Pannelli Delle Sale
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SALA 1 Lo Stato estense. Mito, genealogia e territorio Discendenti da una nobile stirpe germanica stabilitasi in Toscana al seguito di Carlo Magno nel IX sec., gli Este rivendicarono sempre con orgoglio l’antichità delle proprie radici. Il tema dinastico ricorre infatti in molte opere letterarie e figurative commissionate dalla Casa. Primo esempio del genere, la Genealogia estense (1474) raffigura in 169 medaglioni miniati i principi regnanti e le loro mogli e figli, dal capostipite del ramo ferrarese Alberto Azzo (XI sec.) a Ercole I. Nella seconda metà del Cinquecento le rivendicazioni dinastiche assunsero particolare rilevanza nella disputa che vide gli Este contrapporsi ai Medici per ottenere la preminenza diplomatica presso le corti europee. Ne nacquero diversi trattati, fra i quali la storia dei principi di Ferrara pubblicata dal Pigna nel 1569-70. Al testo si ispirò Pirro Ligorio per disegnare la serie degli avi estensi che servì da modello per i perduti affreschi nel cortile del castello di Ferrara nel 1577 e per il ciclo di tele poste nella residenza ducale di Modena nel 1627-28. Genealogia Ferrara: Ercole I (1471 – 1505) Alfonso I (1505 – 1534) Ercole II (1534 – 1559) Alfonso II (1559 – 1597) Modena: Cesare (1597 – 1628) Alfonso III (1628 – 1629) Francesco I (1629 – 1658) Alfonso IV (1658 – 1662) Reggenza di Laura Martinozzi (1662 – 1674) Francesco II (1674 – 1694) SALA 2 La grande eredità del Quattrocento Il Rinascimento prese avvio a Ferrara con il marchesato di Leonello d’Este (1441-50). Allievo del grande umanista Guarino Veronese, egli chiamò i maggiori rappresentanti della nuova arte: Pisanello, Leon Battista Alberti, Piero della Francesca, Mantegna. Sotto il marchese Borso (1450-71) due cantieri segnarono la nascita della scuola pittorica locale: la decorazione della sontuosa Bibbia in due volumi (Modena, Biblioteca Estense) e il completamento della serie di tavole raffiguranti le Muse che ornava lo studiolo di Belfiore (ora disperse in vari musei). Protagonista di quest’ultima impresa fu Cosmé Tura, che dal 1458 improntò l’arte cittadina al suo stile aspro e ferrigno. Attorno al 1486 1 l’anziano Cosmé diede con il Sant’Antonio il suo ultimo capolavoro e fu sostituito a corte da Ercole de’ Roberti. Questi aveva esordito fra i pittori attivi nel salone dei Mesi di Schifanoia (1469) ed era in seguito passato a Bologna con Francesco del Cossa, il terzo grande maestro ferrarese del Quattrocento. La piccola tavola qui esposta, in origine facente parte di un complesso decorativo portato a termine con l’aiuto della bottega, esemplifica bene l’ultima attività svolta da Ercole per la corte, prima di morire prematuramente nel 1496. SALA 3 L'età di Alfonso I (1505-1534) I camerini della Via Coperta: “lo studio dei marmi” Abile stratega, particolarmente esperto nell’impiego delle moderne artiglierie, Alfonso I volle che la sua immagine pubblica fosse associata a quella dell’uomo d’armi. Uomo sanguigno e poco incline all’etichetta di corte, artigiano dilettante, sincero e competente appassionato di pittura e scultura antica, Alfonso fu uno dei più grandi mecenati della sua epoca. Con scelta inconsueta, fece allestire i suoi camerini privati nella Via Coperta, il corpo di fabbrica che congiungeva il Palazzo Ducale al Castello Estense e si affacciava sull’animata piazza del mercato, la cui vita il duca amava osservare. Tali ambienti divennero celebri come i “camerini dorati” o “d’alabastro” per la ricchezza della loro decorazione e delle opere d’arte che ospitavano. Fra il 1506 e il 1510 il duca fece realizzare il primo di essi, lo “studio dei marmi”, un piccolo ambiente completamente rivestito di lastre di porfido e serpentino incorniciate da fregi marmorei, a scolpire i quali fu chiamato da Venezia Antonio Lombardo, il più raffinato e fedele interprete del classicismo in Nord Italia. Scritte a parete: Sul Ritratto di Alfonso: “… egli honorò sempre eccessivamente tutti gli huomini eccellenti o nelle lettere, o nelle arti. Perche à esempio di Hercole suo padre, occupato ne’ negocij gravissimi della guerra, voleva che si credesse piu tosto, ch’egli havesse lasciati, che dispregiati i studi delle lettere.” Paolo Giovio, La vita di Alfonso da Este duca di Ferrara , 1550 (ed. 1553, p. 151). Sul fregio Liechtenstein: ET QVIESCENTI AGENDVM EST ET AGENTI QVIESCENDVM . ALF . D . III Come a chi riposa è necessaria l’azione, così il riposo a chi agisce [Alfonso, terzo duca (di Ferrara)]. Seneca, Lettere a Lucilio , I, 3, 6 Sul Marte a riposo : NON BENE MARS BELLVM POSITA NI SI VESTE MINISTRO 2 Io, Marte, non faccio bene la guerra se non ho deposto la mia divisa. Anonimo SALA 4 L'età di Alfonso I (1505-1534) I camerini della Via Coperta: “il camerino delle pitture” Terminato lo “studio di marmo”, Alfonso avviò la decorazione dell’adiacente “camerino delle pitture”. Nella sistemazione assunta nel 1525-29 l’ambiente presentava, a fianco del Festino degli dei di Giovanni Bellini (Washington, National Gallery), ben tre capolavori di Tiziano: il Bacco e Arianna (Londra, National Gallery), l’ Offerta a Venere e gli Andrii (Madrid, Museo del Prado). Il camerino segnò il vertice del mecenatismo estense. Portate a Roma nel 1598 dal cardinale Pietro Aldobrandini, rapace collezionista, le tele di Tiziano furono copiate, fra gli altri, da Rubens e da Padovanino e costituirono un riferimento imprescindibile per la nascita della pittura barocca. Al pittore di corte Dosso Dossi fu affidato il resto della decorazione della Via Coperta: oltre a un “baccanale” e al fregio con le Storie di Enea per il camerino, le nove “mandorle” per il soffitto della camera di Alfonso (tre delle quali qui esposte) e il grande oculo prospettico per la stanza del Poggiolo (di cui era parte il frammento in mostra). In queste opere Dosso dimostra la sua abilità nel rendere le diverse espressioni del volto umano, escogitando trovate divertenti come quella del giovane che rovescia un cesto di fiori sulla testa di chi guarda. Scritta a parete, sopra la copia del Padovanino: “Queste pitture sì che si possono lodare per le più belle pitture del mondo e chi non l’à viste può dire non aver visto mai alcuna meraviglia del arte.” Annibale Carracci in G. Vasari, Le Vite de' più eccellenti pittori …, 1550 SALA 5 L'età di Alfonso I (1505-1534): Tiziano Fra il 1516 e il 1534 Tiziano fu spesso a Ferrara, ospite di Alfonso I, che trovava particolarmente congeniale la pittura sensuale del veneziano, capace di infondere ai suoi dipinti l’impressione della vita reale. La fama raggiunta dalle tele eseguite per il “camerino delle pitture” fu determinante per il successo presso le corti padane dei grandi quadri di soggetto mitologico, che Tiziano aveva radicalmente rinnovato. Fra le migliori opere mai eseguite da Tiziano Vasari ricorda anche altri dipinti per il duca di Ferrara: il Tributo della moneta (Dresda, Gemäldegalerie) – sintetica raffigurazione dell’episodio evangelico del “date a Cesare”, che conobbe grande fortuna iconografica – il ritratto di Alfonso “con un braccio sopra un gran pezzo d’artiglieria” e quello dell’amata concubina Laura Dianti. Le opere eseguite per gli Este aprirono a Tiziano la via delle altre corti italiane e, attraverso queste, a godere del favore dell’imperatore Carlo V e di Filippo II di Spagna. 3 SALA 6 L'età di Alfonso I (1505-1534): Dosso e Ariosto Pungolato dall’inesausta curiosità di Alfonso I, Dosso si mantenne costantemente al corrente di quanto avveniva in campo artistico a Venezia e a Roma. Guardando contemporaneamente a Michelangelo, Raffaello e Tiziano l’artista estense divenne uno dei più originali interpreti in Val Padana di quella che Vasari definì “la maniera moderna”. Capolavori come la Melissa e il Giove pittore di farfalle mostrano come Dosso interpretasse liberamente le fonti letterarie, con un approccio spigliato e divertito che aveva le sue premesse nelle ‘poesie’ pittoriche di Giorgione e come parallelo la gioiosa ironia e la superiore fantasia di Ludovico Ariosto, che nel 1516 pubblicava a Ferrara la prima edizione dell’ Orlando furioso . La pala della Natività fu commissionata a Dosso da Alfonso I nel 1533 per il Duomo di Modena come ex voto per la riconquista della città, occupata dalle truppe pontificie nel 1510. Fu prevalentemente eseguita dal fratello minore Battista, che negli anni Trenta assunse un ruolo sempre maggiore all’interno della bottega famigliare. Frase in alto a parete sopra due opere “… insieme col dono che a Ferrara fecero i fati de la natività del divino messer Ludovico Ariosto, accompagnando la penna al pennello volsero che e' nascesse ancora il Dosso pittore ferrarese” Giorgio Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori …, 1550 SALA 7 L'età di Ercole II (1543-1559): dall’Occasione alla Pazienza Dotato di una solida educazione umanistica, Ercole II preferì le allegorie difficili e i soggetti eruditi tratti dalle fonti classiche. Rispetto alla segretezza esclusiva dei camerini di Alfonso, le stanze fatte allestire dal nuovo duca nel palazzo di Corte e in Castello avevano l’aspetto di sale di rappresentanza e mostrano come egli prediligesse un’arte funzionale all’esaltazione delle virtù del principe, ispirata all’opera di Raffaello e degli altri maestri del Rinascimento centroitaliano. A tale scuola guardavano infatti i pittori preferiti da Ercole: Battista Dossi, l’anziano Garofalo e il suo allievo Girolamo da Carpi. Nel 1541 quest’ultimo dipinse per le “stanze nuove” l’ Occasione e la Penitenza , emblema personale del duca, che invitava a cogliere l’attimo propizio. Dodici anni dopo Camillo Filippi e il figlio Bastianino realizzarono, su disegno di Vasari, l’ Allegoria della Pazienza , nuova impresa scelta dall’Estense in età matura per simboleggiare la sua equilibrata politica diplomatica, tesa al mantenimento della pace. Lo stesso emblema fu scolpito da Prospero Spani alla base del busto di Ercole II posto in Castello nel 1554, anno in cui Girolamo da Carpi avviò il restauro dell’antico maniero in forme pienamente rinascimentali.