Calabro-Grecismi Non Bovesi

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Calabro-Grecismi Non Bovesi Paolo Martino Calabro-grecismi non bovesi Indagini lessicografiche sui dialetti calabresi hanno messo in luce un fatto di indubbio interesse per la storia sociolinguistica della re- gione: oltre al lessico comune greco-romanzo, nel cui ambito va in- dividuata una complessa stratificazione (grecismi antichi ereditati dalla Magna Grecia, grecismi antichi già naturalizzati nel latino, gre- cismi bizantini; latinismi e romanismi penetrati in varie epoche nell'i- talogreco), esistono numerosi grecismi che, presenti in varietà cala- bro-romanze, sono sconosciuti al bovese. Una considerazione delle peculiarità sociolinguistiche di tali porzioni di lessico potrebbe risul- tare assai utile, ai fini della ricostruzione dei processi di emargina- zione della grecofonia, che ancora attendono una descrizione com- plessiva e aggiornata. Fanciullo (1979, 59) rilevava questo fenomeno quando prospetta- va «l'eventualità che il grico e il bovese abbiano perso elementi lessi- cali conservati invece dalle varietà neolatine finitime». Persino ten- denze fonetiche tipiche del calabrogreco, come la geminazione con- sonantica, non solo passano alle varietà romanze, ma in queste sono addirittura più frequenti, specie nei grecismi lessicali, che non nello stesso bovese (cfr. Fanciullo, 1996, 105). E non sempre si tratta di imprestiti antichi nel latino volgare, presenti magari in altre aree del- la Romània. A volte il grecismo persiste allo stato residuale in aree dialettali ristrette, il che spiega la mancata registrazione da parte di lessicografi attenti come il Rohlfs, l'Alessio, il Karanastasis. In altri casi la forma calabrese trova riscontro nel grico salentino o in altre varietà neogreche periferiche, ma non più nella Bovesìa. La grecofo- nia, conservata fino ad oggi, ancorché in condizioni assai precarie, nella Bovesìa, ha subito precocemente un processo di stigmatizza- zione molto forte, per cui si spiega la massiccia interferenza romanza e soprattutto la perdita di ampi settori del lessico. Le aree romanze, che, all'epoca dell'intensificazione della interdizione (XVI sec.), era- no già intrise di termini greci, hanno invece potuto conservare tali voci, ormai naturalizzate nel sistema semantico-lessicale. Si è anzi creato nei secoli, nel quadro di un vasto processo di convergenza di strutture fonologiche, morfosintattiche e lessicali, un vero e proprio diasistema greco-romanzo ricco di coppie allotropiche alle quali i parlanti potevano attingere con una selezione automatica, ma che non di rado appaiono compartimentate diastraticamente. La portata del fenomeno sembra essere stata finora sottovalutata. Una storia dell'ita- 1 logreco sarebbe pertanto incompleta senza una ricognizione capillare dei tratti lessicali, semantici, ma anche grammaticali e tipologici pas- sati alle varietà romanze o con esse confluite in una deriva comune. Intento del presente contributo non è perciò quello di individuare semplicemente interessanti relitti lessicali e morfologici greci con- servatisi in parlate calabro-romanze, ma di segnalarne anche la va- lenza sociolinguistica1. 1. sdirri In molti dialetti calabresi è vitale il termine sdirri, il cui uso è li- mitato alla pur frequente locuzione avverbiale a sdirri oppure ô sdir- ri, ricorrente nell'espressione èssari a sdirri ‘essere in contrasto, es- sere avversari’ documentata a Cittanova, Laureana di Borrello e Gif- fone (Rohlfs, 1977), ma ampiamente usata in molti altri centri della provincia di Reggio Calabria a forte densità di grecismi. Nel Vibone- se si dice iri a sdirri ‘fare a picca, stare punta a punta, non andare d'accordo’ (De Pasquale, 1892, 18). Anche l'espressione venìri ô sdirri, nescìri ô sdirri equivale a ‘venire ai ferri corti’ (Rohlfs, 1984:50). A Maierato (VV) sdìrra, f. vale ‘concorrenza, competizio- ne, gara’. Sorvolando su alcuni tentativi infelici, come quello di G. B. Mar- zano (1928, 389) che risaliva a lat. DISDICERE2, l’interpretazione più accreditata appare quella del Rohlfs (1977; 1984, 50; NDDC, 648), che pensò a un possibile collegamento della voce calabrese con il sic. sdirri (pl. m.) notissimo nel significato ‘ultimi giorni (di carnevale)’ (AIS, 774), detti precisamente sdirrumìnica, sdirriluni e sdirrimarti per indicare appunto la domenica, il lunedì, il martedì di vigilia; si sente anche sdirruminicheḍḍa e sdirruminica ranni. A Sciacca è usa- to il proverbio: "Natali e Pasqua ccu cu voi ma li sdirri falli ccu li 1 Già abbiamo segnalato alcuni di questi grecismi calabresi, ma non (più) bove- si. Per pallavà ‘bacchettone, stupido’ < gr. παλλαβάλιον; gnapù ‘babbeo’ < gr. κναφεύς; filicàli ‘spazzaforno’ e, per traslato, ‘spilungone’ < gr. φιλοκάλιον ‘scopa’ vd. Martino (1990, 207-15); per pàpara ‘caldarrosta’ < gr. παπάρα ‘τροφὴ κυνηγετικῶν σκύλων’; piḍḍa ‘recipiente per raccogliere l’olio’ < gr. πέλλα· ἀγγεῖον σκυφοειδές; scilari ‘slogare’ < gr. ψιλόνω ‘disossare’ vd. Marti- no (1999, 63-81); per ndranghitu ‘uomo di valore’ < gr. ἀνδράγαθος, che è all’origine del nome della ndrànghita ‘onorata società’ calabrese, vd. Martino (1978), (1988). 2 Marzano (1828, 342): «Questa voce si usa insieme ai verbi veniri o essari e si dice veniri a sdirri, essere a sdirri per significare venire a contrasto, essere avver- sari, dissentire, essere discordi; dal lat. disdicere, sp(agnuolo) disidere». 2 toi". A Scordia: Sdirri, Pasqua e Natali su li tri ffésti principali. Nonostante il possibilismo del Rohlfs (1966-68, 977), la prove- nienza iberoromanza della famiglia lessicale siciliana sembrerebbe acclarata3. Si tratta con tutta evidenza di un catalanismo di epoca ara- gonese (cat. es derrers dies ‘gli ultimi giorni’), attestato peraltro in Sicilia anche come sdirridìa4, ancorché sussistano, anzitutto, difficol- tà di ordine fonetico non sfuggite a W. Meyer-Lübke (REW 2582), il quale, a proposito di dērĕtro ‘hinter’, cita sic. a la zdirrera ‘zuletzt’, zdirri ‘die letzten Tage des Faschings’, ‘Fasching’, superabili postu- lando un intermediario francese (Sdirri «ist in der lautlichen Entwi- ckelung nicht klar, wenn man es nicht als Entlehnung aus dem Frz. auffassen will». I lessicografi siciliani sono tutti del medesimo pare- re5. In ogni caso, se le occorrenze siciliane e catalane non sembrano lasciare dubbi sulla provenienza iberoromanza del termine siciliano, quest'ultimo non mostra invece, sul piano semantico, alcuna relazio- ne trasparente con l'omonimo calabrese. Come si concilia la semanti- ca di cal. sdirri ‘litigio’ con sic. sdirri ‘ultimi giorni di carnevale’? Inaccettabile l’ipotesi di Giovanni Alessio (1948, 347-8), che in- clude la voce siciliana tra i testimoni della latinità della Sicilia: li sdirri juorni «gli ultimi tre giorni di carnevale» discenderebbe da lat. dīrī diēs «giorni nefasti, malaugurati, terribili», locuzione però non documentata con questo valore, e tenta un collegamento proprio con le forme calabresi èssari a sdirri «essere in contrasto, essere avversa- ri», anche sulla base di regg. ndirri «voglia di ridere o di scherzare» (NDDC, 461). «Questa denominazione – spiega Alessio - sembra do- vuta alla lingua della chiesa che condannava gli eccessi a cui davano luogo gli sfrenati divertimenti carnevaleschi». Ma sia l’etimo latino sia la spiegazione semantica appaiono assai deboli6. L'ipotesi che la semantica calabrese sia derivata dalla confusione dei festeggiamenti carnascialeschi resta altamente ipotetica. Si osserverà che la forma del calabrese meridionale ricorre sempre 3 Solo D’Aleppo e Calvaruso (1910, 342), pensavano a un’origine araba, altri a lat. EXTERUS. 4 Cfr. Varvaro (1974:86-110); Cortelazzo-Marcato (1998:395); così già Merlo (1926) e Salvioni (1907, 1156). 5 Giuseppe Vinci, nel suo Etymologicum Siculum, etimologizza EX DE RETRO, “scorciato” in sdirrera e sdirri. Il Pitrè (1889:66) definisce sdirri, presente «in quattro quinti della Sicilia, compresa la siculo-lombarda Piazza» un “fratello carna- le” del fr. dernier e del catalano derrers. E anche Joan Coromines (1980-91: 326) collega senz’altro la locuzione siciliana li sdirri (jorna) ‘carnevale’ alla cat. dar- rers dies. 6 Altre ipotesi fantastiche in Alessio (1948, 347), n.1. 3 nell'espressione idiomatica èssari a sdirri ‘essere in contrasto, essere avversari’, con una semantica palesemente incompatibile con il ter- mine siciliano. Nessuna traccia, invece, del presunto riferimento agli ultimi giorni del carnevale. Le locuzioni calabresi rimandano piuttosto direttamente a un gr. σιδήρια ‘attrezzi (di ferro)’ e quindi ‘armi bianche’. Del diminutivo σιδήριον ‘arma di ferro’ abbiamo attestazioni nel greco antico7, mentre il bovese moderno ha sídero ‘ferro’ e il pl. ta sídera ‘gli attrezzi, i ferri’; non è attestato alcun riflesso della forma diminutiva σιδήριον. Tuttavia un esito sdirru < σιδήριον, con sin- cope della vocale pretonica, è pienamente plausibile. In effetti, la forma con -i- pretonica sincopata si trova già nel gre- co medievale: il lessico degli Hermeneumata Montepessulana (IX sec.) ha il lemma «σδηρα ferea» (r. 325). Va notato che buona parte di questo lessico contiene forme di aspetto “italogreco”, per cui è sta- ta con ragione sospettata l'origine meridionale del suo redattore, forse un monaco di origine italogreca. Che σδηρα rappresenti un trattamento tardo di σιδήριον ovvero σιδήραιον8 è accertato – oltre che dall’interpretamentum ferea (ove va notato il significativo scempiamento di -r-), soprattutto dalla col- locazione stessa della glossa nella sezione «Περι · σιδηρεον De fer- reis», immediatamente dopo la glossa σιδηρος ferrum. Il termine va connesso evidentemente con la “tirata”,
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