strettamente correlate)16. In quegli stessi anni si con- sumava (anche nel senso di una dolorosa frattura con il partito) la breve esperienza amministrativa di Addamo assessore e consigliere comunale del Pci17. È molto probabile che le lunghe e appassionate discussioni sul piano regolatore, in particolare grazie alla presenza di una figura di spicco come Marescotti (che insisteva sull’organicità del tessuto urbano), abbiano offerto elementi nuovi di riflessione. Come che sia, ad apertura di romanzo si esprime quasi con una esplicita e sorprendente indicazione di metodo:

Il senso delle città non è solamente quello proustiano dell’immaginazione: esse hanno architetture, colori, umori, hanno suoni ed echi, un disordine che però tale può apparire al visitatore frettoloso, perché poi l’arbitrarietà delle con- formazioni e delle localizzazioni si ritrova logica e necessaria, un “sistema glo- bale”, dove, come esattamente a Catania, si inserisce l’indaffarata estrosità dei suoi abitanti … (p.11).

13 Ibidem. 14 Ibidem 15 Posso qui lamentare l’impossibilità di accesso alle ‘carte’ Addamo? Senza scopi polemici, ma con l’obiettivo di far sì che questo importante scrittore sia studiato come merita, osservo che la Fondazione Addamo dovrebbe favorire questi studi oltre a pro- muovere incontri culturali e premi. 16 Cfr. I. Diotallevi, F. Marescotti, Il problema sociale costruttivo ed economico del- l’abitazione, a cura di M. Casciato, Officina Edizioni, Roma, 1984; G. Ciucci, M. Casciato, Franco Marescotti e la casa civile. 1934-1956, Officina Edizioni, Roma, 1980. 17 Il piano regolatore di Lentini (non firmato da Marescotti – non laureato, non poteva firmare, ma da varie lettere, testimonianze e documenti a lui senz’altro ascrivibile è deliberato dal Consiglio comunale di Lentini in data 7 luglio 1969, delibera. n. 53). Addamo fu assessore al bilancio nel 1970.

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“Sistema globale” (le virgolette nel testo) è citazione riconducibile a una visione strutturalista della città che serve ad Addamo per dipa- nare l’apparente caos urbano, renderlo leggibile, quasi trasparente come nelle vedute dei racconti di viaggio sette-ottocenteschi alla Houel che disponevano ad anfiteatro paesi e città e vi inserivano le loro vignette. Qui lo strumento di lettura è la città come un insieme, un sistema appunto. Ad Addamo la ‘logica’ e la ‘necessità’ delle ‘localizza- zioni’ consente di delineare con tratti nitidi la topografia sociale cata- nese che è gerarchia di luoghi e gruppi sociali18: in cima «il nucleo patrizio che per quel tempo ancora abitava i cupi settecenteschi palazzi di via Etnea», poi il viale (XX Settembre) dove risiedeva «la sfavillante e agreste borghesia», procedendo per via Ughetti («nuovo quartiere» della media borghesia), per concludere in basso con «la massa degli iloti che viveva (e vive) nelle asserragliate case di San Cristoforo e di tutta quella zona che dal fortino giunge al porto e alla stazione» (p. 11). «Viveva» e «vive»: nel racconto non sono frequenti questi confronti tra l’allora (anni’40) e l’oggi (1974). Significativamente ricorrono quasi sempre19 a proposito della topografia urbana, di cui avvia per contrasto la descrizione marcando una netta tragica distanza tra presente e pas- sato: «Adesso Catania [che allora «si mostrò subito tenera e profonda»] è città anonima e mortale. Ma in quegli anni …» (p. 10). Questa presa di distanza dal presente così duramente condannato, preannuncia però la morte del mondo («il mite candore d’un mondo borghese che ancora non sapeva di contemplare la propria morte», p. 12) che l’autore si accinge a descrivere e che alla fine del romanzo verrà sepolto definiti- vamente sotto la polvere delle macerie e sotto le risate dell’adolescente protagonista del romanzo (Gino, venuto a Catania «a farvi il liceo che a Lentini mancava», p. 7). È alla trasformazione della topografia urbana che Addamo affida prioritariamente la ‘testimonianza’ del mutamento, della fine, per restare alla sua visione delle cose. Così accade nella det- tagliata descrizione del percorso delle prostitute verso i luoghi di lavoro «lungo i marciapiedi di via Di Sangiuliano … o verso via Di Prima e poi … a San Berillo che è (o era …: adesso San Berillo non c’è più … i luo- ghi e il senso di essi, i volti, gli odori sono fermi e vivi solamente nella memoria …) il regno delle prostitute» (p.31).

18 E anche in questo caso si coglie la distanza da Camus: laddove questi pur descri- vendo, come Addamo, le spinte di fondo dall’agire urbano («I nostri concittadini lavorano molto, sempre per arricchire» e «gli uomini e le donne si divorano rapidamente in quello che si chiama l’atto d’amore», A. Camus, La peste cit. p. 374), abbandona subito i luoghi per addentrarsi nella riflessione sulla condizione esistenziale degli abitanti, il nostro li àncora alla topografia sociale. 19 Il terzo raffronto non ha lo stesso rilievo degli altri due e serve soprattutto a ten- tare una spiegazione/giustificazione dell’ossessione sessuale dei regimi dittatoriali di contro a una presunta minore virilità della democrazia. Cfr. p. 45.

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La visione strutturalista, il ‘sistema globale’, che tenendo insieme la città alimenta l’illusione di eternità («sembravano eterni … la pigra chiacchierata nei crepuscoli, l’errabondo acciottolio delle carrozze, la stridula familiare cantilena del tram nel mattino», p.12) rende ancor più tragica la fine. Crollano sotto le bombe le case così come sono ‘caduti’ sotto la fame gli abitanti, che sembrano d’un tratto muoversi quasi disarticolati via via che il dramma si compie, e si perdono ruoli e dignità, mentre avanza nella piena luce del giorno la marea delle pro- stitute, tracimata dal sito che le era proprio, il quartiere San Berillo. Se il buio propiziava sogni e incontri proibiti, allo stesso modo li nascondeva non tanto, o non semplicemente, per ipocrisia, ma per decoro. Quel decoro urbano che si era da subito imposto al ragazzo, quasi con orgoglio municipale, marcando la differenza verso il «fore- stiero» («e tale in quel tempo era – quasi straniero – chi abitasse a 30 chilometri», la distanza di Lentini da Catania). All’inizio è lo spettacolo urbano, come una festa che provoca lo stu- pore di Gino20 contemplante dalla collina Gioeni «un calmo lontano pul- viscolo di case chiare e vetri scintillanti, un’ampia conca circondata di alberi e silenzio, e le case, i palazzi, le strade, gli alberi folti di Villa Bel- lini, e il verde pallido degli altri alberi di Villa Pacini» (p. 10). Per cogliere, e proporre al lettore, «il senso della città», prima di condurlo all’interno della brulicante vita urbana a seguire da presso le vicende dei protagonisti del romanzo, a dotar anch’esse di una cornice e di un senso più ampio, Addamo si piazza sulla collina Gioeni e quel groviglio di case e palazzi lascia degradare verso il porto. «Il mare – annota – resta la dimensione di Catania: sbocco e insieme limite» (p.10). Quasi assumendo l’andamento dei racconti di viaggio, della grande letteratura di viaggio, il racconto di Addamo utilizza gli approcci ‘da lontano/da vicino’, allargando e restringendo alla bisogna il suo obiet- tivo. Dalla collina e dalla visione d’insieme che consente, scende in città per addentrarsi tra le vie, le viuzze e i vicoli e osservare ‘da vicino’ «gli uomini al lavoro, la varia circolazione dei carri, dei camion, delle auto», spingendosi ad ascoltare «il riottoso grido dei rivenditori, i rumori delle officine» e persino «le lente conversazioni che pure avvenivano di porta in porta» (p.11). Lo schema da lontano/da vicino con cui la città è rap- presentata nel romanzo è la soluzione descrittiva per tenere stretta- mente connessi uomini e case e strade e piazze senza perdere il

20 «E nei primi giorni, a camminare sotto gli alberi di villa Bellini piena di uccelli, in quella folla di uomini e donne, a guardare i negozi e i palazzi …; tra il rumore dei tram e delle auto, ci sembrava di stare in festa» (p.12).

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 342 Enrico Iachello riferimento al complesso urbano, in un legame che – s’è visto – l’autore teorizza e quasi rivendica per comprendere il ‘senso della città’. Rispetto alle tradizionali ‘vedute’ dei viaggiatori sette-ottocenteschi da cui questo schema proviene, la prospettiva di Addamo è però rove- sciata. In quelle, sulla città ‘vista’ dal mare il vulcano sovrastava con la sua mole imponente, spesso distraendo l’osservatore, affermandosi come principale motivazione della veduta. Nel nostro romanzo l’Etna è ‘alle spalle’ e se pure si staglia «nei giorni di sereno» («ancora non osta- colata dall’implacabile cemento»: un altro raffronto passato /presente affidato a una notazione topografica), resta fuori dalla visuale dello scrittore. La città è il suo vero centro di interesse e alla concreta arti- colazione urbana sono legati uomini e vicende. Si osservi la descrizione del fascismo e del consenso di cui godeva tra la popolazione e in particolare tra i giovani, Gino e i suoi amici tra questi.Il racconto si addentra nei luoghi ‘strategici’ della vita cittadina: le piazze e soprattutto il bar, luogo di socialità per eccellenza, e la scuola (data l’età dei protagonisti). Nel bar, dove i maschi si accampano per parlar di donne e giocare a carte, Gino apprende l’ingresso in guerra dell’Italia nell’estate del ’40. Ed è nei bar, più che in piazza dove l’adesione al fascismo è ridotta a uno “spasimo”21, che il consenso diviene “entusiasmo”, “fede”, quotidiana identificazione: «Le carte geo- grafiche nei bar erano festanti di bandierine, e dietro esse, dietro la cura dei padroni nel sistemarle e della gente nel rimirarle, c’era la fede della moltitudine …» (p 14). Pubblicando il suo racconto prima dell’In- tervista sul fascismo di Renzo De Felice (1975, e tanto scalpore suscitò in una cultura di ‘sinistra’ all’epoca imperante), con la distinzione/con- trapposizione tra “spasimo” e “entusiasmo”22 (contrapposto anche alla credulità: del padre dice «Non era un credulone bensì un entusiasta e perciò era fascista» p. 17), tra piazza e bar, Addamo invita a una analisi non banale dell’inquietante ma innegabile fenomeno del consenso al fascismo. Perché lo «spasimo … era la risposta alla lunga stimolazione

21 «La gente era in preda a qualcosa che si poteva chiamare entusiasmo, e invece non era, poiché trattavasi di quel tal spasimo che per esempio coglie le anime dannate davanti all’Acheronte», p. 15. 22 Non vorrei forzare la lettura del testo di Addamo, ma mi pare di riscontrare (senza voler ipotizzare dipendenze o conoscenze) una qualche analogia con le osservazioni di E.P. Thompson, che all’incirca negli stessi anni, elaborava una proposta innovativa per la comprensione dei tumulti popolari di antico regime tradizionalmente spiegati in ter- mini di “spasmo”, risposta a uno stimolo prodotto dalla fame. Thompson spingeva l’in- dagine più in profondità e si interrogava sul contesto colturale di riferimento delle comunità, sui processi culturali rivelati/attivati dalla ‘protesta’. Cfr. E.P. Thompson, Società patrizia, cultura plebea. Otto saggi di antropologia storica sull’Inghilterra del Set- tecento, Einaudi, Torino, 1981 (i saggi qui raccolti erano stati pubblicati tra gli anni 1967-1978, in particolare nel 1971 su “Past and Present” era apparso il saggio The Moral Economy of the English Crowd in the XVIIIth Century con il quale noto analogie).

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aagosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Storia e letteratura. Catania, il fascismo e la guerra nel racconto di Sebastiano Addamo 343 di discorsi, di parate, di onte subite o conclamate» (p.15). L’entusia- smo23 si alimentava invece di processi più profondi24, anche se appa- rentemente semplici, quale la quotidiana partecipazione nei luoghi di socialità (il bar, dove si ‘gioca’ al ‘fascista della prima ora’ – e poco importa se il gioco è scoperto, resta il valore dell’adesione iniziale25 –, dove si esercita un controllo sociale più o meno occulto26) e formazione. La scuola, appunto: «anche per noi ragazzi l’entusiasmo non subiva intoppi. A scuola avevamo trovato un professore di cultura militare che ci era piaciuto … centurione della milizia, magro scattante e con baf- fetti; ci parlava di guerra e di strategia accarezzando di continuo il pugnale che gli luceva nella cintola» (p. 17). E non manca in questa formazione di coscienze fasciste l’inoculazione del veleno razzista: «verso gli ebrei avevamo – ricorda il protagonista – odi furiosi e accaniti, di recente avevamo visto il film: Süss l’ebreo» (p. 24). Non basta la presenza del “povero” (nel senso letterale del termine) Morico (uno dei compagni di scuola e di pensione di Gino) e dei suoi dubbi a incrinare l’entusiasmo del gruppo. Dal più fascista dei ragazzi, Pippo, Morico è tacciato di “comunismo” e tanto basta per evitare di farsi contagiare. «Anche i comunisti erano per noi nemici, specie di bar- bari» (p.25). E la ‘barbarie’ è essenzialmente immagini orrorifiche e vio- lente destinate a fissarsi nella mente dei nostri adolescenti (i padri della mia generazione), e a produrre un immaginario destinato a durare a lungo anche oltre il fascismo:

In quei tempi erano usciti dei quaderni che sulla copertina portavano stam- pato un enorme orso villoso e rosseggiante con in mano una fiaccola accesa e sotto i piedi città e campagne devastate, palazzi distrutti, dappertutto bagliori d’incendio; davanti a esso un triangolo: Roma, Berlino, Tokio, e su ciascuno dei vertici un soldato armato, dignitoso e fiero. L’orso era davvero spaventoso e nel suo aspetto mi raffiguravo i comunisti, come da bambino sfogliando la Divina Commedia quella del Doré, e la Russia l’immaginavo simile a quell’inferno, i dia- voli armati di tridente, un orrore infinito e sanguinoso (p. 25).

23 Secondo la definizione del Devoto-Oli: «partecipazione totale, gioiosa e ammira- tiva, a ciò che si vede o si ascolta». Ed “entusiasta” «si dice di persona disposta ad acco- gliere o perseguire motivi pratici o ideali, con trasporto fiducia e dedizione totale e convinta, talvolta aliena da ogni pur necessaria considerazione realistica». 24 «Più che il fascismo a imporsi sul paese, era stato il paese ad andargli incontro», scriverà S. Addamo in Le abitudini e l’assenza, Sellerio, Palermo, 1982, p. 43. 25 Come il barista «già impresario di pompe funebri, ladro … finito pure in carcere, poi … fascista», che insiste «d’aver partecipato alla marcia», p. 13 26 Il «nastrino di squadrista» il barista non l’aveva avuto, ma aveva ottenuto «la licenza di quel bar, forse a uso del piccolo spionaggio locale», p. 14.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 344 Enrico Iachello

Si svela così un’efficacia persuasiva e una identificazione affidata anche al ‘potere’ delle immagini. Questa identificazione istalla nella mente del ragazzo degli anticorpi verso tutto ciò che poteva definirsi antifascismo. Alla “rivelazione” dell’esistenza di un antifascista (il pro- fessore Sanfilippo, di cui gli parla Morico), Gino ha come uno choc: «La parola [antifascista] mi suonò secca come un botto, vagamente arcana ed evocativa. “Antifascista” aveva per me il senso del vuoto era il non essere più che un altro modo di essere» (p. 89). Anche la riflessione sull’antifascismo, disincantata, critica, a tratti eccessivamente liquidatoria27, viene ancorata allo spazio urbano. È dentro la casa di Sanfilippo che con Morico e Gino siamo condotti. E qui riemerge il tratto caratteristico dell’esperienza urbana dei nostri protagonisti e dell’approccio di Addamo alla città. Della casa in primo e quasi esclusivo piano abbiamo informazione attraverso l’odore: «la casa aveva il cattivo odore delle case vecchie e umide e mal lavate, e un poco di quel tanfo il professore se lo portava dietro poiché adesso che ero lì e lo fiutavo, lo trovavo identico a quello che a scuola avevo già percepito» (p. 89). Non ha porte, finestre e balconi la casa nella descrizione di Addamo, e non ha quasi arredi, ma solo un odore che il protagonista ‘fiuta’. A rendere organico, ancor più evidente e quasi direi ‘fisicamente sensibile’, il rapporto strutturale tra spazio e attori (cui spesso questi odori si appiccicano addosso, come il tanfo al professor Sanfilippo), Addamo si serve degli odori. All’inizio del libro vi è in tal senso un’esplicita dichiarazione che fornisce al lettore una chiave di lettura, così come ai giovani protagonisti della vicenda l’accesso alla nuova dimensione urbana: «assorbivamo l’odore della casa e del vicolo e del quartiere come se il naso, che è veicolo o tramite si fosse per noi tramutato in mezzo di possesso e di dominio» (p.9). Verso la fine della narrazione, l’odorato – a ribadirne l’importanza ‘conoscitiva’ – si pro- pone persino quale criterio per misurare il consenso:

27 Addamo decide, credo ingenerosamente, di fare piazza pulita prima ancora che dei padri, dei nonni, e fa fuori Croce e l’antifascismo liberale, pagando un pesante tributo al luogo comune della cultura marxista dell’epoca, contrapponendo «la scaltra coscienza dell’intellettuale» alle «rozze mani del cafone» (p. 89) sino ad infierire, anche questo tenace luogo comune ideologico, contro gli «intellettuali» così «untuosamente liberali» da cadere «sempre all’impiedi» (p. 90). Da qui il passo è breve per una svalutazione dell’antifascismo meridionale (p.118), «imbelle» contraltare di un regime «ridicolo» (p. 116). Con conse- guenze paradossali sul «nuovo ordine» postfascista ridotto a continuare il vecchio sem- plicemente limitandosi a rovesciare il segno (p. 118). E pagando stavolta un prezzo significativo anche alla tradizione letteraria siciliana (grande tradizione, per carità, ma nutrita – e alimentatrice – di un’immagine metafisica dell’isola), concluderà che «la Sicilia sta ancora attendendo la ‘sua’ storia» (ibidem). Ma in tal modo il passato, anziché restare «alle nostre spalle» (p.89) – Addamo sembra non accorgersene – ghermisce il futuro.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aagosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Storia e letteratura. Catania, il fascismo e la guerra nel racconto di Sebastiano Addamo 345 i regimi, compresi e non esclusi quelli democratici, dovrebbero … compulsare le statistiche sull’uso di sapone e detersivi, dare un’occhiata alla pulizia delle strade … ché forse meglio di tanti Gallup o Doxa potrebbero ricavare l’indice di gradimento e la quantità di consensi (p. 129).

Così ancora una volta Addamo non manca di sorprenderci. Per un’attenzione significativa agli “odori” da parte degli storici occorrerà attendere il libro (del 1986) di Alain Corbin Le miasme et la jonquille 28. Nel racconto di Addamo, che sfortunatamente Corbin non conosce (e vi avrebbe trovato non poche indicazioni interessanti), l’odore in qual- che modo definisce, come spesso avviene nell’esperienza, l’identità dei luoghi. Il primo ‘riconoscimento’, la prima ‘appropriazione’ della casa dove i nostri adolescenti vanno a vivere a Catania, passa per l’odore: «la stanza dove stagnava un odor di cesso e veniva dalla casa, dalle scale, dallo stesso vicolo, da tutto il quartiere». E ciò offre l’estro a pren- dere le distanza da «catechismo e prediche pasquali e pastorali», pro- fondamente contraddette nella loro affermazione che «noi siamo … spirito, anima, ragione, tutte cose che non fanno odore» (p. 7). L’odore individua anche una gerarchia urbana capovolta (nella scelta ambien- tale dello scrittore i quartieri ‘odorosi’ sono i protagonisti): «era l’odore di un quartiere che ha odore, poiché ci sono quartieri senza odore, c’erano allora a Catania, asettici, silenziosi, raggomitolati in sé, separati e pignolescamente puliti» (p. 7). Di più, appiccicandosi alle persone, esso stabilisce un’ulteriore identificazione tra spazi, persone e gruppi sociali. Il padre di Gino odora di concime, le donne sono «odore di donna», le prostitute sono «odore di sudore», così come l’agognata e idealizzata dirimpettaia Wanda, «la signora» che suscita nei nostri adolescenti la «tristezza» prodotta «dalla lontananza, dalla distanza in cui essa era o la ponevamo», meta «impos- sibile» che «dava al nostro amore un che di irreparabile e di conchiuso», evoca in Gino «come a casa … l’odore del gelsomino nell’estate che veniva con l’aria e con il respiro e impregnava gli abiti e la pelle» (p. 30). Non c’è solo il cattivo odore nel racconto, anche se quest’ultimo infine s’impone per esprimere un mondo in decomposizione. Della casa delle zie, cui «fin verso i dieci anni» era stato in parte affidato, Gino ricorda «l’odore di legno crudo, di farina, di miele che riempiva tutti i locali» (p. 54). Significativamente non hanno odore i tedeschi, la cui improvvisa presenza per le strade e i bar della città ne ribadisce l’‘estraneità’ ai

28 A. Corbin, Le miasme et la jonquille, Flammarion, Paris, 1986. Edizione italiana: Storia sociale degli odori, Bruno Mondadori, Milano, 2005.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 346 Enrico Iachello luoghi, destinata a suscitare le rabbiose reazioni di un padre di cui avevano insidiato insolentemente la figlia e dei giovanotti accorsi in aiuto in una furibonda rissa alla Villa Bellini; o l’invidia dei soldati ita- liani al confronto del loro più consistente rancio, persino nel sospetto, una volta istituiti i «bordelli» per tedeschi a evitare risse, che ad essi fossero «riservate le donne migliori» (p. 80). Alla fine i tedeschi «comin- ciarono a dare sullo stomaco: col loro arrivo tutto era aumentato, e non soltanto i prezzi delle merci, ma anche i prezzi delle ragazze; sapendo al contempo – noi e tutti – che i soldi che i tedeschi spendevano e coi quali si accaparravano tutto, erano soldi nostri» (ibidem). Gli odori appartengono ai luoghi e ai loro ‘veri’ abitanti e segnano tutti i momenti cruciali del romanzo. Dalla prima infelice visita dei nostri adolescenti in un «bordello» («il cancello era aperto e lo var- cammo, fummo nella sala che aveva odore di disinfettante», p.56), all’iniziazione sessuale, marcata da «un pesante odore di rossetto, di sudore e di donna» (p. 96). Il quasi stupro che Gino subisce da parte della padrona di casa prende avvio con l’avvolgimento in «un grasso odore di rossetto» e il riconoscimento dell’«odore della padrona, incon- fondibile e ripugnante» (p.152). La rabbia del podestà alla “beffa” anti- fascista, che sega “l’albero di Arnaldo”29 senza farlo cadere perché crolli al momento della cerimonia, esplode con la puzza dei piedi. S’era tolto gli stivali «e con le sole calze lanciava i suoi passi, i piedi fumanti di sudore emanavano caldo morbido lezzo che si spandeva intorno e assa- liva le narici» (p. 118). Il manifestarsi delle prime drammatiche conse- guenze della guerra è dato dall’odore nauseabondo dei cibi: la pasta «messa in pentola scuoceva e ne veniva fuori una marmellata puzzo- lente e merdosa»; l’olio «pareva sciroppo di pesce tanto era fetido» (p. 69). Il crollo delle speranze del padre di Gino di arricchirsi con gli agru- meti si traduce nell’esplosione dell’odore dilagante, quasi asfissiante delle arance invendute:

Tutta la gran vallata al cui fondo è Lentini, ma anche oltre, fino a Carlen- tini, fino a Francofonte, tutta la vasta zona dei giardini, si empì dell’odore greve e dolciastro d’arance marce; un odore che stordiva che nauseava e s’attenuava solamente nelle ore notturne quando scendeva l’umido, o al mattino che restava sospeso in mezzo alla nebbia. Appena però questa diradava, l’odore tornava a dominare, ciecamente penetrava nelle case, avvolgeva uomini e cose (p. 113).

29 «Arnaldo, il fratello del duce Benito, essendo morto in odore di santità fascista, fu d’uopo onorarlo … l’onoranza fu escogitata nell’innalzare e al nome del defunto intestare un albero nuovo solennemente inaugurandolo … Ogni villa ebbe il suo albero» (p. 116).

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aagosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Storia e letteratura. Catania, il fascismo e la guerra nel racconto di Sebastiano Addamo 347

L’odore di questo mondo in cui tutto ‘si tiene’ (dalle ‘signore’ alle prostitute, dai giardini pubblici, alle piazze, alle strade, ai vicoli), in cui le persone sembrano aderire ai luoghi, è destinato a trasformarsi in “puzza”: una città rivelata dagli odori non può che manifestare la sua decomposizione in fetidi miasmi. Lo storico diffida invero di questi mondi ‘compatti’, di queste ‘strut- ture’ il cui crollo (o la cui trasformazione) sarebbe legata solo a una causa esterna (nel caso, la guerra), ed è spinto a cercare crepe, con- traddizioni, come tarli che rodono dall’interno, come uno stridio che faccia avvertire l’attrito del tempo. E in effetti non mancano le crepe nel mondo immaginato da Addamo se i fascisti sono definiti «rivoluzio- nari fasulli e borghesi mancati, o incarogniti» (p.118), e i loro piedi, come abbiamo visto prima, puzzano. Ma questo è il giudizio della sera di Addamo, non certo di Gino. Il tarlo è, dentro un mondo pieno di entusiasmo e certezze, Morico, che viene da Scordia, «un paese lontano e di poveri», che parla poco «ma sa il greco e il latino come un dio» (p. 21), e tuttavia è sconfitto nel suo sogno di promozione sociale perché alla morte del padre dovrà fatalmente rassegnarsi a fare il contadino: «era destino che dovessi fare il contadino e tornerò a farlo. Qualcuno dovrà pur farlo» (p. 149). Al “fascistissimo” Pippo, Morico oppone i suoi dubbi sino a dichia- rare, di fronte all’accusa di disfattismo: «mio padre è al fronte … E la guerra non mi piace» (p. 23). Il tarlo è «la strada che era poi un vicolo, con il sole che entrava soltanto per qualche ora ed era stentato e sem- pre debole come s’annoiasse a visitar luoghi del genere» (p.7); sono le case che dentro odorano di «cesso» e celano un sordo rancore o un muto rimprovero ai «quartieri senza odore», «pignolescamente puliti». Ma il tarlo è anche nell’ironia dei ragazzi e dei catanesi che non riu- scivano a prendere sul serio le prove di allarme e la corsa ai rifugi tra- sformavano in una sagra, facendo arrabbiare «il capofabbricato … con l’elmetto, la fascia attorno al braccio e l’ascia alla cintola» (p.18), inca- pace così bardato di convincere qualcuno della serietà della cosa, per- ché «a vederlo così impettito e sussiegoso» viene spontaneo pensare «sarebbe da vedere se con un bombardamento vero il tempo per la fascia l’avrebbe» (p.19). A stridere è il sarcasmo della padrona di casa che a vedere lo stesso capofabbricato alzare il braccio nel saluto fasci- sta borbotta «solo la mano ha tesa, ma il resto? », e i suoi figli chiama con sprezzo «figli del fascio» e la moglie «moglie del fascio» (p.19). Il tarlo era, l’abbiamo visto, la gelosia e l’ostilità nei confronti dei tede- schi. Dietro la facciata compatta del fascismo, si rivelano così crepe che la disastrosa esperienza bellica finirà con l’ampliare verso l’inevi- tabile crollo finale. Ma prima che le crepe si aprano e il mondo “dei padri” crolli, Addamo introduce nel romanzo come uno specchio che mostra il rove-

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 348 Enrico Iachello scio della realtà. Prima che tutto precipiti rotolando nel disfacimento morale e materiale, una disperata inquieta ironia si accampa nel rac- conto, a fornire una nuova e più complessa (al di là dell’apparente sberleffo) chiave di lettura che consenta di ‘svelare’ la realtà, la cui ‘verità’ è tuttavia destinata a farsi via via più indistinta, opaca. Irrompe nella prosa un epigramma destinato quasi a divenire un ritornello, più volte ripreso nel corso del racconto.

Ella è gaia, vispa e allegra, lui pieno di languor. Sembra il duca la fottuta la duchessa il fottitor

Sono gli stessi versi, racconta Luigi Russo, che Benedetto Croce amava ripetere a memoria raccomandandogli di non scordarli. Appar- terrebbero, secondo Russo, al napoletano duca Francesco Proto di Maddaloni30. Il signor Domenico, cui Addamo lo fa recitare, lo attribui- sce ad «un amico di Napoli» che «me l’ha insegnato» (p.63). L’attribu- zione è in realtà incerta31, Addamo che ha troppo sbrigativamente liquidato Croce li attribuisce a Ferdinando Galiani. Da questo momento comunque «la struttura e la composizione del mondo si ordinarono … nelle due categorie di fottuti e fottitori» (p. 64). E il primo personaggio a fare il suo ingresso baldanzoso in questa nuova bipolarità è proprio il signor Domenico che finirà con l’identificarsi con la duchessa. Si

30 L. R. (Luigi Russo), recensione a Antologia di poeti napoletani, a cura di Alberto Consiglio, Firenze, Parenti, 1956, «Belfagor. Rassegna di varia umanità» vol. XI, 1956, p. 115. La versione trascritta a memoria da Russo, oltre a non riportare la versificazione e adottare una punteggiatura differente, presenta altre varianti rispetto a quella di Addamo: “arguta” al posto di “allegra”; “egli” al posto di “lui”. Sul duca di Maddaloni (1812-1895) cfr. Antologia di poeti napoletani, cit., pp. 414-416 e Carlo Muscetta, Elsa Sormani (a cura di), Poesia dell’Ottocento, Einaudi, Torino 1968, vol. II,1294-1311. Sui rapporti tra Croce e il duca e sul suo apprezzamento dei “mordaci epigrammi dello stesso”, “notevoli per buona fattura letteraria”, cfr. B. Croce, Aneddoti di varia letteratura, Ricciardi, Napoli, 1942, vol. II, pp. 190-191. Croce non tralascia di citare in nota un altro epigramma del Maddaloni «che forse io solo ricordo, non essendo mai stato stampato» (Ivi, nota 1, p. 190). Raccolte di Epigrammi del Maddaloni, in Duca di Maddaloni e Mar- chese di Caccavone, Epigrammi vesuviani, O.E.T., Roma s.d., a cura di A. Consiglio. 31 Debbo a Silvano Nigro l’indicazione dell’importanza nel racconto di Addamo del- l’epigramma che, riferisce ancora Nigro, egli riteneva di Ferdinando Galiani (che a volte firmava Onofrio Galeota). In effetti in ambito di tradizione orale ciascuno attribuiva all’uno o all’altro gli epigrammi licenziosi. Nelle antologie di epigrammi di Maddaloni citati alla nota 22, e in altre possedute dalla Società di Storia Patria Napoletana, non sono presenti i nostri versi. Per F. Galiani, cfr. F. Diaz, L. Guerci (a cura di), Illuministi italiani. Tomo VI. Opere di Ferdinando Galiani, Ricciardi, Napoli, 1975.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aagosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Storia e letteratura. Catania, il fascismo e la guerra nel racconto di Sebastiano Addamo 349 comincia con il vecchio «gioco delle tre carte» destinato ad abbindolare i soldati tedeschi «che arrivavano a frotte» per puntare, vincere e per- dere, sino a quando il signor Domenico, pago del guadagno poneva fine al gioco fingendo l’arrivo della polizia: «l’ultimo estremo gioco del signor Domenico: li aveva fottuti» (p. 85); si passa per una visione preoccupata della guerra appena le vicende cominciano a volgere al peggio: « quasi quasi vi dico che saremo fottuti» (p. 110), è il commento sempre del signor Domenico e poco oltre sembra fargli eco da Lentini (eliminando però il quasi) il padre di Gino che, guardando le arance invendute a terra e rendendosi conto della fine del suo sogno di arricchimento, esclamerà: «la guerra ci ha fottuto, figliolo» (p. 119); si approda alla tanta agognata e infine realizzata iniziazione sessuale dei nostri adole- scenti che, appunto, si capovolge. Finalmente in contrattazione con una prostituta per il prezzo della prestazione, i nostri giovani provano a tirare sul prezzo. Basta tuttavia che lei alzi la veste e mostri «tutte le gambe che biancheggiarono sotto la luce» perché le si gettino addosso senza più alcuna capacità contrattuale: «abbassò la veste. Fottuti. Ci aveva fottuti» (p.98). E tuttavia se è il duca «la fottuta e la duchessa il fottitor», non ci sono più certezze, il mondo si fa opaco, caotico, sorprendente. È un mondo alla rovescia quello in/definito dell’accordo al femminile per il duca e al maschile per la duchessa, il disvelamento delle apparenze paradossalmente produce la fine della trasparenza urbana. Da allora nulla è come prima nel racconto, nulla resta al suo posto. In un mondo dove il vestito non è di lana, ma di erba, e la lotta per la sopravvivenza si fa sempre più dura, via via che la penuria bellica avanza, ogni azione si svolge tra il “fottere” e “l’esser fottuti”, senza mai certezza, anche se a salvare quel che resta – quando resta – della dignità la nuova polarità si può rivelare un comodo appiglio. Il signor Domenico dal gioco delle tre carte passa al mercato nero e traffica con i tedeschi, cui procura anche le donne. A Pippo (il più granitico fascista dei nostri adolescenti) che gli rimprovera di fare il ruffiano, obietta: «Faccio il ruffiano ai tede- schi. E con ciò? Loro fottono e io mangio e mangiamo tutti, e i fottuti chi sono? Ecco: chi sono i fottuti?». I tedeschi ovviamente, a suo dire, perché se «la duchessa è il fottitor», «la duchessa sono io, … almeno per ora sono io» (p. 101), così sottolineando però la fragile precarietà della nuova identità. Alla fine non ci saranno più duchesse. La guerra imporrà la sua terribile verità: la guerra «ci aggredì, ci penetrò, ci invase e ne fummo ora veramente e finalmente posseduti prima ancora di sapere se mai per una volta l’avessimo noi posseduta» (p. 128). ‘Posse- duti’, ‘posseduta’ è una variante, chiaramente, di ‘fottuti e fottitor’. Catania precipita rovesciandosi. E la prima drammatica caduta è quella della “signora Wanda”. Perde l’onore e l’odore (di gelsomino) Wanda nel momento in cui si

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 350 Enrico Iachello rivela, agli occhi pieni di rabbia e delusione degli adolescenti, una pro- stituta, una “troia” (p. 93). Nella descrizione di questa vicenda, dal pedinamento dei ragazzi alla visione della sua nudità e del rapporto carnale in un «deposito» («neanche una casa dove lavorare aveva e si recava agli appuntamenti nuda sotto il cappotto») non c’è il minimo odore. Perde Wanda il legame con i luoghi. Il suo esser milanese, che dapprima aveva evocato quasi un erotismo esotico nei nostri studenti («Milano, … un luogo dove a noi pareva che l’amore avesse altri signi- ficati», p. 21), si rovescia in «straniera». «A’milanisa, a’ milanisa … put- tana, puttana» (p. 147) le grida la folla che l’attende al ritorno del funerale del marito, suicidatosi perché rivelato «cornuto». E qui ecco un nuovo rovesciamento, in apparenza sorprendente (ma in realtà – lo vedremo – preannunciato). Il signor Domenico da duchessa si trasforma (si trasforma e non torna, perché prima nella prima parte del racconto, prima di farsi duchessa era solo una ridicola macchietta tiranneggiato dalla moglie) in uomo: contro l’abietto acca- nimento della folla urlante contro Wanda, egli si erge solo a difesa e giganteggia: «carogne» grida e comincia a menar colpi ai primi che gli capitano sotto tiro. La folla si apre, si zittisce. Messa in salvo Wanda e i suoi figli, davanti al portone di casa sua prima di rientrare, il signor Domenico «tornò a guardare le facce silenziose. Non disse una parola ma sputò per terra prima di girarsi» (p.148). Questo capovolgimento che vede il signor Domenico divenire eroe positivo della solidarietà umana è stato in realtà da Addamo preparato prima in una digressione su cosa si intendesse per «hommini» a Catania. Nel gioco complesso dello specchio deformato e deformante della guerra che manda in fran- tumi la realtà, Addamo introduce la ‘verità’ dell’uomo, i veri uomini, gli hommini appunto. E a suggerire la digressione è proprio l’atteggiamento di pietas del marito della padrona di casa, divenuto ormai il boss del quartiere32, nei confronti di Wanda e di suo marito, «il cavaliere»: ai ragazzi che su quest’ultimo alle spalle infieriscono definendolo ‘cor- nuto’, il signor Domenico chiede rispetto, perché gli uomini «non par- lano di faccende che non li riguardano. Mi sono spiegato?» (p.107). E da questa solidarietà, da questa pietas nasce la prima reazione violenta nei confronti dei ragazzi suoi pensionanti, nei confronti dei quali aveva sinora avuto un atteggiamento benevolo di paterna ironia: «balzò dalla sedia e afferrò Gianni per il colletto, cornuto, cornuto, ripetendo con

32 «Tutto il vicolo, le strade adiacenti, forse tutto il quartiere si può dire dipendesse ormai dal signor Domenico, e lui dava soldi a tutti …» (p.124). E più oltre apprendiamo che era divenuto «uno dei capi del mercato nero», «incettava merce da mezza Sicilia, a lui facevano capo ormai tutti i tipi, impiegati, ladri, professionisti, commercianti e anche funzionari importanti, compresi agenti delle tasse, vigili e gerarchi fascisti» (p. 141).

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aagosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Storia e letteratura. Catania, il fascismo e la guerra nel racconto di Sebastiano Addamo 351 forza, cornuto ci sarai tu e tuo padre e tutta la tua generazione … Vi ammazzo, lo volete capire o no?». Il signor Domenico è un boss del mer- cato nero, ma è anche un uomo, al punto da aiutare persino l’odiato capofabbricato procurandogli «le medicine per il figlio quando venne colpito da dissenteria», perché «l’hommini le cose se le scordano» (p. 135). Tra le qualità dell’‘uomo’ vi sono «il coraggio, il non esser disposto a subir inutili offese», generosità («aver cuore»), «lealtà con gli amici, solidarietà fino all’estremo limite di ogni nefandezza; e silenzio, il silen- zio sulle cose e per le cose di coloro che ci sono vicini, rispetto, fedeltà, onore» (p. 107). Se si esaminano queste virtù degli hommini non pos- sono non venire in mente alcuni dei tratti con cui viene dipinto il ‘boss’ don Mariano Arena. Il collegamento in effetti mi sembra evidente con Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia, quando al capomafia che gli ha esposto la sua teoria dell’umanità in cima alla quale sono appunto “gli uomini” (che Addamo traduce “hommini”), il capitano Bel- lodi, cui è stata riconosciuta la qualifica di uomo, risponde “anche lei”33. È un analogo ‘onore delle armi’ che viene reso nel racconto di Addamo al mondo che si avviava scomparire. Addamo ‘trasforma’ in uomo il signor Domenico, a lui spetta questo onore, per dare al suo racconto più tragica dimensione, quasi a salvare dal naufragio di quel mondo qualche tratto umano, un barlume di pietas, prima che tutto ricopra il fetore della decomposizione. La complessità della realtà e dei processi sociali trova qui intensa espressione ed è per questo inevita- bile il richiamo a Sciascia. Subito dopo un altro scrittore contempora- neo verrà citato da Addamo, esplicitamente stavolta, Pier Paolo Pasolini (indicato nel romanzo con le iniziali PPP, p. 108) di cui, a proposito del- l’inutilità della lettura di Marx (nel senso tragico, cioè del pasoliniano «a che serve la luce?» de Le ceneri di Gramsci), evoca «il razionale lamento … una delicata ragionevole disperazione», ibidem). Ma citare Sciascia e Pasolini, controcorrente e solitari in quegli anni nel pano- rama culturale italiano, significa una precisa scelta di campo, una rivendicazione di ‘laicità’ rispetto agli ‘schieramenti’ culturali e ideolo- gici dell’epoca. Diversi ma solidali Sciascia e Pasolini sono convocati da Addamo come in aiuto a testimoniare la tragica fine di un mondo. Quasi un bisogno di sodali e solidarietà prima di affondare lo sguardo nell’orrore della decomposizione. Il romanzo reca in epigrafe una falsa citazione di Marx da un testo inesistente che suona sarcastico nei confronti dell’ortodossia marxista

33 L. Sciascia, Il giorno della civetta, in Id., Opere [1956.1971], a cura di Claude Ambroise, Bompiani, Milano, 2004, pp. 466-467.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 352 Enrico Iachello dell’epoca, asfissiante e dogmatica al punto da spingere il nostro a inventare (ed è quasi uno schiaffo agli ‘ortodossi’) gli Scritti apocrifi di Marx dove la prostituzione è individuata come «la prima forma di baratto per l’uomo … ingresso nel mondo e conoscenza – presa di pos- sesso di questo», ma anche «intuizione di un destino futuro». A com- prendere e reggere le metamorfosi drammatiche di Domenico duchessa, uomo, trasformato dal denaro (di più: esistente «in quanto esisteva il denaro», p. 109), nel trasformarsi «del mondo e degli altri uomini» (ibidem), Addamo convoca quindi Sciascia, Pasolini e Marx, quest’ultimo ‘inventato’, per sottrarlo ai marxisti. Con questi compa- gni/sodali il nostro può immergersi nell’analisi (nella contemplazione?) dell’inferno che attende alla fine uomini e cose a Catania. E l’inferno, come insegnavano i trattati cinquecenteschi, è un nauseabondo ser- batoio di fetori e il naso, che ha condotto i nostri adolescenti alla cono- scenza della città, si conferma ancora una volta l’organo più adatto a farne esperienza34, ma l’occhio avrà – lo vedremo – la sua parte in un crescendo che è anche prova coraggiosa, forse anche ‘audace’, ma mai arbitraria, nel romanzo. «Sopravvenne l’odore di piscio. Inopinatamente senza alcun pre- avviso, dilagò, s’impose» (p.127). L’odore che prima distingueva, indi- viduava, differenziava, «s’impossessò della città», imprigionandola in una cappa uniforme: non ci fu difesa, né riparo, né volontà e possibilità e man mano salendo dai vecchi quartieri di San Cristoforo, dalle miserabili zone del porto e della sta- zione, dai lerci abituri bordellosi di via Maddem e via Rapisarda, invase le arte- rie del centro, via Etnea e via Umberto, la zona di via Ughetti, la villa Bellini, il viale (ibidem).

Dapprima solo evocati dagli odori, gli escrementi improvvisamente impongono al racconto e alla città la loro materialità: «le chiazze di urina erano in ogni dove», «le strisce d’urina imbevevano gli asfalti, s’in- seguivano, s’aggrovigliavano, costituendo macchie frastagliate, astratti paesaggi limacciosi che … nessuna pioggia riusciva a lavare» (p.128). E sui luoghi, bar, vie, viali, marciapiedi, piazze, elencate e chiamate per nome da Addamo quasi a serbarne memoria nel disfacimento («le fragili piazze di Catania», p. 127), si depositano stabilmente «queste macchie sontuose e unte che sempre più si allargavano e ispessivano». L’urbanità svanisce: «finì la decenza, il decoro, il pudore, il rispetto. Si pisciava di notte e di giorno, in ogni luogo e con ogni tempo» (p.127).

34 Sul tema cfr. P. Camporesi, Odori e sapori, introduzione a A. Corbin, Storia sociale degli odori cit., p. XIII-XIV.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aagosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Storia e letteratura. Catania, il fascismo e la guerra nel racconto di Sebastiano Addamo 353

L’apax narrativo delinea una «escalation … e dopo l’urina viene la merda», dapprima con timide apparizioni, ma «poi straripò». La mate- rialità escrementizia dilaga nella prosa di Addamo e nella città:

Su marciapiedi e piazze fiorirono tuberi puzzolenti, alcuni sottili, biondi e serpentini, altri enormi neri e compatti. Si videro dappertutto tra l’indifferenza della gente, in mezzo a ogni strada, sui marciapiedi del centro, nella vasca delle fontane, agli ingressi delle chiese e degli edifici ufficiali, financo sull’orlo alto di qualche grondaia (p.128).

L’identità urbana è dissolta nel «plumbeo vapore fecale» che «parve annebbiare il cielo» (ibidem) in un «vasto putrescente addobbo escre- mentizio» (p.129). Con gli escrementi dilagano le mosche, dilagano le cimici, e soprattutto dilaga la fame, alla base di questa invasione escre- mentizia: la fame cancella la dignità. «Crebbe in modo considerevole il numero delle prostitute», anch’esse debordanti dai luoghi consueti, sparse per tutta la città, «dilagarono»: «una massa vistosa e oscena, disordinata e sudicia, si spostava di continuo» (p.157). La disperazione spinge all’estremo: «ce n’erano che camminavano coi figli, uscivano con loro e quando lavoravano li lasciavano dietro la porta, gli davano un pezzo di pane; e non volevano soldi, volevano pane». «Quel mare di donne che inondava la città, che venivano dietro a ogni uomo, ingiu- riavano e piangevano quando venivano respinte», dai «volti dipinti e malati», faceva «la vita per la fame» (ibidem). Se precedentemente le notazioni ironiche sull’ispirazione «anale» di Lutero (p. 130) potevano far presagire – toccato il fondo – una con- fusa speranza «che in qualche modo si uscisse fuori» per «salire alle finestre e rompere i vetri» (p. 129), a fracassare vetri e pareti delle case penseranno invece le bombe. Così «il passato si era spezzato per sem- pre» (p.125), sepolto dalle bombe e dal fragore della risata con cui Gino accoglie «i padri» alla fine del romanzo (p. 159).

La complessità del romanzo di Addamo si rivela, come speriamo la mia ‘lettura’ abbia mostrato, preziosa occasione di confronto per gli storici. Da anni perseguo35, con incerti risultati, ma soprattutto spesso scontrandomi con la resistenza dei letterati e degli storici della lettera- tura, un progetto di ripresa dei rapporti tra storia e letteratura. Sono convinto, senza per questo voler approdare a confusioni di ruoli e per- corsi, che l’abbandono del legame con la letteratura, la seduzione

35 Cfr. le Conclusioni del mio Immagini della città. Idee della città. Città nella Sicilia (XVIII-XIX secolo), Maimone, Catania, 1999, pp. 257-264.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 354 Enrico Iachello subita da parte delle scienze sociali (senza per carità voler rinnegare nulla delle acquisizioni che esse hanno consentito alla disciplina), si sia alla lunga tradotta in un impoverimento. Ritengo che sia oggi importante riconsiderare, sia pure su basi nuove, legami e rapporti con le cosiddette humanities. Non intendo piegarmi, del resto sarei anche ridicolmente fuori tempo, al cosiddetto linguistic turn. Il racconto di Addamo, la città di Catania rappresentata nel suo romanzo, non ci invita a togliere i paletti che separano il romanziere dallo storico, ma ci spinge a chiederci cosa e come della sua rappresentazione di un mondo ‘finto’ può essere utile in termini di approccio e di modalità di analisi di società complesse per ricostruire il nostro (di storici) mondo “finito” (il passato). La sua descrizione del consenso al fascismo, il rap- porto tra spazio e società costruito nel corso della vicenda che si svolge a Catania negli anni di guerra, offrono indicazioni che possono, appunto per la loro complessità, essere messe a frutto, con i modi che sono loro propri, dagli storici. Storia e letteratura ricostruiscono, ciascuno con protocolli e per- corsi diversi, mondi complessi, cioè strutturati con articolazioni e legami in cui si addensano processi e vicende che definiscono e carat- terizzano una storia o un racconto. Il mondo ‘finto’ dei letterati e il mondo “finito” degli storici richiedono per rispondere alla domanda di conoscenza del reale (ché di questo in fondo si tratta) rappresentazioni complesse e adeguate che possono essere confrontate nelle modalità di costruzione e nell’efficacia esplicativa. Non si tratta di confrontare ‘retoriche’ (ed è banale osservare che anche gli storici utilizziamo reto- riche), ma – va ripetuto – modalità e percorsi esplicativi di rappresen- tazione con l’obiettivo di produrre ‘sapere’.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Aagosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Alberto Rescio UNA AMICABILE PRACTICA TRA L’ALBANIA E LA PUGLIA NEL 1514* DOI 10.1929/1828-230X/43172018

SOMMARIO: Il presente articolo analizza un documento inedito proveniente dall’Archivio Generale di Simancas, la lettera del sangiacco di Valona al conte di Muro, governatore di terra d’Otranto e di Bari, datata 22 marzo 1514. La lettera contiene l’attestazione di una practica commerciale tra l’Albania e la Puglia, che si intende estendere a tutto il regno di Napoli e all’intero impero ottomano e testimonia un esempio di pacifica intesa tra le autorità del viceregno spagnolo e quelle di un sangiaccato turco. Contestualizzata in un periodo in cui non si era ancora verificata quell’estrem- izzazione del conflitto che si sarebbe avuto qualche anno più tardi tra l’impero di Solimano il Mag- nifico e quello di Carlo V, l’intesa tra il sangiacco e il conte di Muro potrebbe essere stata resa possibile dallo scarso interesse del sultano Selim I per lo scontro con i cristiani, in virtù della sua politica espansionistica verso la Persia, la Siria e l’Egitto. A giustificare questo tipo di politica amichevole concorrono, poi, la presenza mediatrice di Venezia nell’Adriatico e nei Balcani e la familiarità che sembra emergere dal documento tra il sangiacco e la moglie del conte di Muro, probabilmente entrambi afferenti all’alta nobiltà albanese.

PAROLE CHIAVE: Otranto, Valona, impero ottomano, Selim I, Balsha, Conte di Muro.

A FRIENDLY TRADE AGREEMENT BETWEEN ALBANIA AND PUGLIA IN 1514

ABSTRACT: This article analyzes an unpublished document coming from the Archive of Simancas, the letter to of the Sanjak bey of Vlora to the Count of Muro, governor of provinces of Otranto and Bari, dated 22 March 1514. The letter contains the attestation of a trade agreement between Albania and Puglia, which will be extended to the whole kingdom of Naples and the entire Ottoman empire and demonstrates a case of pacific understanding between the authorities of the Spanish kingdom and those of a turkish sanjak. The document was written a few years before the birth of the two empires of Charles V and Suleiman the Magnificent and therefore is not affected by that season of hard conflict which was created soon after 1520; sultan Selim I, however, was interested in an expansionist policy towards Persia, Egypt and Syria rather than the clash with Western Christians. Finally, the friendly relationship between Albania and Puglia was perhaps favored by the mediation of Venice in the Adriatic and Balkans, and by the probable good relationship between the Sanjak bey of Vlora and the wife of the Count of Muro, both belonging to the high albanian nobility.

KEYWORDS: Otranto, Valona, Ottoman empire, Selim I, Balsha, Count of Muro.

* Abbreviazioni: Ags = Archivo General de Simancas. n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 356 Alberto Rescio

La lettera del sangiacco di Valona al conte di Muro

La battaglia di Otranto del 1480 ha segnato per la Puglia l’inizio di un lungo periodo di conflittualità con l’impero ottomano, durante il quale i centri costieri albanesi si sono configurati, nell’immaginario degli abitanti di Terra d’Otranto, come i porti da cui provenivano le navi nemiche. La stessa flotta turca del 1480 era partita da Valona1 e da questa città venivano i rifornimenti ai turchi durante la loro occupa- zione di Otranto e partivano per Kostantiniyye (Costantinopoli) gli schiavi catturati in Puglia2. Da allora, le coste pugliesi subirono nume- rosi attacchi corsari, almeno fino alla fine del Seicento3. Eppure, una lettera conservata nell’Archivio Generale di Simancas testimonia che i rapporti tra le due sponde dell’Adriatico non sono stati sempre di mera belligeranza. Il documento proviene dalla sezione Estado Alemania, e di seguito se ne riporta la trascrizione:

Copia de la l(ette)ra del Sanjach de la velona mandata al Conte de Muro A tergo A lo Ill(ustrissi)mo S(ign)or Conte de Muro vicere de le provintie de t(er)ra de baro et hydrunto suo qnto ad frate hon(oran)do. Ill(ustrissi)mo S(ign)or Conte n(ost)ro qnto e frate hon(oran)do salutemo: per el Mag(nifi)co Imbassiator M(esse)r Mactheo musero et m(esse)r Joanne ant(oni)o marcella v(ost)ro creato una cum lo homo n(ost)ro ad vuj p.o (primo?) mandato nj e stato facto intendere il desiderio et avidita quale tene v(ostra) s(ignori)a non solum ad perseverar in n(ost)ra amicitia et fraternita, et amicabile practica de n(ost)rj subditj, p(er)o fi(n) al p(rese)nte fra noi è stata observata, ma etiamdio quella ampliare col resto de tucto il Regno, cum tucta la Turchia: per maiore, et comuniore comodita et universale beneficio de tuctj: et certamen p(er)sua- dendomi questo essere cosa utile et p(ro)ficua de ambe doe p(ar)te, nce introve- nimo cum a(n)i(m)o sincero et de bona voglia: vere p(er)ch(é) v(ostra) Ill(ustrissi)ma S(ignoria) conosce sup(er)ior acioch(é) le cause siano stabili et

1 H. Houben, La conquista turca di Otranto (1480) tra mito e storia. Atti del convegno internazionale di studio, Otranto-Muro Leccese, 28-31 marzo 2007, Congedo Editore, Galatina, 2008, p. 178; K.M. Setton, The papacy and the Levant, (1204-1571), vol. II (The Fifteenth century), The american philosophical society, Philadelphia, 1978, p. 340. 2 S. Panareo, Valona nella guerra turco-aragonese del 1480-81, «Rivista Storica Salen- tina», 12 (1920), pp. 8-21; I. Schiappoli, Napoli aragonese: traffici e attività marinare, Giannini Editore, Napoli, 1972, pp. 121-133; H. Houben, Otranto nel Medioevo: tra Bisan- zio e l’Occidente, Congedo Editore, Galatina, 2007, pp. 249-254. 3 In realtà, le incursioni barbaresche sulle coste pugliesi continuarono fino a tutto il Settecento, anche se, ovviamente, gli episodi divennero via via più sporadici e meno pre- occupanti (S. Panareo, Turchi e Barbareschi ai danni di Terra d’Otranto,«Rinascenza Salentina», a. 1 (1933), pp. 238-240).

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Una amicabile practica tra l’albania e la puglia nel 1514 357 ben fundate, p(ro)ueda quella cum lo S(ignore) vicere g(e)n(er)ale, ch(e) ve presta lo assenso voto et soa auct(ori)ta, cum cautela inscriptis et quelle remictitj ad noi con lo homo v(ost)ro: et noi dacq(u)a lo faremo intender ad la porta p(er) qualch(e) destreza che nde venga qualech(e) bono expedim(en)to: restando in termini la practica de n(ost)rj subditj in suo robore efficacia et fermeza si como sta confirmata: et ut itere et de novo p(er) p(rese)nte la confirmamo et roboramo: finch(é) se expidiscono li capitulj novj et universalj, dove se haverranno a inclu- dere tuctj carazalj et subditj del Gran S(igno)re Turchi, cristiani, et ancora judei, chi mercantuelm(ent)te possano practicare p(er) tucto il Regno: rendemovj molte gr(azi)e et merce circa lo p(rese)n(ta)to de li mulj et c(ri)stallinj con altre cose: et offerendoce al piacer de v s. (vostra signoria) in tucte altre cause licite et honeste occorrentj: salutamo et offeremonj a la s(ignora) v(ost)ra (con)sorte como e patre qnto ad n(ost)ra figliola p(ro)pria et non meno ad madamma Comita sua matre n(ost)ra qnto e sore. Ex bellogrado xxij marcij MDXIIII

Il v(ost)ro qnto e frate Lo sanjacho dela velona4

La lettera, datata 22 marzo 1514, è una copia dell’originale scritta (probabilmente in italiano) dal sangiacco di Valona al conte di Muro, Giacomo Alfonso Ferrillo, governatore delle province d’Otranto e di Bari. Il sangiacco innanzitutto esprime il suo compiacimento per la disponibilità di Ferrillo a un rapporto amichevole e a una amicabile practica tra i sudditi albanesi e quelli pugliesi, che, a quanto dice lo scrivente, era già in atto in quel momento. In più, il sangiacco si spinge a chiedere che il conte di Muro chieda al viceré generale (evidentemente il viceré napoletano, al tempo Rai- mondo Folch de Cardona) di estendere questa intesa a tutto il Regno di Napoli, così che dal canto suo possa fare altrettanto in Turchia: «et noi da qua lo faremo intender ad la porta per qualche destreza che nde venga qualeche bono expedimento». Il tipo di practica che si progetta è, evidentemente, di carattere commerciale, dal momento che il san- giacco auspica che vengano inclusi in «capitulj novj [...] tuctj carazalj5 et subditj del Gran Signore Turchi, cristiani, et ancora judei, chi mer- cantuelmente possano practicare per tucto il Regno». Il testo è dunque importante, perché vi si trova, presentata peraltro in termini di amicizia e affabilità («Illustrissimo Signor Conte nostro qnto e frate honorando»), l’attestazione dell’esistenza di una qualche forma di relazione commerciale tra la Puglia e il sangiaccato di Valona,

4 Ags, Estado, Alemania, leg. 635, f. 5. 5 Il termine carazali è variante di caraz(z)ari, parola che indica coloro che dovevano pagare il haraç, la tassa a cui erano soggetti i sudditi non musulmani dell’impero (G.R. Cardona, Caraccio, caracciaro, «Lingua Nostra», 31 (1970), 20-21).

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 358 Alberto Rescio e la proposta di un’estensione di questo accordo a tutto il Regno di Napoli e a tutto l’impero ottomano. Da ciò che emerge dal documento sembrerebbe che tra i due vi fosse già un vero e proprio accordo scritto, a cui bisognava aggiungere capitulj novj.

Il contesto

Il quadro che si può carpire dalla lettera va a correggere, almeno parzialmente e limitatamente al periodo in oggetto, la visione del Salento come antemurale della Cristianità contro il mondo musul- mano. Infatti, l’atavica tendenza delle coste adriatiche a confrontarsi e a scambiarsi uomini e merci non venne meno neanche nel momento critico del passaggio dal XV al XVI secolo, quando l’impero ottomano si avviava all’apogeo della sua potenza e l’attrito con l’Occidente cri- stiano era inevitabile. Non si può negare che le zone costiere del Meri- dione d’Italia provassero un sentimento di inquietudine nei confronti del turbante turco e che questa costante paura fosse più che normale per un territorio come quello salentino6, memore della presa di Otranto del 1480 e che, solo pochi anni prima, era stato oggetto di diverse incursioni provenienti dal mare: nel 1510 il capo d’Otranto aveva subito due attacchi turchi7; nel 1511, navi turche erano sbarcate a San Cataldo e si erano impossessate del castello di Roca (oggi Roca Vec- chia), macchiandosi di una strage efferata8. Tuttavia, la lettera del san-

6 In una sua lettera al conte di Potenza, datata agli ultimissimi anni del XV secolo, l’illustre umanista salentino Antonio de Ferraris, detto il Galateo, non solo metteva in guardia per la possibilità di un attacco turco verso la Puglia ma si diffondeva in un vero e proprio elogio del sano e ragionevole timore che bisognava nutrire verso un nemico peri- coloso come l’impero ottomano, che da poco aveva mostrato alla gente otrantina di quale efferatezza fosse capace (A. de Ferraris , De apparatu turcarum, in A. de Ferraris, Lettere, testo, traduzione e commento di A. Pallara, Conte editore, Lecce, 1996, pp. 183-198). Sul sentimento di inquietudine dei pugliesi in merito al pericolo delle navi in partenza da Valona e Durazzo nella prima età moderna, si veda: A. Spagnoletti, Un mare stretto e amaro. L’Adriatico, la Puglia e l’Albania (secc. XV-XVII), Viella, Roma, 2014, pp.13-32. 7 M. Mafrici, Mezzogiorno e pirateria nell’età moderna (secoli XVI-XVIII), Edizioni Scien- tifiche Italiane, Napoli, 1995, pp. 57-58. 8 L’episodio è raccontato con dovizia di particolari nella Cronaca di Notar Giacomo: «Et a dì primo de giugno 1511, de domenica, venne nova como galea una, sette fuste et una nave de turchi haveano smontato a sancto Cataldo in Terra de Otranto et che haveano presa la torre et che davano la bactaglia a Roca, quale era terra de Messere Raphaele de li Falcuni propinqua a Loze (Lecce) a 8 miglia, il quale torre la presero et in quella nce trovaro 12 homini, tra li altri uno preyte, dove undeci li fecero morire e lo preyte spartero per mezo». (T. Pedìo, Napoli e Spagna nella prima metà del Cinquecento, Francesco Cacucci Editore, Bari, 1971, p. 208). Il cronista Antonello Coniger data questo attacco al giorno 29 maggio e parla solo della presa della torre di San Cataldo, senza far menzione di Roca (M.A. Coniger, Le cronache, per Giuseppe Saverio Romano, Lecce, 1858, p. 86).

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Una amicabile practica tra l’albania e la puglia nel 1514 359 giacco ed altri documenti di inizio Cinquecento lasciano trapelare che tra gli abitanti delle coste pugliesi e quelli dei Balcani ottomani ci fosse spazio anche per rapporti, se non proprio amichevoli, quantomeno di intesa commerciale. Per poter fare un po’ di chiarezza su questa situazione di apparente incoerenza, bisogna contestualizzare questi avvenimenti nella storia, sia dell’Albania ottomana sia della terra d’Otranto, dei primi quindici anni del XVI secolo, così da cercare di dare il giusto peso tanto alle scorrerie provenienti dai Balcani quanto agli scambi commerciali che mettevano in collegamento le due sponde adriatiche. Il primo fattore che interviene a giustificare questo rapporto ambi- valente è la forte influenza della politica veneziana nell’Adriatico meri- dionale e in particolare su alcune città salentine a vocazione commerciale come Brindisi. Sul finire del secolo XV, Venezia, in seguito alle due guerre con l’im- pero ottomano (1463-1479; 1499-1503), aveva perso alcuni tra i suoi più importanti avamposti nell’Albania meridionale9 e aveva dovuto interrompere per diversi anni i suoi commerci con il Levante otto- mano10. La presenza veneziana in Puglia in questo periodo (1496-1509) influenzò pesantemente la vita politica, militare ed economica della regione. Le città adriatiche di Brindisi e Otranto, ora divenute posse- dimenti veneziani, durante gli anni della seconda guerra turco-vene- ziana (1499-1503) dovettero patire per i continui allarmi di imminenti attacchi della flotta turca e per le scorrerie di fuste provenienti da Valona. Ciò provocò l’adozione di misure straordinarie da parte del Senato in materia di fortificazione e militarizzazione di questi porti, a scapito delle attività commerciali11. Alla fine della guerra, la situazione cambiò e i rapporti tra Costantinopoli e Venezia tornarono più distesi. Nel 1503 Brindisi si trovava ancora parte del dominio veneziano e potrebbe aver beneficiato a livello commerciale delle capitolazioni sti-

9 P. Xhufi, Venezia in Albania, in B. Crevato-Selvaggi, J.J. Martinoviâc, D. Sferr, C. Schiavo, P. Xhufi, L’Albania veneta: la Serenissima e le sue popolazioni nel cuore dei Bal- cani, Biblion edizioni, Milano, 2012, pp. 43-59 10 In realtà, Venezia, anche nei periodi di belligeranza con i turchi, continuava a curare i suoi interessi nell’impero ottomano, spesso tramite la mediazione di Ragusa (H. Inalcik, An outline of ottoman-venetian relations, in H.G. Beck, M. Manoussacas, A. Per- tusi (a cura di), Venezia centro di mediazione tra Oriente ed Occidente, secoli XV-XVI, Aspetti e problemi, Atti del 2° Convegno internazionale di storia della civiltà veneziana: Venezia, 3-6 ottobre 1973, vol. 1, Olshki, Firenze, 1977, p. 88); di sicuro riattivò a pieno regime tutti i circuiti commerciali nel 1503, a guerra terminata (P. Preto, Venezia e i Tur- chi, Sansoni, Firenze, 1975, p. 35). 11 G. Guerrieri, Le relazioni tra Venezia e Terra d’Otranto fino al 1530, V. Vecchi, Trani, 1903, pp. 160-188, pp. 210-213.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 360 Alberto Rescio pulate tra la Serenissima e l’impero ottomano alla fine del conflitto12. Tra l’altro, nel trattato di pace tra Venezia e il sultano del 1502 era stata inserita una clausola, ritenuta poi valida praticamente fino al 1699, secondo la quale nel Golfo, tra Corfù e la laguna veneta, nessuno avrebbe dovuto assaltare navi mercantili, soprattutto se di provenienza veneziana, e in tutta la prima metà del secolo il sultano legittimò uffi- cialmente la giurisdizione della Serenissima sull’Adriatico, anche come garante della salvaguardia delle due coste13. A questo si aggiunga che la pesante sconfitta subita ad Agnadello nel 1509, ad opera della Lega di Cambrai, convinse Venezia ad adottare una politica sempre più spre- giudicata nei confronti dell’impero ottomano: intrattenere rapporti di intesa con il sultano da una parte poteva servire a minacciare i nemici di chiamare in propria difesa il Turco anche sulla Terraferma, dall’altra era ormai indispensabile per tutelare la propria presenza nell’Adriatico e i traffici nei Balcani14. Questi accordi di Venezia con l’impero ottomano non scoraggiavano del tutto le incursioni corsare15, ma spingevano città come Brindisi a cercare intese commerciali con la vicina Albania, tanto che nel 1508 i cittadini brindisini chiesero a Venezia che venisse concessa la cittadi- nanza ad alcuni abitanti che provenivano da Valona16. Cessata la domi- nazione veneziana, Brindisi cercò di mantenere inalterata questa situazione anche quando la città passò sotto il controllo spagnolo. L’11 giugno del 1509, infatti, l’università di Brindisi presentò ad Antonio di Cardona, viceré delle terre d’Otranto e Bari, alcuni capitoli per richie- dere particolari privilegi. Fra le altre cose i brindisini chiesero: «Item actento la utilita et benefitio se percipe per li citadini di essa cita dal commertio de Veloniti et altri subditi del turcho quali mercantilmente

12 M.P. Pedani, La dimora della pace: considerazioni sulle capitolazioni tra i paesi isla- mici e l’Europa, Cafoscarina, Venezia, 1996, pp. 28-29. 13 Ead., Ottoman merchants in the Adriatic. Trade and smuggling, «Acta Histriae», 16 (2008), 1-2,, pp. 158-160. Nel 1503 il sultano Bayezid II ordinò ai sangiacchi di Morea, Valona, Negroponte, Arta ed altri di non attuare nessun atto di violenza contro cose o persone provenienti da Venezia (Ead. (a cura di), I documenti turchi dell’Archivio di Stato di Venezia, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archi- vistici, Roma, 1994, p. 36). Nel mese di giugno 1504, poi, ritirò la sua flotta da Valona, facendo sapere alla Signoria di Venezia che lo faceva «per la bona amicitia et pace havemo fra de nui» (M. Sanuto, I diarii, f.lli Visentini editori, Venezia, 1881, tomo VI, col. 24). 14 G. Ricci, Appeal to the Turk, The broken boundaries of the Renaissance, Viella, Roma, 2018, pp. 96-97 15 M.P. Pedani, Ottoman merchants in the Adriatic cit., p. 160. Già nel 1506 navi tur- che assaltavano i porti pugliesi. 16 G. Guerrieri, Le relazioni tra Venezia e Terra d’Otranto fino al 1530 cit., p. 229. La richiesta non venne accolta da Venezia «per convenienti respecti», ma i brindisini otten- nero l’apertura di un nuovo scalo per il commercio delle navi di Barberia, Fiandre e Aque- morte che frequentavano il porto.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Una amicabile practica tra l’albania e la puglia nel 1514 361 practicavano in essa cita se supplica se digne V. Catholica M.a ad spe- cial gratia permectere che se possa practicare mercantilmente con essi»17. Evidentemente, durante il dominio veneziano, Brindisi aveva intrattenuto con i sudditi turchi di Valona intensi scambi commerciali che adesso non voleva interrompere. I capitoli presentati al viceré nel 1509 furono approvati da Ferdinando il 9 luglio dello stesso anno18. La vicenda di Brindisi sicuramente costituisce un precedente impor- tante per comprendere la amicabile practica di cui parla il sangiacco di Valona nel 1514, e si affianca ad altri casi che fanno pensare che il commercio tra cristiani e musulmani nell’Adriatico non fosse al tempo un’abitudine così inconsueta. Oltre al noto esempio di Venezia, nella cui laguna mercanti ottomani si recavano a commerciare almeno dal 141919 e che, ancora nel periodo qui analizzato, guardava con benevo- lenza ai traffici tra le due coste dell’Adriatico meridionale, spicca l’im- portante esperienza anconitana. La Repubblica di Ancona, per tutto il corso del Medioevo e soprattutto nel XVI secolo, curò un’ampia rete di commerci con Ragusa e il mondo ottomano, arrivò ad ospitare nella sua città diversi mercanti greci, albanesi, ragusei e turchi e divenne il centro nodale di una rotta commerciale che metteva in comunicazione Inghilterra, Francia, Firenze e Costantinopoli20. Un anno prima della lettera del sangiacco, i mercanti greci di Larissa, Arta e Giannina si recarono ad Ancona per richiedere al consiglio municipale una tariffa doganale di favore. La città non solo gliela concesse, ma accettò anche la proposta di un’ambasceria di mercanti turchi inviati dal sultano, i quali chiedevano che tali privilegi venissero estesi a «tutti i sudditi del Gran Signore»21, secondo una formula molto simile a quella usata dal sangiacco di Valona quando propone di «includere tuctj carazalj et sub- ditj del Gran S(igno)re» negli accordi commerciali. Ritornando ai rapporti tra Valona e la Puglia nel 1514, un altro docu- mento ci aiuta a comprendere quanto fosse ambivalente, in quel periodo, il confronto tra le due regioni, in bilico tra atti di pirateria e sforzi di collaborazione. In particolare, questo testo, che è una raccolta di Nuevas del Turco, restituisce un’istantanea dei preparativi di guerra portati avanti dai turchi nel 1514. Il memoriale è indirizzato dallo stesso conte di Muro all’ammiraglio generale dell’armata del regno, Bernardo Villamarino, il conte de Capaza (conte di Capaccio); le informazioni ven-

17 Ivi, p. 419. 18 Ivi, p. 246. 19 M.P. Pedani, Ottoman merchants in the Adriatic cit., p. 157. 20 P. Earle, The commercial development of Ancona, 1479–1551, «Economic History Review», II serie, 22 (1969), pp. 28-44; J. Delameau, Un ponte tra Oriente e Occidente: Ancona nel Cinquecento, «Quaderni storici», 13 (1970), pp. 26-44. 21 J. Delameau, Un ponte tra Oriente e Occidente cit., p. 32.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 362 Alberto Rescio gono dal resoconto di un esploratore del conte, un tale Manoylo Londari di Otranto, inviato fino a Costantinopoli attraverso i Balcani. La tesi di fondo del documento è che nessuna flotta stava partendo dai porti del- l’impero, né da Caffa, né da Pera né da Lefkada, e che la flotta che si preparava a Costantinopoli era destinata a Rodi, non alla Puglia. Anzi, i pochi lavori nei cantieri navali dell’impero, che erano stati avviati per organizzare una qualche spedizione, procedevano a rilento perché tutte le forze del sultano erano concentrare sul fronte orientale, contro il Sofi, ovvero lo scià di Persia Ismail (1487-1524)22. L’informatore racconta al conte di Muro ciò che è noto: nella prima metà del 1514 il sultano Selim I (1470-1520) preparava la spedizione contro la Persia, quella che avrebbe portato alla vittoria di Çaldıran il 23 agosto di quello stesso anno23. Per questo, era difficile che contem- poraneamente organizzasse una campagna navale verso le coste ita- liane, come dimostra di aver capito Londari quando dice che «de puglia non se parlava nienti»24. Eppure, anche in questa situazione di relativa quiete, lo spettro dei pirati di Valona continuava a inquietare la terra d’Otranto: «per altro loco de levante non si parla de armare si non a la velona che ce sono cinco fuste»25. Il documento interessa questa trattazione anche per la presenza in esso del suddetto sangiacco di Valona, questa volta in qualità di infor- matore: «Lo san yach de la velona dice che quando ipso partj de Costantinopolj non era arrivato la: perchè partj da Costantinopolj a lj cinco de aprile. Dice che intese ancora che tra lo gran Turcho et vene- cianj sia concluso et p(ro)miso p(er) la pace facta tra loro [...] Dice ancora che el sophj menava multa piu gente et che so(n) assaj megliora gente che Turchj»26. La prima considerazione che va fatta è che il conte di Muro sentiva il bisogno di avvalersi di più fonti informative. A tal proposito va ricor-

22 Ags, Estado, Nápoles, leg. 1004, f. 46. 23 J.L. Bacqué-Grammont, L’apogeo dell’impero ottomano: gli eventi, in R. Mantran (a cura di), Storia dell’impero ottomano, Argo Editrice, Lecce, 1999 (Paris, 1989), pp. 159- 161. 24 Ags., Estado, Nápoles, leg. 1004, f. 46. 25 Ags., Estado, Nápoles, leg. 1004, f. 46. Notizie di imminenti attacchi turchi da Valona, tra febbraio e marzo, si trovano in: M. Sanuto, I diarii, f.lli Visentini editori, Vene- zia, 1887, tomo XVIII, col. 23 (24 febbraio 1514, « Unde, esso baylo à scrito a Constan- tinopoli al nostro baylo narando la cossa, et che la galia credeva fusse fuste di corsari etc. Le qual fuste, con altri gripi et navilii, fino numero 20, erano per passar in Puja e Calabria e depredar quelli paesi»); col. 15 (inizio marzo 1514, « Item, è venuto uno di la Valona; disse e assa’ vele di turchi preparate»); col. 86 (25 marzo 1514, «Item, come a la Valona si feva 6 fuste etc»); col. 43 (28 marzo 1514, «Se dize il Signor turcho fa grande armata per venir in Puja»). 26 Ags, Estado, Nápoles, leg. 1004, f. 46.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Una amicabile practica tra l’albania e la puglia nel 1514 363 dato che la rete di spionaggio spagnola di Napoli non era ancora arri- vata a quel livello di complessità e ramificazione che avrebbe raggiunto nei decenni successivi, durante l’impero di Carlo V, tra il 1520 e il 1556. La mediazione di Venezia appare ancora indispensabile, anche da un punto di vista geografico oltre che diplomatico: nel 1514, come per tutto il XVI secolo, questi informatori dovevano interfacciarsi con il mondo veneziano dei domini balcanici ed egei. Lo stesso Manoylo Londari passò per Corfù, Kastoria e Gallipoli, prima di raggiungere Costantinopoli, seguendo un itinerario che sarebbe poi diventato cano- nico per i viaggiatori dello spionaggio spagnolo per tutto il Cinquecento e che non poteva prescindere dalle basi veneziane nel Levante27. La seconda considerazione è che il sangiacco di Valona poteva for- nire a Ferrillo importanti informazioni sulla politica turca, come quelle riferite alla conferma della pace con i veneziani e alla guerra con lo scià di Persia. Poiché solitamente la rete di spionaggio spagnola si avvaleva degli informatori veneziani, di esploratori propri, come Londari, o di agentes del regno che si stanziavano permanentemente nelle isole veneziane28, potremmo definire il sangiacco di Valona un informatore sui generis. Forse andrebbe anche azzardato un commento sulla posizione del sangiacco in merito alla guerra turco-persiana: egli sembra confidare più nelle forze del Sofi che in quelle del sultano; ma di certo non si pos- sono trarre delle conclusioni da una semplice frase, che suscita delle impressioni più che delle vere e proprie considerazioni. Ad ogni modo, l’impegno del sultano e del suo esercito in una dispen- diosa campagna imponeva un alleggerimento dei rapporti sul fronte occidentale, tale da permettere la creazione di rapporti collaborativi tra Puglia e Albania, nonostante la minaccia delle fuste attraccate nei porti albanesi. Ovviamente, il sangiacco di Valona, che era per lo più il capo militare del suo sangiâq29, non poteva stipulare anche accordi commer- ciali con dei cristiani per iniziativa privata, senza la personale autoriz- zazione del sultano. La legge islamica, infatti, vietava ai musulmani di

27 G.K. Hassiotis, Venezia e i domini veneziani tramite di informazioni sui turchi per gli spagnoli nel secolo XVI, in G. Beck, M. Manoussacas, A. Pertusi (a cura di), Venezia centro di mediazione tra Oriente ed Occidente cit., pp. 122-130. 28 Ivi, p.128-129. Sullo spionaggio veneziano si rimanda al particolareggiato lavoro di P. Preto, I servizi segreti di Venezia, Il Saggiatore, Milano, 1994. Per tutto il primo Cin- quecento e specialmente negli anni di guerra turco-veneziana, la Serenissima vanta spie in tutti i Balcani dall’Adriatico a Costantinopoli; nel luglio del 1514 il bailo e il capitano di Corfù mandano propri esploratori al campo turco nella guerra contro la Persia (pp. 248-249). 29 G. Castellan, Storia dei Balcani (XIV-XX secolo), Argo Editrice, Lecce, 1996, pp. 140-141.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 364 Alberto Rescio recarsi nella terra degli infedeli per scopi commerciali30, ma il sultano poteva contravvenire a tale divieto con il dhimma, il “patto di protezione” riservato alla “Gente del Libro” (ebrei e cristiani), al quale potevano seguire le capitolazioni (ahdname), ovvero degli accordi di pace che, tra le altre cose, spesso prevedevano clausole sul libero commercio31. Poi- ché dalla lettera sembrerebbe di poter arguire che il sangiacco avesse già stretto accordi commerciali con il conte di Muro, potrebbe darsi che essi fossero parte di vere e proprie capitolazioni concesse dal sultano: d’altronde è lo stesso sangiacco ad avvertire che per un’estensione di questi accordi a tutto l’impero ha bisogno del consenso di Selim. Di certo, l’intesa tra questi due uomini di frontiera era favorita da una situazione internazionale tra cristiani e ottomani di relativa calma, diversa da quella che da lì a poco si sarebbe andata creando. Selim I era un sovrano diverso da Maometto II (1432-1481) e molto meno incline alla guerra santa contro l’Occidente. Non è un caso che, proprio sotto il suo governo, Egitto e Siria rientrarono nei domini dell’impero ottomano, a suggello di una politica espansionistica nel Medio-Oriente e tutta centrata su una guerra contro i musulmani sciiti32. Un altro importante particolare storico da tenere presente è la situazione della Barberia. Nel 1514 ancora non si era verificato l’exploit degli stati di Algeri e Tunisi. Come è noto, solo con i fratelli Barbarossa e con il defi- nitivo stanziamento della potenza turca in Nord-Africa si ebbe quella sistematicità nella guerra di corsa e nel commercio degli schiavi ad opera degli stati barbareschi, che a più riprese avrebbero colpito le coste ispaniche e italiane nel corso del XVI secolo33. Quando, infatti, nel 1519 Khair ed-Din Barbarossa (1478-1546), da poco divenuto signore di Algeri, offrì la propria sottomissione a Selim I, iniziò quel sodalizio tra impero Ottomano e Barberia che allargava il conflitto tra turchi e spagnoli a tutto il Mediterraneo. A questo si aggiunga che solo dal 1520, con la salita al potere di Solimano il Magnifico (1494-1566) da una parte e l’elezione di Carlo V (1500-1558) a imperatore dall’altra, si sarebbe raggiunta quell’estremizzazione del conflitto tra Occidente e Oriente che acquisiva i connotati di uno scontro tra due imperi con

30 J. Heers, I barbareschi, corsari del Mediterraneo, Salerno Editrice, Roma, 2003, p. 37. Questa legge era già aggirata dai mercanti della Barberia in questo stesso periodo. 31 M.P. Pedani, La dimora della pace cit., pp. 26-33; G. Iannettone, Politica e diritto nelle interrelazioni di Solimano il Magnifico, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1991, pp. 63-77. 32 J.L. Bacqué-Grammont, L’apogeo dell’impero ottomano: gli eventi, in R. Mantran (a cura di), Storia dell’impero ottomano cit., pp. 159-163. 33 Per una panoramica sulla Barberia prima dei Barbarossa e sui corsari barbareschi, si veda: S. Bono, Corsari nel Mediterraneo. Cristiani e musulmani fra guerra, schiavitù e commercio, Mondadori, Milano, 1993; J. Heers, I barbareschi, corsari del Mediterraneo cit.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Una amicabile practica tra l’albania e la puglia nel 1514 365 ambizioni universalistiche34. In quel lungo periodo di guerra aperta sia sul fronte marittimo sia su quello terrestre, con le campagne d’Austria e Ungheria (Mohács 1526, Vienna 1529 e 1532, Ungheria 1566), il canale d’Otranto sarebbe stato al centro di un quadrilatero immagina- rio che aveva i suoi vertici in Madrid, Costantinopoli, Vienna e Tunisi. Nei primi quindici anni del XVI secolo tutto questo, però, era ancora in fieri e la presenza veneziana in Puglia, di cui si è parlato preceden- temente, forse fu responsabile di una spinta da parte delle città sul mare a seguire la propria vocazione commerciale, che da sempre aveva unito le due sponde dell’Adriatico35.

I protagonisti

Per ampliare il quadro sulla natura e le motivazioni della lettera del sangiacco e per riuscire a dare al documento un significato più pre- ciso, è utile delineare i personaggi che ne sono i protagonisti. Fonda- mentale, a tal proposito, è il congedo della lettera: «salutamo et offeremonj a la signora vostra consorte como e patre qnto ad nostra figliola propria et non meno ad madamma Comita sua matre nostra qnto e sore». Il sangiacco porge i suoi saluti alla moglie del conte di Muro e alla madre di lei, madama Comita; e lo fa con un tale affetto (le definisce una figliola e una sorella) che è difficile pensare a una semplice formula di cortesia. L’identità della moglie di Giacomo Alfonso Ferrillo costituisce l’ele- mento essenziale per fare luce su questa vicenda: secondo varie fonti ella risponde al nome di Maria Balsha o Balšic, la figlia di un despota balcanico. La notizia è presente nell’opera di un nobile albanese, Gio- vanni Musachi, il quale, in seguito alla conquista turca dei Balcani, fuggì nel meridione d’Italia, come molti altri connazionali36. Inevitabil- mente, quindi, la storia di Ferrillo si intreccia con quella della diaspora albanese che, a partire dalla metà del XV secolo e almeno fino alla riconquista turca di Corone (1534), interessò molte famiglie nobili d’Al- bania, in fuga dai Balcani ormai in mano ottomana, verso il regno di

34 Ö. Kumrular, El duelo entre Carlos V y Solimán el Magnífico (1520-1535), Editorial Isis, Istanbul, 2005, pp. 42-43. 35 Probabilmente esistevano delle ampie deroghe all’idea che i turchi fossero hostes perpeuti et de iure dei cristiani, teorizzata dal giurista napoletano Matteo d’Afflitto alla fine del XV secolo (si veda a tal proposito: G. Vallone, Otranto e il diritto dei turchi, in G. Vallone, Feudi e città, Studi di storia giuridica e istituzionale pugliese, Congedo Editore, Lecce 1993, pp. 83-89). 36 Sulla storia della famiglia Musachi: R. Jurlaro, I Musachi despoti d’Epiro, in Puglia a salvamento, Edizioni del centro librario, Bari-Santo Spirito, 1970.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 366 Alberto Rescio

Napoli, dove trovarono rifugio e l’ospitalità degli Aragona prima e di Carlo V poi37. Nella sua Breve memoria de li discendenti de nostra casa Musachi, l’autore delinea un profilo genealogico della sua famiglia, dando anche importanti informazioni sulla più alta nobiltà albanese e montenegrina a essa collegate. Sebbene l’opera sia stata composta in più nuclei suc- cessivi, la parte centrale (pp. 272-304) è attribuita a Giovanni Musachi e datata al 151038; forse, però, fu scritta dopo il 1514, infatti in essa è presente quello che appare un riferimento alla battaglia di Çaldıran39. Analizzando la discendenza di Giorgio Arianiti Comneno e Maria Musachi, parla della loro settima figlia: «signora Comita ebbe per marito il signor Coico Balsichi (Gojko Balšic), che fu signor de Misia, li quali fecero due figli mascoli et una femina; li mascoli morsero in Ungaria; la femina signora Maria hebbe per marito lo signore Conte de Muro»40. Dunque, le due donne salutate nella lettera dal sangiacco di Valona sono Maria Balsha, figlia di Gojko, despota di Misia, e sua madre Comita Arianiti Comneno, anche lei esponente della nobiltà balcanica. Gojko Balsha e Comita Arianiti erano strettamente legati al noto con- dottiero albanese Giorgio Castriota Scanderbeg: innanzitutto, la sorella di Comita, Andronica, era la moglie del Castriota; inoltre, Gojko aveva combattuto i turchi al fianco di Scanderbeg fino alla definitiva sconfitta del fronte albanese41, e aveva anche aderito, insieme con i fratelli, alla lega di Alessio (Lezhë), una sorta di confederazione di nobili albanesi e montenegrini formatasi nel 1444 in funzione anti-ottomana42. Sulla

37 Per la storia degli albanesi nel regno di Napoli si rimanda a: P. Petta, Stradioti, Sol- dati albanesi in Italia (sec. XV-XIX), Argo Editrice, Lecce, 1996; Id., Despoti d’Epiro e prin- cipi di Macedonia, Esuli albanesi nell’Italia del Rinascimento, Argo Editrice, Lecce, 2000; S. Panareo, Albanesi nel Salento e albanesi al servizio del regno di Napoli, «Rinascenza salentina», a. 7 (1939), pp. 329-343; G. Vallone, Aspetti giuridici e sociali nell’età arago- nese: i Castriota in terra d’Otranto, in Id., Feudi e città, Studi di storia giuridica e istituzio- nale pugliese cit., pp.37-81. 38 G. Vallone, Aspetti giuridici e sociali nell’età aragonese: i Castriota in terra d’Otranto cit., p. 42, n. 23 39 G. Musachi, Breve storia de li discendenti de nostra casa Musachi, in K. Hopf, Chro- niques gréco.romanes inédites ou peu connues, Weidmann, Berlin, 1873, p. 287. «Il signor Pietro Mosachi era fratello consobrino a mio padre, il quale hebbe per moglie la signora Angelina, e fecero un figliolo nomine Asan, ch’il Turco lo fè Bassà de Romania, e fu ammazzato in Persia nella guerra alla giornata contra il Sofi». Di questo stesso parere è Robert Elsie (R. Elsie, Early Albania: A Reader of Historical Texts, 11th - 17th Centuries, Balkanologische Veröffentlichungen, 39, Harrassowitz, Wiesbaden 2003, p. 34). 40 Ivi, p. 285. 41 F.S. Noli, George Castrioti Scanderbeg (1405-1468), International Universities Press, Madison, 1947, p. 208. 42 Ivi, p. 36. Sulle famiglie nobili albanesi contemporanee di Scanderbeg: E. Vlora, The Ruling Families of Albania in the pre-Ottoman Period, 1956, in R. Elsie, Texts and Documents of Albanian History, http://www.albanianhistory.net/1956_Vlora/index.html.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Una amicabile practica tra l’albania e la puglia nel 1514 367 vicenda di Maria Balsha si esprime anche uno scrittore napoletano del Cinquecento, Marc’Antonio Terminio, il quale sostiene che ella arrivò all’età di sette anni in Italia con la madre e la zia Andronica, la moglie di Scanderbeg, e che fu ospitata dalla regina e poi data in sposa al Conte di Muro, Giacomo Alfonso Ferrillo43. L’arrivo di Maria nel regno di Napoli, dunque, risale al 1468, subito dopo la morte di Scanderbeg, quando Andronica si rifugiò in Italia por- tando con sé il figlio Giovanni e un vero e proprio corteo di donne e bambini44. Il matrimonio tra Maria Balsha e Giacomo Alfonso Ferrillo sarrebbe avvenuto nel 148345. Riguardo alla condotta di vita della gio- vane donna nel regno, è ancora Terminio a informarci che ella era «donna santissima, et che mostrava co’ costumi et co’ i portamenti suoi la grandezza del sangue onde era nata»46. Per quanto riguarda Giacomo Alfonso Ferrillo, conte di Muro, sap- piamo che era figlio di Mazzeo, tesoriere del duca di Calabria Alfonso II (1448-1495), personaggio molto in vista alla corte aragonese di Napoli47 e citato da Antonio de Ferraris tra i più illustri letterati del regno, accanto a personaggi come Pontano e Pico della Mirandola48. Giacomo Alfonso era conte di Muro Lucano sicuramente già nel 1501; Terminio lo descrive come «cavaliero di gentilissimi costumi, affabile, huomo di buona legge, et più che mediocremente letterato»49. Dal 1511 al 1516 fu governatore delle province di terra d’Otranto e di Bari50, così come appare anche nella lettera del sangiacco. In quest’ultima compa- iono due altri personaggi attivi nel regno di Napoli e che rivestono un ruolo di mediazione: Matteo Musero e Giovanni Antonio Marcella, che avevano funto da ambasciatori presso il sangiacco per conto di Gia-

Sulla formazione della lega di Alessio e i suoi effetti sulle campagne vittoriose di Scan- derbeg fino al 1450: S. Pollo, A. Puto, The history of Albania, from its origins to the present day, Routledge & K. Paul, London-Boston-Henley, 1981, pp. 73-77. 43 M.A. Terminio, Apologia di tre seggi illustri di Napoli, presso Domenico Farri, Vene- zia, 1581, p. 26. La notizia è parzialmente riportata anche in: F. Della Marra, Discorsi delle famiglie estinte, forastiere o non, comprese ne’ seggi di Napoli, imparentate colla Casa Della Marra, presso Ottavio Beltrano, Napoli, 1641, p. 78. 44 G. Musachi, Breve storia de li discendenti de nostra casa Musachi cit., pp. 275-276. 45 Si veda la tavola genealogica dei Balsa in K. Hopf, Chroniques gréco.romanes iné- dites ou peu connues cit., p. 534. 46 M.A. Terminio, Apologia di tre seggi illustri di Napoli cit., p. 27. 47 P. Belli D’Elia, C. Gelao, La cattedrale di Acerenza. Mille anni di storia, Osanna, Venosa, 1999, pp. 180-184. 48 Sull’identità del “baron di Muro”, poi divenuto conte, citato da Galateo, si è recente- mente espresso Giancarlo Vallone, in un breve saggio: G. Vallone, Il “baron di Muro”, Vlad Dracula e il Galateo, in M. Spedicato, V. Zacchino (a cura di), Graeci sumus et hoc nobis gloriae accedit, in memoria di Amleto Pallara, Edizioni Grifo, Lecce, 2016, pp. 157-165. 49 M.A. Terminio, Apologia di tre seggi illustri di Napoli cit., p. 26. 50 N. Vacca, La corte d’appello di Lecce nella storia, La Modernissima, Lecce, 1931, p. 65.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 368 Alberto Rescio como Alfonso Ferrillo. Sicuramente si ha notizia di Matteo Musero, nobile della città di Gallipoli, di cui era stato sindaco nel 149451. Di Giovanni Antonio Marcella, invece, è la lettera stessa a rivelare che era un “creato” del conte di Muro, ovvero una persona al suo servizio. Con minore sicurezza si possono avanzare ipotesi sull’identità del sangiacco. Secondo quanto leggiamo nell’opera di Evliya Çelebi scritta nel XVII secolo52, nel periodo immediatamente precedente a quello della lettera in oggetto fu sangiacco di Valona Bali bey, figlio di Yahya bey e appartenente alla famiglia dei Malkoçoglu, corrispettivo turco dell’ori- ginario nome serbo Malkovich. Forse, però, l’origine del sangiacco della lettera va ricercata nell’ambiente albanese da cui proveniva Maria Bal- sha, la quale, stando alla Breve storia di Musachi, era imparentata con i più importanti clan epiroti, quali i Castriota, i Cernovich, i Dukagjini, i Bocali53. Evidentemente il sangiacco era un membro di questa nobiltà, uno di quelli che non scelsero la via dell’esilio ma rimasero nei Balcani: questi personaggi preferirono “farsi turchi”, ovvero si convertirono per poter mantenere il potere nella propria patria. La probabilità che il sangiacco della lettera fosse di origine albanese è molto alta, se è vero già nel 1514 ciò che riferiva il governatore di Terra d’Otranto, Alfonso Castriota Granai, a Carlo V nel 1531, ovvero che il sultano solitamente inviava in Albania solo sangiacchi di nazio- nalità albanese «porque venyendo de otra nacion no le dan obedien- cia»54. Volendo indagare tra i parenti di Maria Balsha, troviamo che un suo cugino, figlio di Elena Arianiti e Giorgio Dukagjini, nel periodo in questione era diventato sangiacco con il nome di Scanderbeg55. In realtà, non è l’unico Dukagjini che rivestì un ruolo importante nell’am- ministrazione ottomana e forse è proprio in uno dei membri di questa famiglia che va ricercata l’identità del sangiacco. Il memoriale del conte di Muro di cui si è già parlato, datato al 1514, riferisce su tale Mustafa bey, definito pascià di Romania e che Ferrillo, in più di un’occasione, ribadisce essere un Ducagino56. D’altronde, un Mustafa bey era san- giacco di Valona e d’Albania negli anni 1503-1504 57 e Mustafa è anche

51 P.F. Palumbo (a cura di), Libro rosso di Lecce, Schena Editore, Fasano, 1998, vol. 2, p. 88. 52 Evliya Çelebi, Putopis: Odlomci o júgoslavenskim zemljama, Svjetlost, Sarajevo, 1967, p. 73. 53 G. Musachi, Breve storia de li discendenti de nostra casa Musachi cit., pp. 284-286. 54 Ags., Estado, Nápoles, leg. 1010, f. 36. Atripalda a Carlo V, Lecce, 21 luglio 1531. 55 G. Musachi, Breve storia de li discendenti de nostra casa Musachi cit., p. 284. 56 Ags, Estado, Nápoles, leg. 1004, f. 46. 57 M. P. Pedani (a cura di), I documenti turchi dell’Archivio di Stato di Venezia cit., docc. 137, 147, 148, pp. 37, 40. Un altro Mustafa bey, sangiacco di Morea, venne con- tattato dal Senato di Venezia nel febbraio del 1509 perché reclutasse stradiotti, ovvero mercenari greci e albanesi, che portassero aiuto alla Serenissima nella guerra che affron-

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Una amicabile practica tra l’albania e la puglia nel 1514 369 il nome di un pascià «che solea star a la Valona», come si legge nelle lettere provenienti da Corfù a Venezia, datate 1 novembre 151458. Un altro Dukagjini, anzi forse il più famoso dell’epoca, nel periodo in oggetto rivestiva incarichi di alto prestigio nell’impero ottomano: di sicura provenienza albanese, Dukakinzade (figlio di Dukagjini) Ahmed pascià fu secondo vizir nel novembre del 1514 e gran vizir alla fine dello stesso anno e per parte dell’anno successivo59.

Conclusione

Seguendo gli indizi forniti dalla lettera del sangiacco di Valona al conte di Muro nel 1514, si può intuire che, nel primo quindicennio del XVI secolo, un rapporto ambiguo e complesso collegava la terra d’Otranto all’Albania meridionale: da un lato, da Valona arrivavano le incursioni delle navi turche, ma dall’altro esisteva un qualche rapporto commerciale in questo estremo lembo di Adriatico e, addirittura, l’in- tenzione di estendere l’accordo a tutto il vicereame spagnolo di Napoli e all’intero impero ottomano. Probabilmente, la possibilità di un’intesa tra queste due regioni era agevolata dalla politica orientale del sultano Selim I e dall’assenza, in quel momento, di quell’esasperazione del con- flitto tra imperi (quello cristiano e quello ottomano) che sarebbe stato tipico del lungo regno di Solimano il Magnifico. D’altro canto, l’Adria- tico, con le sue abitudini, con le sue regioni e i suoi scambi economici e culturali, ha sempre costituito un sistema geo-storico a parte, uno “spazio transnazionale”, come lo definisce Egidio Ivetic60: in esso, le popolazioni dell’una e dell’altra sponda avevano sempre intrattenuto frequenti rapporti commerciali, che la conquista turca dei Balcani aveva messo in crisi, ma non eliminato. Come si è detto, le repubbliche di Venezia e di Ancona, la cui economia si basava prevalentemente sul commercio, continuavano a seguire le rotte levantine della mercatura e ospitavano, all’interno delle loro mura, albanesi, dalmati e greci, così come la Brindisi di inizio Cinquecento, dove risiedevano abitanti pro- venienti da Valona e Ragusa.

tava contro la lega di Cambrai (M. P. Pedani, Venezia e l’impero ottomano: la tentazione dell’impium foedus, in G. Gullino (a cura di), L’Europa e la Serenissima: la svolta del 1509. Nel V centenario della battaglia di Agnadello, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Venezia, 2011). 58 M. Sanuto, I diarii, f.lli Visentini editori, Venezia, 1887, tomo XIX, col. 179*. 59 I. H. Danişmend, İzahlı osmanlı tarihi kronolojisi, vol. 2 (1513-1573), Türkiye Yayınevi, Istanbul, 1971, pp. 11, 16. 60 E. Ivetic, L’Adriatico come spazio storico transnazionale, «Mediterranea-ricerche sto- riche», a. 12, 35 (2015), pp.483-498.

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Questo non può tuttavia far dimenticare che, nonostante la amicabile practica di cui parla la lettera, il canale d’Otranto si andava sempre più configurando come un limes, al di là del quale si estendeva un mondo pericoloso e ostile agli occhi della Cristianità; era sorto un impero che aveva fagocitato quello bizantino, trascinando i popoli cristiani d’Oriente sotto il giogo di un dominatore musulmano e dispotico. Per questo, l’Eu- ropa da diversi decenni inneggiava alla crociata contro il Turco, tanto da dar vita a uno vero e proprio genere letterario, quello dell’orazione anti-turca61. A mero titolo di esempio e per restare nella Puglia del periodo in oggetto, si può menzionare il discorso di Pietro Galatino (1460 circa-1540 circa), inviato al papa nel 1515, dal titolo Oratio de circumci- sione dominica: in esso, l’umanista salentino deprecava le fazioni interne alla Cristianità e invitava il papa a riunire i principi europei in una cro- ciata contro l’impero ottomano per recuperare Gerusalemme62, seguendo un cliché diffuso in Europa almeno dal tempo di papa Pio II (1405-1464) e che avrebbe continuato a fiorire per tutto il XVI secolo. Da una parte la retorica antiturca, dall’altra la real politik del com- mercio nell’Adriatico, forse agevolato da vere e proprie capitolazioni ma comunque già allora ostacolato dalle incursioni piratesche. Non si può ignorare che un’intesa tra i due governi può essere stata favorita ulteriormente da mere questioni familiari: la confidenza con cui il sangiacco di Valona saluta la moglie e la suocera del conte di Muro, entrambe figlie della diaspora albanese in Italia, fa pensare a un legame di sangue o di clan tale da rendere quasi naturale un contatto amichevole tra le due sponde adriatiche. Ciò confermerebbe la neces- sità di leggere la storia della Puglia come confronto biunivoco e non necessariamente conflittuale con la realtà balcanica, persino in un Cin- quecento caratterizzato da una progressiva chiusura e militarizzazione della costa in tutto il vicereame spagnolo di Napoli.

61 Sull’idea di crociata anti-turca tra la fine del Medioevo e la prima età moderna, si rimanda a: C.A. Patrides, The Bloody and Cruell Turkey: The Background of a Renais- sance Commonplace, «Studies in the Renaissance», Renaissance Society of America, vol. 10 (1963), pp. 126-135; R.H. Schwoebel, The shadow of the Crescent: the Renaissance of the Turk (1453-1517), de Graaf, Nieuwkoop, 1967; M.J. Heath, Renaissence scholars and the origins of the turks, «Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance, travaux et docu- ments», tomo XLI, Librairie Droz S.A., Genève, 1979, pp. 453-471; G. Poumarède, Il Medi- terraneo oltre le crociate. La guerra turca nel Cinquecento e nel Seicento tra leggende e realtà, Utet, Torino, 2011; M. Pellegrini, La crociata nel Rinascimento. Mutazioni di un mito (1400-1600), Le Lettere, Firenze, 2014. 62 P. Galatino, Oratio de circumcisione dominica, Silber, Roma, 1515. «Utinam Pater Sancte tantus Christianorum sanguis, qui inter Christianos ipsos invicem dissidentes, nostra tempestate effusus est: pro Christiana fide effusus fuisset. Profecto et ipsa Hie- rosolima, et alia sancta loca iam recupata essent. Si Christus pro vobis o Christiani san- guinem fudit: cur vos inter vos funditis?».

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) A proposito di feudalesimo negli stati del centro Italia in età moderna

DOI 10.1929/1828-230X/43182018

Aurelio Musi molanti. Esse hanno, nella so- stanza, confermato un indirizzo Da circa un decennio la storia e un orientamento innovativi pre- del feudalesimo nell’Italia moder- senti nelle opere suindicate che na è tornata alla ribalta come possono essere così sintetizzati: un oggetto di studio di primo - l’intero spazio italiano, durante piano. Dopo un periodo di letargo, l’età moderna, è stato interessato in cui a molti quell’oggetto è ap- al fenomeno feudale; parso come una specie di fanta- - la geografia del fenomeno pre- sma, quasi come una costruzione senta una tripartizione della pe- mentale priva di riscontri nella nisola in aree a forte dominanza realtà effettuale, l’interesse e il politica, economica e sociale del dibattito suscitati dalla pubbli- feudalesimo, aree in cui il feu- cazione del mio volume, Il feuda- dalesimo non è predominante lesimo nell’Europa moderna (il ma continua ad essere presente, Mulino, Bologna, 2007) e dei ri- aree in cui è in via di estinzione; sultati di un Prin, frutto del lavoro - il feudalesimo, soprattutto nel di più autori (Feudalità laica ed Mezzogiorno moderno, è stato ecclesiastica nell’Italia meridiona- un regime sulle terre e sugli uo- le, a cura di A.M. Noto e A. Musi, mini; Associazione Mediterranea, Pa- - la giurisdizione laica ed eccle- lermo 2011), hanno funzionato siastica ha fortemente caratte- da moltiplicatori di ricerche sti- rizzato il sistema feudale meri-

n. 4043 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 372 Aurelio Musi, Rita Chiacchella

dionale fino alla sua eversione frequenti in città (duemila con- nel 1806; dannati a morte a Firenze tra Tre- -èpertanto importante analizzare cento e Settecento) che nella cam- non solo le forme della dinamica pagna. I feudi dell’Italia centrale, economico-sociale della signoria soprattutto quelli più lontani dal feudale, ma anche la concreta controllo pontificio, costituiscono amministrazione della giustizia uno spazio di autogoverno e una che, per tutta l’età moderna, si sorta di zona franca rispetto ai presenta come una delega del modelli normativi laici ed eccle- potere sovrano e un’articola- siastici. E lo Stato affida all’am- zione decisiva del governo del ministrazione feudale il controllo territorio; di aree di confine, geograficamente - in tale direzione è possibile la critiche. La posizione politica dei comparazione tra “feudalesimi nel feudi confinari, fra Stato mediceo, Mediterraneo”, per riprendere il Stato della Chiesa ed Impero, con- titolo di un’altra pubblicazione diziona il governo della giustizia. collettiva recente (Feudalesimi nel Il pregio del lavoro di Calonaci Mediterraneo moderno, a cura di è l’analisi concreta, condotta su R.Cancila e A.Musi, Associazione fonti assai differenziate fra di loro, Mediterranea, Palermo 2015). delle forme di governo della giusti- È con un sentimento di soddi- zia. Così i notai-vicari dei Bourbon sfazione sincera che vedo ripreso di Sorbello tendono a commutare e arricchito questo quadro di rife- le condanne a morte in bandi, ri- rimento nel volume di Stefano Ca- corrono frequentemente alle com- lonaci (Lo spirito del dominio. Giu- posizioni pecuniarie, mostrano in- stizia e giurisdizioni feudali nel- dulgenza e garantismo. Il rapporto l’Italia moderna (secoli XVI – XVIII), fra struttura e congiuntura eco- Carocci editore, Roma 2017, pp. nomica condiziona la prassi giudi- 256). Il suo spazio di riferimento è ziaria dei Ricasoli, baroni della l’Italia centrale tra il Cinquecento Trappola: la maggiore povertà agri- e la prima metà del Settecento. cola dei loro territori feudali è di- Anche qui la giustizia feudale è rettamente proporzionale all’inten- governo su cose e persone. Secondo sità della pressione giurisdizionale; l’autore, i tribunali statali ed ec- qui la crisi patrimoniale del Seicento clesiastici sono più severi e punitivi provoca una concentrazione della rispetto a quelli feudali, i cui pro- giurisdizione e una maggiore com- tagonisti, i notai - vicari, impron- penetrazione fra Stato e baronaggio. tano i loro giudizi a maggiore ra- Di notevole interesse è l’analisi pidità e clemenza delle pene. Le dei feudi dei Bardi e dei Pepoli. condanne capitali sono assai più Calonaci ricostruisce l’origine cit-

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) A proposito di feudalesimo negli stati del centro Italia in età moderna 373 tadina di queste famiglie, l’evolu- del feudo costituì quindi per questi zione comitale e feudale di aree casati un braccio di ferro secolare, non però tanto ed esclusivamente col come Castiglione e Vernio, contea potere centrale quanto con la prassi imperiale, cerniera tra Granducato quotidiana di controllo e amministra- toscano e Stato della Chiesa. Dalla zione: un confronto da cui emerse fine del Cinquecento i Pepoli, pur l’impossibilità dei privati a esercitare legati politicamente ai Medici, di- con mezzi propri prerogative di governo analoghe a quelle degli Stati regionali fendono le loro prerogative giuri- (pp. 241-242). sdizionali. Come spiegare la crisi della Gli interessi dei feudatari si giurisdizione feudale nel Settecen- concentrano così, in queste aree to? La risposta dell’autore costi- dell’Italia centrale, su privative e tuisce forse l’elemento più originale amministrazioni di semplici pro- dell’intera ricerca, destinato sicu- prietà lasciando il governo delle ramente a far discutere. Le fun- comunità «a strutture meglio at- zioni e le prerogative della giuri- trezzate». E l’autore conclude: sdizione vanno sempre più am- «Questa progressiva trasformazio- pliandosi e interessando sfere di- ne può essere letta a specchio di verse: assistenza, sanità, governo un rafforzamento degli Stati e delle risorse, rapporti col clero, della loro affermazione sulle giu- ordine pubblico, ecc. A fronte del risdizioni particolari» (p. 242). loro ampliamento sono il restrin- Trovo qui un’eccellente conferma gimento, l’insufficienza degli stru- di una prospettiva che, sulla scia menti di gestione delle funzioni. dei suggerimenti di alcuni storici Lo Stato, secondo Calonaci, si pre- del diritto, ho indicato da tempo. senta come un soggetto meglio Lo Stato giurisdizionale è la condi- attrezzato. zione che vivono gli Stati europei in formazione nella lunga e pluri- A causare la lenta eclissi del potere secolare transizione che approderà giudiziario signorile un ruolo decisivo lo ebbero il cortocircuito innescato allo Stato di diritto. Si tratta di dagli ampi poteri che il feudatario go- quella condizione rappresentata deva e l’oggettiva difficoltà a metterli dalla coesistenza, non certo paci- in pratica per mancanza di strutture fica, ma complessa e contraddit- detentive, di corpi di polizia adeguati, ma non solo. Un peso evidente lo toria, fra collisione, cioè scontro, esercitò la convenienza amministrativa conflitto, e collusione, cioè convi- dei signori a percorrere la strada della venza fatta di compromessi, fra clemenza e della conciliazione, rifug- poteri concorrenti sullo stesso ter- gendo, fin dove fosse loro possibile, ritorio e per funzioni simili. Lo l’emanazione di sentenze severe e di- scriminanti da cui sorgessero dei pre- Stato convive con questi poteri, al- cedenti giuridici fastidiosi. Il governo ternando o gestendo nello stesso

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 374 Aurelio Musi, Rita Chiacchella tempo resistenza e/o integrazione. sumendo i signori feudali durante Il Settecento è il secolo della tra- l’età moderna. Lo Stato affida al- sformazione di questa condizione l’amministrazione feudale funzioni perché si determina una contrad- giudiziarie delegate, in Italia cen- dizione nel “potere forte” per ec- trale soprattutto il controllo di cellenza, i signori feudali, tra le ri- aree geograficamente critiche. sorse, materiali e umane di cui Come già scritto, la giustizia possono disporre, e le funzioni della feudale è governo su cose e per- gestione del potere: le prime più sone. Nei feudi dell’Italia centrale ridotte e assolutamente inadeguate i governatori sono, a quanto scrive rispetto alle seconde che diventano Calonaci, più indulgenti e garan- sempre più estese, complesse e tisti rispetto ai giudici statali ed qualitativamente più sofisticate, ecclesiastici più severi, ricorrono per così dire. Lo Stato, come giu- con frequenza a composizioni pe- stamente scrive Calonaci, si pre- cuniarie. Non mi pare che si possa senta più attrezzato per la loro ge- dire lo stesso per i tribunali feudali stione. Lo Stato giurisdizionale vive del Regno di Napoli. Dove è minore così, in Italia centrale come altrove, la rendita propriamente agricola la sua fase terminale. è maggiore la pressione giurisdi- La ricerca di Calonaci consente zionale in centro Italia come nel anche qualche confronto con la Mezzogiorno. storia feudale moderna del Regno Insomma il cantiere della feu- di Napoli. Più complessi rispetto dalità è in piena attività. Nuove a quelli del Regno di Napoli si fonti aprono inedite prospettive presentano i poteri concorrenti e possibilità di comparazioni. E sul territorio nei feudi dell’Italia soprattutto la solidità della ri- centrale. Nel Regno di Napoli Stato, cerca si lega alla profondità in- Chiesa, baronaggio feudale costi- terpretativa. tuiscono il trinomio fondamentale dell’organizzazione del potere. So- prattutto nel caso dei feudi confi- Rita Chiacchella nari dell’Italia centrale, studiati da Calonaci, la situazione è più Mentre la bibliografia sul feu- complessa: l’autonomia della giu- dalesimo meridionale continua ad risdizione feudale è in relazione arricchirsi di nuovi contributi, con Stato della Chiesa, Granducato come il recente intervento di Maria di Toscana, Impero, poteri cittadini Anna Noto sugli Acquaviva di (quelli di Bologna in particolare). Caserta visti nell’ambito del si- Comune anche al Regno di Na- stema imperiale spagnolo (Angeli, poli è la funzione che vengono as- Milano 2018), registriamo final-

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) A proposito di feudalesimo negli stati del centro Italia in età moderna 375 mente l’uscita di un’opera sul feu- differenze non solo in ordine tem- dalesimo negli Stati dell’Italia cen- porale (tutt’è parlare del Cinque- trale ad opera di Stefano Calonaci. cento e tutt’è del Settecento) ma Il percorso di studi a oggi com- anche nell’ordine territoriale dei piuto dall’autore riguarda in gran feudi analizzati (posti all’interno parte gli Stati italiani preunitari, e/o ai confini dello Stato della il che gli ha permesso di dominare Chiesa e Granducato di Toscana). un quadro generale complesso e Se per il primo le giurisdizioni ba- tuttavia caratterizzato da elementi ronali sono apparse fin dall’inizio comuni. Il nodo della sovranità, della ricerca assolutamente im- dell’esercizio del potere, maschile portanti per durata e importanza ma anche femminile (visti gli in- specie in alcune province, per il terventi specifici in materia), ri- secondo – pur ricordando gli in- sulta nettamente prevalente sul terventi di Giuseppe Pansini, Elena versante pubblico, accompagnato, Fasano e Irene Fosi – la situazione in quello privato, dallo studio delle è stata considerata più sfumata, pratiche di conciliazione nelle ver- seppur sempre dotata «di numerosi tenze patrimoniali e, soprattutto, e non banali elementi d’interesse» dallo studio del sistema dei fede- (p. 24). commessi. Insomma lo studioso È stato specifico intento del- non si è mai limitato, fin dall’inizio, l’autore privilegiare – e condivido a uno sguardo d’insieme delle in pieno l’impostazione – la storia questioni ma è andato sempre sociale del feudo e dei suoi abitanti più avvicinandosi al nodo delle nel rapporto con il potere, attra- medesime. verso l’incontro-scontro tra una L’esercizio dei diritti giudiziari dimensione decisamente rurale e nei feudi costituisce una forma la vita delle élites d’impronta cit- specifica del governo esecutivo tadina. Le fonti in materia sono non distinta e separata dalla di- molteplici ma spesso sfuggenti ed mensione del potere: poiché è su è senz’altro grande merito di uno questo esercizio che si è avviata studio – starei per dire “vecchio la formazione dello Stato moderno stile” come questo – averle esami- e che proprio sulla ricostituzione nate quando impazzano testi più dei feudi come aree autonome da superficiali – non voglio dire più esso tale formazione ha trovato il facili – ma certo non proprio giu- maggior ostacolo, appare chiara stificati dalle carte. A tal fine sono l’importanza del saggio per il pe- stati utilizzati, da una parte, i riodo. Lo studio si fa necessaria- Carteggi tra il signore, i vicari, gli mente descrittivo, dovendo affron- amministratori e i sudditi, espressi tare discontinuità e consistenti spesso in forma di suppliche (par-

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 376 Aurelio Musi, Rita Chiacchella ticolarmente abbondanti nel caso ratteri specifici, rispetto al passato del feudo dei Ricasoli), ma anche medievale, calibrati sugli intenti i documenti a carattere normativo del potere centrale: non dunque come bandi e statuti e, dall’altra, conflitti tra giurisdizioni, non ri- naturalmente i fondi giudiziari, cerca di autonomie o dipendenze, specchio privilegiato per affrontare ma una forma di governo degli la misura del potere visto non spazi territoriali, soprattutto rurali, solo nel rapporto signore-ufficiali e una formula istituzionale co- e sudditi ma anche nell’aspetto mune, anche nel linguaggio, a amministrativo e fiscale. molti Stati europei. L’autore in- La commistione tra giustizia tende vedere, nel concreto di pic- feudale e giustizia statale sembra cole comunità, come queste ab- seguire strade proprie, spesso im- biano, nonostante i limiti e i pro- perscrutabili, per la soluzione di blemi rappresentati dai dominanti, problemi a volte incombenti e partecipato alla costruzione della quasi sempre a fronte di croniche modernità (p. 41). scarsità finanziarie. Ne risulta un Concordo con Calonaci nel con- quadro ampio di quanto l’autore siderare i dominanti come signori definisce «diffusa moltiplicazione di «tradizionale preminenza» (p. privatistica della giustizia», che 46), vista la prevalente apparte- deriva dal fatto che nei feudi, ri- nenza ai gruppi di milites, che, spetto alle libere comunità, la do- come i Vitelli, Bourbon, Pepoli o cumentazione è più ampia e com- Ricasoli, ebbero per tutto il periodo pleta. Da tale premessa deriva nella professione militare l’attività quello che appare senz’altro come prevalente, grazie alla quale man- uno dei dati più nuovi emersi tennero o incrementarono i territori dalla ricerca, cioè l’assenza quasi concessi da papi e imperatori. Al- totale della pena di morte, mentre, l’interno essi attuarono una giu- viceversa, la tortura continua a stizia tipica del periodo e frutto costituire una pratica diffusa in dei particolarismi giuridici an- un quadro di clemenza prevalente ch’essi propri del tempo, che tro- ma comunque espressa ad arbitrio vavano continui limiti nell’orga- insindacabile del signore. nizzazione statale e in quella ec- La prima parte del saggio pre- clesiastica. È interessante rilevare senta un panorama globale dei come, per contenere le limitazioni, feudi con il sempre puntuale rife- ci si rivolgesse volta a volta all’uno rimento alle fonti, che è un modo o all’altro (come è il caso dei mar- sommesso per arrivare a quelli chesi Malaspina), facilitati dalla che sono gli snodi del periodo mo- discontinuità dei territori (i Bour- derno. Il feudalesimo presenta ca- bon furono per esempio marchesi

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) A proposito di feudalesimo negli stati del centro Italia in età moderna 377 di Sorbello e di Monte Santa Maria nessi tra giustizia, buon governo nonché feudatari granducali di e società derivati dalla mentalità Piancastagnaio nello Stato senese, e dall’amministrazione di antico i Vitelli signori di Città di Castello regime. e conti di Montone nella Legazione Dalla prassi giudiziaria si passa di Perugia e Umbria oltre a mar- a quella amministrativa, nella qua- chesi di Bucine e Cetona in To- le il controllo signorile era am- scana). plissimo: nonostante un certo La giurisdizione in quest’area scarto tra propositi teorici e diffi- centro-italiana, divisa tra Stati coltà reali, le piccole comunità ru- molto diversi, deriva in realtà dalla rali o montane del centro Italia tradizione amministrativa cittadina trovarono nell’istituto feudale un fortemente in essa radicata e tipi- elemento di coesione e vantaggio. ca. L’esercizio, di norma delegato E, viceversa, i feudatari più accorti a vicari in loco, più tardi governa- ebbero in esse un ampio spazio di tori, di formazione giuridica ma governo, che fondarono su con- anche notarile, appare uno dei venzioni e patti di famiglia stilati motivi della lentezza del giudizio, secondo una prassi altrove con- che è senz’altro il principale osta- solidata, giungendo a organizzarsi colo alla buona giustizia. La prassi in leggi che accolgono le consue- giudiziaria dominante, sia nelle tudini, organizzandosi poi in vero aree feudali che in quelle diretta- e proprio sistema di governo. Al mente gestite, è quella inquisito- proposito Calonaci ricorda la con- riale prevalente sulla pratica ac- venzione per il marchesato di Mon- cusatoria avanzata dalle parti, il te S. Maria stilata alla presenza che comporta la conseguente strut- del marchese Giovan Matteo di turazione di una vera cancelleria Francesco Bourbon, del conte di locale e una produzione notevole Sorbello e dei Barbolani di Mon- di fonti. Se rarissime appaiono le tauto. Questa, del 1564, stabilisce condanne capitali nei feudi inda- la reggenza tra i marchesi con la gati – e questo è il dato certo – primogenitura, il numero dei vicari, l’autore sottolinea, a ragione, gli l’esigibilità dei dazi ed è, a diffe- aspetti sfuggenti e mutevoli, dovuti renza di altre che prevedevano a volte alla politica di discredito una gestione condominiale (Bardi, operata dalle amministrazioni sta- Pepoli), molto chiara. tali ma altre volte ad un compor- La seconda parte del saggio tamento assolutamente «disinvolto affronta la questione dal lato del- e utilitaristico» (p. 67) dei feuda- l’organizzazione statale, partendo tari. Anche in una dimensione ri- dalla distinzione tra feudi impe- dotta si mantengono comunque i riali, signorie principesche e feudi

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 378 Aurelio Musi, Rita Chiacchella misti. Nei primi, almeno sulla car- della diocesi tifernate. Si tratta di ta, si ha indipendenza dalle au- sei ville con circa 300 abitanti, in torità centrali ma in realtà, sia gran parte coloni dei marchesi, all’interno del Granducato (baro- all’epoca dell’annessione. La fa- nia della Trappola) che ai suoi miglia – come sappiamo dai nu- confini (marchesato di Sorbello), merosi studi a essa dedicati anche si manifesta la dipendenza dai in tempi recenti (Costanza Del Medici in forma di continua me- Giudice, Francesco Guarino, lo diazione. La dislocazione dei feudi stesso Calonaci ed infine Cecilia imperiali privilegia l’area dell’Italia Mori Bourbon di Petrella) – si in- settentrionale e orientale con le serisce all’interno di una rete fa- ultime realtà, appunto, nella bassa miliare diffusa nell’area. Toscana e in Umbria. Nelle se- Il governo della giustizia risente conde l’assegnazione a un signore della dimensione territoriale di consentiva in pratica di alleviare passaggio e di confine e anche il carico degli uffici centrali e pe- della tipologia dei rei in fuga dai riferici, consentendo alle comunità vicini feudi di Reschio (dei Monte- un accesso più rapido alla giustizia melini), Rasina (Nerli) e Castiglione e al governo: è il caso del mar- del Lago e Chiugi (della Corgna): chesato di Piancastagnaio dato ai ne è efficace esempio il caso della Bourbon (1601) e del marchesato giovane donna (pp. 119 ss) trovata di Chianni, Rivalto, Monte Vaso e uccisa sulle sponde del torrente Mela a Giovanni e Gabriello Ric- Niccone, probabilmente a opera cardi (1629). Nei feudi misti, im- della banda di Girolamo Parli, for- periali o pontifici, attraverso ap- mata da fuorilegge perugini e con positi trattati, si aveva comunque base a Rasina. La vicenda, essendo un ulteriore riconoscimento delle la donna originaria del feudo di prerogative ottenute da imperatori Santa Fiora, dei conti Sforza, su- o papi. D’incerta definizione ap- pera l’area indagata ma non giunge pare la baronia dei Ricasoli alla a un chiarimento finale. Invece i Trappola. membri della banda appaiono coin- Il caso dei Bourbon di Sorbello volti in ulteriori episodi criminosi, offre, attraverso l’archivio perugino, nei quali anche il marchese Curzio la prospettiva privilegiata che con- del Monte viene descritto come sente a Calonaci un’indagine di bandito, e, infatti, interviene nelle storia sociale e insieme giudiziaria: vicende facendo eliminare uno dei il feudo nasce a cuscinetto tra il testimoni a carico dei Baldeschi territorio del papa e quello dei (si tratta di una dissidenza nobi- granduchi, pur restando la giuri- liare molto presente nello Stato sdizione ecclesiastica all’interno ecclesiastico), partecipi agli ulte-

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) A proposito di feudalesimo negli stati del centro Italia in età moderna 379 riori episodi, e dei Parli. Per la che si ripercuote sulla natura giu- cronaca, alcuni anni dopo neppure ridica, imperante ma ancora in- la protezione medicea riuscì a sal- certa a fine Seicento, tutto som- vare il Parli dalla cattura e da mato non un limite ma un ele- un’eliminazione sommaria, mentre mento di forza del sistema feudale. i membri della banda finirono Così, per esempio, il governo della nelle mani dei birri del governatore giurisdizione appare fortemente di Perugia. autonomo da quello granducale Il Seicento vede una progressiva nel primo Seicento mentre in quel- tendenza all’indulgenza e al ga- lo temporale la Trappola fu gestita rantismo da parte del vicario, de- dai vicari e dalla polizia periferica legato dai marchesi secondo il del Granducato con uno scambio patto di famiglia, il tutto ai fini di personale durato fino al princi- del mantenimento della stabilità pio del Settecento. interna; le condanne definitive Ben oltre la limitata estensione sono rare ed eluse con la fuga, del feudo i Ricasoli manifestano come nel caso del maestro di casa una forte consapevolezza dell’auc- del marchese Marchino Rozio, de- toritas, a fronte della quale i sudditi nunciato per stupro dalla moglie alimentano un flusso costante di dell’oste di Val di Pierle e poi anche suppliche, in prevalenza richieste di lesa maestà nei confronti dello di sgravi fiscali (contro i dazi di stesso marchese. Miti appaiono transumanza e fitti di grano), ma gli interventi in materia di delitti anche concessione di doti, che contro il patrimonio, furti e con- mostrano, nelle risposte, un’estre- trabbando, in genere frequenti. ma variabilità. Le suppliche ap- Limitatezza territoriale ma in paiono allo storico come «uno stra- una tradizione di potere lunga ordinario strumento di governo e seppure incerta si ritrova nel feudo di conoscenza della situazione in- della Trappola (posto nel Prato- terna» per il feudatario (p. 142), a magno aretino, dunque anche in fronte del quale, però, le decisioni questo caso in area montana) dei finali appaiono come presa d’atto marchesi Ricasoli. Esso offre un della coesione interna alle comu- esempio di come la prassi conci- nità, non particolarmente interes- liatoria convivesse con «un’osten- sate da vicende di banditismo in- tata fermezza» (p. 127), in un qua- terregionale o locale. Mitezza che dro amministrativo condominiale non allevia le richieste continue tipico del diritto germanico corri- di esaudimento degli obblighi feu- spondente a una divisione patri- dali (trote fresche e polli da portare moniale raggiunta nel 1473 fra a Firenze, vendita delle pasture, tre rami della famiglia, sistema riscossione dei fitti e dei dazi).

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 380 Aurelio Musi, Rita Chiacchella

Uguale atteggiamento si rileva incorsi in problemi con la giustizia nell’aspetto fiscale con ricorso fre- cittadina. Nelle contee della mon- quente al sostegno delle strutture tagna pistoiese e dell’alta valle del di polizia granducale: ne scaturisce Bisenzio poste tra contado bolo- un quadro tutto particolare di go- gnese e Granducato, in mano ai verno feudale, i cui dettagli con- Ranuzzi, Pepoli e Bardi, compaiono sentono di ricostruire il quadro strumenti e intenti di governo sociale preannunciato all’inizio, simili. A Porretta i conti Ranuzzi, dove appare, certo un caso non ben inseriti nel Senato bolognese, frequente, il ruolo dominante di seppur con grande variabilità in- Ausilia di Nanni da Trévena, pro- terna alla famiglia, si fanno attenti tagonista di ripetuti abbandoni amministratori della comunità con del tetto coniugale, furto e tentato le sue molte risorse, specie quelle avvelenamento ai danni del marito termali, per il cui miglior sfrutta- Gilio, in nome e in forza dell’amore mento era stato appunto creato il per il cugino Antonio di Giovanni feudo da papa Nicolò V. In quello Braccini da Casale, detto l’Abbru- vicino di Castiglione, dei Pepoli, ciato. Ausilia rompe l’equilibrio l’amministrazione riguarda invece della famiglia ma anche quello una serie di comunità e un impor- della piccola comunità di riferi- tante centro di culto, il santuario mento, difendendo l’amante e as- mariano di Boccadirio, oltre a go- sumendosi l’intera responsabilità dere di un’area franca monetaria dei fatti. Sarà condannata al car- e commerciale grazie alla preroga- cere – e non ci sono tracce di do- tiva, di concessione imperiale, di manda di grazia – con il cugino, una zecca propria. A Vernio, feudo inviato per un quinquennio sulle imperiale, i conti Bardi mantengono galere granducali. con la popolazione un rapporto Nel dettaglio dei feudi esaminati complesso e profondo, di tipo ad- restano da considerare alcune que- dirittura fiduciario, completato in stioni giurisdizionali, non secon- senso biunivoco dal lascito di un darie, quali il diritto di asilo, la re- milione e mezzo di scudi effettuato pressione del brigantaggio, le na- nel 1693 dal conte Ridolfo come turalizzazioni. Per i Bourbon la monte delle doti per le ragazze po- prima si pone in una sfera di rap- vere della contea. porti politici di ampio respiro, con Insomma un insieme di carat- fasi di scontro e addirittura minacce teristiche e competenze territoriali di scomunica (a Tancredi II nel distinte, a fronte del quale l’am- 1567), ma anche, all’opposto, con ministrazione della giustizia for- i granduchi che inviano a Sorbello nisce molti casi utili a delineare o dai Ricasoli cortigiani o protetti la vita sociale in contesti rurali,

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) A proposito di feudalesimo negli stati del centro Italia in età moderna 381 specie relativamente a casi di vio- andavano tutti a vantaggio del si- lenza, esposizione di bambini e gnore. Il marchesato di Bucine, infanticidi. L’atteggiamento tutorio giunto ai Vitelli con investitura nei confronti delle donne e la mes- onerosa nel 1646, costituisce un sa in sordina di probabili infanti- ulteriore esempio dell’indebolimen- cidi compaiono anche in altre giu- to naturale della struttura signorile risdizioni signorili, mentre, per il tra Sei e Settecento, indebolimento resto, il controllo si attua attra- prodotto dalla progressiva impos- verso composizioni pecuniarie e sibilità di disporre degli ampi poteri rari appaiono i processi che ri- propri del feudatario. chiederebbero al signore una pre- I feudi – in conclusione – spe- senza diversa. L’amministrazione rimentano una giustizia attenta e della giustizia, che da un lato co- rapida, sostanzialmente mite, rap- stituiva per i feudatari un’arma portata sull’equilibrio sociale in- importante di potere, poteva però terno, ma subiscono a volte il con- anche diventare il mezzo con cui dizionamento in senso restrittivo Pietro Leopoldo cercherà di recu- degli Stati circostanti. L’assetto perare i territori all’amministra- feudale diviene a tal punto «uno zione centrale. strumento di amministrazione del Il feudo di Sassetta, primo a territorio, dotato di propria speci- essere costituito dai Medici sulle ficità e contemperato con l’ammi- colline livornesi e assegnato nel nistrazione statale ordinaria» (p. 1563 ad Antonio Ramirez de Mon- 143): il vincolo tra feudatari e vas- talvo, cameriere di Cosimo I giunto salli è forte, pur rimanendo me- in Toscana al seguito di Eleonora diato dalla figura del vicario e di Toledo, in funzione di controllo forte appare, alla luce dello studio nei confronti dei vicini conti della di Calonaci, la dimensione istitu- Gherardesca (signori anche su al- zionale per cui i feudatari dispon- cune porzioni del feudi di Sassetta) gono di prerogative complete, che ci permette di evidenziare un altro però vengono di fatto per così dire dei meriti di Calonaci, quello di personalizzate e adattate al terri- aver ricostruito il preciso quadro torio. Lo «spirito del dominio» rife- territoriale. Anche qui «l’inclina- rito nel titolo del saggio è dunque, zione alla clemenza e al garantismo nella realtà interna ai feudi, un’en- giurisdizionale» (p. 223) si mostra tità istituzionalmente diversificata prassi costante, a volte a discapito ma univoca nelle risposte: mi pare, di una giustizia equa e bilanciata anche dal punto di vista concet- tra reati e pene. Il contesto pove- tuale, che averlo dimostrato sia rissimo non limita la preponde- davvero un bel risultato. ranza dei contratti di livello, che Un’ultima considerazione si po-

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 382 Aurelio Musi, Rita Chiacchella trebbe fare a proposito della voluta per il casato, ma come sede privi- assenza del quadro economico (se legiata del quotidiano sviluppo non per certi aspetti sussidiari), della vita e degli interessi di fami- ritenuta un aspetto secondario, glia» (Noto, p. 188). Nei feudi del- visto che l’economia feudale era, l’Italia centrale l’intervento dello almeno nella maggioranza degli Stato, con le prerogative del mero Stati centroitaliani, minoritaria e et mixto imperio, non manca ma ciò spiega molto bene la grande si pone sempre e comunque in attenzione posta dai feudatari al- maniera diversa da quanto suc- l’assolvimento degli obblighi e l’ac- cedeva nel Mezzogiorno: sarà forse cettazione del contrabbando come proprio per fare da contraltare risorsa. Siamo all’opposto della alla vastissima bibliografia di area considerazione che gli Acquaviva meridionale che quella presentata avevano per lo “stato” di Caserta da Calonaci nel volume è anch’essa non come «mera fonte di rendita assai ampia.

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Recensioni e schede 383

Simona Feci, Laura Schettini (a cura vano ritirate prima che si giungesse di), La violenza contro le donne nella al dibattimento. La sequenza di tali storia. Contesti, linguaggi, politiche narrazioni – se rimaniamo al nudo del diritto (secoli XV-XXI), Viella, elenco dei titoli che rimandano a Roma, 2017, pp. 288 vicende specifiche dal Cinquecento ai giorni nostri – superficialmente È un volume interessante non potrebbe presentare il rischio non da solo per il tema affrontato, di dram- poco di mostrare la violenza contro le matica attualità, ma anche per il donne come un fenomeno che si dichiarato impegno civile; un testo ripropone in forme diverse ma sem- militante, scritto per «muovere qual- pre uguale a sé stesso nel corso del che passo in una direzione nuova», tempo, quasi fosse un tratto fisiolo- per contribuire a «una più corretta gico, e quindi irredimibile, della consapevolezza della violenza e delle natura maschile. Tale pericolo, che sue radici, delle diseguaglianze di cui contiene in sé l’assoluzione per ogni è espressione», in modo da «contra- tipo di colpevole, viene però superato starla, decostruendo e depoten- grazie alla precisa contestualizza- ziando sul piano culturale e politico zione di ogni singolo episodio nar- i simboli e i discorsi pubblici di cui si rato. E non casualmente la sezione nutre», e per dichiarare un’ormai del libro che contiene questi saggi sempre più rara «piena assunzione di viene intitolata Contesti, a sottoli- responsabilità rispetto ai temi neare la necessità di definire – di urgenti del nostro tempo», con un fronte a ogni manifestazione della richiamo alla funzione politica, in violenza – il profilo degli attori coin- senso alto, dello studioso di storia: volti, le loro ragioni immediate e pro- uno degli aspetti più qualificanti di fonde, le dinamiche che le legano fra questo libro e fonte di riflessione per loro e con altre persone e così via – qualsiasi lettore. in modo da evitare che la manifesta- Si compone di due parti. La prima zione violenta possa essere rubricata contiene una serie di studi di caso, come frutto di un raptus momenta- indagati principalmente attraverso neo, ma debba essere vista necessa- fonti giudiziarie e di polizia: si tratta riamente come frutto di un disegno di ritrovamenti fortunati per i ricer- preciso. catori, visto che le denunce per mal- Molto interessante, a questo pro- trattamenti, nel passato come oggi, posito, il primo esempio che il libro non erano frequenti e spesso veni- offre: la vicenda della nobildonna

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 384 Recensioni e schede parmense Antonia Sanvitale, sposa corrigendi. Egli sarà assolto. Ma apertamente tradita, picchiata e rin- Antonia non tornerà più nell’abita- chiusa nelle sue stanze, senza possi- zione coniugale e, intentando un bilità di comunicare con l’esterno, altro processo in sede ecclesiastica, dal marito, il patrizio bolognese riuscirà a rientrare in possesso della Aurelio Dall’Armi, studiata da Lucia dote. Aurelio, per soddisfazione dei Ferrante nel saggio Politica e violenza lettori, finirà ucciso in duello dagli di genere a Bologna nella prima età stessi protettori politici che avevano moderna. Antonia Sanvitale vs Aure- caldeggiato, qualche tempo prima, le lio Dall’Armi. Le percosse rientrano nozze. nell’amministrazione dello ius corri- L’autrice di questo primo saggio è gendi, prerogativa dei capi famiglia ben attenta a utilizzare gli elementi a nei confronti di moglie e figli nella sua disposizione per ampliare società di antico regime: un diritto quanto più possibile il quadro. Deli- all’esercizio della violenza che viene nea la personalità di Antonia, precisa limitato solo quando arreca danni la sua condizione sociale e la paren- gravi o permanenti o attenti alla vita tela con un importante cardinale di di chi viene redarguito. Aurelio Dal- Santa Romana Chiesa, ipotizza il tipo l’Armi, che ha sposato Antonia per di educazione ricevuta nella Parma motivi di convenienza economica e di cinquecentesca, dove non era difficile opportunità politica, di fronte all’in- incontrare nelle famiglie di vaglia frazione della moglie che, malgrado il matriarche in grado di guidare auto- suo divieto, è entrata nei suoi appar- nomamente il casato, prendendo tamenti, non solo la schiaffeggia ma decisioni politiche ed economiche di la rinchiude. Fortunatamente una rilievo. Allo stesso modo, l’autrice serva riesce a comunicare l’accaduto tenta di offrire un ritratto di Aurelio, al magistrato, che vedendo nel gesto dei suoi legami politici e delle ten- dell’uomo un’usurpazione dei poteri sioni che intercorrono nel periodo in sovrani – solo le autorità pubbliche questione fra Bologna, dove è ancora possono condannare al carcere – forte un arrogante patriziato citta- acconsente all’avvio del procedi- dino, e la Roma di Sisto V, decisa a mento. In questo caso, come accade ridurre all’ubbidienza la città. Le in quelli raccontati nelle odierne cro- nozze fra i due sono proprio il frutto nache, il marito violento trova una di un tentativo di distensione fra la giustificazione nell’impudenza della riottosa Bologna e la dominante moglie che ha trasgredito un suo Roma. ordine e nella consuetudine che Ciò non toglie che la quotidianità approva forme correttive di “mode- maritale risponda alle regole del rata” violenza. Anche la reclusione, tempo, peraltro introiettate dalle inflitta affinché la moglie non metta donne, abituate ad assistere sin da in dubbio pubblicamente il suo bambine all’interno delle famiglie di onore, per esempio contestandolo provenienza alla durezza dei rapporti apertamente e quindi facendo cono- coniugali. È a questa quotidianità, scere agli altri la propria ribellione, aggravata dal dichiarato tradimento rientra per Aurelio nel ventaglio delle del marito, che Antonia si ribella, possibilità offerte al marito dallo ius volendo che le venga pubblicamente

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Recensioni e schede 385 e privatamente riservato il rispetto mini che, inevitabilmente purtroppo, dovuto. Ed è la ribellione, in defini- conduce alla riproposizione di uno tiva, la sua colpa agli occhi del con- schema interpretativo della violenza sorte. In ogni caso, la crudeltà di di genere teso a colpevolizzare la vit- Aurelio non è estemporanea: la sua tima, provocatrice (per il comporta- manifestazione di violenza non è il mento incauto, per il modo di agire, frutto di una collera parossistica che addirittura per l’abbigliamento) e lo assale improvvisamente, ma la quindi in ultima battuta autentica- risultante di tanti fattori che vengono mente responsabile, e ad assolvere o attentamente analizzati. per lo meno a giustificare il violento. Lo stesso modo di argomentare, Si tratta di uno schema ancora pur nella differenza della vicenda vigente. Infatti, malgrado il percorso raccontata e dello stile narrativo, fatto nel corso del secondo Nove- propongono Simona Feci che firma lo cento, di cui il libro da puntuale studio Morte in famiglia. Il parricidio conto nella seconda parte, dal titolo a Roma alla fine del Cinquecento e la Politiche e diritti (che ricostruisce le riflessione di Prospero Farinacci, sto- tappe via via percorse per dare un ria del matricidio consumatosi nel profilo specifico alla violenza di 1599 a Roma, nella nobile casa dei genere, sia in Italia che all’estero, Santacroce, con l’uccisione della grazie ai saggi di Beatrice Pisa su Il madre Costanza da parte dei figli Movimento di liberazione della donna Onofrio e Paolo; Andrea Borgione che e il primo Centro contro la violenza studia la Separazione coniugale e sulle donne; di Laura Elisabetta Bos- maltrattamenti domestici a Torino sini su Le proposte di legge in materia (1838-1889); Christel Radica che di violenza sulle donne all’inizio del analizza i processi per violenza ses- dibattito italiano (1979-1980); di suale su minori nel saggio Innocenti Mariagrazia Rossilli su Le politiche e «maliziose». Bambine in tribunale a europee di contrasto della violenza di Firenze nel lungo Ottocento; Enza Pel- genere: il bilancio del ventennio 1997- leriti che si occupa dei Conflitti fami- 2015; di Carmen Trimarchi su La liari innanzi al “poliziotto paciere” risoluzione 1820 dell’Onu contro i cri- nella Sicilia postunitaria; Susanna mini sessuali di guerra. Un profilo sto- Mantioni, che offre un sunto quanto rico; di Ilaria Boiano su Femminismo mai efficace di una pietra miliare e processo penale: il mutamento del della riflessione sulla violenza car- discorso giuridico in tema di reati ses- nale in Homo mulieri lupus. Susan suali), per molti aspetti sembra che Brownmiller e la demistificazione non sia cambiato nulla. della «cultura solidale con lo stupro»; L’intervento in chiusura del Chiara Stagno che approfondisce il volume, redatto da Cristina Gamberi tema delle Donne in Famiglia: l’ambi- e dedicato alle Retoriche della vio- valenza del femminile in contesti lenza. Il femminicidio raccontato dai mafiosi. media italiani, sottolinea come que- Alla luce di questi saggi, conte- sta operazione di contestualizzazione stualizzare, mettere in campo il mag- nel racconto cronachistico delle vio- gior numero di elementi possibili per lenze sulle donne sia ben lontana dal evitare una semplificazione dei ter- diventare una corretta abitudine.

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Nelle retoriche giornalistiche odierne, che si affastellano sulle pagine dei che inevitabilmente sono latrici di giornali e sui siti web, un totale senso comune e contribuiscono a rifiuto di autentica contestualizza- formare l’opinione generale, l’episo- zione: ma, la ricerca del contesto e, dio della violenza, anche e soprattutto quindi, la considerazione dei rapporti quando essa sfocia nell’omicidio, di potere fra uomo e donna nel caso tende a essere spettacolarizzata: specifico e nella società più in gene- generalmente, la morte violenta di rale, è un esercizio così difficile e tal- una donna per mano di un uomo, mente poco remunerativo in termini spesso il suo compagno o la persona di ascolto e di presa sul pubblico da che ha avuto con lei una relazione, è poter essere ignorato? È realizzabile inserita fra i casi di cronaca nera e solo in “casi freddi” restituiti con l’omicidio viene descritto come “rap- estrema parsimonia dalle carte d’ar- tus”, “incidente” o “mo mento di follia”. chivio? O sta a noi, lettori e cittadini, L’esempio che l’autrice analizza è pretenderlo nella carta stampata e quello dell’omicidio dell’attrice fran- non accontentarci di facili voyeuri- cese Marie Trintignant, uccisa a botte smi? Il volume curato da Simona dal compagno Bertrand Cantat, lea- Feci e Laura Schettini induce alla der del gruppo musicale dei Noir riflessione su questi e altri interroga- Desir. I quotidiani francesi fecero a tivi, facendo del terreno storico un gara per raccontare una favola di campo di impegno politico. amore e morte, una riproposizione di Tristano e Isotta o di Romeo e Giu- Nicoletta Bazzano lietta, avvalorando questa tesi con la pubblicazione di una dichiarazione di Cantat: «Je réfute le terme de crime, Marco Albertoni, La missione di Decio c’est un accident après une lutte et Francesco Vitelli nella storia della une folie mais pas un crime» (Rifiuto Nunziatura di Venezia. Dai primi inca- il termine di crimine, è un incidente richi alla guerra di Castro (1485- dopo una lotta e una follia ma non è 1643), Collectanea Archivi Vaticani, un crimine). In pochi descrivono il Città del Vaticano, 2017, pp. 347 carattere di Cantat e danno spazio alle parole della madre della vittima, Il nunzio Decio Francesco Vitelli fu che denunciò come il musicista protagonista di una carriera ecclesia- avesse alle spalle una storia di vio- stica simile a molte altre nel Cinque- lenza sulle compagne precedenti, lad- Seicento italiano. Eppure, come dove di Marie Trintignant viene messa dimostra Marco Albertoni nel bel libro in rilievo la storia sessuale e familiare, che sviluppa la sua tesi dottorale, la i quattro figli avuti da precedenti sua esperienza in laguna fu comun- matrimoni, le scelte professionali que significativa, anche se, alla fine, sempre indirizzate all’interpretazione fallimentare per lo stesso prelato. di donne folli e crudeli, la cui resa era Come indicato già nel titolo, il amplificata dalla voce arrochita dalle libro è tuttavia ben più di una sem- troppe sigarette… plice biografia o di un’analisi detta- È evidente in questo caso, ma gliata degli undici anni (1632-1643) anche nelle cronache di altre violenze della nunziatura di Vitelli. Questa

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Recensioni e schede 387 viene infatti inserita in un processo Come già detto, la descrizione di lungo periodo, che parte dal 1485 della nunziatura di Vitelli occupa in (anno della nomina di Nicolò Franco, realtà solo una parte, e non maggio- vescovo di Treviso e primo nunzio a ritaria del libro, da pagina 143 a 238. Venezia) e arriva fino al pontificato di Il primo capitolo, intitolato “Una sede Urbano VIII. Come lo stesso Alber- difficile. La Nunziatura di Venezia tra toni precisa nell’introduzione, la XVI e XVII secolo” (pp. 55-141) rico- nunziatura del prelato viterbese struisce e sintetizza oltre 150 anni di (nato a Bomarzo il 30 agosto 1582) storia, presentando al meglio il qua- assume importanza soprattutto in dro che si profilò a Vitelli una volta virtù del particolare contesto, penin- giunto a Venezia, con le numerose sulare ed europeo, di quegli anni: la questioni aperte, alcune anche di fase decisiva della Guerra dei Tren- lungo corso. Albertoni procede a una t’anni (con l’intervento della Francia sorta di cronistoria, nunzio per nun- a partire dal 1635) e il conflitto scop- zio, attingendo quasi esclusivamente piato a seguito delle mire barberi- da studi e fonti edite e trovandosi, niane sul ducato di Castro, antico molte volte, nella necessità di narrare possedimento dei Farnese. Nono- le stesse difficoltà e le medesime stante la diminuita importanza poli- complicazioni incontrate dai vari tica a livello internazionale, Venezia nunzi che si alternarono in laguna. rimaneva un fondamentale snodo di Sarebbe stato forse opportuno, per informazioni e di persone: diploma- rendere più semplice e meno ripeti- tici, agenti e spie che, tra le calli della tiva la lettura, mettere in evidenza i Serenissima, potevano conoscere nodi problematici centrali legati alla rumours e segreti in netto anticipo Nunziatura veneziana, per poi evi- rispetto a Madrid, a Parigi o alle altre denziare alcuni fatti centrali e le grandi corti europee. figure di taluni nunzi che emergono, Scritto in modo assai gradevole e chiaramente, come imprescindibili lineare, con la felice scelta di relegare per comprendere l’evoluzione storica quasi sempre in nota le pur interes- della Nunziatura veneziana. santi citazioni dai testi coevi, il Per quanto riguarda i temi e i volume si rivolge sia al pubblico più problemi ricorrenti per i rappresen- ampio, che a quello specialistico degli tanti pontifici nella Serenissima, al- addetti ai lavori, degli studiosi. Lo si cuni furono in realtà comuni a tutti i capisce soprattutto dalla sezione, nunzi nell’Italia del Seicento: i conflitti successiva all’introduzione, “Le fonti giurisdizionali (ad esempio in merito archivistiche della nunziatura di all’estradizione di criminali dai luoghi Decio Francesco Vitelli” (pp. 23-54). di culto, o a proposito dell’arresto di L’autore descrive nel dettaglio il con- religiosi da parte delle autorità laiche) tenuto dei diversi faldoni da cui ha e la mancata applicazione dei decreti tratto le informazioni relative al per- tridentini (ad esempio riguardo allo sonaggio e alla sua carriera, la mag- stile di vita del clero, con la conse- gior parte dei quali provengono dai guente lotta ai “chierici selvaggi” o i volumi dell’Archivio Segreto Vati- tentativi di riforma interna ai con- cano, soprattutto dal fondo Segrete- venti); altri invece furono particolar- ria di Stato, Venezia. mente rilevanti nel delicato contesto

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 388 Recensioni e schede veneziano, come la censura e il con- percorse un cursus honorum di tutto trollo della stampa e delle informa- rispetto, nel quale spiccano l’arcive- zioni, la contrapposizione con il ne- scovado di Tessalonica (Salonicco) e mico turco, l’attenzione costante ri- quello, a fine carriera, di Urbino. In volta ai conflitti politici e religiosi del pagine assai interessanti, Albertoni centro Europa, le politiche attuate ricostruisce la vita quotidiana del nei confronti di minoranze religiose nunzio e della sua “famiglia”, dai quali anabattisti ed ebrei, il controllo luoghi che frequentava alle strade marittimo e commerciale dell’Adria- che percorreva maggiormente, dal tico. Tema a parte fu poi quello in- cibo e le bevande che consumava quisitoriale, con il nunzio che svolgeva fino alla divisione dei compiti tra i fondamentali funzioni in questo senso, suoi più stretti collaboratori, tra i insieme con l’inquisitore e il patriarca, quali spiccavano il nipote Alessandro ma che doveva anche trovare un Vitelli e il fidato Lutio Conti. Il caso punto di incontro con i Savi all’eresia, del vescovo di Belluno Giovanni Dolfin giudici laici nominati dal governo fu il più celebre tra i conflitti giuri- della Serenissima. All’interno di questi sdizionali che videro protagonista il temi generali, alcune figure di nunzi nunzio, alle prese, peraltro, con molti emergono certamente più di altre: si altri casi di “chierici selvaggi” o co- pensi ai casi di Altobello Averoldi (in munque di religiosi non così propensi carica nei periodi 1517-23 e 1526- ad abbracciare l’ideale di vita riaffer- 28), di Giovanni Della Casa (1544- mato dal Concilio di Trento e che 1550), di Antonio Facchinetti (1566- spesso preferivano ricorrere alla giu- 73, nunzio al tempo della battaglia stizia laica, per essere giudicati, piut- di Lepanto e poi papa con il nome di tosto che a quella religiosa. Ottenne Innocenzo IX), di Orazio Mattei (1605- poco o nulla dalle schermaglie con le 1606, nunzio in carica ai tempi di autorità veneziane (ma come tanti quell’Interdetto che, come sottolinea altri nunzi prima e dopo di lui), non giustamente Albertoni, sopraggiunse comprese le intenzioni della Repub- al termine di una lunga e costante blica nella guerra di Castro (non pre- escalation di tensione tra la Santa vedendone l’ingresso nel conflitto al Sede e la Serenissima), fino a Berlin- fianco di Odoardo Farnese e trovan- gero Gessi (1607-1618). dosi infine costretto a una precipitosa Quando Vitelli giunse a Venezia, fuga il 27 giugno 1643), il suo unico la presunta congiura di Bedmar era successo fu lo stratagemma grazie al stata sventata da tempo, ma i rapporti quale riuscì a far arrestare e giusti- ispano-veneziani rimanevano pessimi. ziare (ad Avignone) Ferrante Pallavi- La Guerra dei Trent’anni era in pieno cino, frate dalla vocazione piuttosto svolgimento, la questione della Val- mediocre ma soprattutto autore pro- tellina sembrava risolta con la pace lifico e velenoso (specie contro i Bar- di Monzón (1626) e la peste aveva berini) che vantava potenti protezioni appena lasciato molte vittime sul suo a Venezia. cammino, tra cui il precedente nunzio Le parti più interessanti del libro Giovanni Battista Agucchi. Creatura sono, a mio parere, quelle dedicate barberiniana, di origini nobiliari, uma- ai conflitti tra il nunzio e l’ambascia- nista, collezionista, bibliofilo, Vitelli tore spagnolo a Venezia, il conte de

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Recensioni e schede 389 la Roca, e alla guerra di Castro. Juan Chiude il libro, prima di bibliogra- Antonio de Vera y Figueroa, conte de fia e indici, una bella e utile appen- la Roca, fu personaggio certamente dice, con “Cronotassi dei nunzi nella stravagante e sui generis, ma fu so- Repubblica di Venezia dal 1485 al prattutto un abile politico e un di- 1643”, “Elenco degli inquisiti dai Savi plomatico furbo e spregiudicato. Fe- all’eresia durante la nunziatura delissimo di Olivares, non si fece Vitelli” e la trascrizione del “Breve scrupoli nel creare e diffondere notizie delle facoltà attribuite a Vitelli in false pur di tenere lontana Venezia qualità di nunzio a Venezia”. dal fronte antiasburgico in Europa e, ancor di più, per creare divisioni Giuseppe Mrozek Eliszezynski all’interno di quello stesso fronte. Egli stesso autore di testi di stampo antibarberiniano, nonché di false let- Stefano Menna, Gonzalo Guerrero e tere di Francesco Barberini al cardi- la frontiera dell’identità, Jouvence nale Richelieu, il conte si prese spesso Historica, Milano 2017, pp. 185 gioco di Vitelli, denunciando in questo senso la sua mediocrità politica. Esistono casi nella storia in cui Nella “Conclusione”, Albertoni personaggi di cui si sa poco o nulla, esplicitamente scrive, e a ragione, e della cui stessa esistenza si di “insuccesso netto” e di “fallimento potrebbe arrivare a dubitare, sono sostanziale” a proposito dei risultati stati oggetto di un processo plurise- conseguiti da Vitelli durante la sua colare di costruzione di un mito, di nunziatura. Morì il 25 febbraio 1646, un simbolo, di un’identità. È quanto certamente più ricco di quanto lo successo a Gonzalo Guerrero, perso- fosse stato prima di arrivare a Ve- naggio semisconosciuto in Europa, nezia. Secondo alcune fonti, era ma che è stato invece investito di una stato fatto cardinale “in pectore” da pluralità di significati, di suggestioni Urbano VIII, ma la sua nomina non e di immagini nel Messico di età divenne mai esecutiva: forse sem- moderna e contemporanea, ma plicemente perché il papa morì an- soprattutto a partire dagli anni Set- zitempo, ma probabilmente il cattivo tanta del XX secolo. Stefano Menna, esito dell’esperienza veneziana ne archivista e storico non accademico, arrestò la promozione. Ben voluto ripercorre la costruzione di questo più da Francesco e Antonio Barbe- mito in un agile libro, che ha il pregio rini che non dal pontefice, la carriera di rendere noto al pubblico italiano di Vitelli di fatto finì con l’elezione una storia e un personaggio ignoti ai di Innocenzo X. Negli anni della sua più, di affrontare attraverso essi temi nunziatura, Roma e Venezia si scon- delicati e di grande attualità anche trarono, ma dovettero anche pren- nell’Europa odierna, e di presentare dere atto che il loro ruolo in Europa uno studio che è davvero un ponte, era ormai marginale. E di fatto, un punto di contatto tra Storia e negli anni successivi, furono co- Antropologia. strette a riavvicinarsi. Mentre i con- Nell’Introduzione, l’autore spiega flitti giurisdizionali erano destinati come quel processo ottocentesco di a proseguire. “invenzione della tradizione”, descritto

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 390 Recensioni e schede nel contesto europeo da un celebre anni Settanta del secolo, sotto la studio di Hobsbawm e Granger del spinta dei grandi cambiamenti poli- 1984, riguardò anche quell’area cen- tici e culturali di quegli anni a livello tro-sudamericana che agli inizi del globale, che quel movimento indige- XIX secolo aveva conquistato l’indi- nista produsse una vera svolta: la pendenza dalla Spagna. Memoria, società messicana non doveva essere tradizione e immaginario si fusero figlia di un’assimilazione culturale, nella creazione dell’identità, la crea- spesso forzata, ma di un incontro, di zione dell’Io in contrapposizione con una sintesi tra cultura mesoameri- l’Altro. L’Altro in questione era lo cana e cultura europea. Il mestizaje, spagnolo, l’europeo, ma anche, al- il meticciato, la fusione prima di meno per tutto il XIX secolo, l’indio. tutto a livello biologico tra Spagnoli e É lo scontro tra le “comunità imma- Indios divenne così un vero e proprio ginate”, di cui parla Benedict Ander- simbolo, un mito identificativo della son, e il paese per come realmente nazione messicana. E in nome di era; oppure, per dirla con Bonfil Ba- questa svolta, venne ripresa e in talla, tra il México profundo, quello parte ridefinita una figura che a in cui rientrava una parte della po- lungo aveva sofferto di una damnatio polazione che aveva conservato e va- memoriae, una figura in cui verità lorizzato la cultura indigena, e il Mé- storica e mito si fondono in maniera xico imaginario, che era invece costi- quasi inestricabile, ma che forse pro- tuito dalle élites creole e poi post-ri- prio per questo si è imposta come voluzionarie. vero e proprio eroe popolare messi- Nel Messico post-indipendenza, cano, sullo stesso livello di perso- durante il governo liberale, durante naggi quali Pancho Villa, Emiliano la lunga dittatura di Porfirio Díaz Zapata, Diego Rivera e Frida Kahlo. (1876-1911) e persino negli anni Dopo questa necessaria pre- della Rivoluzione (1910-1917), la messa, che spiega l’importanza nazione era ancora quella dei creoli, stessa della ricerca in questione, dei discendenti degli Spagnoli, men- Menna passa nel secondo capitolo ad tre gli Indios venivano esclusi dei analizzare come tale figura emerga diritti politici e vivevano al margine nelle testimonianze dei primi conqui- della società, e ciò nonostante la loro stadores e nelle cronache di quei fatti cultura e la storia precolombiana scritte nei primi settant’anni del Cin- venissero utilizzate per celebrare la quecento. È la storia di un naufragio, grandezza del Messico prima ancora ma non di un naufragio di cui si sono dell’arrivo degli Europei, per sancire conservate testimonianze scritte, la differenza tra il paese recente- come nel celebre caso del diario di mente resosi indipendente e l’ex Cabeza de Vaca. È la storia di un madrepatria. incontro tra Spagnoli conquistatori e La prima svolta arrivò dopo la Indios conquistati, ma certamente Rivoluzione, negli anni Venti del meno nota di quella, ad esempio, Novecento, con la comparsa del della Malinche, la famosa princi- movimento intellettuale, politico, pessa azteca divenuta interprete ed artistico e letterario detto “indigeni- amante di Hernán Cortés. Dal con- sta”. Fu tuttavia solo a partire dagli fronto tra le varie testimonianze e i

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Recensioni e schede 391 diversi racconti, emergono pochi dati marinaio. Di lui e di Aguilar aveva già certi e da considerarsi storicamente avuto notizia Juan de Grijalva un attendibili: nel 1519, Cortés e le sue anno prima di Cortés, nel 1518, e fu navi approdarono presso l’isola di proprio questo Gonzalo che, nel Cozumel, davanti alle coste dello 1528, guidò le popolazioni locali in Yucatan, e lì il conquistador venne a battaglia respingendo la spedizione sapere, da alcuni Indios locali, che nella regione del governatore Franci- nella zona vivevano due Spagnoli sco de Montejo. Quando quest’ultimo naufragati anni prima (nel 1511); ritentò l’impresa, nel 1531, Gonzalo, convinto di poter trarre profitto da ora Guerrero, cioè guerriero e non più connazionali capaci di fargli da inter- solo marinaio, risultava essere già preti e che già conoscevano usi e morto. La condanna di Oviedo verso costumi locali, Cortés inviò messag- il personaggio è totale, accusato di geri muniti di una sua lettera, in cui essere un rinnegato, un traditore ordinava, a nome del re di Spagna, di della sua gente, una figura della unirsi alla spedizione. Dopo alcuni quale provare vergogna. giorni d’attesa (anche troppi, perché Un’altra tappa fondamentale la flotta sarebbe già ripartita se non nella costruzione del personaggio è avesse incontrato condizioni climati- quella segnata dalla Historia general che avverse), giunse un solo spa- de las Indias (1552) di Francisco gnolo, il frate Jerónimo de Aguilar, López de Gómara, cappellano perso- che raccontò della vita vissuta in pri- nale di Cortés dal 1540 fino alla gionia presso le popolazioni locali e morte del conquistador. Attingendo di come l’altro spagnolo (indicato dai racconti delle spedizioni del suo nelle fonti con nomi diversi) avesse patrono in America, Gómara invece preferito rimanere tra gli indi- aggiunge un dettaglio importante alla geni, essendosi ormai integrato tra storia, ovvero il perché Gonzalo Her- loro. Alcuni anni dopo, proprio uno rero (da cui sarebbe successivamente spagnolo viene indicato come il capo derivato “Guerrero”) scelse di igno- militare capace di respingere più rare l’appello degli Spagnoli e di volte gli attacchi spagnoli ma alla restare tra gli Indios: per la vergogna, fine morto in battaglia, mentre difen- che avrebbe provato con gli Spagnoli deva quello che era diventato il suo mostrando i segni della sua integra- “nuovo popolo”. zione tra gli Indios (orecchie e labbra Partendo da questa scarna base bucate, tatuaggi sul corpo); per il di fatti storici, la costruzione del per- vizio, rappresentato dalla relazione sonaggio e del mito di Gonzalo Guer- carnale con una donna india; ma rero viene ricostruita con attenzione anche per l’amore, nei confronti dei da Menna: se Pietro Martire d’An- figli nati da quella relazione. ghiera ignora il naufrago nel suo Gonzalo non viene mai esplicita- Orbe novo, il primo a scriverne è mente nominato da Cortés: un silen- Gonzalo Fernández de Oviedo, nella zio obbligato, perché è andata sua Historia general y natural de las perduta, spiega Menna, la prima Indias (1542). Qui per la prima volta delle sue cinque lettere a Carlo V in viene fatto il nome del naufrago, cui verosimilmente avrebbe potuto Gonzalo, indicato come Marinero, scrivere dell’incontro con i due nau-

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 392 Recensioni e schede fraghi; ma anche un silenzio voluto, anche la moglie india di Gonzalo: secondo l’autore, per tacere l’esi- brani in cui emerge un orgoglioso stenza di una figura scomoda e per pater familias, legato dall’amore per i certi versi incomprensibile, come suoi figli e ormai totalmente integra- incomprensibile era l’idea che uno tosi tra gli indigeni. spagnolo cristiano avesse potuto Nel terzo capitolo, Menna analizza abbandonare la sua cultura a favore quindi come la figura di Guerrero, di un’altra, selvaggia e lontana da disegnata dalle cronache cinquecen- Dio. In un documento scritto dallo tesche, sia stata in seguito utilizzata, stesso Cortés nel 1534 per difendersi a volte ignorata, altre volte del tutto nel juicio de residencia imbastito a reimpostata, nei secoli successivi. In suo carico dal giudice Luis Ponce de alcune opere scritte a cavallo tra Cin- León, viene invece ricordata la figura que e Seicento, essa è chiamata in di Aguilar, e come quest’ultimo modo diverso (Muñóz Camargo scrive avesse parlato al conquistador di un di un certo García del Pilar), o diventa suo compagno di sventure, un certo una semplice comparsa, inglobata Morales, che aveva preferito restare dalla figura di Jerónimo de Aguilar, tra i Maya «perché aveva ormai la che finisce con l’assumere gran parte pelle tatuata, le orecchie forate, una delle caratteristiche del suo compa- moglie e dei figli» (p. 57). In un docu- gno di sventura (integrazione tra gli mento del governatore Andrés de Indios, matrimonio, ponte tra due Cereceda del 1536 si fa invece riferi- civiltà). Nel 1684, Antonio de Solís y mento alla morte di un cristiano che Rivadeneyra lo accusò apertamene di da più di vent’anni viveva tra gli indi- essere stato un ipocrita e un cinico, geni e che era caduto in battaglia che finse amore per moglie e figli solo combattendo al loro fianco: lo chia- per difendere lo status sociale guada- mava Gonzalo Azora, o Aroca in gnato presso gli Indios. Tra gli storici un’altra trascrizione. e gli archeologi del XIX e della prima Ma fu certamente Bernal Díaz del metà del XX secolo, Guerrero tornò Castillo, nella sua Historia verdadera sporadicamente, come figura dai con- de la conquista de México (1568), l’au- torni indefiniti e spesso confusa con tore che più di ogni altro contribuì a quella di Aguilar. fissare nell’immaginario collettivo e La riscoperta di Guerrero, divenuto nella tradizione culturale messicana simbolo ideale del Messico meticcio la figura di Gonzalo Guerrero come e contemporaneo, è testimoniata an- simbolo del meticciato, iniziatore di che dalla creazione di due falsi ma- un nuovo popolo. Pur potendosi van- noscritti, entrambi databili tra il 1950 tare di essere stato anch’egli un testi- e il 1965 ma in realtà spacciati, mone della spedizione di Cortés, anche in prestigiosi circoli accademici, Bernal Díaz aggiunse probabilmente come le presunte memorie scritte di alcuni dettagli inventati per dare proprio pugno da Gonzalo. maggiore sostanza alla storia e col- Nel quarto e ultimo capitolo, si mare i vuoti. Così si spiegano le parti conclude la trasformazione del perso- in cui Guerrero parla in prima per- naggio in icona pop, figura divenuta sona, o il presunto dialogo avuto tra familiare per il pubblico messicano ed lui e Aguilar e in cui intervenne assurto a simbolo della nazione attra-

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Recensioni e schede 393 verso una serie di prodotti di fiction: M.M. Rabà, Potere e poteri. “Stati”, il riferimento è in primo luogo al “privati” e comunità nel conflitto per romanzo del 1980 Gonzalo Guerrero l’egemonia in Italia settentrionale di Eugenio Aguirre, ma anche a tutta (1536-1558), FrancoAngeli, Milano, una serie di racconti e opere teatrali 2016, pp. 580 che vedono protagonista il naufrago spagnolo e la sua vita. Effigiato in Il «ventennio di guerra permanente» statue e dipinti, presente persino che corre tra il 1536-1558 costituisce nell’inno ufficiale di uno degli Stati lo sfondo cronologico di questo libro federati del Messico contemporaneo, di Michele M. Rabà, dove si indagano Guerrero è stato protagonista di un le dinamiche di interrelazione tra Stati, documentario televisivo del 2013, soggetti privati e comunità nel quadro oltre che di un fumetto francese edito macroregionale e polistatuale dell’Italia in due volumi tra 2008 e 2009. settentrionale durante l’ultima fase Il libro di Stefano Menna presenta del conflitto franco-asburgico. Come certamente dei punti deboli. Rielabo- confermano i più recenti indirizzi della razione di una tesi di laurea, esso si New military history ma anche altre e basa su una bibliografia troppo diverse prospettive storiografiche, gli scarna e lascia inoltre perplessi lo anni centrali del Cinquecento rappre- spazio forse eccessivo riservato alla sentano una congiuntura cruciale descrizione dei prodotti di fiction della modernità europea, e si pensa affrontati nell’ultimo capitolo: la sola qui al volume, per quanto diversa- trattazione del citato romanzo di mente bilanciato sull’asse della Roma Eugenio Aguirre occupa, ad esempio, papale, di Elena Bonora (Aspettando ben 48 pagine, un quarto dell’intera l’Imperatore. Principi italiani tra il papa opera. E tuttavia, si tratta di uno e Carlo V, Torino Einaudi, 2014)). studio di valore, perché getta mag- Uno snodo della modernità europea gior luce su un personaggio scono- enfatizzato e reso evidente dall’intensità sciuto anche a molti studiosi e e continuità bellica che investe non perché presenta un esempio lam- solo gli Stati piccoli e grandi del Nord pante di come un mito, un simbolo Italia, ma Impero, Francia e appunto possa arrivare ad un certo punto a l’Europa tutta, incluse le sue propag- godere di vita propria e ad esistere gini mediterranee e gli stati del Nord indipendentemente se la base storica Africa. su cui poggia sia attendibile o meno. Nel 1536 il sogno dell’egemonia Se poi i Messicani di oggi sentono e asburgica si concretizza infatti nella rivendicano di essere discendenti presa di Tunisi, da dove Carlo V tanto dei conquistatori spagnoli torna in Italia per consolidare e riba- quanto degli Indios conquistati, una direanche a livello cerimoniale il pro- parte del merito va forse ricono- prio potere su potentati grandi e sciuta, se non a Gonzalo Guerrero, piccoli della Penisola, di dipendenza quanto meno all’utilizzo e alla conti- immediata oppure indiretta. Sulla nua ridefinizione di cui la sua figura scorta di questi successi militari, pro- è stata oggetto nel corso dei secoli. pagandistici e simbolici, nel luglio di quello stesso anno Carlo avvia un’al- Giuseppe Mrozek Eliszezynski tra iniziativa militare importante e

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 394 Recensioni e schede proprio dall’Italia attacca il rivale peso relativo sia l’affermazione della Francesco I nei suoi stessi domini, architettura bastionata sia lo sviluppo entrando in Provenza. Sempre nel dei parchi d’artiglieria. La forte crescita 1536 al di qua delle Alpi inizia il della fiscalità fu la conseguenza più blocco di Torino, il cui problematico immediata, e larga parte occupa nel svolgimento occupa un posto centrale volume l’analisi dell’imposizione del nell’analisi dell’autore. Dall’assedio di mensuale e delle sua trasformazione Torino, importante fatto strategico da tassa occasionale a riccorente, pe- militare e in questa natura descritto raltro largamente inadeguata a coprire da Rabà, inizia infatti uno sforzo bel- i costi crescenti della guerra; questo lico ininterrotto cui gli strumenti seppur fosse sostenuta dall’introduzio- della guerra non riescono più a sod- ne di nuove tasse e loro progressivo disfare. Le vicende di quegli anni per aumento (censo del sale, pp. 202-204), l’arte della guerra rappresentano così come i dazi, le imposizioni straor- inoltre un autentico turnig point stra- dinarie, i prestiti dei mercanti e la tegico: la fine del «sogno di annienta- concessione di privilegi (pp. 202-211). mento dell’avversario, della conquista In sostanza lo sforzo bellico impe- del suo Stato attraverso una sola bat- riale fu coronato da successo non taglia campale, seguito dall’attacco solo perché seppe servirsi di più e diretto della sua capitale» (p. 54). meglio della fiscalità di guerra, di Questa acquisizione è solo una truppe, artiglieria, guastatori, che delle numerose considerazioni tecni- alla prova dei fatti si sarebbero rive- co-militari che smontano interpreta- lati fattori non risolutivi. La parte di zioni e impressioni consolidate (viene Cesare trovò le ragioni vincenti sottolineata ad esempio la netta su- soprattutto nella capacità di coinvol- periorità della difesa sull’offesa, p. gere i vari soggetti e i loro interessi 122), considerazioni che l’autore espli- nella propria causa, attuando una cita e formalizza sulla base della co- vasta e ben regolata azione di «con- noscenza di un’ampia messe docu- cessione a privati di privilegi cespiti mentaria prodotta sia dal potere cen- rendite, nei quali si saldavano la con- trale ispano-imperiale che dai poteri tropartita per i servizi effettivamente periferici e territoriali. Su questo pia- resi alla causa imperiale e la conces- no, Rabà cerca inoltre di fornire una sione dei mezzi indispensabili per prospettiva che guardi alle strategie continuare a prestarli» (p. 199). Nella e esiti del conflitto permanente anche strategia di affermazione imperiale il dal campo francese, e questo consente riconoscimento giurisdizionale come di rendere ragione di una opposizione moneta di scambio diventa centrale tenace, per larghi momenti vincente, e tale azione, insieme di guerra e di nei confronti degli Asburgo. Ma ancora governo, viene giustamente indivi- di maggiore interesse nello sviluppo duata più volte come significativa: del volume è che la guerra abbia av- sia in riferimento ai medi e grandi viato una dinamica che trascende la signori rurali (p. 54), sia nell’ambito gestione militare, configurando un delle giurisdizioni cittadine relativa- nuovo livello o spazio politico, come mente a «tutto un ceto medio e medio Rabà dimostra con una lettura inno- alto di tecnici del diritto, i conti pala- vativa e non ovvia, dove assumono tini, legittimati ad esercitare la pro-

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Recensioni e schede 395 fessione legale [...] da un diploma militare al politico costituiscono uno imperiale, acquistato per lo più per degli elementi di indubbia efficacia compravendita» (p. 55). del volume. Favori e prebende, onori e ces- Riconosciuto il valore prioritario di sioni di quote di giurisdizioni a privati questa strategia delle giurisdizioni e e istituzioni rappresentarono il vero degli onori, la ricerca si snoda soste- fattore decisivo del successo asbur- nuta da una ricchissima messe di gico nell’Italia settentrionale, all’in- materiale documentario e ampie cita- terno di un’analisi che, almeno nella zioni in un tessuto argomentativo prima parte del volume, prende avvio molto esteso, ma allo stesso tempo e segue con finezza criteri e imposta- non diluito, fitto com’è di notizie e zioni della più aggiornata storia mili- riflessioni costruite sulla consulta- tare. Questa costituisce per larghi zione di una ponderosa bibliografia trat ti la cifra dominante del volume, italiana e internazionale, nonché sulla soprattutto nella prima parte, frequentazione protratta e non fugace quando la guerra coinvolge soprat- di otto distinti fondi archivistici e tutto il ducato sabaudo e i suoi terri- bibliografici: Archivio General di tori. Sfilano quindi i riferimenti ai Simancas, la Biblioteca Trivulziana e lavori di Paola Bianchi, Mario Rizzo, gli Archivi di Stato di Milano, Torino, Davide Maffi, ma anche ai tradizio- Parma, Modena, Trento, Mantova. Lo nali studi di Pieri, Cipolla, Parker, e spoglio di questo enorme materiale alle acquisizioni successive o più produce un volume molto ampio, arti- recenti di Del Negro, Pellegrini, W. colato in sei parti distinte (I fatti del Murray, F. Knox, S. Pepper, M. Mal- ’36. Le due invasioni e il blocco di lett C. Shaw, D. Eltis. L’ampia biblio- Torino; La guerra sul campo. Il con- grafia sul militare viene però fronto tra potenze sul piano tattico e progressivamente integrata e conso- strategico; lo Stato di Milano e la guerra lidata dalla lettura di una serie di permanente; Carlo V e le signorie ita- studi che predilige dapprima la fisca- liane: il caso sabaudo in una prospet- lità e la finanza di guerra, poi, in tiva comparativa; i contenuti reali del maniera più doviziosa, la prospettiva potere supremo: guerra permanente e territoriale e dinastica, le dinamiche circuiti internazionali; Impero ed élite dei poteri e dell’affermazione sociale guerriera nello Stato di Milano). Una di personaggi, ceti e gruppi sociali: da partizione dettagliata quindi, compo- Chabod a Chittolini, da Arcangeli a sta di sezioni estese, ma a loro volta Cremonini, da Sabbadini a Signo- fitte di suddivisioni e specifici riferi- rotto. Per quanto infatti l’analisi dei menti storici a battaglie e assedi, di fatti militari rappresenti la bussola cui forse il lettore avrebbe ancor orientativa della ricerca, le più con- meglio beneficiato attraverso una for - vincenti spiegazioni dei fenomeni ma più condensata, con la parziale chiamati in causa ridefiniscono il rinuncia ad alcuni pur vividi appro- peso dei fattori del militare tout court fondimenti documentari sulle varie nella guerra permanente e in larga scansioni della guerra franco asbur- misura lo trascendono: anzi proprio i gica in Italia settentrionale. passaggi con cui l’autore avvia un Senz’altro le dinastie e i signori travaso di significatività storica dal emiliani vengono inquadrati nella

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 396 Recensioni e schede loro potenziale importanza militare, ampio piano di dominio imperiale e spesso nella loro chiara disposizione (pp. 506 e ss.). Da parte asburgica ci filofrancese comune a molti. Così, li- fu invece una capacità di coinvolgi- berandoci dall’illusione di un Italia mento nel gioco della monarchia cui filoimperiale, appaiono chiaramente la dinastia francese non seppe e non schierati e simpatizzanti del Re cri- poté rispondere nel contesto italiano stianissimo i conti Pico e i Farnese con altrettanta efficacia. (pp. 426 e ss.) ma anche, seppur in Nella prima parte (I fatti del 36. maniera meno netta e più ondivaga, le due invasioni e il blocco di Torino) gli Este, mentre una più sicura fedeltà l’analisi si dimostra quindi declinata asburgica era dimostrata dai Gonzaga più nettamente sulla prospettiva del di Mantova, dai conti Trivulzio e dal “dato militare” (pp. 59 e ss.), senza sottobosco di signori territoriali pa- derogare a considerazioni capaci di dani. Non a caso proprio i momenti investire il più ampio tema delle della guerra di Parma e la congiura strategie politiche e dei mezzi messi contro Pierluigi segnarono un’acce- in campo per realizzarle. Ne risultano lerazione «nell’allineamento dei feu- ad esempio considerazioni d’interesse datari emiliani alla causa imperiale», sull’adesione alla causa imperiale nella misura in cui il potere sovra- del ceto dei tecnici del diritto, ‘i conti nazionale dell’imperatore liberava i palatini’, legittimati ad esercitare la piccoli signori dalla dipendenza diretta professione legale, anche in questo dei duchi di Parma, in un gioco ap- caso, da un diploma imperiale, ac- punto tra grande potere imperiale e quistato per lo più per compraven- poteri territoriali minori che ritorna dita. Nel 1544 proprio la forza delle variamente modulato anche in altre «coalizioni morali» era capace di ar- circostanze: ad esempio con i Rossi restare le truppe di Francesco I molto di San Secondo, i Sanseverino ei Pal- più che le truppe guidate dal De lavicino. A Piacenza i grandi nomi Leyva, a favore di una dinastia, della nobiltà non solo versarono fondi quella degli Asburgo, «ricca di territori per il mantenimento della guarnigione da infeudare e di entrate da impe- imperiale durante la guerra contro i gnare». Era quindi in questa pro- Farnese, ma consolidarono questo spettiva, alla luce dell’impossibilità aiuto militare con la «loro capacità di equiparare comunque escalation politica, garantita dalla lealtà di vaste fiscale e costi militari, che gli Asburgo reti clientelari in città, di mobilitare distribuivano denari, privilegi, con- uomini dabbene nella difesa territo- cessioni di varia natura che avreb- riale, in servizi notturni, e talora bero reso disponibili «risorse umane, diurni di guardia sulle mura e sulle cognitive finanziarie» capaci di con- porte» (p. 449). E questi soggetti, pa- tribuire in maniera decisiva alla di- trizi e feudatari che fossero, ebbero fesa dei domini (p. 57). un peso e un vantaggio nella pratica Sottolineato questo aspetto con della fedeltà imperiale, mentre la loro lucidità, nello svolgimento del volume disponibilità di uomini e mezzi ali- si mettono in discussione alcuni as- mentava una ulteriore e capillare sunti di storia e tecnica militare. In rete di clientele che veniva così a le- particolare col blocco di Torino del garsi attraverso i loro patroni al più 1536, entra in crisi il concetto di bat-

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Recensioni e schede 397 taglia risolutiva, capace di annientare appariva un fattore lontano da essere l’avversario conquistandone lo stato risolutivo», in un quadro in cui pre- in un unico scontro campale. Da vale la «netta superiorità della difesa quell’anno le battaglie in campo aperto sull’offesa, mentre gli assedianti divengono un evento eccezionale (p. erano sottoposti a gravissime perdite 59), mentre la guerra tende a pietrifi- sin dalle prime fasi delle operazioni» carsi nelle strutture difensive nate (p. 122). E nella guerra guerreggiata come risposta allo sviluppo delle ar- paradossalmente il trattato e la resa tiglierie. Nel confronto tra potenze finivano per costituire i risultati emerge opportunamente la mai troppo migliori, ottenuti attraverso il guasto sottolineata superiorità dei Francesi dei terreni e la «stretta» sulla città, sull’esercito asburgico, soprattutto strategia questa che consisteva nella relativamente alla disponibilità e qua- difesa dell’area occupata dagli asse- lità delle bocche di fuoco. I costi lievi- dianti intorno alla posizione nemica, tavano proprio nella costruzione del- quasi costoro fossero diventati i veri l’architettura difensiva, in Francia prigionieri di una strategia sfibrante come nel ducato di Modena, a Novara soprattutto per chi assediava. come a Voghera, dove si rendevano Attraverso la ricostruzione di una necessarie nuove tasse per le fortifi- lunga trama di fatti e passaggi estre- cazioni. L’ormai canonica trace ita- mamente dettagliata e minuta, che lienne, con i suoi alti costi, aveva l’autore sceglie di mantenere come come corollario, secondo l’autore, la cifra del volume, al cuore dell’inter- necessità di imporre una gestione pretazione si pone in sostanza la contrattuale con le istituzioni locali considerazione dell’inadeguatezza del- coinvolte e del contado, obbligate a la fiscalità imperiale e spagnola a versare contribuiti di uomini denaro soddisfare i costi della guerra. Nono- e mezzi, talvolta contesi da città stante l’impegno sull’entrate future diverse (Pavia e Tortona, ad esempio, dello Stato di Milano, al netto del si- p. 83). Assieme ai sogni della guerra stema dei prestiti ottenuti dai grandi lampo, vennero meno anche quelli banchieri, e malgrado la collocazione che le fortificazioni avrebbero reso del prestito a interesse presso i mag- inutili i forti eserciti stanziali. Tutto giorenti dei domini a loro sottoposti, in sostanza questo sistema necessitava gli Asburgo poterono sostenere la di denaro, e soprattutto a richieder- guerra solo a costo di coinvolgere nel loerano il momentolo spostamento mercato delle giurisdizioni e del con- dei mezzi edelle truppe nonché il loro senso feudatari, patrizi, comunità, acquartieramento. notabili duchi dei territori italiani. Sul piano più squisitamente tat- Proprio questa assimilazione alla cau- tico-militare, nel corso dell’analisi di sa sembra costituire un anello inter- Rabà viene confutata anche l’idea pretativo molto importante capace di che in quegli anni i parchi dell’arti- sostenere le logiche dell’egemonia più glieria fossero diventati particolar- che non i cannoni o il sostegno della mente consistenti, così come viene fiscalità in tutte le sue forme. segnalata l’assoluta sporadicità dei Questo consenso fa a sua volta bombardamenti in piena regola; in gioco sul «nesso logico» che lega la più occasioni la «potenza di fuoco natura conflittuale dei poteri locali a

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 398 Recensioni e schede una strategia fondata sui trattati (p. ramento e del rinforzo delle artiglierie 134). Il persistere sotto varie forme e dei ranghi militari. metamorfizzate di fazioni guelfi e ghi- Questo sistema viene coinvolto nel bellini, rintracciabili pressoché dap- disegno egemonico, sia da parte asbur- pertutto nello Stato milanese, rese gica che dagli avversari francesi, anche evidente quanto remunerativa fosse se la sua valutazione viene fatta so- la creazione di un consesso che re- prattutto in rapporto al governo spa- stituisse quelle risorse che la Camera gnolo del ducato di Milano, e a quello milanese non avrebbe mai potuto dei ducati padani di Modena Reggio, elargire o anticipare (p. 198; 269). Parma e Mantova, non escludendo Senz’altro i maggiori finanziatori ve- dal gioco neppure la fitta trama di devano restituiti i loro servizi con giurisdizioni cittadine (Novara, ad elargizione di quote giurisdizionali e esempio), capaci anch’esse di giocare protezioni, e esenzioni dalle disposi- un ruolo sia dal punto di vista militare zioni generali, ad esempio quelle ri- che, soprattutto fiscale e giurisdizio- guardanti gli acquartieramenti (p. nale. Necessariamente un po’ più in 279). In sostanza le puntuali verifiche ombra resta rispetto a città e feudatari fatte su momenti bellici e situazioni la presenza delle piccole comunità, territoriali confermano con dati nuovi che pure furono capaci di produrre la straordinaria capacità della mo- una loro azione, ad esempio di fronte narchia ispanica di coinvolgere le alla questione degli acquartieramenti. élite locali in sistemi di carriere e di In questo grande contesto regio- renderle partecipi di un grande si- nale il rapporto tra poteri periferici e stema degli onori, come indicato da poteri centrali assume specificità e Spagnoletti nei suoi tratti generali necessari margini di ambiguità, che (p. 354). Rabà accoglie questa acqui- si spiegano e si esauriscono talvolta sizione storiografica, dandone tangi- attraverso situazioni di brevissimo bile e specifico significato attraverso periodo o percorsi biografici personali uno scavo documentario imponente (pp. 385 ss.) e che proprio in virtù di e diversificato, per poi calarla nella tale malleabilità, fragilità e fugacità complessità del quadro dell’Italia necessitano di assidua cura politica, settentrionale. La particolare natura sorveglianza e rinegoziazione. e storia delle giurisdizioni, fossero esse stati, città, famiglie, finanche Stefano Calonaci ceti o burocrazie di governo, che ca- ratterizza l’Italia del nord diventa nella sua interrelazione col grande Emanuele Fiume, Giovanni Calvino, potere centrale un fattore delle guerre Salerno Editrice, Roma, 2017, pp. 304; d’Italia. La competizione tra città e Silvana Nitti, Lutero, Salerno Editrice, contadi, tra città diverse, tra ascen- Roma, 2017, pp. 528 denze latamente guelfe e ghibelline dei gruppi aristocratici, tra feudatari Tra il maggio e il dicembre del e principi territoriali, costituirono 2017, due notevoli biografie hanno un campo d’azione che si sovrappo- conosciuto l’onore dei torchi. Il Gio- neva ai campi di battaglia, alle esi- vanni Calvino di Emanuele Fiume e genze degli eserciti, dell’acquartie- il Lutero di Silvana Nitti sono certa-

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Recensioni e schede 399 mente lavori d’eccezione tra le nume- «la “seconda parte” della vita di Lutero rose opere storiografiche che sono non è meno importante della “prima”» state pubblicate in occasione del Cin- (ibid.). quecentenario della Riforma Prote- In un certo senso, anche Fiume ha stante: appartenenti entrambi alla avvertito l’esigenza di rimediare al collana “Profili”, fondata da Luigi vuoto d’interesse dimostrato dagli storici Firpo e allora diretta da Giuseppe italiani nei confronti di Giovanni Cal- Galasso, s’inseriscono tra i tentativi vino. Dopo i due volumi firmati da Re- più riusciti di rendere vive le perso- nato Freschi nel 1934, il Giovanni Cal- nalità differenti dei due riformatori. vino e la Riforma in Ginevra di Adolfo Dagli inizi del ‘900, quando il do- Omodeo (pubblicato postumo, nel 1947, menicano Heinrich Denifle offrì una a cura di Benedetto Croce) e la più re- ricostruzione polemica e dissacrante cente biografia scritta da Giorgio Tourn della vita del monaco di Eisleben, per Claudiana, l’autore della Salerno sulla figura di Lutero sono stati ver- ha mantenuto fede all’intento pro- sati fiumi di inchiostro. Offrendo grammatico di nettare l’immagine del prospettive diverse, le biografie a se- riformatore piccardo dagli elementi guire hanno continuato analogamente ideologici che hanno gravato sulle ri- a riportare il marchio interpretativo costruzioni della sua vita: «eresiarca dei rispettivi autori: come nel 1950, per i cattolici, intollerante per gli illu- con Here I stand, Roland Bainton ministi, inventore del capitalismo per aveva fatto del suo oggetto di studio i marxisti» (pp. 7-8), nelle pagine di il “profeta” della nazione tedesca, Fiume Calvino appare un perfetto così nel 2013, Heinz Schilling ci ha uomo del Cinquecento, coerente nel presentato un Lutero ribelle fin dal ruolo di teologo e predicatore nella titolo della sua imponente opera. Di- sfera pubblica come pure in quello di versamente, scegliendo di focalizzarsi coniuge e di privato cittadino. sugli anni compresi tra il 1515 e il Giacché le due opere risentono 1525, Lucien Febvre, prima, e Adria- delle chiavi di lettura di cui si sono no Prosperi e Mario Miegge, poi, han- serviti i relativi autori, le figure diver- no contribuito all’impressione diffusa sissime a cui ci stiamo riferendo non che il tempo della maturità del teologo sono analizzate secondo un criterio fosse caratterizzato da un appiatti- puramente cronologico e in rapporto mento del pensiero. Conscia di questo all’avvicendarsi dei fatti, ma vengono equivoco e del fatto che nel panorama assoggettate ad altrettanto distinti storiografico italiano il profilo bio- impianti formali che ne riflettono al grafico del riformatore non venisse meglio le personalità e le esperienze tracciato per intero da quasi un se- di vita. D’altra parte, come lucida- colo, la Nitti ha colto la sfida di mente coglie Fiume a proposito delle offrire al pubblico «un Lutero quanto conversioni di Calvino e Lutero, que- più possibile completo» (p. 10), omag- st’ultimo «era un monaco angustiato giando non soltanto «il genere lette- spiritualmente dall’impossibilità del rario della biografia, che prevede di personale compimento della legge; arrivare fino alla morte del protago- Calvino era un umanista che ascoltò nista», ma soprattutto mostrando il Vangelo della sola grazia e vi si sco- quanto, a suo parere ed anche nostro, prì vincolato» (p. 106). Non a caso, le

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Anfechtungen ampiamente affrontate con ironia e «con un po’ di approssi- dalla Nitti, ovvero le tentazioni dello mazione, che non c’è vicenda europea, spirito a cui Lutero era indotto dalle negli anni tra il 1517 e il 1546, in sue tremende angosce circa il dubbio cui non si trovi traccia della sua pre- sulla salvezza, costituiscono la cor- senza» (ibid.). Inoltre, sebbene vivesse nice entro cui viene inscritta la da «monaco in un convento della pro- determinante intuizione che avviò la vincia tedesca» (p. 139), egli dimostrò Riforma: le opere non servono alla un’«imprevedibile attitudine a capire salvezza individuale e l’uomo è simul l’importanza delle novità, e a saperle iustus et peccator, dunque un pecca- sfruttare»: con la consapevolezza di tore rivestito dalla giustizia di Dio. dover raggiungere un pubblico il più La grandiosità del pensiero lute- vasto possibile per suscitare una rano - impossibile da riassumere nei serie di dinamiche volte alla realiz- quattro motti sola gratia, solo Christo, zazione delle sue proposte di riforma, sola fide, sola scriptura – si dispiega scrisse intenzionalmente «per essere fino all’ultima pagina dell’opera della pubblicato e diffuso», avvalendosi con Nitti, a maggior riprova di quanto successo delle potenzialità della «(re- fosse importante proseguire la rico- lativamente) recente invenzione della struzione biografica oltre le date della stampa a caratteri mobili» (ibid.). guerra dei contadini e della pubbli- Nel 1520, dunque, l’anno cruciale cazione del De servo arbitrio. Indu- a cui risalgono gli scritti riformatori, giando per i primi quattro capitoli la fama del monaco-professore si era sul periodo compreso tra l’infanzia trasmessa definitivamente dalle aule del teologo e il 1515, cioè dagli studi della Leucorea alle pubbliche piazze condotti tra la Turingia e la Sassonia d’Europa. È in questo contesto che i all’insegnamento presso l’università teologi parigini percepirono l’urgenza di Wittenberg, l’autrice introduce il di conciliare l’ortodossia cattolica con lettore alla dottrina luterana con pas- le istanze di riforma provenienti dal so cadenzato, trattando dapprima gallicanesimo ed è proprio qui, nella della “scoperta dell’Evangelo” e subito Francia del rex christianissimus Fran- dopo della tanto discussa affissione cesco I, che prese avvio la vicenda teo- delle 95 tesi sulle indulgenze. Da logica di Jehan Cauvin, considerato questo momento, tenuto conto delle comunemente «una delle chiavi di volta imputazioni di eresia, dispregio del della modernità occidentale» (p. 7). potere ecclesiastico e ribellione al Calvino, dall’indole schiva e man- papa, l’autrice pone le riflessioni del sueta, viene dichiaratamente inqua- protagonista così accusato in un rap- drato da Fiume nei panni di un in- porto dialettico con le posizioni dei colpevole fuggiasco, sradicato dai luo- suoi avversari: Alberto, l’arcivescovo ghi di nascita e formazione e diviso di Magonza; il domenicano Tetzel; principalmente tra Basilea, Ginevra Prieras; il cardinale Caetano; Eck. e Strasburgo. Fin dagli anni della Lutero però, «che non fu solo pen- prima maturità, le peregrinazioni del siero» (p. 12), si lasciò spesso coin- riformatore sono subordinate allo volgere volutamente in molteplici que- scenario internazionale - a cui è pure stioni organizzative, politiche ed isti- appositamente dedicato uno degli tuzionali, tant’è che la Nitti afferma otto capitoli che compongono l’opera

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– e ai contesti politici e religiosi in fino alla tomba come il profugo di cui cui egli si trovò a vivere, a formarsi e parla il sottotitolo. L’ille gallus - così a predicare. Infatti, i «fremiti di riforma veniva appellato dai ginevrini - era religiosa» che animavano il suolo quindi poco più che un semplice francese «ben prima della protesta di «straniero immigrato» (p. 8) tra i mol- Lutero» (p. 20) resero pericolosa l’ami- tissimi profughi religionis causa che cizia con Nicola Cop, rettore filolute- accoglieva e curava personalmente, rano della Sorbona; a seguito dello una figura molto lontana da quella di scandaloso “affaire des placards”, il “intollerante tiranno” che un certo riformatore non poté che abbandonare filone interpretativo ostile al riforma- Parigi e scegliere la via dell’esilio. tore ci ha lungo proposto. Dal punto di vista teologico, come Al di là delle differenze di struttura dimostra la lettera di risposta al car- che oppongono i 27 capitoli del Lutero dinale Sadoleto riportata quasi per al più denso Giovanni Calvino, le due intero nel testo, già nel 1539, durante biografie presentano comunque una il suo soggiorno a Strasburgo, Calvino cifra comune, in quanto entrambe, aveva reso la giustificazione per grazia pur non essendo caratterizzate da un l’unico fondamento della vera chiesa. taglio interpretativo di tipo apologetico, Il libero decreto di Dio, l’etica cristiana mettono in discussione gli antichi all’interno della comunità dei credenti studi ideologici condotti sulle vite dei e la concezione dell’autorità religiosa due riformatori, arrivando a confutare a latere del potere secolare trovano le accuse infamanti che nel corso dei ampio spazio nella biografia, special- secoli ne hanno in qualche modo mente tra i paragrafi dedicati al ri- macchiato la memoria. Lutero non fu torno a Ginevra e ai rapporti contro- affatto l’empio promotore del massacro versi con la Signoria. dei contadini, né un maschilista con- In una sorta di fatale compimento trario per principio alla possibilità della “maledizione” pronunciata da che le donne predicassero, ma so- Farel, Calvino intessé con la città prattutto non è nel suo pensiero che lemana una «relazione complessa, va ricercata la radice ideologica delle dolorosa, ma storicamente inossida- stragi antisemite del XX secolo; ugual- bile» (p. 44): avversato dalla fazione mente, Calvino non può essere con- politica a sostegno di Ami Perrin, siderato un morigerato intransigente, contestato sul diritto di decidere sui nemico giurato del lusso e dell’ozio, casi di scomunica e privato della cit- né l’assoluto responsabile della morte tadinanza fino a pochi anni prima sul rogo di Michele Serveto, lo spa- della morte, Calvino propugnava per gnolo antitrinitario tenuto ad una Ginevra un dialogo permanente tra prudente distanza già dal 1546 e con- l’autorità religiosa e quella civile, dannato da un tribunale civile all’in- considerandolo come il prerequisito terno del quale il riformatore non go- necessario per la sperimentazione deva di alcuna autorità. della salvezza collettiva. Qui, tutta- In tutto e per tutto figli della loro via, dove perfezionò la sua dottrina epoca e così parzialmente giustificati, della predestinazione eterna e l’idea nell’Europa del XVI secolo Lutero e di «chiesa visibile al servizio dei mezzi Calvino hanno provocato un «crinale di grazia» (p. 114), venne percepito dal quale si poté riconoscere un “pri-

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 402 Recensioni e schede ma” e un “dopo”» (Nitti, p. 9). La Nitti trabbando dilagato in seguito all’ado- e Fiume, riproponendone una lettura zione delle misure fiscali da parte dei complessa, hanno il merito di aver governi statali, sul quale Levati si reso più intellegibili le ragioni di que- concentra nella seconda parte del vo- sta cesura. lume, è indagato non tanto nei suoi Rita Profeta risvolti economici quanto nella misura in cui rappresentò un campo d’azione per le istituzioni che fecero della lotta Stefano Levati, Storia del tabacco nel- alle frodi uno strumento di legittima- l’Italia moderna, Viella, Roma 2017, zione e un’occasione per stringere le pp. 276 maglie del controllo ed erodere i pri- vilegi. La nuova moda del tabacco, Il libro di Stefano Levati prende che tanta traccia di sé ha lasciato in esame le vicende di una delle più nelle carte delle magistrature con importanti «merci globali» dell’età mo- competenze finanziarie e fiscali, di- derna (Conrad), di quel prodotto che venta così un originale spunto per forse più di tutti ha assunto la fun- continuare a discutere «quel processo zione di agente di «transculturazione» di ridefinizione della sovranità e di (Ortiz), plasmando le fisionomie delle state building che è una delle questioni società su scala mondiale. «Se davvero interpretative su cui a lungo si è in- tutti gli uomini sono fratelli, mai lo terrogata la storiografia modernistica hanno dimostrato quanto nell’arren- dal dopoguerra a oggi». dersi alla nicotina», ebbe a scrivere Nel capitolo 1 si tratteggia la dif- Victor Kiernan in un libro sulla storia fusione della pianta americana, che, del tabacco tradotto in Italia all’inizio descritta per primo da Colombo, passò degli anni ’90 del secolo scorso; e un dai Caraibi all’Europa e di qui al- altro lavoro, più recente, di Marcello l’Africa e all’Asia fino alla Cina e alle Carmagnani ha indicato proprio nel Filippine. Nel Vecchio continente il tabacco una delle principali micce di tabacco si diffuse lentamente, all’inizio quella “rivoluzione” che, tra 1650 e in virtù delle sue presunte proprietà 1800, produsse «nuovi consumi» e terapeutiche (Caterina de’ Medici era un «nuova cultura economica». convinta che potesse guarire la sua Nella prospettiva dell’autore del emicrania), e in un secondo momento, libro che presentiamo, questa “rivo- come genere voluttuario, fra marinai, luzione” è osservata e analizzata – soldati, ecclesiastici, studenti uni- su scala più limitatamente “italiana” versitari, infine nelle élite. L’autore - con gli occhi delle autorità costituite. ne descrive il percorso basandosi su Ben presto, infatti, ci si accorse che un ampio apparato critico, e ricor- il tabacco, rapidamente diffusosi tra rendo anche a fonti letterarie e ico- la popolazione a tutti i livelli, poteva nografiche che rendono piacevole la diventare una “miniera d’oro” («feuille lettura e fanno del libro, oltreché il d’impôt»: così definirono l’erbe à Nicot risultato di una seria ricerca, un ot- i fratelli Vigié), e rimpolpare gli erari timo strumento di divulgazione. degli Stati preunitari, che dovevano Per quanto associata, come nel fare i conti con le nuove spese di na- resto d’Europa, alla bestialità e al tura militare. E il fenomeno del con- mondo degli inferi, nel panorama ita-

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Recensioni e schede 403 liano del primo Seicento l’assunzione Sta di fatto che per quasi due se- di tabacco non ebbe difficoltà a dila- coli in gran parte dell’Italia il tabacco gare, come dimostra anzitutto una venne sfruttato per le sue potenzialità trattatistica divenuta copiosa a partire fiscali. Generalmente, all’applicazione dagli anni ’30 del XVII secolo. Anche di imposte sul commercio venne pre- «dedicare poesie o spettacoli teatrali ferita col tempo la creazione di pri- al tabacco […] era di per sé un chiaro vative, giustificate sia con la natura indicatore della dimensione che il fe- voluttuaria del consumo, sia con l’esi- nomeno aveva assunto in quegli anni». genza di tutelare la salute pubblica: Alla pianta americana si poteva at- per la verità, non perché si ritenesse tribuire la proprietà di far tornare i il tabacco nocivo, ma perché si temeva morti in vita, come in un divertisse- che venisse manipolato e mescolato ment poetico di Francesco Zucchi con «polveri di altre cose vilissime e (1636); o accusarla di favorire la cal- di nessuna virtù». Apripista furono il vizia precoce, come nel trattato del Regno di Napoli e il Ducato di Milano, medico Giacomo Cuffari (1645). In premuti dalle pesanti richieste della una girandola di opinioni contrappo- Corona spagnola. Poi, intorno alla ste, c’era chi riteneva che il tabacco metà del Seicento, quasi tutti gli altri fosse utile agli studiosi per la loro Stati della penisola – mancando di concentrazione (un altro «dottore fi- un «articolato ordinamento ammini- sico»), chi lo definiva «panacea d’ogni strativo periferico sul quale innestare morbo e piaga» (il monaco cistercense un efficiente sistema di gestione di- Benedetto Stella), ma anche chi lo retta della privativa» – ricorsero alla paragonava a un «contagio», a una soluzione dell’appalto, andando talora «polvere» che «imbratta tutti: piccoli incontro a qualche delusione per le e grandi, nobili e plebei, poveri e ric- insufficienze di capitali e di organiz- chi, cristiani e giudei» (il poeta Ales- zazione delle prime imprese appalta- sandro Sanlorini). Con il XVIII secolo, trici. Dopo i necessari aggiustamenti, invece, al tabacco vennero dedicate però, le privative assicurarono quasi opere di ispirazione agronomica che dappertutto utili crescenti, grazie suggerivano alle autorità di avviarne principalmente a un aumento co- la coltivazione in loco, e altre legate stante del consumo di tabacco (specie alla montante campagna di opinione quello da fiuto) per tutto il corso del- contro le privative e a favore della li- l’età moderna. Il testo riporta dati beralizzazione del mercato, che ri- impressionanti nel caso di Venezia, sentiva dei nuovi venti della fisiocrazia dove i prezzi di appalto della privativa francese. Anche «Il Caffè» si interessò aumentarono in 150 anni di 70 volte; all’argomento: se Cesare Beccaria mentre nelle casse del Regno di Sar- formulò un giudizio negativo sul ta- degna gli incassi garantiti dal mono- bacco («ci appesta ed avvelena la boc- polio del tabacco crebbero del 1.500% ca»), altri insistevano sull’insosteni- in poco più di un secolo; e a Napoli, bilità dell’approvvigionamento dal- sul finire della dominazione austriaca, l’estero di un prodotto il cui consumo l’appalto fruttava il 9% delle entrate era ormai generalizzato e sull’oppor- statali. Tutti questi dati sono snoc- tunità di incentivarne la produzione ciolati in un paio di paragrafi: forse all’interno dei confini statali. l’unica concessione alla dimensione

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 404 Recensioni e schede economica del fenomeno, all’interno tiche, erano i più avvantaggiati, po- di una ricerca che ha prediletto gli tendo contare sull’extraterritorialità aspetti sociali ed istituzionali. dei luoghi sacri, specie i monasteri, Eminentemente sociale è l’inte- in cui impiantare magazzini per lo resse espresso dall’autore per il mer- stoccaggio e lo smistamento del ta- cato illegale e per i protagonisti dei bacco di contrabbando, o addirittura traffici di contrabbando, che mette- delle coltivazioni illegali dell’«erba re- vano a serio rischio la tenuta del si- gina». Come si evince dalla documen- stema di gestione del monopolio (gli tazione giudiziaria, talvolta preti e impresari erano naturalmente sco- frati erano collusi con i grandi con- raggiati dal dilagare delle frodi). In trabbandieri, da cui compravano in- linea con la storiografia “istituziona- genti quantitativi di merce; e non lista” più attenta, incline a descrivere erano immuni da frodi neppure i mo- lo scenario politico di ancien régime nasteri femminili, come dimostrò un’in- come un’arena popolata da una mol- chiesta promossa dal governo napo- teplicità di attori in competizione, letano nel 1752. Insomma, le attività Levati usa il concetto di “spazio” per illecite del clero furono una costante raccontare la tensione tra chi, me- per tutto il corso dell’età moderna, scolato nel corpo sociale, provava a aggravate da una scarsa collaborazione ritagliarsene per godere di privilegi e delle autorità ecclesiastiche nel per- perforare il tessuto normativo messo seguirle ed estirparle. I militari non a punto dalle autorità e chi, azionando godevano di formali privilegi, ma co- le leve del potere statuale, voleva sof- stituivano una sorta di corpo separato focare quei particolarismi con un all’interno della società, e la loro fun- unico e omogeneizzante dettato giu- zione cruciale ai fini della difesa terri- risdizionale. Nelle parole dell’autore, toriale e del mantenimento dell’ordine «la lotta al contrabbando del tabacco pubblico assicurava loro una certa nel corso dell’età moderna ben si indulgenza da parte dei governi. presta come cartina di tornasole per Negli Stati marittimi, come emerge indagare il conflitto crescente tra da una ricerca che sta conducendo Stato e società», fra le istanze del di- l’autore di questa recensione, lo stesso sciplinamento e dell’autonomia. In favore era accordato anche agli equi- effetti il vero problema, per la difesa paggi delle galee pubbliche: quando, delle privative, non era controllare a inizio Settecento, la Camera di go- l’introduzione dei tabacchi di con- verno genovese propose di procedere trabbando alle frontiere, ma limitare ex informata conscientia «e senza al- l’accesso a questo tabacco clandestino cuna formalità di pruove» contro i re- alle “fasce privilegiate”, a quei soggetti matori schiavi colpevoli di contrab- che godevano di privilegi personali. bando, il Minor Consiglio si oppose Ecclesiastici, militari, nobili, fun- adducendo che non conveniva «togliere zionari corrotti: da costoro, sapienti alla chiurme questo proveccio». organizzatori del mercato illegale, pro- Su nobili e funzionari c’è poco da venivano le vere minacce alle privative. dire: i primi erano i privilegiati per Gli ecclesiastici, che dal tabacco avreb- eccellenza, e possedevano le «entrature bero potuto trarre giovamento anche politiche» per corrompere i doganieri, per le sue presunte proprietà antiero- o successivamente i giudici; il ruolo

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Recensioni e schede 405 attivo dei secondi si collega alla natura appuntò sugli ostici e annosi problemi corruttibile dell’essere umano: e in delle esenzioni feudali e del diritto questo senso la documentazione ci d’asilo. Per far rispettare tali norme offre una casistica sterminata, dalle vennero impiegati dei corpi armati – vendite di tabacco di contrabbando assoldati dagli appaltatori o messi a all’adulterazione di quello delle pri- disposizione dai governi – i quali però vative, dai mancati controlli ai confini si dimostrarono spesso numerica- e alle porte delle città a manifatture e mente insufficienti per affrontare il coltivazioni esercitate in clandestinità. compito a cui erano chiamati. Di so- «Spazi mobili» infiniti, in cui si inseriva lito, i costi di queste forze di polizia di volta in volta una molteplicità di erano a carico degli appaltatori, che soggetti che sfuggivano alle maglie tendevano a risparmiare il più possi- dello Stato; il quale doveva fare i bile su quella voce, cercando invece conti anche con l’impossibilità di in- di costringere lo Stato a intervenire seguire e perseguire i trasgressori al con l’esercito: ma se l’operato delle di là del proprio territorio. I confini guardie delle privative non era all’al- tra Stato di Milano, Regno di Sardegna tezza, l’intervento pubblico era spo- e Repubblica di Genova; quello friu- radico e aveva risultati non propor- lano; la val di Nievole e la lunga fron- zionali alle spese di mobilitazione. A tiera orientale tra Granducato di To- peggiorare le cose interveniva la scarsa scana e Stato della Chiesa; le terre collaborazione, motivata da “gelosie” che dividevano quest’ultimo dal Regno di natura giurisdizionale, tra gli im- di Napoli, spesso infeudate a potenti presari e i loro subaffittuari sul ter- famiglie baronali che alimentavano il ritorio, cioè i privati, e i giusdicenti contrabbando; per non parlare delle con i relativi manipoli di militari, cioè lunghissime zone costiere: qui si an- i pubblici, con questi ultimi poco in- nidavano le bande di contrabbandieri clini a favorire l’azione di controllo e si organizzavano i modi e i tempi dei primi e a fornire l’adeguato «brac- del mercato illegale, accettato e anzi cio di giustizia». Senza contare che favorito dalle popolazioni locali. gli stessi corpi armati erano composti Dopo aver dimostrato che l’ambi- da uomini di infima estrazione sociale, zioso obiettivo della «reductio ad unum che non solo si lasciavano andare a degli spazi territoriali dello Stato» violenze e abusi, ma non di rado non venne centrato, l’autore spiega erano collusi con i contrabbandieri. come le istituzioni provarono a tute- Quando ci si rese conto che la lare i propri interessi fiscali, operando lotta al contrabbando costituiva una una distinzione tra la prima e la se- “piaga” non curabile, e che per con- conda metà del XVIII secolo. Le norme tinuare a trarre profitti dal consumo volte a identificare le frodi e definire del tabacco non sarebbe bastata la le pene, a supporto dell’attività degli tradizionale azione di supporto alle appaltatori, vennero prodotte, com’è imprese appaltatrici delle privative, ovvio, fin dalla prima istituzione delle gli Stati italiani ricorsero a soluzioni privative, ma divenne sempre più alternative. La decisione più drastica dettagliata e severa nel corso del Set- fu quella di abolire le privative stesse: tecento – probabilmente in risposta vista l’inarrestabilità delle frodi, che all’aumento dei contrabbandi – e si metteva gli impresari nella condizione

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 406 Recensioni e schede di non poter onorare i loro impegni stanco di spendere per contrastare contrattuali, si decise di liberalizzare le frodi, si fece dare in concessione il mercato. Il primo ad adottare questa alcune terre dalmate da mettere a misura fu, negli anni Cinquanta, lo coltura, arrivando a produrre in pochi Stato Pontificio, il che provocò una anni quasi 1.000 balle di tabacco. reazione da parte del Granducato di I venti rivoluzionari in pochi anni Toscana – inizialmente danneggiato portarono ovunque forti e repentini dalla liberalizzazione romana –, dove stravolgimenti. L’abolizione di ogni tipo la privativa fu prima assunta dallo di fiscalità, che «sull’onda dell’entu- Stato (1768) e poi definitivamente siasmo di una palingenesi considerata abolita (1789), e da parte del Regno ormai prossima» venne perseguita in di Napoli, il quale prima ribadì la molti luoghi della penisola, fu seguita normativa in materia di contrabban- in taluni casi dalla reintroduzione do, ma infine adottò anch’esso la so- della privativa: come in Lombardia, luzione liberista. Torino, Genova e alla fine del 1796, dove sebbene fosse Milano optarono invece per una ge- riconosciuta ormai come «sconvenien- stione statale della produzione e del te», associata all’«annichilito monar- commercio: nel primo caso la linea chico governo», venne giustificata «a ebbe successo, anche grazie all’im- fronte di tanti impegni che a questo portazione di tecnici stranieri e a Stato s’affacciano». A chi sottolineava operazioni di spionaggio industriale i problemi di bilancio si opponeva con che permisero di migliorare notevol- forza chi – negli ambienti democratici mente la qualità del tabacco rapé – insisteva sull’iniquità e sull’«odiosità» prodotto in Piemonte; ma anche nella dei monopoli; ma nel clima politico Repubblica di San Giorgio le entrate più stabile creatosi con l’istituzione aumentarono solo con l’intervento della Repubblica Italiana nel 1802 eb- dello Stato e grazie al ricorso a tecnici bero facilmente ragione i fautori del competenti nella «manifatturazione», risanamento finanziario: in testa il nella fattispecie un olandese, poi ac- ministro delle finanze Giuseppe Prina, cusato di falsificazioni dai Savoia; che oculatamente affidò la Regia fab- mentre a Milano si concentrò la pro- brica ambrosiana (ricostruita presso duzione nella «Regia fabbrica», e le l’ex convento di Santa Teresa) all’im- autorità statali controllarono l’intera prenditore comasco Stefano Majnoni, filiera del tabacco, dall’importazione ottenendo un raddoppiamento degli dalle piazze greche e balcaniche alla utili della privativa nel breve volgere rivendita al minuto nelle province, di un lustro, e organizzò una moderna con prezzi uniformi per tutto lo Stato. guardia di finanza – con nuovi criteri Seguendo quanto aveva consigliato di reclutamento – alle dirette dipen- Ludovico Antonio Muratori nella sua denze del suo ministero. Monopolio di opera Della pubblica felicità, molti Stato e corpo adibito al perseguimento Stati italiani decisero inoltre di pun- dei reati finanziari: erano gettati i semi tare sulla coltivazione del tabacco; e della futura organizzazione italiana in in questo campo si distinse Venezia, materia di tabacco. dove l’acuto appaltatore Girolamo È davvero un piacere presentare Manfrin (qui la privativa sopravvisse questo lavoro: solido, serio, ben co- fino alla caduta della Repubblica), struito, ancorato alle fonti ma al tem-

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Recensioni e schede 407 po stesso capace di aperture divul- politiche e militari che investirono gative. Da un lato si ispira alle più l’Europa all’alba del XVIII secolo. recenti tendenze della storia globale, Lungi dall’assumere toni nazionali- e ad alcune delle grandi categorie in- stici o dal riproporre ricostruzioni terpretative della recente storiografia cronachistiche degli avvenimenti, gli (le frontiere e i confini, la transcultu- studi pubblicati nell’ultima decade razione, la spazialità fluida e mobile hanno offerto un significativo contri- dei soggetti politici); ma d’altro lato buto al dibattito storiografico e si rifà a una tradizione di studi che hanno restituito la giusta comples- ha salde radici nel XX secolo, incen- sità a un conflitto che ha ridefinito trata sui temi della formazione dello equilibri, relazioni di potere, pratiche Stato moderno, dell’operato delle isti- di fedeltà. In particolare, le ricerche tuzioni centrali sul territorio e dei che hanno visto la collaborazione fra suoi rapporti con il corpo sociale, dei studiosi italiani, francesi e spagnoli, sistemi fiscali e delle forze di controllo hanno consentito di mettere in luce impiegate per attivarli e tutelarli. quanto lo scontro fra la coalizione Specie su alcune questioni (ad esem- filoborbonica e quella filoaustriaca, pio il contrabbando e le figure sociali articolatasi soprattutto nell’area me - connesse alle pratiche illecite; la rior- di terranea, si sia dipanata su molte- ganizzazione amministrativa e finan- plici livelli, investendo il piano ziaria messa in atto dalla Repubblica sociale, politico, diplomatico. poi Regno d’Italia) si avverte la salda In questo filone di studi si inseri- padronanza dell’autore, che è stato sce il volume di Roberto Quiros, che capace da un lato di innestare questo ha quale oggetto la politica, intesa lavoro in un fertile terreno costituito come pratica di governo, di Carlo dai suoi studi pregressi e dall’altro d’Asburgo nella penisola italiana, di mettere al servizio del tema in og- uno dei teatri principali della guerra. getto (a tutti gli effetti “globale”) una L’Autore, attraverso un ampio uso di serie di esperienze storiografiche e di fonti archivistiche, articola il suo saperi metodologici ben ancorati alla lavoro attorno a tre punti principali: tradizione storiografica degli antichi l’organizzazione della macchina Stati italiani. amministrativa all’indomani della Paolo Calcagno conquista del ducato di Milano e del regno di Napoli (1707); l’integrazione dell’élite italiana all’interno della R. Quirós Rosado, Monarquía de monarchia carolina; il “potere esecu- Oriente. La corte de Carlos III y el tivo”, tra cambi e continuità. Uno gobierno de Italia durante la guerra degli elementi particolarmente inte- de Sucesión española, Marcial Pons ressanti della ricerca condotta da Historia, Madrid, 2017, pp. 467 Roberto Quiros è proprio l’analisi comparativa fra le dinamiche di La celebrazione dei trecento anni governo adottate nei due territori che dalla firma dei trattati che, nel 1713- insistono sulla penisola; attraverso 1714, posero fine alla Guerra di Suc- un punto d’osservazione che intrec- cessione Spagnola, ha dato vita a un cia contesto politico internazionale rinnovato interesse per le dinamiche con una più circoscritta dimensione

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 408 Recensioni e schede locale, il volume analizza attori, pra- dei regni italiani della Monarchia tiche e istituzioni. Fra i primi, parti- spagnola si erano creati fronti di dis- colare attenzione è rivolta, per sidenti che orchestravano congiure esempio, a Juan Antonio Romero, a che mettevano in collegamento Malta, Manuel Joaquín Álvarez de Toledo y Messina, Palermo, Napoli, Venezia, Portugal, conte di Oropresa, al prin- Vienna. cipe Eugenio di Savoia. Fu quest’ul- L’Autore, pur non tralasciando timo ad avviare, in qualità di di restituire al lettore la complessità governatore generale, le prime di queste reti, sposta l’attenzione riforme nel ducato di Milano, a par- sulla fase successiva, colmando così tire dal settembre del 1706. Come una carenza di studi su quella che sottolineato dall’Autore, i cambia- è stata la sperimentazione di stru- menti promossi, «no parecieron afec- menti di governo capaci di definire tar al patriciado y las magistraturas nuovi equilibri all’indomani del pas- locales […], las elites lombardas saggio di Milano e Napoli sotto l’ala aceptaron sin discrepancia el nuevo imperiale. Una delle linee seguite dominante» (p. 62). L’adesione del dall’Autore per delineare con mag- patriziato e delle magistrature locali giore chiarezza la fisionomia della alla nuova dinastia degli Asburgo del “Monarquia de Oriente” è la rico- ramo d’Austria avvenne attraverso struzione delle dinamiche di con- un delicatissimo gioco di do ut des, trattazione che furono intavolate di riconoscimenti e distribuzione di per la scelta del viceré a Napoli, per titoli, cariche, mercedes, che legava la definizione della politica fiscale le élites del Milanesado alla corte di da adottare, per dirimere il rapporto Vienna e di Barcellona, a Giuseppe I talvolta conflittuale tra le corti di e all’arciduca Carlo, espressione del Barcellona e di Vienna. Fu un vero e “bicefalismo” austriaco. proprio laboratorio politico, all’in- La presa di possesso dell’area terno del quale si mossero, ora in lombarda e il consolidamento del una comune direzione, ora in anti- potere austriaco – sebbene fosse tesi, rappresentanti del potere cen- anche il risultato di campagne mili- trale e membri delle istituzioni locali. tari che coinvolsero, direttamente o Lungi dal presentare forme di indirettamente, tutte le realtà politi- amministrazione in discontinuità che che insistevano sulla penisola con il passato, i primi anni del nuovo italiana – era stato agevolato dall’esi- governo austriaco in Italia videro un stenza di un’ampia rete di aristocra- ritorno alla Junta, organo collegiale tici, religiosi, ministri e “popolani” che, nel corso del Seicento, aveva che avevano sviluppato un profondo goduto di particolare fortuna nella sentimento antispagnolo prima (nelle Monarchia di Filippo III e Filippo IV ultime decadi del XVII secolo) e anti- di Spagna, fino a divenire lo stru- borbonico poi. Ciò si verificò anche mento chiave di governo durante il nel regno partenopeo, dove l’entrata regno di Carlo II. Nella linea di con- delle truppe imperiali fu facilitata da tinuità, Roberto Quiros sottolinea, esponenti del potere politico locale. Il però, la peculiarità della Junta de fenomeno è ben noto: in maniera più Italia, che «carente de instrucciones o meno diffusa e capillare, in ognuno específicas y fuera de una planifica-

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Recensioni e schede 409 ción institucional que abarcase all’attribuzione di cariche politiche todos los hipotéticos consejos temá- e titoli nobiliari, furono la Grandezza ticos o territoriales le la monarquía di Spagna e del Toison d’Oro gli carolina, debe achacarse a la recur- espedienti funzionali a rafforzare le- rente necessitas de Carlos III para gami di fedeltà o a crearne di nuovi. afianzar su corona y su poder priva- Anche in questo caso, ci troviamo di tivo sobre sus dos principales espa- fronte a pratiche note e ampiamente cios económicos y humanos en la adottate nel corso dell’età moderna, península Itálicas» (pp. 114-115). In ma che in questo particolare fran- sostanza, la mancanza di un Con- gente assunsero una particolare va- sejo de Italia attivo, fece sì che la lenza. In questo quadro generale, Junta non solo dovesse dirimere le l’Autore pone in evidenza le differenze questioni relative alle negoziazioni che intercorrevano fra Milano e Na- con gli altri potentati della penisola poli, nei tempi e nei modi di elargi- (Toscana, Genova, Venezia e, zione dei benefici. Uno studio scru- soprattutto, la Santa Sede), ma che poloso, che confluisce nella ricostru- assumesse anche competenze ben zione di una molteplicità di percorsi più ampie a livello di politica inter- individuali che, attraverso la loro nazionale. specificità, consentono di leggere il La ridefinizione dell’apparato di fenomeno muovendosi su livelli dif- governo da parte dell’arciduca Carlo ferenti, intrecciando dimensione po- diventa funzionale per mettere in litica, militare, sociale. Inoltre, questi evidenza la centralità, nell’agone in- percorsi sovente si dipanarono pa- ternazionale, di Milano e Napoli, e rallelamente a quelli intrapresi da per spiegare la definizione della com- oriundi spagnoli. È a loro che l’Autore plesse relazioni fra Vienna e Barcel- rivolge l’attenzione in apertura della lona, soprattutto fino al momento terza parte del volume, mettendo in del decesso di Giuseppe I. In questa evidenza la difficoltà talvolta riscon- fase di passaggio, che durò fino al- trata da Carlo d’Asburgo di mante- l’inizio della seconda decade del XVIII nere un equilibrio fra le aspirazioni secolo, particolare significato è at- degli esponenti delle élites locali e tribuito alla nomina dei consiglieri quelle spagnole, da secoli coinvolte per la ricostituzione del sistema di nella gestione del governo sulla pe- governo polisinodale, che ruotava nisola. È indubbio che «diferentes attorno ai Consejo de Castilla, de particulares y ministros castellanos, Estado e de Italia. Il coinvolgimento aragoneses y navarros lograron ren- di nobili italiani diventa uno stru- tas y oficios vinculados al real pa- mento politico fondamentale e, come trimonio napolitano para ejercerlos si è evidenziato, costituisce il secondo en persona o sustituirlos, siendo focus del volume. Come sottolinea prácticos en materia» (p. 312), e così Roberto Quiros «se generó un com- la contropartita doveva comunque plejo proceso de concesiones de pa- prevedere un “bilanciamento” con i tentes y privilegios a numerosas y re gnicoli, come racconta Roberto diferentes parentelas, individuos o Quiros, in modo tale da poter fugare comunidades en el Estado de Milán ogni possibilità di tensione e oppo- y el reino de Nápoles» (p. 209). Oltre sizione.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 410 Recensioni e schede

Questo ultimo tassello della ri- come non può essere trascurato il cerca, condotta sempre in chiave più ampio quadro internazionale e comparativa tra Milano e Napoli, co- la consapevolezza che la sperimen- niuga con equilibrio l’attenzione nei tazione della più idonea forma di go- confronti dell’eterogeneità degli attori verno a Milano e a Napoli si realizzava coinvolti nella sfera amministrativa in un contesto in cui la guerra si con l’analisi delle pratiche di governo, espandeva in tutta Europa. Questi così come si sono andate definendo molteplici livelli sono tenuti insieme negli anni immediatamente successivi da Roberto Quiros che, attraverso alla conquista. È qui che si completa cambi di prospettiva, riesce ad ac- il puzzle e che quindi emerge con compagnare il lettore nella non sem- maggiore chiarezza uno dei punti plice analisi delle relazioni, politiche fondamentali del volume: non leggere e sociali, che si dipanarono tanto al- la guerra di successione esclusiva- l’interno dei singoli territori, quanto mente sotto l’ottica del conflitto, dei trasversalmente mettendo in contatto momenti di rottura, delle disconti- le diverse corti europee. nuità, ma individuare delle linee di continuità, espressione della neces- Valentina Favarò sità del sovrano austriaco di muoversi nel rispetto di tradizioni che non possono – e probabilmente, non vo- Lionardo Vigo, Protostasi sicula o gliono – essere stravolte. Una pratica genesi della civiltà, a cura di Gia- di governo che aveva quale suo ele- como Girardi, prefazione di Antonino mento cardine l’assenza di omoge- De Francesco, Arbor Sapientiae, neità, modulandosi diversamente in Roma, 2017, pp. VII-416 base alle peculiarità politiche, sociali, istituzionali di ogni singolo regno. In L’edizione dell’opera del marchese Italia, in Spagna e in area fiamminga Lionardo Vigo Protostasi sicula, l’esercizio del potere di Carlo d’Asbur- sapientemente curata da Giacomo go si articolò pertanto seguendo dei Girardi, pone nuovamente all’atten- percorsi specifici, anche in conside- zione degli studiosi la figura dell’intel- razione del ruolo che queste realtà lettuale siciliano che visse tra il 1799 assumevano nella costruzione della e il 1879, soprattutto ad Acireale. Monarchia e nella legittimazione del Come sostiene nella sua prefa- potere: «el sistema político italiano zione Antonino De Francesco, durante proyectado desde las cortes de Bar- il XIX secolo «restò grande l’attenzione celona y Viena – ésta desde 1712 – verso la storia locale, destinata a in- se articuló en torno a las respuestas nervare il tema delle piccole patrie ofrecidas por la necessitas y la co- che accompagnò la nazionalizzazione strucción de un poder monárquico della penisola»; questa convisse con capaz de sostener los derechos di- un «processo di nazionalizzazione» násticos del soberano austriaco» (p. su scala propriamente italiana. In 415). Nella definizione delle pratiche quest’atmosfera politica e culturale, di governo non può chiaramente es- «nel Mezzogiorno d’Italia presero … sere ignorata la cesura del 1711, forma ben due nazionalismi – uno anno della morte di Giuseppe I. Così napoletano, l’altro siciliano – che

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Recensioni e schede 411 presero ad articolare il portato della della civiltà isolana, ritenuta ante- rispettiva tradizione antiquaria sul riore a quella greca e a quella etru- metro di un rinnovato interesse d’im- sca; i cui progenitori erano stati gli pronta romantica verso le identità “atalanto-siculi” o “atalanto-pelasgi” locali e in ossequio al confronto po- che avevano vissuto nella parte più litico… in atto tra Napoli e la Sicilia» feconda dell’isola di Atlantide. Come (p. XV). sottolinea il curatore, secondo Vigo, Vigo fu «acerrimo sostenitore» del- «la storia di Sicilia iniziava … proprio l’indipendenza della Sicilia tanto nel con il mitologico inabissamento della 1820, quanto nel 1848 e nei mesi favolosa patria di tutti gli dei, che che precedettero l’unificazione na- aveva bruscamente chiuso un capi- zionale le posizioni da lui assunte tolo fondamentale nel percorso della devono essere inquadrate in un «mon- civilizzazione del mondo intero, che do politico e culturale isolano … in poté tuttavia tornare a fiorire, sempre bilico tra chi aveva ormai fatto la secondo le ricostruzioni del mar- scelta italiana» e coloro che «sempre chese, a partire dall’isola di Trina- rimasero sul punto di una primazia cria, dove si erano nel frattempo ra- siciliana nel contesto di un comune dicati e sviluppati i siculi, “pelasgi e processo di civilizzazione italiana». originarii dell’isola”, e i sicani, “re- Proprio alla vigilia dell’Unità, nel siduo dei sommersi atalanti”». Una 1857, l’intellettuale acese pubblicò nuova «epoca di splendore» coincise una raccolta di canti popolari siciliani. con l’arrivo dei Greci, mentre l’inva- Si trattava di un progetto finalizzato sione romana segnò l’inizio di un a sottolineare la superiorità dei sici- lungo declino durato fino all’inizio liani sui napoletani: gli «antichi siculi» della presenza normanna, «ultimo sarebbero stati la «prima popolazione periodo di grandezza dell’isola» e italica» e la lingua siciliana sarebbe conclusione della narrazione di Vigo stata alla base di tutte le parlate (pp. XXI-XXII). della penisola italiana, compreso il L’autore perseguì l’intento di di- toscano di Dante (p. XVI). La pubbli- mostrare le sue tesi attraverso «un cazione dei Canti popolari siciliani articolato saggio di storia antica e inaugurò il duraturo filone di studi medievale, di archeologia, di filologia, sul folklore siciliano. di linguistica e di antiquaria … sulle Il medesimo obiettivo ispirò i due straordinarie peculiarità di Sicilia» volumi della Protostasi sicula. Nel (p. XXI); questo si inseriva nell’ampio manoscritto – a cui Vigo cominciò a dibattito sull’idea che gli etruschi lavorare nel 1858, che interruppe fossero progenitori e “civilizzatori” di più volte e lasciò incompiuto - la tutti i “popoli” della penisola. E sul confutazione del mito di Atlantide è «terreno» della storia dell’isola, Vigo funzionale all’affermazione della su- «incrociava le sue tesi con quelle di periorità della civiltà del “vecchio tre personalità che molto dovettero continente” su quelle extraeuropee influire sulla Protostasi e che sugge- e dell’“autonomia” della Sicilia, tanto rirono criteri, ispirazioni e spunti nel panorama degli stati preunitari utili alla realizzazione dell’architettura quanto in quello del neocostituito dell’opera» come Nicolò Palmeri, Vin- stato unitario, proprio per l’antichità cenzo Natale e Michele Amari (p.

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 412 Recensioni e schede

XXVI). Inoltre, il suo scritto si poneva L’opera dell’autore acese, la cui in continuità con l’opera di Domenico stesura era iniziata allorché l’isola Scinà, «suo maestro, le cui ricerche faceva parte del Regno delle Due Sici- tenevano assieme un deciso rifiuto lie, mantenne la propria attualità del modello culturale napoletano e anche negli anni successivi e si l’esaltazione della caratteristiche pro- inserì, come sottolinea Girardi, in prie dell’isola, che solo in seguito a «quell’ampia messe di scritti mossi lunghi secoli di splendore, ai quali si da motivi autonomistici che anche era giunti grazie all’arrivo dei coloni negli anni dell’Unità d’Italia, quando greci, era precipitata, a seguito del- a Torino le cose e le glorie di Sicilia l’invasione romana, in un drammatico apparivano come argomenti lontani e e irreversibile periodo di decadenza. di scarso interesse, continuarono a I lavori di Scinà insistevano proprio raccogliere il plauso di una parte sul passato greco di Sicilia, celebrato consistente del mondo politico e come il primo significativo processo intellettuale isolano» (p. XXXI). di civilizzazione di una regione d’Italia» (p. XXV). Daniele Palermo

Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 n. 43 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) Gli Autori 413

Salvatore Fodale [email protected] Professore emerito di Storia Medievale e componente del Consiglio Direttivo del- l’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo. Principali pubblicazioni: Comes et legatus Siciliæ (1970), La politica napoletana di Urbano VI (1973), Documenti del pontificato di Bonifacio IX (1983), I quaterni del Sigillo della Cancelleria del Regno di Sicilia 1394-1396 (2008), Alunni della perdizione. Chiesa e potere in Sicilia durante il grande scisma 1372-1416 (2008), Su l’audaci galee de’ Catalani (1327-1382). Corona d’Ara- gona e Regno di Sicilia dalla morte di Giacomo II alla deportazione di Maria (2017). Ha pubblicato oltre duecento articoli su riviste storiche, atti di congressi, miscella- nee per colleghi, dizionari storici.

Orazio Cancila [email protected] Professore emerito dell’Università di Palermo, fondatore e direttore del quadri- mestrale “Mediterranea-ricerche storiche”, è autore di numerose pubblicazioni, tra cui Storia delle città italiane. Palermo, Laterza, Roma-Bari, 1988, pp. XI, 576 (Premio “Nuovo Mezzogiorno” 1988) (2a edizione Laterza, Roma-Bari, 1999, pp. XV, 563); Storia dell’Università di Palermo dalle origini al 1860, Laterza, Roma-Bari, 2006, pp. 695; I Florio. Storia di una dinastia imprenditoriale, Bompiani, Milano, 2008, pp. 735 (Premio Acqui Storia 2009; premio “Rhegium Julii – Gaetano Cingari” 2009); Palermo, Laterza, Roma-Bari, 2009, pp. VI, 362; I Ventimiglia di Geraci (1258-1619), Associazione “Mediterranea”, Palermo, 2016, pp. 498.

Germano Maifreda [email protected] Ordinario di Storia Economica presso l’Università degli Studi di Milano. È pre- sidente della Biblioteca «Raffaele Mattioli» per la storia del pensiero economico. Sui temi trattati nel testo del presente fascicolo ha pubblicato di recente anche The ‘Economic’ Thought of the Renaissance, in W. Caferro (ed.), The Routledge History of the Renaissance, London-New York, Routledge, 2017, pp. 13-29 e Immigrants: Asset or Threat? Foreigners, Property and the Right of Escheat in Enlightenment Milan, «Eighteenth-Century Life», 41.2 (2017), pp. 122-38.

Antonio Trampus [email protected] Ordinario di Storia Moderna nell’Università Ca’ Foscari di Venezia, si interessa prevalentemente di storia dell’Illuminismo e di storia della cultura politica tra Set-

n. 43 Mediterranea - ricerche storiche - Anno XV - Agosto 2018 ISSN 1824-3010 (stampa) ISSN 1828-230X (online) 414 Gli Autori tecento e Ottocento. Tra i suoi volumi recenti Storia del costituzionalismo italiano nell’età dei Lumi (2009) e La naissance du langage politique moderne. L’heritage des Lumières de Filangieri à Constant (2017). In collaborazione con Koen Stapelbroek (Rotterdam) ha in corso un progetto di ricerca quinquennale con l’Università di Hel- sinki su A Global History of Free Ports. Capitalism, Commerce and Geopolitics (1600- 1800).

Andrea Azzarelli [email protected] Dottorando di ricerca presso l’Università degli Studi di Milano. Il focus delle sue ricerche è la storia delle polizie e del controllo del territorio, tra la seconda metà del XIX secolo e i primi decenni del XX. Seguono il suo lavoro in qualità di tutor il pro- fessor Livio Antonielli e il professor Marco Soresina. Nel 2016 ha pubblicato un articolo sulla rivista Società e Storia, dal titolo Soldati e ordine pubblico. Il caso dello sciopero degli operai meccanici del 1891 a Milano. Ha da poco terminato un periodo di studi in Francia, dove ha svolto attività di ricerca sotto la guida del professor Pierre Karila-Cohen.

Enrico Iachello [email protected] Ordinario di Storia Moderna presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania. Già preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dello stesso Ateneo, si occupa di storia della città e del territorio e di metodologia della ricerca storica. È stato professeur invité presso l’Ecole des Hautes Etudes e la Maison de Sciences de l’homme di Parigi. Nel 1998 ha vinto il premio Rosario Romeo.Tra le sue pubblicazioni: Immagini della città. Idee della città. Città nella Sicilia (XVIII-XIX secolo), Maimone, Catania, 2000; La politica delle calamità. Terremoto e colera nella Sicilia borbonica, Maimone, Catania, 2000; The territory of Sicily and its representa- tions (16th-19th centuries), New Digital Frontiers, Palermo, 2018.

Alberto Rescio [email protected] Dottore di ricerca in Studi Storici presso l’Università del Salento. Dopo i primi studi sulla storia del territorio, si è occupato principalmente di storia del Cinque- cento, approfondendo le relazioni tra gli Asburgo e l’Impero Ottomano nell’Europa centro-orientale, con particolare attenzione al ruolo della diplomazia e dello spio- naggio e ai riflessi del conflitto sulla produzione letteraria dell’epoca. Per questo lavoro, ha svolto un periodo di ricerca in Spagna, presso l’Università di Alcalá de Henares.

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Fotocomposizione e Stampa FOTOGRAPH S.r.l. - PALERMO per conto dell’Associazione no profit “Mediterranea” Agosto 2018