Quando Pivetti sloggiò Sironi. “Discriminazione erotica e non politica”

L’intrigante racconto che qui ha fatto Franco Miracco sul restauro del grande affresco

(“L’Italia tra le arti e le scienze”) di Mario Sironi mi ha fatto tornare alla mente un episodio di cui fu vittima non solo il grande pittore che fu tra gli iniziatori del movimento artistico del Novecento ma, con lui, tutte o quasi le grandi firme dell’arte del secolo breve. Tutto accadde improvvisamente, all’indomani di quel 15 aprile 1994 quando, per uno di quei paradossi del contrappasso, la presidenza della camera, dopo appena due anni (causa scioglimento anticipato della legislatura) era passata da a Irene Pivetti, ventinove anni, prima legislatura, leghista. Berlusconi aveva vinto le elezioni grazie anche ai voti leghisti e restituì la cortesia con uno spropositato regalo a Bossi che al più alto scranno di Montecitorio piazzò la sua figlioccia-rivelazione. Che si tradusse in un torto alla camera: forse neppure quei due immaginavano che la terza carica dello Stato sarebbe finita nelle mani di una matricola integrista, austera nei suoi tailleurini che lasciavano scoperta solo quella parte del collo sul quale doveva brillare sempre la croce di Lorena. Ma, quel che più conta, una ragazza del tutto ignara dei meccanismi, delle regole, persino del bon ton parlamentare: poco male, l’importante era che sul ponte di comando ci fosse un garante leghista dei desiderata del Cavaliere. Di lei come presidente le cronache non registrano atti politici di un qualche rilievo ma solo – ecco dove volevo arrivare – il ricordo della Grande Decisione: non potendo mettergli le braghe come aveva fatto Daniele da Volterra con il Giudizio universale di Michelangelo nella Cappella Palatina, Irene Pivetti semplicemente sloggiò, in puro stile bacchettone (con l’appoggio “scientifico” del critico d’arte e, allora, deputato forzista Vittorio Sgarbi, e il sostegno mediatico dello “agente Betulla”, al secolo Renato Farina, il giornalista poi radiato dall’Ordine che faceva lo spione per i servizi segreti) tutti i nudi pittorici dagli uffici della presidenza di Montecitorio sostituendoli con madonne e scene di battaglia: un perfetto mix vandeo-lefebvriano.

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L’aula di Montecitorio, particolare del Fregio di Aristide Sartorio

E per fortuna che solo i quadri potevano essere rimossi, altrimenti sai che rischio avrebbe corso anche il grande e lungo fregio in puro stile liberty che orna e circonda la volta dell’aula della camera, opera egregia di Aristide Sartorio che di nudi là ne aveva seminati a diecina. La rimozione cominciò alla chetichella, dallo studio ufficiale del presidente, al piano nobile del palazzo. Nell’arco di più di vent’anni e attraverso lo sprone dei predecessori di Pivetti quello studio era stato trasformato nel meglio del meglio della ragguardevole pinacoteca posseduta dalla camera e incrementata soprattutto dalla presidenza di : una grande Composizione di Mario Sironi, eccolo il grande pittore già censurato; una rarissima Casa rosa di Giorgio Morandi, il maestro delle nature morte; un insolito Combattimento di gladiatori di un altro illustre Giorgio: De Chirico; una Figura di donna di Massimo Campigli; lo Studente innamorato, cioè un autoritratto di Mario Mafai; il Cristo deriso di Renato Guttuso…

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Composizione di Mario Sironi, camera dei deputati

Pivetti non obiettò sulla donna di Campigli: figuriamoci, era vestita, vestitissima, monacale

| 3 Quando Pivetti sloggiò Sironi. “Discriminazione erotica e non politica” addirittura. E neppure obiettò sugli occhi languidi di Mafai-studente: era in giacca e cravatta. Ma sul Sironi ebbe da eccepire, eccome. Per le simpatie politiche, anzi la militanza vera e propria, che il maestro aveva mostrato in vita? Macché. Piuttosto perché in primo piano Sironi aveva posto una donna che malcela il seno, e in scala minore ci sono addirittura tre uomini: nudi! Via dunque il Sironi con il servile placet di Sgarbi che tentò il maldestro giochino delle tre carte: Sfrattato un pittore fascista! E fu lo stesso Sgarbi a consigliare con che cosa sostituire quella straordinaria Composizione sironiana: Una pregevole Madonna con Bambino di Bernardino Luini che sembra fosse molto a cuore anche a Scalfaro, ciò di cui nessuno avrebbe mai dubitato. E a confermare, contraddicendosi, che trattatavasi di “discriminazione erotica e non politica” lo stesso Sgarbi (che anni dopo avrebbe organizzato e infine sarebbe stato costretto a ritirare una mostra milanese sull’omosessualità) annunciò: Tant’è che il Guttuso è rimasto. Grazie. Poi la scure si abbatté su una grande Venere dormiente, ovviamente nuda, di Luca Giordano. L’opera del pittore dei Seicento napoletano stava nel così detto studiolo, alle spalle dello studio presidenziale che altro presidente della camera, in tempi lontani, aveva trasformato nella propria garconnière. La Venere venne sostituita con una scena manierista di battaglia.

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Venere dormiente di Luca Giordano, camera dei deputati

Lo studiolo era troppo pieno… Quella Venere rendeva l’ambiente ancor più pesante, spiegò con gran sussiego un medico che faceva da segretario alla presidente. (Non lo smentii solo per malriposta educazione istituzionale: in quello studiolo, e giusto sotto quella Venere nuda, io ci avevo lavorato per tredici anni quand’ero portavoce di , e debbo dire che mai ambiente e compagnia furono più piacevoli di quel posto e di quella Venere tanto ingenuamente languida per me quanto sfacciatamente impudica per Pivetti.)

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Venere e Adone di Alessandro Varotari detto il Padovanino

Il repulisti continuò in altri uffici della presidenza. Una Venere con Adone (ancora lei, e ancora un generoso nudo secentesco) troneggiava nella sala della Biblioteca? Via, in fretta, ché Irene Pivetti se la sarebbe dovuta trovare vis à vis ogni volta, e son tante, che c’è una riunione dei capigruppo o si riunisce la giunta per il regolamento, o vengono ricevute delegazioni così folte da non poter essere ospitate nello studio presidenziale. Poteva a questo punto salvarsi una terza e meno nota Venere, più piccola ma altrettanto discinta (e per giunta molestata da un satiro…) che si nascondeva nell’angolo meno in vista di un’anticamera della presidenza? No, non si salvò nemmeno quella. Al suo posto una Veduta della scuola di Agostino Tassi. E chi è Tassi, chiese a Sgarbi il redattore di un grande giornale – La Stampa – che aveva dedicato una intera pagina all’impresa sessuofobica dell’Irene: È lo stupratore di Artemisia Gentileschi, e lei si fece un nome nel Seicento solo perché aveva denunciato il suo violentatore, spiegò il consulente artistico di Irene Pivetti senza un’ombra di pudore per l’orrenda

| 6 Quando Pivetti sloggiò Sironi. “Discriminazione erotica e non politica” testimonianza di machismo appena fornita.

Paese con figure attr. Agostino Tassi

Finita la presidenza Pivetti, tutti i quadri sfrattati sono tornati precipitosamente ai loro posti e ci sono rimasti. Aveva provveduto il nuovo presidente, . E i suoi successori non hanno fatto che qualche spostamento ma non più che da una parete all’altra.

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E la Pivetti? Per un po’, sino a quando è restata deputata (ma lasciando Bossi prima per Dini e poi per le truppe di Mastella), ha mantenuto lo stesso atteggiamento di pruderie. Poi d’improvviso ha cambiato radicalmente look: vestiti di pelle nera e metal, si dedicò ad animare trasmissioni trash in tv (in una, “Bisturi”, spiegava come si rifanno tette e culi: e allora il programma fu rapidamente cancellato), e via trasgredendo. La Vandea era ormai lontana anni luce. Ma non la camera: come a tutti gli ex presidenti spettano a Irene-Zelig un ufficio e quattro impiegati “per coltivare – disse lei una volta – i rapporti istituzionali”. Già le istituzioni, ormai coltivate in vesti sadomaso o leopardate. Quando Pivetti sloggiò Sironi. “Discriminazione erotica e non politica” was last modified: Ottobre 30th, 2017 by GIORGIO FRASCA POLARA

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