Libri su Personaggi nati a R. Renato Magi

LIBRI SU RADICOFANI E SUI PERSONAGGI NATI IN QUESTO LUOGO Radicofani da Codice Diplomatico Amiatino e altri libri

[a cura di Renato MAGI]

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

A mia figlia Beatrice e mia nipote Francesca con tanto amore.

FEBBRAIO 2015

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

RADICOFANI (Articoli ripresi da libri ed elenco dei libri che riguardano il paese o persone cui ha dato i natali o Lo hanno reso famoso in Italia e nel mondo) (Tutta la storia da Desiderio a Kurze e Wickham)

PREFAZIONE

Questo libro nasce dalla volontà di fare una Super-Guida, tralasciando l’aspetto preistorico e naturale, anche se qualcosa c’è riportato. Il libro è la somma, come si vedrà, e il titolo già lo dice, di una trentina di libri e alcune riviste storiche fra le più accreditate. Ebbene l’imput, così si dice oggi, mi venne nel leggere i libri scritti dopo il convegno che si tenne ad in occasione del 950° anniversario della consacrazione della chiesa nuova dell’Abbazia di San Salvatore. Gli storici che parteciparono a questo convegno furono i migliori che allora potevano essere in Italia ed Europa cominciando dal tedesco Wilhelm Kurze a Italo Moretti a Carlo Prezzolini a M. Ronzani a Chris Wickham a Renato Stopani e tanti altri. Da notare che il Wickham nel suo intervento parla di Radicofani e di come questo Borgo diventi, grazie all’incastellamento della zona, uno dei principali paesi dell’Amiata e rileva la sua importanza sulla “” e tutto ciò con il riferimento ed il supporto del CDA. Proprio tramite il CDA ci informa di tutti i borghi che esistevano nella Valle dell’Orcia e nei dintorni di Radicofani. Tutti gli storici presenti al Convegno di Abbadia San Salvatore, almeno la maggior parte, fanno interventi che trovano riscontro nel “Codice Diplomatico Amiatino” e altri scritti riguardanti l’Amiata e dintorni che il Kurze pubblica a Tübingen, Niemeyer, 1974-1982. In questo codice sono compresi in edizione o almeno come testo anche le bolle e i diplomi che riguardano il monastero. Lo scritto che mi ha fatto capire quante cose si inventavano prima e durante il novecento è stato quello del Bicchi e lì vi sono anche cose interessanti, ma non suffragate da nessun documento scritto precedentemente. Con questo libro non voglio certamente la gloria; l’importante sarebbe che in futuro resti nella memoria di qualcuno e che questi lo faccia conoscere agli altri, almeno a coloro ai quali ha dato i natali! Qui sono, come dice il “Titolo”, riportati ca. 30 libri che parlano del nostro paese, quindi vi è il meglio, almeno per ora, di ciò che era Radicofani in passato, senza che alcuno possa confutare! L’importanza però di questo scritto è, anche, nel ricordare tutti i personaggi cui ha dato i natali il nostro paese e che fino ad oggi sono stati dimenticati e, credo, invece, che debbano essere ricordati perché anch’essi hanno dato lustro al paese. L’Italia non li ha dimenticati e proprio su “Internet” oggi possiamo ritrovare molti di questi nostri paesani anche in libri antichi riportati su “Internet”. Addirittura la famiglia nobile di questo paese era ricordata solamente dagli storici, ma i concittadini dei “Guasta”, se ne erano dimenticati! Forse perché il Pecci li chiama “tiranni”. Dei più importanti se n’è ricordato, proprio, il Pecci e pochi altri e proprio questo mi ha appassionato e mi ha fatto un ricercatore di questi miei concittadini che cerco di ricordare tutti e mi scuseranno coloro che ritroveranno qualcuno di cui mi sono dimenticato.

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In corsivo chiaro sottolineato sono le aggiunte fatte a cura dell’autore.

ABBREVIAZIONI

AASS Archivio dell’Abbadia San Salvatore

ACA Archivio Comunale di Abbadia San Salvatore

ASF Archivio di Stato di Firenze

ASS Archivio di Stato di

Atti 5° Atti del 5° Convegno Internazionale di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 1973

BSSM Bollettino della Società Storica Maremmana

BSSP Bollettino Senese di Storia Patria

Caleffo Vecchio GIOVANNI CECCHINI (a cura di), Caleffo Vecchio del di Siena, I, II, III, Siena 1931 – 1940. IV, MARIO ASCHERI, ALESSANDRA FORZINI, CHIARA SANTINI (a cura di), Siena 1984.

CAMMAROSANO, Berardenghi PAOLO CAMMAROSANO, La famiglia dei Berardenghi, Contributo alla storia della società senese nei secoli XI-XIII (Biblioteca degli «Studi Medie- vali», 6), Spoleto 1974

CDA I/II/IV WILHELM KURZE (a cura di), Codex Diplomaticus Amiatinus. Urkundenbuch Der Abtei S. Salvatore am Montamiata. Von den Anfängen bis zum Regieru- ngsantritt Papst Innozenz III. (736-1198). I, Von den Anfängen bis zum Ende der NationalKönigsherrschaft (736-951). Tübingen 1974. II, Vom Beginn der ottonischen Herrschaft bis zum Regierungsantritt Papst Innozenz III. (962-1198), Tübingen 1982. IV, Faksimiles. Tübingen 1978/1982.

CDL Codice diplomatico longobardo. I, LUIGI SCHIAPPARELLI (a cura di), Roma 1929 II, LUIGI SCHIAPPARELLI (a cura di), Roma 1933 III/1, CARLRICHARD BRÜHL (a cura di), Roma 1973 = Fonti per la storia d’Italia n. 62, 63, 64/1

CDO LUIGI FUMI (a cura di), Codice Diplomatico della città di (Do-

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cumenti di storia italiana, VIII), Firenze 1884.

Ceti dirigenti I I ceti dirigenti in Toscana nell’età precomunale. Comitato di studi sulla Storia dei ceti dirigenti in Toscana. Atti del 1° Convegno, Pisa 1981. II I Ceti dirigenti dell’età comunale nei secoli XII e XIII. Atti del 2° con- vegno. Pisa 1982. IV Nobiltà e ceti dirigenti in Toscana nei secoli XI-XIII: strutture e concet- ti. Atti del 4° convegno. Monte Oriolo, Impruneta 1982.

CIACCI, Aldobrandeschi GASPERO CIACCI, Gli Aldobrandeschi nella storia e nella «Divina Com- media» (Biblioteca storica di fonti e documenti, 1 e 2), Roma 1935.

Codice GIOVANNI FATTESCHI, Codice diplomatico della Badia di S. Salvatore del Monte Amato, o sia Appendice di monumenti comprovanti l’esposti nelle Memorie della Badia predetta. Biblioteca nazionale Centrale di Roma, ms. Sessoriano nr. 213.

Comune e Monastero Abbadia San Salvatore: comune e monastero in testi dei secoli XIV-XVIII (Documenti di storia, 3n- Comune di Abbadia San Salvatore), MARIO ASCHERI (A CURA DI), Abbadia San Salvatore 1986.

Exemplaria GIOVANNI FATTESCHI, Exemplaria Diplomatum tam Pontificum quam Imperatorum nec non Istrumentorum in tabulario Cenobii S. Salvatoris Montis Amiati existentium ab (...) anno 1228 (...) usque ad anno 1500, I, Biblioteca Centrale di Roma, ms. Sessoriano, nr. 215.

FATTESCHI, Cronico GIOVANNI FATTESCHI, Cronico del monastero di S. Salvatore detto del Monte Monte Amiato nell’agro Senese. Dall’anno 1228 (...) fino all’anno 1770, ASS, Conventi 5.

FATTESCHI, Memorie GIOVANNI FATTESCHI, Memorie Istorico-Diplomatiche dell’antichissimo Mo- Nastro di S. Salvatore al Monte Amiato, nell’Agro Senese, copia dell’anno 1811 In Biblioteca Centrale di Firenze, ms. Palatino 1131 (orig. : Biblioteca Nazio- nale Centrale di Roma, ms. Sessoriano nr. 414).

GHERARDINI II/III Visita nell’anno 1676 alle Città, Terre, Castella dello Stato della Città di Siena dall’ill.mo Sig.re Bartolomeo Gherardini Auditore Generale in Siena per l’A.S. di Cosimo III de Medici Granduca VI di Toscana, copia del sec. XVIII, in ASS, Manoscritti, D 83 (Parte seconda) e D84 (Parte terza).

IGM Istituto Geografico Militare

It. Pont. III P.F. KEHR, Italia Pontificia, III: Etruria, Berlin 1908.

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KURZE, Königsurkunde WILHELM KURZE, Die langobardische Königsurkunde für S. Salvatore am Monte Amiata QFIAB 57 (1977), e ora anche in WILHELM KURZE, Monasteri e nobiltà nel Senese e nella Toscana medi- evale. Studi diplomatici, archeologici, genealogici, giuridici e sociali; Accademia Senese degli Intronati. E.P.T., Siena 1989, p. 357 sgg.

KURZE, Monasterium Erfonis WILHELM KURZE, ‘Monasterium Erfonis’ i primi tre secoli di storia del monastero e la loro tradi- zione, documentaria, in 950° consacrazione.

MGH Monumenta Germaniae Historica: DD = Diplomata; Fr = Friedrich (Federico), H = Heinrich (Enrico), K = Konrad (Corrado), O = Otto (Ottone); SS = Scriptores.

MIÖG Mitteilungen des Instituts für Österreichische Geschichtsforschung.

950° consacrazione 950° consacrazione della nuova chiesa dell’Abbazia di San Salvatore al Monte Amiata (1053 – 1985), Abbadia San Salvatore 1985.

QFIAB Quellen und Forschungen Archiven und Bibliotheken.

Rat. Dec. I/II Rationes Decimarum Italiane nei secoli XIII e XIV. Tuscia. I. La decima degli anni 1274 – 1280, P. Guidi (a cura di), Città del Vaticano 1932 (Studi e Testi, 58); II. Le decime degli anni 1295 – 1304, (a cura di) M. GIUSTI e P. GUIDI, Città del Vaticano 1942 (Studi e Testi, 98).

REDON, Uomini e comunità ODILE REDON, Uomini e comunità del contado senese nel Duecento, Amministrazione Pro- vinciale di Siena, Accademia degli Intronati, Siena 1982.

Reg. Sen. FEDOR SCHNEIDER, Regestum Senese. Regesten der Urkunder von Siena. I: Bis zum Frieden von , 713-30 Juni 1235, Roma 1911 (Regesta Chartarum Italiae, VIII)

Repertorio PAOLO CAMMAROSANO – VINCENZO PASSERI, Città borghi e castelli dell’area se- nese-grossetana. Repertorio delle strutture fortificate dal medioevo alla caduta della Repubblica senese, Amministrazione Provinciale di Siena, Siena 1984.

REPETTI EMANUELE REPETTI, Dizionario geografico-fisico-storico della Toscana, Firenze 1833-1845, I – IV (Ristampa anastatica Roma 1972).

SCHNEIDER, L’ordinamento 6

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FEDOR SCHNEIDER, L’ordinamento pubblico nella Toscana medievale. I fondamen- ti dell’amministrazione regia in Toscana dalla fondazione del regno Longobardo alla estinzione degli Svevi (568-1268), trad. ital. A cura di FABRIZIO BARBOLANI MONTA- UTO dal titolo originale: Die Reichsverwaltung in Toscana von der Gründung des Langobardenreiches bis zum Ausgang der Staufer, I: Die Grundlagen, Rom 1914.

SPICCIANI, I Farolfingi AMLETO SPICCIANI, I Farolfingi, conti di e conti di Orvieto nei secoli XI-XII, BSSP (1985), pp. 7 – 65.

SSMA San Salvatore del Monte Amiata

TTM SILVIO PIERI, Toponomastica della Toscana meridionale (Valle del Fiora, dell’Ombro- ne, della Cecina e fiumi minori) e dell’arcipelago toscano, a cura di GINO GAROSI, ri- veduto da GIULIANO BONFANTE, Accademia Senese degli Intronati, Monografie di storia e letteratura senese, Siena 1969.

RDI I P. Guidi, a cura di, Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I: La deci- ma negli anni 1274-1280, Città del Vaticano 1932, ristampa anastatica Modena 1976.

RDI II M. Giusti, p. Guidi, a cura di, Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, II: le decime degli anni 1295-1304, Città del Vaticano 1942, ed. anastatica Roma s.d.

G.A. PECCI Memorie storiche, politiche, civili e naturali delle città, terre e castella che sono e sono state suddite della città di Siena. Ms. D 71, cc. 409-453. A.S.

Iniziamo con l’elenco dei libri che parlano soltanto di Radicofani o di fatti o personaggi o monumenti di Radicofani, di questi libri riporto solamente i fatti salienti che, generalmente, sono poco conosciuti:

RADICOFANI – Notizie Storiche – a cura di O. Bicchi – Tip. e Lit. Sordomuti Ditta L. Lazzeri – Siena 1912 – Estratto dal Bullettino senese di Storia Patria – Anno XIX. Fasc. III. (Il libro è una copiatura del Pecci e di altri scritti, alcuni dei quali interessanti, ma nulla di nuovo; importante, invece, è ciò che riporta a proposito della geologia del posto che riporto qui sotto).

«Molti naturalisti e geologi hanno fatto oggetto dei loro studi questa interessantissima montagna e nel 1722 il Micheli dichiarò esservi stato lassù, in tempi molto remoti, un vulcano (tutto ciò è stato oggi accertato da recenti ricerche)» «Infatti lo scoglio non è che un cono basaltico, il quale innalzandosi sulla montagna di origine marina, offre un’apparenza assai caratteristica di un cataclisma ivi avvenuto in tempi remotissimi per cui si formò un vero cratere; da questo furono spinte fuori con violenza esplosione ceneri e lave fuse che in seguito, raffreddate, acquistarono una struttura spugnosa. E perciò che sopra lo scoglio, ove esistono gli avanzi della fortezza, si veggono grandi masse di lava rossastra esternamente cellulosa,

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi internamente più dura e tanto più compatta quanto più s’interna e si avvicina al letto inferiore, in guisa da servire questa ad uso di macine da molino» (REPETTI. Dizionario geografico della Toscana. Vol. IV, pag. 714. Cfr. GIORGIO SANTI. Viaggio secondo, per le due provincie Senesi. Pag.431 e segg.) Relativamente all’ammasso di pietre che trovasi, come abbiamo detto, nel terreno sottostante al paese, si ritiene da alcuni che, data la natura vulcanica di questo monte formato da un solo scoglio smisurato, qualche terribile terremoto lo abbia fortemente scosso ed abbia gettato lontano tutti quei sassi. Altri invece pensando alla loro disposizione ed alla qualità dello scoglio enorme che regge la Rocca, ritengono che questo fosse formato da tanti scogli più piccoli congiunti insieme con terra durissima, precisamente come intorno a Siena si vedono parecchi grandi massi formati da piccole pietre unite strettamente fra loro. Coll’andar degli anni le piogge cadendovi e penetrando per quella creta, la resero più molle e lentamente se ne andò; sicché quei sassi rimanendo affatto staccati, rotolarono per il gran peso, rimanendo ove li portò l’impeto della caduta. I fianchi del monte, da cui scaturiscono fonti perenni e salubri, come quella di Castelmorro, dei Cappuccini, la Fonte grande e la Fonte Antese, sono coperti di marna conchiliare cerulea interrotta da banchi di minuta ghiaia; ne risulta così un terreno sterile. (Secondo il SANTI (op. cit.) l’essere questo territorio quasi affatto spogliato, dipende in parte dalla qualità del terreno e in parte dalla legge militare che proibiva di ingombrar con piante, il paese intorno alla fortezza), mentre al contrario è fertile il suolo un po’ più discosto dal paese perché ricoperto da detriti di rocce vulcaniche. L’altezza della montagna, presa dal punto più alto del semidistrutto torrino della fortezza, è di m. 896 sul livello del mare. Cento metri al disotto, e cioè al punto in cui incomincia lo scoglio, si trova il paese a cui già ho accennato e del quale mi accingo a narrare la interessante storia. Secondo quanto narra il Dr. Vilifranchi che fu quivi Medico-Condotto intorno al 1830, esso fu un tempo chiamato Castello di S. Pietro a cui la terra è dedicata e sotto il cui titolo è la Chiesa arcipretale (VILIFRANCHI. Lettera al Prof. Studiati, pubblicata nel «Nuovo giornale pisano dei Letterati», anno 1832). Tanto questo scrittore quanto l’illustre storico Muratori ritengono che abbia poi rinvenuto il nome di Radicofani per esser situato alle radici di uno scoglio il quale offrendo la figura di un gran cestone rettangolare, fu detto perciò Monte Cofano (Radix Cofani) (MURATORI. Storia del Medio Evo. Vol. IV, Dissert. 50, p. 567.).

DELLA ROCCA DI RADICOFANI –– CENNI SULLA ISTORIA E SUL RESTAURO DELLA STESSA ROCCA DISTINTI IN CAPITOLI DUE - Stampato da U. Filippetti – a cura di L. Chiavini – Anno 1928.

STAMPATI AD INIZIATIVA E CURA DELL’ILLUST.MO ED ECCELL.MO SIG. @ IL SIG. LUIGI BOLOGNA @ - PODESTȦ DI RADICOFANI – NELL’ANNO MCMXXVIII. VI E.F.

(Questo libro è importante soltanto per le cose effettuate nel restauro ma non dice nulla di nuovo per la storia di Radicofani, però da questo riprendo le considerazioni su Eugenio Magrini l’autore dell’articolo di cui parlo nella rivista subito sotto). Al maggiore si deve il restauro del Maschio come si vede oggi e così ce lo presenta il libro in questione:

Il Maggiore Eugenio Magrini, con profonda conoscenza dell’arte delle fortificazioni, illustrò con infinita precisione le antiche difese, ricercò sui trattati d’arte militare, del Rinascimento in ispecie, quegli elementi necessari a che, giustamente interpretato quanto a noi rimaneva, i particolari restaurati o riedificati, rispondessero a quelle finalità belliche secondo le quali erano stati un tempo costruiti.

LA FORTEZZA DI RADICOFANI – a cura di Eugenio Magrini – Istituto Poligrafico dello Stato – Roma 1929 – Estratto dalla Rivista “Esercito e Nazione” Fasc. VIII, Anno VII -1929. 8

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(Libretto copiato a penna in tre Album da disegno da chi scrive nell’anno 1969). Ecco cosa dice un nostro compaesano arrivato al grado di Maggiore dell’esercito italiano, il quale, profondo conoscitore dell’arte delle fortificazioni consigliò il restauro del Maschio della rocca nei primi anni ‘20: Terra che ha lasciato impressioni profonde, in bene o in male; che si è attirata la definizione di «Paesaggio-Lunare», come anche quella – ed è di D’Annunzio – di «paesaggio più virile d’Italia». Tutto dipende dalla mentalità di chi la visita. Potremmo interessarci un poco ricercando il fondamento psicologico dei biasimi (pochi, ma aspri) e degli elogi: personaggi consacrati alla fama, hanno creduto meritevoli queste «belle» crete di Radicofani di alto compiacimento spirituale, sicché ci sentiamo autorizzati a ritenere, per conto nostro, che se taluno discorda, dipende da tenace indirizzo a forma di vita piane, terra terra, direi antitetiche alle forme liriche. La prosa, che tutti ne inceppa e molti conquide, non si trova bene in questo sterminato orizzonte, davanti a questo spettacolo di forze cosmiche nude e solenni, sicché è consigliabile deporla, a scanso di forti disillusioni, visitando i luoghi. - Lasciando la storia che parla del paese e della fortezza mi piace ricordare qui sotto cosa dice dell’assalto che Cosimo I, considerando l’importanza della piazza e saputo da lettere intercettate che essa scarseggiava di viveri e munizioni, ordinò a Chiappino Vitelli nel 1555. Il Magrini nel suo articolo riporta un manoscritto attribuito al Turinozzi (Niccolò), segretario della Repubblica: «Era quivi Commissario della Repubblica Ottaviano Ottaviani, gentiluomo senese, e si trovava alla difesa di quel luogo (fortezza di Radicofani) Giulio De Tienne con le armi francesi……. Era questo valoroso cavaliere a capo di 150 fanti. Venne il Trombetto alla porta di Radicofani e domandò chi erano i governatori della Terra; allora si presentarono i due sopraddetti signori, ai quali il trombetto espose che era mandato dal signor Chiappino, generale dell’esercito nemico, e dai commissari del Palazzo di Siena e che voleva la Terra, altrimenti havevano li cannoni e 7000 fanti che venivano alla volta di Radicofani per fare l’ultimo esterminio. Il conte de Tienne rispose: «Io sono il conte Giulio de Tienne a guardia di questo luogo e difensore della Repubblica libera di Siena ritirata in , perciò dirai a codesti tuoi che io la voglio difendere passo a passo». Nello stesso modo subito dopo rispose l’Ottaviani. A 20 ore dal detto dì, comparve il capitano nemico sul Poggio Sasseta incontro alla muraglia di Castelmorro, e piantata l’artiglieria nella mattinata, all’alba tirarono 236 tiri, traendo a terra le mura della fortezza per 12 canne e fino alle fondamenta. Alle ore 20½ circa, vennero sei compagnie di spagnoli e sei di italiani a bandiere spiegate e derno l’assalto alla Terra e da venti soldati del Giulio e da altri uomini della terra furono gagliardamente ributtati. Vennero 6 insegne di tedeschi di nuovo subito, per assalire la batteria e ugualmente furono ributtate e similmente rinfrescando sei altre rassegne di tedeschi, furono similmente ributtate con perdita grande. Non voglio tacere la fortezza di Monna Francesca, moglie del detto Commissario Ottaviani, insieme con Emilia sua cugina, che in puro abito vestite, messero in ordinanza alla battaria più di duecento donne della Terra, con armi e sassi, medicine e pezze, con tal virilità e grandezza d’animo che li soldati et huomini della terra ne pigliavano grande ardire. Vedendo l’inimici che poco frutto facevano, portorno l’artiglieria dalla banda appresso a Fontefredda. Il Commissario di Siena del campo nemico, chiamato Muzio di M. Francesco Petrucci, domandò parlamento al Commissario della Repubblica, Ottaviani. Da questi gli fu risposto «che non era tempo di parlare, ma di combattere e menar le mani». Venne l’assalto generale di tutto l’esercito con scala alla muraglia e alla battaria, dimodoché a quelli dentro bisognava difendere la battaria e le mura con grandissimo romore e travaglio del Commissario e degli uomini della Terra» ………………………………. «Dopo aver così battute inutilmente le mura una seconda volta, il Vitelli stava per disporre in altra parte la battaria volendo ad ogni costo, per non danneggiare la propria reputazione, prendere la fortezza. Ma in questo tempo il duca Cosimo, considerando lo infelice successo dei primi assalti e d’altra parte l’acquisto di questa piazza poteva maggiormente irritare il Pontefice ed essere origine di altra guerra, impose al Vitelli che desistesse da quell’impresa e ritirasse in Siena l’Esercito».

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«Partirono così i nemici dal campo di Radicofani con grandissima furia, lasciando rotti tre pezzi di artiglieria e gran quantità di munizioni». Così Eugenio Magrini continua il racconto: Il celebre pittore di battaglie (Jacques) COURTOIS, detto il Borgognone, ha scelto questo assalto alla Rocca di Radicofani per un suo quadro, che ammirasi nella galleria degli UFFIZI a Firenze. Questa bella difesa fu sostenuta in gran parte dagli abitanti del paese; ché il buon Giulio de Tienne aveva solo 150 soldati. L’assalto fu respinto non ostante il numero dei nemici e l’abilità del condottiero, ed i radicofanesi scrissero nella storia del paese una pagina veramente gloriosa!

RADICOFANI – a cura di Alberto Luchini – Stampato da “L’Impronta S.p.A.” a Scandicci (FI) – Luglio 1970. (Il libro del Luchini, figlio del più famoso Odoardo, è presentato da Piero Bargellini, scrittore e giornalista, già sindaco di Firenze, il quale del nostro dice: Lettore accanito, anzi perpetuo, Alberto Luchini era figura caratteristica della Firenze fra le due guerre. Scendeva per Via Cavour col bastone sotto il braccio e un libro sotto gli occhi. A cosa gli servisse quel bastone nessuno riusciva a capire. Il libro invece era il compagno inseparabile di quel giovane avvocato insaziabile di sapere. Chi leggerà queste pagine su Radicofani, dov’egli ha vissuto e vive a lungo, si accorgerà come la mente dell’autore sia piena di echi, dovuti alla cultura ricchissima e sovrabbondante. Di questo libro posso solamente dire che mi trova su la maggior parte delle descrizioni del tutto d’accordo anche con la descrizione che Bargellini fa dell’autore, con il quale ho discusso molto di varie materie negli anni ’60, al caffè “La Rocca”; Bar di fronte alla Chiesa di San Pietro in “V.le del Maccione”).

I PARROCI DI RADICOFANI – a cura di F. Marcello Magrini – Edizioni Cantagalli – Siena febbraio 1983 – (La ricerca di Don Marcello sui parroci da una panoramica di coloro che l’hanno preceduto dal 1557 ai giorni nostri e racconta del paese dall’Ottocento fino a metà del 1900, ed è interessante il racconto della festa della “Madonna delle Vigne”).

GIUSTIZIA PER UN BANDITO – a cura di F. Marcello Magrini – Libro Dattiloscritto e ciclostilato – Radicofani 1985. (Il libro traduce in italiano gli articoli della bibliografia, ripresi dalle traduzioni di Giovanni Cecchini, nell’articolo su che pubblica nell’Archivio Storico di Siena, che riguardavano sia Ghino che la sua famiglia)

LA VERITÀ STORICA SU GHINO DI TACCO – Radicofani difende e riabilita il suo castellano – a cura di F. Marcello Magrini – Editore B. Chigi – Rimini 1987 – (Il libro è l’apoteosi del precedente che è stato venduto al congresso di Rimini del Partito Socialista Italiano e che ci fece avere l’appoggio di Craxi e quindi i finanziamenti per il restauro della fortezza. Senza questo libro, i cui documenti li feci conosce a Don Marcello, la fortezza sarebbe ancora com’era nel 1987! Qui di seguito riproduco l’articolo che ho pubblicato su “Centritalia news” e su “Amiata Storia e

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Territorio” e che tratta del ritrovamento, appunto, dell’articolo di Giovanni Cecchini sull’A.S.S.:

Prima dell’articolo di Giovanni Cecchini è bene ricordare come ne sono venuto in possesso e la storia di questo ritrovamento affinché nessuno si prenda la paternità, e la storia è questa sotto:

Radicofani: un articolo del 1957 e la riscoperta di Ghino di Tacco

Settembre 3, 2013 centritalia Borghi, Opinioni, Storia e leggende No comments

Nel settimanale “Panorama” 1023, del 24 novembre 1985, anno XXIII esce un articolo dal titolo «Ricordate Ghino di Tacco?» firmato da Carlo Rossella. Leggendo tale articolo vidi subito che l’estensore del medesimo parlava come fanno coloro che s’informano leggendo le note alla “Divina Commedia”, o la novella del Boccaccio. Inviai una lettera alla rivista spiegando la differenza che esisteva fra il personaggio reale e quello da loro descritto nella pubblicazione. Il 19 gennaio 1986 a pag. 59 della rivista l’«Espresso» ( rivista settimanale – n. 2 – Anno XXXII – Gennaio 1986 – pagg. 58- 65)vi è l’annuncio dell’uscita del libro di Eugenio Scalfari, «La sera andavamo in via Veneto», per le edizioni Mondadori. In quell’articolo vi è l’anticipazione del soprannome dato a Craxi il quale da allora firmava i suoi articoli sull’ “Avanti” con il soprannome di “Ghino di Tacco”. In un trafiletto a parte, dal titolo significativo “Bettino, signore di Radicofani”, tratta del capitolo del libro intitolato “La stella Craxi”. Quanto scritto sopra, e parte di quanto renderò noto sotto, mi fecero venire in mente l’articolo del Cecchini che avevo riposto nella biblioteca nella parte che riguarda la storia di Radicofani, articolo che giaceva nell’«Archivio Storico Italiano» dal 1957, ma che solo gli addetti, forse, conoscevano. Negli anni’70, venne a Radicofani uno studente americano che frequentava l’Università per stranieri di Siena, costui doveva dare la tesi sui “Briganti del ‘300 in Toscana”, venne a cercare notizie su Ghino di Tacco. Siccome a Radicofani uno degli studiosi della storia locale si chiamava Mario Rappuoli, non solo, ma per essere stato prigioniero in Scozia durante la Seconda guerra mondiale, conosceva molto bene anche l’inglese, fu proprio lui che raccontò all’americano tutto quanto si sapeva e conosceva sulla vita di Ghino di Tacco. Si lasciarono l’indirizzo con la promessa che chiunque avesse trovato altre notizie su Ghino di Tacco le avrebbe notificate all’altro. Così avvenne che dopo pochi mesi il Rappuoli si vide arrivare una lettera dall’americano che gli comunicava che nell’Archivio Storico Italiano, CXV 1957, PP. 263-298 vi era un articolo su Ghino di Tacco di Giovanni Cecchini, molto circostanziato, in cui la bibliografia era formata da documenti archivistici. Si trattava del più importante articolo per conoscere la vera storia di Ghino di Tacco, corredato di un’appendice con tutti i documenti che riguardavano la sua famiglia. Ad agosto del 1984 ritornai a Radicofani, allora lavoravo a Sezze, e l’amico di storia patria Mario Rappuoli (classe 1916), mi informò che sulla rivista Il Giornale dei misteri (Il giornale dei Misteri, agosto 1984, n. 156, anno XVI, edito da Corrado Tedeschi a Firenze. L’articolo di F.M. Magrini “Ghino di Tacco bandito gentiluomo – Storia e leggenda del «Falco di Radicofani»” è alle pagg. 67 – 72). Quando ritornai a Sezze cercai la rivista finché un giorno la trovai, per fortuna, a Terracina. Mi misi a leggerla con frenesia e mi accorsi con sorpresa, che Don Marcello (così era chiamato amichevolmente dai noi radicofanesi F.Marcello Magrini) non conosceva affatto i documenti che avevamo io, Mario Rappuoli e Giuseppe Marsiglia (Il Marsiglia, lavorava all’anagrafe a Siena, fu colui che prese le fotocopie del documento del Cecchini e che le inviò a me e a Mario Rappuoli). Mi stupì anche il fatto che il Rappuoli nulla disse a Don Marcello di quei documenti importantissimi ritrovati all’Archivio di Stato di Siena. Andiamo con ordine. Quando ritornai a Radicofani dopo tre o quattro mesi trovai Don Marcello e gli portai questi documenti che apprezzò moltissimo e, in seguito, mi regalò i libri, il primo ciclostilato (Il primo è intitolato GIUSTIZIA PER UN BANDITO - La verità storica su Ghino di Tacco e la sua famiglia 11

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi nella documentazione integrale dell’Archivio di Stato di Siena e la dedica “A Renato Magi «amico cultore di Storia Patria» con amicizia e gratitudine. Don Ferruccio Marcello Magrini”) e poi l’altro stampato (Il secondo è intitolato: La verità storica su Ghino di Tacco – Radicofani difende e riabilita il suo castellano. La dedica “All’amico Renato Magi che per primo fornì notizie della documentazione Cecchini”. Don Ferruccio Marcello Magrini. Il libro uscì nel 1987 edito da «Bruno Chigi editore – Rimini» durante il congresso, se non vado errato, del partito socialista italiano), tutti e due con dedica, dalla quale si evince chi effettivamente fornì le notizie storiche. Quando nel 1988 uscì su “Amiata storia e territorio” l’articolo a firma di Franco Cardini (F. Cardini “Ghino di Tacco: proposta d’interpretazione”, Amiata storia e territorio – n. 1, marzo 1988, pag. 8)che asserisce, facendolo dire ad Anna Bonsignori “Il merito dell’aver rivendicato alla storia……spetta a Don Ferruccio Marcello Magrini”, tutto ciò non è vero perché se non ci fossero state tutte le circostanze sopra descritte, i documenti del Cecchini che giacevano nell’Archivio di Stato senese dal 1957 e non erano mai stati fatti conoscere prima, probabilmente giacerebbero ancora lì. Ciò che ancora oggi non riesco a capire perché il Rappuoli, che era molto più a contatto con Don Marcello, e che era un uomo molto attento, non gli abbia dato la documentazione (del resto fu lui a dirmi dell’articolo di Don Marcello sul Giornale dei Misteri!), fornitagli dal Marsiglia prima di me. So che il Cecchini era uno studioso e anche direttore dell’Archivio di Siena e in questa veste tradusse tantissime opere presenti nell’archivio, e se non vado errato negli anni Ottanta è uscita un’opera di quindici volumi, a cura dell’Università di Siena, su tutte le sue traduzioni. Scrisse anche Il pubblicato a cura del Monte dei Paschi di Siena nel 1958. Insieme a mia figlia Beatrice nel 2006 abbiamo trascritto e pubblicato il manoscritto del Pecci su Radicofani, e con mia sorpresa ho visto che, anche lui, già a metà anni del XVIII sec., contro il parere di molti scrittori, asserisce che Ghino di Tacco era discendente dei Cacciaconti e, precisamente, dai Signori della Fratta (ramo Guardavalle), dando ragione a Benvenuto da Imola, nonché a G. Cecchini. Quanto sopra per amore della verità!

Renato Magi

Articolo pubblicato su Centritalia new e su “Storia Amiata e Territorio”.

Le Scansioni sono la risposta alla presentazione che il sindaco Anna Bonsignori fa al Libro del Magrini: “La verità storica si GINO DI TACCO” – Radicofani difende e riabilita il suo castellano. La scansione della pag. 3 del libro, scritta a mano dal Magrini dice: All’amico Renato Magi che per primo fornì la notizia della documentazione del Cecchini. Radicofani, 16 aprile 1987. Don Ferruccio Marcello Magrini. Quindi non è vero, come dimostro sotto, e come il sindaco Anna Bonsignori asserisce nella presentazione: nel 1985 Magrini diffuse un lavoro, risultato di ricerche, mai da alcuno svolte prima (sic!), presso l’Archivio di Stato di Siena.

Fosse vero ciò che il sindaco asserisce come fa il Magrini poi a scrivere che io gli ho fornito la documentazione Cecchini?

Subito qui sotto ripropongo le scansioni delle prime pagine con le dediche del Magrini:

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

LE ROBBIANE DI RADICOFANI E …. – a cura di B. Santi e C. Prezzolini – Edizioni Cantagalli – Siena marzo 1993 – (Il libro, come dice il testo, racconta ed enumera le robbiane che sono nella chiesa di S. Pietro e quella che si trova sull’altare di Sant’Agata, ed è molto interessante dal punto di vista artistico).

IL BOSCO ISABELLA A R. – Un bosco tardoromantico – a cura di M. Mangiavacchi e E. Pacini – Editoriale Donchisciotte – Cortona febbraio 1994. (Il libretto ci fornisce notizie utili per conoscere a fondo come nasce il Bosco Isabella e per conoscere il suo ideatore Odoardo Luchini del quale parleremo più avanti in queste pagine).

LA POSTA DI RADICOFANI. – a cura di L. Carandini –Edizioni Cantagalli 1995 – (Il saggio del Carandini è apparso nella rivista bimestrale dell’Istituto Geografico Militare di Firenze nel Gennaio-Febbraio 1964 – Anno XLIV – n. 1; notizie più dettagliate sono nelle pagine più avanti perché quest’articolo fu ripubblicato in un libretto a cura del Comune di Radicofani nell’anno 1995).

LA CITTÀ FORTIFICATA DI R. – a cura di C. Avetta – Nuova Immagine Editrice – Siena 1998. (È la storia, trasformazioni e restauro del castello, grazie al libro di Don Marcello Magrini edito a Rimini in occasione del Congresso del P.S.I., e fu l’occasione per il partito per far arrivare, inizialmente con il finanziamento F.I.O. {Fondo di Investimento per l’Occupazione [ FIO “89” Città Fortificata di Radicofani ], e successivamente del Ministero del Bilancio e poi gestito dal Ministero per i Beni Culturali ed ambientali tramite la concessionaria {«A.T.I. “Città Fortificata di Radicofani S.C. a r.l.”} i miliardi per il restauro. Questo libro voluminoso oltre alle ricerche archeologiche ha molti documenti dell’A.S.S. e dell’A.S.F. con articoli vari di Storici, di geologi, di archeologi e ricercatori vari sulla fortezza e sul colle nel quale è adagiata). Vi sono ricerche d’archivio molto interessanti.

GHINO DI TACCO NELLA TRADIZIONE LETTERARIA DEL MEDIOEVO – a cura di B. Bentivogli – Salerno Editrice – Cittadella (PD) Maggio 1992. (Il libro raccoglie tutti gli scritti che fanno riferimento a Ghino di Tacco, comprese le poesie e l’articolo di Giovanni Cecchini pubblicato nell’ «Archivio Storico Italiano», CXV 1957, pp. 263-98 - e ritrovato da uno studente statunitense dell’Università per stranieri di Siena che gli servì per la tesi “I briganti del ‘300” di cui ho parlato più dettagliatamente più sopra).

IL PAGLIA – a cura di Jader Jacobelli – Edizioni Ceccarelli Grotte di Castro (VT) – Anno 2000. 14

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(L’autore è stato per molto tempo un giornalista della RAI. È la storia del Paglia, affluente del Tevere, ed è un libricino molto importante; ha la forma di un arco ed è composto di 64 pagine, che ci danno, credo per la prima volta, notizie importanti su questo fiume. È la storia dal primo ponte costruito dagli Etruschi fino ai giorni nostri!).

RADICOFANI Guida alla rocca ad al borgo – a cura di Riccardo Terziani – Edizioni Cantagalli – Siena settembre 1999. (Il libretto è, come dice il titolo, una guida, fino a questa data, abbastanza esauriente di Radicofani).

GHINO DI TACCO detto “IL FALCO” – a cura di G. Guidotti – Albignasego (PD) luglio 2001. (È un romanzo che cerca di seguire la storia del personaggio, ma non so fino a che punto ci riesca).

GHINO DI TACCO – a cura di Bettino Craxi – Edizioni Koinè – Febbraio 1999. (In questo libro Craxi difende Ghino e se stesso).

PENSIONE VERTUNNO E DINTORNI – a cura di Vito Mazzuoli – Tipografia “Stampa 2000” – Abbadia San Salvatore – 2001. (Il libro del Mazzuoli è uno spaccato della storia radicofanese, di quasi due secoli, che sarebbe stata irrimediabilmente perduta, se il libro non fosse stato pubblicato. In questo libro vi è la storia della “Pensione Vertumno” e dei personaggi che vi soggiornarono! Qui, di seguito, l’elenco di coloro che la frequentarono: Il primo personaggio da ricordare è Gino Severini, pittore di fama internazionale al quale Matilde Luchini, padrona della pensione gli fece da maestra e della quale parleremo più avanti. Il secondo frequentatore e amico di famiglia è Curzio Malaparte, scrittore italiano di origine tedesca, autore di “Maledetti toscani”, di “Kaputt”, di “La Pelle” ecc. ecc., il quale non solo era un frequentatore della Pensione Vertumno ma anche amico di famiglia, che fece il testimone al matrimonio di Alberto Luchini, figlio di Matilde. Comunque facciamo parlare Vito nel suo libro, il quale ci parla subito della padrona: «…………………Disegnatrice di notevole caratura, era stata la prima maestra del pittore Gino Severini, preso da lei a benvolere nell’ultimo scorcio del secolo diciannovesimo, per l’inclinazione e le doti straordinarie, che dimostrava nell’arte figurativa. Figlio di un uscere povero della Pretura di Radicofani, ma originario di Cortona, il ragazzo non avrebbe potuto iniziare il suo percorso artistico senza il valido aiuto di questa Signora, pittrice macchiaiola e ritrattista di valore, che per lui fu più di un mecenate. ………………….Degli antichi insegnamenti della signora radicofanese, l’ex allievo, terrà conto per tutta la vita e non avrà alcuna remora a riconoscere che :« insegnandomi in che cosa consistesse la pittura, fu proprio lei a mettermi sulla via dove sono» e poi Vito continua così : ……….Iniziamo con Bonaventura Tecchi da Bagnoregio (1896 – 1968), critico letterario e uno dei più attivi scrittori fra le due guerre, autore de “Il seme sulla sabbia”, “Il venti fra le case”, Valentina Velier”, “Gli egoisti”, e altre opere che gli conferiscono consensi e fama. Romano Bilenchi (1909 – 1989) da Colle Val d’, suoi i racconti “La siccità”, “Gli anni impossibili”, ed altri scritti………. 15

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Antonio Baldini (1889 – 1962) fu tra i fondatori de ‘La Ronda’, collaboratore de “La Voce” della “Nuova Antologia”, scrisse “Il Rugantino”, “Vedute di Roma” e “Beato fra le donne”. Piero Bargellini (1897 – 1980) fondatore del “Frontespizio”, autore di “Pian dei Giullari” e “Belvedere” ……È sua la prefazione al volume di Alberto Luchini “Radicofani”. Diventò personaggio mondiale, nel 1966, come Sindaco durante la catastrofica alluvione che funestò Firenze. Mino Maccari (1898 – 1989) inventore di “Strapaese”. Su scelta di Curzio Malaparte, diresse “Il Selvaggio” con risultati poco entusiasmanti. Pittore capace ed incisore di fama, le sue opere figurano in collezioni d’arte pubbliche e private, sparse in tutto il mondo. Ardengo Soffici, fondatore di “Lacerba”, scrittore e pittore d’alta classe. Amava Radicofani, la sua gente, il suo paesaggio. Nello Baroni, architetto insigne, uno dei progettisti, insieme a Michelucci, della stazione di Santa Maria Novella a Firenze. Giorgio De Chirico (1888 – 1978) inventore dell’arte metafisica, autore delle tele “Ettore e Andromaca”, “La partenza degli Argonauti” e di una lunga serie di capolavori, che inseriscono il pittore nella schiera eletta, degli artisti moderni più grandi del mondo. Ottone Rosai (1895 – 1957), famoso pittore fiorentino. Basta consultare un qualsiasi catalogo per rendersi conto delle sue quotazioni, recarsi in una galleria, tornar via con una sua tela sotto il braccio e il portafoglio vuoto. Restò incantato dai colori della Val d’Orcia e della Val di Paglia. Scrittore ragguardevole, creò “Il libro di un teppista” e “Via Toscanella”. Curzio Malaparte (1898 – 1957) amico di Radicofani e di casa alla pensione Vertunno. Era stato il testimone di nozze dell’avv. Alberto Luchini, scrittore e giornalista, futuro padrone del palazzo e del bosco Isabella. È superfluo illustrare opere e personalità del discusso artista pratese del quale nel 1998 è stato celebrato il centenario della nascita. “Fascista fervente” …………………………il futuro autore di “Maledetti toscani”, di “Kaput”, de “La Pelle” e d’innumerevoli corrispondenze da ogni parte del mondo e da tutti i fronti della seconda guerra mondiale………………………………………continuò tranquillamente la sua collaborazione al “Corriere della Sera” con lo pseudonimo di Candido. L’imprevedibile Malaparte, scrittore e cinematografaro (Il Cristo Proibito) fece molto parlare di se in vita, ma ancor più al momento di lasciarla. …………………………………………………………Pieno di vita e d’idee, parecchie anche bislacche, al colmo della carriera giornalistica e della “vis polemica”, scrivendo da Lipari all’amico Luchini, aveva osservato: - Com’era bella e ariosa quella nostra finestra lassù. - ………………………………………………………………………………………………… A conclusione d’una vita, tutt’altro che monotona, fece parlare di se amici e nemici, ammiratori e detrattori, tutti convinti della validità dei loro giudizi sul personaggio scomparso. Il commento di due contemporanei. Leo Longanesi: “A un matrimonio voleva essere la sposa; a un funerale il morto” Più equilibrato, pieno di buon senso e più vicino al vero quello di Giuseppe Prezzolini: “Aveva grandi difetti e grandi pregi” Aggiorniamo l’elenco con: Corrado Pavolini, giornalista e Poeta. Vittorio Rieti, musicista e compositore. Benvenuto Disertori, pittore e incisore. Giorgio Castelfranco, Sovrintendente alle Belle Arti e critico d’arte. Raffaele Franchi, poeta e scrittore fiorentino, soggiornò per un mese alla Vertunno, dedicando a Radicofani una lirica. Aniceto del Massa, critico d’arte de “La Nazione” di Firenze, poi a Roma, collaboratore de “Lo Specchio”. La scrittrice Clarissa Tartufari. 16

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Gherardo Casini, fondatore dell’omonima casa editrice, che per l’eleganza dei libri pubblicati e la qualità degli autori, non temeva e non teme, tutt’oggi, confronti con i concorrenti più ricchi e blasonati. Il pugile e attore cinematografico Enzo Fiermonte (qui il Mazzuoli fa una lunga chiacchierata che a noi, francamente, non interessa e continuiamo con l’elenco). Riprendiamo il discorso con Berto Ricci, matematico, poeta e scrittore………………… Il generale Francesco Grazioli, uno dei più decenti comandanti di una grande unità durante la prima guerra mondiale. Segue a ruota il colonnello, ve ne furono parecchi in gamba, medaglia d’oro Morozzo della Rocca, e signora, contessa Elena. L’aviatore Vasco Magrini, pilota senza macchia e senza paura. …………………………. ……………………………………………... Giuseppe Bottai (1896 – 1959), fondatore della rivista “Primato”, dove scrissero tutti quei giovani intellettuali, diventati, nel dopo guerra, comunisti. Onesto intellettuale, tenne il dicastero della Educazione Nazionale, durante il ventennio e votò contro Mussolini il 25 Luglio del 1943……………………………………………………………………………………………. Intellettuale, riconosciuto, e come tale stimato anche dagli antifascisti più leali e usi a non pianificare il settarismo, riassume la sua vita politica in forma di diario nel libro “Vent’anni e un giorno”. È il momento di Dino Grandi (1895 – 1988), conte di Mordano (secondo alcuni di Merdano) Ministro, fascista, degli Esteri, negli anni ’20, diplomatico nel ’30 e Presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, dal 1939 al 25 Luglio 1943. Stranamente concordi, venne ritenuto dai fascisti e dagli stessi antifascisti, il più ambiguo gerarca del ventennio. …………………………………………………………………………………………………… È l’ora del fiorentino Alessandro Pavolini (1903 – 1945), povero e feroce, del quale se ne sta riabilitando la memoria come intellettuale. ……………………………………………………………………………………………………. . E, per concludere, nella rassegna dei personaggi eroici, o ritenuti tali, non poteva mancare Gabriele D’annunzio, anche se non gravitò intorno alla pensione Vertunno, frequentata, invece, dal suo figlio naturale di cui s’è completamente perduta la memoria. Diretto, in auto, al fronte, nella primavera del ’16, s’era dovuto fermare, a Fonte Grande, insieme all’autista e a due giornalisti, per cambiare l’acqua del radiatore che, dopo le salite della Novella e del Pantano, bolliva in maniera impressionante. Arrivato, sul finire del giorno dopo a Padova, telegrafò a un amico: “Com’erano belle, ieri sera, le crete di Radicofani.” Poi nella città di Fiume, assurta, per volontà dell’immaginifico, a capitale della Repubblica del Quarnaro, conversando col poeta Henry Furst, classificò Radicofani come ‘il posto più virile del mondo ‘. Bel riconoscimento da parte di un esperto che di certe cose s’intendeva sul serio. (A. Luchini – Radicofani – 1970 pag. 139) Alla pag. 69 del libro Vito continua a parlare dei personaggi che sono stati alla “Pensione Vertunno” taluni frequentatori assidui e comincia con il principe Sisto di Borbone, fratello di Zita, consorte dell’ultimo imperatore d’Austria Carlo d’Asburgo; Gerto Snyder, intellettuale e Ministro della Pubblica Istruzione dell’Olanda, il quale presentò alla signora Luchini l’esule russo Léon Konkochnitzkj; il violoncellista russo Barjanski insieme alla moglie Katia; Henry Furst giornalista ed intellettuale, noto in Italia per l’amicizia che l’univa a Gabriele D’Annunzio e per la collaborazione alla rivista “Il Borghese”, amico del grande scrittore Ernst Junger e amico di Indro Montanelli; Marbury Somerwell, architetto di fama mondiale, ufficiale della marina USA anche lui amante degli acquarelli e delle tempere; Kasimir Edschmid, scrittore 17

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi tedesco; Kay Walter eccellente acquarellista di Copenaghen. Infine dopo questa rassegna di protagonisti Radicofani ebbe come estimatore anche Giorges Pompidou statista europeo e Presidente della Repubblica Francese che vi trascorse una giornata privatamente insieme allo storico Henri Bedarida Direttore dell’Istituto Grenoble di Napoli, considerato uno dei maggiori italianisti francesi.

RADICOFANI E IL SUO STATUTO DEL 1441 – a cura di Beatrice Magi – Edizioni Cantagalli – Siena – Maggio 2004. (Lo Statuto ci ha informato su molti aspetti della storia, della vita del paese e della legge che vigeva in quel tempo! Vi sono cose però che mi hanno enormemente incuriosito e che a tutt’oggi non sono riuscito né a capire né a trovare alcun riferimento storico (sic), questo è ciò che è scritto alla rubrica 39 a pag. 132 dello Statuto dal titolo: Della pena de chi entra in el luoco delle monache. La rubrica così recita: «Niuno huomo intre in casa overo luocho delle monache del monesterio de sancta Maria del Poggio Aianesi sença licentia de madonna abatessa d’essa overo essca d’esso luoco alla pena de cento lire de denare da pagarse per ciascuna volta». Non solo non abbiamo notizie del convento di monache, ma, per quanto mi riguarda non riesco a capire dove possa essere situato questo Poggio Aianesi! Oltre a questo, non sappiamo dov’erano i siti Santo Lorenzo (per questo posto vedi le note 128,129 e 130 che ci possono dare un’approssimazione del sito) e le Grotte [Rubrica 11], che suppongo fossero vicino alla Palazzina1. Sono certo, invece, di come si chiamava Via della Posta, menzionata nella rubrica 55: Porta Furella, infatti, il muro di sinistra, ora della famiglia Trisciani, era uguale al muro di destra, che era quello della famiglia Luchini, quindi guardando dalla porta, che allora esisteva, aveva l’aspetto di un foro; addirittura vi era una stradetta che dalla piazzetta A. Garibaldi s’immetteva sull’attuale Via della Posta (in quel tempo Porta Furella).

MEMORIE DI UN’ANTICA TERRA DI FRONTIERA E DI FORTEZZE – a cura di Beatrice e Renato Magi – Tipografia “Stampa 2000” – Maggio 2006. (I manoscritti pubblicati nelle pagine del suddetto libro, sono dell’Archivio di Stato di Siena: uno è il manoscritto D. 83 di B. Gherardini) (Visita fatta nell’anno 1676 alle Città, Terre, Castella dello Stato della Città di Siena dall’Illustrissimo Signore Bartolomeo Gherardini Auditore Generale in Siena per l’Altezza Serenissima di Cosimo III de’ Medici Granduca VI di Toscana), e l’altro è il D. 71 di G.A. Pecci (Memorie storiche, politiche, civili e naturali delle città, terre e castella che sono e sono state suddite della città di Siena). Questi manoscritti sono stati, per la storia di Radicofani, i capisaldi fra tutti i libri scritti fino all’uscita del “C.D.A.” su questo paese, ed anche il lettore meno esperto, leggendoli, può rendersene conto, scoprendo notizie inedite sul nostro paese e sul territorio che lo circonda e sui personaggi illustri cui ha dato i natali!).Dal manoscritto del Gherardini si apprende quali sono le chiese che esistevano in quell’anno nel territorio di Radicofani e ciò è molto importante anche per il raffronto con quelle che esistono ancora oggi). Nelle pagine che seguono, riportiamo le parole del Gherardini:

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1 Dopo sette secoli è, quasi certo, che questi luoghi citati nel libro a cura di B. Magi “Radicofani e il suo statuto del 1441” Ed. Cantagalli - Siena 2004, siano gli stessi luoghi dov’era il Borgo di Clemenzano, il quale era detto anche San Lorenzo. 18

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Chiesa Plebania sotto Titolo di San Pietro con il Fonte Battesimale, ……………, e con suo organo Sonante, in buono stato. …………………………….. Sono in detta chiesa Plebania gl’infrascritti Benefizi Semplici. Uno titolo S. Martino………………………. Altro benefizio Semplice sotto Titolo di S. Benedetto ……………… Altro Benefizio sotto Titolo di S. Filippo Neri ………………… Altro Benefizio semplice sotto titolo della presentazione di Maria Vergine ……. Altro Benefizio semplice sotto Titolo del Santissimo Crocefisso ………. Altro Benefizio di libera Collazione sotto Titolo di San Michele Arcangiolo ……. Altra Chiesa Cura d’Anime sotto Titolo di Sant’Andrea Giuspadronato dell’Abbate dell’Abbadia San Salvadore …………… Questa Chiesa è posta in Castel Morro …………………. Vi è l’Organo …sonante ……………………il Salario all’Organista lire 20. L’Anno ……. In questa Chiesa vi è un Benefizio semplice sotto Titolo di Santa Lucia ………. Chiesa, o’ Compagnia Laicale con Cappa sotto Titolo della Santissima Assunta ……. Chiesa, o’ Compagnia laicale con Cappa sotto Titolo del Santissimo Sacramento …… Chiesa, o’ Compagnia laicale con Cappa sotto Titolo di S. Antonio da Padova; …… Chiesa, o’ Compagnia laicale con Cappa sotto Titolo del Santissimo Sacramento annessa alla Chiesa di Castel Morro. ………. Chiesa con il suo convento habitato da’ frati Minori Conventuali. Sono nella Chiesa di questo Convento due Congregazioni, una nell’Altare dedicato al Santissimo Rosario, sotto il detto Titolo. ……….. Nell’Altare dedicato alla Santiss.ma Concezione vi è l’altra Congregazione sotto il detto Titolo. …………. Anco in questa Chiesa è il suo Organo Sonante, e ben tenuto. Chiesa sotto Titolo della Madonna delle Grazie dello Spedale della Comunità di detto luogo…. Tutte le sopradette Chiese della Terra sono di Fabbrica capace, bene offiziate, e proviste di sacri Suppellettili.

Pag. 46 Sono in questa Corte di Radicofani le Chiese infrascritte, cioè: Chiesa sotto Titolo di San Rocco, ora però distrutta, …. Chiesa posta nella Contrada di Gello sotto titolo San Bernardino, lontana circa tre miglia da Radicofani verso ………………………… (Qui il Gherardini prende un abbaglio perché la chiesa di Gello era intitolata a San Pellegrino! – Ciò è avvalorato da altri testi storici.) Altra Chiesa luogo detto il Pino (oggi detto il Pero) sotto titolo di Santa Croce lontana circa tre miglia verso la Val d’Orcia………. Altra Chiesa vicino alla Terra detta la Madonna del Roccheto (Si è scoperto all’archivio vescovile di Chiusi che il primo titolo di questa Chiesa era Santa Maria Novella) ………….2 Poco fuori della Terra vi è la Chiesa dedicata a San Francesco con il suo convento habitata dalla religione Cappuccina, et in esso stanno di continuo n.ro dieci religiosi, e quattro di questi sono Sacerdoti. Stranamente neanche il Gherardini ricorda la Chiesa di Santa Barbara situata nel Castello né quella di San Giovanni che già nel 1676 doveva essere distrutta.

Pag. 51

2 Ciò è avvalorato dalla rubrica n. 8 dello “Statuto di Radicofani del 1441” a cura di B. Magi. Cit. alla nota n. 1. 19

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Nelle osservazioni, proposizioni e Ordini che il Gherardini invia al Granduca, o a chi per lui comunica al n. 14:

14° - Fu domandata a nome de’ Bombardieri la Chiesetta della Comunità sotto titolo S. Rocco, o vorriano un Moggio di Terra per poterla con tale Entrata, e con le contribuzioni proprie mantenere, e fare offiziare, giache non hanno Chiesa, e si adunano hora in una Chiesa, hora in un’altra.

Dal manoscritto del Pecci abbiamo un primo accenno alla nascita del Borgo di Radicofani, infatti, a pag. 64 del libro leggiamo:

Supposto vero e legittimo il decreto di Desiderio Re dei Longobardi (m. nel 774 d.c.), che conservasi scritto in pietra nella città di , conferma il Bussi (Feliciano Bussi – Storia di Viterbo – P.te I, Libro I, pag. 21 e segg.), e tanti autorevoli scrittori, con valide, e gagliarde ragioni, per tale, celo dimostrano, non occorre più oltre andare a cercare quando Radicofani abbia avuto la sua fondazione, e chi ne sia stato il fabbricatore, mentre che in esso si leggono le parole: ”Nam in Tuscia edificamus a fundamentis vobis quidem Vulturranis, Calvellum, Vicumurchianus, Balneariam, Barbaranum, et Gariofilum, Sentinatibus autem Ansedonias, et Rodacofanum, Volaterris Radacomalum, etc.”

(La pietra di cui parla il Bussi è scomparsa, la perdita sembra attribuibile alla Seconda guerra mondiale!).

MATILDE LUCHINI (una pittrice a Radicofani) - cura di Dee Keithahn –Alsaba Grafiche – Siena 2002 – (Storia e foto dei dipinti di Matilde, {e albero genealogico della famiglia Luchini}, che ha lavorato nei primi anni del novecento a Firenze e nella Pensione Vertunno - Vedi storia dei personaggi più avanti)

CARTA ARCHEOLOGICA DELLA PROVINCIA DI SIENA – Volume VII – RADICOFANI – a cura della Provincia di Siena – AA.VV. – Nuova Immagine editrice - Siena – anno 2004 – (In questa carta tutte le cose dette in occasione del libro del Bicchi sono confutate o ampliate da ricerche fatte in questi anni da geologi, archeologi, storici e ricercatori con sistemi moderni. Vi è pure molta storia del paese!)

DE STRATA FRANCIGENA – XIX/1 – 2 – RADICOFANI E LA VIA FRANCIGENA – a cura Centro Studi Romei c/o Basilica di San Miniato al Monte (FI) – AA.VV. – Arti Grafiche Nencini – Poggibonsi – 2011 -

Dai libri che seguono sono stati tratti dei brani che riguardano Radicofani o qualche zona, sito o monumento importante di Radicofani.

L’ABBAZIA DI SAN SALVATORE AL MONTE AMIATA - a cura di Wilhelm Kurze e Carlo Prezzolini - Grafiche Piccardi & Martinelli – Bagno a Ripoli (FI) – Marzo 1988. 20

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Il libro è fatto di tanti articoli, ognuno dei quali ha un diverso autore, indichiamo oltre il titolo e l’autore anche le pagine del libro da cui sono stati ripresi i brani. Le note sono quelle originali del libro.

Il monastero di San Salvatore al Monte Amiata e la sua proprietà terriera – Wilhelm kurze

Pag. 2 e 3:

Parlando dei possedimenti del monastero vi è un brano che mi sembra valido per capire l’importanza dello studio effettuato dal Kurze.

“...... Ciò che venne affidato all’abbazia al momento della fondazione dai re longobardi è dunque un grande territorio concluso in sé stesso, in gran parte ancora coperto dai boschi originari e già popolato soltanto nella valle del Paglia. La situazione diviene ben comprensibile mediante la descrizione dei confini. Da un lato fiumi e confini indeterminati verso la vetta dell’Amiata, dall’altro confini definiti più chiaramente con filari di alberi e pietre verso la contea di , nella valle del Paglia e nella zona di contatto con San Filippo già da tempo abitato...... ”

Pag. 4: “...... Il secondo documento d’acquisto del medesimo anno 774 riguarda i beni in Agello – come mostra la notizia del IX secolo scritta sul dorso3. Gello nella Val d’Orcia, presso la più tarda Spineta...... ”

Pag. 10:

“...... Questa volta rimasero all’abbazia anzitutto importanti centri di proprietà nella valle del Paglia: San Casciano, Climenziano, (borgo presso l’attuale Casano, ma il Bezzini lo pone alla Palazzina, che con l’incastellamento si spostò nel borgo di Radicofani come tutti gli altri), Offena. Essi furono ampliati mediante la concessione di Voltole e la conferma della curtis di Burburigo donata dal marchese Ugo.

Pag. 11:

“...... la Rocca Senzano a nord-est di Radicofani. Queste concessioni basate su antiche disposizioni furono ampliate con Reodola minore in Val d’Orcia, che probabilmente era sorta mediante un nuovo insediamento di Reodola maiore (DO III 202) (CDA II, n. 212) e Bittena (forse a nord nord-est di Radicofani come Mussona e Offena) da considerarsi anch’essa come nuovo insediamento. A ciò si aggiunsero i nuovi castelli ...... e la rocca di Saxine (nord-est di Radicofani), sorti tutti con il progredire dell’incastellamento...... , tutte le proprietà che nel corso del tempo mutarono il loro nome furono elencate con tutti i nomi probabilmente senza cognizione di causa. È dunque impossibile che questa lista possa aiutare a comprendere lo sviluppo della proprietà terriera dell’abbazia dell’Amiata”.

Pag. 12:

3 CDA I, W. Kurze, Codex diplomaticus Amiatinus, Urkundder Abtei S. Salvatore am Montamiata von den Anfängen bis zum Regierungsantritt Papist Innozenz III. (736 – 1198), I e II, Tübingen 1974-1982. n. 22. 21

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

“...... Un fascicolo con le rendite del convento del XIV secolo, composto verso il 1340 mostra il monastero allora come normale proprietario terriero. Di fronte a 12 posizioni di amministrazione laica4 e a 4 posizioni di amministrazione feudale5 stanno 17 situazioni di proprietà accentrate intorno a chiese6. Dall’XI secolo l’area di proprietà è rimasta immutata da molti punti di vista. Come centri lontani dal monastero spiccano come già da lungo tempo: Campagnatico, Latera, Tuscania, Tarquinia/Corneto e la zona intorno a ...... Un fascicolo di atti conservato all’Archivio di Stato di Firenze (A.S.F.), in cui sono copiati centinaia di documenti registrati dall’amministrazione del monastero del XIII-XVI secolo, ci fornisce una conferma della situazione che abbiamo esposto. Le copie sono registrate sotto le località centrali preposte, sono dunque già conformi ad un più moderno ordine amministrativo7. Sulla carta ho unito ai simboli il numero dei documenti che sono raggruppati sotto il nome delle singole località...... 32 Radicofani e Celle.

L’evoluzione del tracciato della via Francigena tra la Val d’Orcia e la Val di Paglia – Stelvio Mambrini – Renato Stopani

Pag. 27:

Com’è noto la via Francigena fu una creazione dei Longobardi. Almeno come direttrice viaria. Essa nacque, infatti, per rispondere alla necessità di quel popolo di attuare un collegamento tra il regno di Pavia e i ducati meridionali di Spoleto e Benevento mediante un tracciato che, a differenza delle consolari romane……………… potesse essere da loro pienamente controllata. ……………………………………………………Essi individuarono così a nord del lago di la possibilità di creare un tracciato che, invece di dirigersi verso la Val di Chiana, come faceva la consolare “Cassia”, piegasse più ad ovest, indirizzandosi verso la valle del Paglia, risalendo il quale potevano raggiungere le ampie vallate dell’Orcia, e poi dell’Arbia, arrivando con facilità a Siena. …………………………………………, è probabile che i Longobardi più che costruire ex-novo la strada utilizzassero tratti di preesistenti vie………………………………………………………… I Longobardi, semmai, dovettero costituire lungo la via un organico sistema di difesa: …………, il che portò alla valorizzazione di quelle località che rendevano possibile un più efficace controllo della strada. Tale fu senza dubbio Radicofani, il cui castello, non a caso, nei più antichi documenti è ricordato come proprietà regia8. Il poggio di Radicofani costituiva un dato spaziale di eccezionale importanza, cui riferire una serie di rapporti, di attribuzioni e di possibilità nei confronti della strada

4 A.S.F., Compagnie soppresse, 454 fasc. 194; Voltiole, Val di Paglia, Rocchetta, Celle, luogo de Gravillona, Corte di Monticello, podere Gagliano, podere , poderi di Monte Follonicho, luoghi di Monte Pulciano. 5 Ibidem: feudo Castellare et terreno de Gello, feudo di Scorto mortu fa parte di Burgoricho, feudo di Contigniano cioè della Popilla, feudo del comune di Monte Laterone. 6 Ibidem: ecclesia S. Pietro, ecclesia S. Andrea di Radicofani, ecc. ecc. 7 Ibidem: 448 fasc.182: «Ristretto di varie cartelle dell’Archivio Amiatino in cui si leggono molti contratti particolari di diversi paesi, luoghi e circoscrizioni non appartenenti, la maggior parte, al monastero di San Salvatore – coll’indice de 1775». Quì presento la lista dei titoli dei gruppi locali, in parentesi il numero dei documenti ivi raggruppati: ...... Radicofani (Rocca d’Orcia, Campiglia, (25), ...... 8 Cfr. P. Cammarosano, V. Passeri, Repertorio, in A.A.V.V., I Castelli del Senese, Strutture fortificate dell’area senese- grossetana, Milano 1976, ristampa (ed. citata) Milano 1985. Oltre alla formidabile posizione del luogo, vera e propria fortezza naturale, testimonia dell’uso di esso da parte dei Longobardi l’origine del Toponimo, di derivazione germanica (dal personale «Radipert» oppure «Radicauso»). Cfr.S. Pieri, Toponomastica della Toscana meridionale e dell’arcipelago toscano, Accademia Senese degli Intronati, Siena 1969, pag. 158. 22

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi che, dovendo risalire l’alta valle del Paglia, transitava necessariamente ai piedi del rilievo: impossibile che i Longobardi non ne prevedessero l’utilizzazione!

Pag. 28:

...... Ogni tentativo di ricostruire i percorsi della via si presenta pertanto irto di difficoltà, nonostante che dalla fine del X secolo le fonti scritte riportino i primi itinerari che, talvolta, permettono di individuare con maggiori dettagli il tracciato della strada. È il caso della memoria lasciataci dall’arcivescovo di Canterbury, Sigeric, che elenca tutti i luoghi di tappa (ben 80) toccati dal presule britannico nel suo viaggio di ritorno da Roma alla sua sede episcopale, avvenuto tra il 990 e il 9949. Grazie a questo documento prezioso veniamo a conoscenza che nel X secolo la nuova via aperta dai Longobardi per sopperire alle loro necessità politico-militari aveva consolidato il suo tracciato ed era diventato il principale itinerario per Roma, ben definito nel suo percorso di base facente capo a centri («submansiones») presumibilmente attrezzati per ricevere i viandanti. Procedendo da Roma, i primi luoghi di sosta indicati dall’arcivescovo coincidono con quelli riportati dagli itinerari imperiali della via «Cassia». Giunto però al lago di Bolsena, in corrispondenza del quale sono ricordate le due «submansiones» di «Sce Flaviane» (Montefiascone) e «Sca Cristina» (Bolsena), Sigeric punta verso , immettendosi nel bacino del Paglia e risalendo il corso del fiume: la successiva località toccata dal presule britannico è, infatti, «Sce Peitr in Pail» (San Pietro in Paglia). Segue quindi la «submansio» di «Abricula» (Le Briccole)10, ormai già in Val d’Orcia, o meglio nella valle del Vellora, subaffluente dell’Orcia. Sigeric ha quindi superato il costone che da Radicofani si svolge con andamento sinuoso sino a poggio Seragio, fungendo da spartiacque tra le due vallate. A differenza della stazione di «Abricula», l’individuazione della «submansio» di «Sce Peitr in Pail» si presenta problematica, poiché nell’alta valle del Paglia, all’incirca ad una giornata di cammino da Acquapendente, non esiste alcuna località con tal nome. Laddove si riuniscono i rami sorgentiferi del fiume gli unici insediamenti registrati dalla cartografia moderna sono alcuni modestissimi insediamenti rurali («le Casette»), oggi ormai fatiscenti. Più a valle, collegati da una strada campestre che corre al lato del Paglia, sulla destra del corso d’acqua, sono poi le case coloniche «Vigna», «Nardelli», «Voltole» e «Voltolino». Tuttavia le fonti cartografiche cinque-seicentesche indicano nella zona, con un simbolo che si riferisce chiaramente ad un piccolo borgo, l’abitato di «Paglia»11. Con ogni probabilità è lo stesso insediamento cui fanno riferimento altre fonti itinerarie

9 Il manoscritto, che si trova presso il British Museum di Londra, fu pubblicato per la prima volta da W. Stubbs, Rerum Britannicarum Medii Aevi Scriptores, Londra 1974, vol. 63, cap. 7 pagg. 391-395. Cfr. inoltre: K. Miller, Die Altesten Weltkarten , Stuttgart 1895 e J. Jung, Das itinerar der Erbischofs Sigeric von Canterbury und die strasse vom Rom der Siena nach Lucca, in « Mitteilungen des Institues für Osterreichische Geschichtforschung », XXV, p. 57 e segg. 10 L’ubicazione della «submansio» di Abricula non presenta difficoltà in quanto ancor oggi esiste il toponimo (Le Briccole superiori e Le Briccole inferiori), in corrispondenza del quale, distanti tra loro poche centinaia di metri, sono due case coloniche. Poste tra il torrente Vellora e il borro Rafanello si trovano su un breve tratto di strada che corre parallelamente alla statale n. 2, leggermente spostato ad ovest. A lato della casa colonica «Le Briccole inferiori» è una chiesetta tardoromanica ancora in buono stato di conservazione, che rappresenta con ogni probabilità un residuo dell’ospizio ricordato nei Decimari pontifici della fine del Duecento come «Hospitale S. Pellegrini de Obricol (is)» (cfr. RDI I e II – P. Guidi, a cura di, Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV . Tuscia, I: La decima negli anni 1274-1280, Città del Vaticano 1932, ristampa anastatica Modena 1976. M. Giusti, P. Guidi, a cura di, Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia II: Le decime degli anni 1295 – 1304, Città del Vaticano 1942, edizione anastatica Roma s.d. 11 Già nella «Thusciae Descriptio autore Hieronimo Bellarmato» di Abramo Ortelio (1573 circa, Anversa) si trova indicata, tra Abbadia San Salvatore e Radicofani, la località «Paglia». E cosi anche nella «Urbisveteris antiquae. Dictionis desriptio», di Egnazio Danti (1583, Roma); nella carta del «Territorio Senese» di Orlando Malavolti (1599, Siena); nel «Territorio di Siena con il Ducato di Castro», di Giovanni Jansson (1630 circa, Amsterdam) e in numerose altre carte dei secoli XVI e XVII (cfr. R. Almagià, Monumenta Italiae Cartographica. Riproduzione di carte generali e regionali d’Italia dal secolo XIV al secolo XVIII, Firenze 1925, pp. 20-43-45 e Id., L’Italia di G. A: Magini e la cartografia italiana dei secoli XVI e XVII, Napoli-Città di Castello-Firenze 1922, p. 122). 23

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi successive alla memoria di Sigeric, come il resoconto del pellegrinaggio a Roma effettuato nel 1350 da Barthélemy Bonis, mercante di Montauban, che ricorda come luogo di tappa la località «Molino del Paglia»12, oppure le testimonianze di alcuni famosi viaggiatori del Cinquecento, quali il Montaigne ed il Buchellius, che menzionano un piccolo abitato composto di poche casupole, detto «Case di Paglia». Un’attenta ricognizione nell’alta valle del Paglia, nella zona di confluenza dei torrenti Vascio, Pagliola e Cacarello, ove le carte topografiche indicano l’insediamento «le Casette», ha appurato l’esistenza di tracce cospicue di un abitato, consistenti in cumuli di pietrame lavorato misto a frammenti di laterizio. Gli stessi piccoli edifici rurali esistenti mostrano nella loro muratura di aver utilizzato bozze di pietra andesitica dal taglio regolarissimo. Gli accumuli di macerie e il riuso di materiali lavorati testimoniano senza possibilità di equivoci che siamo alla presenza dei resti di un insediamento. Vi si potrebbe riconoscere il «Sce Peitr in Pail» sigericiano, documentato con denominazioni diverse, ma tutte facenti riferimento all’idronimo «Paglia», ……………………….

Pag. 30: fino al XVII secolo. Ma, per quanto diremo tra breve, ci sembra più probabile che il sito in questione possa essere stato la sede dello scomparso villaggio di Callemala, ricordato in numerosi documenti del «Codex Diplomaticus Amiatinus» a partire dal IX secolo. Sicuramente ubicato in Val di Paglia, il villaggio doveva trovarsi anch’esso lungo la strada per Roma. Oltre ad una chiesa dedicata a Santa Cristina, i monaci di San Salvatore vi possedevano casa e terreni, molini e taverne13. Callemala è ricordata ancora all’inizio del XVI secolo come una specie di mercatale ove affluivano gli abitanti dei castelli circumvicini per esitare i loro prodotti14. Sembrano confermare questa ipotesi anche i resti di un tracciato stradale ancora riconoscibile nella zona, seppure a tratti: è ciò che rimane di una via che nelle mappe del Catasto Toscano del 1832 è indicata come «antica strada romana»15 ………. La denominazione «antica strada romana» ancora in uso nel secolo scorso per questa via che si snodava lungo il corso del Paglia, oltre all’esistenza, a Voltole e a Burburico, di elementi di costruzioni medievali, rendono verosimile l’ipotesi che il tracciato in questione, oggi rimasto solo per brevi tratti, riproponesse con limitate varianti il percorso della via per Roma in Val di Paglia documentato nel medioevo16. A monte dell’ipotizzato sito di Callemala la ……………………

Pag. 32: strada che stiamo esaminando, ridotta a sentiero, si dirige verso la depressione tra Poggio Cirillo e l’Apparitoia (toponimo, quest’ultimo, chiaramente legato alla viabilità). Qui, sulla linea spartiacque tra val di Paglia e la val d’Orcia, è da localizzare il «Poggio di Lone», non registrato dalla moderna cartografia, in corrispondenza del quale nel 1442 venne effettuato il deviamento della strada romana

12 Cfr. E. Forestiè, Les livres de compte des frères Bonis, marchands montalbonais du XIVème siècle, in « Archives Histiriques de la Gascogne », t. XX e t. XXI, Paris Auch 1890-1891. Dice testualmente il documento lasciatoci dal mercante pellegrino di Montauban: «…. Lo dezenove dia dinar a Bonconvent, de ser a San Sirguo. Lo XX. Dia dinar alla Palha del Molit, de ser a Ayguas-pendens». 13 Cfr. CDA I e II, vedi in particolare i nn. 157, 166, 181, 200, 230, 280. 14 Cfr. L. Zdekauer, Sugli Statuti del Monte Amiata (1212 – 1451), Torino 1868, p. 11 dove riporta un documento del 21 aprile 1300 nel quale alcuni uomini di Radicofani e di Abbadia San Salvatore «promettono a Fra’ Giovanni del monastero di San Salvatore di stare lungo la strada pubblica, nella contrada detta di Calimala, a vendere vino e altre vettovaglie a vantaggio dei passeggeri, convenendo circa l’utile e il salario». Ancora all’inizio dell’Ottocento Callemala è ricordata come «luogo e casale, di poi borgo nella corte di San Salvatore vicino al fiume Paglia», nelle Memorie istorico- diplomatiche del Monastero di San Salvatore del Monte Amiata, di Giovan Colombino Matteschi, del 1811 (B.N.C.F. Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Fondo Palatino, Manoscritti, 1131, Repertorio. 15 A.S.S. Catasto Toscano, Mappe della Comunità dell’Abbadia San Salvatore, sezioni F, G, H. 16 È da notare, tra l’altro, che il Burgo de Uoltiole e la curtis de Burgoricho, con le rispettive chiese dedicate a San Pietro e a Santa Maria, compaiono sovente nei documenti amiatini sin dai primissimi anni dell’XI secolo. 24

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi per Radicofani17. Il sentiero, ancora indicato nelle tavolette dell’I.G.M.18, benché attualmente di difficile individuazione, discende poi nella valle del Formone……………………………………un nuovo percorso della via Francigena tra la val d’Orcia e val di Paglia un altro itinerario tra i più antichi: il diario di pellegrinaggio dell’abate islandese Nikulas di Munkathvera, che nel 1154 si dipartì dalla sua lontana isola per visitare Roma e la Terrasanta19. Tra San Quirico d’Orcia («Klerka Borg») e Acquapendente («Hanganda Borg», Nikulas dice che «…si sale sulla montagna chiamata «Clemunt», c’è un castello sulla sommità di questa, chiamato «Mala Mulier», «Cattive donne», come diciamo noi, dove la gente è di «pessima indole». Si è giustamente ritenuto, nonostante la scarsa somiglianza dei due vocaboli, che l’oronimo «Clemunt» voglia indicare Radicofani, che solo alcuni decenni più tardi sarà esplicitamente ricordato come stazione della via Francigena. Tale identificazione, tuttavia, lascia irrisolto il problema del castello di «Mala Mulier», che non può esser fatto coincidere con Radicofani, poiché nei secoli XI e XII nei documenti del Codex Diplomaticus Amiatinus le due località sono menzionate distintamente. È quasi certo però che il «Burgo de Muliermala» fosse ubicato nella valle del Formone: lo si desume dai toponimi ricordati in talune confinazione di terre poste nei dintorni del borgo, riportate in documenti del Codex20. ………………………………………………………………………………………… Pag. 33:

In particolare in un atto del dicembre 1071 si parla di un fossato di Selvella, toponimo che attualmente contraddistingue una località posta sulle pendici nord-occidentali del poggio di Radicofani. «Muliermala» non doveva trovarsi quindi molto lontana dall’odierno insediamento rurale di Selvella, donde nasce un fosso (subaffluente del torrente Landola) che nel medioevo doveva probabilmente prender nome dal piccolo abitato. Chissà se «Muliermala» non si trovasse ove oggi è la casa «Le Conie», prossima appunto a Selvella; oppure, poco più a nord, in corrispondenza della località «Castellare», il cui toponimo costituisce un chiaro riferimento ad un centro abbandonato21. Il diario di Nikulas di Munkathvera può quindi costituire la più antica testimonianza del nuovo itinerario della via Francigena transitante per Radicofani, risultando comprensibile l’errore dell’abate islandese, che collocò il borgo di Muliermala alla sommità del poggio di Radicofani invece che sulle pendici del rilievo22. …………………………………………………………………………………………

17 Cfr. O. Malavolti, Dell’Historia di Siena, Venezia 1599, Parte III, p. 31. «Poggilone de’ Monaci» è ancora indicato in una carta del XVIII secolo che rappresenta anche la «strada romana antica per la Paglia» che risale la valle del torrente Formone (cfr, A.S.S., «Disegno fatto per mostrare la confinazione tra la Bandita de’ Bovi e la Dogana dell’Abbadia San Salvatore» pubblicato da D. Sterpos, Comunicazioni stradali attraverso i tempi Firenze-Roma, Novara 1964, p. 39. Una «strada vecchia romana» è poi ricordata in una confinazione del 20 giugno 1769, relativa a terre poste a «Poggio Cirillo» e a «Poggilone» (cfr. A.C.A. Archivio Comunale Abbadia S.S., Memorie dall’anno 1745 al 1773, p. 437). Risulta infine del «Libro delle Deliberazioni e memorie degli anni 1462-69» conservato presso A.C.A. (pp. 6 e 61) che in corrispondenza del Poggio di Lone erano un « hospitium » ed un pozzo. 18 Cfr. Carta d’Italia, Foglio 129, I SO, IV NE, IV SE. 19 Cfr. F. P. Magoun, The pilgrim diary of Nikulas of Munkathvera: the road to Rome, in «Medieval Studies», IV, 1944, che riporta un’accurata traduzione in inglese del testo originale (in antico norvegese), pubblicato per la prima volta da E. C. Werlauff, Symbolae ad Geographiam Medii Aevi ex Monumentis islandicis, Copenaghen 1821. 20 Cfr. CDA, nn. 248, p. 125 e 289, p. 224, che risalgono, rispettivamente, al marzo 1016 e al dicembre 1071. In un altro atto del febbraio 1107 si ricorda uno «senodochio», quod est edificatum in burgo qui dicitur «Muliermala», CDA II, n. 327. 21 Ai fini della localizzazione di Muliermala è da ricordare un documento del marzo 1016 che fa menzione di una «strata Rumea» il cui tracciato, con la «serra di Muliermala», serve a delimitare i possedimenti dei quali l’atto tratta. Da notare inoltre che le terre cui le confinazioni si riferiscono sono dette essere di pertinenza «de curte e rocca mea de Campilli (Campiglia)», i cui signori si sa possedevano beni sulla destra del Formone (Cfr. P. Cammarosano, V. Passeri, I castelli del senese, cit., Repertorio, pag. 360). 22 È da osservare che l’appellativo «Muliermala» non doveva essere infrequente nel medioevo nei riguardi dei luoghi di sosta. Eguale denominazione dispregiativa possedeva ad esempio lo spedale di Montebuoni, immediatamente a sud di Firenze, lungo la strada per Roma (Cfr C. Camerani Marri, Le carte del monastero vallombrosano di San Cassiano a Montescalari, in «Archivio Storico Italiano», CXX, 1962, II). 25

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Le località toccate dalla strada sono eredi di insediamenti di notevole antichità, ricordate nei documenti amiatini sin dai secoli X e XI. Non solo, nella maggior parte dei casi esse conservano anche strutture architettoniche di edifici medievali (ad esempio a Castelvecchio e Perignano), oppure tracce più o meno consistenti di circuiti murari (ad esempio a Poggio Reggiano e a Castelvecchio). Dopo «le Conie» la strada si mantiene per almeno cinque chilometri a quota pressoché costante (circa 590 – 600 metri), incontrando la Casa «Poggio Bandinelli», nei cui immediati dintorni si trova il già ricordato Castellare, e poi il Poggio a Reggiano23. Abbandonata quindi la moderna carreggiabile per Contignano24, inizia a degradare dolcemente verso il fondo valle del Formone, transitando per la località «Riposo», il cui toponimo costituisce un evidentissimo riferimento all’esistenza, in passato, di una struttura ricettiva. Oltre «Riposo» la strada si dirigeva verso Castelvecchio, ove dovevano essere previste possibilità di collegamento col più antico percorso della Francigena. Da Castelvecchio, infatti, senza grandi difficoltà si poteva giungere a Le Briccole, previo attraversamento del Formone; oppure, proseguendo oltre, giunti in prossimità della confluenza del Formone con l’Orcia, era possibile arrivare a Spedaletto, il celebre punto di sosta ricordato a partire dal 1236 come dipendenza dello Spedale della Scala di Siena25. Un altro toponimo in rapporto con la viabilità («Palazzolo») potrebbe suggerire in questo secondo caso l’ubicazione dei punti di attraversamento del Formone e dell’Orcia, oggi uniti da una specie di mulattiera il cui proseguimento s’innesta nella moderna carreggiabile che conduce a Spedaletto. In direzione Sud, oltre Radicofani, la strada medievale, a differenza dell’attuale statale n. 2, raggiungeva il fondo valle del Paglia con un tracciato che viene oggi riproposto dalla via comunale che conduce a Ponte al Rigo.

Pag. n. 34:

Ne risulta un percorso che affronta la salita di Radicofani mantenendosi lungo la linea spartiacque fra i torrenti Paglia e Rigo. Anche in questo caso la toponomastica contribuisce ad avvalorare la nostra ipotesi con la presenza, poco a nord di Ponte al Rigo, della località «la Novella», il cui toponimo evidentemente dovette nascere in riferimento al nuovo tracciato, e «Baccanello», dal significato di posto di ristoro. Del resto che la strada medievale transitante per Radicofani proveniente da sud evitasse il fondo valle del Paglia è attestato dalle fonti cinquecentesche, tra le quali è un bel disegno della fine di quel secolo, conservato nell’Archivio di stato di Firenze, da noi recentemente pubblicato26. Anche se il più antico percorso che risaliva il corso del Paglia non venne abbandonato (tanto che il suo uso, abbiamo visto, è ancora documentato nel XVI secolo, come attestano le testimonianze del Montaigne e del Buchelius), il passaggio per Radicofani a partire dalla fine del XII secolo sembra essere preferito dai viaggiatori, in quanto permetteva di sostare in una «terra forte e populata» che rappresentava una garanzia di sicurezza. Ad esempio fa esplicito riferimento a Radicofani come «stazione» della via Francigena l’itinerario del re di Francia Filippo Augusto di ritorno (1192) dalla terza crociata: «….deinde per Ekepenndante, deinde per Redcoc, deinde per San Clerc…..». Chiaramente viene indicato il nuovo percorso Acquapendente-Radicofani-Le Briccole-San Quirico d’Orcia27. Egualmente, alcuni decenni più tardi, nell’anno 1253, anche l’arcivescovo di Rouen, Eudes

23 Nei pressi di Poggio a Reggiano, in località «Riscatto» una strada, oggi ridotta a sentiero, raccordava il percorso con Ricorsi, sul fondo valle del Formone. Il toponimo «Riscatto», dal latino volgare «rexcaptare», intensivo di «captare» potrebbe riferirsi alla possibilità di collegamento col percorso di fondo valle della Francigena che qui veniva offerto. 24 La strada prosegue attualmente verso Contignano, per poi spostarsi a est e dar luogo a due tracciati che conducono, rispettivamente, a Spedaletto e a Castelluccio di (cfr. Carta d’Italia, foglio 129, I SO e Foglio 121, II SO). 25 Cfr. P. Cammarosano, V. Passeri, I Castelli del senese cit. Repertorio, p. 352. 26 A.S.F., Piante possessioni, t. IV (riprodotto a p. 113 de La via Francigena nel senese. Storia e territorio, di A.A.V.V., Firenze 1985). 27 Cfr.,B. von Peterrorough, Ex gestis Henrici II et Ricardi I, in « Monumenta Germaniae Historia, Scriptorum », vol. XXVII, p. 131, Hannover 1885. 26

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Rigaud, che tornava alla sua sede episcopale, annoterà: «…. apud Aquam pendentem, Radicophanum, apud Sanctum Quiricum ….»28. Divenuto centro di transito e di controllo strategico della via Francigena, Radicofani accentuerà ulteriormente la sua importanza nel 1442, quando intervennero i senesi col «dare ordine che la strada romana, chiudendo il passo, non si facesse per la valle del Paglia»29. Si affermerà così il moderno tracciato della via che determinerà il lento abbandono degli altri percorsi, oggi sopravvissuti solo per alcuni tratti o in labili tracce che il territorio, tuttavia, tenacemente conserva. Fine pag. 36 STELVIO MAMBRINI – RENATO STOPANI

I possedimenti dell’abbazia di San Salvatore dal XVI al XVIII secolo – Gabriella Contorni Pag. 52 e 53.

RADICOFANI

L’Abbazia aveva perduto, a seguito della conquista senese, il potere temporale su Radicofani; nel ‘500 le rimaneva la giurisdizione sulle chiese della terra. Un elenco dei benefici della mensa abbaziale riporta che nel 1559 le chiese di S. Giovanni e di S. Pietro davano al monastero 24 denari senesi di censo annuale, mentre S. Andrea a Castelmorro dava due scudi d’oro, comprendenti anche l’affitto del beneficio. Cioè dei beni stabili della chiesa. Appartenenti all’abbazia, e affittati al curato30. Dall’inventario seicentesco conosciamo con precisione i beni di S. Andrea. Consistenti in una casa vicino alla chiesa, un podere e numerosi pezzi di terra31. La situazione di S. Pietro era diversa; come a S. Maria Assunta di l’abate vi esercitava solo metà giurisdizione, che per l’altra metà competeva al vescovo di Chiusi. Anche qui dunque c’era un pievano eletto dal vescovo e un compievano eletto dall’abate, che dividevano gli oneri e i benefici derivanti dai beni della chiesa32. Nel ‘300 l’abbazia possedeva nel territorio di Radicofani le tenute di Agello, . Cerviaia e Gallico, cedute nel 1340 in enfiteusi al comune di Radicofani. Da questo nel 1589 il monastero rilevò nuovamente in enfiteusi la tenuta di Gallico, per la quale rilasciò al comune il credito che aveva di 623 scudi d’oro e 15 moggia di grano33. Il catasto del ‘600 descrive Gallico come una tenuta formata da quattro poderi, confinante con la Paglia, la strada per Radicofani e il fosso Quercia; il cabreo del 1695 invece rappresenta solo due poderi, Gallico e Gallichino34.

Le chiese di Abbadia San Salvatore – Carlo Prezzolini

Pag. 135.

28 Cfr., T. Bonnin, a cura di, Regestrum visitationum archiepiscopi Rothomagensis, Rouen 1852, pp. 176-186. 29 Cfr. O. Malavolti, Dell’Historia di Siena, cit., parte III, p. 31. 30 A.S.F., Compagnie soppresse, 454, 194, cc. 85v., 86. 31 A.S.F., Compagnie soppresse, 454, fasc. 196, cc. 33-34v. 32 Per questa amministrazione a due mani vedi F.M: Magrini, I parroci di Radicofani, Siena 1983. Un inventario dei beni di S. Pietro si trova in A.S.F., Compagnie soppresse 454, fasc. 196, c. 21. 33 A.S.S., Conventi, 5, c. 265. 34 A.S.F., Compagnie soppresse, 454, fasc. 196, c. 3; ibidem, fasc.195, c. 135. 27

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La fondazione di una nuova pieve nei pressi dell’abbazia va collocata nel processo di radicale cambiamento del tipo di insediamenti che avviene nella valle del Paglia nel XII secolo, processo che porterà al sostanziale spopolamento del fondovalle e all’accentramento della popolazione nei castelli di Radicofani, Abbadia e Piancastagnaio, tutti sotto il controllo di San Salvatore35. ……………………………………………. Non sappiamo quando questo avvenga; un breve di Innocenzo IV del 1253, diretto ai pievani di S. Giovanni di Radicofani, di Lamula e di S. Maria de castro Abbatie36.

Le chiese di Patronato di San Salvatore – Carlo Prezzolini

Pag. 150 – 155. LE CHIESE DI RADICOFANI

Ancora molti interrogativi avvolgono la vicenda delle ripetute traslazioni e delle ubicazioni della pieve di Radicofani, anche se è chiaro che lo spostamento del fonte battesimale è collegato allo sviluppo del castello di Radicofani, documentato fin dal 97337 ma asceso come importanza solo dopo il 108038. La pieve santi Donati, scito Radicofani è ricordata in una carta amiatina del 106739, ma probabilmente possiamo identificare con questa la pieve di S. Donato ricordata nel 101440. S. Donato è elencata fra le pievi vescovili nel privilegio concesso al vescovo di Chiusi Teobaldo da papa Celestino III nel 119141. Il Maroni identifica questa chiesa con la pieve di S. Giovanni, dedicazione con cui troviamo indicata la pieve di Radicofani dal secolo XIII, e propone come probabile collocazione lo spartiacque fra l’Orcia e il Rigo, a nord-est del castello42. Recentemente invece è stata proposta la distinzione fra le due chiese, S. Giovanni è stata considerata erede della «vecchia e obliterata S. Donato»43 e la collocazione di S. Donato è stata ipotizzata nella valle del Paglia, nei pressi del borgo di Callemala44, collocazione possibile dato l’importanza dell’insediamento posto sulla Francigena. Nel 1153 l’abate Ranieri cede in locazione perpetua metà del castello di Radicofani e della sua corte al papa, escluso però «iure ecclesiarum, quod in eis habet» l’abbazia45. Papa Clemente III nel 108846 e papa Innocenzo III nel 119847 confermano all’abate amiatino «ius quod habetis in ecclesiis Radicofani castri et suburbii ipsius». Questa dizione fa pensare che le chiese di Radicofani siano

35 Su questi aspetti si veda le relazioni di C. Wickham e di M. Ronzani, L’organizzazione ecclesiastica dell’Amiata nel medioevo nel convegno “L’Amiata nel medioevo” tenutosi ad Abbadia S.S. nel maggio 1986. 36 A.S.S., Diplomatico S.S.M.A., 1253 gennaio 9; la pergamena è andata perduta, si veda il Regesto del Diplomatico in A.S.S., B 36 al n. 557. 37 CDA II, n. 203. 38 Sull’importanza di Radicofani nei secoli XII e XIII si veda la relazione di C. Wickham Insediamento e incastellamento sull’Amiata, 750 – 1250 al convegno “L’Amiata nel Medioevo” tenutosi ad Abbadia San Salvatore nel maggio 1986, dei cui atti si attende la pubblicazione. 39 CDA II, n. 284. 40 CDA II, n. 240. 41 G. Cappelletti, Le chiese d’Italia dalla loro origine sino ai nostri giorni, Venezia 1844 – 1870, vol. XVII p. 587. 42 A. Maroni, Prime comunità cristiane e strade romane nei territori di Arezzo-Siena-Chiusi, Siena 1973, pp. 213 e 219- 220. (Per questa chiesa si vedano più avanti le altre considerazioni alla luce dei due statuti del 1255 e quello del 1441). 43 Si veda la relazione di M. Ronzani L’organizzazione ecclesiastica dell’Amiata sul convegno di cui alla nota n 33. 44 Relazione di R. Stopani. Insediamenti e viabilità tra la Val d’Orcia e Val di Paglia nel medioevo, negli atti del convegno «L’Amiata nel medioevo», cit. Anche in Repertorio, p. 355, S. Donato è individuato nei pressi di Callemala e viene identificato con S. Giovanni. 45 CDA II, n. 341. 46 CDA II, n. 353. 47 CDA II, n. 370. 28

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi sottoposte fin dalla fine del XII secolo sia all’abate di San Salvatore che al vescovo di Chiusi, come è chiaramente documentato dal XIII secolo e fino alla soppressione dell’abbazia. Probabilmente questa situazione, che in seguito vedremo presente anche nelle chiese di Piancastagnaio e, forse, in S. Leonardo di Castel del Piano, ha origine da un accordo fra l’ordinario chiusino e l’abate di San Salvatore fatto per la traslazione del battistero di S. Donato, che abbiamo visto pieve vescovile, a S. Giovanni, che vedremo sottoposta al vescovo e all’abate. Nel 1196 Celestino III proibisce all’abate di S. Piero in Campo di costruire, in pregiudizio dell’abate amiatino e contro la sua volontà, una chiesa in Radicofani48. Simili contrasti si ripetono nei decenni successivi e chiariscono meglio la situazione. Nel 1237 sempre l’abate di San Piero «avendo una cappelletta mezzo diroccata vicino al borgo di Malmigliaccio, non lungi da un suo spedale detto di Fonte Cecula nel distretto parrocchiale della cura di S. Andrea di Radicofani (è la prima occasione in cui troviamo ricordata una chiesa del castello con la sua dedicazione, N.d.A.), aveva preteso di fare di quella una vera chiesa coll’altare». Il Fatteschi annota nel suo Cronico che S. Andrea, come tutte le altre chiese di Radicofani, spettava per metà al vescovo e per metà all’abate. L’abate amiatino si appella al papa contro le nuove ingerenze di S. Pietro in Campo e vede nuovamente riconosciuti i suoi diritti49. Ancora nel 1255 gli abitanti del borgo di Malmigliaccio (questo nome è errato perché la chiesa che sarà costruita è a Bonmigliaccio -vedi Statuto del 1255) vogliono costruire una nuova chiesa, lontana soltanto «quantum jactus est lapidis» da S. Andrea e l’abate ricorre di nuovo al papa50. Nel 1228 quando i cistercensi subentrano ai benedettini neri nell’abbazia di San Salvatore, la pieve di Radicofani, molto probabilmente già traslata in S. Giovanni, chiesa che doveva sorgere nei pressi del castello, viene assegnata dal nuovo abate a D. Filippo, monaco nero che non abbraccia la nuova osservanza51. La prima attestazione di S. Pietro è del 1236: in questo anno una carta di donazione viene redatta in questa chiesa, posta nel borgo maggiore di Radicofani52. Nel 1241 sono documentati contrasti fra il vescovo di Chiusi e i parroci delle chiese nominati dall’abate: il vescovo Benedetto impone aggravi ai presbiteri della pieve di S. Giovanni, di S. Andrea e di S. Pietro. Al rifiuto dei presbiteri, che si dicono soggetti unicamente all’abate, il vescovo li scomunica e pone l’interdetto alle loro chiese53. Le Ratio decimarum documentano che le chiese di Radicofani sono soggette sia al vescovo che all’abate: nelle decime degli anni 1275- 1276 i tre edifici culturali compaiono sia fra gli esenti che fra i non esenti dalle decime54. Le decime del 1302 sono ancora più chiare per S. Andrea e per S. Pietro, che compaio negli elenchi «pro parte episcopi» e «pro parte monasterii S. Salvatoris»; S. Giovanni compare una volta sola55, ma sappiamo da documenti successivi che il patronato di San Salvatore continua anche per la pieve. Nel 1328 l’Abate Angelo autentica i diritti del suo monastero sulle chiese sottoposte e fra queste sono presenti anche le chiese di Radicofani: i testimoni esaminati giurano essere le tre chiese «de jure et de facto» dell’abbazia, aggiungendo però alcuni che lo sono solo per metà56. E nello stesso anno il vicario generale dell’ordinario di Chiusi riconosce a San Salvatore la metà di S. Pietro, S. Andrea e

48 CDA II, n. 364. 49 Cronico, cc. 12v-13 e A.S.S., Diplomatico S.S.M.A., 1237 maggio 15, 1237 giugno 10, 1238 dicembre 13. Il 15 giugno 1237 alcuni nobili feudatari di Radicofani giurano fedeltà all’abate nella chiesa di S. Andrea, A.S.S. Diplomatico S.S.M.A., 1237 giugno 15. 50 Cronico, cc. 44v-45, A.S.S., Diplomatico S.S.M.A., 1255 gennaio 17, 1255 settembre 3, 1255 settembre 23. 51 Cronico, c.2. (Anche in questo caso ci vengono in aiuto i due Statuti) 52 A.S.S., Diplomatico S.S.M.A., 1236 ottobre 22. 53 Ibidem, 1241 giugno 7 e Cronico, cc. 22-23v. Sulla particolare situazione delle chiese di Radicofani si veda la citata relazione del Ronzani. Nel 1253 papa Innocenzo IV invia un breve ai pievani di Lamula, S. Maria di Abbadia e S. Giovanni di Radicofani, A.S.S., Diplomatico S.S.M.A., 1253 gennaio 9; la pergamena è andata perduta, si veda il Regesto del Diplomatico, A.S.S., B. 36, n. 557. 54 RDI I, pp. 122, 125, 127, 128, 129. 55 RDI II, pp. 164 e 165. 56 Cronico, cc. 147-147v e A.S.S., Diplomatico S.S.M.A., 1328 novembre 28. 29

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi della pieve di S. Giovanni57. Lo stesso viene deciso dal vescovo di Siena, eletto arbitro di un nuovo contrasto fra l’abate amiatino e l’ordinario di Chiusi, nel 1440: all’abbazia spetta medietates delle chiese di S. Pietro, S. Andrea e della pieve di S. Giovanni58. Le tre chiese compaiono nel registro dei pagamenti delle chiese sottoposte alla mensa abbaziale nel 146959. La chiesa di S. Giovanni è ricordata ancora nel 155960 e poi non la troviamo più citata; oggi non se ne conservano tracce. (Negli anni 2004-2006 si sono trovate le fondamenta di tale chiesa vicino a dove è stato costruito in “Bar-Ristorante” per i visitatori della fortezza). Anche S. Andrea, posta in Castelmorro, insediamento fortificato sottostante la fortezza di Radicofani, non esiste più: a documentarne l’importanza storica ed artistica resta la statua in legno policromo della Madonna con Bambino, attribuita a Francesco di Valdambrino e conservata nella chiesa di S. Pietro. Nel 1478 l’abate di San Salvatore permuta la metà della chiesa di S. Maria di S. Quirico, con un accordo con il vescovo di Pienza che deteneva l’altra metà di S. Andrea61. Questo scambio non è chiaro in quanto troviamo che nel 1499 Girolamo, vescovo di Pienza e Montalcino, incorpora la stessa chiesa di S. Maria di S. Quirico a San Salvatore62 e, inoltre, sappiamo che l’abbazia conserva i suoi diritti su S. Andrea. Il destino della chiesa, che è la cura della fortezza, è strettamente collegato alle vicende della fortezza stessa: dopo il suo abbandono, avvenuto nel 175863, la cura resta quasi del tutto spopolata, restandovi solo due famiglie con otto persone64. Nel 1778 la situazione peggiora perché la casa del curato «è tutta precipitata dal terremoto»65. Due anni dopo l’antica cura di Castelmorro viene unita alla pieve di S. Pietro66. S. Pietro diventa pieve nel XVI secolo, così ce la ricorda per la prima volta un documento del 1587. Il documento, un inventario dei beni stabili della chiesa fatto quando era compievano il monaco Pietro Rocca, ricorda che la pieve è di proprietà indivisa fra il vescovo e l’abate, che vi tengono un pievano e un compievano; le rendite, come le spese, vengono divise fra i due pievani67.

SAN PIETRO

In una piazzetta al centro del paese di Radicofani è situata la chiesa di San Pietro, una costruzione di origine medievale ampliata e rimaneggiata in più epoche. L’edificio presenta un’icnografia a tre navate concluse da una grande abside semicircolare; le navate sono divise in cinque campate da archi di valico a sesto acuto impostati su pilastri a fascio e semi pilastri addossati alle pareti. Allo stato attuale la parte iniziale della chiesa, in corrispondenza delle prime due campate, è formata soltanto dalla navata centrale essendo lo spazio relativo alla navata destra adibito a sacrestia e quello della navata sinistra occupato da una cappella, l’oratorio della Misericordia.

57 A.S.S., Diplomatico S.S.M.A., 1328 dicembre 23. 58 Ibidem, 1440. 59 A.S.F. Compagnie soppresse, 454, fasc. 194, cc. 44 e 45. 60 Ibidem, c. 85v. 61 A.S.S., Diplomatico S.S.M.A, 1478 aprile 8. 62 Ibidem, 1499 giugno 30. Si veda anche Cronico, cc. 233-233v. 63 Lo Stato di Siena, IX, p. 109. 64 Memoria del parroco di S. Andrea in Castelmorro all’abate del 1758, A.S.F., Compagnie soppresse, 441, fasc. E; Gheradini nella sua Visita...... , cit, II, p. 389, del 1676-1677 aveva trovato nella cura 94 anime, più sette poderi nella corte con 35 anime. 65 Lettera del curato di Castelmorro all’abate del 26 maggio 1778, A.S.F., Compagnie soppresse, 441 fasc. E. 66 F.M. Magrini, I parroci di Radicofani, Siena 1983, p. 13. Si veda anche la lettera dei monaci di San Salvatore al Reggimento toscano dei cistercensi del 16 giugno 1780 e la risposta del Reggimento del 26 dello stesso mese, A.S.F., Compagnie soppresse, 441, fasc. E. 67 A.S.F., compagnie soppresse, 452, fasc. 189, n. 51. Una pergamena del 1540 ricorda la «ecclesia nuncupata plebe de Radicofori» senza dedicazione, A.S.S., Diplomatico S.S.M.A., 1540 giugno 26. 30

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La copertura della parte iniziale è a capanna; quella delle ultime tre campate della navata centrale è formata da volte a crociera rinforzate con grossi costoloni di sezione poligonale. Le volte sono delimitate da ampi archi a sesto acuto trasversali e longitudinali. Archeggiature trasversali a tutto sesto scandiscono le navate laterali sorreggendo una copertura a travature lignee. Gli archi e i costoloni scaricano su pilastri composti molto rimaneggiati (solamente uno risulta integro) (Forse tutto ciò è dovuto ai terremoti succedutisi nei secoli?) formati da semicolonne e lesene e sormontati da mensole smussate fortemente sporgenti. La facciata, elevata su un’alta gradinata, è caratterizzata da un portale ricassato il cui archivolto, sorretto da due mensole sagomate, presenta l’estradosso a sesto acuto e l’intradosso a tutto sesto; una leggera doppia ghiera orna l’interno della lunetta. Al di sopra si apre una bifora, ripristinata, formata da una colonnina poggiante su un frammento di cornice riutilizzato a mo’ di mensola e decorato con motivi vegetali. In corrispondenza dello spiovente sinistro della facciata si eleva un campanile di sezione quadrangolare nel quale si aprono monofore e bifore. Sul fianco sinistro della chiesa è situato un portale caratterizzato da un architrave di riporto scolpito con rilievi ad intreccio ed una croce di Malta (Nota n. 40 alla pag. 187 - Secondo I. Moretti e R. Stopani, Romanico senese, Firenze 1981, p. 151 n. 41, la croce dei templari potrebbe indicare la provenienza dell'architrave da uno degli ospedali di Radicofani documentati all'inizio del XIV secolo). Il paramento murario del corpo centrale della facciata è costituito da regolari corsi orizzontali di conci ben squadrati di trachibasalto; le altre parti della chiesa presentano un paramento esterno più irregolare ed evidenziano varie fasi costruttive e numerosi rimaneggiamenti. All’interno la chiesa è completamente intonacata ad eccezione dei pilastri, degli archi e dei costoloni delle volte formati da grossi conci regolarmente squadrati. Alcune parti rimaneggiate di queste strutture sono coperte da intonaco dipinto ad imitazione della pietra. Il portale che si apre nel corpo centrale della facciata suggerisce una collocazione nel periodo di transizione tra il romanico w il gotico, collocazione con la quale concorda pure la regolarità del paramento murario della struttura nella quale è inserito. L’interno della chiesa è invece caratterizzato da un aspetto decisamente gotico, probabilmente attribuibile al XIV secolo. Non è facile stabilire se l’insolito impianto iconografico che la chiesa attualmente presenta sia nato con la costruzione gotica, magari al fine di sfruttare alcune strutture facenti parte di un edificio preesistente, o se sia il risultato di un intervento successivo ad essa consistente nel tamponamento delle prime due campate delle navi laterali. A tal proposito è da rilevare che le strutture della facciata relative alle navate laterali si appoggiano al corpo centrale corrispondente alla navata maggiore; non è da escludere perciò che quest’ultimo, essendo relativo ad una fase costruttiva precedente ad esse, abbia fatto parte di un edificio ad una sola navata preesistente a quella attuale. Ma occorre precisare che qualsiasi ipotesi deve essere interpretata con la massima cautela a causa dei forti rimaneggiamenti che l’intero edificio, compresa la facciata, ha subito, anche in tempi alquanto recenti. Da una foto dei primi del novecento, ad esempio, risulta che il vano relativo all’attuale Oratorio della Misericordia era prolungato dalla parte della facciata con un corpo di fabbrica demolito negli anni successivi; la stessa foto mostra che anche la parte superiore della facciata è stata rimaneggiata e che la bifora che attualmente vi si apre è stata costruita in questo secolo in sostituzione di una finestra semicircolare a sua volta inserita in epoca moderna. È inoltre da notare che nell’attuale sacrestia, situata nello spazio relativo alle prime due campate della navata destra, sono presenti sei semipilastri addossati alle pareti (tre per parte); le loro forme e le loro dimensioni sono però così diverse da quelli dei pilastri dell’attuale chiesa da rendere improbabile un rapporto con essi. Non possiamo invece escludere che la loro presenza sia in relazione con alcune funzioni svolte in passato dal vano adesso adibito a sacrestia. In un documento del 1845 relativo alla sistemazione di alcune opere d’arte della chiesa di San Pietro si parla infatti di una «Chiesa di Santa Maria, ora Sagrestia della compagnia del SS. Sacramento e Misericordia» e di una «Nova Cappella della Chiesa di S. Pietro», utilizzata dalla suddetta confraternita68; è probabile che i due ambienti siano da identificare con l’attuale sacrestia e con l’oratorio della Misericordia.

68 A.V.C., B. 91. I. 3, lettera del 5 giugno 1845. 31

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Dal XVIII secolo sono documentati alcuni interventi di restauro. Nel 1782 viene restaurato il campanile, il tetto, la muratura a «scirocco» e imbiancata la chiesa69. Nel 1843 sono necessari altri interventi alla copertura e al campanile al quale è crollatala «cupolina»70. Negli stessi anni quaranta vengono eseguiti ulteriori lavori di restauro ed è approvato un progetto di ampliamento della chiesa, probabilmente consistente nel prolungamento delle navate laterali fino alla facciata71. Purtroppo la documentazione non ci offre indicazioni sull’entità dei lavori effettivamente eseguiti ad eccezione di una lettera del 1844 nella quale, descrivendo il loro inizio, si parla dello smantellamento dell’impiantito e della demolizione dell’altare maggiore72. In ogni caso sembra che il progetto di ampliamento della chiesa, non sappiamo per quale motivo, sia stato successivamente abbandonato73. Nel 1924 l’interno viene intonacato a bande bianche e nere74. Nel 1949 viene tolto l’intonaco dai pilastri e si eliminano gli altari seicenteschi75. Alcuni anni fa, durante i lavori di pavimentazione, sono state individuate, a 30 cm. di profondità, le tracce di un edificio situato ad un dislivello di 6 metri76; di questo ritrovamento, purtroppo, non abbiamo però alcuna documentazione.

Pag. 195 – 198.

I Castelli di San Salvatore*.

[44.1.] RADICOFANI (SI)

Il complesso del castello di Radicofani e del suo Borgo di Callemala costituì nel medioevo un’importante zona di transito, e di controllo strategico, sul percorso della via romea o Francigena. Più anticamente attestato (dall’876) è il villaggio di Callemala, mentre il castello di R. si trova nominato per la prima volta nella vendita dell’aldobrandesco Lamberto di Ildebrando marchese dell’aprile 973. Numerose sono le carte private – spesso concessioni livellarie – dell’abbazia di S. Salvatore del Monte Amiata che si riferiscono a Callemala: intorno a questo insediamento sulla via Francesca (l’indicazione è già nel testo dell’876) i monaci possedettero terreni, vigneti, boschi ed orti, e sul vicino corso del Paglia impiantarono dei mulini (una prima indicazione risale al 962, e nel ‘200 si ha notizia dei mulini abbaziali di Callemala) (dei mulini di Callemala si ha notizia nello “Statuto di R. del 1255 – n.d.t.). A Callemala era la chiesa di S. Cristina, e nei pressi la sede pievana di S. Donato, ricordata con frequenza nelle carte amiatine e riferita dal 1075 al luogo di R. (in seguito cambiò titolo e fu dedicata a S. Giovanni). Il controllo sul castello di R., che era di proprietà regia, fu conteso in un primo tempo tra l’abbazia del Monte Amiata e i conti Aldobrandeschi: nella querela presentata dai monaci all’imperatore Enrico IV, nel luglio del 1081, si denunziava come abusiva la detenzione del castello da parte di quei nobili, i quali vi tenevano insediata «una moltitudine di loro cavalieri». In seguito si affermarono in R. i Manenti, che erano conti di Chiusi e in quanto tali – verosimilmente – disponevano di diritti sul patrimonio regio nel contado: e nel 1139 il conte Manente di Pepone donò al vescovo senese Ranieri – con un documento rogato in Siena, «nella piazza di S. Cristoforo, nel parlamento, in presenza di molti uomini» - la sesta parte del castello. Questa cessione, che è uno dei fatti più noti nella storia della prima espansione territoriale di Siena, dovette certo suscitare apprensioni e volontà di resistenza nei monaci del Monte Amiata. Nel 1144 essi si fecero concedere da papa Celestino II una bolla di conferma dei propri possedimenti, tra i quali era espressamente indicato il castello di R. Poco tempo dopo sembra che organizzassero ostilità militari contro i Senesi, impegnati allora in una guerra contro il Comune di Firenze. Certo si è che nell’estate del 1145 l’esercito senese era accampato presso l’abbazia di S. Salvatore, e che l’abate dovette allora impegnarsi a porre R. a disposizione dei Senesi per eventuali necessità di guerra: quanto alla sesta parte del castello, che i Senesi avevano ricevuto in dono dal conte Manente, si stabiliva che l’abate l’avrebbe tenuta per conto del vescovo e del «Popolo» di Siena. Era una soluzione manifestamente provvisoria, che mentre riconosceva ai Senesi una sorta di sovranità politica e la formale proprietà della sesta parte castello, ne assicurava peraltro all’abbazia

69 Ibidem, lettera del luglio 1782. 70 Ibidem, lettera del 24 luglio 1843. 71 Sul progetto di ingrandimento della chiesa si veda: A.V.C., B. 91. I. 3, lettere del 24 luglio 1843, 14 ottobre 1843, 13 aprile 1844, 18 dicembre 1844. Cfr. anche F.M. Magrini, I parroci, cit. p. 62. 72 A.V.C., B. 91. 3, lettera del 13 aprile 1844. 73 F. M. Magrini, I parroci, cit., pag. 62. 74 Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici di Siena, Scheda A, San Pietro a Radicofani. 75 Ibidem. 76 Ibidem. 32

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi il possesso materiale. Contro la prospettiva di un inserimento nel dominio senese, i monaci ricercarono con maggior decisione il sostegno della Chiesa Romana: nel 1153 cedettero in locazione perpetua a papa Eugenio III e ai suoi discendenti una metà del castello di R. della circoscrizione castrense e del borgo di Callemala dietro l’impegno del versamento di un censo annuo di sei marche d’argento – a titolo di ricognizione della proprietà abbaziale, e da destinarsi al vestiario dei monaci. Il successore di papa Eugenio, Adriano IV, fece immediatamente fortificare R., che fu poi coinvolto nelle ostilità tra il Barbarossa e la Chiesa; e il possesso della Sede Apostolica, secondo le condizioni stabilite nel 1153, venne regolarmente ribadito dai successori di Adriano. Nel primo anno del suo pontificato (1198) Innocenzo III fece alzare le mura di R. ne fece costruire di nuove e si occupò che fosse messo a punto l’apparato difensivo del castello, dove pose un proprio castellano. Infine, il famoso accordo di Neuss, con il quale l’imperatore Ottone IV riconosceva le nuove frontiere raggiunte dal dominio temporale della Chiesa (1201), menzionava R. come punto di confine del Patrimonio di S. Pietro in Toscana. Ma nel 1210, con l’inizio dello scontro tra Ottone IV e il papa, le forze imperiali occuparono R. dove si insediò come castellano il maniscalco Enrico di Lure: ancora nel 1221, nonostante la sconfitta di Ottone IV (1214) e un accordo stretto fra gli uomini di R. e il maniscalco papale (1215 o 1216), Enrico esercitava un controllo sul castello; poi questo tornò nell’ambito del Patrimonio. Nella guerra del 1229-1235, combattuta dal Comune di Siena contro quello di Firenze ed Orvieto, furono compiute nel territorio di R. devastazioni e razzie di bestiami ad opera di alcuni reparti dei Senesi e dei loro alleati. Timorose di inimicarsi il Papato, le autorità senesi si adoperarono perché fossero restituiti gli animali e avanzarono proposte di risarcimento: incorsero nondimeno nella scomunica papale, che venne tolta nel giugno del 1235 in seguito ad una formale obbligazione di risarcimento da parte senese e alla sistemazione della questione di Chianciano, che i Senesi avevano occupato e che venne restituita al papa (per suo conto agì Guglielmo di Anagni, castellano di R.); il papa riconsegnò poi Chianciano agli Orvietani (era questa di Chianciano la questione di maggiore importanza, e si ha l’impressione che l’incidente di R. sia stato dilatato a scopo strumentale dalla diplomazia pontificia). Del 1255 è una redazione di Statuti del Comune di R. della quale ci è pervenuto un ampio frammento: organizzata nelle contrade di Castello, Castelmorro, Bonmigliaccio e Borgo Maggiore, la comunità appare dotata di una sua larga autonomia giurisdizionale e fiscale. A quest’epoca era stata senza dubbio ridimensionata di molto la signoria abbaziale sul castello, e dalla metà del ‘200 i monaci amiatini dovettero anche impegnarsi in una lunga serie di vertenze con la Sede Apostolica per la tutela della propria sovranità su R., nel rispetto dell’antico patto con Eugenio III. Quando, nel 1262, vi fu in Siena la sollevazione dei Salimbeni e dei Guelfi contro il governo ghibellino dei Ventiquattro, e quindi lo sbandimento della parte Guelfa dalla città, i fuorusciti si arroccarono in R.; l’anno seguente le milizie comunali senesi e la cavalleria imperiale di Manfredi sconfissero i fuorusciti presso l’abbazia di Spineta e abbatterono quindi le mura di R.: solo nel 1298, con un intervento conciliativo di papa Bonifacio VIII, si sarebbe conclusa la vertenza tra i Senesi e il Comune di R. per il risarcimento di queste devastazioni. A lungo il castello di R. continuò ad essere coinvolto nelle generali vicende politiche di Toscana: sede dei fuorusciti guelfi di Siena ancora dopo la battaglia di Spineta (anni 1264- 1265), ribellato alla Chiesa nel 1284, dal 1295 circa base per le imprese del famoso Ghino di Tacco contro i Senesi (ora passati allo schieramento guelfo), fu infine al centro della guerra condotta negli anni 1301 – 1302 da Guido di Monfort e Margherita Aldobrandeschi contro il Papato e i Comuni guelfi di Siena e di Orvieto. Dopo la sconfitta dello schieramento ghibellino R. rimase per cinquant’anni nell’ambito della sovranità papale; i passaggi di Enrico VII e di Ludovico il Bavaro non ebbero conseguenze durevoli da questo punto di vista. Alla metà del ‘300 il Comune di Siena, che dalla lontana vicenda degli anni 1139 – 1145 non aveva cessato di ambire al controllori R. e di intervenire nelle questioni che interessavano il castello, compì una serie di passi decisivi verso l’affermazione di una propria signoria. Appoggiandosi alla famiglia locale dei Del Guasta (veramente la famiglia si chiamava Guasta), maggiorenti di R. attestati dalla metà del ‘200, i Senesi ottennero nell’ottobre del 1352 una sottomissione del Comune di R.; salvaguardati i diritti della Chiesa, ma vi fu ovviamente un’immediata opposizione papale. Dopo una lunga fase interlocutoria, nella quale si esercitarono contemporaneamente su R. la sovranità appena acquisita di Siena, la sovranità papale e gli antichi diritti di dominio dell’abbazia del Monte Amiata, si affermò nel castello – per concessione del papa – una signoria dei Salimbeni; e nel 1405, nell’atto di generale sottomissione stipulato da Cocco Salimbeni in favore della Repubblica senese, il quale concludeva la fase più acuta delle ostilità tra la città e il grande casato magnatizio, fu incluso anche il castello di R. A quest’epoca, non ben conosciuta, della storia di R. risale la più antica compilazione di Statuti che ci sia rimasta nella sua integrità (1397). Il dominio senese fu scosso con la guerra condotta in Toscana da Ladislao di Durazzo, re di Napoli: tolto a Siena dai Salimbeni nuovamente ribelli, nel 1410 R. fu occupato dal capitano di ventura Tartaglia di Lavello, già stipendiato dai Senesi ed ora passato al servizio del re; ma l’anno seguente lo stesso Tartaglia cedette R. ai Senesi, dietro compenso. Furono stipulati adesso nuovi patti di subordinazione della comunità di R. alla Repubblica, la quale ottenne anche, dal papa, una concessione a lungo termine (60 anni) dei diritti della Sede Apostolica (nel 1459 i Senesi avrebbero ottenuto da Pio II che la concessione fosse perpetua, con un rinnovo ogni dieci anni, e nel 1464 anche questa clausola del periodico rinnovo fu abolita). Nei capitoli di sottomissione, che ebbero poi gli aggiornamenti e le revisioni consuete (1517, 1527, 1543), veniva riconosciuto ai Senesi – come d’ordinario – il possesso della rocca e dei fortilizi di R. Nel 1417 fu intrapresa la costruzione di una nuova fortezza, sotto la direzione di maestri lombardi. Verso la metà del secolo le autorità senesi fecero guastare l’antico tratto della via Francigena, ritenuto troppo lontano il castello e pertanto difficilmente controllabile, e lo sostituirono con un tracciato, poi rimasto, più vicino a R. Nel 1555 la fortezza di R. fu assediata invano, con intenso bombardamento, dalle forze imperiali e medicee: sarebbe

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi stata consegnata al duca Cosimo solo dopo la resa della Repubblica montalcinese (1559). (Per l’esattezza il 17 agosto 1559)

Il sistema di fortificazioni di Radicofani si può dividere in quattro parti ben distinte: la rocca, la fortezza, l’ampliamento di questa e le mura del borgo. La fortezza in filarotto comprende all’interno la più antica rocca triangolare con torri angolari attorno alla quale essa si svolge a pianta presso a poco quadrangolare con bastioni piuttosto irregolari a tre degli angoli; priva però del lato E, poiché le sue mura, dai bastioni che lo delimitano, vanno a ricongiungersi con la torre E della rocca, formando da quel lato una specie di tenaglia; il bastione SO è sostituito da una curiosa conformazione ad L di quell’angolo della fortezza. Alla rocca si accede per una porta ad arco ribassato sormontata da piombatoi rifatti. Delle tre torri, la maggiore, in funzione di mastio, è quella di SO, accanto alla porta, con base a scarpa e cordone, tanto restaurata da rendere difficile stabilire l’autenticità dei vari elementi: quella di NO, più piccola, ha pure la base a scarpa; quella E si fonde con i bracci di mura suddetti. La Fortezza come si è detto, è provvista di bastioni, che conservano ancora, più o meno rovinati gli ambienti interni. Anche l’ampliamento della fortezza, in direzione N e ad un livello più basso, era munito di due bastioni, dei quali quello NO conserva ancora tratti di paramento, specialmente nella base a scarpa, e del cordone sovrastante; nel lato O bel portale di accesso ad arco tondo. Per quanto riguarda le mura del borgo si può ancora vederne qualche frammento ai piedi della rupe della fortezza, nonché un lungo tratto del basamento, interrotto da una torre rotonda, dalla parte a valle, a sostegno dei giardini pubblici, ma reso quasi illeggibile dai rifacimenti. All’estremità E del paese resta ancora una porta ad arco tondo. All’estremità opposta è invece un fabbricato medievale in pietra con il fronte a valle e la testata fortemente scarpati, assai rimaneggiati e pesantemente stuccati in cemento; sul lato a monte è una porta d’ingresso ad arco tondo ed un’altra su quello a valle dentro un profondo strombo della scarpa.

[44.3.] CATEL MORRO

Non si conoscono le vicende specifiche di questo castello, che nel 1255 era aggregato a Radicofani, del quale costituiva una contrada, ma conservava tuttavia una fisionomia edilizia propria, con le sue carbonaie ed un circuito di mura del quale si conservano ancora oggi le tracce. C.M. fu sede della chiesa di S. Andrea, posseduta dalla metà del ‘200 fino al 1478 dall’abbazia del Monte Amiata.

Numerosi resti di mura crollati, immediatamente adiacenti alla fortezza di Radicofani, sparsi tra le macerie, stanno a testimoniare l’esistenza del castello.

[44.8.] Rocchette di Sassina.

Per le notizie storiche e bibliografiche cfr. la voce seguente.

Ne restano soltanto pochi ruderi appena emergenti dal terreno.

[44.9.] ROCCHETTA (di Senzano)

Nell’aprile del 1007 i monaci del Monte Amiata ottenevano dall’imperatore Enrico II un privilegio, nel quale era confermata loro, tra gli altri possessi, la rocca di Senzano con le sue pertinenze; venti anni dopo Corrado II ribadiva la concessione: quel possedimento era designato ora come «le rocche che son chiamate Saxine». È dunque antica la distinzione tra le due rocche, che si sarebbero poi dette le Rocchette di Radicofani e avrebbero ricevuto rispettivamente il nome di Senzano (oggi Rocchette; e cfr. il vicino toponimo Sensano) e di Sassina (i resti presso l’odierna Casa al Treggia, due Km ad O dell’altro fortilizio). Quest’ultima sembra essere stata la meno importante delle due rocche: certo i documenti amiatini del secolo XI non ne fanno menzione, dopo il citato privilegio di Corrado II, mentre non mancano i riferimenti al castello e alla rocca di Senzano. Nel 1072 Beatrice e Matilde di Toscana confermarono all’abate del Monte Amiata la proprietà della rocca e delle sue pertinenze, contro rivendicazioni del vescovo di Chiusi e dell’abate di S. Pietro in Campo. In seguito ambedue i luoghi fortificati caddero in abbandono. Nel 1205, infatti, l’abate Rolando diede ad alcuni uomini di Radicofani il permesso di ricostruire le Rocchette, concedendo loro una metà dei relativi diritti signorili. La ricostruzione non dovette essere intrapresa, perché nel 1248 vi furono nuovi dello stesso tipo tra l’abate del Monte Amiata e uomini di Radicofani (tra cui erano discendenti dei precedenti concessionari); si ponevano, e furono adesso regolate, questioni relative ai confini del territorio delle Rocchette e a diritti di altri proprietari del luogo. Non si conosce l’esito di questi nuovi accordi. Nel 1369, non avendo intenzione di pagare al castellano di Radicofani gli stipendi delle dieci guardie della Rocchetta (di Senzano), i monaci dell’Amiata acconsentirono a che il luogo venisse smantellato.

Sulla vetta di un roccione, all’estremità di una cresta collinare, sono i ruderi appena visibili del castello. 34

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

* Le schede sono riprese dal Repertorio, di Paolo Cammarosano e Vincenzo Passeri. Dal Libro I Castelli del Senese –Strutture fortificate dell’area senese-grossetana – Volume secondo – [pagg.275-401] – Edito a cura del Monte dei Paschi di Siena – Anno 1976. La numerazione fra parentesi quadra è quella che appare nel testo originale.

L’AMIATA NEL MEDIOEVO – AA.VV. – Edizioni TIBERGRAPH S.r.l. – Città di Castello (PG) dicembre 1989.

Pag. 17.

La Toscana meridionale nel medioevo – Giovanni Tabacco.

L’espansione del comune di Orvieto su Chiusi e il suo territorio – un territorio nei secoli anteriori inquadrato sempre formalmente nel regno italico – favorì qualche intervento papale nella zona, in prosecuzione e convergenza con il controllo che i predecessori di Innocenzo III avevano conseguito su S. Salvatore dell’Amiata, nonostante il suo carattere di abbazia imperiale, e sul castello di Radicofani, dipendente dall’abbazia77.

Pag. 50 e seg.

L’abbazia di San Salvatore al Monte Amiata e le famiglie Comitali della Tuscia: Prospettive di ricerca – Amleto Spicciani.

I Berardenghi si erano stanziati a est dell’abbazia, gli Aldobrandeschi a sud-est, gli Ardengheschi a ovest e – più oltre – i Gherardeschi78. In mezzo ai loro territori, da nord a sud, la via Francigena, nel tratto da Siena a Roma; e lungo questa importantissima strada i maggiori possessi monastici si San Salvatore dell’Amiata. Lì accanto Radicofani, castello regio, passato poi in mano anche degli Aldobrandeschi e punto di forza – come vedremo – contro l’abbazia amiatina79. Fu allora che l’abbazia, posta geograficamente al centro della Tuscia meridionale e in un luogo strategicamente importante, venne a trovarsi in concorrenza con le altre forze signorili che nella stessa zona già si erano affermate. I diritti di potere pubblico che nell’XI secolo l’abate amiatino esercitava, non solo sulle sue terre ma anche sugli uomini liberi che abitavano nelle circoscrizioni a cui quelle terre estesero la propria giurisdizione, avevano un lontano retroterra e si fondavano su legittime e antiche concessioni80. …………………………………….. Il conte Ugo (super omnia mala que suus pater gessit eadem faciens ac deteriora cotidie superinponere non recusans) aveva usurpato il villaggio di Sala, la corte di Gravilona e aveva addirittura dato in feudo il castello di . Il fratello di Ugo, il conte Ranieri, aveva occupato la corte di S. Fiora con i suoi cento mansi e la selva di Campusona, e in queste terre, come pure in altri possessi del cenobio, teneva placido e esercitava il suo governo. Obbligava gli uomini di Piancastagnaio e di S. Casciano (quest’ultima era

77 M. Maccarone, Studi su Innocenzo III, Padova 1972, p. 77 sg. Cfr. D. Waley, Mediaeval Orvieto, Cambridge 1952, n. 53, pp. 6, 19, 27 seg. Per l’abbazia e Radicofani: CDA, II, pp.310-391 (passim); REDON, Uomini e comunità, p. 23. 78 Cfr. la carta delle aree di espansione delle maggiori famiglie toscane allegata a KURZE, Nobiltà toscana e nobiltà aretina cit. 79 Nel frattempo il cenobio amiatino (1077) si era trovato ad essere come circondato da tutte le parti da centri fortificati dai conti Aldobrandeschi. I quali obbligavano anche gli uomini del monastero a prestare servizio armato di guardia in ogni tempo nei loro castelli. 80 Sul lungo processo storico che dal IX all’XI secolo portò alla formazione della signoria territoriale amiatina, mi riservo di ritornare in un prossimo saggio. 35

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi una corte regia in possesso dell’abbazia) alla custodia e al servizio nel suo castello di Marino, e aveva a loro imposto una tassa annua di trenta lire. Addirittura aveva occupato il castello di Radicofani – anch’esso appartenente al re – e di lì ogni giorno procurava danni innumerevoli al monastero. In angustiis et laboribus viximus, scrivevano i monaci al re Enrico IV; e lo scongiuravano di intervenire in loro aiuto prima che l’abbazia avibus adque feris, ab hominibus derelicta, tradatur81 ……………………………………………… Il conte Ugo del defunto conte Ranieri (dei Guiglieschi, del ceppo dei conti di Siena) nel 1071 donò all’abbazia amiatina un terreno nella selva di Muliermala82 (Radicofani), che separava un possesso del detto monastero dalla terra degli Aldobrandeschi (CDA, II, n. 288, p. 224) . ……………………………………………… Gli effetti della riforma gregoriana si fecero sentire nel settembre del 1082 quando tredici persone – tra loro imparentate – sottoscrissero una cartula refutationis con la quale restituivano all’abbazia dell’Amiata i beni che i loro avi avevano usurpato nella corte monastica di Agello, lungo il corso dell’Orcia.

Pag. 65 e seg.

I primordi del comune di Abbadia – Paolo Cammarosano …………………………………………. E la contestualizzazione si fa ovviamente più ricca se oltre ai testi che contengono riferimenti al castrum Abbatie si considerano quelli relativi a Monticello, a Radicofani, ai castelli della Val d’Orcia in relazione con San Salvatore.

Pag. 79 e seg.

Il comune e il monastero di Abbadia San Salvatore nella Repubblica di Siena (secoli XIV_XV) – Mario Ascheri – Donatella Ciampoli.

…………………………………………. Anche le cronache e la storiografia antica senese registrarono che nel febbraio1347 l’orvietana Abbadia, contemporaneamente a Chianciano, era passata sotto il controllo senese. ………In realtà, la soluzione del 1347, tanto desiderata da Siena, che sulla zona poteva esercitare un controllo sempre minacciato e poco stabile a Radicofani e a Piancastagnaio, era stata preparata da tempo.

Pag. 101 e seg.

Paesaggi sepolti: insediamento e incastellamento sull’Amiata, 750 – 1250. Chris Wickham. (Questo è l’articolo che mi ha fatto comprendere come Radicofani sia diventato uno dei più importanti paesi dell’Amiata!) Nel 1250, il quadro dell’insediamento umano sul Monte Amiata aveva ormai assunto le stesse forme accentrate che ha mantenuto fino ad oggi83. Per la verità, era più accentrato di quanto lo sia oggi; la fila di frazioni fra Arcidosso e Piancastagnaio non si sviluppò prima del Settecento: la maggior parte dei poderi della campagna intorno a Radicofani o Castiglion d’Orcia non era ancora

81 CDA, II, n. 309, pp.261-264. 82 CDA, II, n. 288, pp. 222-223. 83 La regione oggetto di questo studio è limitata al nord del fiume Orcia, e a sud dal Monte Labbro e dai torrenti Sièle e Rigo; corrisponde approssimativamente (non perfettamente) ai comuni attuali di Castiglione d’Orcia. Abbadia S. Salvatore, Radicofani e Piancastagnaio (prov. di Siena), Seggiano, Castel del Piano, Arcidosso e Santa Fiora (prov. Grosseto). 36

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi formata. Per quanto possiamo sapere, nel primo Duecento quasi l’intera popolazione della zona intorno all’Amiata era concentrata in una quindicina di castelli, tutti rimasti, con più o meno successo, fino ad oggi. ……………………………………… La popolazione di Rocca di Tintinnano (circa 500 persone nel 1250) era senza dubbio concentrata quasi totalmente dentro le mura. Constatazioni simili potrebbero essere fatte per Arcidosso, , Radicofani, o Castel di Badia (la moderna Abbadia S. Salvatore). ………………………………………………………. Fra il 973 e il primo Duecento, ventitré castelli sono documentati nella zona, e fanno parte di questo gruppo i quindici centri fortificati del basso medioevo84. Solo un terzo delle fortificazioni, cioè, non riuscirono a persistere come insediamenti fino al periodo moderno; quasi tutti erano localizzati nei comuni attuali di Radicofani e Piancastagnaio, per ragioni che vedremo in seguito. …………………………………………………….. La documentazione relativa alla zona amiatina, quasi tutta proveniente dal fondo diplomatico di S. Salvatore, conferma questo quadro generale. Molti dei castelli situati sulla montagna o nei dintorni rappresentano quasi esattamente almeno un aspetto di questi modelli; alcuni esempi desunti da insediamenti situati nella parte occidentale della zona renderanno meglio l’idea. Ad est dell’Amiata, comunque, intorno agli attuali Abbadia S. Salvatore, Radicofani e Piancastagnaio, il quadro di sviluppo è molto più complesso, e perciò più interessante; è questa la parte che analizzerò più a lungo, perché qui la storia dei castelli e dell’insediamento farà più luce sulla storia sociale della montagna e dei suoi abitanti. ……………………………………………………….. Queste conclusioni mostrano abbastanza chiaramente come i modelli correnti per l’incastellamento si applicano alla regione amiatina, ma non ci portano molto avanti; non sono in se stesse particolarmente originali, poiché lo stesso Kurze ha già messo in chiaro la situazione nella zona; e finora lasciano parecchi problemi essenziali senza spiegazione. Alcuni di questi problemi non possono essere spiegati in nessuna parte dell’Amiata; ma per l’oriente della montagna abbiamo una documentazione più complessa, e possiamo dire alquanto di più. In quest’ultima zona erano presenti tre castelli nel primo Duecento, Castel di Badia, Piancastagnaio e Radicofani, tutti e tre più o meno fortemente controllati dal monastero di S. Salvatore; ed ebbero una storia piuttosto diversa da quelli dell’occidente. Per la verità, non abbiamo motivo di credere che i primi due siano anche esistiti come castelli molto prima del 1200, e anche Radicofani, benché documentato dal 973, fu relativamente trascurabile fino a dopo il 1080; ciò nonostante, nel Duecento l’habitat della zona era accentrato in modo simile a quello dell’ovest, e Castel di Badia fu probabilmente, con 800-900 abitanti circa, l’insediamento più consistente della montagna85. I fattori che portarono a questo fanno parte di un quadro notevolmente più complesso di quello che riguarda la zona occidentale. Nell’VIII secolo, il periodo della fondazione di S. Salvatore, possiamo individuare due assetti di proprietà nelle campagne ad est della montagna. Il primo era un blocco massiccio di terra pubblica, che copriva tutta la zona fra la cima dell’Amiata e quella della collina di Radicofani, includendo la maggior parte dell’alta Val di Paglia che separa le due86. Molta di questa era terra non dissodata e spesso non coltivabile87; ma la fertile Val di Paglia certamente già allora aveva un numero di

84 L’elenco completo è, in ordine cronologico di prime menzioni: Campiglia, Cinille*, Radicofani, Montelaterone, Rocca di Senzano*, Castiglione d’Orcia, Montenero, Montepinzutolo (Monticello), Rocca di Sassine*, Reggiano*, Potentino, Castel del Piano, Marino*, Mussona*, Serra de Ruga*, Boceno*, Arcidosso, Santa Fiora, Rocca di Tintinnano (Rocca d’Orcia), Seggiano, Castel di Badia (Abbadia S. Salvatore), , Piancastagnaio. Quelli con asterischi non sopravvivono come castelli. Vedi Repertorio, svv. Escludo dall’elenco i Borghi della via Francigena; anche se alcuni ottennero le mura, sono chiaramente definiti dalle nostre fonti come diversa categoria d’insediamento. 85 REDON, p. 155. Ma non conosciamo la grandezza di Arcidosso in quel periodo; più tardi, sarà uno dei centri maggiori sulla montagna, con Abbadia S. Salvatore e Radicofani (cfr. sotto, n.124). 86 I confini elencati in CDA 6 (con commento in Kurze, Konigsurkunde) includono la maggior parte di questo blocco. 87 L’Amiata è per lo più foresta sopra il livello di 800 m., anche se la parte inferiore di questa selva è stata sfruttata sistematicamente dal Duecento in poi per la coltivazione di castagni. Al di sotto, i più dolci pendii alla base della montagna permettono una prospera agricoltura. Comunque, dall’altra parte della Paglia (e del Formone), sotto Radicofani a nord e 37

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi insediamenti aperti (casalia) dentro il blocco fiscale, Paliano, Causulano, Presoniano, Palia, come pure tre mulini subito sotto l’Amiata già nella metà dell’VIII secolo88. Gran parte del blocco di terra pubblica fu trasferita a S. Salvatore durante o prima gli anni ’60 dell’VIII secolo; i margini meridionali e orientali rimasero però nelle mani dei re e dei loro subordinati, e solo più tardi furono devoluti al monastero. Subito fuori del blocco di terra, esistevano anche parecchi altri casalia: S. Filippo, Comeiano, Lardoniano, Forcole, Mussona al nord, Casano, Clemenzano, Offena, Gello all’est, Spargaria e Boceno al sud, segno dell’esistenza di una maglia già fitta di insediamenti in tutta la zona, almeno sotto la quota di 600 m89. Questi casalia vicini furono i centri del secondo assetto di proprietà, privato e su piccola scala, anche se pure il fisco possedette, in maniera più sparsa, in molte di esse. È difficile oggi immaginare questa zona senza i due centri dominanti di S. Salvatore stesso e Radicofani. S. Salvatore, però, esisteva appena in maniera significativa come punto di riferimento politico prima dell’800; Radicofani fu probabilmente solo una vetta boscosa che, per quanto impressionante a vedersi, era ancora un vuoto sulla carta. Gli abitanti dell’VIII secolo nel gruppo di insediamenti ad est di Radicofani, probabilmente in gran parte piccoli e medi proprietari, invece guardarono a nord-est ed a nord, alla sede diocesana di Chiusi e a Montepulciano; il loro centro politico fu la Valdichiana, e non le terre più selvagge di Radicofani e dell’Amiata. Circa l’anno 800 la crescita dell’importanza del monastero di S. Salvatore cominciò a spostare questo reticolo politico verso ovest. S. Salvatore ricevette parecchi doni importanti dall’altra parte della collina di Radicofani, in particolare un gruppo di terre a Gello, ed il monastero privato di San Quirico in Clemenzano, che mostrano il riconoscimento dell’importanza del monastero dell’Amiata da parte dei proprietari locali, e che permisero a S. Salvatore di estendere la sua egemonia più verso est. Le prime alienazioni a S. Salvatore spesso vengono infatti dalle stesse zone di quelle interessate dal reticolato dell’VIII secolo, la Valdichiana in particolare. Comunque, il monastero era situato anche all’inizio della vallata relativamente ricca del Paglia, e perciò naturalmente guardò verso Sovana, e fino a Tuscania ed oltre. …………………………………………….. Il primo accentramento medioevale dell’habitat nella Val di Paglia non ebbe niente a che fare con i castelli; fu il prodotto dell’aumento continuo dell’importanza dal primo IX secolo in poi dalla via Francigena, che passava per la vallata90. Il casale di Presoniano era situato sulla Paglia in luogo ad ovest, i calanchi argillosi di oggigiorno testimoniano la povertà della terra; i calanchi non sono necessariamente precedenti al dissodamento bassomedievale, ma la terra non sarà mai stata molto produttiva. 88 Casalia e mulini dentro il territorio monastico: CDA 6, 108, 130, 157, 166, 173; cfr. n. 36. La sola sicuramente localizzabile è Presoniano (sotto, n. 35) che, da CDA 108, è chiaramente individuata come insediamento in parte sparso. 89 Riferimenti prima del 950: S. Filippo, Lardoniano e Spargaria sono documentati e approssimativamente ubicati da CDA 6 (casale S. Filippo, anche in 58, 105,140, è rappresentato dal moderno Bagni S. Filippo, già un centro termale nel periodo romano, e dalla chiesa omonima a un chilometro ad ovest). Compiano: 140, vicino a S. Filippo. Forcole, che sopravvive come podere: CDA 183, 192, 197. Mussona era stata già oggetto di un dono regio dell’VIII secolo a S. Salvatore (CDA 6); era una corte con campi sparsi sulle povere terre argillose a nord della collina di Radicofani (vedi altra nota più avanti). Casano (un moderno podere): CDA 70. Clemenzano: 30, 47, 67, 70, 175. Offena: 15, 198 (per l’ubicazione vedi altra nota), Boceno (un moderno podere): 47, 58, 62, 76, 112, 113. Gello: 2, 7, 9, 13, 33, 66, 74, 101, 103, 110, 114. Anche Gello sopravvive come podere; che la sua identificazione sia giusta (il nome Gello è comune in Italia), è testimoniato da CDA 7 e 308 (1082 – cfr. anche i riferimenti a S. Pellegrino qui e in 114; in ambedue è associato con Orcia. Vedi anche altra nota. Fra questi casalia, Clemenzano è quello che presenta maggiori difficoltà d’identificazione. Nell’810 è citato accanto a Casano (CDA 70) e nel 995 e 1075 Ponano (210, 296-7), che possono essere identificati sulle carte dell’IGM; nel 1009 (229; cfr. 296-7) è strettamente associato a Corvaia, situata tra Casano e Ponano nelle mappe catastali del comune di Radicofani. 90 La via Francigena sull’Amiata ha avuto un’ampia bibliografia (cfr., fino al 1975, Repertorio), ma quasi tutta è topograficamente molto vaga e nel migliore dei casi superficiale. Vale la pena qui citare solo due articoli: J. JUNG, Das Itinerar des Erzbischofs Sigeric von Canterbury und die Strasse von Rom ǖber Siena nach Lucca, MIÖG XXV (1904), pp. 1-90, la discussione classica, e G. FATINI, Un tratto della via Francisca e la Badia S. Salvatore nell’Amiata, BSSP XXIX (1922), pp. 341-58, che, benché spesso confuso topograficamente, è il primo in cui si sia tenuto conto della complessità della situazione insediativa sulla strada. Il resoconto più recente è R. Stopani, La via Francigena in Toscana, Firenze 1984. La Francigena è citata per la prima volta nell’876 (CDA 157). Non compare in CDA 6, nonostante i 38

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi strategico, in fondo al crinale che va verso lo spartiacque fra Paglia e Orcia; il fatto che nell’830 ci fosse una taverna indicherebbe che una strada era già presente. Solo nell’876 la via Francisca è esplicitamente citata per la prima volta come passante attraverso il casale, che ormai però veniva chiamato Callemala, la «strada cattiva», nome che presto rimpiazzò quello precedente: veniva cioè ad essere identificato con la strada. Nel 962 Callemala era detta burgo; una denominazione in questo periodo esclusivamente associata con la via Francigena. Sembra essersi espanso gradualmente durante il secolo seguente; nel 1009 case e taverne potevano essere situate o dentro o fuori del burgo, indicando così la presenza di un confine, forse anche le mura, ma soprattutto che le case ormai si estendevano fuori questo confine91. All’inizio del XI secolo S. Salvatore qui aveva almeno trentotto, e probabilmente quarantanove, affittuari, come dice un elenco dei redditi, non datato ma probabilmente risalente a quel periodo; la popolazione del borgo deve essere stata di almeno 200 abitanti, non pochi per il periodo92. Nel tardo XII secolo declinò in favore di Radicofani, come vedremo, ma non c’è segno di questo declino prema del 1100. Callemala è il meglio documentato di questi Burgi, ma ben lungi da essere l’unico. Fra l’Orcia e Acquapendente fu possibile, già nel primo XI secolo, trovarli ogni pochi chilometri: Le Briccole, Fermone93, Muliermala sul passo fra la Val d’Orcia/Val di Formone a nord e la Val di Paglia a sud94, dettagliati elenchi di proprietà sulla montagna, né nei numerosissimi documenti lucchesi dell’VIII secolo. Sarei portato a concludere che la storia della strada s’inizi nel IX secolo, anche se qualche itinerario già esistente aiuterebbe a spiegare la fondazione di S. Salvatore stesso. 91 Per l’uso del termine burgus, vedi SETTIA, Castelli e villaggi, pp. 315-25. Presoniano: CDA 108, 166. Callemala come casale: 157, (876), 166, 181: i confini di 108 e 181 mostrano che i due villaggi sono identici. Callemala come burgo: 201, 210, 230 (1009), 268, 288, 341. Per l’espansione del Burgo, mettere in confronto 181, 201, 230. Callemala fu ubicata fra il fossato Sicco, la Paglia, e il fossato Petroso. I nomi di questi due torrenti sono ora persi, ma ASS, Diplomatico SSMA, 7 nov. 1283, collega invece il burgo con il fossato Vasci e il fossato Cacarelli, i moderni Vascio e Cacarello (quest’ultimo già appare come Cacari nel 1032: CDA 268; cfr. anche il testo del 1345 cit. da REPETTI, Supplemento, pp. 7-8). Deduco che questi furono i nuovi nomi del Sicco e del Petroso; la prossimità dei due torrenti permette una localizzazione abbastanza esatta per il burgo. Si trova infatti in fondo alla discesa più facile e più ovvia dello spartiacque. Da ricognizioni fatte sul posto del marzo e maggio 1986, à stata rinvenuta una quantità di ceramica romana e medioevale: i miei ringraziamenti a Cathie Weir, Andrew Wickham, Lisa Fentress, Anthony Luttrell, Riccardo Francovich per i loro essenziali aiuti. Per una carta, vedi STOPANI, Francigena, pp. 83-8. 92 L’elenco dei redditi è un testo complesso, molto dettagliato, menziona una quindicina di luoghi (vedi nota più sotto). È ASS, Diplomatico SSMA, «sec. XI», pergamena ormai ridotta in frammenti; Wilhelm Kurze gentilmente mi ha fornito una trascrizione e una fotografia. È di una mano difficilmente databile, forse dell’XI secolo ma forse anche più tarda e manca la data. Dev’essere, comunque, o un elenco dell’XI secolo o la sua copia: la maggior parte degli insediamenti qui nominati (la stessa Callemala, Voltole, Clemenzano, Paliano, Albinita, S. Cassiano, Boceno, Burgorico), non furono più abitati in maniera significativa, e spesso neppure documentati, dopo il 1150. Si può proporre una datazione più precisa: tre degli affittuari elencati sotto la rubrica «Callemala», Adamo, Silvio Furcul(ese) e Maimberto, appaiono in CDA 230 (1009) per lo stesso luogo. Nell’ultimo, Silvio Furculise è menzionato come ex-affittuario di una taverna, e l’elenco dunque verosimilmente ne è precedente; non può essere comunque precedente al 995 (CDA 221), quando Burgorico fu donato a S. Salvatore. È da aggiungere che l’elenco menziona anche tre dipendenze in Tintinnano, lo stesso numero che era contestato al monastero nel 991 (CDA 207), anche se i nomi dei contadini sono diversi. Tutto sommato, lo daterei al primo decennio dell’XI secolo. C’è da notare comunque che parti del testo (inclusi parecchi nomi per Callemala) sono scritte da altre mani e sono quasi certamente aggiunte successive. Le mie cifre per Callemala (come pure per altri centri) nel testo sono piuttosto rozze, ma ho provato ad escludere tutti i nomi scritti in altre mani che non quella principale; ho incluso invece un gruppo di undici dipendenti elencati separatamente e precedenti dalla rubrica de Call (Callemala?) in m(en)se madio: il gruppo maggiore pagò presumibilmente in altro mese. 93 Le Briccole:CDA 240 (1014), 258, 316, 356. ASS, Diplomatico. S, Mustiola, «sec, XII» (LISINI, p. 106), con la citazione dal 991 nell’itinerario dell’arcivescovo Sigerico di Canterbury (Cfr. JUNG, Itinerar p. 46 e seg.) Fermone: CDA 282 (1064), vicino al Formone e al fossatu Cannita (l’attuale Canneta) – il tracciato postmedievale della strada, verosimilmente qui originale, lo collocherebbe a sud di quest’ultimo. È forse anche lo stesso del burgu Ciolo del 1804 (CDA 311), che si trovava nella vicinissima pieve di S. Filippo, ed ebbe una chiesa dedicata allo stesso santo di quello di Fermone, Lorenzo. 94 Muliermala: CDA 289-90 (1071), 327-8; NIKULÁS BERGSSON, Leidarvísir, a cura di K. Kålund, Alfædi Íslenzk I (1908), pp. 1-31, a p. 23 – un riferimento al luogo in un itinerario islandese del 1150 circa che menziona un ‘castello’ su una cima chiamato in islandese ill Kona (cattiva donna) Muliermala è spesso stata identificata con Callemala, ma senza buone ragioni – cattive e cattiva strade hanno ben poco in comune, CDA 289-90 l’associa con il fossatu de Selvella, forse collegato con l’attuale Selvella sullo spartiacque; la Serra di Muliermala sopra il Fermone in CDA 248, come pure la 39

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Callemala, Voltole (che penso debba essere lo stesso che il misterioso, S. Petir in Pail di un itinerario anglosassone del 991)95, Burgorico (senz’altro così chiamato a causa del vicino torrente Rigo, ma probabilmente presto confuso semanticamente con la parola significativa «ricco», perché fu più tardi anche chiamato Richoburgo), Centena, Arisa o Acquapendente96. Insieme, questi borghi offrono una testimonianza impressionante della quantità di gente sulla strada, e l’effetto massiccio che ciò deve aver avuto sull’indirizzo dell’economia locale, dato che le loro taverne erano presumibilmente fornite con risorse locali. Si formarono su diversi tipi di proprietà. Callemala appartenne a S. Salvatore, Voltole ai conti di Siena, Burgorico e parte di Acquapendente al marchese Ugo; nobili minori invece tennero delle proprietà nei burgi al nord della Paglia, ove la proprietà era più frazionata.

Pag. 119 e seg.

……………………………………Precisamente quale effetto ebbe la strada sull’economia locale e le sue direzioni è molto difficile da stabilire; non è fino a dopo il 1200 che le nostre testimonianze potrebbero permetterci di costruire una immagine accurata dell’esatto indirizzo economico delle diverse parti della Val di Paglia. È possibile che già nell’XI secolo il facile mercato della Francigena abbia portato un certo livello di specializzazione economica, ma possiamo solo immaginare il suo possibile funzionamento. Certo portò a un qualche dissodamento, anche se i boschi della valle e dei bassi pendii delle colline su ambedue i lati non sparirono del tutto: per la verità, perfino nel 1255 gli statuti di Radicofani mostrano un interesse per una economia di selva che è più tardi quasi totalmente scomparsa dalla zona. Pag. 122 e seg.

Oltre la Paglia, la corte monastica di Clemenzano esisteva ancora, e Radicofani ormai comincia ad apparire sporadicamente come centro insediativo nei decenni precedenti la sua ascesa negli anni ’80 dell’XI secolo97. Ma gran parte degli abitanti della Val di Paglia dell’XI secolo abitavano lungo il fiume e, di questi, la maggioranza abitava certamente dentro i burgi della Francigena98. ………………………………I primi castelli si associarono con gli Aldobrandeschi: Radicofani, e, al nord della montagna, Campiglia e Cininule (probabilmente l’attuale podere Cinille). Sono elencati in un documento del 973, che ci fornisce un elenco forse completo dei castelli aldobrandeschi nella

citazione islandese enfatizza il legame con il passo anziché il fondovalle. L’ho localizzato nel sito dell’attuale Le Conie, un centro stradale naturale sullo stesso spartiacque, accanto a Selvella. 95 Voltole: CDA 214 (1000), 221, 227, 307, ASS Diplomatico SSMA, «sec. XI». Esiste tuttora come podere. Con ogni probabilità fu il più grande dei burgi, con ottantadue dipendenti elencati in due gruppi nell’elenco dei redditi: forse ebbe fino a 400 abitanti. Fu il dolo fra i burgi ad avere una chiesa dedicata a S. Pietro (sulla Paglia, quella di Callemala fu dedicata a S. Cristina: CDA 201, 210; quella di Burgorico a S. Maria: CDA 324). Fu pure, come sarebbe stato di S. Petir in Pail (cioè Paglia) del 991, più o meno a metà strada fra Le Briccole e Acquapendente. Per tutte queste ragioni, identificherei Voltole con S. Petir in Pail. 96 Burgorico: CDA 211 (995: Burgo illo qui dicitur Rota Cardusa), 221, 227 (Rotam Cardosam quae nunc Burgoricho nuncupatur), 295, 324 (Richoburgo), ASS, Diplomatico SSMA, «sec. XI». È rappresentato dall’attuale pod. Burgorico. Centeno non è documentato prima del 1202 (ASS, Diplomatico SSMA, 15 maggio 1202), ma fu fuori della sfera d’influenza immediata (e perciò della documentazione) di S. Salvatore; è facile che anch’essa sia sorta abbastanza presto. Arisa/Acquapendente: CDA 138 (856, bico), 185 (909, il primo burgo), 202; Arisa e Acquapendente furono lo stesso centro, come mostrano fra l’altro i riferimenti a Quintaluna in CDA 185 (Arisa) e CDO 8 (Acquapendente). 97 Clemenzano, la sua chiesa di San Lorenzo, e le sue proprietà dipendenti a Ponano e Corvaia: CDA 210, 221, 229, 230, 296-7, 307. Negli ultimi tre testi comincia a perdere identità come casale, e può essere ora chiamato corte de S. Laurenzio. Radicofani come centro demico prima di 1080: 292, 295 (1072-5). Ma S. Salvatore non possedette tutte le terre all’est del Paglia, e avrebbero potuto esistere altri insediamenti piccoli e sparsi. 98 A nord dello spartiacque Paglia-Formone, la nostra documentazione è più frammentaria. CDA 240 (1014), comunque, mostra parecchie case e un’articolazione interna per il burgo di Le Briccole, e 282 (1062) indica che forse trentasei famiglie abitarono in quello di Fermone; ambedue perciò sarebbero stati centri con una popolazione paragonabile a quella dei burgi sul Paglia. 40

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Toscana meridionale di quel tempo – se è così, questi tre furono i soli castelli nelle mani della famiglia nelle vicinanze dell’Amiata. Radicofani fu quasi certamente un dono fiscale alla famiglia, ma a nord nelle sue immediate vicinanze si trovano anche quasi tutte le altre terre associate ad esso nella zona amiatina prima del tardo XI secolo: queste ultime almeno in parte erano forse state ottenute da privati. Radicofani non fu, come ho detto, particolarmente importante prima del 1080 circa; gli Aldobrandeschi forse semplicemente costruirono una torre di guardia sulla cima della collina, luogo ovvio come doveva essere anche allora per una fortificazione, senza necessariamente dissodarne i dintorni99. Ma fu una probabile risposta alla sua esistenza l’apparire di altri tre castelli nei testi fra il 1007 e il 1028: Rocca di Senzano e Rocca di Sassine come nuovi punti di riferimento per la curtis di S. Salvatore ad Offena, sui pendii settentrionali nella collina immediatamente ad est di Radicofani, e Reggiano, un castello di proprietà di una famiglia dell’aristocrazia minore, sul lungo crinale argilloso che corre verso il nord, fino all’Orcia100. Questi, anche se non Radicofani stesso, sembrano mostrare lo stesso tipo di cristallizzazione fondiaria che abbiamo visto sul lato occidentale della montagna, di nuovo basato su una rete anteriore di corti frammentate (benché Offena sembri, in maniera insolita, aver dato origine a due castelli anziché uno). Questa cristallizzazione fu, comunque, incompleta. S. Salvatore non incastellò le altre vicine curtes, Clemenzano dall’altra parte dello spartiacque sopra la Paglia, o Mussona vicinissima a Reggiano (le sue terre erano mescolate con quelle dei signori di Reggiano). Anche più significativamente, il monastero non si sforzò minimamente di fortificare gli insediamenti nel nucleo centrale della sua proprietà, fra Paglia e l’Amiata stessa. Al contrario, Piancastagnaio. Come abbiamo visto un villaggio accentrato al momento della sua prima citazione nel 1002, in una zona completamente nella mani monastero e caratterizzata dal recente dissodamento, in gradienti classici per l’incastellamento stile , rimase un insediamento aperto per due secoli ancora; dei nostri quindici paesi attuali, è l’ultimo menzionato come castello. Le pressioni politiche che avrebbero prodotto la maglia fitta di castelli ad ovest dell’Amiata erano fino all’anno 1080 meno sentite in questa zona. Fino a quel momento, l’equilibrio di proprietari – S. Salvatore, gli Aldobrandeschi, i conti di Siena, i nobili minori di Reggiano e Casale S. Filippo – fu rappresentato da un equilibrio di centri curtensi e, naturalmente, borghi, più spesso che da castelli101. Circa l’anno 1080 l’atmosfera cambiò bruscamente, grazie agli Aldobrandeschi. Prima di quella data, la famiglia fu attiva a nord di Radicofani; furono forse i livellari di S. Salvatore per una parte della curtis monastica di Offena, e, ad ovest, avevano probabilmente sottratto Montenero al controllo dei monaci. Ci sono addirittura delle indicazioni di una sorta di patrocinio informale sullo stesso monastero; nondimeno, la famiglia non è spesso presente nei documenti altrove nella zona, tranne per un momento di tensione fra essa e S. Salvatore nel 1046, al quale seguì una conferma di terre

99 CDA 203 (973) per i castelli. Cininule è identificata con Cinille in Repertorio 13.5 (cfr. anche CDA 180). I soli castelli toscani fuori della Maremma in questo testo sono Monticchiello a nord dell’Orcia, e il non identificato Cerasolo nella diocesi di Chiusi. Radicofani, diversamente dalla maggior parte degli altri luoghi elencati, è solo castello, non corte cum castello; è forse solo un lapsus, ma potrebbe anche confermare che Radicofani non era ancora un centro economico o demografico (vedi altre note). 100 Reggiano: CDA 265-6 (1028); cfr. 288,315, e sotto ad altra nota. Si trovava subito sopra il moderno podere omonimo. Offena, Rocca di Senzano, Rocca di Sassine: 198, 200, 212, 215, 221, 227 (1007, primo rif. a Rocca di Senzano), 234, 263 (1027, primo rif. datato a Rocca di Sassine), 280, 291, 301, 308, 361. Per le ubicazioni delle due Rocche, vedi Repertorio, 44.9. (S. Salvatore fu dominante nella zona, ma anche i conti di Siena vi rivendicarono dei possessi; CDA 280, cfr. 291). I testi topografici più importanti per la zona delle Rocchette (come furono chiamate dopo il 1200) sono i loro confini elencati in ASS, Diplomatico SSMA, 13 ott. 1248 e 20 ott. 1248, che localizzano la terram Offenosam, tutta quella che rimaneva ormai nella curtis di Offena, immediatamente a sud dell’attuale Pian dei Mori (Planum de Moris). 101 Clemenzano: vedi n. 95, Mussona: CDA 6, 212, 263, 277, 281, 319, 361 (vedi note più avanti). Fu anche una località in cui avevano possessi i signori di Reggiano: 293, 315. CDA 310 mostra che Mussona era vicina a Reggiano; essa, e il suo manso sussidiario di Guarguillie (281), furono pure vicini a Bitena, l’attuale pod. Vitena, come dimostra 283; suggerirei che fossero in fondo a dei pendii argillosi ad est del crinale di Reggiano, siccome Mussona fu già centro nell’VIII secolo, quando probabilmente la collina non era ancora dissodata. Ci sono testimonianze esplicite di case sparse nella zona a nord di Radicofani per tutto l’XI secolo, anche intorno ai castelli: 281 (Mussona), 283 (Vitena), 301 (Rocca di Senzano). 41

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi monastiche da parte del conte Ildebrando V. Questa in effetti fu concessione impostagli da Enrico III; essa elenca quasi tutti i possessi di S. Salvatore intorno alla montagna, anche se la lunghezza stessa dell’elenco fa pensare che sia una conferma generale di diritti monastici più che non un catalogo di proprietà minacciate. L’interesse della famiglia aldobrandesca per la montagna e il monastero, comunque, per quanto sgradito, cresceva. Nel 1077 il conte Ranieri, figlio di Ildebrando, temendo la morte imminente, cedette a S. Salvatore le malas consuetudines et usitationes (cioè diritti signorili) su proprietà monastica, poco prima concesse da suo padre102. Quando, non molto più tardi, l’ostilità fra Ranieri di nuovo risanato ed il monastero condusse alla guerra aperta, Ranieri e il fratello Ugo erano già piazzati in parecchi insediamenti a sud e ad ovest dell’Amiata: S. Fiora, Marino, Castel del Piano, Selvena, ottenuti non sappiamo come o quando, ma probabilmente accaparrati da proprietari molto diversi – il fisco, privati, S. Salvatore, e via dicendo. Il documento che rivela questo, una lettera inviata dai monaci di S. Salvatore a Enrico IV, databile non oltre il 1084, è giustamente famoso; fa parte della categoria chiamata da Vito Fumagalli «polittici delle malefatte», ed elenca i soprusi degli Aldobrandeschi in notevole dettaglio103. La lettera ad Enrico IV ha contribuito, forse più che nessun altro documento toscano, all’immagine dell’incastellamento prodotto dalla insicurezza attribuibile ai soprusi dei signori laici scatenati. Un’analisi attenta del documento e del suo contesto porta però a conclusioni diverse. In primo luogo, gli attacchi e i soprusi degli Aldobrandeschi qui descritti non furono tutti a casaccio. Gran parte del testo elenca le obbligazioni specifiche imposte agli abitanti di particolari villaggi: su Gravilona da Castel del Piano, o su Piancastagnaio e S. Cassiano dal castello di Marino. Certamente i conti avevano anche occupato della terra monastica, a Selvena ed a Santa Fiora (se quest’ultima fosse mai stata proprietà amiatina, il che si può dubitare); più tardi, tennero addirittura Albinita, vicinissima al monastero stesso, anche se la restituirono nel 1108. Ma i principali lamenti dei monaci si incentrarono sulle esazioni signorili; i loro contadini soprattutto furono obbligati a fortificare e difendere i castelli degli Aldobrandeschi, e a partecipare ai loro placita. Gli Aldobrandeschi erano probabilmente conti di Roselle e forse ormai anche di Sovana; conobbero il rapporto fra il controllo della giustizia e la costruzione del potere politico. Questi placita furono certamente del tutto privati; ma sarà indubbiamente a causa di questa esperienza pubblica che furono gli Aldobrandeschi a cominciare una politica signorile nella Toscana meridionale cinquant’anni prima dei loro contemporanei; cominciarono, cioè, a separare l’accrescimento del potere privato dal semplice possesso di terra e dei diritti ad essa connessi. Questa nuova politica signorile, certo, si esprimeva ormai tramite i castelli controllati dalla famiglia. Fu in questa ottica che i monaci capirono la minaccia insita nelle munitiones che videro costruirsi tutti intorno al monastero, e la moltitudine di milites a Radicofani che furono il loro flagello più grande, e non avevano torto. Anche gli Aldobrandeschi, però, avevano posseduto castelli molto prima del loro primo documentato esercizio di poteri signorili; l’incastellamento dell’inizio dell’XI secolo ebbe poco o nulla a che fare con la localizzazione di tali diritti. Solo dopo il 1080 per gli Aldobrandeschi, ed il 1130 per il resto dell’aristocrazia, i castelli per la loro natura portarono a una connotazione signorile, e ne ricevettero importanza in conseguenza di ciò. Bisogna riconoscere che non tutti i soprusi aldobrandeschi elencati nella lettera a Enrico IV ebbero scopi specifici e limitati come quelli sopra citati: Se i conti allettavano i dipendenti monastici e li trasformavano in ladroni (leggi: masnadieri comitali), o se minacciavano di morte ogni monaco sorpreso in giro, allora significava che avevano il monastero molto fermamente nel mirino. I monaci dissero, senz’altro con ragione, di essere indifesi di fronte a questi attacchi. Ma tutto questo non dimostra che gli Aldobrandeschi cercassero semplicemente di distruggere, o rimpiazzare, il potere

102 Per gli Aldobrandeschi in genere, vedi CDA 215 e 255, dai decenni dell’XI secolo, mostrano i conti già “protettori” di S. Salvatore, e forse, in 215, come suoi avvocati/livellatori per Offena; fu questo il periodo in cui donarono S. Cassiano al monastero. 103 CDA 309. Per il termine ‘polittico delle malefatte ‘, vedi V. FUMAGALLI, Le origini di una grande dinastia feudale. Adalberto - Atto di Canossa, Tübingen 1971, p. 65. 42

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi locale prima posseduto da S. Salvatore. Per capire cosa significò, comunque, dobbiamo andare più avanti nel tempo. Questo testo è l’ultimo che testimoni l’ostilità comitale nei confronti del monastero. Bel 1084 e 1087, due documenti eccezionali registrano che il conte Ranieri concedette formalmente a S. Salvatore – dietro riscatti molto consistenti, è vero – il diritto di costruire castellini punti strategici delle sue proprietà, a Mussona e a Serra de Ruga, situati ai margini settentrionali e meridionali del territorio centrale dei monaci, entrambi sovrastanti la Francigena. Questo si potrebbe interpretare come una cessione quasi sprezzante di poteri da parte di un conte che non aveva nulla da temere da tale opposizione, e probabilmente lo era. Ma come difesa contro gli stessi Aldobrandeschi questi castelli sarebbero stati inutili – non era lungo la Francigena che essi sarebbero arrivati. Nel 1108 il favore comitale divenne alquanto più positivo, poiché la famiglia cedette metà dei suoi castelli di Marino e Boceno al monastero, così come tutta la villa di Albinita e metà dei diritti signorili sopra Piancastagnaio e S. Cassiano. Quanto cambiò con questa cessione non è chiaro – gli Aldobrandeschi certamente mantennero dei diritti in Piancastagnaio, Marino e Boceno; ma Boceno cessò di esistere come castello, e verosimilmente fu fatto demolire dagli stessi monaci104. Più importante di tutto, però, è il fatto che d’ora in avanti gli Aldobrandeschi non sono più documentati nei loro antichi centri amiatini, Radicofani e Campiglia. Quest’ultima finì sotto il controllo di una famiglia locale di visconti. Radicofani, comunque, pervenne in gran parte (cinque sesti, come pare), al più tardi nel 1145, a S. Salvatore stesso105. Questa ritirata da Radicofani è l’aspetto più importante di questi cambiamenti, soprattutto a causa dell’importanza strategica del castello che controllava la Francigena. Nell’XI secolo, tale controllo fu cercato dagli Aldobrandeschi. Nel XIII secolo, invece, quando abbiamo elenchi dettagliati delle località del comitatus degli Aldobrandeschi, la Francigena è divenuta il loro confine, non una risorsa che pretendono di controllare, e le sole terre escluse dal contado a occidente della strada sono i territori centrali di S. Salvatore stesso, in effetti protetti più che minacciati dallo ‘ stato ’ Aldobrandesco. Il risultato finale dei turbolenti rapporti del tardo XI secolo fra S. Salvatore e gli Aldobrandeschi, cioè, non fu solo la perdita monastica di alcuni suoi territori ad ovest e a sud dell’Amiata, e la cessione di diritti signorili su altri, ma anche una notevole crescita di controllo monastico nella Val di Paglia stessa, soprattutto a Radicofani, che con ogni probabilità lo compensò ampiamente per le sue perdite. A mio parere, queste ritirate apparentemente paradossali da parte degli Aldobrandeschi portano ad una chiara conclusione. Quello che vollero i conti negli anni ’80 dell’XI secolo non fu l’occupazione di alcune proprietà monastiche, ma invece il possesso, o rimpossesso, del padronato, del controllo, sul monastero stesso. C’è un sotto testo nella lettera a Enrico IV che conforterebbe tale conclusione: l’insistente riferimento da parte dei monaci alla loro suggestione al re. I monaci si rivolsero ad Enrico non tanto per chiedere la sua protezione per le loro terre, quanto per invitarlo a difendere il suo stesso potere di padrone; fu questo che egli mancò di fare106. Gli Aldobrandeschi, invece, riuscirono precisamente e velocemente nel loro intento: e, dopo il successo, poterono assorbire S. Salvatore nel loro sistema di potere, e addirittura rinforzarlo come baluardo sul confine

104 CDA 310, 316 per i castelli (i confini di Serra de Ruga mostrano che si trovava sulla bassa collina di Poggio Cepponero; per Mussona, vedi n. 89, anche se il castello sarebbe stato certamente sul crinale di Reggiano, non nella valle). Per le cessioni del 1108: CDA328-30. Piancastagnaio rimase nella sfera d’influenza aldobrandesco: Reg. Sen. 155, 180, 439 /1114-1208), CDO 106-7 (1216), come pure Boceno e il castello di Marino: CIACCI, II, n. 580 (1274). Boceno in quest’ultimo non è definito castello; ed è castellare, castello distrutto, in CDA 361 («1194»; nella realtà un falso duecentesco, ma presumibilmente topograficamente accurato per il periodo di stesura). 105 Per la proprietà di S. Salvatore a Radicofani, vedi CDA 337-8 (1144-5) e molti testi duecenteschi in ASS, Diplomatico SSMA. La sesta parte di Radicofani che non possedette fu ceduta dal conte Manente I di Chiusi al vescovo di Siena, in un atto ben conosciuto dell’anno 1139 (Reg. Sen. 182, ed. per intero in Caleffo vecchio 34; cfr. anche CDA 338). Spesso si afferma che i conti di Chiusi lo avrebbero tenuto a lungo; se, però, l’ebbero durante i 150 anni del controllo aldobrandesco, certamente non lasciarono niente a dimostrare la loro presenza. 106 Per S. Salvatore soggetto a Enrico IV, il commento a CDA 309. Dopo questa data, è documentata qualche sorta di patrocinio papale, e più tardi, sotto Enrico VI e Ottone IV, un ritorno forse più efficace a quello imperiale; questo non esclude comunque un controllo aldobrandesco nel primo XII secolo – o anche più tardi, in pratica. 43

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi orientale. Ne consegue che gli stessi Aldobrandeschi intenzionalmente donarono Radicofani, e di conseguenza il controllo della Francigena, a S. Salvatore. Che tale responsabilità abbia recato quasi tante difficoltà quanti vantaggi al monastero non era problema degli Aldobrandeschi; i conti, non senza esperienza politica, verosimilmente lo avevano previsto. La lettera degli anni ’80, allora, non ci mette al corrente dell’inizio di una situazione confusa di continua minaccia militare per le terre di S. Salvatore, o chiunque altro, che spiegherebbe la vittoria eventuale del sistema dei castelli: ci dice invece di un quadro specifica e temporaneo di ostilità, concluse al più tardi nel 1108 ma probabilmente molto prima. Significativamente, i castelli di Mussona e Serra de Ruga sembrano non essere mai stati costruiti, e prima del Duecento anche Boceno era scomparso107. Se vogliamo capire come mai l’habitat ad est dell’Amiata si sia concentrato in tre insediamenti nel Duecento, dovremo esaminare il problema da altri punti di vista, e tre di questi non sono solo rilevanti ma anche parzialmente documentati: la crescita della piccola aristocrazia della zona; la crescita dei diritti signorili; e la storia della strada. Chi abitò nelle terre ad est della montagna e nei nuovi castelli nell’XI secolo? Se guardiamo la nostra documentazione c’è un’assenza che colpisce, particolarmente se è messa a confronto con le testimonianze dell’VIII secolo: quella dei coltivatori proprietari delle loro terre. C’è solo una piccola manciata di riferimenti che forse potrebbero aver a che fare con essi108. O si mantennero totalmente fuori dal retaggio politico di S. Salvatore, o, più probabilmente, avevano cessato di esistere; i soli proprietari laici documentati sono chiaramente i possessori di corti e case dipendenti, e sono per lo più aristocratici, grandi e piccoli. Nella prima metà dell’XI secolo, ci furono almeno quattro famiglie di una certa importanza che sembrano essere incentrate sulle terre ad oriente della montagna, a S. Filippo, Reggiano, Callemala, e Rocca di Senzano. Erano tutti benestanti, con contadini dipendenti; furono, nei casi di Reggiano e Callemala, testimoni frequenti nei documenti monastici; negli anni ’70 cominciarono a essere chiamati lambardi, termine classico in Toscana per il livello più basso dell’aristocrazia. È importante riconoscere che non furono del tutto omogenei: quelli di Callemala e Rocca di Senzano furono in gran parte livellari di terra monastica, mentre gli altri due proprietari di terra allodiale; quelli di Reggiano e Rocca di Senzano abitarono nei castelli, al contrario degli altri. D’altro canto, i lambardi di Reggiano e di Callemala furono sufficientemente vicini da sposarsi fra di loro. E le famiglie si comportarono in modi che si potrebbero chiamare ‘ aristocratici ’; i livellari monastici di Rocca di Senzano si appropriarono anche a Gello di altra terra monastica, quas diabolus per longum tempus per fraudem et per malum ingenium nobis retinere fecit, come constatarono nel 1082 quando la restituirono109. Le origini di queste famiglie sono in ogni caso interamente oscure; anche la più conosciuta, i filii Otichieri di Callemala, sembrano comparire dal nulla quando nel 903 sono citati per la prima volta come livellari del monastero per un terzo dello stesso luogo. Il massimo che si può dire è che il lento processo di cristallizzazione che creò, ovunque nell’Italia centro-settentrionale del periodo, un’aristocrazia minore di milites o lambardi, definita tramite le attitudini militari, interessò soprattutto in questa zona queste quattro famiglie: anche se non sappiamo cosa fossero all’inizio

107 Deduco la non costruzione di Mussona e Serra de Ruga (CDA 310, 316) dalla loro assenza in qualsiasi testo successivo. È vero che una nota dorsale del XII secolo a 310 fa riferimento a un castello di Mussona, ma questo sarebbe una descrizione del tenore del documento più che una prova della costruzione del castello. 108 Dei piccoli proprietari sono presumibilmente attestati come testimoni o come possessori confinanti in CDA 201 (Callemala), 215 (Offena), 283 (Vitena), 301 (Rocca di Senzano), 356 (S. Filippo), ma in ogni caso la sola ragione per suggerirlo è che sono altrimenti sconosciuti; tutti gli altri proprietari sui quali esiste una documentazione hanno una o più dipendenti. Il solo riferimento apparentemente palese a un piccolo proprietario in tutta la vasta zona dell’Amiata fra il 950 e il 1200 è Reg. Sen. 187 (1142) per Tramaza il giocoliere (pallarius ioculator) di S. Fiora. Questa assenza non è solo in contrasto con la documentazione dell’VIII secolo, ma anche differenzia l’Amiata in maniera chiarissima da quasi tutta la Toscana settentrionale nello stesso periodo. 109 S. Filippo: CDA 258, 282, 310, 311 (chiamati lambardi), 316. Reggiano: 265-6, 281, 283, 315 (e testimoni a 297, 299, 307, 310-12, 319). Callemala: 181, 201, 210, 229, 268, 288 (lombardi), 289-90, 297, 307 (per Clarizia di Iogo, moglie di Stefano di Rolando da Callemala e sorella di Bonzo e Teuzo da Reggiano); la famiglia testimonia in 299, 311-13, e forse 253, 255, 296, 301, 308, 316-17. Vedi inoltre n. 76. Rocca di Senzano: 301, 308 (il testo per Gello). 44

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi dell’XI secolo, alla fine erano divenuti nobili110. E sebbene l’incastellamento della zona sia stato troppo lento per consentire di associarli inequivocabilmente con i castelli, possiamo almeno dire che, dove ci furono castelli, è gente come questa che si può presumere vi abitasse. Per la verità, nel caso di Reggiano, i suoi signori forse rivendicarono lo status aristocratico proprio tramite la costruzione del castello, e anche assai presto, prima del 1028. Ma l’associazione fra attività militare/aristocratica e castelli doveva essere stata enormemente stimolata dalle ostilità nei confronti dei monaci da parte degli Aldobrandeschi dopo il 1080. I conti fondarono castelli precisamente per proseguire queste attività. E, se Radicofani era stato prima un centro relativamente minore – benché in continuo sviluppo, come dimostra dopo il 1070 la presenza di livellari monastici il cui livello sociale quasi certamente era simile a quello dei lambardi – dopo il 1080 era divenuto grande: come abbiamo visto, vi risedettero, almeno temporaneamente, una moltitudine di milites111. Non si può dimostrarlo, ma a me sembra molto probabile che di questi milites facessero parte molti dei lambardi della zona. È significativo che questi ultimi fossero i testimoni principali nel 1084-1087 nei documenti per l’incastellamento di Mussona e Serra de Ruga. Sarebbe forse possibile che vi fossero presenti in qualità di clienti monastici anziché comitali; ma i testi sembrano provenire dall’ambiente dei conti più che non da quello di S. Salvatore112. Gli Aldobrandeschi, in questo momento che segna la loro maggiore affermazione locale, poterono offrire più opportunità e un patrocinio più congeniale (più militare, cioè) di quello del monastero; i lambardi entrarono a far parte della clientela dei conti. E quando dopo il 1100 i conti si ritirarono, lasciarono il loro monastero (come si potrebbe ormai definire) in un ambiente molto più esplicitamente militare e anche signorile di quello precedente. Dopo il 1130, i nostri documenti diventano molto meno numerosi; in particolare, l’archivio di S. Salvatore quasi cessa per sette decenni. Ma quelli rimasti, provenienti sia dal monastero, sia, in maniera crescente, da altri luoghi, concordano nel rilevare l’importanza sempre più grande dei diritti signorili. Prima del 1130, come ho detto, solo gli Aldobrandeschi agirono in questa arena. Dopo, tutta la politica della proprietà ha un aspetto esplicitamente signorile, e gli stessi diritti signorili cominciano ad avere un ruolo indipendente113. Questa data, anche se tarda nei confronti del nord Italia, quadra bene con altre zone toscane; ma l’importanza di tali diritti fu qui molto più grande che non intorno a Lucca o ad Arezzo, per esempio. Ed essi furono associati esplicitamente con i castelli; le prestazioni signorili erano dovute ai castelli, e, con la crescita dell’importanza delle prestazioni, crebbe pure il legame fra abitanti locali e castelli; fu ormai su questi ultimi più che sulle curtes aperte (quando continuarono ad esistere) che si basò il potere coercitivo dei proprietari. Ho già suggerito questo rapporto per le terre ad occidente dell’Amiata. Ad oriente, comunque, abbiamo documentate le attività non solo dei grandi signori e dei contadini dipendenti ma anche delle élites locali, sul gradino più basso dello strato aristocratico; cosa essi fecero in questo ambiente ebbe forse l’impatto più grande sulla storia dell’habitat. All’inizio del XII secolo, la situazione politica locale era alquanto più semplice rispetto al secolo precedente. Anziché un equilibrio di forze politiche, troviamo una situazione in cui il proprietario nettamente dominante ad est dell’Amiata era lo stesso S. Salvatore. Non solo possedeva ancora il vecchio centro territoriale fra Amiata e Paglia, con i borghi sulla Francigena, ormai la strada principale dell’Italia peninsulare, ma aveva ottenuto, probabilmente con l’avallo degli

110 Per la Toscana, G. VOLPE, Lambardi e Romani nelle campagne e nelle città, «Studi storici» XIII (53-81, 167-82, 241-315, 369-416); WICKHAM, The mountains and the city. 111 CDA 309; per abitanti dopo il 1070: 292, 295, 316-7, 327; inclusero dei testimoni importanti nella metà del XII secolo: 341, 347-8. 112 Uomini da Reggiano e da S. Filippo testimoniarono per Mussona (CDA 310); da S. Filippo, Radicofani e Callemala per Serra de Ruga (316). Vedi anche nota n. 121. 113 Prima del 1130 circa, i diritti signorili sono attestati in CDA 303, 309, 329-30 (1077-1108), Reg. Sen. 139 (1097 o dopo), tutti per gli Aldobrandeschi. Dopo il 1130, dei buoni esempi per l’importanza di tali diritti sono CDA 341 (1153, Radicofani), 356 (1191 S. Filippo, forse non collegati ad un castello), 363 (1194, Montepinzutolo); ASS, Diplomatico SSMA, 20 sett. 1205, 20 ott. 1248 per Rocca (ormai Rocchetta) di Senzano. 45

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Aldobrandeschi, anche la maggior parte del castello di Radicofani, che dominava la strada e la zona circostante. Radicofani divenne presto troppo importante per rimanere sotto il controllo dei monaci; nel 1145 il primo di una lunga serie di eserciti senesi entrò nei territori monastici; e il controllo politico sopra il castello fu conteso d’allora in poi fra Siena, gli imperatori e i papi. Nel 1153, infatti, questi ultimi presero la metà del castello in livello da S. Salvatore: la loro autorità fu riconosciuta e confermata tramite il possesso. Ma nonostante il riconoscimento politico da parte dei monaci della dominazione altrui, almeno l’altra metà del castello e delle sue dipendenze rimase in possesso di S. Salvatore, e questo non era un diritto vuoto, come dimostrano centinaia di testi duecenteschi. S. Salvatore non mantenne l’egemonia regionale, ma in termini di politica locale il monastero tenne fermamente le redini clientelari; e il centro del suo potere locale divenne sempre più chiaramente lo stesso castello di Radicofani, con i suoi bandis, placitis, districtis et honore, come lo definirono i monaci quando allivellarono la metà ai papi114. È in questo contesto che dovremo capire i cambiamenti nel quadro dell’habitat. Alla fine dell’XI secolo c’era nella zona amiatina orientale, come abbiamo visto, una struttura insediativa estremamente varia; da un lato uno sparuto gruppo di castelli, di importanza crescente, dall’altro la sopravvivenza di molti insediamenti aperti. L’habitat in questi ultimi fu in parte già accentrato, come a Piancastagnaio, ma fu per lo più ancora sparso, come sui pendii a nord e a nord-est di Radicofani, sopra l’Orcia. Poi, naturalmente, «last but not least», c’erano i borghi della Val di Formone e della Val di Paglia. Cent’anni dopo, questo quadro è trasformato; solo tre castelli, tutti e tre monastici, Castel di Badia, Piancastagnaio, e lo stesso Radicofani, hanno sostituito i precedenti insediamenti della zona. Radicofani, in particolare, nel 1200 aveva rimpiazzato non solo le curtes e i casalia nel suo territorio, ma anche i castelli e i burgi; non solo Clemenzano e Mussona cessarono di essere abitati, ma anche Rocca di Senzano e Reggiano. Il successo di Radicofani segna così una chiara rottura in un processo che avrebbe portato più lentamente verso una realtà più simile a quella dell’ovest della montagna, caratterizzata da un reticolato di castelli molto più vicini fra di loro e probabilmente anche più piccoli115. Esattamente come avvenne questa rottura non può che essere ipotizzato, data la mancanza di documenti per il momento cruciale. Mi sembra inevitabile proporre che l’assorbimento di tutto l’habitat all’interno di Radicofani abbia a che fare con l’importanza schiacciante del castello come centro politico locale dopo la metà del XII secolo. Ma questa volta ciò ebbe effetto non solo sui contadini dipendenti. Se anche Reggiano, centro allodiale di una famiglia aristocratica, cessò di essere documentato, allora è quasi certo che S. Salvatore ebbe la capacità di attrarre nel nuovo centro anche alcuni aristocratici. Questo senza dubbio vale per illis de Rocca di Senzano, castello monastico beninteso ma con abitanti aristocratici; sappiamo di sicuro che quest’ultimo era già abbandonato nel primo Duecento. I legami clientelari e militari si stavano rafforzando: un processo già cominciato verso il 1080 sotto gli Aldobrandeschi, ma che continuò e si stabilizzò sotto i monaci. E questo rafforzamento fece di Radicofani un centro gradito anche ai piccoli nobili di altri castelli. Fu con ogni probabilità questo spostamento dell’élite locale che indusse gli altri abitanti della zona a trasferirsi nel nuovo centro. Cosa pensò S. Salvatore non sappiamo; è comunque da notare che nel Duecento i monaci mostrarono una certa preferenza per il mantenimento di altri castelli intorno a

114 Radicofani nell’arena dell’alta politica: CDA 337-8, 361, 364; VON PFLUGK-HARTTUNG, Acta pontificum romanorum inedita, II, Stuttgart 1884, p. 361 sg. n. 410 (1157); SCHNEIDER, Analecta toscana, p. 10 sg. (1200); vedi per commento REPETTI, IV. 709-12; JUNG, Itinerar, p. 45 sg.; D. WALEY, The Papal State in the thirteenth century, London 1961, pp. 36, 60, 66, 70, 132, 149, 206; VON DER NAHMER, Reichsverwaltung, pp. 145-8; Repertorio, 44.1. 115 Nel Duecento la schiacciante preminenza insediativa di Radicofani nel suo districtus (che si stese per tutto il triangolo formato dai fiumi Paglia e Rigo) è chiara; in tutti i testi in ASS, Diplomatico SSMA, e altrove, ho trovato solo tre menzioni di capanne fuori dal castello e dei suoi borghi, ASS, Diplomatico riformazioni, 10 genn. 1249 (LISINI, Inventario, p. 382); PIATTOLI, Statuto di Radicofani, § 42 (p. 60); e ASS, Diplomatico SSMA, 10 genn. 1275. Parecchi dei vecchi insediamenti appaiono abbandonati o come semplici contrade rurali, ubicazioni solo per terra coltivata: vedi note più sotto. 46

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Radicofani: due volte in quel secolo infatti tentarono di persuadere i lambardi locali a rioccupare Rocca di Senzano, anche se il successo fu solo momentaneo116. Una lettura politica di questi cambiamenti può andare oltre. I lambardi di Radicofani nel XIII secolo sembrano essere stati numerosi ed eterogenei (la famiglia Guasta deve essere entrata a far parte della popolazione di Radicofani o prima o in questo frangente dato che il primo firmatario dello Statuto del 1255 è proprio un Guasta Peccato che non se ne conosca nessun altra!), fatto che quadra con una loro probabile origine come più famiglie indipendenti. Benché fossero livellari e vassalli monastici, non furono mai facili da controllare117. Non è perciò inconcepibile che la difficoltà che S. Salvatore nel controllare pienamente questa nuova clientela militare in parte spieghi anche l’apparire improvviso di Castel di Badia e la fortificazione di Piancastagnaio, ambedue nel suo territorio centrale. La fondazione di Castel di Badia, in particolare, sembra un atto estremamente consapevole, simile a quanto era avvenuto nel Lazio quasi tre secoli prima; la popolazione sparsa dell’XI secolo fu trasferita, prima dell’anno 1200, in un grande castello compatto, totalmente posseduto e aggressivamente controllato da S. Salvatore118. Ora, il monastero non fu totalmente in grado di convertire quest’aggressione in potere effettivo. Come ha rilevato la Redon, i primi riferimenti al castello già mostrano un comune rurale che si formò in opposizione a un monastero temporaneamente, per diversi motivi, debole; la costruzione stessa del castello fu iniziata forse proprio in questo nuovo momento di relativa debolezza politica generale. D’altronde, la prepotenza locale del monastero nel Duecento, che ha pochi riscontri in tutta la Toscana del periodo, certo contribuì alla coesione e, alla fine, alla stessa vittoria del comune di Castel di Badia. Ma la capacità del monastero di creare Castel di Badia sulla sua terra è indubbia, perché fu il solo proprietario del territorio e, relativa debolezza o no, vi deteneva ormai anche una schiera di diritti signorili con pochi paralleli, come ho detto, altrove in Toscana119. L’espansione di Radicofani non solo sommerse i centri abitativi del suo districtus, ma ebbe anche un effetto drammatico sulla via Francigena stessa. Alla fine, anche la strada si spostò a Radicofani; il transito più lungo sulla collina, attraverso i tre borghi subito sotto il castello, fu stabilito formalmente nel 1442, e la Francigena vi rimase finché la nuova strada degli anni ’60 del

116 Sulla rioccupazione di Rocchetta (i.e. Rocca) di Senzano, tentata da membri dei lambardi di Radicofani: ASS, Diplomatico SSMA, 20 sett. 1205, presumibilmente senza successo e, di nuovo, 13 ott., e 21 ott. 1248. Da allora in poi è documentato il districtus delle Rocchette (Senzano e Sassine) (per es. 13 ag. 1275, 4 apr. 1285, Spoglio nn. 804, 950), come pure le fortificazioni, fino alla loro demolizione nel 1369 (REPETTI, IV, 712). Un’analoga iniziativa forse spiega l’apparire di Gello come castellare in ASS, Diplomatico SSMA, 10 genn. 1275; certamente non mai nominato come castello. 117 Problemi con i lambardi: p.es. ASS, Diplomatico SSMA, 28 ag. 1210, 5-15 giugno 1237, 28 dic. 1275. Non furono necessariamente livellari del monastero per tutte le loro terre; S. Salvatore non possedette tutta la zona, anche se almeno controllò gran parte del districtus. 118 Castel di Badia è esplicitamente documentato per la prima volta nel 1203 (CDO 77; ASS, Diplomatico SSMA, 9 nov. 1203, già con un podestà); ottenne già una generosa carta libertatis comunale nel 1212 (REDON, seigneurs et communautés, pp. 164-6. e commenti, pp. 155 sg., 624 sg., 632 sg., 654-7). (I. IMBERCIADORI, Come nel sec. XII nacque il consolato a Castel di Badia in ID., Per la storia della società rurale. Amiata e Maremma tra il IX e il XX secolo, Parma 1971, pp. 23-37 è privo di valore). S. Salvatore vi possedette tutta la terra, e la sua proprietà (ASS, Diplomatico SSMA, 12 ott. 1238, LISINI, Inventario, p. 56). Per la mano pesante del monastero vedi in genere REDON, pp. 153-6, 620, 623-5, 632-7, 642-7, 654-7. Castel di Badia era grande quanto i centri di Radicofani e Piancastagnaio; le strade ebbero nomi propri, e ci furono case fuori le mura (ASS, Diplomatico SSMA, 13 sett. 1257, 14 nov. 1259, 21 apr. 1271, 16 sett. 1297, Spoglio nn. 608, 634, 746, 1147). 119 Sulla temporanea debolezza di S. Salvatore all’inizio del Duecento, vedi REDON, p. 155 sg. La rivendicazione più sistematica dei suoi poteri in Castel di Badia, dal 1251, fu quasi totalmente in chiave signorile, e fornisce un elenco impressionante di tali diritti, anche se alcuni erano delle volte decaduti (ibidem, pp. 174-81, 644-7). Il confronto classico con una zona della Toscana settentrionale è J. PLENNER, L’emigrazione dalla campagna alla città libera di Firenze nel XIII secolo, Firenze 1979, pp. 57-79, 98-103. Egli giustamente tiene separati, benché con difficoltà, i diritti fondiari da quelli signorili, impresa anche più difficile sull’Amiata, dove i signori del bando possedettero percentuali così alte della terra. 47

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XX secolo non ha recuperato in parte il percorso originale120. Ma nel 1442 i burgi del fondovalle erano ormai scomparsi da tempo. Callemala dipendeva da Radicofani già nel 1153: benché fosse ancora un burgus di una certa importanza, successivamente non è più ricordato come tale, così come gli altri burgi fra le Briccole e Centeno. Invece, nel 1191, Radicofani è ricordato per la prima volta come stazione stradale a sé, e questo indica che la strada già si stava spostando più in alto; nel 1255 vi fu fondato un ospedale per pellegrini. Negli statuti comunali della stesso anno si fa pure notevole attenzione alla riparazione di dieci vie diverse nel territorio del castello: non solo della Francigena, quindi, ma ciò dimostra almeno quanta importanza una buona viabilità cominciasse ad assumere per i Radicofanesi121. Callemala nel Duecento, d’altra parte, è documentata solo come una contrada rurale di Radicofani, con parecchi mulini ma senza altre abitazioni. La strada che la percorreva continuò a esistere, e fu di volta in volta anche importante, ma la maggior parte del traffico probabilmente passava per Radicofani, salvo in situazioni eccezionali – come quando, nel 1300, S. Salvatore autorizzò ventidue uomini e donne (significativamente, quasi tutti o da Radicofani o da Castel di Badia) a installare bancarelle in Callemala per i pellegrini che andavano a Roma per il Giubileo, forse per facilitare il deflusso dei viandanti sulla strada superiore. Lo spostamento del 1442 deve semplicemente aver ratificato una realtà abitativa vecchia ormai di due secoli122. Come ogni altro cambiamento insediativo negli anni dopo il Mille, il declino di borghi come Callemala, Voltole o Burgorico è attribuito all’insicurezza. Tale interpretazione però è particolarmente priva di senso sulla Francigena, linea di passaggio normale al più tardi dal 900 per interi eserciti. A me sembra che possiamo spiegarlo tramite la combinazione di due fattori. Il primo è l’attrazione politica di Radicofani, il che sarebbe valso non solo per i lambardi di Reggiano e Rocca di Senzano ma anche quelli di Callemala, livellari fra l’altro di gran parte delle proprietà monastiche sulla strada. Callemala, non essendo castello, sembrò forse anche meno adatta per una famiglia di lambardi in ascesa, una volta che Radicofani divenne il centro naturale delle classi militari; anche questa famiglia sarebbe da includere così fra i probabili antenati dei lambardi di Radicofani del Duecento123. Se questo fatto preso da solo sembra inadeguato per spiegare la scomparsa dei borghi, dobbiamo di nuovo mettere in rilievo che l’attività economica dei loro abitanti dipendeva dalla strada; è ben possibile che i lambardi che dominarono Callemala abbiano potuto esigere che anche gli abitanti agricoli si adattassero al lento movimento del traffico stradale verso il tratto superiore.

120 Per lo spostamento della strada, REPETTI, IV, p. 713. Per i borghi, ibid., p. 710; PIATTOLI, Statuto di Radicofani; e anche molti testi da ASS, Diplomatico SSMA, 1237 e 1255. 121 Callemala: CDA 341, 343, 346 (1153). Il Burgo Callemale di ASS, Diplomatico SSMA, nov. 1283, è solo un toponimo per localizzare terra agricola, presumibilmente usato come sinonimo di contrada /cfr. n. 119). Il racconto della storia di Callemala in G. VOLPINI, Storia del monastero e del paese di Abbadia S. Salvatore, Abbadia S.S. 1966, pp. 166-8 ha troppi errori per essere utilizzabile; non riesco a trovare la documentazione per la sua affermazione dello spostamento di Callemala a Castel di Badia nel 1278. Radicofani: JUNG, itinerar, p. 44 sg. Per 1191; ASS, Diplomatico SSMA, 30 genn. 1255 per l’ospedale (dovrebbe essere 1256 se lo stile fosse senese, ma l’indizione è corretta per il 1255), Vie negli statuti: PIATTOLI, Statuto di Radicofani, §§ 48-9, 51-2, 58-63 (pp. 61-4); (vedi anche: B. MAGI Radicofani e il suo statuto del 1441, Siena 2004). 122 Callemala come contrada di Radicofani nel Duecento: PIATTOLI, § 60 (P. 63, MULINO); ASS, Diplomatico SSMA, 20 ott. 1248 (mulino), 30 genn. 1255 (mulino), 28 dic. 1257, 24 genn. 1277 (mulino), 11 genn. 1282 (mulino), 8 magg. 1283 (mulino), 22 magg. 1283 (mulino), 2 lug. 1283 (mulino), 28 apr. 1292. Molti di questi anche fanno riferimento alla strada. Bancarelle nel 1300: 21 apr. 1300. Cfr. Voltole, contrada di Radicofani e anche Piancastagnaio: 9 nov. 1203, e 26 sett. 1260, 10 giug. 1288, 18 giug. 1292 (Spoglio, nn. 636, 984, 1051): Burgorico, contrada di Radicofani: 10 ago. 1277 (Spoglio, n. 823). Maria Ginatempo mi rivela d’altronde che la strada inferiore continuò ad essere importante nel ‘300 e ‘400, in concorrenza di tanto in tanto anche con quella che passò per lo stesso Radicofani. 123 Lo status crescente dei lambardi di Callemala (cfr. n. 106) si vede, soprattutto, nell’espansione delle loro proprietà fuori dello stesso burgo: nel 1071 comprarono terra situata nei pressi del burgo di Muliermala da un vassallo dei conti di Siena, la prima attestazione di loro proprietà allodiali (non soggetto a vincoli) (CDA 289-90); prima del 1079, aggiunsero possessi in Voltole, S. Casciano dei Bagni e Piancastagnaio a quelli che già tenevano del monastero (CDA 307). Vale pure osservare che, dopo l’affermazione degli Aldobrandeschi negli anni ’80 dell’XI sec., i regolari rinnovi dei livelli da parte della famiglia, durati per 170 anni, smettono; un’altra ragione per supporre che si erano schierati ormai con i conti. 48

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Tale comportamento va bene per i nobili di Callemala. Ma ho anche il sospetto che in questo caso S. Salvatore stesso sarebbe potuto intervenire. Un aspetto notevole di questo spostamento è che Radicofani rimpiazzò non solo Callemala ma anche Fermone, Muliermala, Voltole e Burgorico, tutti o interamente o in gran parte monastici. La rete dei possibili punti di partenza e di arrivo sulla strada si semplificò molto; fra le Briccole e Centeno/Acquapendente, la sola stazione stradale divenne Radicofani124. Tale semplificazione ha verosimilmente avuto un’origine imprenditoriale. È decisamente simile infatti alla creazione sistematica nello stesso periodo delle quattro fiere della Champagne, da parte degli stessi conti di Champagne, che si erano resi conto che, tramite la concentrazione di mercati e servizi in pochi centri, avrebbero potuto espandere questi ultimi ben oltre il livello del commercio più frammentario del periodo precedente125. Nello stesso modo Radicofani avrebbe facilmente potuto essere destinato a svolgere una simile funzione dai monaci di S. Salvatore, una volta consolidata la sua supremazia locale, nell’ultima metà del XII secolo. E, anche se Radicofani tendeva all’autonomia politica, in termini economici non c’è segno che i monaci avessero torto. Il castello rimase il centro maggiore dal 1200 in poi, poco amato dai viandanti ma grande e commercialmente prospero; il crollo demografico è un prodotto solo degli ultimi decenni126. Questa vittoria per Radicofani a tutti i livelli, militare, politico e commerciale, completò il processo attraverso il quale i castelli e i borghi dell’XI secolo, e il reticolo geografico, economico, e socio- politico che li sosteneva, furono sepolti proprio come gli stessi castelli e borghi avevano sepolto a loro volta i quadri insediativi dei secoli VIII e IX.

* * *

Questo contributo è stato incentrato meno sull’incastellamento e l’accentramento dell’habitat sull’Amiata, che non sui tipi di incastellamento e i vari momenti di incastellamento nella zona. L’ultima parte della discussione è stata pura congettura, a causa della completa mancanza di documenti per i decenni precedenti il 1200, un anno però in cui il nuovo assetto territoriale dell’Amiata era già pienamente stabilito. Ma, congetture a parte, è almeno chiaro che l’apparire di castelli e i cambiamenti insediativi sulla montagna concentrano la nostra attenzione su una realtà estremamente eterogenea e spesso mutevole. I quadri dell’habitat cambiano molto frequentemente in Italia (e non solo in Italia), come testimonierà qualsiasi archeologo; sono un indicatore sensibile di realtà socio-economiche e socio-politiche. Ma i cambiamenti di un tipo particolare, diciamo lo sviluppo di un insediamento accentrato, o la fortificazione di quel centro, non hanno un senso univoco e invariabile in ogni situazione sociale; la semantica dei sistemi dell’habitat umano non è fissata in maniera immutabile, come neppure quella delle lingue umane. Quando cambia l’ambiente economico, o la natura del potere politico sopra i contadini (gli abitanti degli insediamenti), cambia non solo l’habitat, ma cambiano anche i modi in cui questi fattori hanno effetto sull’habitat. Questo contesto più largo deve essere capito per capire l’habitat stesso.

124 Centeno, situato fuori della zona monastica, sopravvisse. Fu sufficientemente importante da essere al centro nel 1202 di una piccola guerra locale (ASS, Diplomatico SSMA, 15 maggio 1202). Questo testo, che descrive la violenza fra Proceno e Segiano, è una importante testimonianza della diffusa militarizzazione che ormai era patrimonio anche dei comuni rurali. Segiano è di solito identificato con Seggiano al nord-ovest dell’Amiata, con buone ragioni linguistiche, ma se fosse così lontano da Proceno, il documento non avrebbe nessun senso. 125 R.H. BAUTIER, Les foires de Champagne, «Recueils de la societé Jean Bodin» V (1953), pp.97-145. 126 Nel ‘400 Radicofani era il secondo insediamento sull’Amiata dopo Abbadia S. Salvatore, e nel 1595 addirittura, con 2262 anime, il più grande (vedi l’articolo di Maria Ginatempo). Nel 1640 era ancora il secondo, questa volta dopo Arcidosso: nel 1833 era sceso al quinto posto, sebbene i suoi 2078 abitanti fossero pari ai tre quarti della popolazione del più grande Abbadia S. Salvatore (REPETTI, I, 34, 108, IV, 716). Rimase a questo livello fino al secondo dopoguerra; attualmente, comunque, con meno di 800, è uno dei quattro comuni toscani con la più bassa densità demografica (con S. Godendo, Monteverdi Marittima e : ISTAT, 11° censimento generale della popolazione 1971, III, pp. 38, 62, 86, Roma 1974). 49

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Tale comprensione, comunque, anche se difficile, non è impossibile. Ho delineato un modello all’inizio di questa discussione che sottolinea tre aspetti dell’incastellamento e dell’accentramento nelle varie realtà dell’Italia dei secoli X – XII: la protezione della proprietà; la crescita economica; e l’affermazione del potere politico sulla popolazione in generale. Questo modello chiaramente funziona per l’Amiata, ad occidente come pure ad oriente. La complessa situazione ad est della montagna ci permette di vedere che i cambiamenti insediativi avvennero in varie tappe, ciascuna privilegiando un aspetto diverso del modello; ci permette inoltre di capire in maggiori particolari come il modello stesso potesse funzionare. Nondimeno, tutti e tre gli aspetti determinarono, in tempi e modi diversi, l’eventuale successo di insediamenti accentrati e fortificati sulla montagna, un quadro che caratterizza la situazione ancora oggi, anche se un terzo della popolazione ha di nuovo lasciato i centri tradizionali per le frazioni e le case aperte. Forse, comunque, il fenomeno che pesò di più sulla storia insediativa dell’Amiata, soprattutto fra il 1000 e il 1200, fu la compattezza del potere locale. Sull’Amiata, come nella Maremma al suo sud e ovest, la coerenza del potere dei signori locali fu molto più grande di quella intorno a Siena o, anche di più, di quella nella Toscana settentrionale. Fu questa coerenza che permise agli stessi signori non solo di tentare di attrarre e costringere la popolazione locale, ma di avere successo nel tentativo. Ci furono variazioni geografiche, naturalmente: la rottura rappresentata dall’apparire di Radicofani e di Castel di Badia non ebbe analogia ad ovest della montagna, perché i dettagli di potere furono diversi (come pure i loro rapporti con le differenze locali nello sviluppo economico). Ma le diversità fra l’est e l’ovest della montagna risedettero nella varia articolazione di questo controllo locale, non nella sua forza: nel 1200 non esistette quasi più l’insediamento aperto su nessuno dei lati dell’Amiata. Rimane solo da aggiungere che questa localizzazione di potere politico non riguardò solo i signori; anche la coerenza politica della popolazione locale, portata di recente dentro i centri accentrati e rinforzata nel Duecento dallo sviluppo economico silvo-pastorale (e cioè collettivo) della montagna, andava cristallizzandosi nello stesso periodo. Furono forti, dunque, sia i signori che comunità locali; non sorprende che gli esempi migliori in Toscana di comuni rurali formatisi attraverso la lotta di classe si trovino precisamente sull’Amiata.

Sono molto grato a Oretta Muzzi per la sua lettura del testo e per i suoi commenti utilissimi.

Pag. 139.

L’organizzazione ecclesiastica dell’Amiata nel Medioevo. Mauro Ronzani.

...... Pag. 148.

«Infra territori de plebe Sancti benedicti»: insediamenti sparsi ed edifici cultuali nella val di Paglia nei secoli XI- XII in. Se dal versante occidentale dell’Amiata ci volgiamo ora a quello opposto e alla sottostante val di Paglia, il quadro ci appare ben diverso. Proprio su quella zona, ai due lati della Via Francigena127, Enrico II intese concentrare gli interessi di S. Salvatore, sanzionando con la sua autorità le donazioni che l’abbazia vi aveva di fresco ricevuto dagli esponenti più indigni dell’aristocrazia locale e regionale: il marchese Ugo (995), Bernardo conte di Siena (1000) e l’aldobrandesco Ildebrando IV (ante novembre 1002)128.

127 Sul percorso della famosa via di comunicazione nella valle del Paglia si veda la relazione presentata in questo libro da R. Stopani. 128 KURZE, Monasterium Erfonis, pp.30-31 e 34-35. 50

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Un documento del 1032 ci attesta che il territorium de plebe S. Benidicti giungeva sino «al punto di confluenza dei principali rami sorgentiferi del Paglia (i torrenti Vascio, Cacarello e Pagliola)»: qui, a 9 – 10 km. dall’antica cella monastica, era ubicato infatti il burgus di “Callemala “, mentre l’appezzamento individuato nel 1032 si trovava iusta ipso burgo de patibus aquilone. Il casale et villa detto ‘ Clemenziano ‘, già noto sin dal 798 e spesso ricordato fra i secoli X e XI – insieme con la sua chiesa dedicata a S. Lorenzo – come attiguo a ‘ Callemala ‘ 129, non apparteneva invece più all’ambito territoriale di S. Benedetto, che a nord e ad est confinava con quelli delle pievi vescovili di S. Filippo, di S. Donato (poi S. Giovanni) di Radicofani e di S. Maria (presso S. Casciano dei Bagni)130(da questa nota e da quella successiva si può individuare dov’era il Borgo di Clemenzano con la sua chiesa di S. Lorenzo e di conseguenza quel Poggio S. Lorenzo di cui parla lo Statuto del 1441, questa chiesa era nel monastero privato di “S. Quirico in Clemenzano”). Sin dal 995 anche ‘ Callemala ‘ compare dotata di una chiesetta (ecclesia et oratorium) dedicata a S. Cristina, e confermata in quell’anno dall’abate, come parte di un complesso economico comprendente terre, vigne, orti, taverne e mulini, ai due figli del precedente concessionario ormai defunto131. Lungo il corso dal Paglia, e sempre ai margini della via Francigena, si trovava (tre km. più a sud) l’eclesia in onore S. Petri, sito burgo Voltiole, che l’anno 1000 fu donata al monastero dal conte Bernardo, con la metà delle terre, case e mulini appartenenti all’insediamento omonimo. Due anni dopo, Silvestro II emanò solenne conferma di un’altra donazione, compiuta con ogni probabilità dal conte Ildebrando (IV) e riguardante la chiesa di S. Cassiano e le sue pertinenze, comprese entro confini descritti con grande precisione: verso sud essi degradavano dalle sorgenti del fosso Cadone (primo affluente di sinistra del Fiora) a quelle del torrente Senna, che seguivano quindi fino al Paglia: a settentrione essi combaciavano con i confini – quali si leggono nei diplomi rimaneggiati di Rachis e Astolfo – del territorio originale di S. Salvatore nella contea di Sovana, passando appena sotto (de subtus ripa) alla Villa de Plano, nucleo originario di Piancastagnaio132. …………………………………………………………………………………………………… Pag. 153. Nella stessa occasione, il pontefice (Celestino II nell’anno 1144) confermò al cenobio il castrum de Radicophino, la cui sesta parte era stata donata cinque anni prima dal conte di Chiusi

129 Per la notizia del 798, relativa ad un monasterium (ovvero un oratorio) Beati S. Quirici in loco C l i m i n c i a n o qui vocatur Piscinule seo et S a n c t i L a u r e n t i i: CDA, I, 47, p. 90. Cfr. anche n. 652. Il nome Sancti Quirici in Pissinule individuò in seguito una curtis (posta non lontano da ‘ Clemenziano ‘) menzionata fra i possessi di S. Salvatore da Ottone III nel 996 (ibid., II, 212, p. 35) e poi da Corrado II nel 1027. Una vera e propria chiesa con lo stesso appellativo si trovava invece, come già accennato, nei pressi di Montepinzutolo. 130 Nel gennaio del 1075 Eriberto del fu Rustico donò a S. Salvatore tutti i propri beni, posti infra plebe Sancti Donati, sito Radicofani, et infra plebe S. Marie, sito Bangno, et infra plebe S. Mariæ in Campo, et i n f r a p l e b e S. B e n e d i c t i , s i t o V i l l a m a g n a (ibid. 296, p. 239); fra i vari loca subito dopo sommariamente specificati (in (…) Punano, et in S a n c t o S e b a s t i a n o et in Corvaia et in S a n c t o L a u r e n z i u et in Laianu ) solo il secondo doveva appartenere al piviere di S. Benedetto: la terra S. Sabastiani era attigua al burgus di Voltole donato a S. Salvatore il 22 novembre del 1000 (cfr. al n. 110), e se nel 1007 Enrico II si limitò a confermare al monastero medietatem curte S. Sebastiani et burgo de Uoltiole et curte de Climintiano (ibid. 227, p. 74, Regensburg), Corrado II avrebbe riconosciuto vent’anni dopo l’intera curtem de Paleaet S. Sebastiani (ibid. 263, p. 158). Per una più accurata trattazione della topografia della val di Paglia prima e dopo il Mille rimandiamo alla relazione di Ch. Wickham; i materiali commentati al convegno da questo studioso ci sono stati di grande aiuto nella preparazione del nostro testo definitivo. (vedi articolo Precedente). 131 Ibid. 210, pp. 28-30 (995 agosto 13). Quattordici anni dopo la concessione sarebbe stata rinnovata agli esponenti della generazione successiva (quattro figli di Teuzio e tre di Gotizio clericus, protagonisti ormai defunti del contratto del 995): ibid. 230, pp. 81-84 (1009, aprile); in quest’occasione si parlò appunto di beni cum integre e c c l e s i e e t o r a t o r i o cui avocabulo est Sancte Cristine et Sancti Lorentii, posti infra comitato e teriturio Cluscino, in casale burgo e fori de ipso burgo qui dicitur Calemala cum suprascripta ecclesia Sancte Cristine; e in c a s a l e e v i l l a que dicitur Clementiano cum suprascripta eclesia beati sancti Lorentii (p. 82). 132 CDA, II, 218, p. 52 (1002, novembre). Nel 1046 Ildebrando (V) avrebbe accennato (nella sua «pagina repromissionis» in favore di S. Salvatore) anche alla terra Sancti Cassiani, sicut quondam Ildibrandus comes, per cartam dedit suprascripto monasterio (ibid. 277, p. 198). 51

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Manente al vescovo di Siena133. Dopo che, nel luglio 1145, un accordo provvisorio fu concluso fra l’abate Ranieri ed i Senesi cum Senensis exercitus esset in plano abbazie Sancti Salvatoris134, Radicofani fu ceduta dai monaci in locazione perpetua – formalmente per metà – a papa Eugenio III nel 1153. È interessante osservare che a partire da questo documento l’insediamento di ‘Callemala ‘, già compreso come vedemmo nel territorio battesimale di S. Benedetto, figura come burnus collegato al castrum di Radicofani, e come tale parte integrante della concessione, pur con la riserva in favore del monastero del redditus pani et vini, qui de agris et vineis solvitur135. Così mentre il piviere di S. Benedetto perdeva la porzione settentrionale del proprio territorio situata entro la diocesi e la contea chiusina (ove la pieve titolare divenne S. Giovanni di Radicofani, erede della vecchia e obliterata S. Donato), e si restringeva progressivamente ad abbracciare la Villa de Plano, che entro la fine del secolo avrebbe ‘ catturato ‘ e richiamato a sé le popolazioni e le chiese già in Voltole e presso S. Cassiano, la nascita sul fianco dell’Amiata a poco più di 2 Km. a nord di S. Salvatore della pieve monastica di S. Maria fu un’altra conseguenza dell’ampia e radicale ristrutturazione territoriale e insediativa avviatasi nei decenni centrali del secolo XII, e culminata in un cinquantennio con la comparsa dei castra di Piancastagnaio e ‘dell’Abbazia’ ed il rafforzamento della fortezza di Radicofani. …………………………………………………………………………………………………… Pag. 157.

La ‘ cura animarum ’ di ………………Radicofani nelle controversie duecentesche fra il vescovo di Chiusi e l’abate di S. Salvatore. …………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………. Pur se contornate da richiami altisonanti ai fondamenti canonici della potestà dell’Ordinario, le rivendicazioni da questi avanzate ( dal vescovo ) nel corso del Duecento non di rado insistevano sugli aspetti più specificatamente economici136, occasionate com’erano dalla richiesta del tributo dovuto per la consacrazione vescovile (il «cattedratico»), o di esazioni dettate da motivi contingenti: se ne ha un esempio per il 1260, allorché da Chiusi si cercò d’imporre ai chierici di Radicofani, Arcidosso e Casteldelpiano dipendenti dal monastero una ‘ colletta ’ occasione reverendi patris domini Obteboni (sic) cardinalis, provocando l’immediato appello degli interessati alla Sede Apostolica137. Già all’atto di concedere ad Eugenio III la metà del castello di Radicofani e delle sue pertinenze, l’abate Ranieri aveva riservato al monastero lo ius ecclesiarum quod in eis habebat138; di tale diritto si fece ricordo anche nei privilegi papali di fine secolo, aggiornandone la formulazione in relazione ai mutamenti amministrativi e insediativi sopravvenuti: le ecclesie castri Radicofani et s u b u r b i i i p s i u s a noi note grazie ai documenti due trecenteschi sono la plebs S. Iovannis de Arce, S. Pietro del borgo e S. Andrea del Castel Morro (al quale ultimo era altresì annesso un proprio borgo, detto «Malmigliaccio»). (Quest’ultima affermazione mi fa ricordare che oltre a questo sito, e non borgo, ve n’era un altro che si chiamava Viclanus e si ritrova in un art. dello Statuto del 1255!). Il problema della concorrenza fra il monastero di S. Salvatore e

133 Repertorio, pag. 143, (vedi 44.1). 134 CDA, II, 338, p. 321. 135 Ibid., 341, p. 327 (1153 maggio 29). 136 Ad esempio nel 1241 il vescovo pretese dai rettori insediati dall’abate di S. Salvatore nelle tre chiese di Radicofani (la pieve di S. Giovanni, S. Andrea «de Castello Morro» e S. Pietro del Borgo. Cfr. n. 137) obedientiam et reverentiam, quartam partem mortuariorum, nec non et quasdam procurationes, cathedraticum et quidam alia, in quibus eos de iure comuni teneri sibi dicebat, e di fronte alle proteste da essi levate utpote qui non ei, sed abbati S. Salvatoris (…) erant pleno iure subiecti, li scomunicò: ASS, Diplomatico SSMA, 1241 giugno 7 (cfr. FATTESCHI, Cronico, cc. 22r-23v). 137 ASS, Diplomatico SSMA, 1260 marzo 9. Fondamento dell’appello fu, ovviamente, che le chiese del monastero non erano tenute, in forza dei privilegi papali di questo, ad pecuniariam procurationem alicuius Legati vel Nuncii Apostolice Sedis (come era appunto il card. Ottobuono Fieschi). 138 Cfr. n. 133. 52

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi l’Ordinario di Chiusi fu risolto stabilendo in ciascuna di esse un condominio paritetico, che prevedeva la competenza di un officiante deputato dall’abate, e di uno installato dal vescovo. Così, nel 1262 il plebanus plebis S. Ioannis de Radicofano pro monasterio, nel giurare fedeltà all’abate Giovanni, dichiarò di retinere pro dicto monasterio et eius nomine plebem de Radicofano a d v o l u n t a t e m e t m a n u m dicti abbatis et suorum successorum; e subito dopo i cappellani di S. Andrea e S. Pietro – mittendo manus suas in manu dicti abbatis – fecero analoga professione d’obbedienza e reverenza secundum regular S. Benedicti139. Una ventina di anni dopo ci è dato invece di leggere un regolare atto di collazione della pievania di S. Giovanni – con relativa concessione dell’autorità administrandi in temporalibus et spiritualibus – compiuto dal vescovo Pietro, ad quem dicte plebis collatio immediate pleno iure spectare dinoscebatur140. Prima della fine del Duecento, la configurazione istituzionale escogitata per Radicofani fu applicata anche all’antica pieve monastica di S. Benedetto (nel momento in cui divenne finalmente la vera e propria plebs de Plano Castangnario), nonché – forse – a quella sorta ben più di recente nei pressi di Casteldelpiano.

Pag. 217 e segg.

Aspetti del popolamento amiatino tra XV e XVI secolo. Maria Ginatempo.

Muovendo dall’interesse verso le strutture e le trasformazioni del popolamento in una fase cruciale quale quella della fine del Medioevo vorrei affrontare qui i problemi connessi con la densità e i tipi di occupazione umana del territorio, con il variare del carico demografico e con le conseguenze di esso sull’organizzazione socioeconomica. Tuttavia, a proposito dell’Amiata non è da sperare di giungere a quanto è stato possibile fare ad esempio per l’arco appenninico sottoposto a Firenze. La documentazione senese, infatti, per ciò che riguarda i problemi demografici non è tra le meno avare141, né tantomeno è paragonabile a quella fiorentina coeva che, com’è noto, offre una fonte del tutto eccezionale quale il Catasto del 1427 -30. Ciò che si può fare è cercare di valutare l’entità demica delle comunità amiatine, esaminando alcune indicazioni frammentarie; comprendere i modi e i tempi di reazione alla «crisi del Trecento» e alle difficili congiunture quattrocentesche, verso un punto d’arrivo costituito da alcuni dati per il primo e per il tardo Cinquecento142; individuare cioè gli ordini di grandezza degli insediamenti amiatini nel contesto del popolamento senese e toscano e tracciare le grandi linee dell’evoluzione di ciò verso l’età moderna. Per non appesantire il discorso e non costringervi a compiere con me noiosi calcoli e conversioni, parlerò quasi sempre in termini di anime o abitanti. Naturalmente le fonti non danno mai tale misura e solo nei casi più fortunati – per altro rarissimi per il Senese – si trova qualche cifra per le bocche. Le unità più diffuse nei frammenti d’informazione disponibili sono i fuochi fiscali e gli uomini di guardia, ossia in grado di portare le armi e fare le guardie, obbligo cui erano tenuti in genere tutti i maschi adulti da 14 -16 anni a 60 – 70143. ……………………………………

139 ASS, Diplomatico SSMA, 1262 maggio 30 (cfr. FATTESCHI, Cronico, cc. 57v-58r). 140 F. LIVERANI, Le catacombe e le antichità cristiane di Chiusi, Siena 1872, p. 305 (Chiusi, 1283 ottobre 19). Nel 1328 il vicario del vescovo chiusino avrebbe ufficialmente dichiarato esenti dal cattedratico, perché soggette pleno iure al monastero, fra le altre, m e d i e t a t e s ecclesiam S. Petri, S. Andree et plebis S. Ioannis de Radicofano: ASS, Diplomatico, SSMA, 1328 dicembre 23. 141 Ne ho descritto i limiti nel mio Per la storia demografica del territorio senese nel Quattrocento: problemi di fondi e di metodo, «Archivio Storico Italiano» CXLII (1984) pp. 519 e sgg. 142 Per il 1532 esistono infatti delle liste di capifamiglia per una settantina di comunità del dominio ASS, Balia 929; queste liste possono inoltre essere integrate con i coevi registri Sale 9-16-11 e 10 che forniscono il numero dei tassati per una presta di sale per le comunità di cui andata perduta la lista dei capifamiglia e per i comunelli: Per un’analisi più dettagliata di queste fonti si veda comunque M. GINATEMPO, Crisi di un territorio. Il popolamento della Toscana senese alla fine del Medioevo, Firenze 1988, c

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Almeno in via provvisoria, vorrei includere anche Radicofani, mentre resta naturalmente esclusa tutta quella parte del suo attuale comune, approssimativamente compresa ancora tra Orcia e Cassia144. Giungo così a delimitare un’area di poco meno che 500 kmq sulla quale 13 comunità compongono una maglia insediativa tutt’altro che rada. …………………………………………

Pag. 221 e segg.

La posizione politico-amministrativa dei centri amiatini sembra uno specchio abbastanza fedele della loro consistenza demica e della loro importanza nel contesto dell’Antico Stato senese. Anche se non si dispone d’indicazioni sufficienti per ognuna delle 13 comunità, si può stimare che verso la metà del ‘400 Abbadia superasse i 1000 abitanti, così come Piancastagnaio; che Radicofani si situasse tra i 900 e i 1000145; ………………………………………………………… Ci sono lacune difficilmente colmabili, ma si dirà rapidamente che, esclusa Siena stessa, a superare i 1400 – 1500 abitanti erano appena in 4 – Massa Marittima, Montalcino, Grosseto nei suoi momenti migliori e inoltre, dopo la ricolonizzazione degli anni ’60, , il fiore all’occhiello della politica di ripopolamento di Siena – mentre oltrepassavano o oscillavano vicino ai 1000 abitanti solo 6 comunità, ossia Sarteano, , Lucignano Valdichiana e, come si è detto, Abbadia, Pian Castagnaio e Radicofani………………………………………………………Il ‘400 appare a volte come un continuo ripetersi e accavallarsi di drammatiche congiunture: pestilenze, carestie, guerre devastatrici e tutto ciò che un’efficace espressione del tempo definiva come «cattivi temporali». L’Amiata non rimase certo indenne, anzi. Il primo ventennio, in particolare, appare estremamente difficile, un periodo confuso, punteggiato dai convulsi movimenti del definitivo affermarsi del dominio senese nella zona. Tra gli altri disastri, si pensi alla distruzione e al temporaneo abbandono di Montenero e Montegiovi, alle violente guerre, quasi endemiche, contro il conte Bertoldo Orsini, ai sussulti della «tirannide» dello Sforza e dei Salimbeni; al passaggio di Ladislao di Napoli e di altre genti d’arme, ecc.146. …………………………… Tuttavia, le comunità amiatine, forse soltanto per una posizione che dopo il consolidamento dei poteri senesi a sud risultava in qualche modo più decentrata, non sembravano stavolta le più colpite. Si trova certo notizia di danni a Castiglioni, Radicofani e Montelaterone147, d’indebitamento e fughe a Pian Castagnaio e soprattutto Arcidosso. ……………………………… Ma la lunga teoria di calamità non si interrompe ancora: …………………………………… nel ’62-64 (del 1400) una nuova pestilenza, forse abbastanza grave, della quale in alcuni documenti a natura fiscale parlano Castiglioni e Pian Castagnaio, mentre Radicofani, Campiglia e Castel del Piano non vi accennano neppure. ……………………………………………………… Il principale problema tuttavia non sembra la fame vera e propria, quanto il pesante indebitamento accumulato negli acquisti di grano148. ……………………………………………………………………………………………

144 Vi si situa tra l’altro l’antica comunità di Contignano, anch’essa pervenuta in mano ai Salimbeni. 145 Nell’estratto-lira di Radicofani del 1464, ASS, Lira 59 bis, 189 fuochi fiscali compreso il borgo di Castelmorro (di questi 9 donne e 7 eredi); con un coefficiente di 4,5 si stimerebbero circa 850 abitanti, ma sono da tenere presenti eventuali sottoregistrazioni relative a manodopera extra-agricola più o meno itinerante e nullatenente; nel 1448 Radicofani, a proposito di franchigie sul sale, parlava di 150 bocche (oltre quelle dei terrieri) dei fanti, maestri lombardi et altri forestieri che continuamente stanno in quella terra e delle guarnigioni di castellani e podestà, Concistoro 2130, n. 83 o Consiglio Generale, 224, c. 89r. Stimo 950 abitanti o più. 146 ASS, Caleffo Rosso, cc. 176r - 178v, 1411 – i disastri subiti da Radicofani durante il passaggio di Ladislao di Napoli; gran parte delle comunità amiatine entrarono (o rientrarono) definitivamente sotto Siena proprio in questo periodo nel quadro dei principali eventi bellici cui Siena e il territorio furono coinvolti. 147 Consiglio Generale 218, c. 149r-v (petizione di Radicofani che lamenta la perdita del bestiame). 148 Consiglio Generale 236, c. 16r, 1474 (a lamentare di essersi rovinati in acquisti di grano e a chiedere moratorie è un terriere di Radicofani, pastore-allevatore). 54

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A fine ‘500, dopo una certa ripresa, si collocherà con circa 800 abitanti (Castel del Piano) – meno cioè di quanto non ne contasse fra Tre e Quattrocento in fase di marasma demografico già avanzato – a fianco di Ponticello e Campiglia e al di sopra di Rocca, di Montenero ora in netto decremento, e ancora di Montegiovi149………………………………...... ………………………………………………………………………………………………… Ma sappiamo anche che, nonostante mortalità e continue fughe negli anni ’60 (del 1400), nel 1474 la comunità diceva a Siena: essendo cresciuto il popolo per Diogratia, veggono non governare et sempre stanno per le corti costretti et a poco a poco si consumano150, frase che costituisce una delle rarissime affermazioni d’incremento demografico per il ‘400 senese. Successivamente la crescita di Arcidosso dovette continuare e diventare più intensa, nonostante i sofferti anni ’70: nel 1532, infatti, con i suoi 202 capifamiglia questa comunità toccava i 1000 abitanti e si poneva piuttosto in alto nell’ordine d’importanza dei centri senesi. Tale cifra poi raddoppierà e nel 1595 Arcidosso risulta la seconda comunità amiatina dopo Radicofani e una delle più importanti dello Stato Nuovo (Granducato). ……………………...... …………………………………… Da rilevare inoltre la marcata crescita di Radicofani e di Castiglion d’Orcia dal 1464 alla fine del ‘500: la prima passava da circa 950 abitanti a 2262 anime, la seconda da 450-500 a 1120. …………………… …………………………………………………………………………………………………… La peculiare vitalità di una zona montana proiettata verso una delle più importanti arterie di comunicazione del Medioevo può senz’altro stupire e apparire a prima vista come uno dei segnali della capacità umana di produrre disponibilità e svilupparsi anche a partire da condizioni tra le più favorevoli. Può sembrare anche una delle manifestazioni più tipiche dello sviluppo della civiltà mediterranea medievale e delle forme di un’umanizzazione intensa e «commovente». Ma non bisogna dimenticare, a mio parere, che la crescita demografica non rappresenta sempre e comunque un segnale di equilibrio e di benessere e che la civiltà medievale era intessuta di tante irrazionalità e contraddizioni. Rimane cioè aperta l’ipotesi che la vivace ripresa amiatina tra Medioevo ed età moderna non abbia significato che l’accentuarsi e il perpetrarsi per i secoli successivi di una di quelle contraddizioni e irrazionalità.

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L’ultima repubblica, Siena e l’Amiata nella guerra tra Francia e Spagna (1552-1559). Maria Ludovica Lenzi – Donatella Parrini.

Il 2 aprile 1559 il Capitano del Popolo e i Deputati alla difesa della libertà di Siena ritirata in Montalcino mandarono per le terre di ciò che restava dell’antico stato senese l’avviso di festeggiare la pace che sarebbe stata stipulata il 3 di quello stesso mese a Cambresis fra il re di Spagna Filippo e il loro protettore Enrico II di Francia. In particolare si prescriveva alle comunità di Seggiano e di Abbadia San Salvatore di fare per tre sere consecutive fuochi grandissimi nella sommità della Montagna nostra (….) e con buon cuore, essendo ormai posto fine a tutti li grandi e lunghi affanni151. …………………………………………………………………………………………………… ……………………………………………………………………

149 BONELLI CONENNA, Crisi economica e demografica dello stato senese ecc. ………, I, Dal Medioevo all’età moderna, Firenze 1979, pp. 523-525: Montelaterone contava 811 anime, Ponticello 804, Campiglia 822, Rocca 684, Montenero 398 e Montegiovi 265: era tuttavia ben lontana dalle altre che superavano le 1000 anime (Castiglioni e Seggiano) le 1400 (Caste del Piano) le 1700 (Pian Castagnaio e Abbadia) o le 2000 (Arcidosso e Radicofani). 150 ASS, Consiglio Generale 236, c. 16v, 1474 (lamentano oltre ai debiti e alla sterilità della terra, il fatto che la loro corte «va a Dogana» e ricevono dunque continuamente danni ai coltivi). 151 A. VERDIANI BANDI, I castelli della Val d’Orcia e la Repubblica di Siena, Montepulciano 1926, p. 256. 55

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Esiste una stampa, eseguita da Abramo Ortelio nel 1570 e inserita nel suo «Theatrum orbis terrarum» che fu incisa da Claud Duchet seguendo un più antico, rarissimo originale risalente pressappoco al periodo del passaggio di Siena al ducato mediceo. Sopra questa carta si può delineare lo Sato Senese, con particolare riferimento alle zone della Montagna, quale appare dai dati degli ultimi statuti della Repubblica152, che il Concistoro deliberò havessero principio il dì primo Gennaio 1545, secondo il calendario moderno………… (La caduta della Repubblica fu una forzatura durissima per le popolazioni del senese lontane dalla capitale che, ancora in pieno Cinquecento, con i loro statuti e consigli comunali, con i loro antichissimi ordinamenti cercavano di preservare la propria specificità e particolare autonomia) ……………. Le comunità, rappresentate nella carta con suggestivi disegni di torri e mura, erano ben 104 e caratterizzavano un territorio ancora ricco d’insediamenti con città, terre, castelli, comuni, fortezze disseminati un po’ ovunque. Di questi le sedi podestarili erano 32 e quelle dei vicari 66. Più di 20 erano poi i centri muniti di rocche alla cui custodia e difesa militare venivano assegnati i castellani. Mentre il compito dei castellani era quello di prendere consegna le armi, soprattutto gli archibugi e di conservare le vettovaglie di grano, sale, olio, aceto e legna per sei mesi, i Podestà e i Vicari erano invece tenuti a presidiare i consigli locali e a rendere giustizia nelle cause civili, criminali e del danno dato, secondo gli statuti comunitari, le costituzioni senesi e all’occorrenza la buona consuetudine antica. …………………………………………………………………………………………………… ……………………………………………………………………………………………….. Ma la Montagna indicata dai documenti del tempo comprendeva un territorio molto più esteso, ricco di altre sedi podestarili, tra cui il castello di Abbadia San Salvatore, la terra fortificata di Piancastagnaio, la città di Sovana, il castello di Saturnia, la rocca di Radicofani. …………………………………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………………………….. Il 21 aprile 1553 Pier Maria Amerighi da Radicofani mandò alla Balia senese un rapporto sulla situazione di tensione dell’Amiata contro le compagnie mercenarie senesi: ispezionando Seggiano si era trovato di fronte al rifiuto dei Priori, recandosi ad Abbadia aveva trovato quegli uomini più ostinatissimi che mai, conferitosi a Piano riuscì solo con grandissima fatica a raggiungere il palazzo, mentre tutto il popolo era corso armato in piazza con romor grandissimo. Il Commissario senese (Amerighi) si affacciò alla loggia per parlare alla gente: fate questo a quel palazzo? Gli fu risposto con una sola voce: Non ce li voliamo! Chiamati i Priori, l’Amerighi chiese ragione di quel tumulto e il castellano rispose che la compagnia da alloggiare era fatta di poltroni e le loro insegne certamente non molto bucarate dalli archibusi. …………………………………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………. In questo periodo da parte senese (1554) si tentò con poco successo di attuare le direttive francesi che stabilivano di difendere solo 16 piazzeforti e di sgombrare ed evacuare le altre terre grandi e piccole. Gli Amiatini avrebbero dovuto concentrarsi, a seconda che abitassero nel lato ovest o est della Montagna, a Sovana e Radicofani. …………………………………………………………………………………………………… …………………………. Scorrendo i verbali del Consiglio di una ricca comunità, prossima a Radicofani, Celle sul Rigo, fino alla primavera del 1554 si delinea un quadro puntuale del contributo fornito dalle retrovie alla guerra di Siena. …………………………………………………………………………………………………… ……………………………………… Solitamente il numero dei soldati e dei guastatori descritti era proporzionale alle bocche, eccetto a Radicofani, che dopo l’assedio e il bombardamento di Chiappino Vitelli nell’Ottobre del ’55 era

152 ASS, Statuti di Siena 49. 56

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi stata fatta oggetto di lavori di rinforzo e ristrutturazione e posta sotto il controllo di compagnie mercenarie. (Tale battaglia è stata raccontata dal Bonsignori). …………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………….. Alla fine, avendo perso moltissimi beni comunitativi, si dovettero aumentare le pene sul danno dato anche per i bambini, di cui rispondevano i genitori e che non potevano avvicinarsi alle vigne, dove potevano entrare solo i capi famiglia e i campari, escludendo tutti gli altri e massime le donne.

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Insediamenti e viabilità tra la Val d’Orcia e Val di Paglia nel medioevo – Renato Stopani e Stelvio Mambrini.

Sia la Tabula Peutingeriana che l’Itinerarium Antonini, le due principali fonti per lo studio della viabilità in età imperiale, attestano inequivocabilmente l’utilizzazione dell’asse vallivo della Chiana da parte della consolare Cassia, perno dei collegamenti viari tra Roma e le città dell’Etruria153. A partire dagli ultimi decenni del IV secolo, tuttavia, con la divisione politica della penisola italiana tra longobardi e bizantini, il sistema delle vie consolari che s’irradiavano da Roma risultò inutilizzabile, almeno per quegli itinerari che si dirigevano verso l’Italia settentrionale. Così avvenne per la via Cassia, che nel suo tracciato rinnovato dall’imperatore Adriano nell’anno 123 d.C., transitando per Clusium diretta a Florentia Tuscorum, svolgeva parte del suo percorso proprio in una zona (la val di Chiana), ove i bizantini e longobardi si fronteggiavano. Di qui la necessità per questi ultimi di realizzare un corridoio interno che permettesse loro il collegamento tra il regno di Pavia e i ducati di Spoleto e Benevento, rimanendo del tutto al sicuro da eventuali colpi di mano dei Bizantini. Grazie all’esperienza acquisita nel corso delle lunghe marce di spostamento e ad una immediata capacità di conoscere e sfruttare le direttrici naturali, i longobardi individuarono a nord del lago di Bolsena la possibilità di creare un tracciato viario che, invece di dirigersi verso la val di Chiana, piegasse più ad ovest, indirizzandosi verso l’alta valle del Paglia, risalendo la quale potevano, giunti alla linea spartiacque, scendere lungo le ampie vallate dell’Orcia, e poi dell’Arbia, comode vie naturali che permettevano di arrivare fino a Siena. Essendo del tutto impensabile che durante il primo periodo della dominazione longobarda fosse ancora funzionante il sistema municipale romano per la manutenzione della viabilità è assai probabile che i longobardi, nel realizzare il nuovo percorso, utilizzassero tratti di preesistenti vie vicinali. Pertanto la nuova strada in realtà doveva essere poco più di una traccia, seguendo la quale il viandante poteva contare di raggiungere la sua meta, di trovare con certezza i valichi e i punti di attraversamento dei corsi d’acqua, nonché le località dove fosse possibile trovare alloggio. Dato il ruolo che il nuovo tracciato si trovò a svolgere, i longobardi dovettero costituire lungo la via un organico sistema di difesa, con stanziamenti e fortificazioni. Come tutti i popoli guerrieri, essi avevano particolarmente sviluppato il senso dell’importanza strategica delle posizioni. Ciò portò alla valorizzazione di talune località che permettevano di realizzare più efficacemente il controllo della strada. Una di queste dovette senza dubbio essere Radicofani, il cui castello, non a caso, sin dai più antichi documenti che lo menzionano è ricordato come proprietà regia154. Oltre alla formidabile posizione del luogo, vera e propria fortezza naturale, testimonia l’uso di esso da parte dei longobardi l’origine del toponimo, chiaramente di derivazione germanica155. Il poggio di Radicofani (a quota

153 Cfr. K. MILLER, Itineraria romana. Romische Reisewegen an Hand der Tabula Peutingeriana dargestellt, Stuttgart 1916 e M. LOPES PEGNA, Itinera Etruriae, «Studi Etruschi» XXI (1950-51). 154 Cfr. Repertorio, p. 369. 155 TTM, p. 158. Radicofani sembra infatti derivare dall’abbreviazione di un personale germanico, ad esempio Radipert o Radicauso. Peraltro da rilevare che nel tratto toscano della via, in punti particolarmente difficili o d’importanza strategica, sovente sono rilevabili testimonianze toponomastiche dell’esistenza di elementi del sistema difensivo longobardo. Vedi, 57

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896) costituiva un dato spaziale di eccezionale importanza cui riferire una serie di rapporti, di attribuzioni e di possibilità nei confronti della strada che, dovendo risalire l’alta valle del Paglia, transitava necessariamente sulle pendici del rilievo: impossibile, quindi, che i longobardi non ne prevedessero l’utilizzazione! Soltanto dopo che la «Maritima» e la Lunigiana furono saldamente in mano longobarda la via dovette essere attrezzata secondo un preciso programma che, oltre a creare una serie di strutture funzionali alla circolazione, rafforzò il dispositivo di difesa. Nell’ambito di questa sorta di politica delle comunicazioni del potere centrale, si colloca la fondazione dell’abbazia regia di San Salvatore sul Monte Amiata che, come tutti i monasteri fondati e dotati dalla corte di Pavia a partire dai primi decenni dell’VIII secolo, fu funzionale alla strada, servendo da base strategica del sistema di controllo di una via che stava diventando la principale arteria del regno longobardo. Si comprendono pertanto le ragioni della ricca dotazione dell’abbazia, quale risulta dai diplomi relativi alla sua fondazione, nonché dai più antichi documenti del Codex Diplomaticus Amiatinus, che accennano ad una espansione patrimoniale del monastero protrattasi lungo tutta l’età carolingia e ottoniana156. Se nelle sue linee generali è facilmente individuabile il tracciato di quella che sarà poi chiamata via Francigena157, più difficile rimane una puntuale ricostruzione del percorso, anche perché, come la storiografia più recente da alcuni anni va suggerendo158, le strade medievali di grande comunicazione in realtà non constavano di un unico tracciato, ma contemplavano fasci di percorsi convergenti su determinati punti focali, corrispondenti ad un valico, all’attraversamento di un fiume, oppure ad un centro particolarmente dotato di strutture ricettive. Il nostro tentativo di ricostruzione dei percorsi della via nel tratto compreso tra Val d’Orcia e val si Paglia si presenta pertanto irto di difficoltà, nonostante che dalla fine del X secolo le fonti scritte presentino i primi itinerari che permettono di individuare con maggiori dettagli il tracciato della strada, per l’innanzi indicato come semplice direttrice. È il caso della memoria lasciataci dall’arcivescovo di Canterbury, Sigeric, che riporta tutti i luoghi da tappa toccati dal presule britannico nel suo viaggio di ritorno da Roma alla sua sede episcopale, avvenuto tra il 990 e il 994159. Grazie a questo documento possiamo acquisire la certezza che la nuova via aperta dai longobardi per sopperire alle loro necessità politico-militari, non solo aveva consolidato il suo tracciato, ma era diventata il principale itinerario per Roma, ben definito nel suo percorso di base facente capo a punti nodali (le submansiones), centri presumibilmente attrezzati per ricevere i sempre più numerosi utenti della strada. Procedendo da Roma, i primi luoghi di sosta indicati dall’arcivescovo coincidono con

ad esempio «Salamarthana» (Fucecchio) e «Vico Willari» (San Genesio) in corrispondenza dell’attraversamento dell’Arno; «Montestaffoli» (nucleo originario di ), «Castellum Aginulfi» in Lunigiana, ecc. 156 Cfr. CDA. Anche se sono stati giudicati falsi i diplomi del re Rachis e del suo successore Astolfo, pertinenti, rispettivamente, alla fondazione ed alla conferma dei beni patrimoniali dell’abbazia, l’elenco dei possessi che appare nel diploma di Astolfo è stato ritenuto autentico, nel senso che si è presupposta una sua derivazione da una successiva fonte autentica del re Adelchi (cfr. W. KURZE, Monasterium Erfonis). 157 A partire dal IX secolo, infatti, dopo la conquista franca, la strada aperta dai longobardi, chiamata inizialmente «Via di Monte Bardone», dall’omonimo corrispondente al passo usato valicare l’Appennino, verrà denominata «Francigena», cioè, etimologicamente, «strada originata dalla Francia», termine geografico, quest’ultimo, che nella normale accezione medievale includeva anche l’antica «Lotaringia» (cfr. R. STOPANI, La via Francigena in Toscana. Storia di una strada medievale, Firenze 1984, p. 21). Tra l’altro il più antico documento nel quale si ricorda con la sua denominazione è un atto conservato proprio tra le carte del monastero di San Salvatore sul monte Amiata, rogato in Chiusi il 4 maggio 876, ove, nel definire i confini di un terreno dato a livello, detto…. Et per fossatu descendente usque in via Francisca (cfr. CDA, I, n. 157, p. 332). 158 Cfr., tra gli altri, P. FUSTIER, La route. Voies antique, chemin anciens chaussén modernes, Paris 1968, pp. 172 e 176; A. SETTIA, Castelli e strade nel Nord Italia in età comunale: sicurezza, popolamento, «strategia», «Bollettino storico- bibliografico subalpino» LXXVII (1979), p. 243 segg.: G. SERGI, Potere e territorio lungo la strada di Francia, Napoli 1981. 159 Il manoscritto, quasi sicuramente d’epoca successiva, si trova presso il British Museum di Londra. Fu trascritto e pubblicato per la prima volta da W. STUBBS, Rerum Britannicarum Medii Aevi Scriptores, Londra 1974, vol. 63 cap.7, pp. 391 – 395. Cfr. Inoltre, al riguardo, K. MILLER, Die ältesten Weltkarten, Stuttgart 1895 e J. JUNG, Das Itinerar des Erzbichofs Sigeric von Canterbury und die Strasse von Rom über Siena nach Lucca, MIÖG XXV (1904), p. 57 e sgg. 58

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi quelli riportati dagli itinerari d’età imperiale; giunto però al lago di Bolsena, in corrispondenza del quale sono ricordate due submansiones (Sce Flaviane e Sca Cristina, rispettivamente Montefiascone e Bolsena), Sigeric devia dal percorso dell’antica consolare «Cassia» puntando verso Acquapendente (Aquapendente). Quindi risale il corso del Paglia, come indica la successiva località toccata dal presule britannico: San Pietro di Paglia (Sce Peitr in Pail). La submsnsio che segue (Abricula = Le Briccole) è ormai già in Val d’Orcia, o meglio nella valle del Vellora subaffluente dell’Orcia: evidentemente Sigeric ha superato il costone che da Radicofani, per monte Nebbiali si svolge con andamento sinuoso fino a poggio Seragio, fungendo da spartiacque tra le due vallate. L’ubicazione della stazione di Abricula non comporta grosse difficoltà, in quanto ancor oggi il toponimo (nella moderna forma de «Le Briccole») indica due case coloniche che sorgono tra il torrente Vellora e il torrente Rofanello, su un breve tratto di strada che corre parallela alla statale n. 2, ma leggermente spostato più ad ovest160. Diverso è il caso per la submansio di Sce Peitr in Pail, che presumibilmente doveva trovarsi nell’alta val di Paglia, presso a poco ad una giornata di cammino da Acquapendente. Laddove si riuniscono i rami sorgentiferi del fiume del fiume gli unici insediamenti registrati dalle moderne carte topografiche sono alcuni edifici rurali indicati come «le Casette», peraltro oggi ormai fatiscenti. Più a valle, collegati da una strada campestre che corre a lato del Paglia, sulla destra del torrente, sono poi le case coloniche corrispondenti ai poderi «Vigna», «Nardelli», «Voltole» e «Voltolino»161. Il toponimo «San Pietro in Paglia» non corrisponde quindi a nessun attuale insediamento. Sappiamo tuttavia da fonti storico-cartografiche della persistenza, almeno sino al XVII secolo, di un insediamento «Paglia», indicato nelle carte cinque-seicentesche con un simbolo che si richiama chiaramente ad un piccolo borgo162. Non solo, altre fonti itinerarie successive alla memoria di Sigeric parlano di una submansio situata nel fondovalle del Paglia. Così ad esempio nel resoconto di un pellegrino a Roma effettuato nel 1350 da Berthélemy Bonis, mercante di Montauban163, viene ricordata come tappa tra S. Quirico d’Orcia e Acquapendente la località «Molino del Paglia», coincidente, con ogni probabilità, sia col sigericiano Sce Peitr in Pail, sia con la borgatella «Paglia» indicata dalla cartografia a partire dal XVI secolo. Dice testualmente il documento lasciatoci dal mercante pellegrino di Montauban: Lo dezenove dia dinar a Boncovent, de ser a San Sirguo. Lo XX. dia dinar ala Palha del Molit, de ser a Ayguas-pendens. Del resto nei Capitoli tra il Monastero di San Salvatore e il Comune di Abbadia, del 1472, si parla di un «albergo che il Comuno à cominciato in Valle Paglia» e di «alberghi e case nella strada Romana» (da notare però che la maggior parte del traffico della via Romana passava ormai da Radicofani e gli ospedali che vi erano menzionati nello Statuto di Radicofani del 1255 nonché le note di questo stesso libro dalla 118 e seguenti lo

160 I due toponimi «Le Briccole superiori» (quota 362) e «Le Briccole inferiori» (quota 336), distanti fra loro circa 500 metri, si trovano ancora indicati nel Foglio 129 della Carta d’Italia 1:100.00, nell’edizione del 1907. L’attuale tavoletta 1:25.000 (Foglio 129, IV N.E.) indica invece soltanto i segni topografici delle due case senza i toponimi relativi, salvo poi riportare, erroneamente spostato, il toponimo «le Briccole». Da notare che a lato della casa colonica «le Briccole inferiori» c’è una chiesetta tardo-romanica ancora in buono stato di conservazione, che rappresenta probabilmente un residuo dell’ospizio ivi esistente, ricordato dai Decimari pontifici della fine del XIII secolo come «Hospitale S. Peregrini de Obrico(is). (Cfr. P. Rat. Dec. I.) 161 Cfr. la tavoletta 1:25.000 della Carta d’Italia IGM, Foglio 129, I, S.O. Nella cartografia approntata dalla Regione Toscana con scala 1:10.000 sono segnati edifici rurali: «La Casetta di Paglia» e «Le Casette». 162 Già nella Thusciæ Descriptio auctore Hieronimo Bellarmato di ABRAMO ORTELIO (1573 circa, Anversa) si trova indicata, tra Abbadia San Salvatore e Radicofani, la località «Paglia». E così anche nella Urbisveteris antiquae Ditionis descriptio di EGNAZIO DANTI, Roma 1583; nella carta del Territorio senese di ORLANDO MALAVOLTI, Siena 1599; nel Territorio di Siena con il Ducato di Castro di GIOVANNI JANSSON, Amsterdam 1630 circa, e in numerose altre carte dei secoli XVI e XVII (cfr. R. ALMAGIÀ, Monumenta Italiae Cartographica. Riproduzioni di carte generali e regionali d’Italia dal secolo XIV al secolo XVIII, IGM, Firenze 1925, tt. 20-43-45 e ID., L’Italia di A. Magini e la cartografia italiana dei secoli XVI e XVII, Napoli-Città di Castello-Firenze 1922, p. 122). 163 Cfr. E. FORESTIÉ, Les Livres de compte des fréres Bonis, marchands montalbonais du XIVème siècle, (Archives Historiques de la Gascogne, XX e XXI), Paris-Auch 1890-91. 59

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi dimostrano ampiamente, che poi qualche viaggiatore passasse per la val di Paglia è cosa certa al punto che alcuni commercianti di Radicofani si fecero dare il permesso di costruire nella zona del Paglia proprio per allargare i loro commerci ma è indubbio che ormai quasi tutto il traffico importante, esclusi coloro che avevano molta fretta e molti commercianti, passava per Radicofani e così rimarrà fino agli anni ’60 del XX secolo! a pag. 183). Un’attenta ricognizione nell’alta val di Paglia, nella zona di confluenza tra i torrenti Vascio, Cacarello e Pagliola, ove la moderna cartografia indica l’insediamento «le Casette», ha appurato l’esistenza di tracce di un abitato, consistenti in cospicui cumuli di pietrame lavorato misto a frammenti di cotto. Gli stessi edifici rurali in rovina (per lo più semplici dimore temporanee) mostrano nella loro muratura a sasso accapezzato di aver utilizzato bozze di pietra andesitica dal taglio regolarissimo, che sono presenti anche nelle case coloniche poste più a sud («Podere Vigna», «Voltolino»). Gli accumuli di macerie e il riuso di materiali lavorati testimoniano senza possibilità di equivoci che siamo alla presenza di un insediamento abbandonato che per alcuni secoli deve aver costituito una sorta di cava di materiale da costruzione. Potremo riconoscervi i resti di Sce Peitr in Pail ricordato dall’arcivescovo di Canterbury e poi, con denominazioni diverse, ma tutte facenti riferimento all’idronimo «Paglia», documentato sino al XVII secolo. Ci sembra tuttavia più probabile che il sito in questione possa essere stato la sede dello scomparso villaggio di Callemala, ricordato in numerosi documenti del Codex Diplomaticus Amiatinus a partire dal IX secolo. Sicuramente ubicato in val di Paglia, il villaggio doveva trovarsi lungo la strada per Roma (chiamata, di volta in volta, via Francisca, via carraria, via publica). In esso oltre la chiesa dedicata a Santa Cristina, i monaci di San Salvatore possedevano case e terreni, molini e taverne; nelle vicinanze del borgo era poi la pieve di San Donato, anch’essa frequentemente menzionata nelle carte amiatine164 ………………………………………………………………………………………… A questo punto sono ipotizzabili almeno due percorsi dell’antica «via romana»: il primo, più spedito, è quello che nel suo tratto iniziale viene suggerito dalle Mappe catastali ottocentesche (Mappa della Comunità di Radicofani, sezione F), che oltre lo spartiacque fanno proseguire il tracciato in direzione della «Casa San Giorgio», per puntare poi verso Ricorsi, riallacciandosi quindi all’attuale strada statale n. 2 (che Ricorsi si trovasse su un percorso frequentato sin dal medioevo è testimoniato, se non altro, dalla presenza dell’edificio stesso della «Posta», d’impianto medievale, nonché da un coevo ponticello ad unica arcata, contiguo alla costruzione). Esistono però fondati motivi per ipotizzare un secondo tracciato che, superato il crinale, giungeva invece al fondovalle del Vellora, altro subaffluente dell’Orcia, con un percorso più lungo che incontrava le località «Bellavista» (quota 704) e «Forcole» (quota 962)165, due toponimi che costituiscono entrambi un chiaro riferimento stradale. Quindi quella che attualmente non è che una mulattiera proseguiva in direzione nord, toccando le quote 686 e 642, e immettendosi poi nella rotabile per Castiglion d’Orcia ………………………………………… Allude probabilmente ad un nuovo percorso della via Francigena tra la val d’Orcia e val di Paglia un altro itinerario di notevole antichità: il diario di pellegrinaggio dell’abate islandese Nikulas di Munkathvera, che 1154 si dipartì dalla sua lontana isola per visitare, dapprima Roma, quindi la Terrasanta166. Tra San Quirico d’Orcia (Klerka borg) ed Acquapendente (Hanganda borg); Nikulas dice che «… si sale sulla montagna chiamata Clemunt; c’è un castello alla sommità di questa,

164 Cfr. CDA, I/II, in particolare i documenti nn. 157, 166, 181, 230, 200, 280. 165 Riguardo a Forcole si legge nelle già citate FATTESCHI, Memorie che anticamente in detto Selvaiolo vi fosse un casale detto Forcole, e i coloni corrispondevano con Callemala (cfr. Repertorio, ad vocem). Dato che per Callemala transitava la via Francigena, l’esistenza del rapporto Forcole-Callemala potrebbe essere spiegato da un collegamento viario fra le due località. 166 Cfr. F.P. MAGOUN, the pilgrim diary of Nikulas of Munkathvera: the road to Rome, «Medieval Studies» VI 1944, che riporta un’accurata traduzione in inglese del testo originale (in antico norvegese), pubblicato per la prima volta, con una più approssimata traduzione in latino, da E.C. WERLAUFF, Simbolae ad Geographiain Medii Aevi ex Monumentis islandicis, Copenaghen 1821. 60

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi chiamato Mala Mulier, ‘Cattive donne’ come diciamo noi, dove abita gente di pessima indole». Si è giustamente ritenuto, nonostante la scarsa somiglianza dei vocaboli, che oronimo «Clemunt» sia stato usato per indicare Radicofani che, come vedremo, alcuni decenni più tardi verrà più chiaramente ricordato come stazione della via via Francigena. Tale identificazione, tuttavia, lascia irrisolto il problema del castello di Mala Mulier, che non può esser fatto coincidere con Radicofani, in quanto nei secoli XI e XIII i documenti dell’Abbazia di San Salvatore menzionano le due località distintamente. Sembra cero però che il «Burgo de Muliermala» fosse ubicato nella valle del Formone: così infatti si desume dai toponimi ricordati in talune confinazioni di terre poste nei dintorni del borgo, riportate nei documenti del Codex Diplomaticus Amiatinus167. In particolare in un documento del dicembre 1071 si parla di un fossato di Selvella, toponimo che attualmente contraddistingue una località posta sulle pendici nord-occidentali del poggio di Radicofani. Muliermala non doveva quindi trovarsi molto lontana dall’odierno insediamento rurale «Selvella», donde nasce un fosso (subaffluente del torrente Landola), che nel medioevo probabilmente prendeva nome dall’abitato. Chissà se Muliermala non si trovasse ove è oggi la Casa «Le Conie», prossima appunto a Selvella, oppure un poco più a nord, in corrispondenza della località «Castellare», il cui toponimo costituisce un chiaro riferimento ad un centro abbandonato. Significativo è anche il documento del marzo 1016, che fa menzione di una strata Rumea s(an)c(ti) Petri a Ruma il cui tracciato, con la serra di Muliermala, serviva a delimitare i possedimenti dei quali l’atto tratta. Il diario di Nikulas di Munkathvera può quindi costituire la più antica testimonianza di un nuovo itinerario della via Francigena transitante per Radicofani, risultando comprensibile l’errore dell’abate islandese, che collocò il borgo di Muliermala alla sommità del poggio di Clemunt- Radicofani. Possiamo ricostruire di questo percorso nei suoi dettagli topografici, sulla base delle indicazioni offerte dal territorio con i suoi caratteri morfologici e con le testimonianze e gli indizi che esso conserva dell’antico tracciato. Procedendo da Radicofani in direzione nord la via non doveva avere un andamento molto dissimile da quello dell’attuale strada statale n. 2, almeno sino a «Le Conie» dove, invece di scendere a fondovalle del Formone, molto probabilmente seguiva il percorso dell’attuale carreggiabile per Contignano, che si snoda parallelamente al torrente, ma a quota più elevata, sul crinale delle basse colline che fungono da spartiacque con la valle dell’Orcia. Molteplici testimonianze storico-territoriali attestano l’antichità di questa via che, significativamente, è punteggiata da numerosi pozzi e fonti: se ne contano ben otto nel tratto Castellare-Castelvecchio! Le località toccate dalla strada sono tutte eredi di insediamenti di notevole antichità, ricordate nei documenti amiatini sin dai secoli X e XI168. Non solo, nella maggior parte dei casi esse conservano anche le strutture architettoniche di edifici medievali (ad esempio a Castelvecchio e a Perignano), oppure tracce più o meno consistenti di circuiti murari (ad esempio a Poggio a Reggiano e a Castelvecchio). Dopo «Le Conie» la strada si mantiene per almeno cinque Km. a quota pressoché costante (circa 590-600 metri), incontrando la Casa Poggio Bandinelli, nei cui immediati dintorni si trova il già ricordato «Castellare» e poi il Poggio a Reggiano169. Quindi, abbandonata la moderna carreggiabile per Contignano170, inizia a degradare dolcemente verso il fondovalle del Formone, transitando per la località «Riposo», il cui toponimo costituisce un

167 CDA, II, nn. 248, p. 125 e 289, p. 224 (i due documenti risalgono, rispettivamente, al marzo 1016 ed al dicembre 1071). In un altro atto, del febbraio 1107, si ricorda un senodochio, quod est edificatum in burgo, qui dicitur Muliermala (cfr. CDA, II, p. 296). 168 Cfr. CDA, passim e Repertorio, pp. 360-361. 169 Poco prima di Poggio a Reggiano, una strada (oggi ridotta a sentiero) raccordava il nostro percorso con Ricorsi, sul fondo valle del Formone. Il toponimo ‘Riscatto’, derivato dal latino volgare «rexcaptare», intensivo di ‘captare’, potrebbe riferirsi alla possibilità di collegamento con il percorso di fondo valle della via Francigena che qui veniva offerto. Un’altra strada, che tuttora conserva tracce di selciato, si diparte da ‘Casa Reggiano’ e, con un percorso più lungo, raggiunge egualmente Ricorsi. 170 Attualmente la strada prosegue in direzione di Contignano, per poi spostarsi verso est e dar luogo a due tracciati che conducono, rispettivamente, a Spedaletto e a Castelluccio di Pienza (cfr. Carta d’Italia, Foglio 129, tavoletta I SO e Foglio 121, tavoletta II SO.) 61

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi evidentissimo riferimento all’esistenza, in passato, di una struttura ricettiva. Oltre «Riposo» la strada si dirigeva verso Castelvecchio, ove dovevano essere previste possibilità di collegamento con il più antico percorso della Francigena. Da Castelvecchio, infatti, si poteva giungere senza grandi difficoltà a «Le Briccole», previo attraversamento del Formone, oppure, proseguendo oltre, giunti in prossimità della confluenza del Formone con l’Orcia, era anche possibile arrivare a Spedaletto, il celebre punto di sosta sulla Francigena ricordato dal 1236 come dipendenza dello spedale della Scala di Siena171. Un altro toponimo in rapporto con la viabilità (la località «Palazzolo») potrebbe suggerire in questo secondo caso l’ubicazione dei punti di attraversamento del Formone e dell’Orcia, oggi uniti da una semplice mulattiera il cui proseguimento si innesta nella moderna carreggiabile che conduce a Spedaletto. Oltre Radicofani la strada medievale, a differenza dell’attuale strada statale n. 2 (Oggi S.R. n. 2 che non passa più da Radicofani ma dalla valle del Paglia), raggiungeva il fondovalle del Paglia molto più a sud, con un tracciato che viene riproposto dalla via comunale che conduce a Ponte al Rigo. Ne risulta un percorso che affronta la salita di Radicofani mantenendosi lungo la linea spartiacque tra i torrenti Paglia e Rigo. Anche in questo caso la toponomastica contribuisce ad avvalorare la nostra ipotesi con la presenza, poco a nord di Ponte al Rigo, della località «La Novella», il cui toponimo evidentemente nacque in riferimento al nuovo tracciato, e «Baccanello», dal significato di posto di ristoro. Del resto che la strada medievale transitante per Radicofani proveniente da sud evitasse il fondovalle del Paglia è attestato dalle fonti cinquecentesche, tra le quali è un bel disegno della fine di quel secolo, conservato presso l’Archivio di Stato di Firenze, da noi recentemente pubblicato172. Anche se il più antico percorso che risaliva il corso del Paglia non venne abbandonato (tanto che il suo uso, abbiamo visto, è ancora documentato nel XVI secolo, come attestano le testimonianze del Montaigne e del Buchellius), il passaggio per Radicofani a partire dal dalla fine del XII secolo sembra preferito dai viaggiatori, forse proprio perché permetteva di sostare in una «terra forte e populata» che rappresentava una garanzia di sicurezza. Il primo esplicito riferimento a Radicofani come «stazione» della via Francigena si ha nell’itinerario del re di Francia Filippo Augusto, di ritorno dalla terza Crociata, nel 1192: …deinde per Ekepenndasnte, deinde per Redcoc, deinde per la Briche, deinde per San Clerc …Chiaramente viene indicato il nuovo percorso Acquapendente-Radicofani-Le Briccole-San Quirico d’Orcia173. Alcuni decenni più tardi, nell’anno 1253, anche l’arcivescovo di Rouen, Eudes Rigaud, che ritornava alla sua sede episcopale, annoterà: …apud Aquam pendentem, apud Radicophanum, apud Sanctum Quiricum…174. Divenuto centro di transito e di controllo strategico della via Francigena, Radicofani accentuerà la sua importanza nel 1442, quando intervennero i senesi col dare ordine che la strada romana (….) non si facesse per la valle del Paglia175. Si affermerà così il moderno tracciato della via, che determinò il lento abbandono dei percorsi medievali, oggi sopravvissuti solo per taluni tratti o in labili tracce che il territorio tenacemente conserva.

ROMANICO NELL’AMIATA (ARCHITETTURA RELIGIOSA DALL’XI AL XIII SECOLO) – AA.VV. – Editore Arti Grafiche Giorgi § Gambi – Firenze – Ottobre 1990. (A cura di Italo Moretti)

Pag. 13 e seg.

171 Cfr. Repertorio, p. 352. 172 ASF, Piante Possessioni 4, (pubblicato in A.A.V.V., La via Francigena nel senese. Storia e territorio, Firenze 1985). 173 Cfr. BENEDICT VON PETERBOROUGH, MGH SS, Ex gestis Henrici II et Ricardi I, XXVII, p. 131, Hannoverae 1885. 174 Cfr. Th. BONNIN (a cura di), Registrum visitationis archiepiscopi Rothomagensis, Rouen 1852, pp. 176-186. 175 Cfr. O. MALAVOLTI, Dell’historia di Siena cit., p. 31 (parte III). 62

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BREVE STORIA DEL MONTE AMIATA FINO AGLI INIZI DEL DUECENTO – DEFINIZIONE E VICENDE DI UNA TERRA - Wilhelm Kurze -

PREMESSA

Il concetto di Monte Amiata è usato qui per indicare una zona che può essere definita soltanto storicamente. Essa non ha confini geografici naturali, ma confini determinati dal crescere insieme, durante i secoli del Medioevo, di piccole unità geografiche tra loro molto diverse. Ha però senso designare con un concetto geografico questa formazione storica. Il massiccio montuoso che si eleva dalla pianura della Maremma, sopra le colline circostanti, fino a 1738 metri di altezza era ed è il punto di riferimento visivo di questa regione. Il monastero di San Salvatore, l’istituzione che per secoli ha largamente determinato la storia e i destini della zona, definì di conseguenza a pieno diritto la sua posizione con il nome: Monte Amiata. Situata nel territorio di Chiusi, la zona intorno al Monte Amiata aveva una posizione speciale. Il suo punto di riferimento non era la lontana Chiusi, che come centro amministrativo era relativamente insignificante, ma il centro di potere al Monte Amiata rappresentato nell’alto Medioevo dal monastero di San Salvatore. Il grande possedimento demaniale al Monte Amiata, separato con la fondazione della curtis regia di Chiusi imboccò proprie vie di sviluppo. Il vescovo di Chiusi, che si trovava in una posizione di debolezza, non riuscì ad imporre la propria autorità ai monasteri di San Salvatore e di Sant’Antimo nella valle dello Starcia, situati nella parte occidentale della sua diocesi. Essi affermarono anzi la loro indipendenza. La zona, che storicamente gravitava intorno al Monte Amiata e al monastero di San Salvatore posto sulle sue pendici orientali ad un’altezza di 800 metri, ad occidente include Arcidosso e raggiunge, attraverso le valli dell’Ente e dello , gli accentuati rilievi sui quali si trovano oggi le località di Monticello e Montelaterone. A nord-ovest va fino a Montenero sulle pendici meridionali della val d’Orcia. Questa riva dell’Orcia viene raggiunta anche a nord con Campiglia e Castiglione. A nord-est il margine della zona si trova all’incirca sulle colline a destra della valle del Formone con Contignano e lo scomparso paese di Reggiano. Ad est è inclusa la valle del Paglia e le alture situate ad est, tra le quali il possente massiccio roccioso di Radicofani che ha una posizione dominante. La zona s’estende poi oltre il Rigo e comprende l’area intorno allo sbocco di questo fiume nel Paglia. È inclusa la riva sud del Senna e il territorio di Piancastagnaio. Questa area relativamente chiusa è interrotta in due punti. Una volta a sud, dove nella zona di Santa Fiora una concentrazione di possedimenti degli Aldobrandeschi s’insinua nell’ambito chiuso soggetto all’influenza del monastero. Questa concentrazione di potere della nobile famiglia nel XII secolo fece sentire la sua influenza anche in Arcidosso e anzitutto nella zona di Castel del Piano e rese problematica l’organizzazione di questo territorio da parte dell’abbazia. A nord si può constatare l’esistenza di un secondo ostacolo per la creazione di un ambito compatto d’influenza del monastero di San Salvatore intorno al Monte Amiata. Da quella parte l’abbazia non riuscì ad estendere la sua autorità al di là del fiume Orcia. Anche ciò trova spiegazione in una situazione storica e non nella conformazione geografica. Qui l’area d’influenza del monastero di San Salvatore confinava con quella dell’abbazia sorella di Sant’Antimo nella valle dello Starcia. Qui era Sant’Antimo che poté estendere la sua zona d’influenza ampiamente verso il Monte Amiata, incuneandosi così per molti secoli in un territorio altrimenti relativamente omogeneo. Questa situazione con la concatenazione delle aree d’influenza ci offre per così dire la prova speculare del fatto che le antiche abbazie dell’Impero ebbero un ruolo decisivo nello sviluppo delle strutture storiche di questa zona a partire dall’alto Medioevo.

I. ETRUSCHI E ROMANI

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La situazione che abbiamo delineato vale per il Medioevo, non per la Preistoria, per il periodo etrusco e quello romano. Le più antiche testimonianze di insediamenti nella zona intorno al Monte Amiata qui considerata li troviamo sulle pendici nord e nord-ovest del massiccio montuoso. Ritrovamenti preistorici provengono da aree d’insediamento che s’estendono dalla val d’Orcia fino al territorio dell’attuale Castel del Piano. Per quanto riguarda gli insediamenti etruschi siamo informati soprattutto dai toponimi. Anche se i linguisti non sono ancora d’accordo nell’identificare le componenti etrusche, si può però dimostrare che la penetrazione degli Etruschi nelle zone già popolate durante la Preistoria, in alto sopra le valli dell’Ente e dello Zancona, deve aver avuto luogo a partire dal fiume Orcia, il cui nome è probabilmente etrusco. (A Radicofani vedi il Pistoi e vedi le novantadue statuine etrusche che si trovano nel Museo Etrusco di Firenze e a Perugia- vedi Carta Archeologica della provincia di Siena – Vol. VII!). I Romani occuparono il territorio già organizzato dagli Etruschi. Essi non hanno probabilmente potenziato in misura notevole la colonizzazione di questa regione, ma hanno soltanto intensificato lo sviluppo interno delle zone di cui presero possesso. Un santuario di Giove consente forse di identificare una struttura ed un’organizzazione più solida, ma finché non abbiamo il conforto di prove archeologiche, ciò deve rimanere una supposizione. Sulle pendici orientali del Monte Amiata vediamo qualcosa di più chiaro. I saggi di archeologia di superficie di recente compiuti nella valle del Paglia hanno fornito risultati – anche se soltanto provvisori – che consentono un primo tentativo d’interpretazione. I ritrovamenti indicano che la colonizzazione etrusca, anche qui risalendo il fiume, non è penetrata fino al corso superiore del Paglia. Resti etruschi sono documentati fino alla zona della valle ancora molto aperta, all’incirca presso Voltole. Probabilmente anche qui come sulle pendici occidentali i Romani hanno intensificato la colonizzazione degli antichi insediamenti di cui entrarono in possesso, ma soltanto raramente la loro attività si estese ai lati della valle, risalendo a monte. Ciò è dimostrato dai ritrovamenti che sono numerosi negli antichi insediamenti, mentre sono scarsi al di sopra di queste località. I ritrovamenti concentrati in un punto di particolare significato nel corso superiore del Paglia e in un luogo posto sullo spartiacque con la valle del Formone probabilmente dimostrano che qui la presenza romana è da collegarsi con la costruzione e l’organizzazione di una nuova strada attraverso le valli del Paglia e del Formone. I grandi spazi privi di ritrovamenti nel corso superiore del Paglia provano chiaramente che non ebbe luogo alcuna successiva colonizzazione della valle che avrebbe dovuto partire all’incirca dalla zona intorno all’attuale Voltole, ma che forse piuttosto si formarono o furono create in quel tempo in certi punti delle stationes per la sosta e l’organizzazione della nuova strada. Ricapitolando si può dunque con buona probabilità affermare questo: in epoca etrusca e romana la colonizzazione è concentrata soprattutto sul lato nord-ovest e in val d’Orcia sul lato nord del Monte Amiata. Già in questo periodo essa raggiunse qui la zona che si trova tra i 600 e i 900 metri di altezza, dove, tutt’intorno al monte, sgorgano copiose sorgenti, la zona dunque in cui poi, durante il Medioevo, si svilupparono le località più importanti e più popolose ad occidente e ad oriente del Monte. La parte meridionale delle pendici occidentali in epoca romana non fu compresa in questa colonizzazione nella valle del Paglia fino alla zona di Voltole e gli insediamenti in punti scelti lungo la strada in questa valle.

II. I LONGOBARDI III.

L’apertura di una strada attraverso la valle del Paglia e del Formone, una variante della via Cassia, in età romana doveva avere per la zona intorno al Monte Amiata delle conseguenze per il futuro, che però allora non potevano essere previste. La conquista longobarda mutò i rapporti politici di potere nell’Italia settentrionale e centrale, che portò come conseguenza al coesistere, fianco a fianco, di territori soggetti rispettivamente ai 64

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Bizantini e ai Longobardi. Ciò comportò necessariamente una riconsiderazione dell’importanza di molti antichi collegamenti stradali romani ancora esistenti nel Medioevo. La politica promossa e portata avanti energicamente e con successo dal re Liutprando, nella prima metà dell’VIII secolo, volta a collegare più stabilmente la Toscana con l’Austria e la Neustria, portò anche ad una radicale rivalutazione della strada che, attraverso il passo della Cisa nuovamente sistemato, portava a Lucca e da questo centro del potere longobardo, attraverso la Toscana, conduceva a Roma. Sotto Liutprando e i suoi successori Ratchis e Astolfo, venne anzitutto organizzata questa strada mediante un sistema di monasteri riorganizzati o di nuova fondazione. È da vedere in tale contesto la scelta del luogo in cui fu fondato il monastero di San Salvatore, sopra la valle del Paglia. Era compito dell’Abbazia quello di occuparsi del tratto di strada più tardi chiamata via Francigena, che attraverso l’insellatura tra il Monte Amiata e Radicofani portava nella valle del Paglia. Erfo, il collaboratore dei re fratelli Ratchis Astolfo, come questi di nobiltà friulana, ottenne per la fondazione da lui prima organizzata e poi guidata come abate l’assegnazione nella valle del Paglia di beni e di persone per i quali in precedenza era responsabile la curtis regia di Chiusi, e che poi furono amministrati dal nuovo monastero di San Salvatore.

VII. IL XII SECOLO

Nel XII secolo le città cominciarono ad estendere il loro potere, ottenendo l’egemonia sopra il contado e le zone d’interesse adiacenti. Le città rappresentavano concentrazioni demografiche che nel proprio interesse cercavano di aumentare. Esse vivevano di attività artigianali e di commercio. Per queste due attività era essenziale una rete stradale funzionale e sicura. Bisognava procurare viveri per la numerosa popolazione e per il commercio era necessaria una viabilità che collegasse con paesi lontani. L’ampliamento delle strade era un problema finanziario che la forza economica delle città sapeva superare poiché economia e trasporto dei prodotti erano strettamente connessi tra loro. Più problematico era garantire la sicurezza delle strade. L’insicurezza derivava soprattutto dalle tensioni e dalle faide delle famiglie nobili del contado in lotta tra loro o perfino con gli abitanti delle città. L’autorità regia, che sarebbe dovuta intervenire qui some autorità dello Stato ad appianare i contrasti, nella prima metà del XII secolo, come già alla fine dell’XI, era debole in Italia e i re erano raramente presenti. Di conseguenza le città stesse si assunsero l’onere di adempiere all’esigenza per loro vitale di rendere sicure le strade e le loro zone d’interesse, assoggettando la nobiltà del contado. Perciò non meraviglia vedere che Siena in quest’epoca s’occupa politicamente e militarmente della via Francigena sia nel tratto a nord sia in quello a sud della città. A nord i suoi interessi cozzavano già presso Poggibonsi con quelli di Firenze, rivale per lo meno coetanea e ponevano limiti agli sforzi di Siena. A sud bisognava però rendere sicura la via Francigena fino allo Stato della Chiesa e garantire il collegamento con la Maremma, importante per l’approvvigionamento della sua popolazione. L’antica Chiusi non aveva più un grande potere, la nuova Grosseto non l’aveva ancora. Non erano nemici da prendere sul serio. Più forti erano gli Aldobrandeschi. La condotta di Siena nel corso del tempo si conformò a queste situazioni. Nel 1139 una parte di Radicofani fu donata dai nobili Manenti al vescovo di Siena in qualità di rappresentante della città. È difficile credere che tale “donazione” sia stata fatta senza pressioni da parte di Siena. Nel 1145 un esercito della città comparve di fronte all’abbazia di San Salvatore. Lottando era penetrato nel territorio del monastero, perché Siena chiese all’abate e ai suoi fideles di giurare di non esigere alcun indennizzo ed estorse al monastero diritti su Radicofani. Nel 1151 poi venne costretta Grosseto, che dopo il trasferimento della sede vescovile di Roselle nelle sue mura (1138) cominciava a svilupparsi in maggior misura, a fare delle concessioni. Vediamo qui gli inizi di uno sviluppo che trasformò la zona intorno all’Amiata da un importante centro di potere del vescovato di Chiusi, sul quale il vescovo non riuscì mai ad affermare la sua autorità, in una zona marginale dell’area d’influenza di Siena. Questo sviluppo, le cui conseguenze 65

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi determinano ancora oggi la situazione intorno al Monte Amiata, nel XII secolo non era naturalmente ancora prevedibile, c’erano anzi segni di miglioramento. Nella seconda metà del XII secolo, sotto i sovrani svevi Federico Barbarossa e suo figlio Enrico VI, il potere regio si rafforzò ancora una volta. Barbarossa cominciò, a partire dalla sua prima spedizione in Italia negli anni Cinquanta, a comporre energicamente un inventario dei diritti dell’Impero e delle proprietà demaniali in Italia. Gli riuscì riottenere molti di questi beni appartenenti allo Stato, sottratti da diverse autorità. I diritti e le proprietà accertate furono fissati per scritto. Su questa base l’importante cancelliere Rainaldo di Dasseln poté consolidare il potere imperiale in Toscana e iniziare l’organizzazione di un’amministrazione demaniale. Alla base della politica imperiale c’era l’idea di riconoscere in larga misura l’autonomia delle città, ma di limitare la loro influenza ad una zona che in ogni singolo caso venne fissata in alcune miglia intorno alle mura. Il territorio doveva però essere dominato dai nobili e dai monasteri. Le estese proprietà demaniali residue o recuperate furono organizzate sotto una propria amministrazione statale costituita in parte da tedeschi. Per la zona dell’Amiata divenne responsabile il castello imperiale di San Quirico d’Orcia. La perdita dell’esercito, causata da un’epidemia alle porte di Roma (1167) e la conseguente ritirata del Barbarossa al di là delle Alpi, la morte di Rainaldo, ridussero a niente tutto ciò che era stato costruito. Poiché venne a mancare il potere dell’Impero, ordinatore e garante di pace, i poteri locali dovettero cercare di nuovo di raggiungere un equilibrio tra di loro. La nobiltà non riuscì più ad imporsi sulle città, nemmeno quando dopo il 1177 fu appoggiata dall’arcicancelliere Cristiano di Magonza, rappresentante dell’imperatore. Si era tornati, più o meno, alla situazione anteriore all’intervento del Barbarossa, nella prima metà del XII secolo. Come mostrano alcuni documenti sovrani degli anni ’60 e ’70 a destinatari toscani, nonostante tutto Federico non ha mai rinunciato agli antichi diritti dell’Impero. Nella pace di Costanza (1183) l’imperatore dovette riconoscere sì l’autonomia conquistata dalle città, ma riuscì a conservare la sovranità e molti diritti fiscali dell’Impero. Questo trattato offrì i punti di partenza per una ripresa in Toscana, i primi sintomi della quale sono riconoscibili nella sesta spedizione in Italia di Federico I (1184 – 1186). Per le lamentele dei nobili le contee furono in gran parte tolte di nuovo alle città. Barbarossa privilegiò nobiltà, vescovati e monasteri e li investì di diritti sovrani. Modello per la ripresa era evidentemente il principio di ordine degli anni ’60. Seguendo questo Enrico VI completò poi l’impostazione di suo padre mediante la riorganizzazione di un’efficiente amministrazione demaniale che, in caso di necessità, poteva aiutare la nobiltà contro il potere delle città. Per Enrico dopo il matrimonio con Costanza, figlia di Ruggero II, era diventato ancora più importante tenere saldamente in mano la Toscana come regione di transito. La zona intorno all’Amiata, dopo aver respinto le pretese di Siena, rimase quasi non toccata da tutti questi sviluppi. Probabilmente il monastero di San Salvatore non fu riaccorpato alle proprietà demaniali. Nel 1164 l’imperatore confermò a Ildebrando, conte degli Aldobrandeschi, i suoi beni come distretto di immunità. Da tali distretti, di cui allora in Toscana facevano parte, per fare qualche esempio, anche quelli dei beni dei Guidi, degli Alberti e dei Malaspina, più tardi quelli dei Manenti di Sarteano e degli Ubaldini, l’impero si ritirò e li riconobbe come zone chiuse di dominio, anche se sotto la sovranità imperiale. Per rafforzare il potere degli Aldobrandeschi venne probabilmente affidato a questa famiglia il monastero di San Salvatore. Ciò è coerente con la politica favorevole alla nobiltà portata avanti dal Barbarossa e viene confermato dal fatto che questo imperatore, di cui sono conservati in gran parte di diplomi a favore di destinatari toscani, non emanò mai un documento per San Salvatore. Perciò l’influenza degli Aldobrandeschi intorno all’Amiata rimase per il momento immutata. Con l’organizzazione della sua amministrazione demaniale Enrico VI è poi intervenuto in questa situazione. Il centro amministrativo per i possedimenti demaniali intorno all’Amiata fu di nuovo stabilito in San Quirico d’Orcia che Siena aveva usurpato per qualche tempo. Nell’anno 1194 Enrico per la prima volta ha di nuovo concesso al monastero di San Salvatore un privilegio che fissava chiaramente la posizione giuridica dell’abbazia come Reichskloster. Con questo vennero respinte 66

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi anzitutto le pretese avanzate nel XII secolo dalla Curia Romana sull’abbazia, ma mutò anche la posizione del monastero nei confronti degli Aldobrandeschi. Da questo momento in avanti soltanto il Papa e l’Imperatore si contesero l’influenza sull’abbazia. Mediante questa riforma dei rapporti di potere intorno all’Amiata si pose un freno anche alla spinta espansionistica di Siena in questa zona. Dopo l’inaspettata, precoce morte di Enrico VI (1197) le potenze della Toscana cercarono di evitare una nuova lotta di tutti contro tutti. Una lega doveva sostituire la forza equilibratrice dell’Imperatore che era venuta a mancare. Fanno parte di questa lega toscana accanto alle grandi città anche i conti Guidi e gli Aldobrandeschi. Siena era perciò frenata anche da ciò nella sua attività al Monte Amiata e lasciò la zona d’influenza all’amica Orvieto. All’inizio del XIII secolo vediamo dunque di nuovo il Monte Amiata esposto a due potenze in confronto: gli Aldobrandeschi ad ovest e la città di Orvieto ad est. Fu la potenza della città di Siena che nel corso del XIII secolo riunì infine di nuovo sotto il suo dominio la zona intorno all’Amiata. Ma questo sviluppo si trova già al di fuori dei confini cronologici che ci sono stati assegnati.

VIII. GLI INSEDIAMENTI (Pag. 32)

Nel corso dei grandi mutamenti politici che abbiamo tratteggiato la storia della colonizzazione del Monte Amiata ebbe un ruolo importante. Entrambi gli sviluppi si sono condizionati reciprocamente e almeno la velocità dei mutamenti politici fu largamente dipendente dalle trasformazioni della struttura di colonizzazione. Nell’VIII secolo presumibilmente ancora grandi porzioni della zona intorno al Monte erano coperte dalla foresta vergine, naturalmente ad eccezione delle aree degli antichi insediamenti. Nel IX secolo la bonifica promossa dal monastero penetrò già notevolmente in questi territori boschivi. Nel X secolo in molti punti ad ovest del Monte Amiata e nella valle del Paglia compaiono curtes padronali circondate da una cerchia di fattorie dipendenti, site probabilmente in gran parte su terreno dissodato nel frattempo. Quando poi, nella seconda metà del X secolo, la posizione di partenza della nobiltà, favorita dal re e a danno del monastero di San Salvatore, per il dissodamento del territorio in proprio migliorò notevolmente, essa non avrà mancato di sfruttare il momento favorevole. Non possiamo purtroppo documentare questa parte dell’attività economica nel suo sviluppo poiché gli archivi gentilizi sono andati perduti, ma il risultato nell’XI secolo dimostra che questi sforzi ci sono stati – anzitutto degli Aldobrandeschi. Non tutto ciò che essi possedevano intorno al Monte Amiata potevano averlo strappato al monastero di San Salvatore o averlo acquistato; gran parte dei loro possedimenti deve essere il frutto di una propria attività di dissodamento. Una coltivazione intensiva della terra dette loro la possibilità di creare più ampi complessi di proprietà indipendenti che, come nel resto dell’Europa, così sicuramente anche qui furono importanti punti di partenza per la costituzione del dominio dei nobili. Ampliati poi mediante diritti statali usurpati o concessi dal re, essi divennero i territori soggetti al loro dominio. Simbolo evidente del potere divenne il castello. Non deve pertanto stupire che l’epoca in cui la nobiltà ristruttura le proprie famiglie e ne estende le aree di proprietà e d’influenza, sia anche quella nella quale sorsero molti castelli, l’inizio dell’“incastellamento”. La coincidenza cronologica di un “boom” di costruzioni di castelli e di un’ondata di monasteri di famiglia mostra che il processo di costituzione del dominio di piccole strutture aristocratiche era il punto di partenza per ambedue i fenomeni. Essi disegnano questo processo su due lati: la dignità e il prestigio di una famiglia furono documentati e favoriti mediante il monastero di famiglia, segno visibile di potere e dominio fu il castello. I castelli dei nobili, che nel loro sorgere esprimevano in senso simbolico e reale il potere del loro proprietario, si trasformarono nel corso del tempo mediante l’accumulazione di diritti di proprietà e di dominio in centri di potere. Nel corso di questo processo essi esercitarono un forte richiamo sulle popolazioni che abitavano sparpagliate nei dintorni, le quali abbandonavano le loro residenze e si 67

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi trasferirono nei castelli. Questo processo spopolò il territorio a favore dei castelli. Ciò si verificò nella nostra zona verso la fine del XI secolo e nel XII. All’inizio del XIII secolo, al Monte Amiata, come anche in altre regioni d’Italia, ci troviamo di fronte ad una situazione di insediamento del tutto diversa da quella dei secoli precedenti. La popolazione si concentrava ora in oltre 20 castelli, 15 dei quali sopravvissero nel tardo Medioevo. Ancora oggi è riconoscibile nella struttura dagli insediamenti della zona intorno all’Amiata la tendenza alla concentrazione della popolazione in pochi punti, ma ora soltanto come tendenza non più esclusivamente come nel XIII secolo.

EPILOGO

Proprio negli ultimi anni, in molti Comuni che si trovano più o meno distanti intorno al Monte, si sviluppa con la Comunità Montana un nuovo sentimento di appartenenza al Monte Amiata. Per tutti vi sono anche motivi storici che possono documentare una tale appartenenza, ma non tutte queste tracce possono risalire fino al XII secolo o ancora più indietro. Qui possono essere citate soltanto le zone che si raggrupparono intorno al Monte Amiata nell’alto Medioevo e nel Medioevo centrale formando un paesaggio storico che anche se non era compatto era però più o meno delimitabile. Il monastero di San Salvatore e poi gli Aldobrandeschi organizzarono questa zona e le dettero un’unità che per lungo tempo è stata poi lacerata dalla divisione in due provincie: Siena e Grosseto. La struttura della Comunità Montana sembra adatta a sviluppare qui di nuovo un più profondo sentimento di appartenenza al medesimo ceppo. Il Monte Amiata era un tempo zona di confine del Regnum Italiae con lo Stato della Chiesa e si trovava assai lontana dai centri comunali. Spesso la zona ebbe a soffrire a causa di questa posizione, ma ne ebbe anche dei vantaggi. Oggi l’Amiata non è più come un tempo zona di confine in senso politico. La distanza dai grandi centri è rimasta. Oggi vale di nuovo la pena di sfruttare questa distanza per il futuro, di riconoscerne l’importanza e di saperla utilizzare nel nuovo sistema di valori che si profila.

MONASTERI, PIEVI, CHIESE DI VILLAGGIO E DI CASTELLO NEL TERRITORIO AMIATINO DEL MEDIOEVO. Mauro Ronzani.

1. Per chi intenda ricostruire i tratti essenziali dell’organizzazione ecclesiastica medioevale del territorio amiatino, considerandola dal punto di vista delle strutture d’esercizio del ministero pastorale, ragion d’essere della Chiesa stessa, il privilegio rilasciato nel 996 da papa Gregorio V all’abate di San Salvatore offre – ad un tempo – una prima occasione di verifica e il punto ideale di partenza per osservare i grandi sviluppi maturati nel secolo XI. Il 27 maggio del quell’anno, oltre ad accogliere il cenobio sotto la protezione della Sede Apostolica, il pontefice gli confermò infatti il diritto d’esigere «le primizie e le decime» dei suoi dipendenti, e soprattutto consentì che il sacrum baptisterium venisse amministrato nelle chiese monastiche di San benedetto e di Santa Maria di Làmula176. Questi due edifici culturali, situati su versanti opposti del Monte, ci sono noti sin dai primi decenni del secolo IX come cellae, ossia filiali del monastero amiatino, a loro volta collegate con aziende agrarie di tipo curtense: così, assai chiaramente, per la cella S. Benedicti (posta allora presso il Monte Bocéno, al di là del torrente Senna), cui corrispondeva la curtis detta “del Paglia”; mentre Santa Maria in Lamulas, pur preceduta nella val d’Ente dall’altra cella di Santo Stefano di “Monticlo” (che appunto «comprendeva all’incirca le più tarde zone di colonizzazione di Montelaterone, Lamula e Arcidosso»), assurse fra il IX e X secolo a vero centro amministrativo di

176 Codex diplomasticus Amiatinus. Urkundenbuch der Abtei S. Salvatore am Montamiata von den Anfängen bis zum Regierungsantritt Papst Innozenz III. (736 – 1198), a cura di W Kurze, I –II, Tubingen 1974 – 1982, nr. 213, pp. 37 – 40 (in seguito si citerà semplicemente: CDA, con il nr.). 68

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi questa porzione del territorio amiatino (dov’era pure la curtis di “Mustia”)177. Un secolo ancora, ed ecco che il privilegio del pontefice giunse a sanzionare un uso probabilmente antico, riconoscendo a Santa Maria e a San Benedetto lo status di chiese battesimali, riservato di norma – in virtù d’un principio plurisecolare – a chiese direttamente sottoposte al vescovo competente per territorio (l’Ordinario diocesano), che di tanto in tanto le visitava per impartire personalmente il sacramento della confermazione a quei fedeli, abitanti nei luoghi circonvicini, che già vi avevano ricevuto il battesimo e vi si raccoglievano nei giorni più solenni dell’anno liturgico. Non così, come abbiamo visto, per le popolazioni delle alte valli dell’Ente e del Paglia; e anche il fatto che il pontefice, nel 996, consentisse ai monaci di San Salvatore di procacciarsi il crisma e l’olio santo (necessari per la consacrazione dell’acqua battesimale e per altri usi liturgici) «da qualunque vescovato volessero o potessero», suonava come un riconoscimento della posizione particolarissima del cenobio, impiantato al confine delle due diocesi di Chiusi (entro i cui confini propriamente si trovava la sede abbaziale) e di Sovana, e detentore in tale zona di ampi diritti sulle terre, e sugli uomini che su di esse vivevano. Tanto più che fra Santa Maria di Lamula e San Benedetto – ovverosia sull’Amiata vera e propria – non v’è traccia, in questi primi secoli d’esistenza del monastero, di chiese battesimali vescovili o “pievi” (plebes), come si denominavano abitualmente sin dal principio del secolo VIII, quando esse erano pur già alquanto diffuse non molto più a nord del nostro Monte, nella Valdorcia oggetto della famosa disputa fra i vescovati di Siena e d’Arezzo178. Ed è solo grazie al documento di San Salvatore che, nel pieno secolo XI, riusciamo a cogliere la presenza di un reticolato di plebes vescovili chiusine fra la val di Paglia e la val d’Orcia: quando, cioè, le “carte di donazione” individuano i singoli appezzamenti di certi grandi complessi fondiari «entro il piviere di Santa Maria in Campo», o infra plebe S. Filici (non lontano da Castiglion d’Orcia), infra plebe S. Filipi (Bagni San Filippo), S. Donati siti Radicofani, e così via179. Con questi ultimi pivieri (oltre che, forse, con quello di Santa Maria presso l’odierna ) confinava il territorium de plebe Sanctti Benedicti, sito monte Amiato, menzionato in un documento del 1032, che ci mostra come il raggio d’attrazione del fonte battesimale dell’antica cella monastica – spostatasi ora probabilmente al di qua del Senna, in posizione più elevata sulle pendici del Monte – giungesse fino a “Callemala”, scomparso agglomerato posto sul tracciato della via Francigena, e localizzabile «al punto di confluenza dei principali rami sorgentiferi del Paglia (i torrenti Vascio, Cacarello e Pagliola»180. Un “territorio” molto ampio, dunque, e punteggiato di casalia, di loca e di vocabula: ossia d’insediamenti sparsi e di piccole dimensioni, e poco o per nulla fortificati, ma dotati d’una propria chiesetta, come l’ecclesia et oratorium di Santa Cristina in Callemala, o la chiesa di San Pietro del lontano burgus di Voltole, e la San Cassiano posta nella villula omonima181.

177 Cfr. la puntualissima ricostruzione di W. KURZE, La storia delle chiese intorno alla pieve di S. Maria in Lamula fino alla fine del XII secolo, in Le chiese di Arcidosso e la pieve di Lamula, a cura di C. Prezzolini, Siena, Periccioli, 1985, pp. 17 – 30, ora anche W. KURZE, Monasteri e nobiltà nel Senese e nella Toscana medievale. Studi diplomatici, archeologici, genealogici, giuridici e sociali, Siena, Ente Provinciale per il Turismo, 1989, pp. 375 -390 (in particolare: pp. 376 – 380; in seguito ci riferiremo sempre a questo volume). 178 Cfr. A. MARONI, Prime comunità cristiane e strade romane nei territori di Arezzo-Siena-Chiusi (dalle origini al secolo VIII), Siena, Cantagalli, 1973 (specialmente le pp. 141 – 216, mentre non siamo d’accordo con l’A. quando, a p. 219, sostiene che l’elenco delle pievi chiusine, contenuto nel privilegio papale del 1191 che fra poco menzioneremo, «riflette un’organizzazione ecclesiastica del territorio chiusino, che si è mantenuta sostanzialmente integra dal IV-V secolo quando le pievi vennero fondate»). 179 Cfr. ad esempio i documenti del maggio 1067 e del gennaio 1075, citati alle n. 179. 180 CDA, nr. 268; e per la localizzazione di “Callemala”, cfr. ora S. MAMBRINI e R. STOPANI, L’evoluzione del tracciato della via Francigena tra la val d’Orcia e la val di Paglia, in L’Abbazia di San Salvatore al Monte Amiata. Documenti storici-architettura-proprietà, a cura di W. Kurze e C. Prezzolini, Firenze, All’Insegna del Giglio, 1988, pp. 27. 38. Nel 1075, in un altro documento si trova la nuova indicazione infra plebe S. Benedicti, sito Uillamagna: CDA, nr. 296. 181 CDA, nr. 210 (995 agosto13) e 230 (1009 aprile) per Santa Cristina di Callemala; nr. 214 (1000 novembre 22) per San Pietro sito burgo de Uoltiole, e nr. 218 (1002 novembre) per San Cassiano (definita villula nel documento databile ante 1084 marzo 31). 69

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2. Questo numero si tralascia in quanto di Radicofani non c’è nessun riferimento e si continua con il numero 3.

3. Dall’altra parte dell’Amiata, nell’alta val di Paglia, avevamo lasciato la situazione così come si presentava nel secolo XI, con l’ampio piviere di San Benedetto esteso fino al burgus di Callemala, oltre il quale era il confine con i distretti battesimali di San Donato sito Radicofani e di San Filippo. Ma anche qui, verso la metà del secolo successivo, partì un vistoso processo di ristrutturazione territoriale e insediativa, che condusse innanzitutto a collegare Callemala al castrum di Radicofani alquanto asceso d’importanza (e dotato di lì a poco della “propria” pieve di San Giovanni, erede della vecchia e obliterata San Donato)182; restrinse progressivamente il piviere di San Benedetto (privato della porzione settentrionale, situata entro la diocesi e la contea chiusina) alla zona della villa (già villula) de Plano, che entro la fine del secolo avrebbe “catturato” e richiamato a sé le popolazioni di Voltole e di San Cassiano (nonché le loro chiese!); e – last but not least – vide nascere sul fianco occidentale dell’Amiata una nuova pieve monastica: quella Santa Maria inter fossata che fa la sua prima comparsa nel 1144, deputata – si direbbe – ad offrire i suoi servizi alla popolazione che andava raccogliendosi nel vicino “Castel di Badia”. Ovunque insomma, sul Monte e su le sue propaggini, fra XII e XIII secolo sembra trionfare la tendenza all’instaurazione di un rapporto biunivoco fra un castrum ed una plebs, che poteva essere vescovile o monastica, e in entrambi i casi vecchia (come Santa Maria di Lamula, l’antica cella del secolo IX, o Santa Maria di Mustia, plebs vescovile databile fra X e XI secolo), o nuova, come appunto Santa Maria inter fossata, Santa Mustiola d’Arcidosso e le San Giovanni di Radicofani e di Castel del Piano; e come altresì – per andare un po’ più a nord, verso la val d’Orcia – Santa Degna, chiamata a raccogliere l’eredità della vetusta San Felice: mentre nel 1154 era ancor possibile dire che il castellum di Castiglione si trovava infra plebem S. Felicis, un secolo dopo si sarebbe parlato ormai della plebes S. Digne de Castillione Vallis Urcie. Vedremo, fra poco, come una situazione siffatta contenesse già in sé le condizioni del proprio superamento, verso la piena e generale affermazione della “parrocchialità” della chiesa castrense intramurana, che sin dai primi secoli dell’età moderna sarebbe stata definita con l’appellativo di “chiesa pievania”, avendo ereditato infine il fonte e - talora – la stessa dedicazione della pieve vera e propria, che l’ulteriore, drastico spopolamento delle plaghe non fortificate aveva ormai lasciato in una condizione d’isolamento e d’abbandono rispetto al pur non lontano castello183.

4. ……………………………………………………………………………………………… Verso la metà del Duecento, dopo lunghi decenni di silenzio, i documenti tornano a parlare anche della vetusta pieve-cella monastica di val di Paglia; e mentre, per Sant’Ippolito di Martura, la realtà ancor viva e sentita del plebe(r)ium era stata invocata dal vescovo grossetano (desideroso di ristabilire quell’ordinato funzionamento del sistema pievano che avrebbe ipso facto aperto la strada al riconoscimento della propria autorità d’Ordinario diocesano), l’esistenza inconcussa di un plebe(r)ium Sancti Benedicti – pur se incentrato ora su un edificio culturale nuovo – fu uno dei più forti argomenti usati dall’abate di San Salvatore per difendersi dal duplice assalto contro le prerogative dell’abbazia su Piancastagnaio, sferrato sul piano ecclesiastico dal vescovo di Sovana, e dai Visconti di Campiglia su quello del dominio signorile. Così, agli abitanti di quel castrum – sempre più numerosi, e ben decisi a reclamare un’assistenza spirituale più adeguata e ravvicinata –

182 Il 29 maggio 1153 l’abate di San Salvatore cedette a papa Eugenio III medietatem integram unius castri quod vocatur Radicofanum (…) cum tenementis suis et burgo de Calemala (CDA, nr, 341); cfr. anche CAMMAROSANO e PASSERI, Città, borghi e castelli, pp. 143 – 144 (nr.44.1). 183 Fu questa, in genere, la situazione riscontrata nel 1676 dal Visitatore granducale Gherardini: Archivio di Stato di Siena (=ASS), D. 83 -84. 70

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi fu fatto divieto d’edificare con la complicità del vescovo sovanese una nuova chiesa entro l’area del castello, perché lì si era in plebeio S. Benedicti plebis, sive S. Andree184; e il fatto che in quest’ultima chiesa (posta non lontano dal castello, verso il castrum Abbatie) l’abate avesse trasferito il fonte della vecchia San Benedetto (dicta plebes S. Andree facta fuit de plebe S. Benedicti), era la conferma più lampante del totale controllo da sempre esercitato dall’abbazia nei confronti di quella pieve (riconosciutale da diplomi emanati dagli imperatori carolingi!) e dei fedeli residenti sul suo territorio: «l’abate di San Salvatore fece demolire la pieve di San Benedetto come cosa sua propria, e ne trasferì la sede nella pieve odierna di Sant’Andrea (….); tutti gli abitanti del castello di Piancastagnaio sono sempre venuti a farsi seppellire presso il monastero, e a farsi battezzare presso la detta pieve….». Rievocazioni davvero suggestive, nelle quali troviamo già indicate le tappe del cammino che anche noi abbiamo rapidissimamente ripercorso: dalla cella S. Benedicti concessa a San Salvatore dal carolingio Ludovico II, alla plebs S. Benedicti del diploma di Corrado II del 1027; dal sorgere del castello di Piancastagnaio «sulle pertinenze ovvero adiacenze della suddetta cella e pieve», fino agli sviluppi recenti. Ma furono solo le belle parole d’un’arringa. Ben altra presa sulla realtà e ben più duratura fortuna ebbero invece le formulazioni del «patto ossia convenzione» stipulato nel 1279 dall’abate Gerardo con il suo antico confratello cistercense David, vescovo di Sovana. Vi si riconosceva, certo, che la «pieve di San Benedetto» - tornata così alla dedicazione originaria! - «apparteneva al monastero dal punto di vista del diritto di celebrare il battesimo»; ma si affermava, nel contempo, che essa «si trovava entro la diocesi di Sovana», e si stabiliva anzi che essa fosse «trasferita e ricostruita entro il castello di Piancastagnaio», e che fosse officiata da due sacerdoti: scelti l’uno dall’Ordinario e l’altro dall’abate, essi avrebbero «presieduto in comune al battesimo e alle altre incombenze spirituali e temporali della pieve, in nome così del vescovo come del monastero»185. Soluzione in fondo equilibrata, e nemmeno tanto originale, visto che qualcosa di simile esisteva già (da qual momento esattamente non sappiamo) per le «chiese del castello di Radicofani e del suo suburbio», ossia per la pieve di San Giovanni de arce, San Pietro del “borgo” e Sant’Andrea del “Castel Morro”, ciascuna officiata in condominio da un chierico deputato dall’abate, e da un altro installato dal vescovo di Chiusi186.

5. Questo paragrafo contiene riferimenti alle chiese a ovest dell’Abbazia quindi lo tralasciamo.

Pag. 54 e 55

Appendice

MONASTERI, CHIESE E LUOGHI PII d’AMIATA APPARTENENTI ALLA DIOCESI DI CHIUSI IN DUE ELENCHI DEL 1302 -1303 E DEL 1405187

Monasterium S. Salvatoris L’Abbazia a S. Salvadore Ecclesia S. Crucis de Castro Abbatie S. Agnolo nel chastello della Badia

184 ASS, Dipl. San Salvatore, 1243 agosto 21 – 22. 185 ASS, Dipl. San Salvatore, 1279 luglio 10. 186 Nel 1188 Clemente III riconobbe ai monaci di San Salvatore ius quod habebant in ecclesiis castri Radicofani et suburbii ipsius (CDA, nr. 353); e nel 1328 il vicario del vescovo chiusino avrebbe dichiarato esenti dal tributo del cattedratico, perché soggette al monastero, medietates ecclesiarum S. Petri, S. Andree et plebis S.Iohannis de Radicofano (ASS, Dipl. San Salvatore, 1328 dicembre 23). Vedi anche C. Prezzolini, Le chiese di padronato di San Salvatore, in L’Abbazia, pp. 150 – 152. 187 Fonti: Rat. Dec., II, nr. 2781 – 2829, pp. 165 -168; e ASS, Lira, 411, cc. 58v-62v. 71

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Ecclesia S. Angeli de dicto loco Sancta/Crocie/ nel chastello della Badia Domus leprosorum de Arcidosso Plebes de Sancta Flora Pieve a Sancta Fiore Plebes S. Blasii de dicto loco S. Giorgio (sic) da Sancta Fiore Plebes S. Mistiole de Arcidosso S. Mustiola d’Arcidosso Plebes (sic) S. Andree de Arcidosso S. Lonardo d’Arcidosso Plebes S. Iohannis de Castroplani Pieve di Castel del Piano Ecclesia SS. Pancatti et Nicholay Sancti Brancatio et Niccholo Ecclesia Sancte Floris de Noceto S, Fiore da Noceto Eccl. S. Filippi de Arcidosso S. Filippo d’Arcidosso Ecclesia de Monteiovi Chiesa di Monte Giovi Plebes de Amolis Pieve de La Mogli Ecclesia S. Marie de Hermetis Ecclesia S. Leonardi de Arcidosso Eccl. S. Clementis de Montelat(r)one Santo Chimento a Monte Latrone Plebes de Ciliano Sancta Victoria de Monte Latrone Eccl. S. Victorie de Montet(r)one Pieve di Cilglano Eccl. S. Angeli de Monte Pençulo Pieve di Sancto Agnolo a Monticello Plebes de Castilion(e) Torti Pieve di Castilglioncello del Torto Ecclesia de Valdeprata Chiesa di Valle Piena Plebes de Mustia Pieve di Mustia Ecclesia de Montenero La Propostia di Castelnuovo Chiesa di Monte Nero Plebes de Potentino S. Lucia da Viliattole Pieve a Potentino Ecclesia S. Cervasii de Segiano Santo Giorgio (sic) a Segiano Prepostia de Segiano Propostia di S. Bartolomeo a Segiano Ecclesia S. Crucis de Segiano [ ?] S. Maria fuor di Segiano Prepostia Ss. Phylippi et Iacobi [?] Ecclesia S. Lucie de Villa Attolli Ecclesia S. Leonardi de dicto loco [?] Eccl. S. Leonardi de Castro Abbatie Plebes S. Dingne Pieve de Sancta Degna Sancto Andrea d’Arcidosso Ecclesia de Gravilone Chiesa di Cavillona Sancto Leonardo nel castello della Badia Hospitale de Segian(o) Lo spedale di Segiano Ecclesia S. Angeli de Castroplani Sancto Agnolo da Castel del Piano Sancta Maria da Remeta Monasterium S. Antimi El munisterio de S. Antimo Plebes S. Antimi Pieve di S. Antimo Ecclesia de Petra Chiesa di Pietra Eccl. De Titinano Chiesa di Tentennano Plebes de Balneo Pieve del Bagno Canonica de Vignone Canonicha di Vignone Ecclesia de Canpolasso Chiesa di Campo Lasso Hospitale de Arcinbaldo Lo spedale di Arcinbaldo Hospitale de Obricolis Lo spedale da Bricole 72

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Monasterium de Vivo El monistero dal Vivo Ecclesia de Campilio Pieve di Campiglia Plebes de Castroveteri Vallis Urcee Pieve accastelvecchio Monasterium S. Petri in Campo El munistero di S.to Piero in Valdorcia

R E P E R T O R I O Hanno compilato le schede: F.G. = Fabio Gabbrielli L.G. = Luca Giubbolini C.P. = Carlo Prezzolini

Pagg. 105 e segg.

PREMESSA

Il repertorio contempla gli enti religiosi del territorio amiatino ricordati in alcune fonti documentarie comprese tra l’alto Medioevo e l’inizio del Trecento. Il nucleo principale è costituito dagli enti registrati Rationes Decimarum duetrecentesche (1276 – 1324) e nei documenti pubblicati nel Codex Diplomaticus Amiatinus. Sono escluse le chiese appartenenti agli ordini mendicanti e quelle non più esistenti di cui, allo stato attuale delle ricerche, non è stata ancora individuata, con una certa attendibilità l’ubicazione, neanche approssimativa. Sono invece inclusi alcuni edifici che, pur non essendo ricordati nelle fonti esaminate, presentano in tutto o in parte strutture riferibili al periodo medievale. Per quanto riguarda il tipo di ente (pieve, monastero, cella, cappella, canonica, ospedale, ecc.) ci siamo attenuti alla qualifica più elevata risultante dalla documentazione medievale (non oltre l’inizio del Trecento). Le schede sono ripartite sulla base degli attuali limiti comunali. Ciascuna scheda è composta di due parti, quella storica (in carattere tondo) e quella architettonica (in carattere corsivo). Nella prima sono sinteticamente riportate alcune notizie relative all’ente religioso che possono avere direttamente o indirettamente influito sulla “vita” dell’edificio; nella seconda viene svolto un esame architettonico, di carattere principalmente descrittivo, relativo esclusivamente alle strutture murarie e agli elementi decorativi riferibili al periodo medievale. Per gli edifici scomparsi la seconda parte è riservata ad alcune brevi indicazioni sulla loro possibile ubicazione. Le note sono direttamente inserite, in forma abbreviata, nel testo; le relative indicazioni archivistiche e bibliografiche complete sono riportate in fondo al Repertorio.

In questo elenco continuo a parlare delle altre chiese che esistevano a Radicofani e che, o non esistono più o rimangono alcuni ruderi, e che hanno molto in comune con il «romanico amiatino» e le cito per avere un quadro completo degli enti ecclesiastici che il paese annoverava. Prima di tutto però desidero nominare fra queste chiese quella che era nel borgo di Callemala e che in questo Repertorio è inserita fra quelle di Abbadia San Salvatore con il suo numero indicativo.

1.5 – CHIESA DI SANTA CRISTINA A CALLEMALA

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Callemala, ricordato come casale dall’876 (CDA, I, n. 157) e dal 962 come burgo (CDA, II, n. 201, cfr. WICKHAM, 1989, p. 117 nota 35) fu un importante insediamento lungo la via Francigena ed ebbe all’inizio dell’XI secolo almeno 200 abitanti (WICKHAM, 1989, p. 117); fu dotato di una chiesa, dedicata a Santa Cristina, ricordata dal 962 (CDA, II, n. 201; cfr. anche CDA, II, n. 210 (995) e CDA, II, n. 230 (1009). Il borgo, che risulta associato a Radicofani fin dal 1153, nel XII secolo perse importanza per la creazione di un nuovo itinerario della Francigena che passava per il ricordato castello e nel ‘200 è documentato solo come contrada di questo (cfr. MAMBRINI E STOPANI, in L’Abbazia, 1988, pp. 32-33); (WICKHAM, 1989, p. 134). Scomparsa. Recentemente è stata proposta per Callemala l’ubicazione alla confluenza dei torrenti Vascio, Pagliola e Cacarello, in località Le Casette (cfr. CAMBI, 1988, pp. 8-10; MAMBRINI e STOPANI, in L’Abbazia, 1988, p. 28; WICKHAM, 1989, p. 117); è stata anche avanzata la possibilità che una traccia circolare, notata in una foto aerea dell’insediamento, possa essere riferita a Santa Cristina (CAMBI e DE TOMMASO, 1988, p. 478).

8.1 – MONASTERO DI SAN QUIRICO A CLEMENZANO

Nel 798 l’abbazia di San Salvatore riceve in dono il monastero privato di San Quirico «in loco Climinciano, qui vocatur Piscinule seo et sancti Laurentii» (CDA, I, n. 47). Nella documentazione del X – XI secolo alla località Clemenzano corrisponde la chiesa dedicata a S. Lorenzo (CDA, II, nn. 210, 230). Scomparso. L’ubicazione è incerta. Il WICKHAM, 1989, pp. 107, 114 n. 29, propone la zona a sud-est di Radicofani compresa fra i toponimi Ponano e Casano (cfr. pure KURZE, 198), mentre il RONZANI, 1989, p.149, indica un’area attigua al burgus di Callemala, situato nella valle del Paglia. Mario Bezzini 1998 lo pone vicino alla Palazzina.

8.2 – PIEVE DI SAN DONATO A RADICOFANI

La prima menzione della pieve di San Donato «scito Radicofani» è in un documento dell’anno 1067 (CDA, II, n. 284). Precedentemente è forse ricordata in due carte amiatine del 1014 e del 1023 nelle quali non è però specificata la località (CDA, II, cc. 240, 259). Nella bolla di Celestino III del 1191 figura tra le pievi confermate al vescovo di Chiusi (CAPPELLETTI, XVII, pp. 587-588). Nel XIII secolo la pieve di Radicofani risulta dedicata a San Giovanni. Secondo alcuni studiosi ciò sarebbe dovuto ad un semplice cambiamento di titolo (MARONI, 1973, p. 219; CAMMAROSANO e PASSERI, 1985, p. 355) secondo altri ad un trasferimento della sede pievana (PREZZOLINI, in L’Abbazia, 1988, pp. 149-151; RONZANI, 1989, p. 153). Scomparsa. Il MARONI, 1973, pp. 219-220, ipotizza la sua collocazione nello spartiacque tra Orcia e il Rigo. Altri invece propongono la valle del Paglia, nei pressi dell’insediamento scomparso di Callemala (CAMMAROSANO e PASSERI, 1985, p. 355; STOPANI e MAMBRINI, 1989, p. 306). Vedi nota più sotto alla Pieve di San Giovanni!

8.3 - PIEVE DI SANT’EUSTACHIO A CASTELVECCHIO

La pieve figura negli elenchi delle decime della fine del Duecento e dell’inizio del Trecento (Rationes, II, p. 168). L’attuale chiesa di Castelvecchio non presenta elementi riferibili al periodo romanico.

8.4 - PIEVE DI SAN GIOVANNI A RADICOFANI

Nell’XI-XII secolo la pieve di Radicofani è ricordata con il titolo di San Donato (ad esempio CDA, II, n. 284; CAPPELLETTI, XVII, pp. 587-588). Dal secolo XIII risulta invece dedicata a San Giovanni. 74

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Secondo alcuni studiosi si tratterebbe soltanto di un cambiamento di titolo (MARONI, 1973, P. 219; CAMMAROSANO e PASSERI, 1985, p. 355), secondo altri dello spostamento della sede pievana (PREZZOLINI, in L’abbazia, 1988, pp. 149-151; RONZANI, 1989, p. 153). Come altre chiese di Radicofani San Giovanni dipendeva allo stesso tempo dall’abate di San Salvatore e dal vescovo di Chiusi i quali provvedevano ad eleggere due pievani che amministravano la pieve contemporaneamente (cfr. PREZZOLINI, in L’abbazia, 1988, pp. 150-151; RONZANI, 1989, pp. 158-159). Tale situazione è documentata pure nelle decime degli anni 1275-77 dove la pieve è registrata due volte (Rationes, I, pp.122,125,127,129). Nel 1440 tale assetto amministrativo risulta ancora esistente. (PREZZOLINI, in L’abbazia, 1988, p. 151). L’ultima menzione della chiesa di San Giovanni risale al 1559 (ibid.). A partire dal 1587 figura con la dignità di pieve la chiesa di San Pietro (ibid., p. 152). Scomparsa. Sulla sua localizzazione sono state avanzate varie ipotesi: lo spartiacque tra l’Orcia e il Rigo (MARONI, 1973, pp. 219-220), la valle del Paglia, presso l’insediamento scomparso di Callemala (CAMMAROSANO e PASSERI, 1985, p. 355; STOPANI e MAMBRINI, 1989, p. 306) e le vicinanze del castello di Radicofani (PREZZOLINI, in L’abbazia, 1988, p. 151). (DI QUESTA CHIESA SE NE PARLA GIA’ NELLO STATUTO DEL 1255 CHE DOVEVA ESSERE COSTRUITA NEL BORGO BONMIGLIACCIO E NELLO STATUTO DEL 1441 SE NE PARLA GIA’ COSTRUITA, [ART. 64 (Statuto del 1255) ALLA RUBRICA 8 p.91 (Statuto del 1441 a cura di B. MAGI, 2004)] CHI SI AVVICINA DI PIU’ AL SITO E’ IL PREZZOLINI.

Nello Statuto di Radicofani del 1255 all’art. 64 con il titolo: Costruzione della Chiesa di San Giovanni (e la ritroviamo nello Statuto del 1441, alla Rubrica 8) si dice che tutti gli uomini che abitano fuori dalla Porta Nuova di Castel Morro e fino alla Porta di Ormanno, e quelli che risiedono fuori dalla Porta di Bonmigliaccio sono tenuti ad aiutare gli abitanti di Bonmigliaccio per l’edificazione di una nuova chiesa intitolata appunto a San Giovanni; coloro che si fossero rifiutati di prestare il loro contributo saranno puniti con un’ammenda di 20 soldi. Questa chiesa era posta fuori delle mura della fortezza ed oggi (2015) si sono ritrovati i resti delle fondamenta. In una stampa antica si vedono sia la Chiesa di Sant’Andrea a Castel Morro sia quella di San Giovanni nel Borgo di Bonmigliaccio. (Prima del 1255 però non possiamo sapere con certezza dove fosse ubicata)

8.5 - CHIESA DI SANT’AGATA A RADICOFANI

Non abbiamo alcuna notizia della chiesa di Sant’Agata riferibile al periodo medievale. Non è registrata nelle decime due-trecentesche e neppure in un elenco di edifici religiosi dell’anno 1532 (Rationes, I; Rationes, II; ASS, Sale 18).

L’attuale chiesa, situata nella via principale del paese di Radicofani, è una costruzione settecentesca che conserva in vista, per quanto rimaneggiata, la facciata di un edificio medievale. Quest’ultima, di aspetto decisamente gotico, presenta un paramento murario, rimontato nella parte superiore, a corsi orizzontali e paralleli di conci di pietra vulcanica. In origine l’ingresso era caratterizzato da due portali di uguale struttura, ora tamponati, formati da archi a sesto acuto impostati su mensole smussate. Al di sopra, in corrispondenza dei portali, si conservano le tracce di due finestre con arco a sesto acuto, in epoca moderna tamponate e sostituite con un’apertura rettangolare. La soluzione dei due portali di facciata sembra ricordare quella di alcune chiese romaniche del contado senese, tra le quali l’abbazia di Sant’Antimo, disposte lungo la via Francigena o comunque non lontano dal suo percorso (sull’argomento si veda MORETTI e STOPANI, 1981, pp.68-69, 74 n. 60). Tuttavia, i caratteri formali delle aperture originali e la loro disposizione sono più consoni ad un edificio civile che religioso (dello stesso parere era anche Angelo Rappuoli che aveva studiato arte e fungeva da geometra comunale negli anni dal ’50 al ’80).

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E’quindi probabile che la chiesa settecentesca abbia riutilizzato, modificando le aperture, la facciata di un edificio civile. La parte della chiesa che va dall’entrata a circa metà dell’immobile è la parte che sembra faccia parte di un edificio civile, mentre tutto l’immobile compresa la sacrestia ed il resto fa parte del convento dei “Frati Minori Conventuali” con la loro chiesa di S. Lorenzo (tutto ciò l’ho sempre sentito dire ma nel Gherardini, ed è il 1676, non vi è alcun accenno a questo convento, ma è ricordato nello Statuto del 1255).

Si racconta che nel XVIII sec. una rappresentanza di radicofanesi andò a piedi a Catania per prendere una reliquia di Sant'Agata che, nel viaggio di ritorno, si fermò a Roma per ottenere dalla Curia Pontificia l’autenticazione (il documento ci è pervenuto nella sua autenticità) era il 31 ottobre 1727. Tutto ciò perché in quel secolo Radicofani fu spianato dai terremoti che ci furono fortissimi, almeno quattro volte. Da quel secolo, oltre a San Saturnino il 5 febbraio Radicofani festeggia, come patrona, Sant'Agata. Nella chiesa, appena si entra, a sinistra in una conchiglia chiusa, vi è una scultura lignea che rappresenta la Madonna del Rosario con San Saturnino e Sant'Agata, e sotto i piedi della Madonna vi sono la Fortezza ed il paese.

Il 5 febbraio durante la processione e la messa è d'abitudine cantare un inno dedicato alla Santa con musica e parole di due radicofanesi che è intitolato: INNO DI SANT’AGATA scritto da Alfonso CHIAVAI (1833 – 1912) ed è ignoto colui che lo arrangiò in musica, con effetti di una certa suggestione (Pensione Vertunno e dintorni – Vito Mazzuoli – Stampa 2000 – Abbadia S. Salvatore – 2001) il quale recita:

Su sorelle intoniamo il canto alla martire gloriosa che il buon Dio ce l'ha data per Patrona sorella amata coro: VIVA LA MARTIRE NOSTRA PATRONA BEATA AGATA, COTANTO BUONA BEATA AGATA, COTANTO BUONA

Nostri padri da Catania ti portarono in processione, genuflessi, riverenti e con somma devozione. coro: VIVA LA MARTIRE......

Dal flagello del terremoto tu proteggi la nostra terra, Radicofani a te devoto Ti rinnova l'antico voto. coro: VIVA LA MARTIRE.ETC. ETC......

A proposito di Sant’Agata non si può non ricordare perché questa comunità passò da patrono San Lorenzo (?), della chiesa dei frati Minori, a San Saturnino donato con l’urna nel 1647 da Francesco Giovanni Pellei, il quale portò da Cagliari le sue reliquie che si conservano ancora sotto l’altare della chiesa di Sant’Agata. Dopo questo 76

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi cambiamento di patrono, per trovare l’altro cambiamento bisogna arrivare al 1700 e come avvenne ce lo racconta il “Corriere di Siena” il giorno 3 febbraio 2002: una gran folla venera la vergine e martire, che fu eletta a protezione del paese in seguito al violentissimo terremoto del 1727, il sisma che per durata e violenza causò numerose vittime, feriti e rovine incalcolabili. I sopravvissuti, in preda al terrore, decisero di inviare una delegazione a Catania, città di origine della fanciulla martire, per ottenere una reliquia del corpo, conservato nella cattedrale. E si racconta che un gruppo di pellegrini designati dall’assemblea, abbia percorso a piedi gli oltre mille chilometri per ottenere il prezioso frammento. La popolazione deliberò quindi di istituire una nuova congregazione laicale, che esiste tutt’oggi con struttura (numero chiuso, 110 membri) e scopi inalterati………Gli associati indossano cappe rosse, colore liturgico riservato ai santi martiri che hanno versato sangue per testimoniare eroicamente la loro appartenenza alla fede cristiana. ………….. In seguito alla spaventosa serie di terremoti che sconvolsero questa terra, la popolazione di Radicofani la designò nuova patrona, sostituendola a San Saturnino (compatrono, festeggiato il 29 novembre), protettore dell’agricoltura. Mariella Baccheschi

Purtroppo, di terremoti se ne ricordano molti, prima e dopo quello del 1727. Qui ricorderemo quelli dopo. Uno nel 1740 ed uno molto forte nell’ottobre del 1777 con morti e distruzione notevoli di case e poderi (chi volesse averne notizie dettagliate le può trovare nella rivista “Amiata Storia e Territorio” n. 10 a pag. 18-28) tanto che molti radicofanesi se ne andarono senza più fare ritorno. Altri terremoti ci sono stati negli anni: 1783, 1797, 1904, 1919 8° grado della scala Mercalli, 1940 uguale a quello precedente, poi negli anni ’60 e ’80 e qualcuno, piccolo, negli anni ’90; ma da quando sono stati aperti i soffioni boraciferi dall’ENEL a Piancastagnaio, terremoti grossi non vi sono più stati.

8.6 - CHIESA DI SANT’ANDREA A CASTELMORRO

La prima attestazione della chiesa risale al 1224 (CAPPELLETTI, 1862, XVII, p. 578); nel 1237 alcuni nobili feudatari di Radicofani giurano fedeltà all’abate di San Salvatore nella chiesa (ASS, Diplomatico SSMA, 1237 giugno 15) di Sant’Andrea, con le altre chiese di Radicofani, spettava per metà all’Ordinario di Chiusi e per metà all’abate amiatino (PREZZOLINI, in L’abbazia, 1988, pp. 150-151) e questa situazione compare evidente nelle decime del 1275-76, dove la chiesa è elencata sia fra gli edifici sacri esenti che fra quelli non esenti (Rationes, I, pp. 122 e 125), ed è ancora più chiara nelle decime del 1302-1303, che riportano la chiesa pro parte episcopi e pro parte monasterii S. Salvatoris (Rationes, II, pp. 164-165). Questa situazione verrà confermata dal vescovo di Chiusi nel 1328 (ASS, Diplomatico SSMA, 1328 dicembre 23) e dal vescovo di Siena nel 1440 (ASS, Diplomatico SSMA, 1440). La cura di Sant’Andrea, quasi del tutto spopolata in seguito all’abbandono della fortezza di Radicofani nel 1758, nel 1780 venne unita alla pieve di San Pietro (PREZZOLINI, in L’abbazia, 1988, pp.151-152). Scomparsa. Era situata nel borgo di Castelmorro, a nord della fortezza di Radicofani, dentro il circuito dei bastioni medicei, probabilmente dove oggi sorge la cappella del cimitero. Sant’Andrea è rappresentata in una veduta di Radicofani del 1689 (ASF, Mediceo, f. 1081 ins. 55).

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La chiesa di Sant’Andrea era posta dove oggi è il cimitero. In una stampa antica si vedono, come ho detto sopra per la chiesa di San Giovanni, sia la chiesa di Castelmorro che quella di San Giovanni.

8.7 - CHIESA DI SANT’ANDREA A REGGIANO

Sant’Andrea a Reggiano è ricordata in due carte dell’anno 1028 relative al trasferimento di alcuni beni, tra i quali la terza parte della stessa chiesa, all’abbazia di San Salvatore (CDA, II, nn. 265-266). Successivamente figura in altri due documenti del 1084 e del 1085 (CDA, II, nn. 310, 315). Nelle decime due-trecentesche non è registrata. Scomparsa. Rimane il toponimo Poggio Reggiano ad una collina che fa da spartiacque tra l’Orcia e il Formone. Il documento del 1084 risulta rogato «a sancto Andreas prope fluvio Horcia».

8.8 - CHIESA DI SAN FRANCESCO A REGGIANO

La chiesa è ricordata negli elenchi delle decime della fine del Duecento e dei primi del Trecento (Rationes, II, p. 169). Scomparsa. Rimane il toponimo Poggio Reggiano ad una collina situata tra l’Orcia e il Formone.

8.9 - CHIESA DI SAN LORENZO DEL BORGO FORMONE

In un documento dell’ottobre 1064 viene donata all’abbazia di San Salvatore la terza parte della chiesa di San Lorenzo, situata nel «burgo de Fermone» (CDA, II, n. 282). Nelle decime due- trecentesche non è menzionata. Scomparsa. Era situata vicino al torrente Formone e al fosso Canneta, ad est di Campiglia d’Orcia (CDA, II, n. 282; cfr. WICKHAM, 1989, pp. 118 n. 37, 121).

8.10 - CHIESA DI SANTA MARIA A CONTIGNANO

Alcuni studiosi identificano la chiesa di Santa Maria a Contignano con la pieve di Santa Maria in Campo (LIVERANI, 1872, p. 284; VERDIANI BANDI, 1973, p. 28; MARONI, 1973, p. 220), ricordata, a partire dal 1064, in alcune carte amiatine del secolo XI (CDA, II, nn. 283,284,296,313,315). Con tale ipotesi non concordano però CAMMAROSANO e PASSERI, 1985, p. 356, i quali ritengono che quest’ultima fosse ubicata verso il fiume Orcia, presso il monastero di San Pietro in Campo (attualmente in territorio di Pienza). La prima menzione di Santa Maria a Contignano è in un documento del 1293 in cui l’abate di San Salvatore nomina il rettore della chiesa, dipendente dal monastero (PREZZOLINI, in L’abbazia, 1988, p. 155). Successivamente è ricordata nelle decime della fine del Duecento e dei primi del Trecento (Rationes, II, p.168); in questi elenchi figura sempre come chiesa suffraganea ad eccezione di quello del 1298-99 in cui è registrata come pieve (ibid.). In un documento del 1328 alcuni anziani testimoni dichiarano di «aver veduto l’Abate Amiatino porre la prima pietra nella fabrica di detta chiesa» (PREZZOLINI, in L’abbazia, 1988, p. 155). Nel 1468 è ancora dipendente da San Salvatore (ibid.). Nel 1544 risulta definitivamente elevata alla dignità di pieve (PECCI, Miscellanee, c. 165). L’attuale edificio non presenta in vista elementi riferibili al periodo romanico.

8.11 - CHIESA DI SANTA MARIA AD OFFENA

A partire dall’anno 937 è documentata la curtis di Santa Maria ad Offena, dipendente dal monastero di San Salvatore all’Amiata (CDA, II, n. 198). Da una carta del 1000 circa risulta esistente

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi in tale località pure una cella monastica (CDA, II, n. 215). Come chiesa invece Santa Maria è segnalata soltanto in un falso preceptum del 1036 attribuito a Ludovico II (CDA, II, n. 272). Scomparsa. L’ubicazione di Offena viene indicata subito a nord della rocca di Senzano, nella zona compresa tra il fiume Orcia e il torrente Socenna (KURZE, 1988, carte V-VII; WICKHAM, 1989, pp. 121, 123 n. 51).

8.12 - CHIESA DI SANTA MARIA A PERIGNANO

La chiesa è ricordata nella decima degli anni 1302-1303 (Rationes, II, p. 169). Successivamente figura in un elenco di enti religiosi del 1532 (ASS, Sale 18, c. 51). Scomparsa. A sud-ovest di Contignano, sulla destra del Formone, rimangono i toponimi Fosso di Perignano e Poggio di Perignano. In corrispondenza di quest’ultimo, sulla cima del colle, si conservano i ruderi dell’omonimo castello (CAMMAROSANO e PASSERI, 1985, p. 357).

8.13 - CHIESA DI SAN MICHELE A MUSSONA

La chiesa di San Michele è menzionata in un documento dell’anno 1084 (CDA, II, n. 310). In precedenza, nel 996, l’imperatore Ottone III aveva confermato all’abbazia di San Salvatore la curtis di Mussona (CDA, II, n. 212). La chiesa non figura negli elenchi delle decime due-trecentesche. Scomparsa. Dal documento del 1084 risulta situata vicino alla chiesa di Sant’Andrea a Reggiano, anch’essa non più esistente, ubicata a sud di Contignano, non lontano dall’Orcia (CDA, II, n. 310; cfr. WICKHAM, 1989, pp. 121, 124 n. 52, e KURZE, 1988, carta VI).

8.14 - CHIESA DI SAN PELLEGRINO A GELLO

La prima menzione della chiesa di San Pellegrino «in Agello» è in un documento dell’anno 837 (CDA, I, n. 114). Nel 996 l’imperatore Ottone III conferma all’abbazia amiatina la curtis di San Pellegrino (CDA, II, n. 212; cfr. KURZE, 1988, p. 9). Nel falso preceptum del 1036 attribuito a Corrado II viene espressamente confermata a San Salvatore pure la chiesa (CDA, II, n. 272). Negli elenchi delle decime due-trecentesche San Pellegrino non è registrata. Scomparsa. A sud-ovest del rimangono i toponimi Podere Gello (nell’IGM Cello) e Poggio Gello (cfr. WICKHAM, 1989, pp. 107, 114 n. 29). (Il Gherardini nel suo manoscritto (A.S.S., d. 83 a pag. 398) dice che in contrada Gello vi è la chiesa di San Bernardino dove ancora si celebrano, nelle feste comandate, le messe, io però penso, in verità, sia stata intitolata a S. Pellegrino!).

8.15 - CHIESA DI SAN PIETRO A RADICOFANI

Secondo il CAPPELLETTI, XVII, p. 574, il primo ricordo della chiesa di San Pietro, posta nel Borgo Maggiore di Radicofani, risalirebbe al 1224. Un’altra esplicita menzione è in un documento del 1236 (ASS, Diplomatico SSMA, 1236 ottobre 22). Come altre chiese di Radicofani San Pietro dipendeva contemporaneamente dal vescovo di Chiusi e dall’abate di San Salvatore. Tale situazione amministrativa prevedeva la compresenza di due presbiteri eletti rispettivamente dal vescovo e dall’abate (cfr. PREZZOLINI, in L’abazia, 1988, p. 151, e RONZANI, 1989, pp. 158-159). Particolarmente chiara è la doppia registrazione della chiesa nella decima degli anni 1302-1303 dove viene distinto il pagamento «pro parte episcopi» da quello «pro parte monasterii S. Salvatoris» (Rationes, II, pp. 164- 165). In un documento del 1587 San Pietro figura per la prima volta con il titolo di pieve, ereditato dalla chiesa battesimale di San Giovanni (PREZZOLINI, in L’abbazia, 1988, p.152). Nel secolo XVIII risulta ancora presente un compievano nominato dall’abate di San Salvatore (PECCI, IX, c. 112).

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La chiesa di San Pietro, situata in una piazzetta del paese di Radicofani, è una costruzione di origine medievale ampliata e rimaneggiata in più epoche. L’edificio presenta un’icnografia a tre navate concluse da una grande abside semicircolare. Le navate sono divise in cinque campate da archi di valico a sesto acuto impostati su pilastri cruciformi e semipilastri addossati alle pareti. Allo stato attuale la parte iniziale della chiesa, in corrispondenza delle prime due campate, è formata soltanto dalla navata centrale essendo lo spazio relativo alla destra adibito a sacrestia e quello della navata di sinistra occupato da una cappella, oratoria della Misericordia. La copertura della parte iniziale è a capanna. Quella delle ultime tre campate della navata centrale è formata da volte a crociera sorrette da ampi archi trasversali e longitudinali a sesto acuto e rinforzate da grossi costoloni di sezione poligonale. Archeggiature trasversali a tutto sesto scandiscono le navate laterali sorreggendo una copertura a travature lignee. Gli archi e i costoloni scaricano su pilastri cruciformi molto rimaneggiati (solamente l’ultimo di destra risulta integro) e sormontati da mensole smussate fortemente sporgenti. La facciata, elevata su un’alta gradinata, è caratterizzata da un portale ricassato il cui archivolto, sorretto da due mensole sagomate, presenta l’intradosso a tutto sesto e l’estradosso a sesto leggermente acuto; una doppia ghiera orna l’interno della lunetta. Al di sopra si apre una bifora, ripristinata in questo secolo al posto di una grande finestra a lunetta inserita in epoca moderna(cfr. in L’abbazia, 1988, pag. 153); come mensola è stato riutilizzato un frammento in cornice decorato a fogliami. In corrispondenza dello spiovente sinistro della facciata si eleva un campanile di sezione quadrangolare nel quale si aprono monofore e bifore (in due vedute di Radicofani del XVII secolo e della prima metà del XVIII figura invece un semplice campaniletto a vela; cfr. PREZZOLINI, 1981, p. 81). Il paramento murario del corpo centrale della facciata è costituito da regolari corsi orizzontali di conci ben squadrati di pietra vulcanica; le altre parti della chiesa presentano un paramento esterno più irregolare ed evidenziano varie fasi costruttive e numerosi rimaneggiamenti. All’interno l’edificio è completamente intonacato ad eccezione dei pilastri, degli archi e dei costoloni delle volte, formati da grossi conci regolarmente squadrati. Alcune parti rimaneggiate di queste strutture sono coperte da intonaco dipinto ad imitazione della pietra. Il portale che si apre nel corpo centrale della facciata presenta caratteri formali tardo-romanici, caratteri che concordano con la regolarità del paramento murario della struttura nella quale è inserito. L’interno della chiesa presenta invece un aspetto decisamente gotico mentre l’abside che conclude la navata maggiore è di epoca moderna. Non è da escludere che il corpo centrale della facciata, quello relativo al portale principale, abbia fatto parte di un edificio ad aula unica successivamente prolungato ed ampliato a tre navate. Le strutture della facciata relative alle navate laterali infatti si appoggiano stratigraficamente al corpo centrale corrispondente alla navata maggiore. I forti rimaneggiamenti subiti dall’intero edificio, compresa la facciata, rendono comunque problematica una sicura identificazione, sulla base di sommarie indagini, dell’assetto originario e delle successive modifiche. Nell’attuale sacrestia, ad esempio, situata nello spazio relativo alle prime due campate della navata destra, sono presenti sei semipilastri addossati alle pareti (tre per parte); le loro forme e dimensioni sono però così diverse da quelle dei pilastri cruciformi dell’impianto gotico da rendere improbabile un rapporto con essi (sulla questione si veda GABRIELLI, in L’abbazia, 1988, p. 154). A partire dalla fine del XVIII secolo sono documentati numerosi interventi di restauro tra i quali un progetto di ampliamento, probabilmente consistente nel” recupero” delle prime due campate delle navi laterali, mai realizzato (cfr. ibid., pp. 154-155). GABRIELLI, in L’abbazia, 1988, pp. 152-155).

8.16 - CHIESA DEL CASTELLO DI SENZANO

La chiesa è menzionata, senza l’indicazione del santo titolare, in un atto di vendita dell’agosto 1061 (CDA, II, n. 280).

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Scomparsa. Il castello di Senzano è identificabile con l’attuale toponimo Le Rocchette situato a nord-est di Radicofani; a circa un chilometro di distanza si trova il podere Senzano (CAMMAROSANO e PASSERI, 1985, p. 357).

8.17 - «DOMUS LEPROSORUM» DI RADICOFANI

L’unica notizia che abbiamo è nella decima degli anni 1302-1303 (Rationes, II, p. 165). Scomparsa. Non ne conosciamo l’ubicazione. Quasi certamente questa “Domus Leprosorum” doveva essere titolata a San Lazzaro (Patrono dei lebbrosi) e doveva sorgere nella vecchia Via Francigena fra i poderi Castellina e Tre Colle, e forse anche più a sud verso la zona che prima si chiamava San Lazzaro (vedi il catasto storico Leopoldino del 1823). Andando, infatti, verso Ponte al Rigo, nella vecchia Via Cassia, prima Francigena, s' incontrano a destra i siti Caselle, Castellina, Costarella e Poggio Leano e a sinistra Il Corniolo, Nocicchia, S. Lazzaro e subito dopo S. Ristoro.

8.18 - OSPEDALE «BONAIUCTE» A RADICOFANI

L’ospedale è ricordato nelle decime degli anni 1298-1299 e 1302-1303 (Rationes, II, p.165). Scomparso. Non ne conosciamo l’ubicazione.

8.19 - OSPEDALE DI «FONTE CECULA»

Nell’anno 1237 è menzionato l’ospedale di «Fonte Cecula», dipendente dal monastero di San Piero in Campo (FATTESCHI, c. 12v; cfr. PREZZOLINI, in L’abbazia, 1988, pp. 150-151). Scomparso. Era situato nel distretto parrocchiale della chiesa di Sant’Andrea a Radicofani (FATTESCHI, c. 12v). Era, forse, nel sito chiamato Malmigliaccio, sotto Castel Morro, dalla parte della Strada dell’Incarcerata che va a Fonte Antese.

8.20 - OSPEDALE DI SAN PIETRO A RADICOFANI

L’ospedale è registrato nelle decime degli anni 1298-99 e 1302-1303 (Rationes, II, p.165). Il 24 aprile 1412 viene donato, insieme ad altri ospedali di Radicofani, al Santa Maria della Scala di Siena (PECCI, IX, c. 147). Scomparso, La strada adiacente al fianco destro della chiesa di San Pietro evidentemente ricorda nella denominazione di via dello Spedale l’ubicazione di uno dei numerosi ospizi di Radicofani. (Don Marcello Magrini lo colloca, ed io sono d'accordo, all'inizio della strada che conduce alla Fortezza, dove si trova il complesso, ora di civili abitazioni subito dopo il muro di retta della strada).

8.21 - «XENODOCHIO DI «MULIERMALA»

In un documento dell’anno 1107 figura lo «xenodochio, quo est aedificatum in burgo, qui dicitur Muliermala» (CDA, II, n. 327). Scomparso. L’ubicazione della località Muliermala è stata recentemente indicata in corrispondenza o nelle vicinanze dell’attuale podere Le Conie, situato sullo spartiacque tra le valli

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi del Formone, dell’Orcia e del Paglia (MAMBRINI e STOPANI, 1988, pp. 29, 32-33, 38 nn. 24-27; WICKHAM, 1989, p. 118 e n. 38).

Sotto sono ricordate le chiese non citate sopra e, alcune di esse, possono appartenere a quel periodo pur non essendo state messe nell’elenco, oppure erano oratori. Nello Statuto di Radicofani del 1441, cit. sopra, nella Rubrica [8] così recita: «I Santese (sacrestani) delle chiesie del castello di Radicofani elencase per generale Consiglio di Radicofani, in nel principio dello officio di messer lo Podestà overo del suo vicario infra otto dì, cioè uno per la chiesa di san Pietro, uno per la chiesa da santo Andrea, uno per la chiescia di santo Giovanni et di Sancta Barbara et uno per la chiesa di santa Maria Novella ecc.» Da questo articolo si evince che, almeno in questo anno esisteva già la chiesa della “Madonna del Roccheto” come viene oggi chiamata quella chiesa prima intitolata a Santa Maria Novella e la chiesa di Santa Barbara, e più sotto ancora diremo, invece, cosa trovò il Gherardini nel 1676.

«CHIESA DI SANTA BARBARA»

Questa chiesa doveva essere romanica finché era dentro la fortezza vecchia, ma nel 1467 (ASS, Concistoro 603, cc. 7r-10r, deliberazioni del 1467, marzo 11 e 12; appendice A, doc. 13.) i senesi decisero di costruire " una cappella in sul poggio fuore del cassaro dove era anticamente la cappella di Santa Barbara, la quale sia longa braccia otto et larga braccia sei, col tetto impianellato et co uno altare dentrovi et sieno tenuti farvi disegnare la figura di Santa Barbara et tutte altre figure di santi o sante come lo parrà et che l'entrata sia verso il cassaro". Questa chiesa viene abbandonata il 19 di luglio 1750, giorno di domenica e festa di San Vincenzo De' Paoli. Nel libro "La città fortificata di Radicofani – AA.VV. - Nuova Immagine editrice – Siena – 1998". (Da questo libro sono riprese tutte le notizie qui riportate) a pag. 204 è scritto "Sopra il masso, a conclusione dei lavori, venne realizzata la "chiesina dello scoglio" riportata nella prospettiva del Ferri del 1699 ma non più, cinquant'anni più tardi, nei disegni del Warren dove compare la sola chiesa di Santa Barbara". La Chiesa di Santa Barbara era la più importante chiesa delle tre (chiesina dello scoglio, chiesa di Castel Morro e quest'ultima) che esistevano nelle fortificazioni, si trovava nelle vicinanze del mastio e vi si accedeva da "una porta per dove si entra due imposte con bandelle, arpioni, toppa e chiave e sua bussola di tela ad un’imposta con sue bandelle, arpioni e sua pestiolo da chiudersi. Finestre cinque, tre a vetrate e due ferrate, e nella sagrestia due porte ad una sola imposta con bandelle, arpioni, toppa, e chiave ad una all'altra, il suo catorcio per dentro, e una finestrina con sua vetrata ferrata a resa di filo di ferro come anche alle altre tre descritte sopra, cioè il filo di ferro per di fuori". Andando indietro nel tempo, se torniamo per un momento al quattrocento, troviamo la chiesa dedicata a Santa Barbara era già ristrutturata dai senesi dopo il 1467 quando si costruì "una cappella in sul poggio fuore del cassaro dove era anticamente la cappella di Santa Barbara, la quale sia longa braccia otto et larga braccia sei, col tetto impienellato et co uno altare dentrovi et sieno tenuti farvi disegnare la figura di Santa Barbara et tucte altre figure di santi o sante come lo parrà et che l'entrata sia verso il cassaro". Larghezza dell'edificio e posizione dell'entrata coincidono con quelle riportate nelle piante successive; non coincide la lunghezza che arriva a quasi 20 braccia corrispondenti a oltre 11 metri, contro le 8 braccia del documento quattrocentesco. Si tratta quindi della stessa costruzione in seguito ulteriormente modificata.

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La chiesa di Santa Barbara, quindi, come si evince da quanto sopra, o meglio la cappella (dove era anticamente la cappella di S.B.) doveva essere romanica quasi certamente, ma con il passare dei secoli, per esigenze militari l'hanno demolita e ricostruita più volte fino alla distruzione completa avvenuta il 17 luglio 1750, come ci dice Don Ferruccio Marcello Magrini nel suo articolo su Amiata Storia e Territorio n. 22, pagg. 35-38- Intitolato “L’ABBANDONO DELLA FORTEZZA DI RADICOFANI (Da un registro dell’ultimo cappellano militare). Ora continuiamo con quanto scritto dal Gherardini nella sua visita a Radicofani nel 1676, come riporto più sotto.

MEMORIE DI UN’ANTICA TERRA DI FRONTIERA E DI FORTEZZE – a cura di Beatrice e Renato Magi – Abbadia San Salvatore – 2006 – Tip. STAMPA 2000.

Pag. 33

Radicofani è sottoposto nello Spirituale alla Diocesi di Chiusi, e dentro la Terra vi sono le Chiese infrascritte, cioè: Chiesa Plebania sotto titolo di S. Pietro con Fonte Battesimale di libera Collazione, goduta dal Prete Giovan Battista Mori, e con il suo organo Sonante, et in buono Stato.

Pag. 34 e segg.

Sono in questa Chiesa Plebania gl’infrascritti Benefici Semplici. Un titolo di S. Martino goduto da’ Prete Andrea Raffaelli, frutta solo scudi tre l’Anno, non ha altro obligo, che la festa titolare; …………… Altro Benefizio Semplice sotto Titolo di S. Benedetto di libera Collazione goduto da Prete Giuseppe Contini, frutta scudi dieci l’Anno, con obbligo della festa del Titolare. Altro Benefizio sotto Titolo di S. Filippo Neri, goduto da Prete Faustino Brinchi………… è di libera Collazione ………………………………………………………………… Altro Benefizio semplice sotto Titolo della Presentazione di Maria Vergine giuspadronato della Famiglia degli Orlandi, goduto da Prete Benedetto Orlandi ………………………………. Altro Benefizio semplice sotto Titolo del Santissimo Crocefisso Jus Padronato della Famiglia de’ Consolini goduto da’ Prete Giovan Battista Salvi………………………………… Altro Benefizio di libera Collazione sotto Titolo di San Michele Arcangiolo goduto da’ prete Cesare Cagnacci……………………………………………….. Altra Chiesa Cura d’Anime sotto il Titolo di Sant’Andrea Giuspadronato dell’Abbate dell’Abbadia s: Salvatore pro’ tempore la gode Prete Iacomo Caciai frutta Scudi 35. L’Anno, con i soliti oblighi de’ Curati. Questa Chiesa è posta in Castel Morro, et i fuochi esistenti in questo nella fortezza, et in sette Poderi della Corte sono sotto la di Lei cura………………………In questa Chiesa vi è un Benefizio semplice sotto Titolo di Santa Lucia giuspadronato della Famiglia dei Vannozzi, lo gode il Clerico Antonio Jacopini……………………………………………… Chiesa, o Compagnia Laicale con Cappa sotto Titolo della Santissima Assunta, ……………….Tiene la detta Compagnia il Cappellano, che si elegge dal Capitolo di essa e vi celebra …………………………………………………………………… Chiesa, o’ Compagnia laicale con Cappa sotto titolo del Santissimo Sacramento………. Chiesa, o’ Compagnia laicale con Cappa sotto titolo di S. Antonio da Padova…………. Chiesa, o’ Compagnia laicale con Cappa sotto titolo del Santissimo Sacramento annessa alla Chiesa di Castel Morro………………………………………………..

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Chiesa con il suo Convento habitato da’ Padri Minori Conventuali, ………………Sono nella Chiesa di questo Convento due Congregazioni, una nell’altare dedicato al Santissimo Rosario……………..Nell’Altare dedicato alla Santiss.ma Concezzione vi è l’altra Congregazione- Chiesa sotto Titolo della Madonna delle Grazie dello Spedale della Comunità di detto luogo, nella quale si celebra per obbligo una Messa la Settimana ogni Sabbato, e vi si fa la festa con tutti i Preti e Frati del luogo il giorno della Madonna delle Nevi. Tutte le sopradette Chiese della Terra sono di Fabbrica capace, bene offiziate, e provviste di Sacri Suppellettili.

Pag. 46

Sono in questa Corte di Radicofani le Chiese infrascritte, cioè: Chiesa sotto titolo di San Rocco, ora però destrutta, ……….. Chiesa posta nella contrada di Gello sotto titolo San Bernardino, lontana circa tre miglia da Radicofani…………………………….. Altra Chiesa luogo detto il Pino sotto titolo di Santa Croce lontana circa tre miglia versa la Valdorcia…………………………………….. Altra Chiesa vicino alla Terra detta Madonna del Roccheto (da recenti ricerche, come più sopra accennato, si è appurato che questa chiesetta, tuttora esistente, era quella che nello Statuto di Radicofani del 1441 (Rubrica n. 8) viene chiamata: Santa Maria Novella, come già detto sopra) ………… Poco fuori della Terra vi è la Chiesa dedicata a San Francesco con il suo Convento habitata dalla religione Cappuccina ………………………………… Pag. 51

14° - Fu domandata a nome de’ bombardieri la Chiesetta della Comunità sotto titolo S. Rocco, o vorriano un Moggio di Terra per poterla con tale Entrata, e con le contribuzioni proprie mantenere, e fare offiziare, giache non hanno Chiesa, e si adunano hora in una Chiesa, hora in un’altra. Non sappiamo se la richiesta dei bombardieri sia stata esaudita, ma credo che, anche se le richieste furono esaudite, fu soltanto per pochi decenni perché oggi non esiste più. Sembra che fosse nel campo a destra di Via Marconi, settantacinque metri circa al centro dove passa la fognatura, e forse proprio nella costruzione di essa sono spariti i resti di questa chiesetta.

Per finire con l’elencazione delle chiese non si può non ricordare la Chiesa della Madonna delle Vigne, e su questa chiesa parla Don Ferruccio-Marcello Magrini nel suo libro che riportiamo subito sotto, il quale ci fornisce tutte le notizie che riportiamo ed anche una visione delle altre chiese.

I PARROCI DI RADICOFANI – a cura di Ferruccio Marcello Magrini – Edizioni Cantagalli – Siena – 1983.

Pag. 53 e segg.

Il parroco Rossini fu l’ultimo a portare il titolo di Pievano. Con lui si estinse, esattamente dopo un millennio, l’antica denominazione originaria delle Pieve romanica di Radicofani. Cinque anni dopo il censimento effettuato per conto delle Dataria apostolica, il pievano Rossini si trovò alle prese con una ulteriore revisione delle «Fabbriche e Fondi rustici» posseduti dal

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Beneficio parrocchiale di San Pietro, questa volta per mandato dell’autorità civile. Dopo l’incameramento dei beni patrimoniali appartenenti agli Ordini religiosi disciolti nel 1780, il Granduca Pietro-Leopoldo di Lorena, passato alla storia col soprannome ironico di «Principe sagrestano» per la sua mania di ingerirsi nelle faccende ecclesiastiche, ordinò il censimento fiscale delle proprietà immobiliari in dotazione alle Diocesi e alle Parrocchie su tutto il territorio della Toscana. L’ordine fu trasmesso agli Enti interessati mediante circolare inviata dalla segreteria del Regio Distretto di Firenze in data 26 settembre 1788. Per la parte concernente il patrimonio della Chiesa di San Pietro in Radicofani, il pievano Rossini affidò l’incarico a un esperto del luogo, Sig. Alessandro Cagnacci, di professione «Perito campagnolo», il quale venne assistito nei rilievi topografici da Giuseppe Rossini, fratello del Parroco. I due revisori eseguirono un dettagliato elenco degli appezzamenti di terreno e dei fabbricati di pertinenza della Parrocchia, rilasciando su carta da bollo con lo stemma della Dinastia Lorenese un attestato dell’estimo dominicale da essi computato in duplice copia, di cui una si conserva presso l’Archivio vescovile di Chiusi nella Cartella n. 90, Inserto n. 2, sotto titolo «Amministrazione del Beneficio parrocchiale di San Pietro»; mentre l’altra fu depositata nella «Cancelleria Comunicativa della Terra di Radicofani», all’interno della Filza intitolata «Affari della Chiesa Parrocchiale» e collazionata sotto il n. 1 dell’Archivio comunale. La relazione scritta di propria mano dall’agrimensore Cagnacci in un quinterno di carta protocollo e datata 25 ottobre 1788, consiste nella lunga e minuziosa descrizione dei numerosi appezzamenti di terreno, distribuiti un po’ dovunque nella «Corte di Radicofani», dei quali la Parrocchia di San Pietro era venuta in possesso nel corso dei secoli a seguito dei frequenti «Lasciti» ereditati per testamento e condizionati all’obbligo dei relativi suffragi. Si tratta per lo più di particelle di modesta entità che, …………………………………………… Oltre a questi «Beni di Suolo», la Pievania possedeva, destro al Paese, la Casa Canonica situata in Borgo Maggiore, una stalla con fienile……. …….e due stanze sotterranee ad uso cantina……. Alla cura di S. Andrea in Castel Morro, certamente aperta fino al 1780, quando la Compievania di San Pietro venne incorporata alla Chiesa della Fortezza, ma che già otto anni dopo il perito Cagnacci dichiara «soppressa», appartenevano i vicini terreni di Poggio Sasseta, delle Pianacce, di Sterposi e della Mattonaia e una successiva perizia attribuisce pure terreni in contrada Fonte Antese. Al Convento dei Padri Conventuali, anch’esso soppresso in quel periodo, oltre la Chiesa di San Lorenzo, oggi dedicata alla Patrona S. Agata, risultano intestati i terreni di San Francesco Vecchio, del Poggio della Benedizione e del Vallocchio. Il grande fabbricato adibito a Convento, che risale al XIV secolo, venne in seguito frazionato e attualmente appartiene a vari enti e privati: ACLI, abitazione Amadei, Ristorante Pascucci (oggi La Grotta), Teatro. Dal generale sovvertimento delle istituzioni religiose si salvò invece, sia pure con tregua momentanea, il Convento dei Cappuccini, grazie alle costituzioni dell’Ordine che facevano divieto ai Frati di possedere beni fondiari, ad esclusione della Chiesa, del Convento e dell’orto, sempre recinto dal muro di clausura. L’indiscriminata riforma imposta da Pietro Leopoldo non rispettò neppure un ente di pubblica utilità, come l’Ospedale di San Pietro, costruito durante il Quattrocento sotto il nome di «Spedale dei Pellegrini» e situato nel vasto edificio che sorge sulla sinistra all’imbocco della vecchia strada del Camposanto. La fine dell’antico Ospedale, che aveva annessa la Chiesa della Madonna delle Grazie, fu decretata allo scopo di confiscare i possedimenti ubicati in contrada Selva Maggiore, Cavellerecce e Baiotto, le cui rendite avevano consentito per lungo tempo di offrire assistenza gratuita agli ammalati del Paese e ai viandanti che si recavano in pellegrinaggio a Roma.

Pag.56

La presenza di un cappellano stabile all’ufficiatura della Chiesa delle Vigne. Questo luogo di culto, sorto per ultimo durante il Settecento in una zona molto popolata della campagna radicofanese, oltre alla Chiesa in stile barocco, disponeva di una spaziosa abitazione e un orto attiguo, come era 85

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi consuetudine delle case canoniche rurali. Detta Chiesa possedeva inoltre una proprietà terriera di oltre dieci ettari, impiantata parte a vigna e parte a bosco, che proprio in questo tempo venne concessa in affitto al Sig. Madioni, gestore dell’Albergo «La Posta», ricordato da una lapide che si trova ancora dietro all’altare nella chiesa di S. Agata. Per capire meglio le vicissitudini delle chiese di Radicofani inserisco in queste pagine un prospetto dell’attivo e passivo della Pieve di San Pietro agli inizi del 1800 e precisamente nel 1803.

Pag. 61 STATO ATTIVO

Fruttato dei Beni della Pieve, circa L. 350,00 Annuale prodotto delle Decime parrocchiali, circa 1500,00 Censi delle soppresse Compagnie laicali 98,88 Frutti della Chiesa di S. Antonio 25,00 Frutti della Chiesa di S. Rocco 12,00 Frutti dell’Opera di Castel Morro 28,00 ______Totale delle Entrate 2.013,88 STATO PASSIVO

Cattedratici alla Mensa Vescovile in grano Staie cinquanta Valutate al prezzo di lire Toscane 3 e Paoli 1 183,68 Tassa Comunicativa 50,00 Olio per lampada del Sacramento 75,00 Bollettini per la Comunione pasquale 6,00 Cera per la Candelora 45,00 Consumo di cera annuale 175,00 Vino, Ostie, Biancheria per le Messe quotidiane de’ Sacerdoti 40,00 Pulizia della Chiesa e Sacrestia 105,00 Manutenzione della Casa Canonica 105,00 Provisione all’Organista e Manticista 40,00 Manutenzione dell’Organo 7,00 Manutenzione degli Arredi Sacri 28,00 Salario al Sacrestano 20,00 ______Totale delle Uscite 879,68

In calce alla Nota segue questa dichiarazione:

«Io Giuseppe Gorgoni, nuovo Pievano eletto della Pieve di Radicofani, approvo i suddetti obblighi a’ quali mi sottopongo. Do’ il mio consenso che il Cappellano di San Piero in Campo esiga dieci Stara di grano delle Decime che pagano a Radicofani la Fattoria del Pero e i poderi denominati: Sodelli, Piano Fondi, Casa Cioli e il Molino della Foscola a titolo di gratificazione per gl’incomodi che esso Sig. Cappellano si prenderà nell’assistenza, nell’istruzione e nell’amministrare i Sagramenti alle anime dei poderi e Fattoria predetta; avrà anco gl’incerti per l’Uffiziatura dell’Oratorio sotto il titolo di Santa Croce in luogo detto il Piano (Pero). Io Giuseppe Gorgoni, di mano propria» 86

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Si noti che il Gorgoni fu l’ultimo Pievano di San Pietro a Radicofani, dalla sua morte i Parroci prenderanno il titolo di Arciprete e la Chiesa da Pieve si nominerà Arcipretura e il primo Arciprete sarà Paris Magrini.

Pag. 118 e segg.

STATUA DELLA MADONNA DELLE VIGNE

Visto il successo riportato con il primo intervento, il Parroco (Don Marcello Magrini l’autore) decise di procedere senza interruzione alla seconda parte del piano programmato, commissionando al Fatini il restauro di un’altra statua di legno policromo, non meno popolare e venerata anche se di minore interesse artistico: la «Madonna delle Vigne». Il titolo attribuito comunemente a questa Immagine sacra deriva dalla località in cui sorgeva l’importante Chiesa rurale che fu, senza dubbio, l’ultima ad essere costruita nel territorio della Parrocchia. Ne fa fede l’interessante relazione compilata il 30 giugno 1676 dal funzionario granducale Bartolomeo Gherardini per incarico di Sua Altezza Serenissima Cosimo III dei Medici. In effetti, mentre il Gherardini riporta accuratamente tutti gli edifici adibiti al culto esistenti in quel tempo nel centro abitato di Radicofani e nel suo Contado, non fa alcuna menzione della Chiesa dedicata alla Natività della B.V. Maria, posta in contrada «Le Vigne». Segno evidente che, all’epoca in cui il rapporto venne redatto, la suddetta Chiesa non era ancora stata edificata per l’ovvia ragione che, in caso contrario, il diligente relatore non avrebbe omesso di segnalarla, considerata la notorietà che essa assunse in seguito. Sappiamo infatti che, fino a tutto l’ottocento, la Chiesa delle Vigne ebbe un proprio Cappellano residente e ottenne la qualifica di «Succursale» della Parrocchia di San Pietro per la zona di campagna compresa nel versante del torrente Rigo. Si può dunque presumere che la fondazione di questo nuovo e popoloso centro di aggregazione religiosa risalga all’ultimo scorcio del secolo XVII. Le uniche date sicure che possediamo intorno a questo fabbricato provengono dalle due campane che si trovano sul campanile a vela eretto sul lato sinistro della facciata, e che attualmente sono in deposito nella sacrestia vecchia della Parrocchiale. Ma si tratta di una testimonianza troppo posteriore per poter essere utilizzata nella determinazione dell’origine della Chiesa. La campana minore, più antica, riporta incise due immagini, il Crocefisso e S. Antonio da Padova, e l’iscrizione disposta in alto lungo una sola fascia: Aere Patrui Michael Benai nepos fecit A.D. 1769. La campana maggiore, più recente, reca in rilievo i due monogrammi di Gesù e della Madonna, mentre l’iscrizione corre su due fasce sovrapposte: Ioannes Baptista Renzi Custos B.M.V. ad vinas ex elemosinis – curavit fieri A.D. MDCCLXXXXI. Per buona sorte, siamo invece venuti a conoscenza di tutte le notizie che riguardano la statua della Madonna. Nel corso del recente restauro, regolarmente autorizzato dalla Soprintendenza, mentre si procedeva alla ripulitura della sacra immagine, è stata rinvenuta, nascosta il piedistallo, la seguente iscrizione che riferisce il nome dello scultore, la località di provenienza e l’anno in cui l’opera venne eseguita: Ans.no Montini – Siena – 1738. Il nome abbreviato dell’autore è tipicamente senese: S. Ansano è infatti il Patrono di quella città. Per una volta tanto, la previdenza dell’artista ha risparmiato ai posteri la ridda delle supposizioni che sogliono dividere gli esperti nell’attribuzione di un’opera, quando vengano a mancare documenti espliciti e probanti. L’identificazione dell’autore ha permesso inoltre di stabilire con certezza l’appartenenza dell’opera alla Scuola Barocca allora dominante, che caratterizzò tutto il Seicento e gran parte del secolo successivo, introducendo una rottura tra due concezioni artistiche. In antitesi alla perfezione raggiunta dall’arte del Cinquecento e simboleggiata dalla linea retta, il Barocco (vocabolo con il quale i Portoghesi designavano le perle irregolari) ricercò con ogni mezzo la linea curva simbolo di movimento, la decorazione ricca ed esuberante, i forti contrasti tra luce e ombra. Introdotta in Italia al tempo della dominazione spagnola, la Scuola barocca si affermò dapprima a Napoli (da qui, la dizione alternativa di « Scuola Napoletana ») per poi risalire la Penisola 87

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi fino alla fascia centrale, dilagando in tutte le manifestazioni artistiche e deturpando in particolare le strutture dei precedenti complessi architettonici con inammissibili forzature prive di ogni validità e giustificazione, delle quali anche a Radicofani, la chiesa romanica di S. Pietro e quella gotica di S. Agata portano tuttora i segni. La statua della Madonna delle Vigne presenta in pieno le caratteristiche proprie dello stile barocco: il movimento generale della composizione, il contrasto dei colori, il panneggiamento svolazzante come mosso dal vento, la ricchezza delle due corone d’argento finemente cesellate e incastonate con pietre dure di color rubino e smeraldo. Ma la ricerca esasperata della novità, tipica del Barocco, risalta soprattutto dall’insieme dell’opera, costituita di due diverse figure, distinte anche se complementari, per cui, dovendo usare un termine esatto, non si può parlare di una singola statua, ma di un gruppo. Ed è questa la caratteristica maggiore che fa dell’originale composizione una vera rarità. In effetti, la Vergine Maria non sorregge sulle braccia il bambino Gesù, secondo i moduli consueti dell’iconografia tradizionale, ma si trova in posizione genuflessa e con le mani giunte in atto di preghiera, mentre il piccolo Gesù, seduto in basso sopra un cuscino, invita i fedeli con l’indice sollevato a rivolgersi alla Madre perché interceda presso l’Onnipotente per proteggere i lussureggianti vigneti dalla minaccia delle intemperie e ottenere abbondante raccolto. Dall’alto dell’Altare Maggiore, incorniciato da un festone di pampini e di grappoli d’uva, la sacra Immagine ricevette per lungo tempo devoto e fiducioso omaggio da parte degli abitanti della zona, attaccatissimi alla loro celeste Patrona, e la Chiesa continuò ad essere officiata ininterrottamente fino all’inizio del Novecento, quando l’ultimo Cappellano residente, Don Francesco Bonsignori, si trasferì a Pienza dove venne nominato prima Canonico e poi Parroco di quella Cattedrale. Successe come Rettore Don Ferdinando Valenti, il quale, essendo impegnato a Radicofani dove svolgeva le mansioni di Viceparroco, continuò a mantenere la sua dimora in Paese e di conseguenza fu costretto a limitare il servizio religioso nella Chiesa delle Vigne ai soli giorni festivi. Purtroppo, anche questa officiatura ridotta dovette essere sospesa nel 1938 in seguito alla scomparsa di Don Ferdinando, e da quella data, essendo rimasto a Radicofani il solo Parroco, la Chiesa delle Vigne rimase definitivamente chiusa, con l’unica eccezione della ricorrenza annuale della Natività della Madonna, che cade l’8 Settembre. Nel clima tenue e luminoso dell’incipiente autunno, si riviveva per un giorno l’ambiente suggestivo di quelle feste campestri, di cui oggi si è perduto il ricordo. Al mattino, dopo la prima Messa della Comunione generale, aveva luogo la Messa solenne in terzo con la partecipazione di alcuni Sacerdoti venuti dai paesi vicini. Seguiva, nei locali dell’ex Casa canonica, il grande banchetto rumoroso e gioviale, offerto dai «Benefattori» che avevano contribuito alla raccolta della questua, e conclusa dai brindisi e dai cori delle vecchie canzoni. Nel pomeriggio, l’intera popolazione del Paese, preceduta dalla Banda musicale, si trasferiva in massa alle Vigne, percorrendo a piedi il lungo tragitto per partecipare al canto dei Vespri e alla processione della sacra Immagine. L’ultimo atto si svolgeva nello scenario del vasto piazzale antistante, all’ombra delle querce secolari, attorno alle bancarelle dei venditori ambulanti, con l’esecuzione del programma ricreativo: la gara dell’albero della cuccagna, il giuoco della pentolaccia, la corsa dei somari recalcitranti sotto la guida degli improvvisati fantini e, per concludere, sull’imbrunire, l’immancabile ballo all’aperto ravvivato dal suono delle fisarmoniche. (Fra i giuochi vi era anche la corsa degli insaccati, ma, guarda caso, non vi era la corsa dei Bigonzi!) Dopo questo libro Don Ferruccio Magrini ha fatto altre ricerche all’Archivio della Curia Vescovile di Chiusi ed ha trovato la data esatta della costruzione della chiesa della Madonna delle Vigne e ha scritto quanto segue:

ARCHIVIO VESCOVILE DI CHIUSI Sezione di Radicofani Cartella n. 95-B

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CHIESA DELLA MADONNA DELLE VIGNE

ANNO 1617 – Dal primo manoscritto apprendiamo che un certo PULLIONE CAMERINI espone al vescovo di Chiusi come nel territorio di Radicofani si trovava un’Edicola con l’immagine della Santissima Vergine detta “Madonna delle Vigne”. Poiché l’Edicola costruita non in muratura, ma con pietre collocate a secco, minacciava rovina, il CAMERINI chiede al Vescovo l’autorizzazione per ricostruire una nuova Edicola murata a calce, utilizzando le offerte non solo dagli abitanti del luogo, ma anche dai paesi vicini che si dimostravano fervidi devoti di tale immagine miracolosa. L’Immagine cinquecentesca, oggi perduta, consisteva in una tela dipinta, poi sostituita nel 1738 dall’attuale scultura, opera di Ansano Montini.

Anno 1716 – L’Edicola ricostruita dal PULLIONE si trovava più a valle, presso un’antica strada che conduceva al torrente Rigo e di cui sussistono ancora le fondamenta della “CASETTA” di cui scrive PULLIONE CAMERINI, essendo in muratura, poté resistere esattamente per un secolo allo smottamento inarrestabile del terreno circostante di natura argillosa e solcato dal fosso del VIEPRE. Ma agli inizi del settecento, anche l’Edicola in muratura era tornata di nuovo inagibile e minacciava rovina. Gli abitanti delle Vigne adottarono allora una soluzione radicale, abbandonarono l’antica Edicola al suo destino, per costruire una nuova Chiesa, più in alto e lontano dal fosso. Scelsero a tale scopo un pianoro nelle vicinanze del podere “VIEPRE” e qui edificarono nell’anno 1716 la grande Chiesa casa canonica pervenuta fino ai nostri giorni. Primo Cappellano-Curato fu il sacerdote radicofanese Don Gabriele GERLINI. Per assicurare il mantenimento del sacerdote incaricato di ufficiare regolarmente la nuova CHIESA, i Priori del comune di Radicofani, Angelo BENDUCCI e Andrea RAGNINI, con pubblico e generale Consiglio del GENNAIO 1734 donarono quattro moggia di terra in contrada SCALDASOLE, riservandosi il diritto di PADRONATO nella chiesa stessa.

(Nel lavoro in ottava rima del Sig. Rappuoli Mario, che riporto qui sotto, vi sono alcune inesattezze ma vi sono in sostanza tante cose che, se non dette, sarebbero andate perdute, però da questa poesia e dalla ricerca di Don Marcello si ha una panoramica abbastanza esauriente sia della festa che della chiesa di questa Madonna delle Vigne).

LA MADONNA DELLE VIGNE (a cura di Mario Rappuoli)

Cari signori, mi son messo in testa, Con questi umili versi di narrare D’una chiesa che restano di questa Vecchi muri per farci ricordare La sua bellezza e quella grande festa Che, in essa, si soleva celebrare, Ogni anno, di settembre il giorno otto Quando non era il mondo sì corrotto.

2 Una leggenda, di cui sono edotto, Dice che in una vigna fu trovata,

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Da un bravo e religioso giovanotto, Una statua di Maria Immacolata. Questi , dal prete, se ne va di trotto Dicendogli, con voce concitata, Che c’era la Madonna che pregava Gesù Bambino, ch’ai piedi le stava.

3 Il buon prete sul posto si recava, Che distava soltanto poche miglia, Dal vecchio Radicofani e trovava, Con stupore e grande meraviglia, La Vergine che il Figlio supplicava. Tosto la decisione, il prete piglia, Che nella chiesa fosse trasferita, Del paese ed in quella custodita.

4 E la cosa fu subito eseguita E venne collocata sull’Altare, Ma la mattina dopo era sparita, Se anche la porta fu fatta serrare; La gente addolorata e sbigottita Subito la Madonna va a cercare E la trova giù nella vallata, Dove, dal giovanotto, fu trovata.

5 E nella chiesa venne riportata E con la chiave fu chiusa la porta, Ma durante la notte era tornata, Giù, alle Vigne senza essere scorta; Il prete, ch’era d’indole ostinata, Alla chiesa, del paese, la riporta, Ma nella notte ancora ritornò Laggiù, dove il ragazzo la trovò.

6 A questo punto più non si portò La statua nella chiesa del paese, Una chiesa per Lei si edificò, Proprio là dove Lei dal ciel discese. La gente tutta vi partecipò,

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Senza badare, per niente, alle spese, Purché la nuova chiesa fosse stata Degna della Madonna Immacolata.

7 La nuova e bella chiesa fu chiamata “Madonna delle Vigne”, ove la gente, Di purissima fede infervorata, Ivi andava a pregar continuamente. Questa leggenda dai vecchi narrata, La quale m’è restata sempre in mente, Ascoltatori, l’ho voluta dire, Perché il ricordo non vada a finire.

8 Giacché, come potete ben capire, Anche se la leggenda è molto bella, Noi non possiamo affatto stabilire Quanta di verità ci sia in quella. Perché la chiesa si fa risalire, Benché la storia non ci dia novella, Alla prima metà del settecento, Quando, laggiù, la gente ebbe incremento.

9 Ulivi e vigne furono in aumento Ed aumentò così la produzione Di vino, d’olio, d’orzo e di frumento, Vanto del contadino e del padrone. Il popolo, però, era sgomento, Perché per la Messa e la Comunione, Fino il paese, su, doveva andare E doveva (per) sei miglia camminare.

10 Ed allora fu fatta edificare, Giù alle Vigne, in bella posizione, Una chiesa spaziosa per ascoltare La santa Messa e tutta la Funzione. Nel campanile fecero istallare Due campane d’un’ottima fusione E quella chiesa fu poscia abbellita Dalla casa del prete, ivi costruita.

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11 La chiesa, nell’interno, fu arricchita Da una Madonna lignea col Bambino, Con gran bravura e fascino eseguita, Che ricalcava molto da vicino Quella della leggenda, or ora udita, Che tiene le man giunte e il capo chino Sopra al Bambino c’ai suoi piedi siede, Bella scena dell’arte e della fede.

12 Ed un bel Tabernacolo si diede, D’alabastro, con stile lavorato, Alla stupenda chiesa e ben si vede Che da , lì, venne portato. Un sacerdote fisso vi risiede E vi affluisce gente da ogni lato, Per ascoltar la Messa e la Funzione, Con tanta fede e grande devozione.

13 Uomini e donne senza distinzione, Nutrivano un sincero attaccamento. Alla Madonna e a Lei, con compunzione, Perdon chiedean per qualche mancamento. Il prete tenne, lì, l’abitazione, Come si sa, per tutto l’ottocento, Poi il sacerdote venne trasferito Ed il servizio fu diminuito.

14 Il prete che l’avea sostituito Era impegnato con altre mansioni Quindi il servizio venne garantito La domenica e poche altre eccezioni. Questo servizio, da tutti gradito, Venne soppresso per chiare ragioni: Il prete, che in paese, risiedeva, Nel trentotto, purtroppo, decedeva.

15 L’arciprete, da solo, non poteva

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Fare, sebbene ridotto, quel servizio, Così la bella chiesa si chiudeva E quella, della fine, fu l’inizio. Tosto la guerra inutile esplodeva, Che tutti ci portò nel precipizio. La Chiesa delle Vigne fu occupata Dai marocchini e quindi devastata.

16 E da quando, la chiesa, fu lasciata Dalle truppe francesi combattenti, È rimasta per sempre abbandonata Ed oggi restan sol muri cadenti. La pregevole Statua fu salvata, Dalle grinfie di quell’orde inclementi, Grazie ad un bravo milite francese Che con fede e coraggio la difese.

17 Tuttora, nella chiesa del paese, si conserva la Statua prediletta, Dove, per evitar brutte sorprese, Si portò dalle Vigne, in tutta fretta. Le due campane, che restaro illese, Qui da San Pietro, mandan voce schietta. Il Tabernacolo anche fu salvato Ed in San Pietro viene conservato.

18 Della festa, alle Vigne, oggi è restato Solo il ricordo e molta nostalgia, Quando il popolo, tutto entusiasmato, A piedi, da lontano, si partìa. E chi la quarantina avea passato Sull’asina, a bisdosso, ci venia; All’asina attaccava un fagottino Con il prosciutto, cacio, pane e vino.

19 La festa cominciava nel mattino, Con la prima Messa e la Comunione, Si pregava la Vergine e il Bambino, Per aver e dal cielo la protezione.

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Finito ch’era, poi, il rito divino, Si formavan gruppetti di persone Tra i banchi, all’ombra delle querce annose Dove vendeano vino ed altre cose.

20 Le bibite al ghiaccio eran famose, Famose eran pure le porchette, C’eran mele, fichi e pesche polpose E l’anguria che si vendeva a fette; C’eran susine e pere succose, Uva matura e noci belle e schiette. E tra la folla li sempre più spessa, S’era giunti, così, all’altra Messa.

21 Dove la gente, zitta e genuflessa, Commossa ascolta la Messa cantata In onore de la Madonna stessa, Che da tre preti viene celebrata. Ognuno ascolta, prega e fa la promessa Alla Vergine bella e Immacolata: Nell’aiuto, di Lei, di confidare E mai più, nel peccato, ricascare.

22 Dopo la Messa si soleva fare Un gran banchetto, nei grandi locali Dell’antica canonica, per dare Mangiare e bere a molti commensali. A questo pranzo si potean gustare Ottimi vini e piatti originali, Grazie ai cuochi che avean cucinato E grazie a quei ch’avean collaborato.

23 Ed una volta il pranzo terminato, Si sostava a cantar vecchie canzoni E romanze ben note del passato, Come era nell’antiche tradizioni. Da casa sua, per sue proprie ragioni, Si prendeva, con cura, il fagottino Ben contento di fare uno spuntino.

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24 Più fortunato chi stava vicino, Che alla festa si potea recare, Dalle primissime ore del mattino, Cosi la Comunione potea fare. Parlare poi potea col contadino E verso mezzodì, potea tornare A casa a gustar vini prelibati E molti piatti assai ben cucinati.

25 Dei convenuti molti eran chiamati A pranzo dagli amici della zona, Laddove erano stati preparati Vini squisiti e roba molto buona. Ogni famiglia avea molti invitati Che il capoccia, degnissima persona, Dice loro di bere e di mangiare E della festa seguita a parlare.

26 Nel pomeriggio, poi, soleva andare Tutto il paese, a piedi, alla gran festa, Felice si metteva a camminare, Con la banda locale sempre in testa. Giunti giù, tutti andavano a pregare, Nella chiesa, con aria grave e mesta; Al vespro si assisteva e alla Funzione E s’andava alla grande Processione.

27 Poi il prete dava la Benedizione A tutti quelli ch’erano presenti, Alla Madre Pia, chiedea la protezione Delle Vigne, dei campi e degl’armenti. La banda suona suona a profusione Ed incominciano i divertimenti Dei cazzotti, dei giuochi e della danza, Tanto di tempo, ce n’era abbastanza.

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Di fare a pugni vecchia era l’usanza, E spesso c’era chi solea aspettare Un anno intero, con perseveranza, Onde potere i conti regolare. C’erano quelli poi che, con baldanza, Trovavan sempre il modo d’attaccare: Il troppo vino li facea impulsivi E se li davan per sciocchi motivi.

29 I giuochi eran giuochi primitivi: La cuccagna e la corsa dei somari, Dove fantini di esperienza privi, Le cadute facean spettacolari. E dentro ai sacchi giovani giulivi Facean la corsa su percorsi vari; Per ultima veniva la padella, Con attaccate cinque lire a quella.

30 Ma la danza era la cosa più bella, Perché, li, sul terreno si ballava, Dove la gioventù, agile e snella, Al suon della fisarmonica girava. Le donne allor portavan la gonnella E il polverone che si sollevava Le copriva la pelle verginale, Ma anche polverose, eran belle uguale.

31 E spesso spesso, dell’amor, lo strale Alle fanciulle le feriva il cuore, Perciò non era affatto casuale Se si innestava un vincolo d’amore. E dopo tutto, che c’era di male Se una ragazza bella come un fiore, In quel giorno si fosse fidanzata, Quando la Madonna era festeggiata?

32 Ormai, s’era alla fin della giornata, I giovanotti si sentian beati D’accompagnar la nuova fidanzata

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E i vecchi a casa, già, erano andati. La festa, si bella, era terminata, Bella specie pei nuovi fidanzati. Fu infatti detta, da lingue pungenti: “Festa dei pugni e dei fidanzamenti”.

33 Io, della chiesa e dei festeggiamenti, Ne ho sentito parlar sin da piccino, Perché mia madre, con altri parenti, Era nata e cresciuta li vicino; E nutriva devoti sentimenti Verso quella Madonna col Bambino E sempre le diceva una preghiera, Nel suo santo Rosario della sera.

34 Anche tutt’oggi, con fede sincera, Quella Madonna è sempre venerata, Con Triduo, Messa e Cantici la sera, Qui in San Pietro, quando è Festeggiata Ascoltatori, questa mia maniera Di cantar, spero che vi sia garbata. Sono Rappuoli Mario (il Postino) rimatore E vi saluto dal fondo del cuore.

Radicofani, lì 30 settembre 1989.

Nota: La nota riportata qui sotto è stata scritta dal Rappuoli che era amico e nato nel 1916 come mio padre: Francesco Magi! Dopo alcuni anni dalla composizione di questo lavoro in ottava rima sulla “Madonna delle Vigne”, siamo venuti a conoscenza che la chiesa attuale (della Madonna delle Vigne), venne eretta nel 1716. (Duecento anni esatti prima che io venissi al mondo).

PRIME COMUNITA’ CRISTIANE E STRADE ROMANE NEI TERRITORI DI AREZZO – SIENA – CHIUSI - (Alfredo MARONI) - (Edizioni Cantagalli – Siena – 1990) - (Ristampa dell’edizione del 1973).

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Nell’Estimo di Castelvecchio, presso S. Gimignanello, sono riportati i toponimi: «la via d’Asciano» e «le vie di Sentino». (Qui c’è una nota, la numero 84 che recita così: A.S.S., Estimo 33, c. 484. I Sentinati, di cui parla un apocrifo Decreto di re Desiderio (FAURE, Memorie apologetiche del marmo viterbese, vol. I, pag.134), sono frutto di un’invenzione di chi trasse spunto dal nome Centeno, località sulla riva sinistra del Paglia sotto Radicofani, per localizzare in quella zona il popolo dei Sentinati, per i quali Desiderio avrebbe costruito Radicofani e . Centeno appare piuttosto un prediale (podere, fondo) dal gentilizio latino Centinius o da centenum = segale.

Pagg. 54 e 55 I raccordi stradali tra la via Cassia e Siena. La prima strada romana che univa la Cassia con Siena avrebbe seguito, secondo l’opinione comune ripetuta ultimamente da Bonelli, (F. Bonelli, Il monastero di Abbadia S. Salvatore ed alcuni edifici pre-romanici ad occidente del Monte Amiata, in Bullettino della Società Storica Maremmana, 18 (giugno-dicembre 1968), pp. 37-44.) il percorso Acquapendente, Ponte al Rigo, S. Pietro in Paglia, da qui entrando nel piviere di S. Lorenzo avrebbe toccato le chiese di S. Cristina di Callemala che secondo un documento del 903 (A.S.S., Diplomatico del monastero di S. Salvatore, pergamena ad annum (a. 903) ) sorgeva presso il fiume Paglia, S. Quirico e la pieve di S. Lorenzo nel vico Trefossata (come nella parentesi precedente ad annum (anni 797, 798, 896) ) e avrebbe proseguito per il Formone, Ricorsi, Briccole e S. Quirico d’Orcia. Avrebbe percorso cioè quell’itinerario già detto «via francesca» in un documento dell’876 (come nelle precedenti parentesi ad annum (a. 876) e descritto dal vescovo Sigerico nel 994. La strada venne poi sostituita dopo il 1191 con la via più lunga che passava per Radicofani che fu percorsa in quell’anno da Filippo Augusto re di Francia e che è stata fino ai giorni nostri l’arteria di comunicazione tra Siena e Roma. Targioni Tozzetti scrisse che la carta del Granducato di Toscana pubblicata da Matteo Setter, geografo del ‘600, «si trova la strada romana moderna segnata da Acquapendente, Ponte a Centeno, S. Casciano de’ Bagni, Castiglioncello, Spedaletto e , perché il Setter l’avrà trovata così notata in qualche libro antico di Poste, avanti che o la Repubblica Senese o il Granduca Cosimo I la voltassero come sta ora». (G. Targioni TOZZETTI, Relazioni d’alcuni viaggi ecc., tomo IX, p: 294). Il toponimo Migliari a nord-est di Radicofani indica chiaramente il passaggio della via romana, la quale perciò non seguiva i due tracciati esposti ma con un cammino molto più breve, dopo Ponte a Centeno, Ponte al Rigo, saliva a est di Radicofani seguendo da vicino il corso del Rigo, forse per l’attuale «La Novella» e Casa al Sarti e raggiunta la pieve di S. Donato e Migliari, nello spartiacque tra il Rigo e l’Orcia, si dirigeva a destra verso l’Orcia. La traversava al «vadum de petrosa», come appare in una carta del 1038. (A.S.S. Diplomatico del monastero di S. Salvatore, pergamena ad annum – a. 1038-). Da qui la strada si portava a S. Andrea di Reiano o Reggiano (Regius) oggi S. Andrea di Chiarentana. Dell’antica chiesa rimane oggi una piccola cappella: il suo titolare ricordato negli Statuti di Chiarentana, venne trasferito nella chiesa di S. Bernardino al Castelluccio. Questo tratto di strada appare in una carta amiatina del 1086 «ad ecclesia S. Michaelis de Muxona (S. Angelo di Cerviaia) usque ad viam petrosam que venit ad ecclesiam S. Andrete de Reiano…». Nel castello di Reggiano si fermò l’imperatore Ottone I nel 962 ed emise datato da questo luogo un privilegio a favore dell’abbazia di S. Salvatore sull’Amiata. Dopo Chiarentana la via traversava il torrente Miglia: una «Plagiam Milie» è già menzionata in una carta del Libro delle Coppe di Montepulciano del 1243 (A.S.S. Libro delle Coppe di Montepulciano, c. 133 r.) che potrebbe ricordare, come arguisce il Pieri per un anonimo torrente presso Suvereto (Livorno), il nome «Via Aemilia» di questo tratto Bolsena-Siena. Per Palazzo di Polo, la via toccava l’hospitalis S. Nicolai del medioevo, ospedale che trova la sua ragion d’essere

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi unicamente nella presenza di questa antica strada, dato che la via francesca correva dall’altra parte del fiume Orcia.

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Il privilegio di Ottone III del 998 la denomina ancora «Baptisterium S. Viti in Pruniano», ma risulta chiaro dagli errori della carta, che ci si curò di copiare i precedenti elenchi senza badare se la chiesa aveva cambiato il titolare o meno. La facilità con cui avveniva tale cambiamento è già stata notata per la pieve di S. Vito poi S. Giovanni in Corsignano. Lo troviamo anche nelle pievi di S. Donato di Radicofani, di S. Cristina di Lucignano d’Arbia, dedicate al Battista nelle Rationes del 1276. Pag. 219

S. Donato «de Radicofano», detta dalle Rationes Decimarum del 1275 «plebs S. Iohannis» per l’uso diffuso di unire il nome del Battista a quello del titolare fino a sostituirlo. È ricordata in carte del 1014 e 1067, non si conosce la sua ubicazione, sorgeva probabilmente nello spartiacque tra l’Orcia e il Rigo. (Vedi note scritte più sopra quando si parla della stessa chiesa)

Fra i libri vecchi vi sono due stampe anastatiche da cui riprendo quanto scritto sotto:

RELAZIONE DELLA CITTA’ DI FIORENZA E NEL GRANDUCATO DI TOSCANA – sotto il regnante Gran Duca Ferdinando II – a cura di Galeazzo Gualdo Priorato – ristampa anastatica –Arnaldo Forni editore S.p.A. – Bologna - ottobre 1977 – l’originale edito in Colonia nel 1668.

Pag. 80 Lu∫uolo in Luneggiana è pur Fortezza con∫iderabile, & ine∫pugnabili ∫ono la Terra del ∫ole, la Fortezza dal ∫alto della ceruia, e Redecofanni.

TRADIZIONI POPOLARI E LEGGENDE DI UN COMUNE MEDIOEVALE E DEL SUO CONTADO (SIENA E L’ANTICO CONTADO SENESE) – a cura di Giuseppe Rondoni – ristampa anastatica – Arnaldo Forni editore S.p.A. – Bologna.

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Troppo lungo sarebbe ripetere le mille storie fantastiche dell’antica Maremma e delle montagne che le fanno maestosa corona. Venendo dall’Amiata al monte pittoresco di Radicofani, dove le mura robuste di pietra basaltica riquadrata sembrano anche oggi ripetere storie di vendetta e di cavalleria, e dove il Gigli segnalava tanta dovizia di tradizioni e di memorie, incontriamo una leggenda che allietò forse i riposi di Ghino di Tacco e dei suoi fieri compagni, e che fu ripetuta, come storia vera, da quei poveri campagnoli quasi fino alla metà del secolo decorso. Narravasi cioè che un romito ricettava in quei luoghi Fiovo, figlio di Costantino, smarrito e fuggiasco con due altri compagni per avere in corte ucciso un potente signore. Mentre restò celato co’ suoi in Radicofani, l’angelo che 99

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi recava ogni giorno un pane al romito ne portò invece quattro, ed in fine consegnò ai ricoverati l’orifiamma (bandiera con stelle e fiamme d'oro in campo rosso, insegna militare dei re di Francia nel Medioevo). Allora il solitario palesò a Fiovo di essere il suo zio, e tutti ritornarono in corte. Così la fiaba popolare, curiosissima perché ripete, combinandoli e localizzandoli in parte, due celebri racconti del Fioravante e de’ Reali di Francia. Il Rayna, nelle sue belle e dotte ricerche intorno ai Reali, ne pose in chiaro le differenze e la natura188. Infatti, mentre, secondo il Fioravante, Fiovo è nepote, ne’ Reali è figlio dell’imperatore, e mentre i secondi lo fanno giungere nelle selve di Corneto, il primo lo vuole ricoverato sulla montagna di Radicofani. Ne’ Reali il romito si chiama Sansone, è zio di Fiovo; ma non si dà a conoscere, nel Fioravante non dice il nome di lui, né si fa cenno alcuno di siffatta consanguineità, e, laddove ne’ primi Giamberone e Sanguino si uniscono con Fiovo, e partono col romito per la guerra, nel Fioravante egli, dopo essersi confessato da Fiovo, muore e va il cielo. Ora, nella nostra novella, seguendo la versione dei Reali, si piglia dal Fioravante la notizia di Radicofani, e si aggiunge il riconoscimento fra zio e nipote, A buon conto, perché la prosa del Fioravante è più antica di quella dei Reali, e risulta di varie narrazioni riunite insieme, con istrettissima affinità con cantari e romanzi francesi, e con la saga islandese, resta chiara l’antichità, e forse anche la derivazione originaria francese della nostra novella, e forse anche la esistenza di una qualche versione locale, in parte smarrita, delle celebri leggende, tanto più che in Radicofani gli spiriti cavallereschi furono certo assai vivi, talché un masnadiere Ghino di Tacco, largheggiò in cortesie degne di romanzo e di poema. Anche la leggenda del re Giannino attribuisce a Radicofani l’avventura.

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Nel castello di Radicofani un medico, recandosi presso un grandissimo usuraio infermo, essendo il cielo stellato e l’aria senza nuvole, fu arrestato «da due grandissimi tuoni e baleni». E volendo entrare in camera del misero peccatore «venne un altro baleno con un tuono sì orribile che chiunque era nella camera fece stordire e cadere accovolati in terra». Di lì a poco l’infermo era già cadavere, e intanto rovesciavasi sulla terra una grandine con tanta tempesta che parea che «dovesse sonnabissare ». Se tuoni e procelle erano allora operazione diabolica, pensi ognuno che cosa non si favoleggiò dei terremoti. Pel buon fra Filippo fu una schiera di gente a cavallo molto terribile che scosse e ruinò le case di Borgo San Sepolcro, appena che una voce ebbe gridato: percuoti. Entrarono nella terra di notte, né alcuno li vide, salvo alcuni villani di ritorno alle proprie case, ed un giudice del Potestà levato a recitare il mattutino. Leggenda simile a quella dell’eremita di Vallombrosa che scorse un tumulto di guerrieri formidabili via trascorrenti, de’ quali uno scongiurato esclamò: andiamo ad affogare la città di Firenze per le sue colpe se Dio lo permette, ed all’altra della galea piena di demoni che ratta solcava la laguna per devastare Venezia liberata da tre santi ascesi sopra una barca da pescatore. A scongiurare tali pericoli si usavano anche in Siena i telesmata, oggetti che si seppellivano nelle fondamenta dei pubblici e privati monumenti.

Dal libro che qui di seguito riportiamo, è stata ripresa tutta la storia che fino ad oggi si sapeva su Radicofani. È veramente importante, perché soltanto dopo gli studi fatti da F. Schneider, Kurze e Wickham con le ricerche sull’Abbazia di San Salvatore, e tutti quelli che presero parte al simposio per il 950° anniversario dell’Abbazia e soprattutto la pubblicazione del Codice Diplomatico Amiatino, questo era il libro più importante (o quasi) di tutta la storiografia della Val d’Orcia. Oggi le ricerche fatte da quegli storici ci hanno apportato altre notizie che fanno capire più a fondo la storia della nostra Valle con notizie certe dettate dal Codice suddetto. Quando si parla della guerra che Cosimo I, insieme alle truppe imperiali, sferrò contro la Repubblica di Siena, per divenire, i Medici, Granduchi della Toscana, e

188 Collez. Di Opere inedite o rare, i Reali di Francia, vol. I, p. 19 e segg. 33 e 47-48, 61, Nei Reali il fatto di Fiovo è narrato nei libr. 1, 7, 8, 9. Cfr. Gigli, Diario, II, p. 313. 100

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi anche in questo caso riporto soltanto le parti che riguardano il paese di Radicofani. Questo libro, infatti, vuol parlare esclusivamente di Radicofani e suo Comune. In certi momenti, cita racconti che, in qualche modo fanno intuire le vicende che la nostra gente visse in questa guerra, che tolse la libertà alla Repubblica, e le cui gesta influenzano ancora gran parte di Siena e della Val d’Orcia. Chi vorrà informarsi meglio e più accuratamente dovrà leggere tutto il libro.

I CASTELLI DELLA VAL D’ORCIA E LA REPUBBLICA DI SIENA – a cura di Arnaldo Verdiani-Bandi – L’Arco dei Gavi – Montepulciano – Siena Tipografia Turbanti MCMXXXVI – Seconda Edizione – La presente edizione anastatica in cinquecento copie è stata impressa nel mese di giugno MCMXXIII dalla tipografia Cantagalli di Siena

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Il territorio Chiusino a quei tempi vastissimo, giacché sembra si estendesse a gran parte della Maremma senese, comprendeva nel suo bel mezzo ciò che oggi si chiama Val d’Orcia. E se il fatto della cerva inseguita dal lupo, narrata da Tito Livio, e la testa di cinghiale e la figura del cacciatore, rappresentate nelle antiche medaglie di quella metropoli, son indizi della rusticità del suo territorio, gli importanti ipogei scoperti nei dintorni di Chianciano, di Montepulciano, di Castelnuovo dell’Abate e nell’agro senese e la probabile origine etrusca dei nomi Follonica e Sarteano, danno contezza di come quei luoghi fossero abbondantemente abitati. La potenza di Chiusi era sì grande, che Roma ne tremò: e la vastità del suo dominio servì di pretesto di guerra a Brenno Re dei Galli189. Tutto ciò basterebbe a dimostrare come la Val d’Orcia dovesse essere a quei tempi fiorente, quand’anche non ne dessero certissima prova i sepolcreti, trovati nel secolo passato presso Pienza e San Quirico190 e quelli importantissimi di Castiglioncello del Trinoro, ove si rinvenne tale quantità di cimeli, di lavori di figuline e di preziosi metalli, da ritenere «esservi stata costà la necropoli di qualche grossa terra perduta»191 per non parlare di altre scoperte, già fatte e che via via vanno facendosi, nel territorio di S. Quirico, di Castiglione192 ed in tutte le colline circondanti la valle. Tutto insomma, anche la loro stessa ubicazione, persuaderebbe ad assegnare a questi paesi un’origine Etrusca. …………………………………………………………………………………..

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Quanto poi al nome del fiume, da cui s’appella questa contrada, se alcuno lo crede una corruzione di Horchia, dea etrusca, quasi fosse ad essa dedicata193, altri invece lo ritiene derivato da una famiglia Urcia, antichissimamente, potente in questi luoghi194. Il fatto sta che il nome di Orcia, che fin dai tempi dei Longobardi si trova alcuna volta corretto in Orclas da quella barbara latinità, andò trasformandosi nel Vadus Ursus dei secoli Carolingi, per finire nell’Urcea delle età posteriori. ………………………………………………………………………………………

189 PLUTARCO – Vita di Camillo. 190 «Nel mese di aprile (1751)non molto distante dalla Terra (S. Quirico) fu scoperto un sepolcro degli antichi Toscani e in esso ritrovate molte urne e vasi con camei allacciati e con caratteri di quel tempo, che molto bene indicano essere stato quel luogo abitato da quegli antichissimi popoli». – PECCI – Lo Stato Senese Ms. nella Biblioteca Moreniana di Firenze, tom. V, fog. 176. 191 REPETTI – Dizionario etc., vol. I, pag. 593. 192 G. PELLEGRINI – Notizie degli scavi, dicembre 1898. 193 GIGLI – Diario senese Ediz. Moderna, tom. 2°, 484. 194 REPETTI – VOL. 3°, pag.682. 101

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All’incontro di S. Filippo poco si sa. Perché intorno alle sue terme, non esiste, a detta dello stesso Repetti, documento anteriore al secolo XIV195. …………………………………………………………………………………………………

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Se la parola rocca (arx) denotava spesso la parte più alta e più inaccessibile del castello, quando era data ad un intiero paese, supponeva sempre un luogo fortissimo per natura e per arte, in elevata posizione e di difficilissimo accesso essendo sempre situato sulla cima di una forte scogliera. ………………………………………………………………………………………… ……………che altri luoghi, come Castiglione (Castrum Leonis) Castiglioncello Latronoro, detto poi del Trinoro (Castrum Latronum) Castelvecchio (Castrum Vetus) etc. nei quali la comune parola castrum entra a far parte di denominazione e in certo modo li caratterizza, doverono, molto probabilmente esser ridotti allo stato attuale in quel tempo, in cui le asperità naturali li rendeva sì cari ai signorotti feudali. Né diversamente è forse da dirsi di Monticchiello, Campiglia e Radicofani. E il Palazzo di Geta, a cui veniva sempre applicato il nome di Castellare e la Rimbecca e il Castelluccio Bifolchi, senza parlare dei castelli di Vignoni e di Spedaletto, erano anch’essi luoghi più o meno fortificati. Né questi, tuttora esistenti, erano, per avventura, i soli che fossero parte di quell’ampio sistema di fortezze, che si trovano in Val d’Orcia. Perché, quantunque sia certo che di moltissimi è andata perduta ogni memoria, abbiamo nondimeno notizia come esistessero fin dal secolo IX, Castel di Villero nei pressi di Cosona196 ed un Castello d’Orcia d’ignota ubicazione. Si ha poi memoria del castello di Montertine antichissimamente abbattuto197, di Reggiano, le cui rovine si trovano sull’Orcia fra la Foce e Castelvecchio198, della Foscola, del castello di Mojana, delle Rocchette di Radicofani. Di Perignano distrutto dai Senesi, di Castel Franco e della Bicocca presso Campiglia, tutti oggidì totalmemte scomparsi, senza parlare di altri, dei quali sarà fatta a suo luogo menzione. Quella continua guerra di rappresaglie fra signorotti feudali e fra questi e la repubblica, nonché le straniere invasioni, furono la causa di un così ampio sviluppo di fortificazioni in questa regione, che può dirsi fosse posta in pieno assetto di guerra. Perfino la Briccola che, qualificata costantemente col titolo di Burgo199, non dovrebbe essere stata mai luogo forte, porta un nome guerresco200. Tutto ciò adunque necessariamente si connette a quell’epoca, in cui sulla larga costituzione romana vennero innestandosi quelle piccole sovranità, che formarono il sistema così detto feudale, al quale preluderono quelle invasioni di barbari, che portarono una così radicale trasformazione nell’ordinamento delle cose d’Italia. È dunque giuocoforza fare un salto nel bujo per giungere ai tempi della dominazione dei Longobardi, che di tutte quelle orde di barbari, che desolarono l’Italia, avendo tenuto più stabile signoria, furono quelli che lasciarono maggiori tracce nei paesi conquistati e gli unici che ne lasciassero qualcheduna sui luoghi dei quali trattiamo. Fra le dense oscurità, che circondano il primo periodo di loro invasione, è lecito affermare che la Toscana non sfuggì all’universale disastro e che anzi il territorio di Siena fu una delle province, dove l’elemento longobardo venne più largamente a sovrapporsi al vecchio elemento latino. Difatti negli anni posteriori, in cui le tenebre cominciano a

195 I documenti cui accenna il Repetti sono, molto probabilmente, quelli riportati dal Vigni nella sua Descrizione del Casale e Bagni di S. Filippo, ma per la verità fin dal sec. X (995) in un diploma di Ugo Marchese di Toscana, emanato a favore dei monaci della Badia S. Salvatore, questo luogo vien qualificato col nome di Bagno (Liverani Catacombe Cristiane di Chiusi, pag. 281). 196 LIVERANI – Catacombe etc. pag. 272. 197 BANCHI – Statuti Senesi, vol. 3° pag. 249. 198 LIVERANI - Catacombe etc., pag. 284. Da questo castello, che Muratori afferma non saper dove fosse, fu dato un diploma da Ottone I nel 961. 199 Si chiamano Borghi le domorum congregationes, quae muro non claudebantur. 200 La Briccola era una macchina militare che, come la catapulta dei romani, serviva a scagliar grosse pietre nelle città assediate. 102

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi diradarsi, si trova Chiusi già eretto in Ducato e la città e il territorio di Siena far parte del patrimonio reale, come esplicitamente risulta da un tal documento, riguardante una controversia agitatasi tra i vescovi di Arezzo e di Siena, ove vien detto che quest’ultima era dominicata ad manus Ariberti regis Longobardorum e fin dal 678 si trova rammentato certo Willerat, gastaldo del re Perterite. Il ricchissimo archivio dell’Abbadia S, Salvatore fornì agli archeologi una copiosa messe di documenti, fra i quali con somma fatica spigolando, può raccogliersi qualche cenno fugace sopra i nostri castelli201. L’aver poi mantenuto i Longobardi, per lunghissimo tempo, l’antico loro costume di vivere alla campagna202, fece sì che i mark, ove i principali risiedevano con quasi assoluta autorità, divennero ben presto piccoli centri, ove andava raggruppandosi quel ceto di popolo, che attendeva ai lavori campestri. Quindi l’agricoltura e le arti affini trovarono incremento in un tempo, in cui si godeva di una pace quasi generale, tanto più che questi stranieri invasori oramai «non ritenevano di forestieri altro che il nome»203. Alcune concessioni, fatte a chi si dedicava a nuove coltivazioni, doverono essere di sprone al miglioramento delle condizioni agrarie e dai documenti dell’epoca si rileva infatti, come fosse abbastanza estesa la coltura specialmente della vite e dell’olivo204. Con tanto fervore si erano dati poi i longobardi alla loro nuova religione, che le fondazioni delle chiese e dei monasteri, fatte durante la loro dimora in Italia, furono assai numerose, cominciando fin da allora quei lasciti pro remedio animae, che seguitarono poi anche nei secoli successivi, con tanto vantaggio della Chiesa. Fu pure attorno a questa epoca che quasi ogni monastero ed ogni oratorio sì era annesso uno spedaletto o un ospizio, a vantaggio dei viaggiatori poveri o malati e dei pellegrini che si portavano a Roma. E «particolarmente poi uso fu di quei tempi fabbricare questi ospizi di carità, per sussidio e comodo dei pellegrini, dove si dovevano passare i fiumi senza ponte e valicare la cima dei monti»205. Né sarebbe affatto improbabile, che datassero fino da quest’epoca le fondazioni dell’Ospizio di S. Maria a Tuoma, dello Spedaletto di Val d’Orcia e dell’Ospizio o Spedaletto di Briccole, che son luoghi antichissimi, ma dei quali non si ritrova l’origine. Certo è che simili fondazioni, fatte dai Longobardi nel territorio Senese, furono assai numerose: perché quella tal controversia, insorta al tempo del re Liutprando (712) fra i vescovi di Siena e di Arezzo, che ha fornito il documento più completo ed interessante dell’epoca Longobarda, non ne lascia alcun dubbio. …………………………………………………………………………………………………… Pag. 20 e segg.

Di Agello, qualificato coi nomi di vico o casale, e che in un istrumento del 750 viene indicato per Agello ad Orcia, si trovano frequentemente rammentati, nei diplomi Amiatini del secolo VIII, i

201 Questi documenti peraltro, non andando al di là del secolo VIII, si riferiscono soltanto agli ultimi anni della permanenza dei Longobardi in Italia, a quando cioè, dismessa la primitiva ferocia e convertitisi, per opera della regina Teodolinda, alla fede cattolica, era venuta a mancare una delle principali cause di dissidio. 202 È noto che i Longobardi dividevano il loro territorio in tante parti chiamate nel loro linguaggio gau (parola che fu tradotta in quella di comitatus e quindi contado) ove avevano piena autorità i graf (comites, donde venne poi la parola di conte) che fungevano da capitani in guerra e da giudici in pace ed erano nei loro giudizi assistiti da alcuni notabili, che furono più tardi chiamati scabini. Il gau poi, o contado, si divideva in parecchi mark (vici) ove abitavano le fare o tribù, il capo delle quali (faro, baro, barone) risiedeva in mezzo nel suo castello (curtis, corte) e gli altri all’intorno. 203 MACCHIAVELLI – Istorie Fiorentine. Le Monnier, pag. 31. 204 Un istrumento del 736 stipulato in Agello, che fu vico o casale di Val d’Orcia, ci dà un esemplare della vera conduzione coloniaria e dell’annua corrispondenza dei frutti al padrone. Per chi ne avesse vaghezza, eccolo nella sua barbara latinità. «Placuit atque convinet inter Tasulu Centinarius et Pertulu qui Baruccio ut resedire divea suprascripta Baruccio iu casa Tasulu in fundo Agelli in tertiam pars de uncia una, et persolvat in Angarias tertiam septimana; de vinea facta tertia mensura, de quod plantaveri quarta mensura; in die Natale panis duo et parum pullis et in pasca similiter et unum pecus si abuerit etc.» Le angarie, erano le opere manuali alle quali era tenuto Pertulo per tre settimane dell’anno. Della vigna fatta deve corrispondere la terza parte della raccolta, di quella che avrebbe piantato la quarta, e più due pani ed un paio di polli per Natale e per Pasqua ed un agnello se lo avesse avuto. Si notino, casa, septimana, Natale, parole prettamente Italiane. 205 MURATORI – Antichità Italiane, tom. 2°, pag. 466. 103

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi vigneti, ed è fatta menzione del suo giusdicente (Sculdais) e del suo Centenario206. Di questo casale, di cui è perduta qualunque ricordanza, si può nondimeno rilevare la posizione geografica, ricavandola dalla deposizione di alcuni testimoni, per causa di confini territoriali, controversi nel secolo XIII (1205) fra il Comune di Montepulciano e la Repubblica Senese, nella qual circostanza uno degli esaminati dichiarò di aver veduto i Montepulcianesi fare oste, sotto il comando dei Senesi, ad Agellum qui est inter Montem Presim (il monte di Cetona) et Radicofanum207. Una pergamena del 755, ……………………………………………………………… Intorno a Radicofani poi si scatenarono le bizze degli eruditi di due secoli fa. Il famoso decreto di re Desiderio, pubblicato dal più famoso Annio da Viterbo, dette la stura (atto di sturare) ad accanite diatribe, in cui Borghini, Cluviero, Muratori, Olstenio, Sigonio, Grutero, Beretti, Mariani, Lami e non so chi altri, si trovarono impelagati fino ai capelli. Ultimo in ordine cronologico, fra cotanto senno, l’Abate Faure scrisse, in difesa del decreto, un’opera di due volumi in quarto grande, di circa 500 pagine ciascuno: e la conclusione di tutto questo si fu che, nella peggiore ipotesi, ammesso anche che detto decreto sia una solenne impostura, i fatti ivi enunciati sono conformi alla storica verità: quindi partito più semplice è il ritenerlo per vero. Per ciò che riguarda Radicofani, ivi adunque vien detto – è re Desiderio che parla -, In Tuscia edificavimus a fundamentis ……………………….Sentinatibes ……..Ausdonias et Rodacofanum. In Toscana edificammo dai fondamenti, ai Sentinati, Ansedonia e Radicofani: I Sentinati erano, o gli abitatori dell’antico Sentino nell’ distrutto dai Longobardi, o meglio «alcune popolazioni sulla riva sinistra del fiume Paglia, delle quali ancora oggi esiste ivi un castello chiamato Sento, onde, non molto lungi, è ancora il ponte Sentino, che volgarmente e corrottamente Ponte Centino addimandasi»208. (Di tutto ciò ne abbiamo parlato anche sopra). In questo decreto, il re Desiderio enumera i benefici fatti dai Longobardi in Toscana e nella Liguria, per dimostrare che non erano poi quegli uomini così crudeli, né quei terribili Tuscie destructores, come papa Adriano si ingegnava di rappresentarli presso i re Franchi. E rammenta a Grimoaldo prefetto di Viterbo che, finché durerà dubbiosa la pace, imponga a tutti i soldati di Toscana di stare sull’armi, abbia in pronto gli stipendi e non gravi i cittadini con nuove esazioni. E c’era ben di che. Giacché alle istanze dei pontefici, scendeva Pipino e poi Carlomagno in Italia, che sconfitti finalmente i Longobardi (774), assicurava ai papi il libero godimento di quelle città, che formarono il triste retaggio della loro autorità temporale209.

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Dopo la dispersione della gente Longobarda, Adalgiso, figlio di Desiderio, rifugiatosi a Costantinopoli, aveva ottenuto il comando di alcune truppe Greche e con esse sbarcato in Italia e tratti al suo partito alcuni Duchi, fra i quali Reginaldo di Chiusi, insorse, ma con esito affatto infelice, contro i Franchi. Fu allora che Chiusi perdé l’onore del Ducato: e fu forse quella sedizione la causa, per cui Carlo pose ogni cura di abbattere la potenza dei duchi, dividendo il loro territorio in parecchi gau o comitati, sotto altrettanti conti dipendenti direttamente da lui, e di spartire i beni regi fra i suoi commensali o gasindi, che, con nome esclusivo, cominciarono allora a chiamarsi vassi o vassalli: i quali, dividendo a loro volta i beni affidati ad uomini loro, diedero origine ai valvassori (vassalli vassallorum) come da questi vennero i valvassini etc. dopo i quali non si sa più dove scendesse questa divisione di potere. Era un grande frazionamento di sovranità, che, riducendosi tutta alle forti mani di lui, gli assicurava il godimento delle conquistate provincie. Giacché, seguendo l’antico costume Germanico, egli accordava questi benefici ai suoi più valorosi capitani, impiantandoli nelle terre e nei castelli,

206 BRUNETTI – Il Codice etc., tom. I°. – Il Centenario era il capitano di 100 soldati come il Decano il caporale di 10. 207 MURATORI – Antiquitates etc,, tom. IV, pag. 81. 208 FAURE – Memorie apologetiche del marmo Viterbese etc., vol. I°, pag. 134. 209 La donazione di Pipino aveva smembrato antecedentemente alcune provincie alla dominazione imperiale, ma Arezzo, Chiusi, Orvieto erano tuttavia rimasti sotto il dominio degli imperatori. (Platina – Historia delle vite dei Romani Pontefici, pag. 91. Alberti Leandro, pag. 31 – Rafaele Volterrano pag. 122). 104

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi d’onde, per il loro valore, erano stati sloggiati i signori Longobardi. E da questo seguì che, o fosse la somiglianza del loro brio nazionale con l’indole del popolo Senese210, o piuttosto ne fosse «la causa che in Toscana e maggiormente in quella parte che è oggi il dominio di Siena, che, come più vicina ai confini, vi si trovarono et vi si presero più luoghi forti» (MALAVOLTI – Dell’Historia di Siena, fasc. 18.) e quindi più numerosi dovettero essere i beneficati, vi si stabilì una numerosa colonia di signori Francesi. E difatti tutta la vecchia nobiltà del luogo è di origine Franca o Longobarda, ma più di quella che di questa, al che dové certamente, soprattutto, contribuire quella rivolta di sopra accennata, nella quale gli abitanti di questa contrada si erano manifestati così affezionati ai loro vecchi padroni. Cessati i duchi, la città e il distretto di Chiusi furono governati da gastaldi: giacché fin dall’anno 803 trovasi un Ischinbaldo gastaldo; e rammentato in un diploma di Ludovico Pio, a favore del monastero di S. Antimo, un Petrone, ed un tal Orso, parimente gastaldo, in un pubblico rogito stipulato in quella città211. Soltanto sulla fine del secolo IX, sembra che ad essi sottentrassero i Conti, come nello stesso tempo e con lo stesso titolo, governava un Grafone a Sovana e un Wingisi, o Guinigi, a Siena. Una pergamena Amiatina, scritta in Roselle l’anno 867, parla di una permuta di Casali e poderi fra i figli del fu Petrone della città di Chiusi con Wingisi conte di Siena, a cui fa dato in cambio il casale di Tintinnano (Rocca Tentennano, che fu poi Rocca d’Orcia). Da questi antichi magnati Chiusini ebbe origine la consorteria dei Conti di Marsciano, dei Signori dell’Ardenga, dei Visconti di Campiglia, dei Manenti di Sarteano e di Castiglioncello del Trinoro, che ebbero tutti giurisdizione nel territorio dei nostri castelli. Né i beni regi erano estranei a questa contrada. Giacché si trova rammentata (817) la Terra del re verso S. Quirico e Pian Castagnaio «quella della regina presso Novennano e Radicofani» e «nel letto dell’Orcia si conserva, ancora in oggi, il pian del re, detto negli istrumenti antichi planum regis» e son ricordate le corti del re a Sovana, a Montepulciano ed in altri luoghi circonvicini. Attorno a questi anni (803) si hanno pure le prime notizie sulla potentissima prosapia dei Conti Aldobrandeschi, anch’essa di origine Salica, e su i loro possessi dei contadi di Sovana, Grosseto e Galliano, così estesi che «si diceva che solevano avere più castella, che non sono dì nell’anno». Un Conte Lamberto, figlio del Marchese Ildebrando, con atto stipulato (973) nel suo castello di Galliano, oppignorò a Ropprando Abate di S. Salvatore, per la somma di lire 10.000, in presenza di molti testimoni del contado di Chiusi, 45 corti coi loro castelli e pertinenze, che egli possedeva nei contadi di Chiusi, Castro, Toscanella, Sovana, Rosselle, Populonia, in quello di Parma, di Lombardia, di Novi e nella Liguria. Ma nell’aprile del 989 la Contessa Ermengarda, figlia del Conte Ranieri, rimasta vedova del suddetto Lamberto, con atto stipulato in Lattaia, riacquistava tutte le 45 corti nominate, delle quali una era Monticchiello. In mezzo allo svolgersi di queste grandi signorie baronali, era sorta altresì, ed andava ogni giorno estendendosi, un’altra signoria: vale a dire le abbazie ed i monasteri, investiti anch’essi di diritti e poteri feudali. …………………………………………………………………………………………………… …………………………. L’Abbadia di S. Salvatore, di cui è già nota l’origine, fu la più ricca di quante furono in Toscana. I privilegi imperiali, emanati a suo favore da Ludovico Pio nell’anno 816, furono confermati ed aumentati da Lotario I (836), da Ottone I (964), da Arrigo II (1006), da Corrado II (1027 e 1036). La sua giurisdizione si estendeva a moltissimi villaggi, casali e castelli situati nei contadi di Chiusi, Sovana, Toscanella, Castro, Orvieto, Siena, Grosseto, Populonia etc. come risulta da più documenti del suo archivio, fra i quali verremo citando alcuni, che più interessano la storia dei nostri castelli.

210 REPETTI – TOM. 5°, PAG. 299. 211 PIZZETTI – Antichità Toscane, - BRUNETTI – Cod. Dipl. 105

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Fin dal mese di maggio dell’anno 828, esistono istrumenti di comprite, fatte da quei monaci nel casale di Corsignano: e quindi, nei privilegi imperiali degli anni 1027 e 1036 fu confermata al suddetto monastero la corticella, che possedeva in Corsignano con tutte le sue appartenenze212. Guido imperatore, con diploma dato in Roselle l’anno 837, conferma tutti i beni e diritti al monastero di S. Salvatore nel Monte Amiata e gli dà concessione di tenere un mercato annuale213. Il Conte Ugo, figlio del C. Ranieri, ed il C. Ildebrando della consorteria dei Visconti di Campiglia, donarono (1072) al monastero Amiatino una corte con terreni, posta nel borgo di Callimala, ove da tempo quella Badìa aveva il patronato di una chiesa sotto il titolo S. Cristina214. Ed ugual patronato ebbe fin dal secolo X nella Pieve di S. Stefano in Tutona215, l’antica pieve di Castiglion d’Orcia, della quale è questa, per avventura, la prima notizia. La corte di S. Clemente in Tintinnano (Rocca d’Orcia) rammentata fin dal 915 in un diploma dell’imperatore Berengario, a favore dei monaci Amiatini, fu loro confermata nel 5 aprile del 1027 e di nuovo nel 1036 da Corrado II. In uno istrumento (806) stipulato nella corte del detto monastero, con cui quei monaci comprarono una vasta estensione di beni nel territorio di Sovana, figura come testimone un tal Giordano di San Filippo216, casale che, con l’altro di Rota Cardosa (Ponte al Rigo) fu poi loro donato da Ugo Marchese di Toscana, nell’anno 935217. E da atti, di poco posteriori, resulta come quei monaci avessero giurisdizione su parte del castello e distretto di Radicofani. Con atto stipulato (1064) presso la rocca di Campiglia, fu loro donata, da alcuni patroni della chiesa di S. Lorenzo, porzione del Borgo del Formone218; e nello stesso anno ebbero altre donazioni di possessi, fra la pieve di S. Maria in Campo e il luogo di Mussona, con atto stipulato in Reggiano219.Di questo castello poi nel 1028 avevano ottenuto per un fermaglio (nusca) d’oro del valore di 100 soldi, la terza parte delle case, terreni, vigne, poggio e castello con tutta la chiesa di S. Andrea, per istrumento stipulato ad S. Andrea propre flumen Horcea220. Al 1031 risalgono le memorie della Badìa di S. Pietro in Campo, allora di patronato dei Manenti di Sarteano, alla quale un C, Pietro, figlio di Wingildo e di Teodora, insieme ai fratelli Ranieri e Farolfo, faceva dono nel 1055 di alcuni possessi. L’Imperatore Arrigo I, fin dal 1003, aveva donato a S. Romualdo alcuni beni nel Monte Amiata, ove poi sorse l’Eremo del Vivo, in cui il santo abitò qualche tempo e stabilì la riforma Camaldolese221. E circa li stessi anni, presso la chiesa di Santa Maria a Tuoma, fu edificato un ospizio di Eremiti Camaldolesi, donde venne che la porta di S. Quirico, che guarda da quel lato, si chiamò e si chiama tuttora Porta Camaldoli222.

212 REPETTI – Op. cit.-Vol. I. pag. 610. 213 MURATORI – Dissertazioni sopra le Antichità Italiane, Tom. 2° - pag. 35. 214 REPETTI – Vol. I°, pag. 310. – Il borgo di Callemala (Callimalus) era situato sulla via Francesca, alle pendici del monte di Radicofani, presso il fiume Paglia. 215 REPETTI – Op. cit., Vol. I°. pag. 460. 216 BRUNETTI – ivi. Tom. 3°. Pag. 193. – Ciò solo dimostra all’evidenza quanto sia erronea la tradizione, che vorrebbe che questo villaggio prendesse il nome da S. Filippo Benizzi, che venne al mondo più di quattro secoli dopo. Dunque il suo nome si riferisce a S. Filippo Apostolo. 217 LIVERANI – Catacombe etc, pag. 281. 218 REPETTI – Vol. 4°, 553. LIVERANI – Catac. Pag.285. – L’antico Burgus de Formone era, con tutta probabilità, l’attuale Ricorsi e non Castelvecchio, come crede Monsignor Liverani. 219 LIVERANI – Catac. Pag. 284. – S. Maria in Campo si disse poi Contignano, che sembra fosse edificato dai Conti di Chiusi, forse dopo le devastazioni di Mussona, Reggiano e Vitena. 220 LIVERANI – Catac. Pag. 283. Ducato pag. 152.

221 L’autore della Storia Camaldolese (Venezia 1759. Tom. I°. pag. 368) dice che l’Eremo fu fabbricato nell’anno 1015 e che in progresso di tempo, a qualche distanza da esso, sorse pure il monastero dei Cenobiti. 222 REPETTI – Tom. 5°. Pag. 114. – Le prime memorie di donazioni a S. Maria a Tuoma sono dell’anno 1099, in cui Ventura Ginerio, figlio del fu Gualando, e Guinizzone, figlio del fu Adelmo, donarono a quel monastero molti terreni 106

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E finalmente nell’anno 1016, la Contessa Willa figlia del fu Teudice e moglie del C. Bernardo, con istromento rogato nel borgo di S. Quirico in Osenna, cedé alla Badia di S. Salvatore un possesso dell’estensione di 12 moggia, situato nel vocabolo di Spineta, ove più tardi, per opera del C. Pepone di Sarteano, sorse la Badia omonima. Il casale di Spineta, in prossimità di Agello, è più volte rammentato nelle carte della Badia Amiatina: e i monaci possedevano, ivi presso, il castello di Mojana con l’annesso territorio223. È facile comprendere, come per tutte queste piccole sovranità, affinché non prorompessero fra loro con la violenza, fosse necessaria una grande vigilanza ed una grande autorità che le contenesse: e né l’una né l’altra vennero meno, fino a che Carlomagno fu in vita. Ma morto lui (814) il grande edifizio, che aveva innalzato, cominciò ad essere scosso dai fondamenti, finché per le divisioni e le guerre dei pretendenti alla corona dei suoi stati, l’opera sua andò in frantumi e l’autorità imperiale decadde sì fattamente in Italia, che i signori feudali non ebbero più in essa quel freno, necessario a contenerli entro i limiti della propria giurisdizione. Allora la violenza e la rapina tennero luogo di diritto: e le dispute, che poi sorsero fra la chiesa e l’impero, contribuirono a mantenere questo miserando stato di cose, da cui fra poco doveva sorgere un nuovo ordinamento sociale. Le particolarità di questo disgraziato periodo, quantunque coperte da grande oscurità, si lasciano intravedere così disastrose ed infelici, che quest’epoca è ritenuta come il ritorno ad una barbarie peggiore della precedente. I monaci intanto, datisi al lieto vivere e non atti alle armi, non curando, o non sapendo difendere i loro vasti possessi, furono forse i più esposti alle usurpazioni dei signorotti vicini. E quando questi, o pro remedio animae o pro remissione peccatorum, non vi ponevano riparo con atti di ultima volontà, altro scampo non v’era che rifugiarsi sotto l’autorità degli imperatori, i quali, limitandosi ad imporre la restituzione dei beni rubati, portavano un rimedio non sempre efficace. Gli imperatori Lotario e Lodovico, fin dall’850, facevano noto a tutti i vescovi, conti e luogotenenti (locopositis) come il monastero di S. Salvatore nel Monte Amiata fosse, per ogni modo, invaso, distrutto e dissipato, comandando ad essi di fare a tutti restituire il mal tolto. Ma nel 1014 era quel luogo nuovamente, mortalium invasione, pressoché ad nichilum redactum: talché l’abate Winizone, ricorso in Pavia ad Arrigo, otteneva un diploma con la conferma di tutti i beni che ad esso spettavano224. A questa decadenza materiale dei monasteri non era certamente estranea la rilassatezza della vita, a cui i monaci si erano dedicati; e se i patroni di S. Salvatore consegnarono (1003) ad essi il luogo, quod ibidem fuit monasterio puellarum, ingiungendo che vivessero regolarmente, perché altrimenti sarebbero stati cacciati e surrogati da altri migliori225, sembra manifesto che così fosse veramente. Tuttavia dovette esser questo il vero secol d’oro del feudalismo; giacché, scaduta l’autorità imperiale, i feudi, che fino ad ora erano stati personali, cominciarono, a poco a poco, a farsi ereditari: ed i proprietari di beni allodiali, per salvarsi dalle usurpazioni di prepotenti vicini, furon costretti a mettersi sotto la loro protezione, aumentando così il numero dei loro vassalli. E si videro, così, più conti arrogarsi titoli pomposi e salire a tanta potenza, da disputare fra loro il regno d’Italia, che pure occuparono per diversi anni, finché l’autorità regia ed imperiale non passò ai tedeschi, nella persona di Ottone I il grande (964).

nelle adiacenze dei torrenti Tuoma e Ramanciano, nel colle di Guarno, in Saturniano, nella Pieve di S. Quirico, presso il fiume Asso e nel monte Gualando. (Annales Camaldulenses). 223 REPETTI – Vol. °. Pagg. 112 e 452 – Il castello di Mojana, oggi perduto, trovavasi, probabilmente, fra Castiglioncello del Trinoro e Radicofani, presso la confluenza del torrente Guecenna nell’Orcia. 224 MURATORI – Dissertazioni etc. Vol. 3°. Pag. 538. – Le maggiori molestie vennero, forse, per parte dei Aldobrandeschi, dei quali un C. Ranieri (1077) scampato da lunga malattia, rifiutò a Gerardo abate le male consuetudini e visite fatte nei luoghi e terre di pertinenza di quella badia, comprese nella Contea Aldobrandesca, e pochi anni più tardi prometteva allo stesso abate di non opporglisi rispetto alla costruzione di un castello, che i monaci volevano edificare, a partire dalla Chiesa di S. Maria di Mojana alla via petrosa. 225 Sed volumus ut ipsi monachi regurariter vivant. Et si ipsi monachi regulariter vivere noluerit, tunc habemus licentiam, nos suprascripti, illos foras ejicere et alteros introducere meliores, qui ipsum ordinem melius cystodiant. – (MURATORI – IVI. PAG. 210). 107

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Fu pure in questo tempo, che numerose orde di Ungari e di Saraceni devastarono e saccheggiarono l’Italia, per lo spazio di ben 50 anni, e che, distrutte Populonia e Rosselle, quegli abitanti, rifugiatisi in Siena, dettero ad essa «occasione di farsi grande»226. Avanti quest’epoca si viveva, secondo il costume Longobardo, in villaggi aperti e senza difesa: e quel castello Orlas, che non si sa dove fosse, e quel Castel di Villero nei pressi di Cosona, rammentati fin dai primi anni del secolo IX, sono esempi più unici che rari. Ma quelle feroci incursioni e lo stato di violenza, in cui ora internamente si viveva, fecero necessario il render la vita e le sostanze sicure e dalla scimitarra dei Saraceni e dalle notturne aggressioni degli scherani (briganti, masnadieri) feudali. Allora qualunque ammasso di rocce, qualunque inaccessibile luogo, parvero buoni per impiantarvi quei turriti castelli, da dove i fieri feudatari, riposando sicuri, potevano a loro volta, come uccelli grifagni, piombare ai danni dei loro vicini e dei Romei, che andavan passando per la via Francesca. Giacché fu allora che la Val d’Orcia si coronò di castelli e di torri: e se deve prestarsi fede allo storico Manente, fu appunto nell’anno 978 che «i nobili Visconti di Valle Paglia fondarono Campiglia et altri castelli intorno, essendo potenti et ricchi Signori»227. …………………………………………………………………………………………………… …………………………………………..

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…………………………Il feudalismo adunque fu veramente come arco a congiungere le istituzioni barbariche alle moderne. Ed è cosa notevole che sì grande mutazione si compiesse, con mirabile coincidenza di tempo, quasi dappertutto, intorno al 1100: e non vi è prova sufficiente che dia ragione agli storici Senesi, che vorrebbero la loro città essersi resa libera in epoca molto anteriore228. Da Carlomagno in poi, la Toscana era stata amministrata da una serie di Marchesi, all’ultimo dei quali, mancando la linea mascolina, successe la gran Contessa Matilde che «lasciò, per testamento, alla Chiesa di Roma quanto è dal fiume Pissia a S. Quirico, su quel di Siena, fino a Ceperano, dall’Appennino al mare»229. Rimane memoria di due soste fatte da lei alle Briccole di Val d’Orcia, da dove emanò un placito (17 settembre 1079) a favore del vescovo di Lucca230, ed assisté ad un istrumento (dec. 1088) (dicembre 1088) con cui il C. Ranieri, del fu Aldobrandino degli Aldobrandeschi di S. Fiora, promise, mediante il regalo di 100 lire Lucchesi, di non fare ostacolo alla edificazione di un castello, che l’Abate di Monte Amiata voleva erigere a Serra di Ruga. E fin dal 1072, insieme a Beatrice sua madre, aveva nel contado di Chiusi un altro placito, con cui fu aggiudicata la Rocchetta di Sezzano al suddetto monastero. Dalle notizie prodotte si può intanto rilevare, come la Val d’Orcia, alla fine dell’XI secolo, fosse divisa fra due, anzi tre signorie. La parte orientale, che si estende da Castiglioncello del Trinoro e dal monte Pisis o Presis (il monte Cetona) a Radicofani, oggi così deserta, ma allora ricca di casali, di castelli, di vigne e di oliveti, si trovava sotto la dipendenza di quella consorteria, discesa dagli

226 LEONARDO ARETINO – Istoria Fiorentina – Le Monnier, pag. 45. 227 CIPRIAN MANENTE – Istoria di Orvieto pag. 2. 228 Le popolazioni rurali, soggette ai signori feudali, non poterono, che assai più tardi, costituirsi in Comune: ed è assai rimarchevole che gli abitanti della Rocca a Tentennano ottenessero da quei Conti, fin dal 1207, alcune franchigie stipulate e giurate in una Carta Libertatis, che servì di norma anche a statuti posteriori. Scopo di tali convenzioni era che utraque pars in equitate, iustitia et libertate vivat et ad dicte arcis Tintinnani, que, si plebis copiam haberet, inter ceteras Italie Arces perplurimum polleret, augumentum et melioramentum tribuat. ZDEKAUER - «Carta Libertatis» e gli statuti della Rocca di Tintinnano (Bull. Sen. Anno III fasc. IV). 229 PLATINA – Vita di Pascale II. Pag. 141. ALBERTI – Descrizione etc. pag. 31. – La donazione di Matilde suscitò una questione intricatissima fra la Chiesa e l’Impero, che Enrico V. risolvé, calando in Italia ad occupare i beni controversi e minacciando di far prigioniero il papa, che protestava. 230 UGHELLI, Tom. I°. pag. 872. 108

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi antichi Conti di Chiusi, a cui appartenevano i Manenti di Sarteano e quel Visconti231, che unitamente ai vicini Conti di Marsciano, avevano giurisdizione su Campiglia, porzione di Radicofani e su moltissimi castelli di Valle Paglia. Sulla parte opposta invece si distendevano i dominii della vastissima Contea Aldobrandesca, a cui appartenevano Monticchiello e Castiglione, mentre sulla vicina Rocca, a Bagno Vignoni e porzione di San Quirico dominava un ramo dei Signori dell’Ardenga, feudatari degli stessi Aldobrandeschi e che presero più tardi il titolo di Conti di Tintinnano. Da ogni parte poi si insinuavano i possessi di quella Badia S. Salvatore, che abbiamo visto così beneficata e così malmenata dai suoi potenti vicini. E in lontananza era Siena, già ingrandita di fabbricato e di popolazione, quantunque con territorio tuttora ristretto a poche miglia di raggio attorno le mura, ma che il nuovo spirito di libertà doveva spingere a maggiori grandezze e fare in se3guito emula, non superata, della vicina Firenze.

Pag. 36 e segg. …………………………………………………………………………………………………… ………… Il Conte Manente dei Visconti di Campiglia donò al Comune di Siena (1138) e per esso al vescovo Rainerio, l’intera sesta parte del castello, poggio, case ed edifizi di Radicofani: 232ed essendo tuttora l’altra parte di proprietà dei monaci dell’Abbadia S. Salvatore, il pontefice Eugenio III, con bolla concistoriale dei 23 febbraio 1143, confermava nella persona di Ranieri abate tutti i beni che ivi possedevano, dichiarando il monastero sotto la protezione della S. Sede, alla quale dovevasi annualmente retribuire 200 denari d’oro. Ma i Senesi che, per quella donazione a loro fatta dal C. Manente, erano venuti in animo d’impadronirsi dell’intero castello, presero occasione dall’essere il pontefice occupato nella guerra con Ruggiero Duca di Calabria, per muoversi con le loro genti a quell’impresa (1145). Ma non avendone ritratto altro costrutto, che quello di alienarsi l’animo di quelle popolazioni, per i danni arrecati, e trovandosi con l’esercito nel piano dell’Abbadia S. Salvatore, fecero convenzione con l’abate, che promise, con giuramento, di tenere per il Comune di Siena quella porzione, che il C. Manente aveva ad esso donata, con obbligo di cederla ai Senesi, a qualunque loro richiesta ed in qualunque occasione avessero bisogno di far guerra a chiunque, fuori che alla detta Badia e con dichiarazione che esso Abate non pretenderebbe alcun rifacimento ai danni, che durante quella guerra aveva ricevuti233. Gli Orvietani però, che mal sopportavano qualunque ingrandimento dei Senesi, con buon numero di cavalli e con genti del papa, che erano a Montefiascone «andarono nel Senese sul fiume d’Orcia verso S. Chirico et messero a sacco Corsignano et S. Chirico»234 che era allora sotto la dipendenza di Siena. Pochi anni più tardi papa Eugenio III, avendo recuperato alla Chiesa alcune terre « che erano da varii tiranni occupate » e volendo assicurare maggiormente suo stato, acquistò, col consenso dei vassalli di Radicofani, da Ranieri abate di S. Salvatore, la metà di questo paese con la sua corte e col sottostante borgo di Callemala, obbligando la camera apostolica a pagare ai monaci l’annuo censo di sei marchi d’argento, a condizione che, mancando tre paghe successive, nel quarto anno s’intendesse annullato il contratto235. E il Conte Paltonieri figlio del C. Forteguerra, con istrumento stipulato nel borgo di S. Quirico, donò alla Chiesa Romana il castello di Monticchiello, riprendendolo poi in feudo, per l’annuo censo di un bisanzio d’oro, per sé e i suoi figliuoli, con patto che, venendo essi a mancare, dovesse appartenere in perpetuo alla Chiesa.

231 L’antico nome di Visconti ( vice-comes) fu forse, in origine, titolo di dipendenza, ma si cambiò poi nel nome proprio dei Visconti, che signoreggiarono da assoluti dinasti nei loro possessi. 232 Caleffo vecchio c. 21. 233 Caleffo vecchio c. 25. 234 CIPRIAN MANENTE, pag. 55. 235 MURATORI, Antiquitates etc., tom. 3°, pag. 273. – All’atto solenne, stipulato in Roma il 29 Maggio 1153 e sottoscritto da Eugenio III e da diversi magnati e consoli dell’alma città, intervenne pure uno dei Conti di Tintinnano, che figurava fra quelli che davano il consenso per parte dei monaci e che si qualificò per Obicio Tiniosi Comes de Tintinnano. 109

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Le cose d’Italia andavano frattanto maggiormente avviluppandosi. Una questione proposta da Federico I (Barbarossa) alla dieta dei campi di Roncaglia e risoluta in favore dell’Impero, ebbe per effetto lo sterminio di quelle povere città lombarde, che avevano osato scuotersi dal collo il giogo imperiale. Ed il papa (Adriano IV) forse temendo che la tempesta, che andava da qualche anno addensandosi non dovesse scaricarsi su di lui, intesa la venuta di Federigo in Italia (1154) si affrettò di tirare a termine le opere di difesa, già iniziate in Radicofani, fortificandolo di mura e di torri236, in modo da renderlo quasi inespugnabile: ed ivi per qualche tempo abitò237. E quando Barbarossa, accomodate a suo modo le cose di Lombardia, s’incamminò con tutto il suo esercito alla volta di Roma, per ricevervi la corona imperiale, il pontefice, che si trovava in Viterbo, mandogli incontro il Cardinale dei SS. Giovanni e Paolo, Guido Cardinale di S. Prudenziana ed il Cardinale Diacono di S. Maria in Portico con le istruzioni necessarie, per trattare gli interessi della Chiesa col futuro imperatore. Giunti questi legati a S. Quirico, trovarono quivi accampato l’esercito del re: e ricevuti da Barbarossa, con grande onore, nel padiglione reale, fu discusso e stipulato un trattato, con cui si convenne che, in compenso della promessa della corona imperiale, dovesse Federigo dare nelle mani del papa Arnaldo da Brescia, rifugiato allora nel castello di un Conte della Campania, ed adoperarsi a soffocare quello spirito di libertà e quel simulacro di repubblica, che veemente eloquenza del frate aveva saputo suscitare in Roma. Cosa che fu purtroppo scrupolosamente osservata. Ma i buoni rapporti fra chiesa e l’impero ben presto si ruppero: de inasprendosi allora le ire…………………………………………………………………………………………………… ………. E nel tornare che fece Federigo in Germania messe guardie di Tedeschi in più luoghi, et a Radicofani ridusse la rocca a miglior forma e, lasciandovi buon presidio di soldati, s’avviò in Lombardia.

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……………i Fiorentini, pensando che avrebbero potuto avere qualche ragionevole vantaggio, se avessero tenuto le forze dei nemici divise «l’anno 1230 vi menarono il carroccio e feciono maggiori danni che nel primo, perciocché oltre che ebbono ardire di passare di là da Siena e lasciandosela addietro, andare fino a S. Quirico a Rosenna, disfeciono anche il Bagno a Vignoni, discorrendo con grandissime prede per Valdorcia insino a Radicofani»238». Ben venti castella furono abbattute. Ma i Senesi che sopra ogni altra cosa avevano a cuore Montepulciano, lasciando liberi i Fiorentini in questa loro scorreria, fecero raccolta di sempre maggiori forze e presero al loro soldo diversi valorosi capitani e fra questi «il Conte Gherardo, legato imperiale, e con grossa banda di cavalli lo tennono in M. Icchiello». …………….. Messe insieme le milizie di due terzi della città, le inviarono, sotto il comando di Trasmondo podestà di Siena, alla volta di Campiglia, della quale in due giorni si resero padroni, compreso il palazzo e la superiore fortezza239.

236 Papa Adrianus fecit gironem in Radicofano et torribus munivit. – Ptolomei Lucensis Annales, - Cronache dei sec. XIII e XIV, pag. 54. (Il Pecci dice che Adriano IV iniziò i lavori ma che furono terminati nell’anno 1158). B. e R. Magi, Memorie di un’antica terra di frontiera e di Fortezze, Abbadia S.S. 2006, pag. 67. 237 Circa Vulsinios nonnulla oppida reconcinnavit: Radicophanum, in agro ac dictione nunc senensium, arce et moenibus munijt, ubi quandoque abitavit. – Raphaelis Volaterrani – Commentariorum etc., pag. 663. Anche nella cronaca attribuita a Brunetto Latini vien detto che papa Adriano «fece le mura e le torri di Radicofani» e che «comperò dai Conti di Santa Fiora molte possessioni e castella» - VILLARI – I primi due secoli della storia di Firenze. Vol. I°, pag. 216.

238 AMMIRATO – Lib. I°, pag. 174. – Scopaverunt totum comitatum et fregerunt eorum serralia, usque ad portas civitatis et coeperunt balneum et destruxerunt XX castra eorum (Ptotomei Lucensis Annales – Cronache, Pag. 27). Con tutta probabilità fu in questa circostanza che furono distrutti il castello di Mont’Ertine, Agello ed altri luoghi della Valdorcia, dei quali, da quell’epoca, non si ha più cenno negli atti della Repubblica. 239 Trasmundus Potestas Senensis cum duabus partibus civitatis ad arcem ipsam accessit et aeguenti die capta fuit reliqua pars burgi, cum sala (il cassero o palazzo) et arce superiori (cioè Campigliaccia). (Cronica di Andrea Dei in MURATORI, 110

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………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………….. Alcuni anni più tardi (1244) i signori Pepo, Bulgarello, Rimbotto e Manente, Conti di Sarteano, sottomisero al Comune di Montepulciano tutte le loro terre di Sarteano, Chianciano, Panciano, Panicale e Badia di Spineta, con le loro corti e distretti240…………………………………………………………………………………………… …………………… A Firenze dopo una furiosa guerra civile, furono cacciati i guelfi (1247): e in breve tempo, non solo quella città, ma tutta la Toscana si governava a beneplacito dei Ghibellini, protetti dalla fortuna dell’imperatore241. Ma quando la stella di Federigo cominciò a volgere al tramonto, per la declinazione delle cose sue sì in Germania che in Italia e per le censure ecclesiastiche, alle quali era continuamente fatto segno, le città, anche quelle che più si conservavano fedeli all’impero, cominciarono ad agire con minor soggezione. E poiché ai Senesi stava immensamente a cuore l’assicurarsi contro l’Aldobrandeschi, che per diversi fatti si era dimostrato loro nemico, procurarono di allargare il loro territorio dalla parte della Val d’Orcia, comperando (1250) dai monaci del Vivo, col consenso del pontefice, Castiglioncello «che da indi in qua si dice Senese ed all’hora si diceva dei ladroni» ……………………………..In questo medesimo tempo sembra che anche Corsignano venisse in potere della Repubblica (1251)…………

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…………………………………….. Si elessero 12 magistrati, per la guardia della città e dello stato «li quali munirono e rafforzarono Monticchiello, S. Quirico e la Rocca di Tentennano» e mandati ambasciatori a quei fuorusciti di Radicofani (guelfi), non si approdò ad alcun amichevole accordo. Spedite allora a quella volta le bande Tedesche, con la maggior parte delle milizie urbane, si scontrarono coi Guelfi presso la Badia di Spineta e nel primo fatto d’arme li vinsero. Ed avendone alcuni uccisi242, quasi tutti gli altri portarono a Siena prigioni che, sottomessisi nuovamente, giurarono fedeltà alla repubblica ed a Manfredi, rinunziando a qualunque lega che avessero e specialmente a quella detta degli Assassini, nella quale erano i Guelfi di Firenze, i Lucchesi, gli Aldobrandeschi di Pitigliano ed il Visconti di Campiglia………………………………..

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tom. XV, pag. 25). Nel tempo che i Senesi erano accampati colà, sembra che non potessero resistere alla voglia di tentar nuovamente l’impresa di Radicofani e che, per la seconda volta, riuscisse contraria ai desideri loro. Giacché Gregorio IX faceva noto (25 giugno 1235) al vescovo di Palestrina che, attesi i danni, che i Senesi avevan fatti agli abitanti di Radicofani, sudditi della S. Sede, aveva loro fulminato la scomunica, e dava facoltà ad esso vescovo di assolverli, quando avessero dato cauzione, per un conveniente rifacimento. Ed infatti si trova che il sindaco di Siena, il 17 Settembre dello stesso anno, sborsò al Comune di Radicofani, sulla piazza di Monticchiello, 1257 lire e 16 soldi, in conto dei danni fatti a quel paese e suo distretto Le note sottoscritte devono intendersi posticipate. 240 Ecco come erano descritti nell’atto originale i beni che questi signori possedevano in Val d’Orcia: In primis inter curtem Sartiani et districtum curiae Scetonaeet mittit in Astronem et includit silvam Montallesem versus Clancianum, versus Radicofanum et includit Agellum et curtem eius et ab Urcea protenditur usque ad fossatum Meglie usque ad Coninum (Pieve vecchia sotto Monticchiello). Documento pubblicato da Monsignor Liverani – Catac. Pag. 301. 241 L’imperatore, al suo ritorno da Napoli, lasciò in Toscana per suo vicario e capitano generale, con buon numero di truppe, suo figlio Federigo re di Antiochia, il quale, durante la dimora che fece in Siena, mosse guerra ai Perugini e li sconfisse, aiutandolo in questa spedizione i Senesi, che vi mandarono cento soldati, sotto la condotta di Aldobrandino di Conte dei Conti di Tentinnano. 242 In questo fatto d’arme morì Messer Guccio Tolomei, uno dei principali di parte Guelfa e che fu segnalato da Franco Sacchetti nella spiritosa novella di Donna Bisodia. 111

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Fra il continuo tramestio di quelle discordie civili potevano, con maggior libertà, esercitare le loro prepotenze quegli illustri briganti «che fecero alle strade tanta guerra»243 dei quali Ghino di Tacco è rimasto il più famigerato, il più perfetto campione244. Costui dei nobili della Fratta, perseguitato dai Senesi245 e nemico dei conti di S. Fiora, fattosi, per vendetta, bandito ed assassino da strada, aveva ribellato Radicofani alla Chiesa di Roma e quivi fortificatosi, esercitava le sue ruberie, interrotte da qualche grossa burla, come la famosa cura della languidezza di stomaco all’abate di Clignì (Cluny (città della Francia) abate che era considerato come il papa in Francia)246. Non molto dissimili a lui erano i signorotti vicini: Napoleone Visconti aveva, in questo tempo, occupato alcuni effetti della Badia Amiatina; ma ammalatosi nel suo palazzo di Castelvecchio, riconosceva l’ingiustizia del suo operato e, con atto del 3 luglio 1279, faceva restituzione completa al sunnominato monastero. Né l’essersi per l’avanti Sinibaldo Visconti fatto monaco nel Monte Amiata, era valso ad impedire quelle usurpazioni: e dopo la morte di lui ripullularono le contese, perché i monaci, che volevano accedere, jure hæreditatis, nei suoi possessi, intentarono lite ai suoi successori. I monaci della Badia di Spineta doverono locare al Comune di Orvieto il loro poggio di Mojana, per la costruzione di un castello, detto Monte Orvietano, ritenuto necessario alla utilità ed alla difesa del monastero, che era frequentemente oppresso dalla potenza dei tiranni247. (In questo periodo a Radicofani c’era un paese pieno di militari, nobili e proprietari terrieri che cercavano in tutti i modi di poter prendere il potere anche a scapito del papa e certamente questa situazione favorì la presa del potere di Ghino di Tacco. C’era già la famiglia Guasta e, infatti, lo “statuto di Radicofani del 1255 è firmato anche da uno dei Guasta che è un parente stretto avo di “Dino da Radicofani” e Guasta da Radicofani, futuro capitano del popolo di Firenze nelle lotte contro Castruccio Castracani).

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Nel tempo che durava la guerra dei Senesi contro il contado Aldobrandesco, Messer Guasta, uno dei principali di parte Guelfa, con l’aiuto dei Monaldeschi, occupata furtivamente una notte la rocca di Radicofani, vi si era fortificato a danno dei Ghibellini. Il che inteso dal Conte Guido di Santa Fiora «con cavalli et pedoni» corse al loro soccorso: e fatto venir da Siena Pone di Campiglia, con 150 cavalli, sotto il comando del capitano Girardello da Forlì e così crescendo gente da ogni parte e venuti alle mani, ebbero i Guelfi una rotta «dove morirono circa 400 fra cavalieri et pedoni di più luoghi» e il capitano Girardello fuggì: e restando Guasta nella rocca, si dette in mano del Cardinale Teodorico, capitano del patrimonio per il Papa. Ma nell’anno seguente, essendosi Radicofani col favore del C. di S. Fiora ribellato (1301) Ermanno Monaldeschi «con cavalli et fanti et molta gente di Val Lago, Valle Paglia et Valle Chiane» dette il guasto alla terra fin sotto le mura, e andatovi poi il Cardinale Teodorico, con la cavalleria di Orvieto, fu ripresa la rocca e restituita ai figliuoli di Guasta, mentre i Ghibellini, costretti a fuggire, si ritirarono in Acquapendente e Proceno. ………………………………………………………………………………………………………

243 DANTE, Inferno, c. XXII. 244 Benvenuto da Imola, nel commento di Dante, se ne mostra addirittura entusiasta. Ecco le sue parole : Ideor lector volo quod scias quod iste Ghinus Tacchi fuit vir mirabilis, magnus, membrutus, niger pilo et crine, fortissimus, ut Scaeva levissimus, ut Papirius Censor prudens et largus. Fuit de nobilibus de la Fratta, Comitatus Senarum, qui, expulsus viribus Comitum de Sancta Fiora, occuvavit Castrum nobile Radicofani contra Papam e via di seguito fino a dire che i suoi uccisori, come quelli di Cesare, finirono tutti in malo modo. 245 Nel consiglio della campana del I° Agosto del 1279 fu deliberato «che si cerchi dove sono stati ricettati Tacco e Ghino, figliuoli del già Ugolino della Fratta, che hanno tentato muovere insidie agli abitatori di Torrita» (Pecci). 246 BOCCACCIO – Decamerone, Novella 11^, giornata X.ª. 247 Cod. dipl. d’Orvieto, pag. 320, Cum costrutionem dicti castri cognoscat pertinere ad magnam utilitatem, defensionem et exaltationem dicti monasterii et iurium ipsius, quod frequenter opprimitur per potentiam tirannorum. 112

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Tanto che fra i due Comuni di Siena e di Orvieto fu conclusa una lega, per difesa scambievole (1316) e per far guerra, fino alla loro totale distruzione, ai comuni nemici e specialmente ai Conti di S. Fiora, ai Signori di , di Vitozzo e di Baschi, che tutti ribelli, con cavalli e fanti prendevano a forza terre e castelli cacciandone i Guelfi, e che entrati, pur allora in Abbadia S. Salvatore, avevano fatto innumerevoli danni, rubando masserizie e bestiami. Nel frattempo Guasta, capitano di guerra in Radicofani, che aveva trattato con alcuni di Abbadia, che dovessero rendersi a lui per il C. di Orvieto, in un giorno determinato, avvicinatosi colà con una mano d’armati, trovò che il capitano del Conte aveva fatto catturare i fautori del trattato; per cui svanita l’impresa, fatto più danno che poté, tornò a Radicofani, aspettando soccorsi: e intanto le masnade dei ribelli rimanevano libere nella loro opera di distruzione. …………………………………………………………………………………………………… L’azione ferma e risoluta del governo della Repubblica cominciava a portare qualche buon frutto. Il signor Pietro da Farnese sottopose spontaneamente sé e la sua Terra di Contignano al Comune di Siena (1339) e nuovamente si sottoposero e si fecero censuari i Conti di S. Fiora: Credi, Poncino e Neroccio de’ Visconti di Campiglia, dopo che Castelvecchio fu loro dai Senesi distrutto, per sfuggire danni più gravi, in quello stesso anno capitolarono con la repubblica, facendosi cittadini Senesi e sottoponendosi alla lira: e si mise sotto protezione dei Senesi il Comune di Radicofani « con Guasta di Pone di Ms. Guasta che s’era fatto tiranno di detto luogo248.

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…………………………………………………………………………………………… La cosa era arrivata al punto che Guasta, valoroso capitano dei Senesi in Radicofani, avvisava il fedele Giovanni Visconti che, essendo stato richiesto dall’ambasciatore pontificio di ricevere in quella rocca presidio di milizia Brettona, se i Senesi non avessero tosto mandato nuovi rinforzi, egli vi avrebbe aderito, per le tante ingiurie che dai sudditi di Siena aveva dovuto subire. Spedite allora sollecitamente in Val d’Orcia più squadre di cavalli, fu nel combattere preso Niccoluccio Malavolti e data la caccia agli altri, che poterono a stento salvarsi, con Agnolino Salimbeni, nel castello della Rocca a Tentennano. ………………………………………………… …………………………………………………………………………………………………… Pag. 91 e segg.

In questo medesimo tempo (1402) Ghinasso e Bigallo, due tristi campioni di casa Salimbeni, che trovavano sicurezza nelle fortezze dei loro consorti, avevano con frequenti latrocini, ricatti ed omicidi sparso terrore per tutta la Val d’Orcia. «Ghinasso alfine fu impiccato in campagna»: e Bigallo che, dopo aver loro estorte più taglie, aveva ammazzato il marito e parte dei figliuoli di «Monna Gianna della Ripa di Gota (?)» fu da essa, assistita da alcuni parenti, colto in agguato e ucciso. E «posto a traverso in sur’ uno asino, la donna lo condusse a Siena; e quando fu alla porta domandò che gabella pagava un porco morto. El portiere maravigliato la lassò passare e si condusse a’ piei del Palazzo dei Signori, e lì lo scaricò. La Signoria volse premiare la donna di buona somma d’oro e essa, ricusando, rispose non aver fatto quell’homicidio per denari, ma per punire la crudeltà dell’inimico suo, con ogni ragione»249.

248 MALAVOLTI, PAG. 109. I patti furono: mandare ogni anno a Siena per la festa d’agosto, un palio di seta del valore di 15 fiorini: far pace e guerra a volontà della repubblica, fuori che contro la Chiesa Romana, salvo essendo le ragioni, che aveva in Radicofani la corte di Roma ed eccettuati la rocca e il cassero, che erano tuttora custoditi a spese comuni, dal pontefice e dai monaci dell’Abbadia S. Salvatore. 249 Annali Senesi d’Anonimo. In MURATORI, vol. XIX. Iohannis Bandini ecc.: - ivi. – L’autore degli annali senesi e il Bartolomei riferiscono a Bigallo e Ghinasso, ponendola intorno al 1402, la cattura e susseguente cura del mal di stomaco all’Abate di Clignì, che dal Boccaccio è attribuita a Ghino di Tacco. Il Padre Guglielmo della Valle espresse, più tardi, una opinione consimile, facendo autore del fatto Cocco Salimbeni. Ma vi è anacronismo evidente: giacché se ciò fosse, il 113

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Liberatisi poi interamente i Senesi dalla soggezione dei Visconti e riformato il governo, volendo ad ogni modo ridursi in più pacifico stato, nel mese di marzo del 1404 stipularono un accordo con Cocco Salimbeni e tutti i suoi castelli e fortezze, che in quel tempo erano: Chiusi, Radicofani, Castiglioncello del Trinoro, Rocca a Tentennano, Castiglion d’Orcia, Celle, Contignano, Foscola, Rimbecca, Castelvecchio, Poggio di Val d’Orcia, Bricola, Castellare di Geta e quello di Monte Antico250. …………………………………………………………………………………………….

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Questi danni continui, a cui i sudditi del Salimbeni erano esposti, fecero sì che alcuni di essi, partito re Ladislao di Toscana, parendo ormai tempo di liberarsi da quella servitù si ribellarono. Contignano si mise sotto la protezione dei Senesi: e « gli abitanti di Radicofani non volendo più sopportare quel tiranno, levato il rumore, riconobbero M. Carlo di Agnolo Bartoli e Giovanni Franceschi, Commissari della Repubblica, i quali a quest’effetto avevano seco là condotto Agnolino da Polsi con 200 lancie, che a nome della città lo lasciarono a guardia di quella fortissima rocca e passarono a Amelia a trattare col Cardinale di S. Eustachio, acciò Radicofani rimanesse libero alla Repubblica: ma egli, affermando che quella Terra era patrimonio di S. Pietro, negò sempre costantemente la domanda a’ Commissari ». Ad ogni modo era uno dei più forti castelli, che sfuggiva dalle mani di Cocco: e i Senesi, traendo profitto da questo momento di prosperità, si dedicarono, con più ardore, a ridurre all’obbedienza i gentiluomini loro nemici……………………………….. ………………………………………………………………………………………………… Di questo medesimo tempo il Tartaglia, capitano al soldo di Iacopo Piccinino, impadronitosi di Radicofani, lo aveva, dopo averlo messo a sacco, venduto ai Senesi. Gli uomini di quel castello fecero atto di sottomissione alla Repubblica (24 Maggio 1411)251 e nell’anno di poi il Pontefice Giovanni XXII lo concedeva formalmente in vicariato al C. di Siena252. ………………………………………………………………………………………………………… Tutta la Val d’Orcia era finalmente libera da signorie nemiche: e l’antico confine che, per la sottomissione di Campiglia (1345) si era esteso dalla Bricola fino al distretto di Radicofani, era ora, per gli ultimi trattati conclusi Paese, arrivato a Centeno, che rimase poi sempre di limite fra il territorio Senese e il vecchio Stato Pontificio. E tutte quelle rocche, che avevano dato occasione a tanti travagli, erano finalmente, dopo oltre tre secoli, dacché Siena si reggeva a Comune, divenute fortezze dello Stato.

Pag. 102 e segg.

I castelli ebbero, invero, una parte così interessante, così strettamente connessa con le vicende dei secoli di mezzo, che chi conoscesse intimamente la storia di qualcuno di essi potrebbe, senza difficoltà, modellarvi sopra tutta quella d’Italia di otto secoli almeno. Iniziati per quello spirito di feroce indipendenza individuale, trapiantato dai Barbari nelle sfiaccolate provincie Romane, ebbero il loro massimo sviluppo al tempo dei re Carolingi e del grande

Boccaccio, che era già morto fin dal 1375, non avrebbe potuto trarne argomento per la sua novella, né Benvenuto da Imola parlarne nel commento di Dante. 250 Doc. VI. – Radicofani era stato comprato da Cione fin dal 1380 e Contignano fu dal medesimo acquistato, dai Signori di Farnese, per cinquecento fiorini d’oro, nel 6 agosto 1390 (Delizie degli eruditi Toscani. Tom. 23, pag. 148). 251 Caleffo rosso. C.e 176t, 179. Pio II, nei suoi Commentari, attribuisce a Nanni Piccolomini, compagno d’armi del Tartaglia, la conquista di Radicofani, che sarebbe stato tolto dalle mani di un certo ladrone (ex manu prædonis cuiusdam). 252 Caleffo rosso. C.e 179, 181. Pochi anni più tardi fu messo mano in Radicofani alla edificazione di una nuova fortezza, per opera di quattro maestri muratori Lombardi, che furono Aliotto di Cambio, Simone di Ciccarello, Giovanni del Carfusia e Francesco di Giovanni, a ciò deputati dalla Repubblica. (Repetti). 114

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Ottone. Perché, divisa fra un numero più grande di signori, la proprietà territoriale, continuamente minacciata dalle frequenti scorrerie dei Saraceni, in ogni roccia inaccessibile, in ogni più selvaggia gola di burrone furono impiantate di queste fortezze, che rendevano il proprietario sicuro da nemiche aggressioni. Scossa poi l’autorità degli imperatori, ogni gentiluomo viveva nelle sue terre da piccolo sovrano; ed i castelli divennero allora la sede di quelle corti baronali, che ebbero tanta influenza sui destini d’Italia. In quelle castella andò agguerrendosi quella fiera nobiltà, che combatté così a lungo contro lo spirito Guelfo dei cittadini, mantenendo vivo fra quelle inaccessibili mura, il Ghibellinismo in Italia. Di là uscirono i nobili con l’ufficio di Podestà e di Capitano e ricomparvero, più tardi, sotto le vesti di capitani di ventura. Da quelle castella uscirono le crociate, la cavalleria, i tornei, le regole del duello. A quelle castella si connette quella immaginosa letteratura che, dalle romanze dei Trovatori e dalle leggende della Tavola Rotonda, si rifletté nei poemi del Tasso e d’Ariosto, per cader poi, fra le risate del pubblico, con l’opera di Cervantes. Venuti finalmente i castelli in potere delle Città, non ebbero una parte meno importante da compiere: giacché, per il modo di guerreggiare di quei tempi, essi opponevano un ostacolo, quasi sempre insuperabile, alle armate nemiche. Facevasi allora la guerra più al popolo che all’armata: e tutto il popolo riguardandosi come nemico, i soldati consideravano gli averi degli uomini, nel cui territorio ardeva la guerra, come legittima preda e facevano prigionieri i terrieri e i contadini, che non rilasciavano che dietro una taglia. Da questo venne che eranvi a quei tempi pochissime case sparse nei campi e gli agricoltori abitavano dentro i castelli, dove tenevano le robe e i mobili più preziosi. E poiché la guerra veniva, quasi sempre, dichiarata per tempo, il governo ordinava di trasportare nelle terre murate tutti i bestiami e le messi, che trovavansi alla campagna e davasi quindi, non di rado, il guasto all’intero territorio253. Per cui il nemico, non trovando modo di mantenere l’armata, e non potendo trarre i viveri da molto lontano, perché tutto lo spazio che si lasciava indietro non era sottomesso, era costretto, prima degli assediati, a desistere, per fame dalle ostilità. La costruzione dei castelli era, presso a poco, uniforme. Quasi tutti collocati in alture, con pozzi profondi e vaste cisterne254, avevano una cinta più o meno complicata di torri, di mura merlate e di bastioni, che rendevano difficile l’accesso al torrione più alto e più solido, che si trovava nel mezzo, e in cui ritiravansi i difensori, superata che avesse il nemico la cinta. Intorno alle mura avevano gli assalitori molti ostacoli da vincere: giacché opere distaccate, fossi profondi, per lo più, pieni d’acqua, ponti levatoi a saracinesche ne impedivano potentemente l’accesso e nel mezzo alle volte, soprastanti alle porte, si alzavano ed abbassavano, con ordigni, certe travi pesanti, per schiacciare chiunque si apprestasse...... ………………………………………………… ………………………………………………………………………………………… Ma la già potentissima Badia di S. Salvatore era da lungo tempo caduta in così misero stato, che fin dal secolo (1369) l’Abate e i monaci avevano permesso che fosse abbattuta la Rocchetta di Radicofani, non potendo più sostenere la spesa di 27½ fiorini d’oro, che dovevano corrispondere ai dieci soldati che l’avevano in guardia. ………………………………………… …………………………………………………………………………………………………

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Saliva frattanto al soglio pontificio Enea Silvio Piccolomini col nome di Pio II, dal cui patriottismo i Senesi aspettavano il rimedio a tanti travagli. Era il Piccolomini nato a Corsignano, ove i suoi genitori, a causa delle discordie civili, si erano da tempo ritirati, ed era «uno dei più dotti, dei più penetranti, dei più attivi uomini del suo secolo». Egli conosceva come tutte quelle divisioni e quelle intemperanze, che affliggevano la sua patria, fossero più che altro, causate dall’esclusione dei

253 MACHIAVELLI diceva: « gli strami, il bestiame, il frumento che tu non puoi ricevere in casa si dee corrompere » (Arte della guerra, Barbera, pag. 138). 254 La grandiosa cisterna di Rocca d’Orcia è dal Pecci qualificata per «il più bel vaso che sia nello Stato di Siena». (Stato Senese). 115

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi nobili dal governo, mancando, per essa, quel giusto equilibrio fra il partito democratico e il conservatore, necessario in ogni ben ordinata repubblica: e tanto si adoperò che, finalmente, i nobili furono riammessi alle pubbliche cariche. In ricompensa di ciò egli concedeva in perpetuo al Comune di Siena il castello di Radicofani, dietro il pagamento di un annuo censo, mentre i suoi antecessori l’avevano ceduto soltanto per un tempo determinato255. ………………………….. …………………………………………………………………………………………………… Morto Pio II ad Ancona, fra i preparativi della Crociata, gli succedeva Paolo II, non troppo amico ai Senesi. Tuttavia rimanendo inalterata la pace, di cui allora godevasi in Toscana, la Signoria attese, più che ad altro, a confermare e riformare i capitoli di più terre e castella, quali Campiglia, Castiglioncello e Radicofani, ed a restaurare alcuni luoghi del contado. Fu stabilito che nelle rocche di Val d’Orcia dovessero stare i fanti che appresso: a Campiglia 25, a Pienza 25, Contignano 25, Radicofani 30, Castiglioncello 20, S. Quirico 40, Monticchiello 20, Rocca a Tentennano 25 e nel vicino Montalcino 100. ……………………………………………………… E intorno a questo medesimo tempo l’amministrazione dello Spedale dette commissione a Maestro Guidoccio di alcuni lavori di accrescimento nello Spedaletto di Val d’Orcia, dove doveva fare «tre torricelle tonde, cioè sur ogni canto una in mezzo»: attesochè le muraglie fossero state restaurate da qualche tempo, come ne fa fede l’iscrizione, che tuttora si trova sulla porta d’ingresso di quel castelletto, col nome del Rettore Urbano di Pietro256. Ma l’ammissione dei nobili ai pubblici uffici aveva già da tempo risvegliata la gelosia dei popolani per modo, che finalmente, in una feroce insurrezione, furore i primi cacciati di seggio e l’Ordine dei Nove, che era accusato di minacciare l’indipendenza dello Stato, parteggiando per le influenze forestiere, fu in perpetuo privato del diritto di governare. Ad Antonio Bellanti, Placido Placidi, e Leonardo di Andrea di Tolomeo, appartenenti a quell’ordine e già detenuti nelle rocche di Radicofani, Piancastagnaio, e Monticchiello, fu, con processo sommario, tagliata la testa257.

DOCUMENTI

Questi documenti che parlano della guerra che Cosimo I fa alla Repubblica di Siena sono soltanto le parti che riguardano Radicofani.

Pag. 170 .

Era chiaro però che la burrasca si era, soltanto precariamente, allontanata: e fu quindi cura degli Otto della guerra e degli agenti Francesi di rivedere ed afforzare i castelli del dominio: e poiché non tutti si potevan tenere, soltanto sedici furono dichiarati piazze forti e fra questi, oltre Montalcino, Monticchiello «la fortissima e inespugnabile Rocca a Tentennano e Radicofani per sé stesso fortissimo»258. E fu immediatamente spedito a tutte le altre terre, ordinando ai Podestà, Vicari ed altri

255 PIO II. Commentari, pag. 83. Campanus.Vita Pii II, pag. 451. Pio II accordò molti privilegi anche allo Spedale di S. Maria della Scala, e si ha di lui una bolla, data dalla Chiesa di Spedaletto in Val d’Orcia, in favore di una chiesa. (Statuti Senesi, BANCHI, pag. 263). 256 Ai due stemmi scolpiti su d’una stessa lastra di marmo, collocata sulla porta d’ingresso, sottostà questa iscrizione: Dominus Urbanus di Pietro rector Hospitalis S.M. de la Scala 1466.E nel libro segnato 0 dei conti correnti dello Spedale a c. 323, sotto la data dei 29 decembre 1442, si legge questa partita: « M. Giovanni di Marcuccio di Contadino, maestro di pietra dee avere lire nove, soldi dodici, sono per una pietra di marmo avemo da lui chò l’arme de lo Spedale e chò l’arme di Messere: si mandò a lo Spedaletto di Val d’Orcia a la muraglia si fe’ nuova ». Altri pagamenti, per restauri si trovano agli anni 1450 e 1453. (BANCHI, Statuti ecc. pag. 248). 257 « A dì 12 all’aurora fu tagliata la testa ad Antonio Bellanti nella Rocca di Radicofani e a ore 22 a Miss. Placido Placidi nella Rocca di Piano Castagnaio. E a dì 14 in lunedì a Misser Leonardo d’Andrea di Tolomeo nella Rocca di Monticchiello all’alba ». ALLEGRETTI Cronica, in MURATORI, Tom. XXIII, pag. 808. 258 PECCI – Vol.IV°., pag. 91. 116

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi ufficiali di esse, che dentro 15 giorni dalla notificazione, tutti i viveri e le robe, che vi si trovano, fossero portate in qualcuna delle altre 16, che più facesse al caso. ………………………… ……………………….Usciti di Montepulciano parecchi armati, per dar loro la caccia, furono tratti nell’imboscata e fatti prigioni in numero di 40, portati a Pienza. Alcuni giorni dopo fu fatta, ma con poco frutto, una scorreria fin sotto le mura di Lucignano; e il Malatesta per sua parte «con venti celate e alcuni fanti» si spinse fino a Radicofani ove, essendo paese tuttora immune da scorrerie nemiche, faceva grossa preda di bestiame: ma imbattutosi al ritorno nei nemici, a stento riparavasi con essa in Montepulciano. …………………………………………………………… ……………………………………………………………… Ma Siena trovavasi in così disperata condizione, da non poter più resistere: e alla fame e alla morìa, che la travagliavano, nessun giovamento potendo ormai portare le armi, si era in trattative d’accordo. Aurelio Fregoso, mal soddisfatto dello Strozzi e veduta l’inutile opera sua, adunate un bel giorno tutte quelle milizie di Pienza, aveva loro tenuto all’incirca questo discorso: «Cari figlioli, qui non c’è altro da fare. Andatevi con Dio e pensate a procurarvi da voi stessi il modo di vivere durante il viaggio». Poi volto il cavallo per la via di Radicofani, se n’era bruscamente partito, andandosene alla volta di Roma. Tutti quei soldati, trovatisi così abbandonati a loro stessi, cominciarono a sparpagliarsi e se ne andarono alla spicciolata per la medesima direzione, con quanto vantaggio dei luoghi da dove passavano è facile immaginare259. E rimanevano soltanto i vecchi presidi negli altri castelli, ove si stava tuttavia incerti e timorosi dell’esito che avrebber preso le cose.

LETTERE DEI PROTAGONISTI DELLA CADUTA DELLA REPUBBLICA DI SIENA

Pag. 195 e segg.

XIV.

Bando di Piermaria Amerighi Capitano Generale delle battaglie nella montagna:260 Che i soldati si mettano in ordine di panni e d’arme.

Il molto Mag.º e valoroso Cap.º Piermaria Amerighi Gen.le Cap.no delle battaglie nela montagna, fa pubblicamente bandire e comandare a tutti li Uff.li e soldati della milizia indifferentemente, che, non essendo in ordine di panni e d’arme, si vestino et armino a uso di buon soldato, a tale che, al arrivo suo, vestiti et armati sieno, né si partino dalla corte dela lor terra in modo alcuno: e chi fusse fuor del dominio o fuor dela corte devi essere ritornato, sotto gravissima pena del suo arbitrio e indignatione di qu. S.ri Mag.ci del Reggimento. Dalla Rocca d’Orcia il dì x di maggio 1554 – (ivi).

XV.

Id. che nessun soldato e ufficiale si allontani dalla sua terra.

Noi Piermaria Amerighi, Cap.o Gen.le delle battaglie nelle parti della montagna e d’altri luochi, mosso da buone e ragionevoli considerazione, dove le presenti n.re saranno presentate, commettiamo et expressamente comandiamo a tutti i singoli Off.li Vic.i (Vicari ) Priori e Cam.i (Camerlenghi)

259 Tutto questo rilevasi da alcune lettere della Filza 445 dell’Archivio Mediceo, che lo scrivente non ha avuto agio di copiare integralmente. 260 Le milizie della Rep.ª si dividevano in quattro capitanati: della

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi delle terre sotto scripte che, subbito queste viste, faccino preceptare in nome n.ro a ciascuno cap.o, L.T., alfiere, caporale ed altri Off.li insieme con li soldati indifferentemente sotto la n.ra (nostra) carica, che sotto pena di scudi dieci d’oro e due tracti di fune per ciascuno, non si levino dalla terra dove habitano, senza n.ra expressa licentia, notificando che sene farà diligente ricerca e contro li inobbedienti si procederà rigidamente, senza alcun rispecto: né si manchi di fare caminare la presente dì e notte, né si posino, registrandola a libri delle memorie, facendone fede in nel presente foglio, per quanto stimano la gratia delli S.ri Ill.mi e n.ro arbitrio. Da la Rocha d’Orcia il dì 25 di maggio 1554. Le terre son queste:

Castiglioni d’Orcia Campiglia Abbadia di San Salvadore Piano Castagnaio PIERMARIA AMERIGHI Radicofani Celle Sancasciano Fichini

XVIII.

Id. di Piermaria Amerighi : che si catturino i soldati che partissero senza licenza del loro capitano.

Il Mag.co et valoroso Cap.o Piermaria Amerighi, per autorità e commissione hauta a bocca dallo Ex.mo S.r Pietro Strozzi, L. Tenente G.nle di S. M. Cx.ma in Italia, fa publicamente bandire e comandare a qual si vogli persona indifferentemente che trovassero soldati, che si partissono senza fede della licentia del loro capitano in scripto, allora ed in qual caso, essendo gentil’homo, lo devino ritenere prigione ad istantia di S. S. Eccell.ma, dandogliene avviso, né si mancarà usarli cortesia : e, essendo soldato particulare, lo possino ammazzare e svaligiare al loro beneplacito, facendo sempre la cosa honoratamente da posserlo provare, comandando di più a tutte le Coità e homini sotto la carica n.ra che devino stare alli patti, maxime la notte, per exequire la volontà di S. E.tia Voi Off.li Priori e Cam.i delle terre non mancarete, per quanto pregiate et havete cara la gratia di q.i Ill.mi S.ri, mandare pubblicamente il suddetto bando in né luochi soliti delle terre e registrarlo alle Memorie di mano in mano e di terra in terra, come ordinatamente e qui da basso, caminando dì e notte senza dilatione di tempo, facendone fede in nel presente foglio. Di Vignoni261 il dì ultimo di giugno 1554.

Cast.ni Rochette Seggiano Rocha Albegna PIERMARIA AMERIGHI Castel del Piano Monticello Montegiovi Montenero Montelatrone Castelnuovo del Abate – E voi Off.le di Castelnuovo la Arcidosso rimandarete Samprugnano

Il dì primo di luglio 1554 fu portato il sopradetto bando et pubblicamente bandito. - (ivi).

261 Nel castelletto di Vignoni, di proprietà dei Sig.i Amerighi, abitavano essi un loro palazzo, dove fu ordita la congiura contro gli Spagnoli. 118

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I CASTELLI DELLA VAL D’ORCIA E LA REPUBBLICA DI MONTALCINO

CAP. IX. Pag. 229 e segg.

Non pochi fra i più ragguardevoli di quegli esuli generosi, risoluti di non cadere ancora all’avversa fortuna, si rifugiarono in Montalcino: e quivi, con un ardimento che parve follia, dettero ordine ad un governo sullo stampo stesso di Siena, attesero a fortificarsi ed a riunire la maggior quantità di soldatesche possibile, aprirono poi anche una zecca e chiamarono la loro La Repubblica di Siena ritirata in Montalcino. Invitarono tutti i cittadini e le Terre di lor giurisdizione a giurar fedeltà al Re Cristianissimo ed obbedienza alla loro Repubblica, e i Castelli della Val d’Orcia, come i più prossimi, furono i primi a darne l’esempio. S. Quirico, Pienza, Monticchiello, Contignano, Castiglioncello del Trinoro, Radicofani, Campiglia, la Rocca e Castiglioni aderirono di gran cuore al nuovo Governo. Oltre la Val d’Orcia, rimanevano ancora in mano degli alleati Francesi il Montamiata, porzione della Val di Chiana e della Maremma, che formarono quattro Commissariati distinti: ed ebbero a lor Commissari Marc’Antonio Politi, Ambrogio Nuti, Giulio Vieri e Andrea Landucci. …………………………… ……………………………………………………………………………………………………. Nel breve spazio di 10 giorni tutta la Val d’Orcia, eccettuati Radicofani e Monticchiello, era adunque venuta sotto il dominio degli Imperiali, i quali, saccheggiati tutti quei paesi e devastarono il territorio, scorrevano ora vittoriosamente per la Maremma, giacché Cornelio Bentivogli, uscito di Montalcino a capo delle poche forze di cui disponeva, si era trovato affatto impotente ad arrestarne la marcia. Ma volendo ad ogni modo distogliere i nemici da quell’impresa, messi insieme nuovi rinforzi di cavalli e di fanti, dava voce di voler dare il guasto al contado di Fojano e di Montepulciano. Il Duca da sua parte tenendosi sulle intese, mandava in Pienza una compagnia di tedeschi …………………

Pag. 237 e segg.

Tutta la Val d’Orcia era dunque ritornata in potere dei Francesi, i quali avevano altresì quattro compagnie verso Radicofani e Cetona, numerosi rinforzi in via per la Val di Chiana ed altri andavano radunandone ovunque potevano. Ma ad onta di tanti felici successi, la posizione delle milizie della Repubblica non poteva dirsi affatto sicura. E il Bentivogli che conosceva quanto gagliardamente il Medici si preparasse ad aver la rivincita, andava provedendo, come meglio poteva, alla difesa dei luoghi conquistati. E appena recuperata Pienza, lasciatevi due compagnie di fanti e una di cavalli, se ne partì la sera stessa, alloggiando la notte in S. Quirico. E lasciate per quivi due compagnie di fanti, la mattina prestissimo ritirò il restante dell’esercito con le artiglierie e le munizioni in Montalcino, apparecchiandosi a fare onorevole resistenza, contro le forze che il Duca con gran premura a quelle parti spediva. Ma il mancamento delle paghe, che gli agenti Imperiali dovevano rimettere da Napoli, erano nati tanti malumori e tante dissenzioni fra i soldati, che ricusando di obbedire agli ordini che venivano impartiti, fu perduto un mese di tempo avanti che il Duca potesse mettere in buon assetto le truppe. Era stato intanto deciso che il grosso dell’esercito si conducesse primieramente contro Chiusi e di lì a Sarteano, per veder di liberare la Val di Chiana e per chiudere ai Francesi il passo per gli Stati della Chiesa, da dove ricevevano continuamente soccorsi. Né in questo frattempo passarono le cose perfettamente tranquille. Perché il Conte di Santafiora «con tutta la cavalleria» e con «la compagnia del Capitano Iacopo Pucci» spintosi da Montepulciano fino a Radicofani, Piancastagnaio e Pitigliano aveva «fatto gran preda d’ogni sorte di bestiami» catturati «molti vivandieri che conducevano vettovaglie a Montalcino» e rotta la strada romana presso la Paglia. 119

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L’esercito intanto si trovava già in ordine di marcia per la volta di Chiusi, quando il Conte Rados, scorrendo con i suoi cavalli per la Val d’Orcia, si abbatté in un messo di Ottaviano Ottaviani, Commissario dei Senesi in Radicofani che, sentendo gli apparati dei nemici, scriveva ai ministri Francesi in Montalcino come quel paese non fosse abbastanza munito di ripari e vettovaglie, da potersi lungamente sostenere se fosse stato attaccato; tanto più che il Conte Giulio da Tiene, che con soli 150 fanti guardava quella fortezza, diffidava poterla difendere, se non fosse stato soccorso di nuovi rinforzi. Pervenuta la lettera alle mani del Duca, ei, mutando proposito, ordinò a Chiappino Vitelli che, abbandonata l’impresa di Chiusi, marciasse speditamente contro Radicofani, non stimandola meno importante, sì per la vicinanza di Pitigliano e di Castro, che si trovavano tuttora in mano ai Francesi, sì ancora perché quei di Montalcino avevano per di là il passo sicuro per Roma e perché era opinione dei più che, caduto Radicofani, tutta la montagna, che era la vita dei Montalcinesi, dovesse ben presto venir soggiogata. Il Vitelli adunque mosse l’esercito verso Pienza, che per essere «mal guarnita e difesa fu presa agevolmente e vi si guadagnò un’insegna e vi si fecero molti prigioni; e lasciatovi a guardia il Capitano Rosa da Vicchio, quivi inviò l’esercito inverso Radicofani» che in questo tempo era stata provveduta di munizioni e di viveri. Colà giunto ed accampatosi, avendo gl’ingegneri Pazzaglia e Giulio Milanese riconosciuto il sito strano in che è posta quella fortezza e come difficilmente si potesse battere per l’altezza e asprezza di quella montagna, fu risoluto di piantare la batteria in mezzo di due torri, dirimpetto alla porta: e continuando a battere per quattro giorni con circa 400 colpi di cannone, non se ne vide alcun frutto notevole. Tuttavia il Vitelli, fidandosi nel valore dei suoi, risolvé di dare il segno dell’assalto: e al suono della tromba tutti quei soldati dettero dentro per quella poca breccia che vi era. Ma Bastiano Guascone262, a cui era stata affidata la difesa della piazza, burlandosi di loro, li lasciò entrare fra il barbacane e la batteria e lì con fuochi artifiziali, archibugiate e gran quantità di sassi ne ammazzava e ne feriva tanti che il Vitelli fu costretto a chiamare in aiuto i capitani dei cavalli e i cavalleggeri che, messo piede a terra, vennero a rinfrescare l’assalto. Vedendo il Guascone questo gran rinforzo, lasciata la cura della batteria al suo alfiere con alquanti soldati, egli con molti terrazzani carichi di bariglioni pieni di sassi, che faceva gettare a basso per la muraglia con tanta prestezza che parevano grandine, faceva un danno notabile sopra gli assedianti263. Il Vitelli per tanta mortalità nei suoi, comandò battersi la ritirata: e risoluto a mandare per altri soccorsi, si preparava a disporre in altra parte la batteria. Non poteva in niun modo risolversi ad abbandonare quell’impresa: della quale scrivendo a Don Francesco di Toledo, mentre menomava grandemente i danni sofferti, dava la maggior colpa al poco valore dei soldati e protestava: «non havendo ordine contrario, ci voglio stare et combatter tanto che io l’abbia et mi riuscirà» ripromettendosi eziandio di impadronirsi «di tutta la Montagna». Ma il Duca vedendo che l’espugnazione di quella fortezza non era poi così agevole come aveva creduto, tanto più che con difficoltà vi si poteva mantenere l’esercito, dovendolo provvedere di tutto da Montepulciano, attraversando con grosse scorte di cavalli un lungo tratto di paese nemico, e che essendo ormai il mese di novembre, la stagione cominciava a mettersi fredda e piovosa, dava ordine al Vitelli di abbandonare l’impresa. Questa risoluzione del Duca dipendeva anche dall’aver egli saputo che Ottavio Farnese Duca di Parma veniva, per ordine del re, a Montalcino con molti fanti e cavalli alla difesa delle terre e dei luoghi che tenevano i Francesi. Osservava al Vitelli che il «fare acquisto delle terre della montagna» non gli pareva «a proposito» non tanto per essere il paese assai disastroso e difficile a vettovagliarsi, quanto per non dilungarsi di troppo da quei «nuovi soccorsi di Roma»: e riteneva miglior partito ritirarsi in Val di Chiana, da dove potevano più facilmente esser soccorse «le frontiere et Siena». Avvertiva di aver saputo che i Francesi si apparecchiavano a «fare gran cose»: ma credeva che non potessero tanto presto essere in ordine: e a meno che «il Papa non

262 Lo storico Pecci non fa menzione di Bastiano Guascone ma indica il Conte Giulio da Tiene come il difensore di Radicofani. 263 MONTALVO – Relazione della guerra di Siena tradotta da Don Garzia suo figlio. Pag. 190. 120

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi sfornisse a un tratto le genti del confino di là et le mandasse di qua» per parecchi giorni non vedeva pericolo. Occorreva ad ogni modo «star sull’avvisi». Dava ordine ancora che, al ritorno, l’esercito si accampasse vicino a Pienza e ne gettasse a terra le mura, in modo che non vi si potessero più annidar soldati e farsene frontiera, perché voleva che quella città, già tante volte presa e perduta, non gli desse più noia264. E «oltre a Pienza se vi fussino altri luoghi, che si dubitassi che havessino a dar disturbo, farli anco essi sfasciare senza dilatione». Il Vitelli adunque, eseguendo gli ordini del Duca, lasciava Pienza affatto smantellata e senza presidio alcuno in abbandono; ed, inviati i tedeschi a Montecchio, distribuiva i cavalli per i castelli ove meglio si potevano mantenere, lasciando con il resto delle milizie le frontiere ben munite. La sorte di Pienza essendo stata nuovamente seguita da Fabrica e Castelluccio, caduti in mano degli Imperiali, il Duca ingiungeva al Commissario di Montepulciano che pure essi si smantellassero, aggiungendovi anche il palazzo di Tori e dava buoni consigli tecnici, per venirne a capo con prestezza e poca fatica265. Queste perdite, invero di non grande importanza, non erano valse a turbare la generale allegrezza per la partenza degli Imperiali da Radicofani. Si fecero feste grandi; furono remunerati per la loro valorosa condotta il Tiene e l’Ottaviani: e cominciando a rinascer la speranza anche negli animi più abbattuti, alcuni castelli che erano sotto l’obbedienza del Duca si misero in ribellione e nella stessa Siena cominciavano a manifestarsi alcuni moti sovversivi. I Francesi nel calore della vittoria facevano continue scorrerie fin presso le porte della città, di modo che, essendo impedito il libero transito delle persone e delle robe «pareva che fosse ritornato l’assedio»266. …………………………………………………………………………………………… Per la verità il Duca avrebbe avuto in animo di tentar nuovamente l’impresa di Radicofani, se non fossero state messe innanzi le difficoltà della stagione, del vettovagliare l’esercito, essendo la via lunga e tutta in potere dei nemici, e del mantenere i cavalli in un paese come quello così arido e privo d’erbe. Tuttavia, prestandosi i luoghi assai bene alle fanterie, si poteva, rinunziando ai cavalli, tenerne soltanto una compagnia in Contignano, e lasciar gli altri in Montepulciano e fornir di fanti il Castelluccio e Castiglioncello. Ma c’è di mezzo l’Orcia, che in occasione di piena impedisce il passaggio: e allora sarebbe stato necessità ricorrere per vettovaglie a Santafiora, paese non troppo propizio in quella stagione. Era anco da considerare che Radicofani di per sé così forte e già inutilmente tentato, poteva trovarsi assai meglio munito, essendovi stato di corto Monsignor di Subise e Cornelio Bentivogli. Per cui volendo differire l’impresa, fino a che l’erba non fosse venuta, potevasi intanto presidiar gagliardamente Pienza, Castelluccio e gli altri luoghi vicini: tenere una compagnia di cavalli in Contignano, sfasciar Campiglia o tenervi una compagnia di fanti che, rompendo la strada romana, la quale si poteva altresì tenere in rispetto da Santafiora, impedissero ai Montalcinesi gli aiuti che potessero loro venire dallo Stato della Chiesa: e a stagione propizia occupare il Montamiata, per voltarsi di là a quell’impresa che meglio paresse: e guastar le raccolte dei luoghi ove facessero miglior pro ai nemici, mentre le genti di Pienza sarebbero state pronte a ogni movimento. Questo era a un dipresso il rapporto che il Capitano Muzio Petrucci rimetteva al Duca, che persuaso da quelle ragioni richiamò indietro lo Sforza, il quale lasciate due compagnie di Tedeschi in Sarteano, ritirò da Chianciano il restante dei Tedeschi e degli Spagnoli, conducendosi con essi in Pienza. ………………………………………………………………………………………

Pagg. 253 e segg.

264 «Pienza città fatale e ludibrio della fortuna in tutto il corso della guerra, tante volte perduta, tante volte recuperata» (NINI - Storia d’Italia. Ms. nella Moriniana di Firenze. Tomo 3, Pag. 154). – Doc. XXI, XXII, XXIII, XXIV. 265 Vedere su ciò alcuni documenti pubblicati dallo scrivente nella Miscellanea Storica Senese (Anno I, n. 8). 266 PECCI – Vol. 4. Pag. 268. 121

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Ma dubitando il Monluc che il Duca non facesse impeto in qualche parte, andava da tutto il contado radunando il grano nelle terre più forti267; fabbricava sollecitamente bastioni e ripari e assoldava nuovi fanti da Roma e dal campo francese, traendo a sé quanta più gente poteva del suo paese. Oltre tre prime insegne di Guasconi che erano entrate in Montalcino, altre tredici erano comparse in Radicofani, ove il Monluc era stato a incontrarle: e ne aveva distribuite tre più in Montalcino, tre in Chiusi, tre a Grosseto, tre a Radicofani ed una alla Rocca. Di lì aveva tolto il Capitano Calloccio e lo stesso andava a fare in Monticchiello del Capitano Bartolomeo da Pesaro e di altri capi Italiani, dei quali non si fidando troppo, metteva in lor vece capitani francesi. ……………………………………………………………………………………………… Si procedeva intanto all’evacuazione delle guarnigioni francesi: ma la bisogna non camminava con quella speditezza e quella regolarità, che sarebbesi desiderate. Perché i soldati, essendo in credito di alcune paghe, si rifiutavano di consegnare le piazze, se non venivano prima soddisfatti: e quei di Radicofani in numero di 200, ammutinatisi e rinchiusisi in fortezza, mostravano non volersene uscire: né Cornelio Bentivogli accorso colà, aveva potuto con preghi o minacce ridurli al dovere. Teneva ancora gli animi sospesi la notizia, pervenuta in questi giorni, della morte del re268: e si temeva che quei di Montalcino o di Pienza volessero romper la strada, per impedire il trasporto delle artiglierie, che da Chiusi, da Montepulciano e da altri luoghi dovevan condursi. …………………………………………………………………………………………… Quei di Radicofani intanto, ucciso il loro capitano e abbandonata volontariamente la fortezza, essendosene fuggiti, furono mandati colà dei buoi, per cavarne i due pezzi di artiglieria che v’erano, essendo quelli del Castelluccio, di Chiusi, di Buonconvento e degli altri luoghi già in via per , ove erasi fermato il Bentivogli per provvedere all’imbarco. Dai castelli della Val d’Orcia si erano finalmente messi insieme i soldati francesi «e tutti si adunarono a S. Quirico e furono nove capitani, che fra tutti ebbero meno di 800 soldati, gente logora dalla povertà, dalla fame e dai disagi» e di lì per il fiorentino spediti a Vada, dove eran galee ad aspettarli. Erano già stati mandati Bombaglino d’Arezzo a Chiusi, Simone Rossermini a Grosseto e a Radicofani Goro da Fucecchio, che vi rimasero poi come capitani di quei presidi: e si provvedeva a che il Francia o Francesco da Montaguto pigliassero possesso di Monticchiello, della Rocca, di Castiglioni e di altre piazze vicine, assicurandosene in nome del Duca. ……………………………………………………………………………………………………… …….. Il territorio dei castelli della Val d’Orcia, ove si era per altri quattro anni prolungata la guerra contro i Senesi di Montalcino, ne rimase naturalmente ancor più rovinato. La Val d’Orcia conserva tuttora in modo particolare quell’aspetto di desolazione, che una serie sì lunga di disastri lungamente v’impresse. La tradizione parla di cento case coloniche scomparse; la storia con maggior precisione registra miserie spaventevoli. Fin dai primordi della guerra tutti questi Paesi, per essere stati a più riprese saccheggiati si trovavano «talmente frusti che una crudiltà a vedere et tuti abandonati, ecetto le fortezze». …………………………………………………………………………………………………… ………………………… L’accentramento che, per ragioni economiche, molti di essi più tardi subirono nei Comuni più grossi, fece loro perdere anche le ultime vestigia di quella fiera individualità, che rimontava ai tempi fortunosi della dominazione Longobarda. Soltanto in Radicofani, come frontiera dello Stato, fu risarcita la fortezza e mantenuto un presidio di soldati: ma essendo poi in epoca molto posteriore, per imprudenza del capitano scoppiata la polveriera e rovinate affatto quelle fortificazioni, venne

267 Un bando del 2 settembre 1556 ingiungeva alle Comunità della Val d’Orcia di mandare «tutte le bestie da soma alla volta di Montalto a caricare i grani» che il Mag.co Ms. Alfonso Tolomei doveva condurre a Montalcino. In quella circostanza Castiglioni ricevé «moggia tre» e stara venti due di grano, «mancho libre quattro, da pagarsi a ragione di lire sei lo staio». (Arch. Comunale di Castiglion d’Orcia – Riscossioni e Memorie 1553- 61). – Altre provisioni furono fatte in seguito. (V. Doc.). 268 Re Enrico morì il 10 luglio 1559 per una ferita riportata in un torneo. 122

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi anch’esso del tutto abbandonato269. Parve quindi che solo la Rocca, ma per la massima parte di questi castelli, si avverasse la profezia che Brandano in una delle sue peregrinazioni da Siena a Roma, aveva pronunziata con queste parole: «Rocca, Rocca presto diventerai una bicocca»270. D’altra parte allo spopolamento del contado contribuirono altresì le arti stesse del Medici, che non risparmiò né lusinghe né liberalità per richiamare in patria i dispersi Senesi, affinché non paresse che egli, invece di aver soggiogato una città, dominasse soltanto sulle rovine di essa. Avvenuta dunque la capitolazione di Montalcino «il Cap.º del populo e deputati ala difesa dela libertà della Rep.ª di Siena» che con tanto ardore avevano protetto gli ultimi istanti del loro pericolante governo, doverono dare avviso alle terre del dominio dell’atto di sottomissione da essi compiuto verso « dell’invicts.º e Cat.º Principe Filippo re di Spagna e per consequentia dell’Ill.ͫ º et Ecc. ͫ º S. S. Cosimo de’ Medici Duca di Fiorenza suo feudatario nella Città e Stato di Siena » confortandole ad accogliere «benignamente» gli agenti e procuratori ducali che sarebbero loro stati presentati dal Commissario Ascanio Bertini271. Tutte le Comunità doverono poi, per loro incaricati, stipulare pubblici atti di devozione al nuovo padrone: e così Radicofani prestava giuramento il 17 di agosto272, S. Quirico il 21, gli altri in altri giorni: ed eccettuati Port’Ercole, Orbetello, e S. Stefano che, sotto il nome di Presidi, rimasero alla corona di Spagna, tutto l’antico Stato Senese era finalmente venuto sotto il ferreo dispotismo di Cosimo de’ Medici.

S. Quirico d’Orcia

A. V. BANDI

DOCUMENTI

della Terza Parte

(Lettere)

Pag. 286 e segg.

XX.

Dal Conte di Santa Fiora al Duca di Firenze Sopra una scorreria fatta nelle parti di Radicofani.

Ill.mo et Ecc.mo mio S.r et Pròne Oss.mo L’altra notte a VIj hore me partii di Montepulciano con tutta la cavalleria et la sera havevo incaminato alla volta della Posta di Paglia la compagnia di fanti del Capitano Iacopo Pucci, la quale

269 Il PECCI dice: «Si è continuato a tenere guardata la fortezza di Radicofani fino al presente governo, ma considerandola inutile furono nel 1739 licenziati il Castellano e i soldati, i cannoni trasportati a Firenze gli attrezzi venduti e la fortezza lasciata in abbandono». (Lo Stato Senese. Tom. 5 car. 201). La nota precedente a questa diceva: « Fin dall’11 agosto (1559) il Duca Cosimo scriveva al Niccolini: « di quello che avete fatto di Monticchiello, delle Rocchette et simili altri luoghi daretecene avviso, perché non intendiamo di spendervi in guardarli ». (Mediceo – Filza 50, pag. 373). 270 PECCI – Vita di Bartolomeo da Petrojo chiamato dal volgo Brandano. Pag. 76. 271 REPETTI – Dizionario etc, Vol. 4. Pag. 713 e vol. 5, pag. 114. «Fu cosa da notarsi (l’Adriani) che fra tante città e luoghi stati con tanto disagio e maggior danno in mano de’ Francesi tanti anni, ora che molti giorni furono in tutto libere, non ce ne venisse per una ad offerirsi al Duca e a prevenire la grazia, come in altre nazioni si è veduto il più delle volte essere avvenuto». (Vol. 6, Pag. 27). 272 Vedi nota 270. Le note prima riferentesi ad Ascanio Bertini e a «devozione al nuovo padrone» sono: Doc. LIII; e Doc. LIV. 123

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi lassarò nel stato di S.ta Fiora et mandai seco cento cavalli. Nel far giorno io comparsi in quello di Radicofani, dove si è fatto gran preda d’ogni sorta di bestiami et così in quello di Pian Castagnajo et nel stato di Pitigliano, oltra che si è rotta la strada di Paglia, con preda di molti vivandieri che conducevano vettovaglia a Montalcino. Il tutto si è fatto senza haver hauto pur un minimo disturbo, segno che in queste bande l’esservi comparso tanta cavalleria ha dato et dà gran spavento. Questa cavalleria è di necessità si riposi tutto domani et intanto io havrò dato ordine, secondo l’opportunità, alle cose dello stato di S.ta Fiora et doppo ciò me ne tornerò in dietro con la maggior celerità che sarà possibile et di quanto seguirà glie ne darò continuamente minuto avviso; et bascio le mani di V. E. pregandoli ogni felicità. Di Proceno li XXI d’agosto 1555. Di V. E. Umiliss.mo S.re SFORZA SFORZA

XXI.

Di Chiappino Vitelli a Don Francesco di Toledo, assedio di Radicofani.

Ill.ᵐᵒ et Ecc.ᵐᵒ S. ͬ mio

Hiersera arrivammo et piantammo l’artiglieria a Radicofani cioè 3 mezzi cannoni et un cannone con provvisione di 400 tiri, de’ quali per errore de’ bombardieri, che presono 36 palle troppo grosse, restorno tanto manco. Inperò havendo fatta, secondo pareva a molti, conveniente batteria, doppo d’haver fatta riconoscerla, et udito che si poteva tentare, spinsi l’Italiani et Spagnuoli a rimecterla. Et avendo due volte fatto rinfrescarla non c’è stato ordine d’entrarvi, perché da alcuni particolari in poi non s’è combattuto; tal che, havendovi a fare imprese d’importantia, è necessario chavare di Portercole et Orbetello Spagnuoli, altrimenti non si farà cosa buona. Non di meno avanti parta di qui, non havendo ordine in contrario, ci voglio stare et combattere tanto che io l’habbia et mi riuscirà, al meno della Terra, perché gli Alemanni mi hanno promesso voler rimecter, et la fortezza, quando non s’abbia, resterà di poca importantia et capace di poca gente, perché ci farò quanto potrò et penso impadronirmi presto di tutta la montagna. De’ morti fin a hora non ne rinvengo se non 3: l’Alfiere d’Antonio Pasientos, un fante et un Todesco pesti di sassate, alcuni frà quali sono tutti e’ creati del Duca mio Signore, che se domani anchora farà di bisogno tentar di nuovo saranno pronti a farlo et così domani c’andremo temporeggiando con certi pochi tiri che habbiamo, finché verrà munitione et V. S. Ill.ᵐᵃ saprà il seguito, alla quale bacio le mani. I. N. S. la guardi. Da Radicofani il dì V d’ottobre, 1555. Aff.ᵐᵒ S. ͬ CIAPPINO VITELLI

XXII.

Dal Duca di Firenze a Chiappino Vitelli Sull’abbandonare l’assedio di Radicofani.

Al S. Chiappino Vitelli alli VIIIj d’ottobre 1555.

Noi pensiamo che alla ricevuta di questa si sarà fatta tutta la prova et lo sforzo possibili di pigliar Radicofani et che, non vi essendo riuscito, vi sarete risoluto levarsene, come per la vostra de’ VIj mostravi, aspettando da noi risposta et risolutione di quanto havessi a fare, et così rispondendovi diciamo che l’andare a fare acquisto delle Terre della montagna non ci pare a proposito, sì perché il paese come voi dite è disastroso, et con difficoltà potreste aver vettovaglie, si perché vi dilungheresti 124

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi troppo rispetto a questi nuovi soccorsi di Roma et però giudichiamo esser meglio che voi andiate in Val di Chiana, di dove potrete soccarrer le frontiere nostre et Siena……………………….

XXIII.

Altra.

Al S.ᵒ ͬ Chiappino Vitelli a dì 9 di ottobre 1555.

Habbiamo inteso quanto sia successo intorno a Radicofani et ci dispiace il poco valor de’ soldati: circa il seguitar l’impresa di esso et le altre ve ne risolverete con la considerazione di quanto per la nostra de’ VI et di man nostra vi habbiamo scritto, eseguendo quanto in essa contiene, per cio che li avvisi et romori di Roma rinfrescano che i Francesi voglin fare gran cose, et di già s’era fatta la speditione di molti capitani, et che nello Stato Farnese il Duca Ottavio faceva massa: però tenete l’occhio alle genti che compariscono a Montalcino et a quelli che si fanno da quelle bande, acciò non vi fusse fatta qualche burla. De’ muli s’è ordinato di mandarvene 50 et il Commissario vedrà se ve ne potrà provvedere delli altri. Noi crediamo che quelle genti, che possono essere un 2000 fanti, non sien per essere così presto in essere, et forse vedendovi accostar presso allo Stato di Castro non dubitin d’una spoglianza et per questo faccin tanto romore. Don Bernardino è alli confini del Regno con VIII mila fanti buoni et 1500 cavalli. Se il Papa non sfornisse a un tratto le genti del confino di là et le mandasse di qua, per parecchi dì non veggio pericolo: ma bisogna star su l’avvisi et questo sia per vostra informatione. Dio vi conservi. Dal Poggio.

XXVII.

Di Muzzio Petrucci al Duca di Firenze Sulle difficoltà di espugnare Radicofani.

Ill.ᵐᵒ et Ecc.ᵐᵒ S. ͬ et Patron mio unico

Per non manchare a quanto V. Ecc.ͭ ͥ ͣ mi comanda per la sua, anchor che mi paia l’opinione mia superflua, li dico che nell’impresa di Radicofani ho per difficile in questa stagione il potersi vettovagliare l’esercito et perché la strada è lunga et anchor fra le forze di nimici, né dal paese stesso di Radicofani possiamo cavar comodità nessuna, per esser Montagna fredda et alida d’herbe per i cavalli. Non l’havrei però per impossibile se in Montepulciano fussero strami, perché lì nel luogo stesso potremmo far senza cavalli, e il paese, donde s’ha a camminar con le vettovaglie, è assai atto per la fanteria; et con il tenere i cavalli in Montepulciano et in Contignano una compagnia, la quale potria mutarsi, et con il tener fanti nel Castelluccio, in Castiglioncello et in Contignano, credo si condurrebbe sicura. C’è che l’Orcia c’attraversa il camino: il qual fiume piglia con una gran pioggia, piena, ma passa presto, et per un caso che venisse, bisogneria potersi valere delle vettovaglie di S.ͭ ͣ Fiora. Lì è difficile stare in campagna, per essere il paese freddo e spogliato d’arbori, et dubito, per intender ci hanno due mezzi cannoni, non c’impedischino gli alloggiamenti della Terra, che sono superiori a tutta, et ce l’abbrucino et nel termine che la stava et con quel che la possano aver fortificata che ci è stato Mons. ͬ di Subisa et il S. ͬ Cornelio, l’ho per una gagliarda piazza. Parendo a V. Ecc. ͭ ͥ ͣ difficile, si potria per tanto, venissi l’herba, mettere in Pientia questi Tramontani et in Contignano et in quegl’altri ricetti di Terrette forti, che sono li intorno, et anchora tenere una compagnia di cavalli in Contignano et sfasciar Campiglia o tenerci una compagnia di fanti che rompessi quella strada, la quale anchora da S. ͭ ͣ Fiora 125

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi se li travaglierebbe, et come prima l’herba fussi grande, levarli la Montamiata et di li voltarsi a quell’impresa che più paressi et a guastarli i ricolti in quelle parti che loro potessero valersene, et stando le genti in Pientia sarebbon pronte a ogni movimento, ch’el Papa facessi. Et, non mi occorrendo altro, a V. Ecc. ͭ ͥ ͣ bacio l’Ill.ᵐᵉ mani et mi raccomando. Nostro Signore l’esalti.

Da Sarteano il dì IIIj di febbraio 1556. Di V. E. ͭ ͥ ͣ Ill.ᵐ ͣ Minimo et perpetuo S.ͬ ᵉ

MUTIO PETRUCCI

XXXIII. bisͬ

Di ignoto. Notizie da Radicofani.

Mag. ᶜᵉ vir etc.

Vi ho scritto a pieno li dì passati et di Perugia alli 15 del presente come mi trovavo in quella Città per venire a Montalcino co’ 150 muli della monitione; li quali havevano a condurre vettovaglie in quelle Terre forti, che tengono li S.ͬ ͥ Franzesi: et vi dissi che il Duca di Sùma veniva con tre compagnie, cioè la Compagnia del S.ͬ Iac.ᵒ Malatesta, quella del ap.ᵒ Moretto Calabrese et quella del Cap.ᵒ Franc.ᵒ da Pisa. Et essendo venuti alli 17 in Chiusi, il detto S.ͬ Duca è rimasto in quella Terra et così ancora la compagnia del S. ͬ Iac. ᵒ Malatesta: e alli 18 sono marchiate (sic) le due altre compagnie alla volta di Radicofani et una compagnia Franzese del Capit. ᵒ Braccone, con li muli della monitione, li quali se n’andranno stasera alla Badia et domani verso Montalcino, carichi di grano et di farine: et le dette compagnie faranno lor compagnia et scorta. In Chiusi si trova la compagnia del S. ͬ Duca di Sùma, la quale non fu vero che si partisse per Roma, come era stato detto, et se ben si partisse et si conducesse sino in Perugia, per andar verso il campo, non dimeno hebbe da poi ordine di tornare in dietro: ci è la compagnia del S. ͬ Adriano Baglione et quella del S.ͬ Iac. ᵒ Malatesta, come ho detto. Di qua vi sono campagne assai belle et li ricolti saranno buoni: e si cominciarà a segare li grani tra xv giorni et, faciendosi le ricolte questo anno et riponendosi li grani, non è dubbio che le cose di questi S.ͬ ͥ Franzesi andranno bene per qua, ma se fussero impedite queste ricolte, costoro sariano del tutto ruinati273. ……………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………… ……………………………………ma disse ancora che se S. Ecc.ͣ volesse metter mani in questa impresa, con la gente che si trova al presente in essere, et dare il guasto a queste parti, come potria darlo, che tutte queste Terre gli verriano in mano senza dubbio alcuno; et tanto dicono li paesani così di Chiusi, come questi qui di Radicofani. Il qual luogo è così forte di sito, che se un principe, come il Duca di Fiorenza, l’havesse in mano, et ci volesse fare un po’ di spesa a fortificarlo et munirlo, tutto il mondo non lo prendaria: et pur così come sta, se vi sono genti dentro da guardarlo, è difficilissimo et quasi impossibile a prenderlo: et gli huomini della Terra sono bastanti a guardarsi da sé stessi: li quali mostrano di desiderare molto che tutto questo paese sia di un Sig.ͬ ᵉ solo et non così diviso, perché a loro non mette conto di star come stanno, et conoscono la ruina et danno che risulta a queste

273 Un bando del 4 giugno notificava che: « acciò che ogni persona possa liberamente et senza alcuno impedimento attendere alle ricolte de’ grani et altre cose e resistere alli nimici » venivano sospese in tutto lo stato « le corti delle cause civili »: e successivamente (30 luglio 1557) che : « per tutto il dì 8 di agosto ogni homo habbi fatto tribiare li grani e altri biadumi, che da inde in là s’intenderanno persi et se ne farà la volontà degli Ill.ᵐ ͥ Sig. ͬ ͥ » dovendosi detti grani, appena fossero «netti et conci, condurre alle piazze e terre forti » a tutto il 15 dello stesso mese. (Archivio Com. di Castiglion d’Orcia – Riscossioni e Memorie 1553 – 1561). 126

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Terre di star così et vorriano che tutte le Piazze fussero di un Sig. ͬ ᵉ solo et più desiderano il Duca di Fiorenza, che altro principe. Tanto che se li Sig. ͬ ͥ sapessero alle volte come le cose passano et fussero risoluti a pigliare de’ partiti e espedienti per loro: fariano molte faccende, più che non fanno: benché io penso che il detto Duca di Fiorenza sappi tutte queste cose o buona parte di esse, et che non si muova più che tanto per diversi rispetti, et essendo tenuto principe savio et prudente, non vorrà far motivi, se non mira ben prima quello che può succedere; et vedendo lo essercito Franzese in Italia, che gli potrebbe venire addosso, se ben parte sia occupato nelle cose del regno di Napoli e che habbi animo di tornare in Francia et non tentare per adesso le cose di Toscana ……………………………………………………. …………………………………………………………………………………..

Da Radicofani allì 19 di giugno 1557.

(A tergo) Al Mag.ᶜ ᵒ et mio Hon. ᵐ ᵒ S.ͬ ᵉ Iacopo Pagni

Nel Arcivescovado di Fiorenza A Fiorenza

XXXV. Di Agnolo Niccolini Governatore di Siena al Duca di Firenze Sopra alcune guarnigioni Francesi

Ill.ᵐ ᵒ et Ecc.ᵐ ᵒ S.ͬ ᵉ et Patron mio Oss.ᵐ ᵒ

Anchora che hiersera vi scrivessi quanto occorreva, nondimeno con l’occasione di questo Sergente maggiore del Sig. Federigo, mi è parso di darle notizia di quanto s’è inteso da huomini proprii, partiti hiermattina di Montalcino, quali riferiscono che Mons. Di Monluc, uscito di Montalcino per incontrare le bande Guascone, fu a Radicofani per distribuire tredici insegne di Guasconi, venute nuovamente di Roma oltre le tre prime, delle quali tredici, hiersera se ne aspettavano tre in Montalcino, tre in Chiusi, tre a Grosseto et tre ne andavano a Radicofani, et una alla Rocchetta di Val d’Orcia che tutte erano brutta gente. Che in Montalcino delle tre insegne venute prima non rientrò più che una, un’altra a Seggiano et la terza alla Rocca di Val d’Orcia, di maniera che, in detto luogo di Montalcino, venivano a essere cinque insegne di Guasconi et quella d’Italiani sotto il Cap.ⁿ º Faustino di Perugia era ita in Maremma et si tiene che non sieno cento fanti per insegna. Non sono pagati et hanno haver tre paghe: l’altre de’ presidii ordinarii, cinque; benché si diceva che presto dovevano fare la mostra. In Chiusi dicevono essere arrivati cinque pezzi d’artiglieria grossa, et che di quivi ne andavono quattro pezzi rotti a Montalcino per rifarsi, li quali eran già a Radicofani, et così il numero dell’artiglieria non riscontra con li altri avvisi passati; per e’ quali pareva che da Franzesi si lasciassino in queste piazze quasi tutto il fornimento dell’artiglierie con loro condotte. Le vettovaglie vi sono care, eccetto il pane, et si diceva che s’erono guasti alcuni grani della munitione: quale munitione di grani dicevono esser grande, per haver continuato gran tempo di mettervene grossamente. Seguitavasi di dare tre pani il giorno della munitione alli soldati, et li Guasconi desideravano molto di tornarsene in Francia: non sapevono che, con questi Guasconi venuti nuovamente, fusse alcuna quantità di cavalli, ancora che prima si fusse detto che ne venivono 200, et le due compagnie, prima ritenute con il Sig. Mario, si stavano a Pian Castagnajo et alla Badìa. Il Cap.º Bartholomeo da Pesaro pareva che non volessi uscire di Montechiello, se non li daveno le cinque paghe delle quali era creditore etc.

Di V. Ecc. Ill.ᵐ ᵃ 127

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Humiliss.ᵐ ᵒ S.ͬ ᵉ AGNOLO NICCOLINI

XLVI:

Di Antonio Albizi al Duca di Firenze sull’ammutinamento Del presidio di Radicofani e sulla evacuazione delle altre piazze.

Ill. ᵐ ᵒ et Ecc. ᵐ ᵒ S. ͬ Duca

Li soldati Franzesi di Radicofani si sono abbottinati et ritiratisi in rocca, et questa mattina a questa ora, che siamo a ore quindici, il S. ͬ Cornelio si truova alla Scala che cammina a Radicofani et qui è arrivato quel suo Gentilhomo che era a Chiusi et andato in Montalcino, et vorrebbe condurre l’artiglieria a Radicofani, secondo dice, per fare spavento a quelli soldati: et le munizioni che hanno cariche le fanno marciare a Batignano vicino a Radicofani. Io andrò con destrezza intrattenendo questo cammino della artiglieria, come ieri li scrissi, et piacerà a V. Ecc. ͭ ͥ ᵃ dirmi se ho da andare con l’artiglieria fino alla marina e dove habbia a stare. Li Chiusini stanno con timore che quelli soldati di Montalcino, o vero Pienza, habbiano rotta la strada in su queste nuove della morte del Re Ks.ᵐ ᵒ : et questo è quanto per ora ho da dirli et, reverentemente baciandoli la mano, prego Dio la contenti.

Dal Castelluccio alli 20 di luglio 1559.

Riferisce questo Cap. ᵒ dell’artiglieria che l’artiglieria di Montalcino non cammina, né vuole il S. ͬ Cornelio che là cammini, fino a tanto che questa nen è arrivata di là da Montalcino.

Di V. Ecc.ͭ ͥ ᵃ Ill.ᵐ ᵃ Fed.ᵐ ᵒ S. ͬ ANT. ᵒ ALBIZI.

XLVIII.

Altra dello stesso Albizi.

Ill. ᵐ ᵒ et Ecc. ᵐ ᵒ S. ᵒ ͬ Duca

Iersera l’artiglieria fece alloggiamento vicino alla Scala ad un miglio et questa mattina di bonissima ora è avviata et con prestezza si cammina, et lunedì, secondo mi dice il Cap. ᵒ dell’artigieria, quella di Montalcino si giunterà con la nostra et expedirà il viaggio quanto prima sia possibile. La monizione di Chiusi è già cavata et mandata, excetto 30 barili di polvere che il Cap. ᵒ manda a levarla 15 muli di Montalcino, perché la vuole insieme. Il S. ͬ Cornelio ritornò iersera a Montalcino et veniva da Radicofani, senza haver possuto cavare li Franzesi della rocca, che sono 205 o 210, et non mi occorre altro dirli se non supplicare V. Ecc. ͭ ͥ ᵃ mi comandi; et reverentemente baciandoli la mano, prego Dio la contenti.

Dalla Scala alli 22 luglio 1559. D. V. Ecc. ͭ ͥ ᵃ Umiliss. ᵐ ᵒ Sor ANT. ᵒ ALBIZI XLVIIII.

Dichiarazione rilasciata dal S. ͬ Cornelio Bentivoglio Alla Deputazione di Montalcino 128

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Cornelio Bentivoglio

Havendomi ricerco gl’Ill. ᵐ ͥ S. ͬ ͥ il Cap. ᵒ del Popolo et Regg. ͭ ͥ di questa Rep. Che io li prometta di levar di questo loro stato le forze di S. M. ͭ ᵃ̀ Chr.ᵐ ᵃ et restituirlo in mano di essi, ogni volta che si saranno accordati con l’Ill. ᵐ ᵒ et Ecc. ᵐ ᵒ S. ᵒ ͬ Duca di Fiorenza di quanto trattano sopra di esso di presente, ho loro promesso et prometto sopra la mia fede liberamente non solo di consegnare, in quel caso d’accordo, le piazze di Chiusi, Monticchiello, Rocca d’Orcia et Montalcino, ma di levare le dette forze lunedì o martedì prossimi delli 24 o 25 del presente, ancora che a tal tempo non si fussino accordati, in mani di essi o di chi mi sarà detto da loro, perché, senza lassar passar più tempo, intendo levare esse forze, seguendo il comando di S. M. ͭ ᵃ̀, non havendo fra tal tempo altro in contrario; et perché, stante la inobbedienza et rebellione delli soldati ammutinati nella Rocca di Radicofani, io non so se posso consegnarla così liberamente come l’altre suddette piazze, a questo tempo havendo fatta la pronunzia contro di essi soldati che contiene il bando fatto pubblicare hoggi, lassarò da quel tempo in là, pigliarla da loro stessi nel miglior modo che potranno. In fede di che etc.

Nota della filza 1869 dell’Archivio Mediceo (Nota della rasegnia)*

Nota della rasegnia de’ soldati Franzesi usciti di Montalcino, Chiusi e Radicofani, fatta in Rosia per me Tomaso Ciucci, questo dì 27 di L.º (luglio) 1559, cioè di nove insegne sotto Mons. di Ciarri:

El detto Mons. Di Ciarri274 soldati n.o 88 El Capitano Palobie soldati n.o 70 El Capitano Cianterale soldati n.o 64 El Capitano Principe soldati n.o 79 El Capitano Santobino soldati n.o 56 El Capitano Blacone soldati n.o 75 El Capitano Barone soldati n.o 76 El Capitano Prunes soldati n.o 56 El Capitano Bolardo soldati n.o 61 El Capitano de la guardia de li Guizzeri n.o 13 E più nove Uffiziali per compagnia n.o 81 ___ n. º 719 *Questa lettera è della filza 479 dell’Archivio Mediceo, mentre la Nota della rasegnia, che vi si dice inclusa , si trova nella filza 1869.

(Con quest’ultima lettera siamo arrivati alla pag. 323 e a noi interessa il libro fino a questo punto. Riportiamo qui sotto i brani del libro di D. Sterpos che riguardano la Via Francigena prima e poi la Cassia e di conseguenza il nostro paese e che grazie a queste vie è conosciuto in tutto il mondo).

274 Ciarri, Palobiera, Blaccon, Baron de Rolast, Sant’Urbino, Prune, Prence, Ciamberan, Bolardo.

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COMUNICAZIONI STRADALI ATTRAVERSO I TEMPI – FIRENZE – ROMA – a cura di Daniele STERPOS – Istituto Geografico De Agostini – Novara 1964. (Comitato promotore Giuseppe PETRILLI –presidente dell’I.R.I. con Autostrade – Concessioni e Costruzioni Autostrade S.p.A. – Roma)

II

Pag. 27 e segg.

La Firenze – Roma dell’alto medioevo. Nascita e sviluppo del tracciato attraverso Siena.

L’invasione longobarda separa Firenze da Roma.

Dopo la morte di Teodorico il regno gotico non riesce a mantenersi: l’Italia viene conquistata dall’imperatore d’Oriente. Durante la lunghissima, deleteria guerra con cui tale conquista si compie, non è evidente il ruolo strategico della strada da Firenze a Roma. Riusciamo, non senza qualche incertezza, a seguire le alterne vicende della lotta per il possesso delle città che ne costituiscono gli estremi. Roma è occupata dal corpo di spedizione condotto da Belisario nel 536, assediata dai Goti inutilmente due anni dopo, ma occupata dopo altri dieci sotto Totila, lasciata e ripresa ancora. Infine resta ai Bizantini. Anche Firenze cambiò più volte padrone. Dopo che gli uomini di Belisario furono entrati in Roma, si diede ad essi; forse il re ostrogoto Vitige la riprese nel 539, ma se ciò avvenne, non durò, perché dopo poco v’erano certo i Bizantini. Nel 552 apparteneva comunque ai Goti e perciò subì certo un’altra occupazione perché l’anno seguente il generale imperiale Narsete affrettava la conquista totale dell’Italia. ………………………………………………………… La definitiva vittoria di Narsete (553) non recò all’Italia altro beneficio che di veder cessare i combattimenti. …………………………………………………Il paese era perciò sempre stremato quando, 15 anni dopo la fine della guerra gotica, dovette subire ancora l’invasione. Una sciagura, questa, più grave delle precedenti, perché i nuovi barbari si consolidarono nel paese obbligando gli Italiani semplicemente a servire: «fu la prima vera, duratura dominazione totalitaria di un popolo conquistatore»275. ………………………………………………………………………………………………… …………………Sta qui l’origine di divisioni territoriali e politiche che si manterranno fino ai nostri giorni. Ad ogni modo il 568-69 è la tappa decisiva dell’imbarbarimento. Dei Longobardi dice tutto Velleio Patercolo quando li chiama «più feroci della ferinità stessa», nell’Italia rimasta bizantina la vita fu condizionata e paralizzata dalla loro permanente minaccia. Con l’invasione longobarda «il nostro medioevo comincia nei suoi aspetti più bui»276. Condizioni sfavorevoli al massimo per le comunicazioni stradali quelle dell’Italia alla fine del secolo VI. …………………………… ……………………………………………………A Pavia, ch’era la capitale dei Longobardi, cresceva l’erba abbondantemente per le strade. Dovendo al solito cercar di dedurre il particolare dal generale, non possiamo supporre, almeno subito dopo la nuova invasione, che una Firenze – Roma in pessime condizioni e con minima attività. …………………………………………………… …………………………………………………………………………………………… La separazione permanente fra i due centri, mai prima d’allora verificatasi, diventò irreparabile per ciò che accadde del territorio romano. ………………………………… …………………………………………………………………………………………………… ….

275 PEPE G.: Medio Evo barbarico d’Italia, Torino 1959, pag. 16. 276 Ivi, pag. 113. 130

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Quando poi si dovette affrontare un’offensiva longobarda minacciante di assoggettare l’Italia intera, il papa incominciò ad agire da Capo di Stato. La nascita giuridica del dominio ecclesiastico è tradizionalmente legata a una località posta sulla strada Firenze – Roma, una stazione della Cassia antica, a Sutri. Questo castello preso dai Longobardi che re Liutprando stava conducendo contro l’Urbe, dietro agli ammonimenti di Gregorio II, fu a un certo punto abbandonato e donato «ai beatissimi apostoli Pietro e Paolo». …………………………………………………………… ………………………………………………………………….

Contatti e strade tra Roma e Firenze nei secoli VII e VIII.

Questi saltuari indizi della persistenza di contatti Firenze – Roma (potremmo aggiungerne uno più antico, lo scambio di missive tra due sacerdoti fiesolani e Gregorio Magno per la costruzione di alcune chiese) nell’atto stesso in cui ci fanno pensare a una strada inducono a domandarsi come nei tempi descritti potesse venir provveduto almeno ai suoi più elementari bisogni. Si può trovare una risposta, indiretta, solo tenendo presente certi aspetti meno sfavorevoli della realtà storica. …………………………………………………………………………………………………… L’opera di governo civile dei re Longobardi e dei papi, l’azione dei monasteri, dei «popoli» delle pievi, non sapremmo fin dove abbia potuto spingersi. Da come ci si presenterà qualche secolo più tardi la rete nella zona che c’interessa, conosceremo invero che qualcosa di nuovo si realizzò nel campo della viabilità anche in quest’epoca. Ma le difficoltà che innegabilmente allora ogni iniziativa del genere doveva trovare per attuarsi, specie quando i territori interessati non avevano unità politica, fanno escludere che per l’intero percorso fra le due città che c’interessano già si disponesse di un itinerario diverso dall’antico. Non congettureremo perciò ancora per i viaggi tra Firenze e Roma (quando avvengono) altra via che la Cassia, quale ci è apparsa in piena età imperiale, salvo varianti locali di emergenza.

Il problema dello spostamento del tracciato a ovest.

Ma avremo presto elementi per incominciare a supporre variato il quadro che ci si presentava nell’antichità. Acquisiamo tali elementi considerando l’evoluzione delle comunicazioni stradali tra Roma e Firenze al suo punto d’arrivo. Ai nostri giorni la strada usata comunemente per andare dall’una all’altra città corrisponde solo in parte alla Cassia quale ce la mostrano i documenti e gli avanzi d’età romana. Essa non penetra nel Valdarno Superiore, ma parte puntando a Siena attraverso un’accidentata zona collinare, e dopo Siena, scavalcati a Radicofani gli ultimi rilievi antiappenninici della Toscana, tiene la direzione di Viterbo. Non molto prima di raggiungere questa città, sulla sponda orientale del lago di Bolsena assume di nuovo, e sino alla fine (un centinaio di chilometri) l’andamento dell’arteria romana. ………………………………………… Proprio l’ultimo dei discendenti legittimi di Carlo Magno che ebbe titolo imperiale e riunì domini dell’illustre antenato, Carlo il Grosso cioè, rientrando in Francia dopo l’incoronazione a San Pietro, segue già un itinerario che prefigura quello delle odierne comunicazioni Firenze-Roma. Carlo fu consacrato imperatore il 12 febbraio 881; il 13 di marzo si trovava a Pavia dopo essere stato a Siena in un giorno imprecisato di quel mese: Roma-Siena-Pavia è dunque la sintesi del suo ritorno. Se teniamo conto che difficilmente egli avrà lasciato l’Urbe all’indomani stesso della cerimonia e che a Siena dovette sicuramente fare una certa sosta, emerge che il viaggio non durò un numero eccessivo di giorni; possiamo così escludere che Carlo abbia raggiunto Siena durante una diversione e credere invece che percorresse una strada diretta da Roma all’Italia settentrionale passante per quella città.

L’itinerario di Sigerico: da Roma all’Italia settentrionale per Siena e la Valdelsa.

Trascorso un secolo, il percorso di tale strada lo troviamo dettagliatamente descritto nell’itinerario del viaggio che tra il 990 e il 994 l’arcivescovo di Canterbury, Sigerico, fece per tornare 131

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi da Roma alla sua sede episcopale: un elenco dei luoghi di sosta («submansiones») toccati dalla partenza al mare, 80 nomi277. La strada seguita dall’arcivescovo Sigerico tocca Sutri, Viterbo e Siena, corre nella Val d’Elsa fino all’Arno, ………………………………

Il tratto Siena – Roma della strada percorsa da Sigerico.

Della strada di Sigerico già ci è noto il tratto dall’Arno a Siena; tornando all’itinerario dobbiamo vedere quello successivo, certamente tutto percorso da quanti andavano da Firenze a Roma e viceversa senza più seguire il percorso antico. La prima stazione dell’Itinerario a sud di «Scocine» (Siena) è «Arbia», parola indicante l’incontro della strada con il fiume omonimo. È molto probabile che il luogo dell’attraversamento sia rimasto lo stesso attraverso i tempi e quindi «Arbia» può collocarsi nella località Ponte d’Arbia. Vengono poi «Turreiner» e «Sce Quiric», ossia Torrenieri e San Quirico, identificazione non dubbia. Per i primi 45 Km dopo Siena, la strada un millennio fa corrispondeva fondamentalmente a quella attuale. …………………………… ………………………………………………………… Quanto a «Sce Petir in Pail», va naturalmente cercata nella valle del Paglia. Il Paglia è formato da alcuni torrenti che si uniscono a sud-ovest di Radicofani; la confluenza dei rami principali avviene tra quota 406 e quota 359. Se l’antica stazione, come i più ritengono interpretando alla lettera l’itinerario che scrive «nel Paglia»278, si trovava sul fiume, il luogo più probabile dove possiamo collocarla è al disotto delle quote predette, dove dopo aver ricevuto il Fosso Quercia lo stesso Paglia appare bene definito; per precisare: presso Casa Voltole o Casa Val di Paglia. Siamo assai in basso rispetto alla cima di Radicofani. …………………………………………………… ……………………………………………………………. D’altra parte nell’itinerario di Sigerico colpisce l’assenza di Radicofani sicuramente esistente all’epoca della sua redazione (apparteneva a S. Salvatore sull’Amiata almeno dal 973) e nominata più tardi in documenti analoghi. ………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………….

Pag. 42 e segg.

Precisazioni sulla strada date da altri itinerari.

Ammesso che l’itinerario degli «Annales Stadenses» sia databile nel 1152 esistono documenti simili, coevi o di poco posteriori, con i quali è opportuno confrontarlo. Il confronto può essere però soltanto parziale, perché i documenti in questione illustrano il percorso vero e proprio della Francigena, e cioè Lucca-Siena-Roma e non Firenze-Siena-Roma. Il primo è l’itinerario del viaggio a Roma, e quindi in Palestrina, dell’abate Niccolò di Thongor, islandese, tra il 1551 e il 1554. In esso immediatamente prima di Siena troviamo …………………………………………………… La situazione degli «Annales» la troviamo anche da Siena a Roma, salvo due novità: che fra S. Quirico e Acquapendente si passa per il Monte Clemunt (Clements-fjell) nel quale si trova il castello di Mala Mulier (Illa Konu Kastali), che la strada oltre a Sutri tocca, dopo un giorno di cammino, «Sutri minore» (Suturan mikla ok litla) vicino a Monte Foiano (Fegnisbrekka). «Monte Clemunt» corrisponde probabilmente (io dico sicuramente perché in altri documenti citati più sopra Mala Mulier esiste, anche se non è sopra il monte ma probabilmente nella zona delle

277 L’itinerario di Sigerico fu pubblicato a cura di W. STUBBS in Rerum Britannicarum Medii Ævi Scriptores, vol. LXIII (London, 1874) pag. 392 sgg. sotto il titolo: «Adventus Archiepiscopi nostri Sigerici ad Romam». K. MILLER lo ripubblicò in Mappamundi, III. Stuttgart 1895, pagg. 156 – 158. La lezione da noi seguita è quella dello Stubbs. 278 Cfr. JUNG J., Das Itinerar des Erbischofs Sigeric von Cantebury und die Strasse von Rom über Siena nach Luca, pag.43. Egli cita, approvando, lo STUBBS che ha collocato « sulla riva del Paglia » e richiama opportunamente l’esistenza nei primi decenni del secolo XII di un monastero di San Pietro che aveva possessi lungo il Paglia. 132

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi attuali “Conie”) al monte di Radicofani, perché sotto di esso, nella pendice meridionale, sorgeva Callemala, borgo che sarà lo stesso di Mulier Mala, tanto più che le carte dell’XI e XII secolo menzionano una Mulier Mala sulla « via Francigena» (però Mulier Mala è diversa da Callemala, infatti, in alcuni documenti sono citate tutte e due). L’altro documento contemporaneo agli «Annales», in quanto «connesso con un viaggio a Roma di messaggeri di Richards di Anesty inviati nel 1158» da Lucca in poi nomina tutte le località già comparse negli «Annales» stessi cominciando da «Le Matre» (Marturi = Poggibonsi). Infine, abbiamo l’elenco delle tappe fatte da Filippo Augusto, re di Francia, nel tornare dalla crociata il 1191. Esso conferma per la Firenze- Roma il tracciato degli «Annales», arricchito da una nuova precisazione sul passaggio della strada da le Le Briccole, già ricordata nell’itinerario di Sigerico, e da Radicofani («La Briche» e «Redecoc») tra San Quirico e Acquapendente. In sostanza i tre ricordati itinerari dicono qualcosa di più rispetto a quello contemporaneo degli «Annales Stadenses» solo per il tratto San Quirico-Acquapendente, attestando la presenza della strada sulla montagna di Radicofani. ……………………………………………………….... A una distanza di tempo un poco maggiore dagli «Annales Stadenses», troviamo un documento che presenta di nuovo l’intero tratto Firenze-Roma, e cioè certi conti di viaggio probabilmente di Wolfger, vescovo di Passau e patriarca di Aquileia. Wolfger, che compie il suo viaggio nel tratto che c’interessa durante l’aprile e il maggio 1204, come località toccate all’andata o al ritorno nomina Firenze, Poggibonsi (Marthirburch), Siena, «Sanctam Cristinam», San Quirico, Radicofani (Radechuf), Acquapendente ecc. ecc. ………………………………………………

Pag. 60 e segg.

Sulla Firenze-Roma alla fine del secolo XII: di nuovo il Barbarossa, Enrico VI, Filippo Augusto. ………………………………………………………………………………………………….

Il primo agosto (era l’anno 1185, trent’anni dopo la prima discesa,) il Barbarossa era ancora a Firenze: il 2 si trovava a Poggibonsi: spostamento rapido in cui non sembra azzardato vedere la riprova che una strada regolare già univa le due località, e cioè che il primo tratto della Firenze- Roma attuale e funzionante nel suo tracciato base. ………………………………………………. Anche Enrico di Svevia lo troviamo molto presto nei luoghi attraversati dalla Firenze-Roma: durante la primavera del 1186 egli muove infatti contro Siena. La città che doveva essersi ribellata, subì un breve assedio: e forse l’esercito regio discese per la strada di Firenze perché si distribuì attorno al luogo dove questa strada raggiungeva la città: «pose l’Omperadore Arrigo assedio a Siena a Camollia» dice la Cronaca. Vincitore, Enrico punì i Senesi togliendo loro i pedaggi stradali e tutti i possedimenti sui quali aveva diritti l’impero, precisando bene che intendeva vi fosse compreso San Quirico («et specialiter Castrum santi Quirici»). …………………………………………….. Alla spedizione in Terra Santa, durante la quale perse la vita il grande imperatore (Barbarossa), aveva partecipato anche Filippo Augusto, re di Francia, che nel 1191 appunto compiva quel viaggio di ritorno per l’Italia il cui itinerario schematico abbiamo prima utilizzato nel seguire l’evoluzione di tracciato della nostra strada. Filippo Augusto, come a suo luogo si disse, toccò Roma, il «Castello di San Pietro», Sutri, Viterbo, Montefiascone, Bolsena, Acquapendente, Radicofani, Briccole, San Quirico, Siena, Poggibonsi e da qui continuò per il tratto superiore della Via Francigena. …………………………………………

I Romani contro Viterbo al tempo di Innocenzo III.

Non minori vantaggi, immediati almeno, ebbe dall’improvviso cambiamento la Chiesa. Il successore di Celestino III, spentosi poco dopo l’imperatore, poiché i sovrani che contendevano in Germania erano entrambi interessati al suo appoggio, e poiché dell’orfano di Enrico VI era egli stesso 133

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi il tutore, venne a trovarsi in una posizione fortissima e, con la sua intelligenza ed attività, poté largamente profittarne. Fu questi Innocenzo III, il cui papato è fatto coincidere con l’apogeo della potenza della Chiesa, anche se non tutti i successi che egli riportò furono così pieni come ai più appariva. Prima di allargare la propria autorità su tutta Europa, papa Innocenzo III volle e seppe assicurarsi una base di potere, riprendendo l’effettivo controllo dei territori ecclesiastici. Si trattava anzitutto d’imporsi ai feudatari rimasti senza appoggio imperiale ed egli vi riuscì assai rapidamente; tra l’altro, l’anno stesso dell’elezione ricuperò tre località il cui controllo significava garanzia di libero movimento in direzione della Toscana e di Firenze: Radicofani, Acquapendente e Montefiascone. E la prima dispose subito che venisse adeguatamente fortificata: «In rocca de Radicofano fecit exsaltari veteres murus et novos construi, cavari fossatum et locum bene muniri»277 ………………………………………………………………………………………………………

Pag. 69

Federico II in viaggio sulla Firenze-Roma. Tracollo dell’Impero alla morte di lui.

Ricomparve Federico sulla Firenze-Roma durante il 1247 e percorse tutto il tratto centrale. Tempi grami quelli per lui. Negli anni avanti c’erano state una scomunica papale, offensive fallite contro i comuni eternamente ribelli e la proclamazione in Germania di un nuovo «re dei Romani»; nello stesso campo imperiale alcuni notabili avevano congiurato. Procedendo per la «strada romana» Federico trovò tuttavia rispetto e ubbidienza. I Senesi, quando seppero che da Terni s’era diretto a nord-ovest, spedirono un corriere ad Acquapendente per informarsi se il viaggio avrebbe interessato la loro città. Ma ad Acquapendente già s’era pensato a mandare qualcuno a Siena, per informare dell’itinerario che intendeva fare quel difficile viaggiatore. Appena avute comunque le informazione che aspettavano, i Senesi fecero partire un’ambasceria capeggiata dal podestà in persona per ricevere appunto in Acquapendente l’imperatore e accompagnarlo. L’ambasceria stette fuori 4 dì, per cui si desume che Federico II percorresse il tratto Acquapendente-Siena in un paio di giorni. Probabilmente egli fece tappa a San Quirico, perché lì datò un diploma che ci è rimasto. A Siena, dove fu ospitato a pubbliche spese, il sovrano aveva con sé il figlio Federico d’Antioca, da un po’ di tempo potestà di Firenze e vicario imperiale in Toscana, e certo esaminò con lui la situazione nella zona e i piani concretati per l’Italia superiore, alla quale si dirigeva. Ma pur con l’assillo di tanti problemi di Stato, l’imperatore non dimenticò nel soggiorno in Toscana di andare a caccia, il suo spasso prediletto: sappiamo che il comune senese fece preparativi in vista di una battuta verso Orgia. Con Federico II erano dunque passati sulla «via romana» anche i suoi celebri falconieri, e lo stesso deve essere accaduto a Viterbo nel 1234, quando, a dire d’un cronista malevolo, a un certo punto lo Svevo sembrò «diventato cacciatore, da imperatore che era». Per tempo brevissimo Siena ebbe quell’ospite eccezionale. Egli ripartì d’aprile, proseguendo per la «via romana», e fu fatto accompagnare da idonee guide fino a Poggibonsi, dove prese la vecchia Strada Francigena279.

III

Secoli XIV e XV : vita della « strada romana »

Sulla Firenze-Roma verso la fine del Duecento.

Pag. 72

279 Per tutti i particolari del passaggio di Federico II lungo la nostra strada nel 1247 cfr. Libri dell’entrata e dell’uscita della Repubblica di Siena detti del Camerlingo e dei quattro provveditori della Biccherna, Siena 1931, VII, pagg. 31 – 43. 134

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…………………………………………………………………………………………………… … E la spedizione dei Romani contro Viterbo nel 1290, e il passaggio della ambasceria straordinaria fiorentina, 12 oratori e un notaio, per l’elevazione al trono di Pietro d’un uomo che si sapeva difficile e autoritario, di Bonifacio VIII il cui drammatico pontificato doveva chiudere il secolo e un periodo di storia. Al medesimo periodo la fantasia del Boccaccio assegnò una straordinaria impresa di Ghino di Tacco sulla «strada romana», di catturare «l’abate di Clignì» mentre col permesso di papa Bonifacio va da Roma «a Bagni di Siena» e curargli lo stomaco in Radicofani con fave secche e vernaccia.

Viaggio di Dante per il Giubileo.

Non meno di questi personaggi di primo piano della vita italiana o europea, non meno di questi fatti ricchi di conseguenze, e tuttora, alcuni, famosi, ci interessa la presenza sulla Firenze-Roma di un gruppetto di gente comunissima e una notiziola sui loro affari. Il 21 aprile 1300, diverse persone di Radicofani e del castello di Badia promettono a Fra Giovanni del monastero di San Salvatore che staranno lungo la strada pubblica, nella contrada di Calimala a vendere vino e cibo a quelli che passano, ricevendo un determinato utile. Certo, è un accordo privato tra alcuni campagnoli e il rappresentante di un monastero, che riguarda un modesto servizio per i viandanti. Ma forse qualcuno dei sottoscrittori di tale accordo, in quella stessa via pubblica dove l’atto era stato sbrigativamente rogato, fra i viaggiatori della Firenze-Roma, fra i pellegrini, fissò forse il volto di Dante: quel volto che tutte le generazioni avrebbero poi cercato e immaginato e che doveva diventare il simbolo della gente e della patria italiana.

Pag. 76.

Fisionomia della Firenze-Roma nel secolo XIV. L’opera dei comuni.

…………………………………………………………………………………………………… La strada Celamonti-Corsignano interessava le comunicazioni Firenze-Roma; essa proseguiva infatti per San Casciano dei Bagni e riprendeva la Via Francigena, che è quanto dire la strada di Firenze presso il Paglia, dopo la confluenza con il Rigo. In alcuni periodi « per ragioni prevalentemente politiche » si preferì tale itinerario all’altro di Radicofani280. Quest’ultimo però rappresentò sempre il cammino principale. Nell’itinerario di due viaggi effettuati alla metà del 300, dopo Siena si trova San Quirico e quindi l’ «Altum Radicofanum» o il Molino del Paglia, che doveva essere, non lontano dal ponte sul Rigo attuale281. La costruzione del tratto nuovo a sud di Torrenieri rientra in un restauro generale ordinato nell’anno 1306 nel comitato senese. Incaricati del comune divisero la Strada Francigena (compreso il ramo di Corsignano) in tratti, assegnandoli alle comunità che dovevano provvedere, e prescrivendo i lavori da eseguire: le spese sarebbero state detratte dalla imposta della gabella. A parte la variante riportata, qualche ponticello, qualche allargamento, il restauro sembra consistesse nella costruzione o ricostruzione delle massicciate: si è calcolato che in complesso venissero impiegati oltre 9000 metri cubi di ghiaia, il che indica un forte ricarico.

Pag. 84

280 Cfr. VENEROSI-PESCIOLINI G.: La strada Francigena nel contado di Siena nei secoli XIII-XIV, Siena 1933, pag. 9 – 14 -15 – 35. 281 Cfr. l’itinerario del mercante «Bonis», venuto a Roma per il giubileo del 1350: « …de ser a San Sirguoo; le XX dia dinar ala Palha del Molit, de ser a Aguas-pendens » (RAINA P.: Una iscrizione nepesina del 1131, in « Archivio Storico Italiano », XIX (1887), pag. 58). Cfr. anche l’itinerario di Carlo IV imperatore nel 1355: «per Sanctum Quiricum ac altum Radicofanum et deinde per Aquam Pendentem». 135

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Il giubileo del 1350: anche il Petrarca fra i pellegrini.

Senza il papa intanto Roma aveva visto un secondo giubileo e una nuova incoronazione imperiale. Il Giubileo dell’anno 1350 ebbe anch’esso, come il primo del ‘300, uno dei massimi nostri poeti fra i pellegrini : Francesco Petrarca. ………………………………………………… L’incoronazione imperiale alla quale abbiamo alluso fu quella di Carlo IV di Boemia nel 1355. Nel venire verso l’Urbe Carlo, da Pisa, raggiunse la Firenze-Roma a Poggibonsi e ne percorse tutto il rimanente. Toccò Siena, San Quirico, Radicofani, Acquapendente, Bolsena, Sutri; non Viterbo, o meglio, non l’abitato: gl’impedì l’ingresso il rettore del Patrimonio, che temeva dei ghibellini locali. Ma Carlo IV si rassegnò facilmente; era accomodante e badava soprattutto a far denari mediante tributi. Sulla Firenze-Roma, con l’imperatore viaggiava la moglie e furono poi incoronati insieme.

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La « strada romana » nella seconda metà del Quattrocento.

Dopo il decorativo e suggestivo passaggio dell’imperatore (si parla dell’Imperatore Federico III di Stiria il quale veniva per essere incoronato ma restò esclusa la sua nomina però venne per sposarsi dal vescovo Enea Silvio Piccolomini) l’urto tra le due ricordate coalizioni di Stati si verificò e le ostilità non si conclusero che nel 1454 quando i principali contendenti, Venezia e Milano, compresero la necessità di posare le armi. Al loro accordo diretto dovette seguire quello degli altri Stati e la pace, detta di Lodi, sanzionò una situazione di equilibrio che durò 40 anni. La seconda metà del secolo scorre così assai più tranquilla della prima nello splendido fiorire della civiltà rinascimentale che trae tanta anima anche dai diretti rapporti, in questo tempo attivissimi, tra Firenze e Roma. Possiamo a conclusione dare ancora uno sguardo al tracciato della strada naturalmente per noi sempre più definito e preciso. Esso si sviluppava da Firenze a Siena per queste località: Porta San Pier Gattolini, San Gaggio, Portico, bivio per Volterra al Galluzzo, Tavarnuzze, Ponte (nuovo) di Montebuoni, Sant’Andrea in Percussina, San Casciano, passaggio torrente Terzona, Tavarnelle, Petroio, Barberino, Poggibonsi, Staggia, Siena. Da San Casciano fin qui è sempre frequentatissimo il ramo del Chianti, per Sambuca, San Donato in Poggio, Castellina, Quercegrossa. Oltre Siena la Firenze-Roma tocca: Monteroni, Ponte d’Arbia, Buonconvento, Torrenieri, San Quirico, «Le Capanne», Radicofani, Ponte al Rigo, Ponte Centino, Acquapendente, San Lorenzo, Bolsena, Montefiascone, Viterbo, Vico del Prefetto, Ronciglione, Sutri, Monterosi, Torre a Baccano, Borghetto e Roma282. Nei 40 anni suddetti, dalla pace di Lodi alla spedizione di Carlo VIII questa strada, come al solito, fu utilizzata da alcuni protagonisti del mondo italiano (ed europeo) in occasioni importanti. Il

282 Sul tracciato siamo complessivamente informati dai diari delle «Commissioni» espletate da Rinaldo degli Albizzi per conto della Repubblica fiorentina, nelle quali sono riportati con molti dettagli gl’itinerari di tre viaggi Firenze-Siena e ritorno (1410 e 1414) e tre Firenze-Roma e ritorno (1421, 1424, 1425-26). In questi ultimi per due volte l’Albizzi non percorre nel primo tratto la strada che conosciamo, ma un’altra che passando per Incisa Valdarno, Torrita, Montepulciano e Perignano viene a rientrare in essa tra i monti a nord di Radicofani. Il tratto dal Rigo all’Orcia, cioè l’attraversamento da sud a nord dei monti di Radicofani, viene per due volte così descritto: «Ponte Arrigo-Capanne di Radicofani – alle Capanne – all’altre Capanne – al fiume della Paglia». Una volta si nomina semplicemente «Radicofani». Risulta perciò incerto il percorso compiuto in questo tratto: Probabilmente altre alla strada che saliva alla sommità, documentata altre che dalla detta menzione «Radicofani» anche da un altro itinerario del secolo XV (Cfr. «Itineraire de Bruges» in Le livre de la description des Pays, a cura di E. T. HAMY, Paris, 1908, pag. 190: «…….Saint Cleriquo, Readecophere, Acqueendente». Era di nuovo in uso un cammino come quello del medioevo, che passava più in basso forse da «La Capannella» (m. 525, dalla parte di Ponte a Rigo) e poi vicino al Paglia. Secondo un’antica fonte (Cfr. PECCI. Lo stato senese. Etc…Biblioteca Civica di Siena. Ms. B. IV. 18. Vol. IX, c. 140, sarebbe questo il periodo in cui i passeggeri «tenevano la strada di sotto» e la repubblica ordinò di drizzare e stabilire per Radicofani la «strada romana» facendola riparare dal Formone in poi. 136

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Piccolomini diventato papa ne percorse parte nell’andare e nel tornare (1459-60) ………………….. Vi passarono qualche anno dopo andando a nozze due fanciulle di gran rango: la figlia del duca di Milano, sposa all’erede di Napoli, e la sorella di quest’ultimo, destinata a Ercole d’Este. Fanno riscontro viaggi a Roma per devozione, di due sovrani stranieri: ancora Federico III e Cristiano di Danimarca (1469 e 1474) e il passaggio dei pellegrini al Giubileo del 1475. La strada fu poi interessata da movimenti militari per l’attacco combinato di Sisto IV, il re di Napoli e Siena a Firenze. Attacco fallito per la sagacia di Lorenzo il Magnifico;…………………………….È l’anno 1489, dal 12 al 22 marzo, sulla Firenze-Siena passa il figlio del Magnifico stesso, Giovanni, che va a ricevere la porpora. Il cardinale Giovanni, assurto al pontificato come Leone X, darà il nome al suo secolo.

IV

La grande crisi italiana negli episodi collegati alla strada. Pag. 93 e segg.

La discesa di Carlo VIII: marcia da Firenze a Roma.

Alla fine del Quattrocento l’equilibrio nella Penisola viene rotto ad opera del re Carlo di Francia, che vantando antichi diritti dinastici passa le Alpi per conquistare il Napoletano. Sulla venuta di Carlo VIII in Italia come apertura d’un periodo storico tutti conoscono il giudizio del Guicciardini, che scrisse la più penetrante narrazione dei primi decenni dell’età moderna partendo proprio dalla spedizione del re francese: « Dalla passata sua non solo ebbono principio mutazioni di Stati, sovversioni di Regni, desolazioni di paesi, eccidi di città, crudelissime uccisioni; ma eziandio nuovi abiti, nuovi costumi, nuovi e sanguinosi modi di guerreggiare, infermità insino a quel dì non conosciute; e si disordinorono in maniera gli istrumenti della quiete e concordia italiana che non si essendo mai poi potuta riordinare, hanno avuto facoltà altre nazioni straniere e eserciti barbari di conculcarla miserabilmente e devastarla». …………………………………………… ………………………………………………………………………………………………. Il Guicciardini dice chiaro che da Siena in poi Carlo VIII procedette verso Roma «insolente più l’un dì che l’altro per i successi molto maggiori che non erano giammai state le speranze; e, essendo i tempi benigni e sereni assai più che non comportava la stagione, deliberando di continuare senza intermissione questa prosperità». Da Siena, il re partiva il 4 dicembre; quella sera alloggiò a Buonconvento e nei giorni successivi continuò sulla «strada romana» : egli oltrepassò il confine senese, il fiume Paglia e raggiunse Acquapendente, Bolsena e Viterbo occupandole senza difficoltà, non solo, ma in mezzo a clamorose manifestazioni di omaggio. ………………………………… ………………………………………………………………………………………………. Entrato attivamente nella politica, Girolamo Savonarola rappresentò un elemento equilibratore e chiarificatore, prezioso non solo per l’efficienza delle nuove istituzioni, ma per la concordia cittadina, in un’ora in cui le passioni non più represse e velleità di rivincita potevano scatenare le guerra civile. «Se non fussi questo Frate si veniva al sangue», scrisse un fiorentino in quei giorni283.

Il re di Francia entra in Roma. Situazione critica di Alessandro VI.

Firenze insomma andava superando la crisi, invece Roma doveva ancora passare il peggio. Dopo l’occupazione di Viterbo …………………………………………………….il 19 e il 22 dicembre arrivarono « fino alle porte di Roma » provocando i nemici a battaglia. ……………………. Nella descrizione del contemporaneo rivive lo spettacolo che migliaia e migliaia di persone, lungo tutta la Firenze-Roma, stupefatte e atterrite ammirarono quell’anno lontano come la cosa più straordinaria che mai sulla strada o altrove avessero visto.

283 LANDUCCI L., Diario fiorentino dal 1450 al 1510, ec. A cura di Del Badia, Firenze 1883, pag. 93. 137

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Ritorno di Carlo VIII da Roma verso Firenze: il Savonarola accorre per persuaderlo a deviare.

Carlo poteva dirigersi ormai alla sua meta ultima, e per profittare del bel tempo fuori stagione, si affrettò a lasciare Roma per Napoli avanti che finisse gennaio. Ai primi di giugno lo ritroviamo a Roma e sulla strada Roma-Firenze……………………… alla conclusione di una lega antifrancese promossa da Venezia e da quello stesso Ludovico il Moro che aveva tanto appoggiato la discesa del re in Italia. …………………..il primo giugno arriva e il 3 riparte in direzione di Viterbo e di Siena. …………………………………………………………….il 13 giugno entrarono in Siena il re, ……………………..marciando con ordine e silenzio da impressionare. Nella città Carlo VIII passò alcuni giorni, occupato a trattare con i fiorentini……………………………………………………. ………………………………………………………..Quando seppe il re a Siena, il frate (Girolamo Savonarola) sentì di non dovere più attendere ad andargli incontro ……………………………………….Quando Girolamo Savonarola accompagnato Carlo a Castel fiorentino, rientrò in città, non meno di 13.000 persone accorsero alla prima predica.

Piero de’ Medici tenta di tornare a Firenze risalendo la «strada romana».

La definitiva uscita dell’esercito francese dal proprio territorio non significava per Firenze la fine di ogni difficoltà. ………Piero de’ Medici ………………credette allora giunto il momento per un nuovo tentativo di rientrare a Firenze………………… Da Roma egli tenne fino a Siena la direttrice della via maestra, ma «camminando di notte e fuori strada» per non scoprirsi; a Siena raccolse altri aiuti e si trovò a disporre di un migliaio di armati senza che Firenze fosse ancora in allarme. Alla fine, visto che nessuno si voltava in suo aiuto e considerato che gli potevano sopraggiungere da un momento all’altro alle spalle truppe della Repubblica chiamate da Pisa, Piero de’ Medici capì d’aver ancora una volta perso e fece marcia indietro verso Siena.

La legazione romana del Machiavelli «segretario della Signoria».

Pag. 107.

………………………I piagnoni furono sostituiti con uomini della fazione opposta……………………..la direzione della seconda cancelleria, a un giovane sconosciuto: Niccolò Machiavelli…………………………………………………………..Anche Machiavelli è fra coloro che percorsero la Firenze-Roma; anche nelle sue vicende s’inseriscono viaggi e spostamenti per la nota strada postale. Ci sono anzitutto nell’agosto del 1501 e nell’aprile del 1503, due viaggi a Siena…………… C’è poi, ben più importante, il viaggio a Roma, anch’esso del 1503. Più importante per la lunghezza del percorso, per l’emozione che dovette dare al Machiavelli («Sull’incontro di quest’uomo con le reliquie dell’Urbe ci bisogna frenare la fantasia», ha scritto un biografo) e per il motivo che lo determinò: osservare la situazione dopo la morte del papa Alessandro VI Borgia e l’effimero pontificato di Pio III, e seguirla «fino alla elezione del nuovo pontefice». Il Machiavelli partì la mattina del 24 ottobre e arrivò il 27.

Il ritorno in patria dei Medici. Il cardinale Giovanni a Roma per l’elezione papale.

……………………………il Machiavelli perse il posto. E poco dopo rischiò anche la vita: fu infatti arrestato all’inizio del 1513 sotto l’accusa di aver preso parte a un complotto antimediceo. Il 138

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi complotto esisteva e l’azione dei congiurati avrebbe dovuto manifestarsi anche sulla Firenze-Roma perché sembra che fosse stato deciso «d’ammazzare in Firenze Giuliano e Lorenzo de’ Medici e nel medesimo tempo, per la strada di Siena, il cardinale quando egli andasse a Roma, per la creazione del nuovo papa». Ma il decaduto Segretario non vi aveva partecipato e poté evitare il peggio; tuttavia lo lasciarono in prigione. Perché ricuperasse libertà e sicurezza ci volle un avvenimento eccezionale, avvenimento iniziatosi proprio con un viaggio da Firenze a Roma. Giulio II …………. spirò nella notte tra il 20 e il 21 febbraio 1513. Il giorno 22………. il cardinale Giovanni de’ Medici lasciava Firenze con il suo seguito per partecipare al conclave. ……………………… impiegò 5 giorni nel viaggio poiché arrivò il 26, e appena a Roma si mise a letto. Anche in conclave il cardinale Medici entrò in lettiga, ma questo non gli impedì di uscirne papa.

Fiorentini e parenti di Leone X a Roma. Riprende la guerra tra Francia e Spagna. Se il papa mediceo, come abbiamo visto, giovava anche ai nemici della sua famiglia, doveva dare necessariamente speranze d’esaltazione ai consanguinei. In particolare per Giuliano e per Lorenzino, figlio di Piero, i due Medici che erano primi in Firenze, con il pontificato di Leone X si apriva un grande avvenire, ed entrambi si affrettarono a Roma per mettersi in luce accanto al rispettivo fratello e zio. Lorenzino vi corse alle prime notizie, tanto che era già arrivato il 14 marzo, in tempo per tutte le solenni cerimonie che seguirono alla creazione del nuovo pontefice. Giuliano andò meno affrettatamente, ma con molta pompa. La fama dei grandi preparativi fatti precedette la sua venuta acuendo l’interesse. …………………… In verità quando arrivò a Siena risulta che di cavalli Giuliano ne avesse intorno a 200……………………………………………………… Fu un viaggio tutto pieno, per il Medici, di soddisfazione e d’onore. ……………………………………….. Spettacolare quanto quello di Giuliano se non di più – lo ricordiamo per inciso – fu il passaggio sulla Firenze-Roma della delegazione ufficiale inviata a recare al pontefice l’omaggio della città natale. Era composta di 12 oratori, che si portavano dietro «200 cavalli ben in hordine» e 50 carri di bagagli; partì il 17 maggio; arrivò il 25 e naturalmente venne accolta con la maggiore solennità: «l’intrata soa fo onorata di le fameie di Papa e di cardinali e di oratori. (Siccome ricominciò la guerra che la Francia combatteva contro la Lega Santa e che in un primo momento vedeva la Lega Santa avere la meglio, ma che dopo la morte del re Luigi XII, il successore Francesco I il 13 e 14 settembre 1515 a Melegnano, in una battaglia che fu detta «dei Giganti» i Francesi sconfissero le fanterie svizzere. Il nerbo delle forze della Lega. Dopo questa vittoria Francesco I mostrò che avrebbe gradito di accordarsi con il papa. Leone X non poteva disdegnare questa offerta ma preferì andare Lui ad incontrarlo nella pianura padana. ………………………………. Ecco dunque il pontefice dirigersi verso nord e percorrere la Roma-Firenze.

Il primo papa fiorentino viene a Firenze.

All’inizio di ottobre Leone X lascia Roma………………………………………………….Il 19 febbraio 1516 iniziava il viaggio per Roma con il proposito di percorrere a ritroso press’ a poco lo stesso itinerario fatto all’andata, che solo in piccola parte coincideva con la Firenze-Roma. (Il papa invece passò da un’altra parte e solo in minima parte fece la Firenze-Roma che venne effettuata invece da diversi personaggi della Curia).

Pag. 120.

Un altro Medici papa e un’altra solenne ambasceria fiorentina a Roma.

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Il 1516 fu l’anno della pace, «solenne ed universale pace» come scrisse il Muratori, nella quale «pareva ormai che l’Italia avesse a respirare». C’era stata invero una battuta d’arresto nella lotta di predominio scatenatasi fino dalla venuta di Carlo VIII: ma si gettò in quell’anno medesimo il seme di più lunga, accanita guerra ……………………………………………………(In Spagna successe a Ferdinando il nipote Carlo che già regnava nei Paesi Bassi ed era anche nipote di Massimiliano d’Austria dopo di che raccolse da lui l’eredità di « re dei Romani » vale a dire imperatore. Questa enorme concentrazione di potenza nelle mani di un solo uomo sconvolgeva l’equilibrio europeo a danno della Francia. Dopo l’elezione imperiale di Carlo (28 giugno 1519) il conflitto Spagna Francia ricominciò per durare decenni). Al momento della ripresa della lotta, l’anno 1521, Leone X aveva concluso un’intesa con Carlo V. …………………………….il papa si ammalò improvvisamente e morì. …………………Lo sbigottimento rincrudì all’elezione del successore, Adriano VI, che era un fiammingo ascetico e severo, privo di raffinatezze e di interessi artistici. Alla morte di Leone X gli eserciti alleati si fermarono, e con papa Adriano VI parve che incominciasse in religione e in politica un’epoca diversa. Invece meno di due anni dopo, quel pontificato così preoccupante non era che una parentesi chiusa, perché Adriano morì a metà settembre del 1523. Quando i cardinali si riunivano per la nuova elezione se la curia sperava di vedere nuovamente «uno italiano o almanco nutrito in Italia, in quella sedia» Firenze poteva aspettare di vederci per la seconda volta un suo cittadino e un Medici: nel sacro collegio spiccava infatti il cardinale Giulio, nipote di Lorenzo il Magnifico. Per tutti fu attesa lunga, perché il conclave durò quasi due mesi, ma quando si aprì proprio il cardinale Medici risultò eletto (il 18 novembre 1523). E qui (a Firenze) naturalmente si dovettero fare le cose in grande. Gli ambasciatori che presero la «strada romana» assommavano a dieci, con l’arcivescovo Minervetti. ……………………………………………….. Una manifestazione questa lungo la strada, che tornava doppiamente a gloria del papa, perché anche Firenze era stata retta dal papa e continuerebbe ad esserlo per interposta persona. Con Clemente VII (questo nome aveva preso Giulio dei Medici) si verificava il caso straordinario dell’ascesa al soglio pontificio di un uomo che già possedeva uno Stato.

(Tutto quanto sopra fa sembrare che Clemente VII si avviasse ad un felice pontificato, invece sia per Firenze che per Roma fu infelicissimo. La guerra fra Carlo e Francesco continuava e sia l’uno che l’altro si aspettavano i favori del papa. In un primo momento Clemente VII prese le parti di Francesco che aveva avuto diverse vittorie e a Carlo sembrò un tradimento. Il 24 febbraio 1525 a Pavia i Francesi venivano disfatti facendo prigioniero lo stesso Francesco. La reazione di Carlo fu di sdegnato rigore: strapparono al papa un patto di alleanza e un’indennità, assediarono lo Sforza nel suo castello a Milano, ai Veneziani chiesero una forte somma minacciando l’invasione, e a Francesco fecero firmare una pace che mise la Francia in vassallaggio. Ma il monarca francese, appena libero, costituì una grande lega contro Carlo V.)

Clemente VII nella lega contro Carlo V. Spedizione nel Senese.

(Nella lega contro Carlo V oltre a Milano, Venezia e la Francia era costituita anche dal papa. La prima fase, per iniziativa di Clemente VII fu fatta in Italia centrale per avere un contatto tra Roma e Firenze e togliere la piccola Repubblica di Siena, che era il solo Stato in Italia favorevole agli Spagnoli. Il papa fece di tutto per portare il

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi suo esercito sotto la guida del conte Virgilio Orsini insieme a quello fiorentino contro la città di Siena, l’impresa andò talmente male che il fallimento costituì un colpo per tutta la Lega, e tutto ciò si svolse per la maggior parte nella nostra strada «Firenze- Roma», ma, un vecchio condottiero tedesco riuscì a radunare lanzichenecchi nel Tirolo per soccorrere le fortune imperiali e sembra che le forze vadano contro Firenze).

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Marcia di sorpresa degli Imperiali su Roma, profittando della via di Firenze.

Ma quando tutte le forze imperiali raggiungono la Firenze-Roma il Borbone decide di andare verso Roma e appena gli eserciti della Lega capiscono che gli imperiali si dirigono alla volta di Roma inviano truppe celeri in aiuto, ma una serie di imprevisti fa ritardare gli aiuti, mentre gli imperiali a sud di Siena entrarono nella Firenze-Roma e qui hanno preso a camminare per una meta ben precisa: La presa di Roma.

Siena si ribella: attacco e ritirata dell’esercito imperiale.

Come Siena fosse legata all’imperatore, lo abbiamo visti in occasione del viaggio di quest’ultimo da Roma a Firenze. In pratica da molti anni la Repubblica «si reggeva stentatamente sotto la vigile assistenza di Carlo V, la quale aveva più carattere di dominio che di protettorato». Una parte dei Senesi, la fazione popolare, non era rassegnata a tale soggezione e nell’anno 1546 si verificò un tumulto culminato con la cacciata del presidio spagnolo dalla città. ……………………… Di fatto un’altra rivolta in Siena si verificherà con successo nel 1552, e avrà fra i primi esponenti uomini stati in contatto con il cardinale di Tournan, inviato dal re di Francia a Roma. Fra le due azioni contro gli Spagnoli del ’46 e del ’52, costituì un avvenimento per Siena e il suo territorio l’eccezionale traffico della «strada romana» in occasione del Giubileo, a metà del secolo. Il flusso dei pellegrini incominciò alla fine di febbraio 1550 (sopravvenuta la morte del papa, per aprire l’Anno Santo si attese il successore, che fu Giulio III incoronato il 22 del detto mese) e durò fini a Natale. Ma già molto prima i Senesi s’erano preparati a sfruttare economicamente il fenomeno. Nell’estate del 1549 gli officiali di Balia «veduto la necessità di provvedere denari per li occorrenti pubblici bisogni» avevano dato disposizioni per appaltare «le gabelle o entrate o rendite di esse per tutta la strada romana del dominio senese de l’anno del giubileo». Furono così tassati le osterie e gli spacci di «cose da mangiare e bere per uso d’uomini o cavalli o altro». Le tabelle d’imposizione danno modo di costatare che i pellegrini trovavano sul Senese osterie e osti un po’ dappertutto: a Monteroni, a Lucignano, a Ponte d’Arbia (qui ce n’erano 7), a Buonconvento, a Torrenieri, a San Quirico, a Ricorsi, a Radicofani e al Paglia, (dove stava un oste più tassato di tutti con 80 fiorini) e naturalmente nella città, che godeva però di speciali esenzioni284. Si legge esplicitamente negli atti della Balìa per le gabelle dell’Anno Santo del 1550, che le decisioni allora prese ricalcavano provvedimenti analoghi disposti in precedenti occasioni. Non era infatti la prima volta che la repubblica godeva di benefici materiali connessi al movimento dei pellegrini sulla Firenze-Roma di cui essa controllava un così lungo e importante settore, non era l’ultima che poteva far ciò da Stato Indipendente. (E qui comincia, appunto la guerra di Firenze contro la Repubblica di Siena). ………………………………………………

Pag. 152.

284 A.S.S.. Balia, 1089, «Gabelle de la strada per l’anno santo 1550», 141

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……………………………………………………….Nel 1559, a chiusura di nuove battaglie militari combattute per lo più fuori d’Italia, una pace, la celebre pace di Cateau Cambrésis, veniva stipulata fra la Spagna e la Francia. Quest’ultima rinunciava alle sue pretese nella Penisola, e quanto a Siena accettava l’assorbimento nel ducato di Firenze per il quale due anni prima Filippo II, il successore di Carlo V, aveva offerto la base giuridica subinfeudando a Cosimo dei Medici la vicina repubblica, salvo una piccola zona costiera. ……………………………………………………… Per la Firenze-Roma invece s’inizia da questo momento un’epoca nuova: benché continui ad esistere formalmente lo «stato senese» con le sue magistrature distinte da quelle fiorentine, l’unione dei due organismi sotto lo scettro dei Medici farà sì che per tutto il settore tracciato entro i limiti geografici della Toscana troveremo d’ora in poi dei provvedimenti amministrativi in virtù dei quali la strada viene mantenuta e migliorata in una uniformità crescente e alla fine completa. Anche gli avvenimenti nei quali la grande arteria ha parte, cambiano sensibilmente carattere da quando appartiene a due sovranità: al duca (ben presto granduca) e al papa. Da molti secoli le comunicazioni per via ordinaria fra Firenze e Roma si svolgevano su un itinerario la cui sezione centrale correva in territorio del tutto indipendente dalle città poste agli estremi, restando così condizionate, oltre che dallo stato della strada, da un intrecciarsi complesso e mutevole di rapporti politici. ……………………………………………Con lo Stato senese autonomo scompare qui il più grosso residuo del particolarismo di tipo medievale e incomincia per la nostra strada, proprio con lo storico trattato di Cateau Cambrèsis, un periodo di attività forse meno vivace e interessante, ma certo più proficua.

V

Viaggi e lavori tipici dell’età del predominio spagnolo e delle riforme.

La strada del Cinquecento nelle note di due stranieri.

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………………………………………………………………………………………………. Per la seconda metà del Cinquecento, possono costituire esempio di relazioni di due stranieri ben dotati di personalità ed esprimersi con libertà di giudizio, relazioni posteriori appena 20-25 anni alle ultime vicende esposte, e cioè il Voyage en Italie di Montaigne, famosissimo; e «Iter Italicum». Composizione latina del dotto fiammingo Arnoldo Von Buchel (Buchellius)285. Essendo pressoché contemporanee (del 1580-81 la prima, del 1588 la seconda) esse si integrano e correggono a vicenda, donde un’immagine oggettiva della realtà che c’interessa. All’inizio del viaggio da Firenze, la campagna appariva di media fertilità fin verso Siena, ma molto coltivata e molto abitata. La strada: ondulata e sassosa. Poco o punto notevoli San Casciano, comunissimo castello («oppidulum»), dove però non mancava da alloggiare e Poggibonsi «una terra piccola». Montaigne, che aveva sempre pronte osservazioni, qui non ne fece, né in bene né in male. Siena continuava a imporsi per la sua unità stilistica, ma interessava anche più per essere stata 30 prima al centro di una questione internazionale: l’impegno posto dai Francesi a difenderla e il valore dei cittadini ne avevano celebrato il nome in Europa. Altro luogo di ricordi Buonconvento, naturalmente per la morte di Enrico VII, ricordi antichi che però dovevano essere stati rinfocolati polemicamente nel mondo protestante: il Buchellius indugia, citando il dotto tedesco Fabricius

285 Cfr. DE MONTAIGNE M.: Journal du voyage, etc., In D’ANCONA A.: L’Italia alla fine del secolo XVI, etc., Città di Castello, 1889, pagg. 181-193 e 516-635; BUCHELLIUS A.: Iter Italicum, in «Archivio R. Soc. Romana di St. Patria» XXV (1902), pagg. 125-129. 142

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(visitatore di quei luoghi circa 15 anni prima), a ricordare la diceria che a Buonconvento l’imperatore era stato avvelenato da un domenicano. Poi San Quirico, che nel Buchellius è «Fanum Quirici» e nel Montaigne molto semplicemente «un castelluccio». Montaigne però nei paraggi non ha mancato di notare l’ottimo stato della via che percorre e lo dice volentieri: «tutte queste strade sono state assestate uguanno per ordine del duca di Toscana, la qual opera è molto bella e profittevole al servizio pubblico. Dio glielo rimeriti, perché le vie difficilmente sono per questo mezzo speditevoli e comode, come le vie di una città286. E la cura delle strade è compensata dall’afflusso del traffico: «era cosa stupenda – scrive Montaigne riferendosi ancora a questo tronco – di sentire il numero infinito di gente che andava a Roma». Il tratto da San Quirico a Radicofani ed oltre non deve avere fatta molta impressione a questi viaggiatori, poiché essi notano appena «la strada montuosa e petrosa». Vorrebbe significare che salita e scesa non sgomentavano, ma anche che il paesaggio diceva poco nonostante la notevole ampiezza di orizzonti: «monti sterili e poco piacevoli a vedersi», nota il francese. A suo modo indimenticabile invece il tratto a fine della discesa, giù nella valle del Paglia, con quel fondo sabbioso e pieno insieme di asperità: «planum arenosum inter aspreta durissima» detto in latino; «une frondriére fort pierreux» in francese, ma sempre lungo difficile e scoraggiante. E poi lo strazio dell’attraversamento dei fiumi: «passammo e ripassammo infinite volte un torrente che là scorre». Epopea, questa dell’attraversamento, che aveva avuto qualche decennio prima287 già il suo cantore nel poeta burlesco Mauro:

« duro a veder la povera canaglia Passare un fiume più di venti volte Morta di freddo, e poi dormire in Paglia».

Già «dormire in Paglia», cioè al piccolo abitato detto «Case del Paglia», non doveva essere un conforto dopo le fatiche del viaggio: tre o quattro catapecchie e «taverne come tane di osti»: definizione del Buchellius. ………………………………………………………

I grandi viaggi di Cosimo e del cardinale Aldobrandini.

Ai due scritti ricordati nei secoli XVII e XVIII ana serie di diari, note itinerarie, lettere e guide, che quasi ad ogni momento ci danno gli aspetti realistici della strada colti dal viaggiatore comune288. Le vicende delle regioni interessate, improntate adesso a una tranquillità alquanto grigia, si riflettono invece, come dicemmo, nel transito di personalità ufficiali. All’inizio del periodo spagnolo, ebbero un particolare significato per la Toscana e per l’Italia due viaggi di Cosimo dei Medici. Il primo avvenne nel 1560 quando egli si recò in forma solenne a prendere possesso di Siena, il secondo, nove anni dopo, per andare a Roma dove sarebbe stato incoronato granduca. Erano un po’ le solenni consacrazioni dello Stato fiorentino come stato regionale e della famiglia Medici come casa regnante. Per l’uno e per l’altro avvenimento diamo la parola ai cronisti contemporanei: «Il dì 26 di ottobre in sabato a ore 9½ in circa, il duca Cosimo dei Medici si partì qui da Firenze colla sua corte e personalmente andò a pigliare la possessione della sua nuova città di Siena. Alloggiò la sera di detto sabato in S. Casciano e la domenica sera di poi in Colle ed il lunedì, che fu il giorno di S. Simone apostolo, andò a desinare di là dal Palazzo dei Diavoli, vicino a detta Siena; e desinato che ebbe, si messe in ordine con tutta la sua corte, per fare la corporale entratura in Siena. …………………………………………………………………………………………..

286 DE MONTAIGNE M., OP. CIT., PAG. 534. 287 Cfr. Il primo libro delle opere burlesche di M. Francesco Berni….del Mauro, etc., Firenze 1550, pagg. n.n. 288 Per i viaggiatori stranieri in Italia, oltre alla notissima bibliografia del D’ANCONA nell’opera citata, cfr. SCHUDT L.,: Italienreisen im 17. Und 18. Juhrundert, Wien-Munchen. 1959. I più illustri viaggiatori transitati in età moderna sulla Firenze-Roma sono passati in rassegna nel corso di un recentissimo articolo di L. CARANDINI (La posta di Radicofani, in «L’Universo», XLIV, [1964], n. 1. Pagg.153-176) che analizza le loro impressioni su Radicofani e adiacenze. 143

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Et il dì 1° di novembre il signor Principe se ne tornò in Firenze»289. Quanto all’andata a Roma per l’incoronazione, essa si svolse mentre si levavano proteste contro il conferimento del titolo ereditario da parte di Pio V, ma non per questo ci fu meno solennità nell’accoglienza. Venne utilizzata la Firenze-Roma da Radicofani perché fin lì il duca percorse una traversa per Montepulciano. ………………………………………………………………………. ………………………………. All’epoca di Cosimo la Toscana è sempre vicina alla Spagna; con l’inizio del secolo XVII si ha invece un accostamento ai Francesi poiché una nipote del granduca, Maria, sposa il re Enrico IV. A benedire le nozze (per procura) nella capitale Toscana venne, stante la portata dell’evento, un cardinale, facendo naturalmente il suo viaggio sulla Firenze-Roma. Viaggio eccezionale, poco meno si fosse mosso il papa, poiché il porporato non era solo legato, ma nipote di Sua Santità, e il «cardinale nipote» rappresentava una potenza in Curia. Il relativo diario è documento tipico dell’età della controriforma e del barocco, ma anche la sola parte itineraria appare in sé piena d’interesse290. L’Aldobrandini partì il 26 settembre con due carrozze, ma distaccati l’accompagnavano un seguito numerosissimo e i bagagli su carri o a soma. Questo corteo poteva anche precedere, bastava che aspettasse arrivando alle tappe perché le carrozze del porporato potessero «far corse nell’entrare in esse». Incidente il secondo giorno da Monterosi a Viterbo: scendendo la «montagna» uno stalliere cadde dalla carrozza che gli passò sopra «e gli troncò completamente una gamba». …………………..si ripresero i veicoli ad Acquapendente. Tappa difficile; ne soffrirono i cavalli: due ci morirono. Partendo da Acquapendente per la brutta discesa al Paglia, cardinale «e compagnia» andarono a piedi291. L’inviato ufficiale del granduca che si presentò prima di Radicofani, oltre a qualche compagnia di soldati portò «una carrozza di velluto negro» nella quale il cardinale venne fino a San Quirico, e poi a Buonconvento e Siena, …………………………………………………………………… Se era stato possibile andare da Radicofani a Siena in carrozza tanto più doveva esserlo, come fu, da Siena a Firenze ………….

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Galileo bloccato ad Acquapendente. Una guerricciola.

Passaggi di principi e cardinali: queste ora le novità più importanti della Firenze-Roma. Di cardinali ne passano moltissimi ai primi del Seicento, in genere incaricati di particolari missioni nelle capitali europee292. È la manifestazione d’un altro fenomeno storico: l’impegno della Chiesa di tenere i contatti con le potenze cattoliche in un’età di grandi contrasti religiosi. L’attiva difesa dell’ortodossia

289 LAPINI A.: Diario fiorentino, Firenze, 1900, pagg. 130-131. 290 Diario del viaggio fatto dal card. Pietro Aldobrandino nell’andar a Fiorenza, etc., Biblioteca Vaticana, Ms. Ferraioli, 38. II, cc. 81-136. Il cardinale aveva anche una missione diplomatica e la sua legazione «veramente memorabile ai posteri durò più di 6 mesi. Il diario rivela molta sincerità e vivezza gl’interessi dell’epoca. Per esempio si notano con minuta attenzione le personalità presentatesi in ciascun luogo e l’ordine tenuto nelle precedenze, la specie e la quantità dei cibi e del vino forniti per i posti. Sono elencate scrupolosamente le preghiere dette dal cardinale in pubblico e in privato «con la famiglia»; e viene rilevato ad ogni tappa se il letto per lui preparato aveva o no il baldacchino. L’andamento vero e proprio del viaggio è illustrato con la descrizione dei vari mezzi di trasporto impiegati e, molto frequentemente, dello stato della strada». 291 «Per essere la strada molto erta e fastidiosa la fece a piedi con la compagnia fin quasi al fiume; poi salito in carrozza andò fino a Ponte Centino». Per salire a Radicofani «si andò cavalcando unitamente con ordine ciascuno a suo luogo». Ad Acquapendente capitò anche un disordine: «La gente bassa fu alloggiata e trattata malamente e li vetturini e mulattieri si ammutinarono sopra il mancamento del mangiare per loro e per le bestie». 292 Alcuni dei porporati che in viaggio per la nostra strada passarono da Firenze tra il 1608 e il 1620: 26 maggio 1608: Mellini, da Roma a Vienna; 22 dicembre 1609 Delfino, da Roma in Francia; 11 agosto 1611: Giustino, da Bologna a Roma; 14 settembre 1614: Capponi, percorso inverso; 4 giugno 1615: Bousl, diretto a Roma; 10 giugno 1617: Vendramino, id; 15 ottobre 1620: Farnese, id. (Cfr. RASTRELLI, Notizie istoriche italiane, Firenze, 1781-1782, III, pagg. 124-161). 144

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi determinò un altro viaggio a Roma famosissimo, quello nel 1633 di Galileo Galilei, che si mosse da Firenze perché citato a rispondere sulle sue dottrine. Percorrendo la strada ordinaria lo scienziato impiegò 25 giorni ad arrivare: quasi il viaggio non fosse abbastanza amaro, ebbe a subire una sosta forzata, in pessime stanze, senza cibo che «pane vino e uova» a Ponte Centino e Acquapendente. Motivo: quarantena per peste293. Con detta peste, degli anni stessi dei Promessi Sposi, ci si ripresentano le calamità dell’Italia seicentesca, che colpirono anche queste regioni, benché non esasperate dal malgoverno straniero. Qui mancò fortunatamente anche la guerra: per la verità non del tutto perché nel 1642 s’ebbe addirittura un’invasione che arrivò fino ad Acquapendente. Aggressore era il duca di Parma per rappresaglia contro Urbano VIII che gli aveva tolto Castro, nel Viterbese, a beneficio dei suoi parenti294. La «guerra di Castro» (1642-44), in cui il Farnese ebbe alleato il granduca, col suo carattere di contesa tra famiglie rispecchia la stanchezza della Penisola. Quest’ultima risente ormai anche della decadenza della Spagna, che dopo nuove lotte con la Francia dovrà accettare la pace dei Pirenei l’anno 1659. Inoltre molte dinastie nazionali, Medici, Este, Gonzaga, Farnese declinano verso l’estinzione. La vita italiana in tutte le sue manifestazioni tende ad immobilizzarsi.

Lavori sulla Firenze-Roma nei secoli XVI-XVII. Il Ponte Gregoriano.

……………………………………………………………………………………………………. Della nostra strada nell’epoca considerata s’occupò tra i primi Leone X conoscendo per esperienza personale il disordine di alcuni tratti e specie dei ponti concesse nel 1519 ai Senesi una parte della decima da impiegare in restauri295. Occasione fissa per pensare alla «strada romana» fu sempre il Giubileo: il 1549 fu anno di restauri nel Senese e nelle terre della Chiesa, dove lo stesso avvenne poi sempre, e specie nel 1646-49, nel 1699, nel 1724, nel 1774. In Toscana attorno al 1580 il granduca fece un restauro al tratto sotto Siena rendendo ottime parecchie miglia di strada. Tra i lavori compiuti sulla Firenze-Roma in età moderna fanno un capitolo a sé quelli che si riferiscono al Ponte Gregoriano sul fiume Paglia. Questo fiume che scorre dapprima verso sud-est davanti ad Acquapendente volge ad est addirittura, costringendo la strada corrente alla sua sinistra ad attraversarlo onde proseguire toccando Acquapendente stessa, in direzione di Roma. La portata d’acqua e le caratteristiche del letto avevano fatto sempre del Paglia l’ostacolo maggiore di natura idrografica che la «strada romana» incontrasse nel territorio pontificio. ………………………… In tempi diversi c’erano stati ponti o passerelle in legname alcuni eretti per circostanze particolari, ma attraverso i secoli sembra che i viaggiatori dovessero ordinariamente superarlo a guado o mediante traghetto. ………………………………………………………………………… Nel tempo delle piene era cosa comune che qualcuno, avventurandosi, annegasse. Nel settembre 1578 accadde che il papa Gregorio XIII, l’autore della riforma del calendario, andando nei possessi del cardinale Farnese, passasse e ripassasse da Acquapendente; al ritorno «essendo in lettiga, quando fu al suddetto ponte n’uscì et montò a cavallo et vista la rovina et quello bisognava per rifarlo, ordinò di farlo rifare, dando la cura di ciò al cardinale Farnese e al cardinale Sforza ch’erano seco con altri»296. Questo accadeva il 18 settembre: anche ammessa una pronta esecuzione degli ordini papali, non restava tempo di organizzare il lavoro e di incominciarlo seriamente prima della stagione

293 Cfr. Le opere di Galileo Galilei, vol. XV. Firenze, 1932-1938, pagg. 32-43 e 168-176 e 350 (anche per il ritorno nella seconda metà del 1633 con lunga sosta a Siena). 294 Le ostilità furono precedute da un viaggio a Roma, per trattative del duca di Parma nel novembre 1639. Egli passò da Firenze, andando poi a Castro. 295 Cfr. TITIO S.: Historiarum Senensium ab initiis Senarum urbis usque ad annum 1528, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Ms. II. V. VIII, pagg. 403-404. 296Per la data del passaggio di Gregorio XIII da Acquapendente, cfr. ORBAAN, J.A.F.: Documenti sul barocco in Roma, in «Archivio della R. Soc. Romana di St. Patria», VI (1920), pag. 400; MARTINORI E. La via Cassia antica e moderna, Roma 1930 pag. 133. Le notizie sulla costruzione e le frasi citate letteralmente derivano da: «Memorie di Acquapendente», Biblioteca Vaticana, Ms. Vat. Lat. 11765, cc. 17r.-18r. 145

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi sfavorevole: tutto dovette essere fatto l’anno seguente. L’opera ebbe due progettisti e direttori valenti: i fratelli Domenico e Giovanni Fontana, architetti di grido, già esecutori di notevoli opere in Roma. ………………… Il ponte fu progettato in muratura a sei luci; non si trattò di un’opera interamente nuova perché degli archi «doi ve n’erano restati per prima»297. Nuova fu però la parte certo la parte centrale di gran lunga più importante e difficile. ………………………………………………………… L’essenziale del lavoro fu compiuto nel 1580, perché tutti assegnano l’opera a quell’anno. Stemmi del papa, in pietra di Ferentino, andarono secondo l’uso del tempo ad adornare la costruzione. J. Caspar Goethe, padre del grande poeta, quando si trovò a percorrere la strada da Roma a Firenze, trascrisse nelle sue note un distico laudativo inciso sul ponte298………………………………… ………………………………….Altri, considerando l’impresa in se stessa, si espressero più equanimemente. A un anno dalla costruzione l’opera come vedemmo fu ricordata dal diario di viaggio del Montaigne e un ambasciatore veneto la segnalò fra le iniziative del papa: « Ha fatto anco un ponte sopra il fiume Paglia, sul cammino della Toscana, a beneficio dei viandanti, che ogni anno prima se ne affogavano molti » Effettivamente con il passaggio del Paglia assicurato, si aveva un miglioramento grandissimo alle comunicazioni stradali tra Firenze e Roma scongiurando il pericolo di interruzioni che potevano durare parecchi giorni. Il manufatto, tuttavia, di gran mole, esposto ad una corrente non disciplinata dovette essere continuamente vigilato e consolidato. Nel ‘600 e nel ‘700 è un continuo susseguirsi di restauri al ponte del Paglia, le segnalazioni e le richieste di riparazioni non si contano; ad ogni visita generale alla strada si segnalano lavori da fare al «ponte Gregoriano».

Passaggio di re e di principi.

Conseguenza diretta e visibile del nuovo clima della Penisola dopo l’inizio del Settecento è sulla Firenze-Roma il passaggio frequente di principi e sovrani assai diversamente dall’età spagnola. Ricordiamo il viaggio a Siena, l’anno della sua venuta in Toscana (1739), di Francesco di Lorena, capostipite della nuova dinastia granducale, e quelli del principe d’Ansprach (1753), degli arciduchi di Milano e dei conti del nord (1780-1782), del re di Svezia nel 1783 e, quasi contemporaneamente, dell’Imperatore d’Austria Giuseppe II che restituisce la visita fattagli dal papa, l’andata solenne a Siena del nuovo granduca Ferdinando con la moglie nel 1791, il transito dei reali di Napoli nello stesso anno299. Ma il viaggio più clamoroso dell’epoca sembra essere stato nel 1768, quello di Maria Carolina sorella dell’imperatore e del granduca di Toscana, che si recava nel regno di Napoli dopo averne sposato per procura il sovrano Ferdinando IV. Una fanciulla di 16 anni, condotta al suo sposo, un matrimonio che riguardava le due famiglie Asburgo e Borbone che si dividevano i troni di mezza Europa: ce n’era abbastanza per interessare tutti, dal gran mondo al popolo minuto. Veramente, da regina a Napoli avrebbe dovuto andare, l’anno precedente, una sorella di Maria Carolina, poi morta d’improvviso, e per lei la Firenze-Roma cominciò a venir messa in ordine. Nel granducato non c’era bisogno di gran che, dato il fresco «ristabilimento» del lunghissimo tratto senese. Ma da parte del governo pontificio si dovette pensare seriamente a misure d’emergenza. …………………………………………………………………………………………………

297 Memorie di Acquapendente, cit. c. 18r. 298 Cfr. GOETHE J.C.: Viaggio in Italia, traduzione A. FARINELLI, Roma 1932, pag. 89. 299 Cfr. rispettivamente: ZOBI: Storia civile della Toscana, Firenze 1850 -1852, II, I, pag. 187; «Gazzetta Toscana» a. 1783 n. 52, a. 1784 n. 4 e ZOBI, op. cit, pag. 340; «Gazzetta Toscana» a. 1791, n. 36 e n. 17,18. Per i vari personaggi di rango principesco che percorsero la strada, furono necessari quasi sempre speciali preparativi. Per esempio, per il viaggio Roma-Firenze del principe di Ausprach a fine aprile 1753 furon richiesti a ogni posta 17 cavalli più altri di rinforzo; tra l’altro il «postiere» di Monteroni tenne in attesa 10 cavalli e 5 garzoni per quasi 2 giorni a Buonconvento (A.S.F., Reggenza, 665). Per il passaggio dei «Reali Arciduchi di Milano» nel 1780 furono fatti particolari restauri alla strada di Radicofani (A.S.S., Quattro Conservatori, 2085 ms. «Strada romana 1780». Di riparazioni nei territori di S. Quirico, Montalcino e Buonconvento si ha notizia per il passaggio del Conte e della Contessa del Nord nel marzo 1782 (A.S.S. f, cit., Ins. «Strada romana 1782»). 146

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Maria Carolina arrivò a Firenze alla fine di aprile e trattenutasi alcuni giorni ripartì, verso Poggibonsi e Siena, con il granduca e la granduchessa il 3 maggio300. A Siena dame e gentiluomini invitati al ricevimento erano stati fatti venire al Palazzo per le 3: e non prima delle 5 e un quarto udirono il cannone che annunciava l’arrivo dell’ospite. Dopo le accoglienze tradizionali il viaggio della regina riprese con la tappa Siena-San Quirico. La sera del 5 tutta la brigata era a Radicofani, il 6 a Montefiascone, il 7 a Viterbo, l’8 a Ronciglione. ………………………………………………………………………………………………… Il transito del convoglio di Maria Carolina da Firenze a Roma, fu un po’ la prova dell’efficienza del servizio postale e della strada. In Toscana, abbiamo detto, tutto fu facilitato per effetto del recente restauro di gran parte della «via romana». Questo «ristabilimento» per il valore ch’ebbe in se stesso e come esempio di grande lavoro stradale precedente all’età contemporanea merita di essere seguito, tornando indietro di qualche anno.

Il «ristabilimento» della Firenze-Roma nel Senese: preparazione e appalto.

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A un restauro e ammodernamento generale della «strada romana» da Siena al confine il governo toscano pensava almeno dal 1757, perché in quell’anno fu ordinato ad Anastasio Anastagi, valente «pubblico ingegnere», di visitare il tronco in questione ed esporre quanto occorreva per migliorarlo. L’ingegnere assolse il suo compito proponendo dei lavori solo nei tratti in cui il transito dei veicoli avveniva con difficoltà301. Dopo un certo tempo furono fatti fare un sopralluogo e una relazione anche a Giovan Battista Ventani (sempre stessa nota 302), non ingegnere, ma capo maestro e impresario di notevole esperienza, che aveva avuto l’accollo d’un’opera molto impregnativa: la nuova strada da Firenze a Pietramala attraverso il passo della Futa. Ricevute ed esaminate le due relazioni, il governo granducale si orientò definitivamente per l’esecuzione dell’opera…………………………………….. ………………………………………………………………………………………………………

Descrizione dei lavori.

Alla scritta d’accollo veniva allegata copia della relazione del 9 agosto, contenente, come accennammo, il dettaglio dei lavori da eseguirsi302. Il restauro riguardava il tratto «dalle porte di Siena al confine dello stato ecclesiastico» ma senza continuità, perché nelle parti che l’Anastagi aveva trovato, come egli diceva, «in grado ragionevole», non c’era alcun obbligo per l’impresario, «Nessun lavoro» dalla posta di Monteroni alla collina di Curiano, dal Ponte a Tuoma all’osteria del Poggio di San Quirico, dall’osteria della Commenda alla riva dell’Orcia, e tanti altri luoghi. Di ciò che rimaneva, per una considerevole parte non era prescritto che «l’inghiarato»: cioè, salvo la costruzione della massicciata, la strada rimaneva com’era. Semplicemente da inghiarare (coprire di ghiaia) erano, ad esempio, il tratto fuori di Siena fino a Malamerenda, quello da Buonconvento al ponte del Moro, quello subito dopo il ponte dell’Orcia. In molti casi oltrechè risargire il fondo bisognava allargare o eseguire qualche limitato sbassamento, o compiere tutt’e due le cose insieme; e questo precisamente, omettendo i tratti molto brevi, ………………………………………………………………………………………………..

300 Cfr. RASTRELLI M.: Memorie per servire alla vita di Leopoldo II, Firenze 1792, pag. 95. 301 A.S.S., Quattro conservatori, 2077. Memoria Anastagi dell’inizio del 1763 trasmessa a Siena da Botta Adorno l’8 marzo s.a. 302 La nostra descrizione dei lavori è fondata sui seguenti documenti. «Descrizione dei lavori per il riattamento della strada Romana, etc.» s. d. (A.S.F., Segreteria Finanze ant. 1788, 682) unita al rogito dell’appalto è da ritenersi copia della Relazione 9 agosto nel rogito stesso menzionata; «Relazione» pure s. d. contenuta in A.S.S., Quattro Conservatori, 2078, che cita la precedente ed è probabilmente il documento tecnicamente più dettagliato preparato dall’Anastagi per la fase esecutiva, approvato superiormente il 5 settembre. Alle relazioni predette furono apportate modifiche, d’ordine del Botta Adorno, espresse per la prima nel Rogito 10 settembre, e per la seconda in una postilla. 147

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Lavoro particolare, più impegnativo e costoso del precedente: la selciatura, che compare secondo l’uso soprattutto nelle salite. Dal ponte del Formone a Radicofani e da Radicofani al Ponte al Rigo l’impresario dovrà costruire o allargare, non consecutivamente, parecchie centinaia di braccia di selciato. …………………………………………………………………………………………………… Dopo il Formone tornano i cambiamenti di tracciato con lo scopo di attenuare la pendenza: 1230 braccia della «lunga e ripida salita» che incomincia verso la casa del podere S. Giorgio si devono abbandonare: sviluppare la variante a est attorno al Poggio, e attraversare un pianetto; si ritorni con un rettilineo. Più avanti apertura di un tratto nuovo, 540 braccia, dalla parte di ponente. Le «eccedenti declività» del Poggio La Selvella impongono una deviazione a nord di 600 braccia attraverso i prati; è l’ultimo «tramutamento» questo prima di Radicofani. Ma nella discesa ecco subito 1100 braccia di strada «quasi impraticabile per i calessi»: la soluzione è rappresentata da una variante dalla posta di Radicofani al bivio della strada per San Casciano dei Bagni, variante necessariamente più lunga per risultare più comoda. Il Poggio detto Serristoro va abbassato; va aperto un breve tratto nuovo e in più dolce pendio a Baccanello. Ultima parte della discesa: da la Novella al Ponte del Rigo, un ponte in verità ridotto alle pile. Qui l’impresario è espressamente obbligato da una clausola del contratto a fare la strada (presentemente è nel letto del torrente che attraversa cinque volte!) in quel luogo che a lui sarà prescritto lì per lì dai Deputati. S’era infatti progettato all’inizio di costruire un tratto tutto nuovo sulla destra del Rigo sboccando al ponte, rifatto il qual ponte sarebbe stato risolto l’attraversamento; ma la spesa risultava troppa e si pensava ora ad un semplice ripristino. Dopo il Rigo, più nessun tratto nuovo di strada sino al fiume Elvella cioè sino al confine. …………………………………………………………………………………………………… ……………………………………. Il ponte del Formone non aveva in muratura che le spalle e le pile, e bisognava fargli le arcate. Considerato che anche i ponticelli, le chiaviche delle «serre a calcina» descritte nella relazione, sono pochi e poco importanti, si può dire che dal «ristabilimento» restano escluse le opere d’arte. L’Anastagi aveva proposto ponti nuovi sull’Orcia, sul fosso del Rofanello, sul Vellora e sul Rigo; i primi a un arco, gli ultimi due a due e a cinque archi rispettivamente. Aveva preso in considerazione un possibile accordo con li Stato pontificio per un ponte sull’Elvella e valutata la parte che sarebbe toccata alla Toscana: 526 scudi. Ma tutto venne accantonato d’ordine del Botta Adorno, e alla fine il programma per l’Orcia e il Formone avrà ulteriori tagli.

Si rinuncia ad un ponte per «ragguagliare» il tratto di montagna.

Prima della fine del 1760 l’impresario (Minacci vedi nota 304) perfezionò un altro tratto, quello da Le Macine in giù303. Egli aveva così rispettato l’obbligo di sistemare rapidamente tutta la parte di là e di qua da Radicofani. L’anno seguente …. lavorò ………………………………… al tratto lungo il Formone, di cui a fine giugno aveva pressoché ultimato il grande muro di sostegno, e nei prolungamenti di esso fino a Ricorsi da un lato e a casa S. Giorgio dall’altro304. Per i lavori al Formone ci fu però in quest’anno una grossa novità. Il «provveditore delle strade», Bulgarini, e il «deputato del Pubblico», Landucci, quando l’accollatario ebbe finito nella zona di Radicofani si accorsero che la bellezza e l’utilità del lavoro venivano sciupate dalla presenza di alcuni tratti rimasti angusti e logori, perché nella descrizione dell’appalto nulla era prescritto per essi. Desiderosi oltremodo di potere «ragguagliare», cioè rendere uniforme quanto a larghezza e a stabilità del fondo, almeno questo tratto importantissimo di montagna, i due soprintendenti pensarono di lasciare il ponte del Formone come si trovava, cioè con l’impalcato di legno (salvo un restauro, fattibile però a settembre con le erogazioni solite della Cassa delle strade) in modo da poter disporre

303 A.S.S., Quattro Conservatori, 2078, Relazione del 18 dicembre 1760. 304 A.S.S., /. cit. Relazione del 9 aprile 1761; lettera del Botta Adorno del 27 giugno 1761. 148

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi di altre 4.322 lire, che tanto era calcolata la spesa per fare gli « archetti in muratura » al ponte sulla cifra complessiva stanziata per la strada ………………………………….. Eliminata la costruzione delle volte in muratura al predetto ponte, il Minacci continuava a fare soprattutto massicciate e scavi, lavori per i quali doveva essersi abbastanza organizzato, perché nei primi mesi del 1762 aveva quasi finito. In una delle consuete visite di verificazione compiuta verso il 10 febbraio di quell’anno, Bulgarini e Landucci trovarono pronte altre 4.530 braccia di strada subito passato S. Quirico verso Roma e circa 6.900 nella salita di Radicofani, tra le Conie e la sommità305.

Verifica del Lavoro eseguito. Un regolamento per la manutenzione del tronco senese.

…………………………………………………………………………………………………… ……..Intorno all’anno 1770 l’intero tratto senese della Firenze-Roma era dunque stato rinnovato. Si trattava di un terzo e più dell’intera strada e di quella parte le cui condizioni più influivano sull’andamento del traffico, perché includeva forti accidentalità e il passaggio della montagna di Radicofani. Per le comunicazioni fra le due città, attraverso i lavori sopra esposti, si era realizzato un progresso sensibile, particolarmente con l’adeguamento del piano stradale alle esigenze dei grossi veicoli a ruote che proprio in questi anni andavano aumentando di numero e di pesantezza.

Integrazione del «ristabilimento»: i «ponti grandiosi» restaurati nel Senese.

Pag. 182.

………………………………………………………………………………………… I «ponti grandiosi» del Senese (provincia superiore) erano nove, di cui sei sulla Firenze-Roma. In preparazione dell’appalto ognuno di essi ebbe una perizia, per cui siamo esattamente informati sulle condizioni reali dei manufatti grazie ai quali, verso la fine del Settecento, chi viaggiava tra Firenze e Roma poteva valicare l’Arbia, l’, il Fosso delle Serlate, l’Asso, l’Orcia, e il Formone ossia molti dei maggiori corsi d’acqua che incontrava sul cammino. …………………………………………………………………………………. Ultimo «ponte grandioso» quello del Formone, con tre piloni in muratura e quattro travate in legno. L’ingegnere Razzi che fa la perizia il 1° giugno del 1784 lo trova piuttosto danneggiato, ma senza che ne sia minacciata l’esistenza. Consolidare le ali, le pile e sostituire molte travi: questo basterà se si vuole che il ponte possa servire «come ha servito finora». ………………………………………… Bisognerebbe prendere una decisione: lasciar perdere le travi (tanto più che non si troverebbero alberi adatti per rifarle) e costruire le volte in muratura. Basterebbero tre volte, perché una luce si può semplicemente chiudere essendo dimostrato che l’acqua non la raggiunge. Per 600 scudi c’è chi si assumerebbe l’impresa: l’architetto Leonardo , la stessa persona che le due comunità interessate, Radicofani e Abbadia San Salvatore, hanno delegato a rappresentarle nella faccenda degli accolli e che ha visitato il ponte assieme al Razzi. …………………………………………… Per il Formone quattro anni prima già s’era concordato con Vegni la somma che le comunità dovevano ricevere dai conservatori per lavori di ripristino e per la susseguente manutenzione. Ma le piene del 1784-85 avevano recato gravi danni, tra l’altro rovesciato un’ala. Ora la Balìa doveva restaurare in proprio e trattare poi di nuovo. E il lavoro di restauro fu intrapreso nell'estate 1785 e fatto anche in cambio delle travi, risultate quasi tutte cattive. Nel febbraio del 1787 quando il ponte finalmente poteva venire appaltato, sopraggiungeva l’ordine di sospendere tutto perché era stata decisa la costruzione degli archi in muratura306.

Il tracciato intorno al 1785. Da Firenze al confine del fiume Elvella. (Io lo chiamerei Torrente!)

305 A.S.S., /. cit. Lettera del Botta Adorno del 3 ottobre 1761; relazione Bulgarini e Landucci del 12 febbraio 1762. 306 A.S.S., /. cit. Ins. «Formone» Perizia Razzi del 17 giugno 1785; lettere del Nini del 2 agosto e del Vegni del 5 settembre s.a. (stesso anno). 149

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………………………………………………………………………………………….. Dal ponte del Formone partiva la salita diretta per Radicofani con un dislivello di circa 300 metri, le cui tappe erano Poggio di S. Giorgio, Selvella, l’osteria della Macina, Baiotto: una certa differenza di tracciato rispetto ad oggi. La salita culminava fra le case del borgo, all’osteria e al Palazzo pubblico; un po’ più in basso, nella parte discendente, la posta. La calata da Radicofani è uno dei tratti in cui la strada settecentesca più si differenzia da quello attuale. La troviamo infatti sul versante est invece che su quello ovest del Poggio Leano, e passa da S. Ristoro, Casa al Sarti, Casa al Maestro, Gonzeto Baccanello, e l’osteria detta della Novella. Di qui, quota 313-314, la direttrice era costituita dal torrente Rigo. Incominciava un tratto pianeggiante, ma non per questo facile perché per oltre un miglio la sede stradale doveva trovare posto nell’avvallamento del torrente Rigo subito sotto la Novella, scriveva il Ferroni: «È questo il guado più pericoloso e incomodo di tutti gli altri, imperrocchè l’alveo è profondo e corroso, e le acque hanno maggior velocità, a motivo di essere più vicino all’origine del torrente, che unitamente al Centino privo di ponte, sebbene conservi tuttora il nome di esso, è l’Iliade della strada romana »307. E superato appena questo guado eccone un secondo per tornare dalla parte opposta, poi un altro e un altro ancora. I guadi diventano via via meno pericolosi, ma erano cinque!

VI Pag.201.

Sulla Firenze-Roma dall’invasione francese all’unità d’Italia.

La guerra contro la Francia rivoluzionaria. Ripercussioni in Toscana e nello Stato Pontificio.

Le vicende della Firenze-Roma ultimamente rievocate (della strada come bene pubblico da conservare e perfezionare, come canale ordinario di determinati scambi e relazioni, come sede di fatti appartenenti alla cronaca o alla storia) ci danno un’immagine della situazione degli Stati attraversati, e un po’ di quella italiana, a un decennio circa dalla fine del secolo XVIII, cioè dopo un lungo periodo di pace. …………………………………………………………………………………………………… Non erano davvero prevedibili immediatamente prima del 1789 trasformazioni radicali della vita italiana, novità come quelle che la nostra cronaca di provvedimenti amministrativi, di lavori, di viaggi, di manifestazioni dovrà fra poco registrare. O meglio, lo erano solo come conseguenza di qualche cataclisma esterno; ma questo, nell’anno ricordato appunto, ci fu: incominciò la rivoluzione in Francia. ……………………………………………………………………………… La Sardegna, Napoli e la Toscana, uno dopo l’altro, entrarono in guerra; mentre tra il papato e il governo rivoluzionario vi fu, senza formali dichiarazioni di ostilità, rottura di rapporti e quindi acutissima tensione. Durante quattro anni questo atteggiamento, essendo altrove il centro della lotta tra la Francia e le potenze legittimiste, ebbe tuttavia conseguenze solo per il regno di Sardegna, in parte invaso. La guerra in Italia prese una piega assolutamente nuova nella primavera del 1796, quando il comando dei Francesi fu assunto da Napoleone Bonaparte. Il giovanissimo generale, passando immediatamente all’offensiva, costrinse il re di Sardegna ad un armistizio, batté clamorosamente gli austriaci in Lombardia …………………………………………………………………… Quando,

307 A.S.F. Il Ferroni proponeva qui un nuovo tracciato sulla destra del Rigo, con ponte non lontano dalla confluenza del Rigo stesso col Paglia. 150

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi nell’autunno, Bonaparte ripartiva per Parigi «lasciava l’Italia settentrionale (salvo il Veneto) e quella centrale sotto il predominio francese»308. Tuttavia il sistema creato in Italia non appariva stabile: i primi a minacciarlo erano i Francesi stessi, bramosi di estendere nei piccoli Stati la loro influenza fino ad istaurarvi, mascherato appena, il diretto dominio.

Deportazione di Pio Vi da Roma a Siena e da Siena a Firenze.

Di tale aggressività il primo a fare le spese fu il papa. A quattro mesi appena dalla pace (di Campoformio), i Francesi, profittando di disordini da loro stessi provocati, occuparono Roma. Seguì il cambiamento di regime: alcuni democratici proclamarono la repubblica mentre Pio VI veniva condotto fuori dalla capitale, verso il nord. Il transito del vecchio papa alla mercé delle truppe repubblicana diede a larghe masse di popolo, sulla strada Roma-Firenze, la sensazione precisa dei profondi mutamenti portati dalla rivoluzione d’oltralpe. Il 20 febbraio (1798) fu la partenza, di buon’ora perché il papa uscisse inosservato, nonostante tale precauzione, e nonostante il freddo e la pioggia, c’era gran gente. Scortò il piccolo convoglio un reparto di dragoni, ma solo fino a La Storta: da qui in avanti rimasero col papa due ufficiali di stato maggiore, che fecero cambiare i cavalli alla posta di Baccano e fermare a Monterosi dove si doveva passare la notte. L’indomani, trasferimento da Monterosi a Viterbo, attraverso Ronciglione. Pioveva e a tratti nevicava e Pio VI, che era infermo da dover essere messo e tirato giù a braccia dalla carrozza, giunse molto provato309. Uno che si trovava nella folla accorsa all’arrivo, lo descrive: «in un carrozzino, con pochi seguaci, vecchio e ridotto allo stremo………co’ capelli bianchissimi, colla testa incurvata sotto il peso più ancora del suo dolore che dell’età, passava tra soldati a cavallo, come vittima non coronata di fiori». …………………………………………………………………………………………………..In Toscana il primo pernottamento fu a Radicofani: freddo e isolato il luogo e poco adatto l’alloggio, la locanda della posta. …………………………………………………………………………………………………. Si voleva che Pio VI andasse addirittura in Sardegna, davanti a ciò il governo toscano chiese di trasferirlo presso la propria capitale nel convento della Certosa. Così nel doloroso pellegrinaggio entrò tutta la «strada romana»; per quest’ultima tappa Siena-Firenze bastò solo un giorno, che fu il primo giugno. Alla Certosa Pio VI rimase diversi mesi, sino al marzo cioè dell’anno successivo, quando, nonostante le sue condizioni di salute sempre più precarie, venne portato precipitosamente in Francia.

Reazione antifrancese. Gli insorgenti a Siena, Radicofani e Viterbo.

…………………………………………………I primi combattimenti in Italia furono completamente favorevoli ai coalizzati: Austriaci e Russi dilagarono in Piemonte, in Lombardia e Liguria. Nelle zone rimaste ai Francesi si verificò allora un movimento controrivoluzionario, che assunse particolare gravità ad Arezzo. Gli «insurgenti aretini» costituirono addirittura un’armata che scorrazzò diverso tempo per la Toscana, e agì anche sulla Firenze-Roma, perché con l’aiuto di elementi locali poté occupare Siena il 28 giugno (forzando per entrare la Porta Romana e la Porta Tufi) e successivamente San Quirico e Radicofani310. Sulla strada, non molto prima, s’era già vista passare una lunga colonna francese in ritirata costituita dalle forze d’occupazione del Napoletano che

308 CANDELORO G. Storia d’Italia moderna, Milano 1956-1964, I, pag. 235. 309 Per il trasferimento del papa da Roma a Viterbo cfr. BALDASSARI P.: Relazione delle avversità e patimenti del glorioso papa Pio VI negli ultimi tre anni del suo pontificato, Roma 1889, III, pagg. 5-9. 310 Cfr. ZOBI A., op. cit., Firenze 1851, III, pagg. 322-326. 151

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi il generale Macdonald riconduceva d’urgenza verso nord in aiuto dei connazionali in difficoltà311. ……………………………………………………L’indietreggiamento dei Francesi, improvviso quanto era stata improvvisa la loro avanzata tre anni prima, aveva coinciso con l’assenza di Bonaparte impegnato nella spedizione d’Egitto. Quando egli ricomparve in Italia (essendo ormai padrone dello Stato come primo console) con la sola battaglia di Marengo riacquistò la maggior parte del perduto. In tale parte fu compresa la Toscana, mentre nello Stato pontificio continuò a regnare il nuovo papa Pio VII, che, eletto a Venezia, era venuto da poco a insediarsi a Roma. Dopo Marengo (11 giugno 1800) tra Francia e Austria vi fu solo un armistizio: alla fine dell’anno la guerra venne ripresa per breve periodo. In questa fase il re di Napoli fece occupare una parte dello Stato pontificio, spingendo poi oltre le sue forze per ricacciare i Francesi dalla Toscana. I Napoletani puntavano a Firenze servendosi della principale arteria conducente a questa città da Roma. E lungo la strada, nei luoghi stessi che alcuni secoli prima avevano visto combattere Senesi, Fiorentini, imperiali e pontifici, si decise l’esito della spedizione. La schiera avanzante infatti venne fermata proprio davanti a Siena, tra Fontebecci e Porta Camollia, da Cisalpini e Francesi, scesi da Poggibonsi e anche per il vecchio ramo «fiorentino» di Castellina. Precisamente i granatieri Cisalpini (con i quali vediamo per la prima volta agire una di quelle milizie che furono istituzione nuova e caratteristica degli stati italiani protetti da Napoleone) quando vennero in contatto col nemico «erano situati sulla strada». Attaccati i Napoletani indietreggiarono quasi subito verso la città, valendosi naturalmente anche della via maestra, e una lotta piuttosto accanita si accese alla porta: i regi persero e ripresero un cannone, chiusero fuori i nemici e dovettero alfine sgombrare mentre i battenti venivano sfondati. Altra resistenza essi fecero alla Coroncina, presso il loro campo trincerato; e poi fu la ritirata generale in direzione di Roma312.

Pag. 209.

Pio VII va a incoronare Napoleone: in Toscana lo riceve la reggente.

Il trattato di Lunéville, quello di Amiens tra Francia e Inghilterra (marzo 1802) e il concordato non si sarebbero dimostrati vitali, ma intanto davano all’Europa e all’Italia un periodo di respiro, e i più rimarchevoli avvenimenti che interessano ora la strada sono intonati a questo clima distensivo. Nei primi mesi del 1802 fu possibile effettuare il trasporto in Italia delle spoglie di Pio VI, rimaste di là delle Alpi. Da Firenze a Roma le stesse popolazioni che avevano visto deportare il vecchio papa tornarono sulla strada per rendergli omaggio da morto. Quanto il primo passaggio s’era svolto nascostamente, senza onori e in gran fretta, tanto questo ebbe carattere di ufficialità e fu solenne e lento. Dalla partenza, da Firenze, l’11 febbraio, fino all’ingresso di Roma, il 17, furono mobilitati per rendere omaggio al feretro le autorità militari e le truppe dei presidii, mentre popolo e religiosi si riunivano ovunque in massa per accoglierlo. Particolarmente grandioso il ricevimento a Roma, curato dal cardinale Antonelli, che si preoccupò fra l’altro di fare tempestivamente riparare due tratti della strada postale tra la Storta e Piazza del Popolo. Dopo le manifestazioni della pietà e della fede. Dopo i riti funebri, la gioventù, la frivolezza e l’amore. Una sorella del primo console, Paolina, bellissima, viene a stabilirsi a Roma, maritata al principe Camillo Borghese, e percorre la strada di Firenze. Sono i primi giorni di dicembre 1803 e naturalmente fa freddo. ………………………… Al loro arrivo, la sera del 9 Paolina e Camillo trovano ad accoglierli nel superbo palazzo Borghese le maggiori personalità di Roma……………

311 Il generale Macdonald con le sue truppe partì da Roma il 20 maggio e giunse a Firenze il 26 dello stesso mese. Cfr. in proposito BOTTONI G. Il generale Macdonald nelle campagne d’Italia del 1798-99, Napoli 1909, pagg. 92-98. Per il suo arrivo a Siena, cfr. BRIGIDI E. A., Giacobini e realisti o il Viva Maria, Storia del 1799 in Toscana, Siena 1882, pagg. 338-340. Circa il passaggio degli Austriaci sulla Firenze-Roma: A.S.S., Governatore, 964, affare 120. 312 «Gazzetta Toscana» a. 1801, n. 4, pagg. 13-14. Per la battaglia che si svolse a Siena cfr. anche ZOBI A., op. cit., III, pag. 452. 152

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Altre attenzioni gli sposi avevano ricevuto a Firenze ad opera di Maria Luisa, reggente d’Etruria. Regina reggente: Ludovico di Borbone era infatti morto durante l’anno e il figlio ne aveva preso il posto dotto la tutela materna. ………………………………………………… …………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………. Il primo console, infatti, aggiungendo alla gloria militare qualche anno di energico governo, aveva acquistato tanto potere da farsi concedere mediante plebiscito il titolo imperiale. E pensava che porgendogli la corona il papa, la sua esaltazione al trono sarebbe apparsa molto più solenne e legittima. Ma secondo il suo costume Napoleone volle imporre tutta la propria volontà, curandosi poco anche delle forme. Non solo Pio VII venne obbligato a portarsi a Parigi, ma lo si fece viaggiare nella cattiva stagione, prescrivendogli una serie di tappe quasi non interrotta da riposi, cosicché quel trasferimento, come scrive il Consalvi «non fu meno indecente alla sua dignità che nocivo alla di lui salute».

Anche Pio VII deportato. Faticoso viaggio da Roma a Firenze.

………………………………………………………………Accompagna i due un alto ufficiale francese, un generale, non si capisce se in veste di protettore o di custode; costui non si trattiene dal rimproverare vivamente la padrona di tenere il locale tanto sudicio e sprovveduto. Però la donna non si scompone e rivolta a quello dei viaggiatori che sembra il più importante e che è stato fatto subito sedere sull’unica «sdrucita e vecchia sedia» disponibile…………………………………… …………..L’ostessa non sospetta certo che l’uomo da lei trattato come un cardinale ………..possa essere il papa in persona. Per intuirlo dovrebbe conoscere quello che è accaduto in Roma sull’alba: che le truppe francesi hanno invaso il Quirinale, fino a raggiungere il papa e cui il generale Radet (lo stesso che si trova con i prelati nell’osteria) ha notificato, a nome di Napoleone, la decadenza del potere temporale facendolo poi entrare in una carrozza e portandolo precipitosamente, come prigioniero, verso Firenze. Se ciò sapesse, la donna si spiegherebbe anche il turbamento e la stanchezza del suo ospite, e perché non riconosca in lui l’augusto personaggio che, onorato ed acclamato, ha visto quattro anni prima. Comunque, non resta tempo per considerazioni perché il viaggio del gruppo riprende immediatamente. E non c’è altra sosta fino a Radicofani, dove si arriva alle 11 di notte, il papa, partito già sofferente, dopo 19 ore di viaggio in una giornata afosissima, è affranto. Radet che lo osserva se ne accorge, ma non prende neppure l’iniziativa di fargli trovar pronto un buon letto, e scende alla locanda di Radicofani senza aver dato alcun avviso, come guidasse la più improvvisata gita turistica. Lo racconta lui stesso, tranquillamente: «Appena ivi giunto, mandai a chiedere delle camere per due cardinali e loro seguito. Intanto la mia scorta si avvicina e fa evacuare l’atrio dell’albergo. La carrozza entra sino alla porta della cucina, la porta grande si chiude dietro di noi, scendo e porgo la mano al Capo supremo della Chiesa per montare la scala313». Ben si capisce come il cardinale Pacca (l’ecclesiastico che accompagna il papa) debba lui stesso «in rocchetto e mozzetta» aiutare la serva a preparare il giaciglio, dove tuttavia Pio VII non potrà collocarsi che vestito, per avere lasciato Roma senza prendere assolutamente nulla con sé314. In realtà, tanta furia alla partenza e in viaggio aveva un motivo: passare assolutamente prima che la voce si spargesse, per evitare assembramenti e tumulti. Questo fu ottenuto il primo giorno, ma non il secondo. Il papa si rifiutò fermamente di proseguire oltre Radicofani se non arrivavano i domestici autorizzati ad accompagnarlo, con un minimo di necessario, e il Radet non ebbe l’animo di contraddirlo benché stesse sulle spine: «Io spesso guardavo dalla finestra, la quale sporge sulla strada di Roma, che di là si scuopre alla distanza di quattro leghe e più. Verso le 3 veggo in lontananza due carrozze: tutto allegro corro a darne l’avviso a Sua Santità». Partire da Radicofani solo nel pomeriggio

313 Cfr. la relazione del generale Radet sul viaggio di Pio VII riportata in appendice a PACCA B.: Memorie Storiche, Pesaro 1830, pag. 202. Al ritorno da Parigi Pio VII venne da Firenze a Roma (10-15 maggio 1805) passando per Arezzo- Perugia-Nepi-Monterosi-La Storta, senza toccare la montagna di Viterbo. Passò invece all’andata. 314 Cfr. il racconto del cardinale Pacca, nell’opera citata nella nota sopra (pag. 126. 153

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi significò trovare in ogni borgo, in ogni villaggio, una gran folla eccitata. ………………………………

Pag. 222 e segg.

Ultimi turbamenti del periodo napoleonico. Il papa ancora una a Firenze.

………………………………………………………………………………………………. Genova, secondo gli originari disegni, fu la residenza papale sebbene per pochissimo perché il 29 maggio Pio VII passava nuovamente per Firenze, di ritorno: Il Murat infatti affrontato dagli Austriaci in Emilia, s’era messo in ritirata, senza più soste fino a Napoli, perdendo la guerra e il regno. Quando il papa tornava a Firenze l’armistizio che segnava la fine della potenza murattiana era ormai firmato: egli poté quindi raggiungere la sua sede con tranquillità e sicurezza, e dando questa volta tempo alle popolazioni di organizzare feste e cerimonie d’omaggio. Le cronache delle accoglienze al papa tra Firenze e Roma dal 2 al 7 giugno descrivono prevalentemente manifestazioni fatte secondo gli schemi ufficiali la cui rievocazione non presenta molto interesse. Di nuovo genere, e perciò da notare, è un episodio riferito dal cardinale Pacca, che riguarda la sosta a Radicofani, il 4 giugno. Nel borgo solitario ed alpestre, animato quel giorno da una moltitudine accorsa dai monti e dalle campagne all’intorno, il papa ricordò con commozione l’affannoso viaggio fatto sotto la scorta del generale Radet e volle visitare la locanda dove era stato sistemato. In essa lavorava ancora la serva che quella sera del 1809 aveva preparato alla meglio per due sconosciuti e stanchissimi prelati capitati tanto all’improvviso; e d’ordine di Pio VII le fu dato un regalo315. ………………………………………………………………………………………………….. ………………………………………… Uno era Fesch, il cardinale trovatosi a dover rappresentare gli interessi francesi contro la Chiesa, ma rimasto in ogni circostanza deferente col papa; l’altra era Letizia Bonaparte, sempre volutamente nell’ombra, benché madre di un onnipotente: «non lei di Cesare il raggio precinse», dirà il Poeta. Eppure il loro inatteso arrivo a Siena (è lì che compaiono sulla «via romana») mise a disagio le autorità locali e soprattutto il prefetto Bianchi. ……………………………………………………………………………………………………..Nei suoi appunti il cardinale scriveva: «Sono partito da Siena il 13 agosto alle 8 del mattino dopo aver detto messa. La notte l’abbiamo trascorsa a Radicofani, da dove siamo partiti alle 7 del 14. …». Madama Letizia e il cardinale Fesch, peregrinanti tra Firenze e Roma, si muovono come dei sopravvissuti. Siamo ormai in nuovo clima storico, quello della restaurazione.

La strada imperiale: manutenzione e lavori particolari.

…………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… Una novità generale la strada Firenze-Roma l’ha negli anni in cui tutta, di fatto, è sottoposta al governo francese, e precisamente nel 1811 quando Napoleone emana l’atto fondamentale in materia di strade, il «Règlement pour l’administration et l’entretien des routes» datato 16 dicembre, e pubblicato nel «Moniteur» il 21 dello stesso mese. Il documento reca in allegato l’elenco delle «strade imperiali»; una di queste «de Paris à Rome et a Naples, par le Simplon et Milan» comprende tutta intera la strada postale romana. Testualmente, il tracciato viene così riportato: , San Casciano, Tavernelle, Poggibonsi, Siena, P. d’Arbia, Saint Errico, La Scala, Radicofani, Poste, Acquapendente, Bolsena, Viterbo, Ronciglione, Settevene, Orte, Storta, Rome. Per le strade imperiali il «Règlement» stabilisce costruzione e mantenimento a carico del tesoro pubblico………......

315 PACCA B.: Relazione del viaggio di Pio VII a Genova nella primavera dell’anno 1815 e del suo ritorno a Roma, Orvieto 1844, pag. 21 e segg. 154

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Il diretto dominio che anche dopo la formale ricostituzione del granducato Napoleone esercitò sulla Toscana e sul Lazio rendeva effettivamente possibile l’applicazione di questo Regolamento all’intera Firenze-Roma, che acquistava così il vantaggio di essere amministrata da un capo all’altro secondo le stesse norme, e norme veramente moderne.

Passaggi e avvenimenti dell’età risorgimentale. Milleottocentodiciannove Francesco I viaggia da padrone.

Pag. 252

Il congresso di Vienna chiudendo il periodo delle guerre napoleoniche ripristinò in Italia il predominio austriaco, anzi lo rafforzò grandemente. ……………………A pochi anni dal celebre congresso, quando nessun sussulto rivoluzionario aveva ancora turbato l’ordine da esso stabilito, si svolge il viaggio nella penisola di Francesco I, viaggio lunghissimo, durante il quale……………………Con Francesco I (imperatore d’Austria e fratello del granduca di Toscana) viaggiavano la moglie, il granduca e l’arciduchessa Carolina…………………….quello stesso pomeriggio (31 marzo 1819) viaggiatori di gran rango raggiunsero Siena per la « strada romana »: precisamente il principe Antonio di Sassonia con moglie e nipoti. Ripassò da Siena anche il granduca, congedandosi dall’imperiale fratello a Radicofani. Il 2 a mezzogiorno, egli rientrava a Firenze quando già era partito per fare il cammino inverso, a Roma anche lui, l’erede al trono, Leopoldo316.

Gli austriaci, i re delle due Sicilie, il granduca e infine lo zar.

…………………………………………………………………………………………………… ……………………………………………………………………Lungo la strada Firenze-Roma, che accoglie il regolare e anonimo movimento dei periodi tranquilli, le novità che fanno epoca tornano ad essere, quasi come alla fine del Settecento, i passaggi dei sovrani e dei principi in viaggio per motivi di Stato o familiari. Tra questi viaggiatori si mobilitano le poste e i curiosi d’ogni grado sociale, ritroviamo subito il Re delle due Sicilie, ……. Francesco I, …………………….1829. E con il re, buona parte della corte, perché egli accompagna la figlia che va sposa, una circostanza in cui conviene compagnia splendida e vistosa. Francesco I, la regina, la principessa Maria Cristina e un altro figlio di due anni appena, il fratello del re principe di Salerno con la principessa e una figlia e inoltre «numeroso e nobile seguito» fecero la tappa Roma-Firenze del loro viaggio da Napoli alla Spagna (Maria Cristina sposava il re di Spagna, appunto) tra il 6 e il 10 ottobre. La famiglia del principe di Salerno viaggiava sola e avanti agli altri: infatti nel pomeriggio del 7 era a Siena, dove il re non entrò che due giorni più tardi, alle nove. Da Firenze s’erano già mossi l’incaricato d’affari napoletano e il commendator Paver, soprintendente delle poste granducali, per ricevere gli ospiti a Radicofani. …………………………………………………………………………………………………… …………………………Quiete e tranquillità opportunissime presenta dunque la Firenze-Roma nel dicembre dell’anno 1845, quando per essa transita un personaggio più d’ogni altro forse insofferente di qualsiasi irregolarità e contrasto. «Questa mattina alle ore cinque e venti minuti è arrivato in questa capitale, proveniente da Roma, S.M. Niccolò I, imperatore di tutte le Russie, sotto il nome di generale Romanoff in compagnia dei suoi aiutanti Generali, il conte ed il principe Mentschikoff e con numeroso seguito, prendendo alloggio alla locanda d’Italia che da tre giorni era ritenuta a sua disposizione, ove era stata impostata una guardia d’onore……». Dato che lo zar viaggiava in incognito, e aveva anche rifiutato l’offerta d’essere ospite alla reggia, Leopoldo II aveva potuto risparmiarsi di andare a prendere freddo a Siena, o peggio che mai, a Radicofani, mandando al suo posto il gran ciambellano.

Manutenzione o lavori sulla Firenze-Roma dalla Restaurazione all’unità d’Italia. Settore toscano.

316 Cfr. «Gazzetta di Firenze» a. 1819 n. 40 e 41. 155

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…………………………………………………………………..Per il mantenimento sono particolarmente indicativi gli anni tra il 1825 e il 1835, quando cioè esso viene dapprima curato dai nuovi organismi responsabili, il Corpo degli ingegneri e la Direzione di Acque e Strade. …………………………………………………………………………………………………… ……………….il cantone di Ricorsi, fino a tutto il 1834 a G. Coli, che lo aveva dal 1817: gli era stato rinnovato per mancanza di disdetta. Tratto brevissimo di due miglia e mezzo per l’importo di 1.535 lire: dopo il ’34 sarà tenuto per un anno «a nota» e poi compreso in un nuovo appalto nel 1836. Il cantone del Rigo, il più lungo di tutti e forse il più difficile (miglia 10,30; 6573 lire annue di mantenimento) nel ’35 è …………………. Per i cantoni del Compartimento senese il «concorso» ebbe luogo la mattina del 10 novembre 1855 e diede il seguente esito: …………………………………………; tredicesimo, di Radicofani, miglia 4,80, a C. Madioni per 2924 lire; quattordicesimo, di Novella e Rigo, miglia 8,19 a D. Madioni per 4.185 lire. ……………………………………………………………..Durante il quinquennio 1827-1831, nella parte della nostra strada sottoposta al granduca, vennero eseguiti: …………………………………., il restauro del ponte dell’Orcia, una protezione lungo il Formone, lo « sbassamento » di un tratto della salita di Radicofani e restauri diversi attorno al Rigo. …………………………………. Riparazioni ai ponti del Formone e dell’Orcia Altro periodo denso di lavori, il 1835-1837. Il tratto interessato è specialmente quello tra S. Quirico e Radicofani: nuovo ponte a tre arcate sul Vellora (perizia 32.200 lire), ………….riparazioni ai ponti del Formone e dell’Orcia……… ………………………………………………………………..Altro lavoro di quest’epoca (1840-1850): la rettificazione della salita di San Francesco a Radicofani lavoro di consistenza (600 metri, 7648 lire) ma soprattutto d’utilità. Infatti la salita eliminata, venendo subito dopo la posta, creava infiniti inconvenienti, perché i cavalli « a petto diaccio » spesso ricusavano di partire. Dopo queste opere del decennio 1840-50, non ne risultano, sempre sul tratto toscano, altre di pari impegno. …………………………………………………………………………………… Sarà per restaurare la platea del ponte del Formone (4000 lire), per risanare avvallamenti a Casa al Sarti e Baccanello ………………………………………….per rifare le due « serre sotto corrente del ponte delle Salsole e del Ponte Torto » di là da Radicofani……………………………………..

LA POSTA DI RADICOFANI – a cura di Leonardo Carandini – estratto da “L’UNIVERSO” rivista bimestrale dell’Istituto Geografico Militare – Anno XLIV – N. 1 – Gennaio- Febbraio 1964 – Fatto Ristampare a cura del Comune di Radicofani dalla tipografia Cantagalli – Siena.

(Da questo articolo del Carandini prendiamo soltanto i nomi dei personaggi che sono passati dalla Posta di Radicofani anche se molti di essi danno del posto un’interpretazione alquanto negativa e poco rassicurante. Bisogna però dire che questi personaggi molto spesso avevano a che fare con il freddo e con la furia del vento che in questo posto, essendo a 814 mt. sul livello del mare, tira abbastanza forte!) L’articolo comincia con la descrizione del posto e dell’edificio della Posta (Questa Posta, costituita da un grande edificio-albergo eretto dai Medici verso la fine del Cinquecento, costituì, per tutta l’epoca della carrozza, cioè per circa trecent’anni, una delle più importanti e pittoresche tappe del viaggio a Roma. Ivi si mutavano i cavalli, si pagavano i dazii, si pranzava, si pernottava, si trovava conforto e riparo dalle intemperie. È proprio di questa Posta, che, alla luce delle descrizioni lasciateci dagli antichi viaggiatori, vogliamo qui parlare. Fra il XVI ed il XIX secolo, sono 156

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi poche le «guide», gli «itinerari», le descrizioni di viaggi attraverso l’Italia, che non menzionavano questa importante tappa situata in uno dei tratti maggiormente disagevoli della via più diretta che dal Nord conduceva a Roma ed all’Italia meridionale.) Prima di Radicofani è nominata Mala Mulier o Mulier Mala da documenti del 1071 e del 1107 e dall’Abate Thingoerense nel 1151 e il grande castello che dominava le Valli della Paglia e dell’Orcia già dava il nome al passo fin dal 1191 che viene ricordato dal re di Francia Filippo Augusto. Il Carandini nel suo articolo ricorda ancora il viaggiatore P.G. Grosley il quale diceva che ancora non era stata riparata la strada dopo lo scoppio della polveriera (1735), lui passava da Radicofani nel 1740, così Leandro Alberti (L. ALBERTI – Descrizione di tutta Italia – Venezia, 1553) parlava dell’asprezza dell’itinerario ed infine di Montaigne che passò da Radicofani nel 1581 meravigliandosi per il grande traffico di viaggiatori incontrato lassù, aveva scritto: «Le strade erano state riparate in quell’anno stesso per ordine del Duca di Toscana e si tratta di una gran bell’opera, molto utile per il pubblico. Dio lo rimeriti perché queste strade un tempo tanto cattive, sono ora comodissime e molto sgombre, quasi come quelle di una città». (MONTAIGNE – Journal du voyage en Italie en 1580 – 1. Paris, 1774). Nella metà del secolo successivo Martin Zeiller rilevava che andando verso Roma, dopo Radicofani, la strada peggiorasse sensibilmente, fangosa e faticosissima per i cavalli, mentre «fino a Radicofani sono tutte lastricate e coperte di grosse pietre cosicché visi può viaggiare come in una città» (MARTIN ZEILLER- Itinerarium Italiae – Franckfurt, 1640). Il Carandini ricorda poi nel 1786 il memorialista lombardo Gorani, il quale s’era dovuto fermare per due giorni a Centeno perché il ponte era stato distrutto da una piena (G. GORANI – Dal dispotismo illuminato alla rivoluzione – Milano, 1942). Il Carandini parla poi del viaggiatore inglese Moryson Fynes (Moryson Fynes – An itinerary. London, 1617) che passò per Radicofani nel 1584 e s’era fermato in un’osteria di campagna perché ancora non c’era l’Osteria Grossa. Il racconto segue con S. Corradus che passa per Radicofani nel 1589 e già pernottava nel magnifico edificio «extructum a Ferdinando duce commodo viatorum» (Sebastiano Corradus – Itinerarium Italiae totius. Coloniae, 1602). L’Osteria Grossa fu edificata dal Granduca Ferdinando I che costruì pure la bella fontana per abbeverare i cavalli e l’edificio fu costruito vicino all’edificio della fabbrica del salnitro e lo Zeiller nel suo nominato scritto ci dice che il granduca lo eresse per alloggiare i viaggiatori che non volevano o non potevano salire al villaggio, infatti l’edificio si trova a circa 500 mt. sotto il paese. Il racconto continua con il nominare il viaggiatore Evelyn che passa nel 1644 dicendo praticamente le stesse cose dello Zeiller (Evelyn – Diary. London, 1906). Nel 1609 si era fermato nell’albergo Vincenzo Imperiali il quale dice che si è fermato all’albergo e ha fatto «una buonissima cena» e pernottandovi «ponendo rimedio a tutti i mali che di giorno s’eran passati» L’Imperiali, (G.V. Imperiali – Viaggi. Atti Soc. Ligure di Storia Patria. Genova, 1898) come il Walpole (H. WALPOLE, Letters. Oxford, 1903) scrisse dopo che gli era capitato un incidente «I miei bagagli, i miei cofani, avevano l’inchino al loro Re al Re di Cofani» e il Walpole immaginava che questo re di cofani fosse uno dei Re Magi, provvisto di oro, incenso e mirra e si chiedeva «Dove Diavolo li avrà mai trovati, dato che tutt’intorno non vi è nulla che possa valere qualcosa?» «L’Hôtellerie des Grands Ducs», come la chiamava il viaggiatore Lassels che vi ha pernottato nel 1640 (LASSELS, voyage d’Italie. Paris, 1682). In una camera del grande albergo nella notte di Natale del 1675, il Duca di St. Aignan, doveva tenere l’inchiostro per scrivere vicino al fuoco! (SAINT AIGNAN, - Relation du marquis de XXX pendant son voyage en Italie. Paris, 1672). Della tappa di Radicofani ci parlano il viaggiatore Monconys (MONCONYS – Journal de voyages. Lyon, 1665» che, nel 1666, s’era imbattuto per la strada con il cardinale Grimaldi, e così Spon (J. SPON, - Voyages d’Italie. Bonn, 157

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1672), che credeva di essere su una delle più alte montagne d’Italia. Si fermarono a Radicofani il Duca di Bouillon (BOUILLON, - Les beautés de l’Italie. Paris, 1673) nel 1670 e, nello stesso anno, Larchier (LARCHIER, - Voyage d’un homme de qualité, Lyon, 1681). Nel 1671 dormì nell’albergo dei Granduchi il figlio di Colbert, il marchese di Seignelay (SEIGNELAY, - L’Italie en 1671. Paris, 1876) e Radicofani è anche ricordato da Jouvin de Rochefort nel 1680. (JOUVIN DE ROCHEFORT, - Voyage de France, d’Italie et de Malthe. – Paris, 1682). Vi pernottò nel 1688 il viaggiatore Misson Maximilien e verso la fine del secolo, Addison (MISSON, - Nouveau voyage d’Italie. Utrecht, 1722. ADDISON, - Remarques sur divers endroits de l’Italie. Utrecht 1722). Nel febbraio del 1700, Radicofani venne danneggiata da un violentissimo terremoto. Il benedettino Bernard de Mountfaucon, che era passato di lì pochi giorni dopo, descriveva le case crollate e l’albergo mediceo quasi completamente distrutto (B.DE MOUNTFAUCON, - Diarium Italicum. Pariisis, 1702). Non nuova a terremoti, la zona di Radicofani ebbe proprio nel XVIII secolo la serie di peggiori calamità. Così nel 1726, nel 1741 e specialmente tra il 1776 ed il 1778 il paese subì un intenso periodo sismico. Nel 1777 la quasi totalità delle sue case venne seriamente lesionata. L’Osteria Grossa, più tardi chiamata Posta, e prima ancora era una casa per la caccia di Federico I, venne ricostruita dopo il 1700 ed era tanto frequentata che spesso era insufficiente ad accogliere tutti i viaggiatori perché per la via Francesca il traffico era molto grande. Il presidente De Brosses che vi giunse nel 1739, dovette apprendere, costernato, che un principe di Sassonia con il seguito di cinquanta cavalieri, aveva occupato l’intero edificio facendosi riservare tutti i viveri disponibili. Per non rimanere per la strada il povero viaggiatore francese e i suoi amici avevan di buon grado accettata l’offerta di spartire la cella di un generoso frate del vicino convento dei Cappuccini. (Ch. DE BROSSES, - Lettres historiquesnet critiques sur l’Italie. Paris, 1799). Walpole vi si fermò con Gray nel 1740. Walpole chiamò osteria l’albergo e brutta fortezza quella di Radicofani! Non l’avrebbe certo disprezzata se avesse saputo che a fortificarla fu Adriano IV, l’unico papa inglese della storia della Chiesa Cattolica! E anche Gray parlò male dell’Osteria Grossa (Th. GRAY, - The correspondence. Oxford, 1935). La strada era sempre affollata e l’Albergo della Posta, come ricordava il Keysler nel 1756, era sempre pieno di gente (J.G. KEYSLER, - Travels. London 1757). Nel 1765 sostava in quest’albergo il viaggiatore Tobias Smollet (T. SMOLLET, The lettres, Cambridge, 1926) lamentandosi così come Lady Miller (A. MILLER, Lettre from , London, 1776), Dutens (L. DUTENS, Mémoires d’un voyageur qui se repose, Londres, 1807) ci parla di un curioso incontro in quest’albergo fra l’Imperatore Giuseppe II ed un barone tedesco. Il letterato inglese William Beckford (W. BECKFORD, Italy, Paris, 1835) ci fa una descrizione dell’albergo da brivido, invece più fortunato di lui fu il Gran Maresciallo svedese Axel von Fersen, il quale asseriva che nell’albergo era riuscito a vedere, era il 1780, un autentico fantasma! (A.J. HARE, Cities of Central Italy, London, 1884). Verso la fine del XVIII secolo il Baldassarri, che, In compagnia del Papa Angelo Braschi, vi pernottò il 24 febbraio 1798, mentre Pio VI era condotto prigioniero in Francia (P. BARDASSARRI, Relazioni delle avversità e patimenti del glorioso Papa Pio VI. Roma, 1889) «Tutti alloggiammo all’osteria della Posta. Pio VI ……..». Nei primi del Settecento, e precisamente 1715 il Conte di Caylus passava per Radicofani e lodava la cura con cui veniva mantenuta quella via (CAYLUS, Voyage en Italie en 1714-15. Paris, 1915). Tre anni dopo Labat (LABAT, Voyage en Espagne et en Italie. Amsterdam, 1731) notava come questa fosse ottima. Nel 1739 il De Brosses (op. cit.) definiva la tappa di Radicofani come la più spregevole; così come il barone di 158

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Pollnitz che vi passò nel 1740 (POLLNITZ, Lettres et mémoires. London, 1741) Al contrario di Lady Miller l’Abbé Richard (L’ABBÉ RICHARD, Description historique et critique de l’Italie. Dijon, 1756) notava che gli abitanti assomigliavano più a Savoiardi che a Italiani. Il Coyer (COYER, Voyage d’Italie et d’Hollande. Paris, 1775) nel 1763 si era dovuto fermare, con molti altri, ad Acquapendente a causa della neve che ostruiva la strada per Radicofani. Nel 1757 Madame du Bocage (DU BOCAGE, Recueil des œuvres. Lyon, 1762) parlava di un viaggio terribile così come si è già parlato o di Smollet (op. cit.) e ancora il Grosley (op. cit.) che ci passarono nel 1765. Ma nel 1769 la strada era ritornata bella e ce lo dice M.L. Duteus (M.L. DUTENS. Itinèraire des routes les plus fréquentées. Paris, 1787), ma già nel 1777 era ridotta in pessimo stato e se ne lamentano nel 1770 il Casanova e più tardi il citato William Bekford. Nel 1785 si lamentava della strada e della natura Mercier Dupaty (MERCIER DUPATY, Lettres sur l’Italie en 1785. Lyon, 1786). Nel 1801 si narrava che erano stati assassinati due corrieri postali e ce lo narra Creuzé de Lasser (M. CREUZÈ DE LESSER, Voyages en Italie et en Sicile. Paris, 1806). Anche Forsyth (J. FORSYTH, Remarcks. London, 1813) che era passato a Radicofani nel 1802 racconta che un brigante assassinava avendo sulla mano destra una pistola e sulla sinistra un rosario! Nei primi del XIX secolo lo Chateaubriand (CHATEAUBRIAND, Mémoires d’autre tombe. Paris, 1952) racconta la sua impressione su Radicofani definendo «lunare» il suo paesaggio. Nel 1804 Madame de la Recke ( M. DE LA RECKE, Voyage en Allemagne et en Italie. Paris, 1819) aveva incontrato degli sbirri che l’avevano avvisata che il papa Pio VII sarebbe passato di lì e che il suo seguito aveva occupato tutte le stanze dell’albergo di Radicofani; tra le descrizioni dell’albergo della posta di Radicofani ci rimane quella del luogotenente generale di gendarmeria che accompagnava: il papa il barone Radet (RADET, Relazione esatta e circostanziata del violento trasporto del Papa Pio VII. Milano, 1809); il quale doveva portarlo a Parigi per incoronare Bonaparte, e quando il papa ritornò nel 1814 a Roma si fermò ancora nell’albergo di Radicofani e volle dormire nella stanza dove aveva dormito prigioniero e ricompensare coloro che nella sfortuna lo avevano assistito. Nel 1817 Stendhal (STENDHAL, Rome, Naples e Florence. Paris, 1955), il quale per le cattive condizioni della strada la carrozza si era guastata. Nel 1811 il viaggiatore Petit-Radel (P.PETIT RADEL, Voyages dans les principales villes d’Italie. Paris, 1815) vi passò e dovette farsi aiutare da una coppia di buoi per arrivare a Radicofani. E Prunetti (M. PRUNETTI, Viaggio pittorico antiquario d’Italia e di Sicilia. Roma, 1820) nel 1820 raccomandava ai viaggiatori che bisognava guadare i torrenti solamente quando questi erano rientrati nel solito letto. A Radicofani continuava ad essere mantenuta la dogana ma ovunque i doganieri erano corruttibili; John Bramsen nel 1815 (J. BRAMSEN, Travels. London, 1820) li aveva trovati gentili e premurosi. Anche il De Montulé nel 1817 (DE MONTULÉ, en Amerique et en Italie. Paris, 1821) narrava di aver evitato la noia dei doganieri con un po’ di denaro, e si stupì della facilità con cui erano disposti ad accettarlo. Il francese Sismond vi era giunto nel 1818 (L. SISMOND, Voyage en Italie et en Sicile. Paris, 1820) e vi parla molto bene dell’albergo e della vista “bellissima” che da esso si godeva. Pochi giorni dopo, nel 1823 passava dall’albergo la viaggiatrice Lady Blessington (BLESSINGTON, The idler in Italy. London, 1839), la quale si lamentava del freddo che aveva sofferto in luglio. Anche un ufficiale dell’Imperiale Regia Truppa Austriaca si era preoccupato di pubblicare in Siena una diligente «Descrizione della montagna e del paese di Radicofani» (L.DE PEDROTTI, Siena, 1823). Ancora nel 1825 un’altra viaggiatrice inglese Mrs. Jameson, era contenta, scriveva di essere nell’albergo e non fuori dove c’era molto vento (A. JAMESON, The diary of an ennuyée. Boston, 1887). Per chi veniva dallo stato della Chiesa molti viaggiatori, sovente, 159

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi vedevano che rientravano nella civiltà e ciò ce lo fa notare Valery (M. VALERY, Voyages litteraires, historiques et critiques en Italie. Paris, 1838), mentre non era dello stesso parere l’inglese Evans (V. D. EVANS, The new classical tour through Italy. London, 1830) il quale apparteneva a quel tipo di viaggiatori che il Toppfer (R. TOPPFER, Premiers voyages en zig-zag. Paris, 1903) definiva «no-no», quelli cioè per i quali in Italia nulla andava bene. Anche al De Mengin-Fondragon (C.DE MENGIN-FONDRAGON, Nouveau voyage en Italie. Paris, 1933) non era piaciuta la zona di Radicofani e così il conte di Chambord (CHAMBORD D’ARTOIS, Voyage en Italie en 1839-40. Paris, 1933) il quale, però, doveva convenire che, inoltratosi negli stati della Chiesa, aveva lasciato alle spalle la civiltà, Tre viaggiatori Boyd (W. BOYD, A guide though Italy. London, 1833), Poujoulat (M. POUJOULAT, Toscane et Rome. Bruxelles, 1840) e Taylor (C. TAYLOR, Letters from Italy to a younger sister. London, 1840) dicevano che l’albergo era sempre molto frequentato e si era rivelato molto confortevole. Nel 1840 anche John Ruskin aveva annotato che l’albergo d’aspetto malinconico era confortevolissimo (J. RUSKIN, The diaries. Oxford, 1956), anche se ci ripensò un anno dopo. Alcuni anni dopo un celebre inglese, Charles Dickens passava per Radicofani e anche lui non ne ha avuto una buona impressione (CH. DICKENS, Pictures from Italy. London, 1889) così come Nathaniel Hawthorne (N. HAWTHORNE, Passages from the French and Italian notebooks. London, 1883) asserisce che fra tutti gli alberghi da lui frequentati nella sua vita quello di Radicofani è il più desolato. Qui voglio ricordare, visto che non lo ricorda il Carandini, il grande Vittorio Alfieri che passa da Radicofani a dicembre del 1766 e il suo cameriere si ruppe un braccio ed è costrette a chiedere aiuto ad un chirurgo di Radicofani che dichiarò che il braccio era perfettamente messo a posto sì come lo aveva messo il cameriere da solo! (V. ALFIERI, Vita (scritta da lui stesso). Salani Editore. 1964.

(A proposito della Posta di Radicofani c’è da ricordare che accanto a questo grosso immobile ve ne era costruito un altro - che c’è tuttora – e serviva da lavorazione del Salnitro, infatti di fronte all’albergo, e accanto alla “Fontana” vi erano delle stalle piene di concimi che servivano a questo scopo e lo ricorda il Gherardini nel suo ms. D. 83 nell’A.S.S. a pag. 56 del libro: memorie di un’antica terra di Frontiera e di fortezze - a cura di Beatrice e Renato Magi – maggio 2006 – Tipografia 200 – Abbadia S.S. –già citato che dice: la terza parte dei fondi di detta Osteria delle stalle dei muli è ripiena di Concime per il Salnitro e …..). Nel tempo fu cambiato il tutto con la costruzione di stalle sul davanti, come sopra specificato.

Viaggiatori stranieri in terra di Siena – a cura di Attilio BRILLI – Stampato a cura del Monte dei Paschi di Siena da De Luca Editore, s.r.l., Roma – Nell’anno 1986.

Questo libro, che riporta le testimonianze dei viaggiatori stranieri in terra di Siena, è interessante per quanto riguarda tutto ciò che allora era considerato civile e quanto non lo era, anche se molte cose di cui si racconta vanno prese con le molle

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi specialmente quelle raccontate dalle viaggiatrici britanniche. Le parti scritte fra parentesi sono quelle riportate nel libro. Una cosa da tenere presente che nelle carte del XVIII secolo la Posta di Radicofani era messa come fosse un’altra località a sé stante! L’Albergo “Osteria Grossa” ovvero la Posta nel libro suddetto viene, a parte le citazioni piccole nella prima parte del libro, citata con criticità, che più sotto riporteremo, a partire dalla pagina 170 e segg. quando John Evelyn (1620-1706), scrittore inglese, si ferma alla Posta di Radicofani: ……finché non fummo saliti alla locanda di Radicofani costruita dal Granduca Ferdinando per il ristoro dei viaggiatori in un luogo così inospitale. ……………………………Questa è stata una delle più piacevoli, nuove e straordinariamente sorprendenti vedute che abbia mai scorto. Sulla sommità di questa orrida roccia (perché tale è) s’erge un poderoso fortino …………….. ……..Proprio di fronte alla locanda sgorgava una copiosissima ed utile fontana che riversa la propria acqua su un grande truogolo di pietra con lo stemma del duca di Toscana. A pag. 174 arriva a Radicofani Richard Lassels (1603? - 1668) sacerdote di religione cattolica che compì diversi viaggi in diversi paesi dell’Europa: ………………………… e quindi a Radicofino, possente castello su un alto colle, costruito da Desiderio re dei Longobardi. Questo è l’ultimo luogo dello stato fiorentino, ma non il meno importante per la forza. Dopo aver pranzato alla locanda del Granduca ai piedi della collina, ci recammo a prendere alloggio a Acquapendente….. Sempre nella stessa pagina racconta lo scrittore e viaggiatore francese François Maximilien Misson (1650? – 1722): ……ai piedi della montagna di Radicofani che dà il nome al borgo ed alla cittadella, avvolti dalle nubi per gran parte dell’anno e situati in cima alla vetta. Costretti a fermarci là a dormire da un violento temporale, ci è sembrato che per tutta la notte i tuoni brontolassero sotto i nostri piedi. Lasciata Radicofani alla volta di Siena, si incontrano soltanto montagne spoglie o quasi del tutto sterili. (Bisogna capire che durante i secoli precedenti tutte le terre vicine, soprattutto quelle dove c’era la strada che percorrevano i viaggiatori, e da quella partivano le altre strade, erano state disboscate fin dal medioevo. Già nello Statuto del 1441, si parla di una contesa fra Radicofani ed Abbadia S. Salvatore per una macchia situata a ridosso del Formone, quindi dopo tre secoli figuriamoci come doveva essere il paesaggio intorno!) A pag. 177 a Radicofani passa lo scrittore inglese Joseph Addison (1672 – 1719) che ci racconta, io non sono assolutamente d’accordo con tutto quello che scrive ma solo in parte: Il castello di frontiera di Radicofani s’erge sulla montagna più alta della contrada ed è ben fortificato, come consente la configurazione del luogo. Vi scoprimmo un ben diverso volto della natura, rispetto a quello che ci aveva intrattenuto nei domini papali. Infatti al posto delle molte e belle scene di verdi montagne (mi viene da pensare che questi personaggi non vedessero fino in fondo il paesaggio dato che, benché effettivamente intorno a Radicofani fosse tutto spoglio e pieno di rocce brulle, ciò era dovuto anche al fatto che le fortezze dovevano essere sgombre da qualsiasi cosa che avesse impedito la visualità, ma non credo che l’Amiata e il Cetona apparissero nudi!) e di fruttifere valli, che ci avevano accompagnato per diversi giorni, ora non c’era dato scorgere altro che la vista nuda e selvaggia di rocce brulle colline scavate da ogni parte da canaloni e rigagnoli, e non un albero, un cespuglio che ci venisse incontro nell’ampio giro d’orizzonte di miglia e miglia. Questo scenario mi riportò alla mente un proverbio secondo il quale, dell’Italia “Il Papa ha la ciccia e il Granduca le ossa”.

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In questa vasta estensione di montagne desolate, scorsi un unico appezzamento coltivato sul quale si levava un convento (questo pezzo mi fa venire in mente il convento di monache di cui si parla nello Statuto del 1441 alla rubrica 39 a pag. 132e che ho già citato) A pag. 183 e 184 parla Charles De Brosses (1709 – 1777) magistrato e scrittore francese che dice: … arrivammo a notte fonda a Radicofani, più sinistro di quanto fu mai Croupillac, nota a tutti i viaggiatori come il rifugio più detestabile d’Italia. Un attimo prima di noi era giunto là anche il principe di Sassonia, figlio primogenito del re di Polonia, la cui carrozza era tirata da cinquanta cavalli, particolare commovente per persone abituate a dieci cavalli. Ma la disgrazia più grande non fu sapere che aveva fatto fermare là, oltre i propri cavalli, anche tutti quelli delle poste successive che li avrebbero sostituiti; dovemmo sopportare che occupasse, per sé e per il suo seguito, tutti gli alloggi di quel misero buco, e peggio ancora, venimmo a sapere che aveva consumato tutti i viveri, senza risparmiare neppure una briciola di pane. Restammo dunque una mezz’ora in strada, senza andare né avanti né indietro, nel pietoso stato che vi immaginate. La nostra sorte non poteva essere più penosa; la fortuna ci riservava il punto più basso della sua ruota e, sapendo come vanno le cose umane, la nostra situazione non poteva che migliorare; così fu. Il primo astro che rischiarò ai nostri occhi quella tempesta fu un frate cappuccino che, commosso dalle nostre miserie, si offrì di distendere dei materassi nella sua cella per farci dormire. Venne poi un contadino, disposto ad accendere un fuoco nella sua cantina per farci asciugare. Ma tutti quei deboli palliativi non servivano a calmare la crisi del mio stomaco. Decisi perciò di entrare nella locanda in cui il principe stava cenando e di chiedergli se sarebbe stato così crudele da continuare a gozzovigliare mentre io stavo morendo di fame. In cima alle scale incontrai un lacchè, o meglio un angelo custode, a cui dissi di essere un povero gentiluomo della Savoia a digiuno da otto giorni. Se avesse potuto procurarmi gli avanzi dei piatti, gli avrei giurato eterna riconoscenza. E feci scivolare nella sua mano un mezzo-luigi. L’uomo partì come un fulmine; lo seguii con la coda dell’occhio fino alla tavola. Mai si era visto un lacchè tanto rapido nello sparecchiare i piatti e tanto servizievole nei confronti del capocameriere. Lo vidi tornare con una prima pietanza eccellente e pressoché intatta, quattro pani ed una grande bottiglia. Portammo tutto velocemente in cantina, dove il bravo lacchè fece addirittura sei viaggi recando ogni volta un nuovo piatto. Facemmo una cena davvero regale e, per colmo di fortuna, verso la fine ci avvertirono che i cuochi del principe si erano alzati per andare a preparare il pranzo dell’indomani. Se lo desideravamo, i loro letti erano ancora caldi. Non ce lo facemmo ripetere due volte; il cappuccino aveva fatto inutilmente i suoi preparativi e noi aspettammo tranquilli che i cavalli fossero in grado di condurci là. Alla pag. 187 troviamo il racconto di Thomas Gray (1716 – 1771) e del suo arrivo a Radicofani: ……..appare la campagna prima di giungere al monte di Radicofani, una terribile, nera collina a sommo della quale avremmo dovuto pernottare. È proprio una collina altissima e difficile a salire. Ai suoi piedi restammo assai imbarazzati dal vedere stramazzare uno dei poveri ronzini che ci trainavano. L’incidente costrinse un’altra carrozza che stava scendendo dal monte a fermarsi. Dallo sportello fece capolino una figura dal mantello rosso, con un fazzoletto avvolto attorno alla testa la quale, dalla voce e dal modo di gestire, sembrava una donna grassa. Ma quando uscì, si rivelò essere Senesino (Francesco Bernardi cosi chiamato era il celebre cantante lirico castrato - Siena 31/10/1686 Siena- 27/11/1758) che tornava da Napoli a Siena, città dov’era nato e dove risiedeva. Sulla parte più alta del monte c’è una vecchia fortezza e vicino ad essa un edificio costruito da uno dei granduchi con funzioni di casino da caccia, ma oggi mutata in locanda. Da fuori è un grande edificio, ma che interno, che stanze, che sistemazione! Al suo confronto la tua cantina è un palazzo! Inoltre, essendo la vigilia di qualche santo, da mangiare non c’erano che uova. Divorammo il magro pasto e, dopo aver tappato le finestre con le coperte che avevamo con noi, ci sdraiammo sulla paglia completamente vestiti. Son questi gli inconvenienti di una strada che viene considerata, per così dire, la più importante arteria del mondo intero. 162

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Alla pag. 190 parla il Sig. Alban Butler (1711 – 1773) sacerdote inglese il quale è autore di varie opere religiose: Da Siena a Roma, attraverso Radicofani, Acquapendente e Viterbo, ci sono tredici poste italiane ad una distanza di circa centodieci miglia di strada, parte buona e parte, specie al confine della Toscana, brutta e accidentata. Partimmo tardi da Siena, e passando da Lucignano, Buo-convento, San Quirico ecc. arrivammo a Scala, una misera casa che funge da posta ai piedi del monte di Radicofani. Walpole preferì sostare qui, senza alcuna effettiva sistemazione, piuttosto che arrischiarsi a risalire ad ora tarda questa tremenda, scabra rupe. Noi invece proseguimmo e giungemmo sani e salvi, e in breve tempo, a sommo di questo squallido monte la cui ascesa copre una posta di otto miglia. A Radicofani trovammo ambienti migliori di quelli di sotto e una sistemazione passabile, per una località così derelitta. Questa è l’ultima terra toscana e il granduca ha qui un castello per sorvegliare il passo. Vicino a Radicofani, su di un alto colle, si leva Chiusi, l’antico Elisium, capitale del re Porsenna, re degli Etruschi o Toscani; e più in alto c’è Montepulciano, moderna cittadina fortificata che sovrasta una dolce e fertile pianura; e al di là ……………… Continuando nella lettura a pag. 197 il Sig. Jean Pierre Grosley (1718 – 1785) uomo politico e studioso di leggi, storia e costumi ci informa: Radicofani, che è ora la prima posta in territorio toscano, appartenne per lungo tempo al papa. È una montagna immensa e maestosa con in cima una cittadella che, vista dal di sotto, sembra un paesino. Si dice che la cittadella sua stata costruita dai Longobardi ed è stata riattata, con spese ingenti, da Adriano IV. Anche i duchi di Toscana, oltre a migliorare i vecchi edifici, ne hanno aggiunti di nuovi. Ma intorno al 1740 gran parte delle costruzioni venne distrutta dal fuoco e non è stata ancora ricostruita del tutto. Verso mezzogiorno, Radicofani offre la vista del mare e degli stati dei Presidi; a settentrione dà verso l’antica Clusium e verso quella parte della Toscana che è più famosa nella storia romana. La fortezza di Radicofani fu teatro della curiosa avventura accaduta ad un abate di Cluny che da Roma si recava a Siena per rimettersi in salute. Essa costituisce materia della novella novantaduesima del Boccaccio che la narrò con tutta la naturale piacevolezza per cui è rinomato. A pag. 200 vi è il racconto di Tobias Smollett (1721 – 1771) scrittore scozzese, che ci racconta: Trascorremmo la notte in un posto detto Radicofani, un villaggio e un fortino posti a sommo di un’altissima montagna. La locanda si trova ancora più in basso del paese. Essa è stata costruita su finanziamento dell’ultimo granduca di Toscana; è una stamberga immensa, freddissima e quanto mai scomoda. Verrebbe da pensare che sia stata costruita a bella posta per essere gelida, se non fosse a questa altitudine, tanto è vero che anche nel cuore dell’estate i viaggiatori sarebbero ben felici di avere un bel fuoco nelle loro stanze. Ma ce ne sono ben poche o nessuna che hanno il camino, e non ci sono letti che abbiano il baldacchino o almeno la testata. La campagna tutto intorno è squallida e spoglia. La nostra lettura arriva fino a pag. 222 e qui ascoltiamo cosa dice Marquis De Sade che passa per Radicofani nel 1775 (Donatien-Alphonse-François De Sade 1740 – 1814) scrittore francese, esponente per antonomasia del più sfrenato erotismo a cui dedicò una decina di romanzi: Da San Chirico arrivammo per pranzare a Radicofani, estremo baluardo della Toscana. La strada continua sempre a salire, ma è comunque agevole e ben tenuta. Radicofani possiede una fortezza apparentemente imprendibile. Sembra confermarlo la stessa posizione. Si dice che si trovi sul punto più alto dell’Appennino. Il paese, vecchio e mal costruito, è situato sullo stesso sperone roccioso della fortezza, ma a mezz’altezza. Non è possibile giungervi in carrozza. La locanda, posta lungo la strada proprio di fronte al paese, è proprietà del granduca che vi abita quando si reca a visitare le frontiere. Il figlio ha portato a termine quello che il padre aveva cominciato, smantellando completamente la fortezza, al punto che si dice che non sia stato risparmiato neppure un fucile. Guardando però la situazione politica dell’Italia, sembra che essa potrebbe essergli un giorno di grande utilità. Ma basta con queste riflessioni che son proprie di un semplice osservatore. La cittadella della fortezza è stata 163

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi abbattuta facendo ricorso alla polvere da sparo. Contro di essa fece fuoco un ufficiale invidioso per non aver ottenuto il comando. Era provveditore o generale, fratello del cardinal Pietri, ed il tutto avvenne trentasette anni fa. (Non date retta a questo proposito all’abate Richard). Il comandante morì seppellito sotto le pietre che si vedono lungo la strada e che hanno tanto infastidito il signor Richard. Non sono altro che rovine, a testimonianza di quel terribile disastro. Andando avanti nella lettura di questo libro arriviamo a pag. 226 e 227 con lo scrittore inglese William Beckford di Fonthill (1759 – 1844) che passa da Radicofani nel 1780 e che racconta: …..Dopo essere stati sbatacchiati ben bene e scossi a non finire nelle peggiori strade che mai abbiamo avuto l’ardire di portare questo nome, ci ritrovammo sotto le scabre montagne vicino a Radicofani che saranno state le sette di una serata gelida e desolata. Prendemmo a salire faticosamente per un’erta rocciosa e scoscesa, e alla fine raggiungemmo la locanda che si trova in cima. Mi venne meno il cuore quando feci il mio ingresso in una serie di ambienti dagli alti soffitti anneriti che un tempo fungevano da casa di caccia del Granduca, mentre ora hanno un aspetto squallido e derelitto. Poiché s’era levato il vento, le porte presero a scuotere e le tavole che fungevano da imposte a sbattere; era come se la suprema Possa che dimora sul picco più alto di Radicofani stesse per far visita, come dicono gli esperti di mitologia del villaggio, ai suoi domìni. L’unico incantesimo a cui potevo ricorrere per tenerlo a distanza, era di accendere un gran fuoco i cui bagliori caritatevoli fossero in grado di sollevare lo spirito e di conferirgli più vivaci guizzi. Ciò malgrado, per alcuni minuti non smisi di guardarmi attorno, ora a destra, ora a sinistra, ora in alto alle oscure travi, ora in basso ai lunghi corridoi ove il piantito sconnesso in più punti e la terra rimossa da poco sembravano far supporre che là sotto fosse celato qualcosa di orribile. Una tetra congrega di gatti cominciò a gironzolare avanti e indietro in questi anditi desolati che mi immagino costituiscano, in certi periodi, una scena analoga a quella del sabba delle streghe. Ma non mi avventurai a esplorarli, anzi chiusi a chiave la porta, piazzai il letto proprio davanti al focolare riverberante pe’ carboni ardenti e mi introdussi fra le coperte senza però arrischiarmi a dormire per paura di essere ridestato da un improvviso barbaglio di torce ed essere assai più a fondo iniziato nei misteri del luogo. M’ero appena sistemato, allorché entrarono da un’apertura sotto la porta due o tre membri della suddetta accolta. Imposi loro di andarsene più in fretta di come erano entrati, temendo che in breve potessero mutarsi in maghi; ma quando venne la mezzanotte restai sorpreso di non udire null’altro che i loro miagolii abbastanza lamentosi ed echeggiati dalle cave pareti delle volte. Radicofani, 28 ottobre Comincio a disperare di poter vivere avventure magiche, dal momento che nulla si è verificato a Radicofani, un luogo che sembra essere abbandonato dalla natura. Non un albero, non un acro di terra ha essa voluto elargire ai suoi abitanti, i quali avrebbero avuto, più d’ogni altro, attenuanti per praticare quelle arti magiche. Ero assai felice di lasciare le loro nere colline e quella desolazione petrosa, e di entrare nei territori del Papa e scorgere da lontano qualche cespuglio………………. Come si può vedere sia De Sade che Beckford de Fonthill passano da Radicofani in ottobre e quindi è capibile il freddo che vi hanno trovato; ma passiamo alla pagina 251 dove troviamo il racconto di Samuel Rogers (1763 – 1855) poeta e letterato inglese che passa da Radicofani nel marzo 1814 e scrive: Mercoledì, 29 marzo. La montagna. Radicofani sulla sommità. Le allodole che cantano. Vista desolata da un lato e dall’altro. Proceduto con i muli; discesa graduale in un passaggio più morbido – incontrata una fila di soldati e successivamente il corriere del Granduca, tutti a domandare le ultime notizie. Continuando a sfogliare il libro arriviamo alla pag. 256 dove racconta il signor Joseph Woods (1776 – 1864), architetto inglese, durante la sua venuta in Italia nel 1817: …………….attraverso una campagna squallida, simile alla peggiore del giorno prima, fino a Radicofani. Il villaggio si leva su un poggio e la locanda di posta si trova ai piedi di una massa vulcanica di tufo che corona una alta collina di creta senese. Questo gruppo di monti è del tutto 164

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi separato dagli appennini e si leva come un’isola fra l’Arno, il Tevere e il mare. Una ripida discesa sulla medesima creta desolata, ci condusse a Torricelli ………………………… Seguitando a ricercare tutti coloro che sono passati da Radicofani a pag. 262 troviamo la descrizione che fa Marianna Starke (1762 – 1838), scrittrice inglese, nel 1818: Vicino alla montagna di Radicofani il terreno è vulcanico, mentre la campagna assume un aspetto selvaggio e desolato; la strada comunque è proprio buona. La salita è di cinque miglia e la discesa è uguale. Radicofani, che si leva a duemilaquattrocentottanta piedi d’altezza sul livello del mare, ostenta alla sommità cumuli enormi di pietre che si crede siano la bocca di un vulcano spento. La posta, che non è distante da questo luogo, ha una buona locanda. Il fortino che si trova vicino ad essa era un tempo ritenuto inespugnabile, anche se oggi sta cadendo in rovina. Qui si trova il confine della Toscana; e ai piedi della montagna, sulla via che porta a Torricelli, si traversa un torrente che talora, dopo le piogge, diventa pericoloso. Oltre Torricelli, si trova Ponte Centino…… Come si vede le notizie che ci danno i viaggiatori sono frammentarie e alcune fuorvianti o addirittura false soprattutto quelle dell’architetto. Continuando si trova il racconto che ne fa nel 1823 Lady Blessington (Margaret Power, contessa di Blessington, fu uno degli astri dell’aristocrazia londinese della prima metà dell’ottocento (1788 – 1849), a pag. 268 e 269: Radicofani, 3 luglio. Non c’è nulla di più triste e monotono della strada che conduce da Siena a questo posto, a meno che non sia Radicofani stessa, una località così sterile e cupa, quale mai viaggiatore fu condannato a contemplare. I segni della terra vulcanica, sparsi tutti attorno in massi enormi ed informi di roccia, lo scuro e arido succedersi di groppe fin nelle più remote lontananze, danno al luogo un’aria di desolazione che opprime l’animo di coloro che vi volgono lo sguardo. E la locanda si armonizza bene con questo scenario selvaggio, poiché è squallida al di là di ogni descrizione! Qui il clima stesso partecipa al grigiore della gelida influenza del paesaggio; ed io, avvolta in uno scialle indiano ed in una mantella di folta pelliccia, siedo senza alcun conforto in questa stamberga che nemmeno una catasta di legno potrebbe riscaldare, e aspetto e mi chiedo se possa essere davvero questa l’Italia. Solo ieri, crogiolandosi al sole, sentivamo caldo oppressivo e ora sperimentiamo il freddo di un inverno nordico. Quanto sarebbe arduo sopportare un così repentino cambiamento di clima per un malato spedito qui dall’Inghilterra – paese colmo di surrogati che creano una atmosfera piacevole – a cercare il beneficio di un clima mite. In queste circostanze, pochi potrebbero sfuggire all’influenza nociva di Radicofani. Nel corso del viaggio siamo passati da Buon Convento, un luogo tanto squallido, quanto il gesto che vi fu commesso e che ne ha tramandato il nome ai posteri. Mi riferisco all’avvelenamento dell’imperatore Arrigo VII a mezzo del sacramento amministratogli da un frate domenicano. Le riflessioni che un crimine così oscuro, messo in atto da un furfante della peggior specie, solleva sono rese ancor più tenebrose dalla vista e dall’aspetto sterile selvaggio dello scenario in cui fu consumato il fatto. Questo aspetto selvaggio pervade l’intero tratto di strada che mena da Buon Convento a Radicofani, un tratto che sembra esser stato fatto apposta per i briganti. Oggi cosa direbbe Lady Blessington di Radicofani inserito nel patrimonio mondiale dell’Unesco con tutta la Val d’Orcia? Certamente non è più come lo vide lei ed è meno spoglio di prima. Dopo la versione che ne dà la Lady Blessington, che mi sembra alquanto pessimistica, per non dire peggio, troviamo la lunga descrizione che ne fa il signor William Hazlitt (1778 – 1830) saggista e critico inglese nell’anno 1825, siamo alle pagg. 271 e 272: Con l’aiuto della tenebra circostante, avvolti come in un sudario dalle folate di bruma (tali erano mentre passavamo), gettano la mente indietro nel tempo in uno stato d’ipnosi, e dalle mura cadenti s’ode il grido del festino di mezzanotte, del delitto di mezzanotte. Il ponte romantico e il villaggio sotto di loro segnano l’inizio della salita di Radicofani. La vasta rovina che si trova sulla vetta ti si

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi presenta alla vista e scampare più volte nel corso della lunga, tortuosa, estenuante ascesa. Sopra una terribile vallata sulla sinistra, scorgemmo i lontani colli di Perugia coperti di neve (veramente quelli che William vede sono i lontani Appennini con il Gran Sasso e la Maiella!), scuriti dalla nuvolaglia, mentre la pioggia gelata cadeva attorno. Quando ci dissero che la locanda di posta si trovava dall’altra parte del forte (ad un’altezza di duemilaquattrocento piedi sul mare), e che avremmo dovuto trascorrerci la notte, avemmo un sobbalzo. Era come essere alloggiati in una nuvola: sembrava proprio la cuna delle bufere e delle tempeste. Nel momento di svoltare ai suoi piedi, fummo sollevati dall’oppressione. Si trattava di una fortezza costruita dalla più strenua violenza, e la si sarebbe potuta dire in grado di sfidare il mondo sottostante e di dare un sicuro ricetto a quanti si fossero trovati nei paraggi. Possenti cumuli di pietre rotonde, ruvide come se fossero state di ferro, capaci, a vederle, di fracassare i piedi che si fossero avventurati fra di loro, erano rotolate sullo spiazzo fra il colle e la strada. La torretta principale, o di mezzo, che si levava fra le altre due, costituiva al momento un riferimento prospettico grazie alla nebbia; sotto ad essa si trovava un brandello di cinta muraria, semi coperto dall’edera; accanto poi c’era il campanile di una vecchia cappella costruito con mattoni rossi e un villaggio minuscolo appollaiato fra i bastioni. Il suo aspetto imbronciato e la sua forza preternaturale mi fecero venire in mente il castello del Gigante Disperato nel Viaggio del pellegrino (Si tratta della celebre opera del puritano John Bunyan, The Pilgrim’s Progress (1684)). Si sarebbe potuta avere l’impressione che lo spirito oscuro e deciso d’altri tempi si fosse annidato in questo suo ultimo ricetto; si fosse affacciato e avesse irriso a botri e bufere, nonché ai gracili assalti di bande ostili: e appoggiandosi al rosso braccio destro si fosse lasciato andare in malora, per mera inazione e disuso, nella sua inavvicinabile solitudine e nella sua barbara desolazione. Non ho mai visto alcunché di così aspro e imponente, di così formidabile, in altri tempi, e di così negletto all’oggi. Era l’ombra maestosa di un possente passato sospesa in un’altra regione, appartenente ad un’altra epoca. Avrei potuto congedarmene con le parole del vecchio Burnet (G. Burnet, Some Letters (1686) relative al viaggio in Italia) il cui latino riverbera fra questi gelidi colli, Vale augusta sedes, digna rege; vale augusta rupes, semper mihi memoranda! Facemmo il nostro ingresso nel cortile della locanda che aveva tutto l’aspetto (come accade con la gran parte delle locande fuori mano) di una caserma, con le varie stanze simili a camerate d’ospedale e le enormi stamberghe concepite per raccogliere uomini d’armi, ora vuote, tetre, senza alcun mobile; ad ogni modo trovammo qui un benvenuto davvero ospitale, e con l’aggiunta di una doppia mancia ai camerieri tutto filò per il meglio. La prima cosa da fare era procurarsi del latte per il nostro tè (ne avevamo portato un tipo buono, comperato dal signor Pippini a Firenze) e quindi metterne da parte il necessario per il resto della giornata. Non ci dispiaceva trascorrere la notte a duemilaquattrocento piedi sul livello del mare e alla base della celebre fortezza. I venti “mugghiavano attraverso le vuote guardiole e le sale deserte” del nostro ostello, la neve scendeva a larghe falde e copriva le valli; ma Radicofani apparve immutabile, il mattino seguente, quando guardammo dai finestrini della carrozza, vecchia, bigia, tetra, abbandonata, come se fosse sopravvissuta a “mille bufere e mille inverni” – col solito contadino che arrancava su per i solchi e il solito viandante che sollevava lo sguardo per osservare i suoi bastioni – ma lassù non avrebbero più scintillato né lancia, né l’ascia, non si sarebbe più visto fluttuare al vento il vessillo, non si sarebbe più udito nel rotolare veloce e sempiterno degli anni il clamore della battaglia – essa guardava indietro ad altri tempi così come noi ci voltavamo a guardar lei, e troneggiava sulla sua decadenza ammiccando alla requie eterna! Qui come in altre parti d’Italia, la strada venne progettata, e di fatto costruita in origine per il transito degli eserciti. Invece di strisciare sul fondo valle, essa percorre i profili delle colline al fine di prevenire le imboscate o per tener d’occhio i movimenti del nemico, pertanto essa controlla un’estesa superficie di territorio. Fu molto prima che scendessimo, un tornante dopo l’altro, nella vallata, che perdemmo di vista l’ostello della nostra ultima notte. Subito dopo il racconto del signor Hazlitt, a pag. 275 e a pag. 277 e segg. ci narra la sua avventura a Radicofani il signor John Ruskin (1819 – 1900) critico d’arte, moralista e saggista inglese che vi passò nel 1840:

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25 Novembre. Radicofani. Ho dato uno sguardo curioso, dalla finestra del nostro brutto salottino a Siena, alle numerose case di mattoni, variate da finestre ad arco e da enormi pilastri e ad una torre ottagonale dal tetto piatto. (Ora, ditemi voi, questo saggista inglese ha il coraggio di parlare male di Siena!) In lontananza una pianura e gli Appennini. Situata su un’erta collina, Siena è visibile con perfetta chiarezza a dodici miglia di distanza. La campagna è un’unica estensione di fanghiglia chiara a strati sottili, in gran parte erosa e segnata dall’acqua, ridotta a singolari alture e crinali simili ad enormi ammassi di fango che rendono la strada un perpetuo Sali e scendi; davvero squallida, poco adatta alla coltivazione e ancor più desolata data la stagione………………………………………………………………….. La strada era troncata da una catena di montagne appena spruzzate di neve; il sole tramontava dietro le nuvole grigie che coprivano, grevi, i colli verso destra. Nel punto in cui penetravano le nubi, le montagne gettavano un’ombra di un azzurro cupo sulla superficie sottostante, mentre tutto il resto si tingeva di un cremisi fiammeggiante. La porzione di cielo più in basso era color ambra e ricopriva una catena di bei colli aguzzi con uno splendore ancora più duro e intenso, che catturava le torri di Radicofani di fronte a noi, sgradevoli costruzioni in mattoni rossi, ma tanto più calde, che si ergevano su di una massa di basalto e lava scagliata lungo il fianco della montagna. La locanda è malinconica all’apparenza ma assai confortevole, ed io sto scrivendo in una stanza dall’aspetto molto civile con un tappeto sontuoso e un camino di legno lustro, mentre il vento ulula nel corridoio esterno ed attraverso cinquanta serrature, in modo tanto furioso che mai ne ho udito l’uguale, né al Grimsel, né al Gran San Bernardo. Oggi la campagna è stata detestabile e del tutto deludente.

27 Novembre. Viterbo. Alba selvaggia su Radicofani; un vento terribile e nuvole scure e minacciose che frammentano la luce. Quando siamo partiti il freddo era intenso e il vento tagliente come una lama. La grande locanda, fronteggiata da una doppia fila d’archi, appariva tetra alla luce del mattino. Siamo discesi fino al piano per una collina tanto orribile come mai ricordo di aver percorso in una vettura decente, tutta sali e scendi…………………………… Alle pagg. 282 e 283 troviamo il racconto che ne fa Charles Dickens (1812 – 1870) narratore fra i maggiori di ogni tempo, il quale vi passa nel 1846: Quando lasciammo questo posto era una brutta mattinata e per dodici miglia procedemmo su una campagna sterile, petrosa e selvaggia come la Cornovaglia in Inghilterra, sinché giungemmo a Radicofani, dove c’è una locanda spettrale, fatta per i folletti; un tempo era stato un casino di caccia dei Granduchi di Toscana. È talmente un succedersi di anditi storti e di nude stamberghe, che quell’unica dimora può aver dato origine a tutti i racconti di fantasmi e di assassini che sono stati scritti. A Genova ci sono alcuni orrendi, vetusti palazzi, uno in particolare non dissimile da questo, almeno fuori; ma qui, in questa locanda di Radicofani, c’è un tal frusciar di vento, un cigolio continuo, un brulichio, un crepitio, un aprirsi di porte, uno scalpitio per le scale, quale non ho udito in alcun posto. La cittadina, così com’è, sovrasta la casa dal fianco della collina di fronte. Quelli del posto sono tutti mendicanti e non appena scorgono una carrozza che s’avvicina, gli calano attorno come uccelli da preda. Quando raggiungemmo il passo montano, che si trova oltre quel luogo, il vento (come ci avevano avvertito giù alla locanda) era così tremendo che fummo costretti a far sortire l’altra “metà” dalla carrozza, per evitare che ella fosse portata via dal vento, carrozza e tutto, e ad appenderci a quest’ultima, dalla parte investita dal vento (e nel migliore dei modi, risa permettendo) per non farla rotolare Dio sa dove. Quanto a vento, quella bufera di terra avrebbe potuto competere con una tempesta dell’Atlantico con ottima possibilità di riuscire vittoriosa. Il vento gelido scendeva spazzando enormi botri in una catena di monti sulla destra; così che guardammo con effettivo spavento ad un vasto acquitrino a manca e ci accorgemmo che non c’era il minimo cespuglio, non un arbusto a cui afferrarsi. Era come se, una volta sollevati dal vento, dovessimo essere trasportati al mare a nell’etere. C’era la neve e c’erano la grandine, la pioggia, i lampi e i tuoni; c’erano masse rotolanti di bruma che veleggiavano a velocità incredibili. Era buio, spaventoso, solitario al massimo

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi grado; c’erano montagne su montagne, velate da colleriche nubi; e c’era ovunque una tale foga piena d’ira, rapida, violenta, tumultuosa, da rendere la scena indicibilmente grandiosa ed eccitante. Malgrado ciò, fu un sollievo sortirne e attraversare la pur squallida frontiera pontificia. Come accennato sopra, in questo libro vi sono altri accenni a Radicofani nelle pagg. 39 – 93 – nelle note di pag. 112 – 117 – 118 – 119 – 124 – nelle note a pag. 142 – 160 – 162. Tutti gli altri personaggi che ho già descritto a proposito del libro del Carandini, pur se passati per Radicofani, in questo libro non vi sono le loro descrizioni in quanto c’è la sola descrizione della città di Siena, del resto come ci dice il titolo del libro. A questo punto bisogna descrivere sia l’importanza della Cassia che la ricostruzione della Fortezza dopo la pace di Cateau Cambrésis, ricordando però quanto descritto nel libro dello Sterpos del quale abbiamo già parlato.

I MEDICI E LO STATO SENESE 1555 – 1609 STORIA E TERRRITORIO

(A cura di Leonardo Rombai – De Luca Editore –Roma – 1980) Autori Vari La Fortezza di Radicofani 317 (A cura di Carmen Borsarelli)

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I motivi che spinsero Cosimo I al totale restauro della fortezza di Radicofani, duramente colpita negli anni della guerra di Siena, furono dettati particolarmente da un’esigenza di sicurezza, continuando ad essere quel luogo «sentinella avanzata del granducato di Toscana verso gli stati del Pontefice».318 La direzione dei lavori ed il disegno delle nuove mura furono affidati ad uno dei più valenti ingegneri militari del tempo, Baldassarre Lanci da Urbino, al servizio del duca fino dal 1559.319 A partire dal 1564 si hanno alcune sue lettere che informano il duca che il principe reggente Francesco dei lavori che egli dirigeva non solo alla fortezza di Radicofani, ma anche a Bagni San Filippo e al Ponte d’Arbia, lavori che, insieme ad altri eseguiti negli anni successivi, rispondevano ad un preciso disegno politico del principato, promossi, come erano, in funzione dello sviluppo della vita economica nello stato di Siena. L’assolutismo che Cosimo I ed i suoi figli instaurarono, seppure con le dovute precauzioni, nei territori a loro infeudati, finiva per soffocare ogni autentica autonomia locale e per creare appunto un accentramento di potere nelle mani del principe. Niente poteva esser fatto senza un suo rescritto personale; sia riguardo a lavori necessari in molte località dello stato senese sia riguardo all’elezione di capitani, vicari, podestà del dominio, per la quale ogni decisione finale spettava al sovrano, limitandosi il governatore a compilare una lista di uomini di sua fiducia.320 Così, quando il capitano di Radicofani doveva riferire sulle necessità della fortezza e, in seguito, sullo svolgimento dei lavori per essa comandati, ne informava il governatore di Siena che, a sua volta, non mancava mai di inviare al duca dettagliate relazioni in proposito.321 Spesso era lo stesso Lanci

317 N.B. Il nome Giovan Battista deve essere inteso come Giovanni Apostolo ed Evangelista .S. Giovanni Battista non ha avuto una chiesa con il suo nome.. 318 L.CARANDINI, La Posta di Radicofani, «L’Universo», XLIV, n. 1, 1964, pag. 159 e A.S.F., Mediceo, f. 503, c. 288, Angelo Niccolini al duca Cosimo, Siena, 26-1-1564. 319 Ibidem, f. 503, c. 288, lett. Cit. e Capitani di Parte, numeri neri, f. 708, c. 223, Francesco dei Medici a Cosimo I, Firenze 11-1-1560. In essa si parla della provvisione di quattro mesi, da pagare al Lanci, per i servizi da lui prestati. 320 A.S.F., Mediceo, f. 1872, c. 112, «Liste e relazioni dei cittadini senesi che hanno fatto richiesta a S. A. dei capitani di questo stato». 321 Nei primi anni dei lavori a Radicofani capitano di quella fortezza e banda era Mastio Bosci da Cortona, cfr. Ibidem, f. 216, c. 169 e 172 t., Cosimo I al suddetto capitano, Pisa, 29/30-12-1562. 168

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi che provvedeva a mettere al corrente di ogni cosa il sovrano, sia a voce sia per lettera. Il Lanci, rispettando le modifiche che si richiedevano nella struttura architettonica delle fortezze, in seguito all’introduzione dell’artiglieria, alle vecchie mura medievali che circondavano il maschio, addossava i nuovi baluardi che, adattati al terreno montuoso, presentavano un andamento spezzato con una rientranza a V, nel lato rivolto verso lo stato pontificio. La piazza di Radicofani era divisa in quattro parti: Castel Morro, la parte più vicina al paese, formata da tre cortine e quattro baluardi dei quali due, per un lato, si attaccavano alla fortezza; la Fortezza, detta anche fortezza nuova o fortezza di sopra, circondata da cinque baluardi irregolari e cinque cortine di diversa grandezza, il Maschio o fortezza vecchia, posto nel punto più alto della montagna e incorporato nella precedente; più basso il Borgo, le cui mura si congiungevano, da una parte con la fortezza e dall’altra con Castel Morro. Fin dall’agosto del 1563 il capitano riferiva ampiamente sulle condizioni disagevoli dei soldati per essere gli alloggiamenti quasi tutti in rovina, sul cattivo stato delle mura cadute in più parti, sulle porte facili ad aprirsi e sul maschio ormai completamente scoperto322. Così, data l’importanza di quel luogo come punto di difesa e di controllo della strada romana verso lo stato Pontificio, lo stesso duca, nel gennaio del 1564, deliberava di fortificare Radicofani.323 Nei mesi seguenti si assisteva a tutta una serie di preparativi in vista dei lavori che iniziarono nel luglio di quello stesso anno,324 per protrarsi fino al novembre del 1577.325 Il sistema usato per reperire la mano d’opera necessaria all’esecuzione di tali lavori era quello delle comandate, cioè l’obbligo da parte dei contadini di prestare servizio ogni volta che le autorità lo ordinavano. Tale sistema di lavoro coatto, di fronte alla molteplicità di fortificazioni e costruzioni di ogni genere eseguite durante il governo dei primi tre granduchi di Toscana, diventava una prassi comune al fine di assicurarsi la forza lavoro, sulla cui disponibilità gravavano anche le necessità militari. I contadini erano iscritti in un elenco, nel loro comune, compilato dagli stessi rettori del luogo; da esso, ogniqualvolta le necessità lo esigevano, erano ricavate liste di uomini atti al lavoro, il cui numero variava a seconda del bisogno richiesto dall’ingegnere326 che, a sua volta, non poteva ordinare la comandata senza un’apposita patente rilasciatagli da magistrato dei Capitani di Parte.327 Le prestazioni di tali servizi non erano gratuite ma, essendo il salario molto basso (circa otto soldi ), spesso gravosi i disagi da affrontare per la lontananza dei luoghi nei quali i contadini erano obbligati ad andare e gravose le conseguenze per essi se erano chiamati a prestare la loro opera nella stagione dei lavori agricoli, sottraendo braccia ed animali nel periodo in cui ce ne sarebbe stato più bisogno, è facile comprendere come molto spesso i contadini cercassero di sfuggire alle comandate.328 Tali disubbidienze impedivano il normale svolgersi dei lavori ed erano causa di lunghi ritardi.329 I Medici, d’altra parte, facevano gravare l’onere delle opere pubbliche, per quanto era possibile, sulle stesse comunità. Quando si decideva di costruire una fortezza toccava agli abitanti del luogo supplire alle spese, quasi che fosse esclusivamente a loro beneficio.330 A Radicofani erano trasferite dal Lanci,

322 Ibidem, f. 501, c. 75, Mastio Bosci a Cosimo I, Radicofani, 6-8-1563. 323 Ibidem, f. 503, c. 288; lett. cit. e f. 219, c. 259 t., Cosimo I ad Angelo Niccolini, Livorno, 18-1-1564. 324 Ibidem, f. 503, c. 510, Angelo Niccolini a Cosimo I, Siena, 6-2-1564 e f. 503°, c. 936, idem, 26-2-1564. Si era convenuta coi «fornaciari» la quantità di 1150 moggia di calcina, ritenute sufficienti, per ora, dal Lanci, « a tre carlini al moggio ». Cfr. anche f. 508, c. 400, B. Lanci a Cosimo I, Radicofani, 10-7-1564. 325 Ibidem, f. 704, c. 230, Simone Genga a Francesco I, Grosseto, 24-11-1577. 326 Ibidem, f. 519, c. 670, B. Lanci al principe Francesco, Firenze 12-3-1567. 327 Questa magistratura si occupava di controversie fra privati in fatto di confini o di acque, dei beni confiscati a ribelli e banditi e soprattutto di lavori pubblici. 328 Ibidem, f. 515°, c. 700, B. Lanci al principe Francesco, Siena, 10-5-1565 e f. 519, c. 670, lett. cit. Per Radicofani erano comandati uomini di Arezzo, Cortona e Montepulciano. Cfr, A.S.F., Capitani di Parte, numeri neri, f. 716, c. 65 Luca Fabbroni al principe Francesco, Firenze, 26-6-1564. 329 Spesso, soprattutto al tempo della mietitura, risulta assai numeroso l’impiego di mano d’opera femminile «che si» trova «di ogni tempo che venga a lavorare». Cfr. A.S.F., Mediceo, f. 522, c. 391, B. Lanci al principe Francesco, Siena, 7-8-1566 e f. 574, c. 311, M. Lanci al principe Francesco, Grosseto, 30-5-1572. 329 Durante i lavori del fosso attorno alla fortezza di Castel Morro, s’era proposto di pagare i picconieri col pane della comunità di Radicofani, essendo quest’ultima a godere della fortezza. Cfr. Ibidem, f. 229, c. 42, il principe Francesco a Federigo da Montauto, Firenze 2-11-1567 s f. 553, c. 178, Federigo da Montauto al principe Francesco, Siena, 10-1-1568. 169

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi alternativamente, le stesse maestranze che stavano ultimando la fortezza di Siena331 e fra gli operai erano distinguibili diverse categorie, ciascuna specializzata in un particolare lavoro: marraioli, guastatori, scarpellini, picconieri, spianatori.332 Per le difficoltà che si presentavano nella stagione invernale a causa del freddo e della neve e per i molteplici lavori condotti in altre parti dello «Stato nuovo» (Siena, Grosseto, Ponte d’Arbia, ecc.), si lavorava a Radicofani in genere d’estate e nei primi mesi d’autunno. Il reperimento dei materiali da costruzione (pietre, rena, legname) non costituiva gravi difficoltà. Infatti quel luogo è ricoperto di pietre basaltiche e non molto lontano scorre il fiume Paglia da cui potevano essere tratti la rena e i cottoli. Il legname, che rivestiva un’importanza fondamentale non solo per la costruzione di ogni edificio ma anche quale insostituibile fonte di calore per le fornaci, era reperito nella zona di Sarteano, «più comoda di tutte le altre».333 Morto il Lanci nel 1571 la direzione dei lavori alla fortezza di Radicofani fu affidata al figlio Marino, che già negli anni precedenti era stato collaboratore del padre, soprattutto per il restauro delle terme di San Filippo. Il compimento ultimo dei lavori, in seguito alla morte di Marino avvenuta il 6 novembre 1574,334 fu affidato ad un altro ingegnere marchigiano, anch’egli al diretto servizio del duca, Simone Genga che sovrintendeva allora alle fortezze di Terra del Sole, del Sasso di Simone e di San Martino al Mugello.335

I lavori alla fortezza di Castel Morro

Il Lanci, dopo aver dato ordine nell’inverno del 1564 che fossero preparati gli «ammanini»336 necessari per i lavori alla fortezza, vi si recava ai primi di luglio di quello stesso anno, dopo aver comandato gli uomini del capitanato di Arezzo, Cortona o Montepulciano.337 Secondo il suo progetto era prevista la fortificazione del Borgo e di Castel Morro, dando la precedenza a quest’ultimo, dietro ordine del duca che, per rendersi conto direttamente dell’entità dell’opera, si era recato con lo stesso Lanci sul posto.338 Nei registri del duca Cosimo raramente si fa riferimento a Radicofani. Il fatto che lo stesso Lanci e il governatore di Siena, Federigo da Montauto, si rivolgessero, per trattare qualsiasi affare relativo ai lavori da condursi a Radicofani al principe reggente, dimostra come Cosimo, anche se gradualmente, aveva lasciato libera iniziativa al figlio nello Stato senese.339 D’altra parte, sebbene ufficialmente ritiratosi dalla vita pubblica, Cosimo I non trascurava di ingerirsi negli affari che gli stavano maggiormente a cuore, restando sempre una delle più lucide e lungimiranti menti politiche del suo tempo. Durante il primo anno i lavori si protrassero per poco più di due mesi, dal luglio al settembre del 1564, e durante questo periodo, eseguiti gli scavi per le fondamenta, si cominciarono ad alzare le cortine.340 Per l’anno successivo non si hanno notizie riguardanti Castel Morro, ma solo di lavori compiuti alla torre dove si era soliti tenere le munizioni, la quale, essendo mal ridotta, minacciava di

331 Ibidem, f. 510, c. 175, B. Lanci al principe Francesco, Ponte d’Arbia, 16-9-1564 e f. 222 c. 105, il principe Francesco a B. Lanci, Poggio a Caiano, 21-9-1564. 332 I marraioli erano una specie di guastatori atti a scavare, come quest’ultimi, trincee o a spianare strade. Talvolta erano pure addetti a fare calcina; gli scarpellini lavoravano le pietre, i picconieri erano addetti a rompere i sassi ed a eseguire lavori in pietra; gli spianatori a dare la forma ai mattoni. 333 Ibidem, f. 503a, c. 936, lett. cit. In seguito si parla pure della bandita di Celle, come riserva di legname da utilizzare per i lavori alla fortezza. La suddetta bandita, di proprietà della comunità di Radicofani, doveva risultare naturalmente molto più comoda di quella di Sarteano. Cfr. Ibidem, f. 229, c. 42, lett. cit. 334 Ibidem, f. 1872, c. 165, F. da Montauto a B. Concino, Siena, 6-11-1574. 335 Ibidem, f.700, c. 277, Simone Genga a Francesco I, San Martino in Mugello, 14-7-1577. 336 Ibidem, f. 503a, c. 936, lett. cit. 337 A.S.F., Capitani di Parte, numeri neri, f. 716, c. 65, lett. cit. 338 A.S.F., Mediceo, f. 530, c. 481, B. Lanci al principe Francesco, Radicofani, 28-8-1567. Il duca era infatti a Radicofani nell’inverno del 1561 (Cfr. Ibidem, f. 214, c. 55 t., Cosimo I a Flaminio Nelli, Radicofani, 2-1-1561) e probabilmente il progetto di quella fortezza risale a quel periodo. 339 G. SPINI, Cosimo I de’ Medici, Firenze, 1940, p. 194. 340 A.S.F., Mediceo, f. 508, c.400, lett. cit. e f. 510, c. 175, lett. cit. 170

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi cadere e quindi di recare gravi danni alla rocca e agli alloggiamenti dei soldati.341 Questi lavori dovevano essere condotti parallelamente a quelli, iniziati l’anno precedente, di Castel Morro, dato che di questi ultimi si ha documentazione nei registri della dogana, riportanti le spese fatte nel 1565 per la «fabrica et muraglia di Radicofani».342 A partire dal maggio 1566 il Lanci informa il principe dell’ordine dato di fare calcine da utilizzare, non solo per la continuazione dei lavori a Radicofani, ma anche per quelli di San Filippo, per i quali aveva già avuto «commissione da Sua Eccellenza Ill.ma» l’anno precedente.343 A Castel Morro restava ancora da fare il mezzo baluardo vicino alla porta del castello, da completare lo scavo del fosso e le mura delle cortine che univano un baluardo all’altro. Per la continuazione di questi lavori il Lanci era costretto a servirsi di opere volontarie; infatti, in quell’anno, i Capitani di Parte gli avevano revocato la licenza per le comandate, per non volere troppo sacrificare le popolazioni «sul colmo delle faccende».344 D’altra parte il regime, approfittando della miseria della popolazione, finiva per sfruttare le opere volontarie più di quanto non lo fossero già gli uomini delle comandate.345 Dal luglio 1567 a tutto agosto dello stesso anno, si portava a termine il circuito di Castel Morro, al quale il Lanci aveva lavorato con l’aiuto del figlio Marino, fin dall’inverno suo collaboratore anche nei lavori alla fortezza di Siena. Tracciato il fossato nella parte occidentale ed in quella settentrionale del circuito, la cui lunghezza complessiva era rispettivamente di centoottanta e centocinquanta braccia restava ancora da scavare in profondità, dall’una e dall’altra parte, rispettivamente sette e quattro braccia di terra.346 Ma non trovando persone a cui dare in cottimo i lavori e, tra l’altro, non potendo fissarne il costo preciso, per la troppa varietà del terreno, se ne rimandava l’esecuzione assieme alla costruzione di una cisterna, della cui necessità il Lanci aveva già informato il principe.347 All’interno del circuito di Castel Morro vi abitavano quaranta uomini «da factione»,348 dei quali sette erano soldati della banda del luogo; in tutto vi erano trentotto case ed una di esse, distante dalla porta di Castel Morro un cento braccia circa, era stata scelta dal Lanci quale abitazione del capitano. In seguito, quando si decise di provvedere anche all’ingrandimento della «Fortezza di Sopra» ed al restauro del maschio,349 si preferì riservare al capitano una sistemazione nella torre maestra.

Fortezza Nuova e Borgo (1568-1577)

La fortificazione di Castel Morro, sebbene Radicofani fosse situato in un luogo per sua natura difficilmente accessibile, non poteva essere sufficiente a rendere la rocca nel suo complesso sicura. Per questo Federigo da Montauto, premettendo la sua capacità di giudizio in fatto di costruzioni militari, insisteva col principe, non solo sul pericolo a cui era soggetto Castel Morro se non si fosse provveduto al più presto a fortificare il Borgo, ma anche sulla necessità di rendere la fortezza, allargandola, molto più capace di soldati e di munizioni.350 Secondo quanto progettato si sarebbe

341 Ibidem, f. 513, c. 207 Lorenzo Albizi a Cosimo I, Siena, 15-1-1565 e f. 521a, c. 589, Lanci al principe Francesco, Siena, 14-5-1566. 342 A.S.S., Dogana, f. 1150, c. 11 e segg., c. 9 e segg. Le spese qui riportate riguardano i mesi di luglio, agosto e settembre. 343 A.S.F., Mediceo, f. 521a, c. 658, B. Lanci al principe Francesco, Siena, 18-5-1566. 344 Ibidem, f. 227, c. 114 t., il principe Francesco a B. Lanci, Firenze, 9-8-1566. 345 Ibidem, f. 572 c. 74, M. Lanci al principe Francesco, Grosseto,31-3-1572. Si sollecita da parte del principe l’impiego di opere volontarie e c. 215, ibidem, 26-3-1572, si rassicura il principe che i prezzi dei «manifattori» saranno limitati al massimo. Cfr. pure la c. 7, ibidem, Siena, 8-3-1572 e f. 239, c. 60, il principe Francesco a M. Lanci, Firenze, 8-4— 1572. 346 Ibidem, f. 530a, c. 548; diversamente nel 1746 il fosso girava intorno al circuito nella parte settentrionale ed orientale. Cfr. A.S.F., Fabbriche Granducati, f. 565, ins. XIV, «Ragionamento dei lavori, dell’artiglieria e fortificazione di Radicofani», 1746. Un braccio equivale a m. 0,583. 347 A.S.F., Mediceo, f. 530 c. 294, B. Lanci al principe Francesco, Radicofani, 18-8-1567. 348 Cioè uomini atti a combattere. Ibidem, f. 530a, c 548, lett. cit. 349 Si spendevano per esso venti scudi. Cfr. Ibidem, f. 538, c. 337, Mastio Bosci al principe Francesco, Radicofani, 27-8- 1568. 350 Il Lanci prevedeva, per i lavori alla fortezza Nuova una spesa di scudi 1.500. Cfr. Ibidem, f. 532 c. 425, F. da Montauto al principe Francesco, Siena, 31-10-1567. 171

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi dovuto provvedere alla fortificazione del Borgo contemporaneamente a quella della fortezza Nuova. Ad essa si accedeva tramite una porta situata nella parte superiore di Castel Morro, lungo la cortina settentrionale della suddetta fortezza. Quest’ultima era circondata da cinque baluardi irregolari con cinque cortine di diversa grandezza: ai due bastioni che guardavano verso lo stato Pontificio venivano eliminati i fianchi e la cortina che li univa, ricavandone una fronte tanagliata. Altre due cortine venivano ridotte di lunghezza ed il grosso baluardo posto fra esse veniva diviso in due da una tanaglia. Il Warren riporta i nome di cinque baluardi della fortezza di Radicofani che girano intorno ad essa verso est erano: il bastione di Santa Maria, di San Giovanni Battista (detto della Chiocciola), il bastione di San Pietro (detto del Casino di mezzo), il bastione di San Rocco (detto del Torchio), il bastione di Sant’Andrea (detto Capannaccia).351 A ponente della fortezza vi era un’opera a corno detta Girone alla quale si accedeva tramite una porta situata, sempre sulla stessa linea, dalla parte opposta alla porta della fortezza.352 Da quest’ultima, invece, si accedeva al Girone solo attraverso una galleria sotterranea (contramina) che da «sotto il magazzino a polvere», (probabilmente situato nel bastione di San Giovanni Battista o nel vicino di San Pietro353 «va ad una porta segreta che riesce fuori dell’opera suddetta»354. Durante il primo anno (1568) i lavori, iniziati più tardi del solito (24-8) e protrattisi fino al 20 settembre, resi difficili dalla cattiva stagione, continuavano ad esser diretti dal Lanci, il quale poi, a partire dal luglio dell’anno successivo, impegnato alla fortezza di San Martino al Mugello, ne lasciava la direzione al figlio Marino.355 Iniziati dal padre i due baluardi di San Giovanni Battista e di Santa Maria e la cortina che li congiungeva, l’anno seguente Marino Lanci faceva, agli uni e all’altra, il cordone dopo averli ulteriormente alzati. Alla fine di settembre (24-9-1569) erano gettate le fondamenta della parte sud della fortezza e alzate le mura fino a sei, otto braccia circa. Solo nella parete settentrionale, verso Castel Morro uno «scoglio» impediva di scavare le fondamenta di quella cortina che avrebbe dovuto unire il baluardo di Santa Maria al mezzo baluardo di Sant’Andrea. Infatti, pur lavorando in questo anno con un gran numero di opere, fra volontari e comandati (quattrocento marraioli, cinquanta muratori e venticinque scalpellini), non si aveva a disposizione i picconieri necessari per rimuovere l’ostacolo incontrato.356 Nell’ottobre del 1570 le mura della fortezza, eccetto nel lato rivolto a settentrione, erano già all’altezza del parapetto; quest’ultimo era stato fatto ai baluardi di Santa Maria e di San Giovanni Battista e alla cortina tra essi compresa (a quel lato cioè che guardava verso Siena ed il Monte Amiata): In quell’anno si lavorava pure alle sei cannoniere.357 Di esse, per quello che si può vedere dalla pianta del De Marchi, solo una era casamattata; le altre, semplicemente, con la piazzola di sparo a cielo aperto. Attualmente risulta visibile, seppure molto rovinato, il bastione casamattato di Santa Maria. Inoltre, in corrispondenza del baluardo di San Giovanni Battista, vi è tuttora una contramina, in direzione, sembra, del baluardo di San Pietro e l’apertura (attualmente murata) di un’altra contramina, in direzione della fortezza vecchia. Nel loro punto di incontro (proprio all’interno del baluardo di San Giovanni Battista) vi è un arco a botte. Ora, poiché le cannoniere (qui del tipo con la piazzola di sparo a cielo aperto) erano spesso completate da un sistema di fuciliere, poste sotto le cannoniere, si può ritenere quell’arco a botte corrispondere ad

351 Cfr. A.S.F., Segreteria di Gabinetto, f. 695, «Raccolta di piante delle principali città e fortezze del granducato di Toscana… » (fondo Warren), 1749 e Fabbriche Granducali, f. 565, ins, XIV, cit. 352 Di questa porta non fa cenno il Warren, ma se ne ha notizia nella f. 565 del fondo Fabbriche Granducali, ins, XIV, cit. 353 Questi due bastioni erano, infatti, comunicanti, per mezzo della stessa contramina che conduceva al Girone. Attualmente sono ancora visibili le tracce di tale galleria. 354 Ibidem, f. 565 ins. XIV, cit. 355 Si ha infatti, una lettera del Lanci del 15-7-1569 dalla fortezza di San Martino al Mugello, Cfr. A.S.F., Mediceo, f. 542a, c. 744. 356 Ibidem, f. 543, c. 260, M. Lanci al principe Francesco, Radicofani, 16-8-1569. 357 Ibidem, f. 554 c. 84, M. Lanci al principe Francesco, Siena, 10-10-1570. Il numero delle cannoniere si può rilevare dalla pianta del Warren, mentre da quella del De Marchi appare più chiara la loro struttura. DE MARCHI, Piante di fortezze italiane e straniere, ms. sec. XVI della B.N.C.F., Magl. II, I, 281. 172

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi una delle fuciliere della fortezza, a sua volta comunicante, da un lato, con la fortezza vecchia, dall’altro, probabilmente, con un’altra fuciliera incorporata nel bastione contiguo di San Pietro. L’anno successivo (1571) si portava a compimento il Girone, finito il quale si iniziavano gli alloggiamenti per i soldati, le cisterne e le porte.358 Il Girone a ponente della fortezza, in buona parte difeso da enormi pietre basaltiche a picco verso il Borgo e sul versante ovest che guarda il Monte Amiata, non doveva sembrare abbastanza sicuro se, data la sua importanza quale magazzino per le vettovaglie, si riteneva opportuno alzare ulteriormente le sue mura.359 Nel 1572 i lavori, iniziati nella metà di aprile360 e condotti con l’impiego di opere volontarie e di numerosa mano d’opera femminile,361 dovevano interrompersi quasi del tutto durante il periodo della mietitura a causa della scarsità di lavoranti.362 Sempre in questo anno era iniziata la fortificazione del Borgo: si gettavano le fondamenta di uno dei due baluardi (che avrebbero dovuto essere parte integrante di essa) e se ne alzavano le mura fino a dieci braccia dal piano del fosso;363 parallelamente era portata avanti la costruzione della cisterna all’interno del circuito della fortezza Nuova.364 Nel 1573, nonostante la «munizione» di calcina, fatta fin dal mese di aprile di quell’anno, non si lavorava a Radicofani. La ragione di ciò si può, sì, attribuire alla mancanza di mano d’opera e agli scarsi raccolti di quell’anno ma anche, e soprattutto, alla trascuratezza del governo al quale lo stesso Federigo rimproverava l’intenzione manifestata di voler fortificare Sovana, quando a mala pena si riusciva a completare i lavori iniziati lì da anni.365 Ugualmente è probabile che si avesse una sospensione dei lavori anche nel 1574; di questo anno, infatti, si ha una sola lettera di Marino Lanci riguardo alle necessità della fortezza senza alcun cenno a lavori effettivamente eseguiti.366 Tali necessità si riferiscono non solo al completamento della fortificazione del Borgo, iniziata qualche anno addietro, ma pure al restauro del Maschio, al quale non erano mai stati compiuti radicali restauri. Fin dal 1569, infatti, notate le carenze che esso presentava, si erano proposte alcune riparazioni e solo nel 1572 si dava inizio ai restauri, senza però condurli a termine.367 Il Maschio, costituito da una torre quadrata, era circondato tutt’intorno da mura, le quali, nel lato rivolto verso lo stato Pontificio, si congiungevano, tramite una torretta, alle mura della fortezza Nuova. Due corridoi, che «ad uso di stella si vengono a far fianco l’uno all’altro»368 nella torretta, erano di grande importanza perché al loro capo (da una parte verso il bastione di Sant’Andrea, dall’altra verso quello di San Rocco) due torri permettevano ai soldati di avere sotto tiro tutta la vallata sottostante. Questa è l’ultima notizia riferita da Marino Lanci che, morendo a Siena nel novembre del 1574, lasciava un modello a gesso di Radicofani ad altri di alcune fortezze di sua competenza.369

358 Ibidem, Mediceo, f. 563 c. 284, M. Lanci al principe Francesco, Montalcino, 10-7-1571. 359 Queste, nel punto più alto, misuravano otto braccia e si volevano alzare ancora fino a undici, dodici braccia. Cfr. Ibidem, f. 2134, c. 107. Tali lavori si eseguivano con ogni probabilità nel 1581. Cfr. f. 1875, c. 207, F. da Montauto a Francesco I, Siena, 7-4-1581. All’interno del Girone vi doveva essere pure una cisterna, dato che nel memoriale citato si propone di farne una seconda. 360 Ibidem, f. 572, c. 74, lett. cit. 361 Ibidem, f. 574, c. 211, M. Lanci al principe Francesco, Grosseto, 30-5-1572. 362 Ibidem, f. 577, c. 70, M. Lanci al principe Francesco, Siena, 6-7-1572. 363 Ibidem, f. 578, c. 94, M. Lanci al principe Francesco, Radicofani, 18-8-1572 e f. 2134, c. 391, M. Lanci a Francesco I, Siena 14-7-1574. 364 Ibidem, f. 579, c. 7, F. da Montauto a B. Concino, Siena. 365 Ibidem, f. 596, c. 54, F. da Montauto a B. Concino, Siena, 20-1-1574. 366 Ibidem, f. 2134, c. 393 e c. 107. 367 Ibidem, f. 2134, c. 363 t., Lorenzo Albizi a B. Concino, Siena, 30-6-1569 e c. 391 lett. cit. 368 Ibidem, f. 2134, c. 391, lett. cit. Diversamente da quanto proponeva il Lanci, si sarebbe voluto eliminare quei due corridoi ed unire con una cortina unica il baluardo di Sant’Andrea a quello di San Rocco, di modo che « la fortezza vecchia rimarrebbe spicata e più sicura ». Cfr. c. 107, lett. cit. 369 Ibidem, f. 667, c. 55, Andrea Bonciani, capitano a Francesco I, Grosseto, 10-11-1574. Per la morte del Lanci, anche se si è voluto sospettare un avvelenamento da parte di un servo (f. 666, c. 125, Alberto Albertani, depositario, a B. Concino, Siena, 31-10-1574) causa furono sicuramente le febbri malariche contratte in Grosseto e dalle quali era stato colpito fin dal 1572 (cfr. f. 579, c. 7, lett. cit.). 173

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Nel 1575, dopo due anni di interruzione, i lavori riprendevano sotto la direzione del Genga, le cui presenze a Radicofani, molto rare, dovevano avere pure un carattere sbrigativo e si riducevano nel fissare i lavori necessari e nel dare ordini relativamente ad essi.370 Per quell’anno, come per il successivo, non si hanno documenti precisi sul proseguimento delle attività; sappiamo solo che nel 1576 si era finalmente eliminato quell’ostacolo che sul lato settentrionale della fortezza aveva impedito il completamento delle mura.371 È probabile che in questi anni (1575-76) fossero condotti lavori al Maschio, della cui necessità Marino Lanci aveva già parlato con il granduca fin dal luglio 1574, ed anche portati avanti i lavori alla cisterna della fortezza nuova e alle mura che dovevano congiungere lateralmente Castel Morro a quest’ultima e al Girone.372 Gli alloggiamenti dei soldati, la cisterna della fortezza, alla quale si lavorava fin dal 1572, le casematte le strade e i parapetti, già iniziati dal Lanci, venivano portati a termine nel 1577.373 L’anno successivo si riforniva la fortezza di vettovaglie e munizioni e si finivano di pagare quei «cottimatori» che avevano cavato alcuni massi sparsi qua e là per la fortificazione.374 Il costo complessivo, da quando il Genga ne aveva cura, ammontava a tremilatrecento scudi375 ma ne sarebbero occorsi ancora perché nel 1578 (ad un solo anno dalla chiusura dei lavori) Federigo da Montauto, durante una sua visita a Radicofani, notava molte carenze nella fortezza: il bastione di San Rocco minacciava rovina, la fortificazione del Borgo non era stata completata e le mura del Girone occorreva che fossero ulteriormente alzate.376 Tuttavia, a parte qualche sporadico intervento, Francesco I, una volta chiusi i lavori a Radicofani, poco si interessò del mantenimento di quella fortificazione, la quale, del resto, continuò ad essere trascurata anche dal suo successore Ferdinando I, perché ormai Radicofani, grazie alla strada romana, diveniva esclusivamente un centro commerciale.377

Radicofani: centro commerciale Sulla via Cassia e la sua Posta

Durante gli ultimi anni del principato di Francesco I, Radicofani veniva ad assumere sempre crescente fortuna come ziona di traffico commerciale, perdendo nel contempo ogni importanza militare. Situata lungo la via Cassia a metà strada tra Firenze e Roma vedeva sempre di più dipendere la sua fortuna dalle cure prestate dai Medici alla strada romana. Comunque è bene a questo punto ricordare che, se oggi per la via Cassia si intende quella che da Roma, per Viterbo, Montefiascone, Acquapendente, Buonconvento e Siena, porta a Firenze, nelle varie epoche, a partire da quella etrusca, essa subì molteplici cambiamenti.378 Prima che i Senesi conquistassero Radicofani (1411), il tracciato della strada romana, seguendo il corso del Paglia, passava ad occidente di quel monte, risaliva il Formone e, valicando l’Orcia presso Spedaletto, arrivava a Bagni Vignone e a S. Quirico.379 (Anche questa affermazione non è del tutto vera perché gli studi attuali hanno rivelato diversi tracciati della “Via Francigena”, come

370 Ibidem, f. 677, c. 446, Simone Genga a Francesco I, Sasso di Simone, 10-9-1575. 371 Ibidem, f. 700, c. 277, lett. Cit. 372 Ibidem, f. 2134 c. 391 e c. 107, lett. cit. 373 Ibidem, f. 529, c. 7 e f. 704, c. 230, lett. cit. 374 Ibidem, f. 704, c. 230 e c. 714, c. 270, lett. cit. 375 Ibidem, f. 2134, c. 462, «Ragguaglio sulle varie fortezze dello stato di competenza del Genga», senza data ma attribuibile al 1578. 376 Ibidem, f. 1873a, c. 118t., F. da Montauto a Francesco I, Monte Oliveto, 20-9-1578 e f. 1874 c. 83. 377 Ibidem, f. 2010, c. 529, Il Vescovo di Pistoia a Francesco I, Siena, 29-11-1582. Nel 1584 Alessandro Guidotti, capitano di Radicofani scriveva al granduca delle necessità della fortezza (f. 770, c. 690, Radicofani, 12-12-1584). Nelle filze successive, fino alla morte di Francesco I (1587), non si hanno notizie di particolari lavori eseguiti alla fortezza di Radicofani. Nel 1592 le sue mura erano «vecchie e sottili». Cfr. Ibidem, f. 2015, c. 52 t., «Visite allo stato di Siena; Ristretto delle entrate e spese pubbliche dello stato di Siena a seguito della visita di Francesco Rasi, 1592». 378 A questo proposito si ha una storia abbastanza particolareggiata e documentata da una laboriosa ricerca d’archivio in D. STERPOS, Comunicazioni stradali attraverso i tempi: Firenze – Roma, Novara, 1964 (vedi in questo libro). 379 A questo proposito cfr. il tracciato della strada riportato da G. FATINI, Un tratto della via Francesca e la Badia di San Salvatore nell’Amiata, «Bullettino senese di storia patria», Siena, 1922, n. 3, p. 345. 174

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi si vede dagli articoli inseriti in questo libro. Leggere soprattutto l’articolo di C. Wickham da pag. 34 a pag. 47 di questo libro). La fortuna di questo itinerario nel tratto tra la val di Paglia e l’Orcia fu legata per molti secoli a quella della florida abbazia di San Salvatore. (Anche questa affermazione non è del tutto vera, i motivi della fortuna di questo itinerario è dovuta ad una miriade di fattori, non ultimo la fortezza di Radicofani). Col declino di quest’ultima la strada fra l’Orcia e il Paglia divenne malsicura, cosicché i Senesi, quando conquistarono Radicofani, decisero di abbandonare il tratto della strada romana che da Ponte al Rigo portava a Ricorsi sostituendolo con uno nuovo che, benché più lungo, aveva però il vantaggio di passare per Radicofani. In seguito, anche se non si può precisare quando, la strada continuò a seguire l’antico tracciato, fino al 1581. Di questo anno, infatti, si ha una lettera dell’abate di Abbadia San Salvatore, don Pietro, indirizzata al cardinale dei Medici, riguardo non solo al danno che si recava a quella comunità col voltare nuovamente la strada verso il monte di Radicofani, ma pure riguardo alle difficoltà che i viandanti avrebbero dovuto affrontare sulle «dieci miglia di salita» per arrivare fin lassù.380 (Come si vede anche in questa richiesta non vi è tutta la verità perché, altrimenti, non si spiegano né i quattro ospedali che esistevano a Radicofani né gli articoli che nello Statuto del 1255 riguardavano le norme di come si dovevano trattare i pellegrini ed i visitatori in genere né di come mai nel seicento, quindi venti anni dopo la lettera Ferdinando I fece costruire l’Osteria Grossa, o Posta, a Radicofani al posto della residenza di caccia dei Medici.) Comunque, nonostante i motivi a svantaggio di questo tracciato addotti dai monaci di Abbadia, la strada tornava a passare sotto il borgo di Radicofani e per questo si rendeva necessaria la costruzione di un’osteria per il ricovero dei cavalli e dei viandanti.381 Nello stesso anno in cui era ripreso l’antico tracciato per Radicofani, Montaigne, partendo da Firenze, percorreva tutta la strada romana lasciandoci una relazione del viaggio capace di darci un quadro abbastanza chiaro delle varie tappe toccate lungo il percorso e delle condizioni di esso. Nei pressi di San Quirico non mancava di notare l’ottimo stato della via percorsa: «Tutte queste strade sono state assettate per ordine del duca di Toscana: la quale opera è molto bella, e profittevole al servizio del pubblico. Dio glielo rimeriti perché le vie difficilissime sono per questo mezzo speditevoli e commode come vie d’una città». E la cura delle strade era compensata dall’afflusso del traffico: «era cosa stupenda – scrive ancora Montaigne riferendosi a quel tronco – di sentire il numero infinito di gente che andava a Roma».382 Il tratto da San Quirico a Radicofani ed oltre non doveva aver fatto molta impressione al Montaigne che ne notava appena le asperità della strada, montuosa e sassosa, la quale d’altra parte, deviata verso Radicofani, non doveva essere ancora nell’ottimo stato dell’itinerario precedente.383 Già Cosimo aveva prestato le dovute cure alla strada romana; di esse ne è prova il fitto carteggio tra il duca ed il Lanci relativamente ai lavori al ponte d’Arbia. Ma soprattutto con Francesco e Ferdinando veniva prestata un’attenzione particolare al tratto di strada compreso tra il ponte Centeno e Radicofani. L’osteria, che appariva indispensabile costruire sul nuovo tratto della strada romana presso Radicofani, nonostante le frequenti lettere a questo riguardo, durante il principato di Francesco non era stata neppure iniziata.384 Intorno al 1583 esisteva, comunque, una pianta di quella che doveva

380 A.S.F., Mediceo, f. 748, c. 249, l’abbate don Pietro al cardinale dei Medici, Monastero di Abbadia San Salvatore, 17- 6-1581 e f. 746, c. 32, Paolo del Bufalo a Francesco I, Roma, 4-4-1581. Tale percorso, oggi ancora abbastanza praticabile, da Ponte a Rigo sale, fiancheggiando per un tratto il torrente omonimo, fino alla Novella e Baccanello; da questo punto, abbandonato il corso del torrente suddetto, piega verso nord-ovest, fino ad arrivare a Radicofani. 381 Ibidem, f. 1875, c. 160, F. da Montauto a Francesco I, Siena, 16-1-1581. 382 A. D’ANCONA, L’Italia alla fine del secolo XVI, Giornale del viaggio di Michele Montaigne in Italia, 1580-1581, Città di Castello, 1895, p. 534. 383 Il Montaigne ricordava nel tratto sotto Radicofani un piccolo villaggio, il Paglia, di cinque o sei case ai piedi di montagne sterili. Cfr. A. D’ANCONA. Op. cit. p. 188. 384 Fin dal 1578, in occasione dell’inizio dei lavori al ponte del Paglia, presso Acquapendente, ad opera di Gregorio XIII, si proponeva di «voltare …..la Strada Romana da Radicofani, dove già passava e se ne vedono li vestigli delle selcie, che faria bisogno di rassettare. Et ancora ….. da quella comunità si scomodassino nella terra terra o fora …. Delle osterie 175

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi essere la «osteria grossa» o la Posta, edificata dal Buontalenti e dallo stesso Genga385 e per la quale era stato scelto il luogo, ritenuto più opportuno, dove edificarla.386 Addirittura si parla, nei primi mesi del 1584, di materiali già preparati per l’inizio dei lavori, senza poi, in seguito trovarne più notizia. Comunque in quegli anni doveva già esistere una fontana nel tratto di strada sotto il borgo di Radicofani, dato che ad essa si accenna in una lettera dei Deputati di Balia e Provveditori sopra le strade della città di Siena, a proposito di uno stemma mediceo fatto fare dagli stessi per essere posto a Centeno. In seguito però, nel timore di suscitare discordie, essendo quel luogo a confine con lo stato Pontificio e non avendo a disposizione nessuna scrittura che determinasse una linea precisa di confine (tranne una pubblica voce che la faceva coincidere con lo stesso fiume), si proponeva di «stabilirlo sopra la fontana della nuova strada di Radicofani», senza però che questa deliberazione trovasse consenso presso il granduca.387 Quello stemma, con al centro l’arma dei Medici ed a lato due figure che l’abbracciavano, raffiguranti la Giustizia e l’Abbondanza, era lasciato per il momento inutilizzato con la tavola per l’iscrizione, ancora in bianco, nell’attesa di una delibera da parte della casa granducale. Corrispondendo la descrizione in tutto e per tutto all’attuale stemma che è collocato sulla fontana di fronte alla posta di Radicofani, è da ritenere che quello, eseguito nel luglio del 1583, fosse utilizzato solo molti anni dopo (1603) allorché Ferdinando I deliberò di porlo sulla fontana, da lui fatta costruire in quel tratto di strada.388 È probabile che i lavori alla posta di Radicofani, a parte problemi di ordine tecnico che potevano essere sorti, subissero una sosta a causa del riacutizzarsi del brigantaggio, di cui sono testimonianza le lettere scritte al granduca dal 1584 fino alla sua morte. Anche in precedenza questo si era dimostrato una grave piaga in tutto lo stato senese. Risale non a caso agli inizi del governo di Ferdinando (10 giugno 1588) l’istituzione di un nuovo capitanato ad Arcidosso con giurisdizione criminale e civile, nei paesi di Castel del Piano, Montelaterone, Seggiano, Monticello e Potentino,389 necessario per arginare il più possibile il moltiplicarsi impressionante dei delitti e per amministrare la giustizia in maniera più diretta.

Cenni sulle comunità del contado Senese dopo la conquista medicea. (A cura di Lucia Bonelli Conenna)

Pag. 225 (nota a pag. 230)

Nota n. 24. Per ogni località citata abbiamo fornito, ove reperibili, i dati demografici relativi all’anno 1640, la variazione % della consistenza della popolazione tra il 1595 e il 1640, l’ammontare dell’entrata relativa alle Comunità, quella dei Luoghi Pii (Pievi, Cappelle, Ospedali e simili), della Religioni (Conventi etc.), le botteghe esistenti, il numero delle famiglie con oltre 100 scudi d’entrata, e la diocesi di appartenenza. Tali dati sono stati elaborati dalle notizie contenute in A.S.S., Ms. D. 91, e Quattro Conservatori, 1759; BIBLIOTECA COMUNALE DI SIENA, Ms. A.IV.4; ARCHIVIO SI STATO DI FIRENZE, Mediceo, 2064 e Strozziane, I,

capaci, con che verria augumentare tanto più l’entrate sue a servitio di V. A.» cfr. A.S.F., Mediceo, f. 1874, c. 76, F. da Montauto a Francesco I, Siena, 20-10-1578. 385 Ibidem, f. 261, c. 44 t., Francesco I a Girolamo Seriacopi, provveditore della fortezza di Siena, 22-7-1583. 386 Ibidem, f. 766, c. 237, Girolamo Seriacopi a Francesco I. Siena, 7-3-1584 e f. 261, c. 187 t., Francesco I al Seriacopi, 12-3-1584. 387 Ibidem, f. 762, c. 111, Deputati di Balia e Provveditori sopra le strade della città di Siena a Francesco I, Siena, 22-7- 1583 e f. 261, c. 42 t., Francesco I a F. da Montauto, 26-7-1583. 388 Oltre allo stemma dei Medici, in questa fontana vi è pure quello di Siena e quello di Radicofani. Cfr. A. MARIOTTI, Le armi dei municipi toscani, Firenze, 1864, p. 237. La tavoletta sotto lo stemma mediceo reca la scritta: «Ferdinandus Medices Mag. Dux Hetruriœ III Viatorũ Comoditatĩ A. S. CIOIOCIII» (1603) 389 G. A. PECCI, Memorie storiche delle città, terra e castella dello stato di Siena, sec. XVIII, tomo V, c. 411. Prima dell’istituzione del nuovo capitanato, in questa zona ne esistevano solo due quello di Radicofani e di Sovana. 176

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24. Oltre alle tabelle relative ai proventi delle Comunità, tra XVI e XVII secolo, e alle cartografie a queste relative ……………………………….

Conforme a questa nota presentiamo la nostra località nell’anno 1603:

Radicofani. Capitanato, vi risiedono il capitano di giustizia, il giudice, il notaio, un caporale e 2 famigli «con cavalcatura». 1705 abitanti (-24, 62). Entrata della Comunità scudi 1307; Entrata dei Luoghi Pii scudi 325; Entrata delle Religioni scudi 303. 3 calzolerie, 1 concia, 3 fabbriche, 2 botteghe di panni e merci, 1 spezieria, 4 pizzicherie, 1 mulino, 3 forni, 1 osteria, 2 macelli, 3 canove. Famiglie con oltre 100 scudi d’entrata n° 24 per scudi 4310. (Chiusi).

La via Cassia. La più importante arteria commerciale dello stato Senese e gli interventi Medicei. (A cura di Maria Paola Rossignoli)

Per avere ancora più notizie dell’importanza della Via Francigena o della Cassia, come si chiamerà nel XIX secolo, quindi per capire ancora più approfonditamente questa importanza, dopo ciò che ha scritto lo Sterpos, continuiamo con l’articolo sotto riportato e quindi avremo una situazione più completa che oggi (2015) dopo la costruzione dell’A1 (Autostrada A1 Roma-Milano) e dopo la costruzione del foro sulla Valle del Paglia il nostro paese ha ricevuto economicamente un colpo assai grosso che oggi si cerca di supplire tramite la “FORESTALE” le industrie della valle del Paglia, la pastorizia con i sardi e il turismo con gli agriturismi dell’ultimo secolo; ma, per avere un’idea del colpo subito da Radicofani dal 1964 ad oggi, ricordiamo la popolazione che nel 1964-65 era di 2850 cittadini ed oggi (2015) con l’immigrazione dei sardi e i nati in questo periodo non raggiunge le 1300 unità.

Pag. 283 e segg.

Premesse storiche

L’itinerario della via Cassia nel tratto da Siena al confine con lo Stato Pontificio, nel XVI secolo era rimasto pressoché inalterato rispetto al percorso descritto circa quattro secoli prima da Sigerico, Arcivescovo di Canterbury,390 che partendo da Roma si diresse al nord verso la sua sede episcopale facendo la strada passante per Sutri, Viterbo e Siena. Va precisato che questa arteria era una modificazione del percorso originario della via Cassia,391 che partendo da Roma attraversava Bolsena, Orvieto e per la Val di Chiana, Chiusi e Arezzo, scendendo nel Valdarno si dirigeva a Firenze, proseguendo poi per il nord. Questa strada di notevole importanza nell’ambito delle comunicazioni tra Roma, i centri dell’antica Etruria e il nord, intorno all’anno 1000 ebbe una modificazione di itinerario e, pur rimanendo inalterato il tratto fino a Bolsena, fu da lì deviata ad ovest e creata l’arteria passante per il Senese.392 Nel ‘500 questo divenne il sistema di comunicazione più utilizzato per il transito e il collegamento tra Roma, l’Italia settentrionale e i centri dell’Europa, considerando che la strada per la Val di Chiana, in quegli anni, era impraticabile a causa dell’impaludamento del territorio che attraversava; anche l’Aurelia, antica via consolare, per lo stesso motivo era danneggiata in alcuni

390 W. STUBBS (a cura di), Rerum Britannicorum Medii Aevi Scriptores, vol. LXIII, London, 1874. 391 Tabula Peutingeriana (Bibl. Naz. Di Vienna). 392 Per un approfondimento sulla viabilità si consiglia: D. STERPOS, Comunicazioni stradali attraverso i tempi, Novara, 1964; E. MARTINORI, Le vie maestre d’Italia – Via Cassia, Roma, MCMXXX; A. TRACCHI, Alla ricerca della via Cassia, nel tratto Chiusi-Firenze, «L’Universo», n. 4, 1964. 177

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi tratti prossimi al litorale tirrenico393 ed era altresì poco sicura per gli assalti pirateschi, allora frequenti in quel tratto di costa. Fu ad ogni modo il problema dell’impaludamento della Val di Chiana394 e della costa tirrenica che portò ad abbandonare quegli antichi tracciati, privilegiando l’itinerario senese che pur avendo temporanei impedimenti, non aveva interruzioni del suo percorso. La cartografia cinquecentesca395 descrive la strada che lascia il territorio laziale ad Acquapendente, entra nel territorio senese a Centeno incontrando Radicofani, La Scala, S. Quirico, Torrenieri, Buonconvento, Lucignano, Siena e, scendendo nella Val d’Elsa, si collega con Firenze. Questa arteria, che alla metà del secolo fu danneggiata dal passaggio dell’esercito imperiale396 e delle truppe fiorentine, dopo il trattato di Cateau Cambrèsis, tornò ad essere normalmente frequentata e transitata da viaggiatori, soprattutto stranieri, diretti a Roma. La casa Medici con Cosimo prima, con Francesco e Ferdinando poi, pose infatti molte attenzioni al mantenimento di quella strada, interessata come era acciocché i commerci si svolgessero nel proprio territorio.

Lavori sulla strada romana

Nel ‘500 gli ostacoli frequenti per la viabilità erano rappresentati da problemi di natura idrografica, e nel caso della Cassia il danno maggiore era costituito dallo straripamento delle acque dei fiumi. La strada, nel tratto senese, incontra l’Arbia a pochi chilometri da Siena, l’Asso presso Torrenieri, l’Orcia al bivio di Bagni Vignone, sotto Radicofani il Rigo e l’Elvella a Centeno. Sebbene questi corsi d’acqua non avessero la portata del Paglia, che è il fiume più grande che la Cassia incontra nel territorio laziale e soggetto spesso a straripamento, erano ricorrenti i lavori da eseguire ai ponti per i danni che le acque provocavano. Con particolare riguardo Cosimo I fece eseguire lavori all’Arbia, che minacciava seri danni agli argini del fiume e al ponte, «…. non si potendo … senza quello usare la strada tanto frequente per Roma …».397 Fin dal 1562 fu infatti denunciato lo stato deplorevole di quel fiume398 ma i lavori iniziarono nel 1564, poco prima di dar inizio a quelli della fortezza di Radicofani. Riguardo alla struttura del ponte non si hanno piante e disegni dell’epoca, ma attraverso i documenti dei lavori per le strutture rovinate, si può, in generale, ricostruire la ossatura. Nel 1563, Angelo Niccolini informa il Granduca delle precarie condizioni di un arco e dei danni provocati dalle acque ad un altro.399 Nel 1564 viene data mano alle fondazioni, consolidandole per maggior sicurezza con grossi pali «ficcati nel letto del fiume» e chiamati in termine tecnico «palafitte».400 Baldassarre Lanci, architetto soprattutto militare, nel 1564 suggeriva di restaurare le «platee» assai danneggiate, ma il Principe Francesco sconsigliava di iniziare il restauro in quel periodo, poiché le acque cominciavano già ad ingrossare. Il Lanci, in quell’anno, si limitò a rinforzare le steccate401 per impedire che gli argini del fiume venissero rovinati. Solo nell’inverno del 1567 veniva ricostruita la «platea», lunga 60 braccia e larga 25402 e contemporaneamente venivano rinforzate le fondamenta per assicurare una maggiore stabilità.

393 G.TARGIONI TOZZETTI, Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana, ediz. anast., Bologna, 1972, vol. IX, pp. 228-251. 394 V. FOSSOMBRONI, Memorie idraulico storiche sopra la Val di Chiana, Bologna, 1978, p. XX. 395 Carta di L. Pindemonte, Bibl. Moreniana di Firenze, Fondo Palagi, Mappe 29. 396 A. VERDIANI BANDI, I castelli della Val d’Orcia e la Repubblica di Siena, cit., ediz. anast., Montepulciano, 1973, p. 101. 397 A.S.F., Mediceo, Carteggio Universale, f. 500, c. 94, Angelo Niccolini, al Duca Cosimo, Siena 6 giugno 1563. 398 A.S.F., Mediceo, Registri, f. 217, c. 133, il Duca Cosimo ad Angelo Niccolini, S. Marcello, 15 giugno 1562; Mediceo, Carteggio Universale, f. 494, c. 159, Angelo Niccolini al Duca Cosimo, Siena, 12 luglio 1562. 399 Ibidem, f. 500, c. 94 lett. cit. 400 C. BORSARELLI, Le fortificazioni nello Stato di Siena al tempo dei Granduchi Cosimo e Francesco de’ Medici (1559-1587), tesi di laurea della Facoltà di Magistero dell’Università di Firenze, a. a. 1972-73 (relatore G. Spini). 401 A.S.F., Mediceo, Carteggio Universale, f. 523, c. 9, Baldassarre Lanci al Principe Francesco, Siena, 22 ottobre 1566. 402 Ibidem, f. 528, c. 274, Baldassarre Lanci al Principe Francesco, Siena 21 aprile 1567. 178

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Negli anni seguenti il ponte fu spesso consolidato, poiché nonostante i continui lavori la struttura continuava ad essere in condizioni non eccellenti, come si rileva dalla perizia fatta da Luigi Nasini nel 1568403 e negli anni successivi, dai registri delle spese.404 Anche altri ponti sulla strada romana si trovavano in precarie condizioni verso la fine del ‘500; a Buonconvento il ponte riceveva grave danno in un fianco, minacciando di cadere se non vi «si fosse provveduto» al più presto. Il ponte sull’Asso presso Torrenieri era in costruzione e il ponte sull’Orcia era rovinato. Il reperimento della mano d’opera era fatto di solito col sistema delle comandate, anche se spesso erano gli stessi abitanti dei centri attraversati dalla strada a prestare lavoro gratuitamente.405 I costi non irrilevanti delle riparazioni sulla strada erano spesso a carico della popolazione: di volta in volta si stabiliva gli oneri da addebitare. Per questo il magistrato dei Quattro Conservatori poteva riscuotere, dalle comunità tassate, i denari impiegati per i lavori, poiché queste erano considerate «opere di pubblica utilità».406 Lo stesso procedimento veniva adottato per le numerose locande che sorgevano sulla Cassia. Da Siena a Centeno ve ne erano molte, in ogni centro abitato, ed i proprietari venivano tassati per il mantenimento delle strade, per l’ottimo motivo che il traffico permetteva loro di ricavarne profitti. Oltre ai lavori per i ponti, i più frequenti ed urgenti da eseguire per garantire la continuità del percorso, negli stessi anni veniva data mano ad altre costruzioni. In una lettera del 2 maggio 1564 Baldassarre Lanci chiese al Granduca Cosimo che si «possa costruire un mulino al ponte d’Arbia», poiché la popolazione doveva recarsi a circa 10 miglia per macinare il grano.407 Nello stesso anno venne informato il Granduca, che erano necessarie riparazioni ad alcuni mulini danneggiati, tra cui il Lanci segnalava particolarmente quello del Buonconvento.408 Si ritenevano indispensabili anche lavori di riparazione al manto stradale: in una lettera dell’8 novembre 1595 il Governatore Tommaso Malaspina chiese al Duca Ferdinando. «… che si racconcino alcuni passi della strada romana …».409 Che questa strada stesse molto a cuore alla casa Medici è documentato, oltre dai lavori eseguiti, anche dal «Bando et Ordine che le strade sieno conservate in buono stato»410 emesso sotto governo di Francesco I, secondo Granduca di Toscana. Lavori di riassetto furono fatti nel tratto terminale della strada romana in prossimità del confine meridionale con lo Stato Pontificio, cioè sotto la fortezza di Radicofani. Questo percorso, che fu costruito dalla Repubblica senese nel 1442 apportando una modifica al tratto originariamente passante da Ricorsi,411 Nel 1555 era stato quasi distrutto dal Vitelli, generale di Cosimo I, quando per lungo tempo e inutilmente assediò la fortezza di Radicofani. Che questi lavori furono realmente eseguiti è documentato dalla relazione del viaggiatore Montaigne che transitò sulla strada nel 1581, cioè un anno dopo l’emissione del bando sulla manutenzione delle strade.412 Pure il viaggiatore Martin Zeiller rilevava che le strade «… sono tutte lastricate e coperte con grosse pietre cosicché vi si può viaggiare come in una città e per questo si deve lodare la cura del Granducato».413 Ma sempre lo Zeiller annotava come la strada andando verso Roma, dopo Radicofani peggiorasse molto, diventando «… fangosa e faticosa per i cavalli …».

403 Ibidem, f. 543, c. 17, Luigi Nasini al Principe Francesco, Ponte d’Arbia, 2 agosto 1568. 404 A.S.S., Governatore, f. 1042, Ordini relativi al Magistrato delle strade (1563-1773), Baldassarre Lanci al Duca Cosimo, Siena 2 maggio 1564. 405 A.S.F., Mediceo, Carteggio Universale, f. 529a, c. 310, e f. 505, c. 311; Baldassarre Lanci al Duca Cosimo, Siena, 11 aprile 1564. 406 D. STERPOS, op. cit. 407 A.S.F., Mediceo, Carteggio Universale, f. 528, c. 374, Baldassarre Lanci al Principe Francesco, Siena, 21 aprile 1567; f. 525a, c. 810 e Mediceo, Registri, f. 228, c. 220, Il Principe Francesco a Baldassarre Lanci, Firenze, 22 luglio 1567. 408 A.S.S., Governatore, f. 1042, cart. Cit. 409 Ibidem, Tommaso Malaspina al Duca Ferdinando, Siena, 8 novembre 1595. 410 Bando et Ordine, Palatino c. 9 3, PO XXXVII, presso la Bibl. Naz. di Firenze. 411 L. CARANDINI, La posta di Radicofani, cit., «L’Universo» n. 1, anno XLIV, 1969, p 156. (pagg. 155-157) 412 M. MONTAIGNE, Journal du voyage en Italy en 1581-1581, Paris, 1774, pp.105-110. 413 MARTIN ZEILLER, Itinerarium Italie, Francoforte, 1640, p. 92. 179

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È da notare però che, nonostante la mole dei lavori eseguiti ad alcuni tratti della strada per migliorarne le condizioni, i Granduchi non si preoccuparono mai di far fare riparazioni al ponte sul fiume Elvella, ubicato a pochi chilometri dal confine del territorio senese con lo Stato Pontificio. Questo ponte in legno, indispensabile per la continuità del transito, era spesso di difficile attraversamento perché le acque ingrossandosi, soprattutto d’inverno, lo rendevano pericoloso. Tra l’altro, Papa Gregorio XIII, nel 1580, aveva fatto costruire un ponte sul Paglia, fiume che rappresentava l’ostacolo maggiore per il transito della Cassia. Questo fa pensare che i Medici volessero rendere non facile l’accesso a Radicofani, dove a partire dal 1564 erano iniziati i lavori alla fortezza, che era l’ultimo baluardo mediceo sul confine senese.

Aspetti economici della viabilità

Il cinquecento fu un periodo di floridezza economica per i commerci e l’espansione produttiva, per cui il potenziamento della viabilità avrebbe contribuito ad agevolare i traffici e gli scambi oltre i confini statali.414 In questo periodo si registrano significativi progressi negli studi teorici concernenti le costruzioni stradali. Verso la fine del secolo Guido Toglietta, in un suo trattato, consigliava di «…utilizzare uno strato impermeabile composto di pietra, sabbia e calce …»415, che rispetto agli acciottolati medievali, e alle pesanti strade romane, consentiva di ottenere risultati di gran lunga superiori. La validità di questo trattato, i cui suggerimenti potevano essere preziosi per la viabilità di quel secolo, non fu in realtà riconosciuta, e quegli studi furono privi di attuazione. Dovranno passare ancora alcuni secoli prima che quelle tecniche vengano impiegate. Per la Toscana la situazione viaria, affidata soprattutto alla Cassia, avrebbe potuto «… avvicinare la redditività dell’agricoltura, a quelle del commercio e dell’attività manifatturiera, permettendo nuovi e più economici sbocchi …»,416 ma non sembra che i Medici avessero realmente questo tipo di interesse. Erano gli stessi bandi emanati dai tre Granduchi a controllare la circolazione delle merci. Così il Daca Ferdinando il 30giugno 1589 fece emettere una «Provisione, e Bando delle denunzie dei Grani, Con la Prohibitione del portarsi Grano da Corte all’altra Corte, per benefitio, e comodo universale».417 Alcuni anni prima, l’Arcivescovo di Vescovado, chiedeva al Duca Cosimo che «…fossero conservati al suo feudo i privilegi, e segnatamente di poter prendere il sale a Siena».418 Ma il duca con rescritto dello stesso anno ordinava «…l’opportuna numerazione delle bocche …», stabilendo con questo, una calmierazione acciocché il sale servisse strettamente al «…fabbisogno degli abitanti …». Questa limitazione commerciale fu indubbiamente una barriera per il progresso economico, soprattutto interno, considerando anche che alcune parti del territorio erano tra di loro mal collegate, con strade accidentate e sentieri impervi, cui i Medici non dedicarono mai molta attenzione. Infatti quasi tutti i lavori relativi alla viabilità, eccetto alcune migliorie apportate a luoghi da bonificare, riguardano la Cassia.

Servizi postali lungo la Cassia

Sulla Cassia i Medici fecero erigere una locanda, o Osteria Grossa, presso Radicofani, che ebbe molta importanza per il transito sulla strada romana e che fu spesso citata nelle relazioni dei viaggiatori. Questa locanda fu fatta costruire da Ferdinando I tra il 1587 e il 1589, utilizzando parzialmente la casa di caccia che Francesco I aveva fatto erigere qualche anno prima. A questo edificio, Ferdinando fece aggiungere, frontalmente, nel 1603, una fontana per l’abbeveraggio dei cavalli, e sulla quale tuttora compare lo stemma mediceo. La locanda «…atta a ricevere qualunque

414 A. BORGI, La rete stradale della Toscana nei suoi caratteri attuali, nella sua evoluzione storica, nelle sue esigenze di sviluppo, Firenze, 1977. 415 F. SCHEIDER, L’ordinamento pubblico nella Toscana medievale, Firenze, 1957. 416 A. BORGI, op. cit. 417 A.S.F., Mediceo, Carteggio Universale, f. 1881, c. 228, Provisioni e Bando delle denunzie de i Grani. 418 N. MENGOZZI, Il feudo del Vescovado di Siena, Siena, 1911, pp. 109-110. 180

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi personaggio e gran quantità di gente e di cavalli …»,419 faceva parte del più vasto sistema di edifici, ubicati soprattutto sulla Cassia, adibiti per la sosta dei viaggiatori e per il cambio dei cavalli. A tali costruzioni era spesso deputata la funzione di stazioni postali, che a partire dalla fine del ‘500 iniziarono da avere un certo rilievo per le comunicazioni commerciali ed epistolari. Nel Settecento il Pecci lodava i pregi e i vantaggi dell’albergo mediceo di Radicofani.420 (Ciò che dice il Pecci, che non era mai stato a Radicofani, sono le stesse parole che scrive il Gherardini nella sua visita al paese!). Il documento più antico in cui venivano stabilite le modalità del servizio postale venne stampato a Venezia nel 1560, ma questo era di origine assai più remota.421 Alla fine del ‘500 sorsero dei veri e propri compendi o guide sulle poste, di grande utilità per chi spediva missive o mercanzia e per chi era addetto a recapitarle nei vari luoghi.422 Nel 1608 sappiamo che nel Senese esistevano poste: «una a Siena città», altre a Lucignano, Buonconvento, Torrenieri, S. Quirico, La Scala, Radicofani, Centeno, Pienza, Pitigliano e Sovana.423 Dalla dislocazione del territorio si nota come queste ricalcassero la viabilità più utilizzata, essendo per lo più disposte lungo la Cassia. Per agevolare il servizio, nei compendi, venivano dati suggerimenti per la spedizione, precisando che la corrispondenza «…conviene mandarla…» o consegnarla ove «…havevano bellissima comodità di fruire ...». Il sistema postale fu soprattutto istituito per «… dare maggior comodità alle persone che negoziano, più che a beneficio dei principi, Duchi, Re, Imperatori e Papi …»,424 poiché la posta diplomatica poteva permettersi il lusso di corrieri straordinari o privati. La corrispondenza veniva affidata dagli ufficiali di posta i quali, tra l’altro, avevano diversi incarichi e ruoli. «Il corriero maggiore avendo ricevuto questo incarico dal Principe o dal Duca, Re, Imperatore o Papa, per gratitudine o per affitto, ne può cavare tutti quei leciti fitti di poste …», ma era obbligato a occuparsi della manutenzione dell’ufficio. Altri addetti a questo lavoro erano i Luogotenenti, Cancellieri, Maestri delle poste, Ordinari e Precacci. La corrispondenza deve essere segreta, per cui «… tutti i Principi sogliono volere che si vada in un sol posto con le lettere e anche a levarle …. per questo fan bandi strettissimi …». Anche il secondo Granduca si prodigò per l’emissione di un bando che vincolava la segretezza delle cose spedite e dei «plichi». Nel 1574 venne stampato un «Bando che’ vetturini non possino fare Compagnia con Albergatori», e come sottotitolo «Ne vetturino con altro vetturino, et Ordine fra Procacci, et Vetturini».425 Infatti nei compendi sulle poste, viene spiegato che le cose spedite possono anche non arrivare a destinazione, sia per la «disonestà» dell’uomo delle poste, sia per gli assalti dei briganti che popolavano le zone boschive e poco frequentate.

Il problema del brigantaggio nel ‘500

Il banditismo si sviluppò in Toscana, come in altre parti d’Italia, verso la fine del cinquecento, in corrispondenza della carestia.426 Il Granduca Francesco I, nel 1574, emise bandi severissimi contro i briganti, e nominò Ambrogio Colombani funzionario nello Stato senese, perché prendesse provvedimenti. Aveva stretto accordi con il Papa Gregorio XIII,427 per contrastare le incursioni molto

419 MARTIN ZEILLER, op. cit. 420 Bibl, Moreniana di Firenze, Ms., G.A. Pecci, Memorie storiche delle città, terre, castelli dello Stato di Siena. (Chi scrive ne ha trascritto, stampato e pubblicato il Manoscritto preso all’A.S. di Siena). 421 Poste per le diverse parti del mondo col Viaggio di Galizia, e di Gerusalemme… in L. Piloni, Bibliografia della posta e filatelia Italiane, Firenze, MCMLIX, p. 30. 422 O. CODOGNO, Compendio delle poste per Tutte le Parti del Mondo, Milano, 1608, p. 371. Di questo libro esistono varie edizioni: nella Bibl. Comunale di Siena è depositata quella del 1608, ma la più antica risale al 1603. 423 Ibidem. 424 Ibidem. 425 L. PILONI, op. cit., p. 96 bis, tav. VIII. 426 A. VANZULLI, Il banditismo, in G. SPINI (a cura di), Architettura e politica da Cosimo I a Ferdinando I, Firenze, 1976, pp. 441,455. 427 L. CANTINI, Legislazione Toscana, vol. VIII, Firenze, 1800-08, pp. 277-283. 181

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi frequenti che questi facevano nel suo territorio. I briganti formavano spesso bande numerose, «composte da 150 uomini ciascuna»428 e nel territorio senese agivano soprattutto in Maremma e in zone montane, assalendo i viaggiatori, incendiando e saccheggiando. Impedivano anche che il commercio si svolgesse e paralizzavano la pubblica amministrazione. Francesco I nel 1586429 emanò due bandi, sollevando il popolo contro i briganti, e strinse alleanze con gli stati confinanti, tra cui quello Pontificio, ove era Papa in quegli anni Sisto V, ben noto per le sue iniziative repressive contro i briganti. Un ostacolo per debellare il banditismo, era la protezione che questi ricevevano nei numerosi feudi esistenti nella Toscana meridionale. Al riguardo, Francesco I ordinò che non fosse concessa dai feudatari, protezione o asilo politico, impartendo, per questo, minacce di pene severissime per i trasgressori. Ma lo Stato senese era un territorio propizio per i briganti. Tra questi vi erano anche dei feudatari come Alfonso Piccolomini, Duca di Montemarciano e signore di Camporsevoli, che chiese poi appoggio e protezione a Sisto V dichiarandosi suddito della sede Apostolica. Un altro rifugio per i banditi, era lo Stato dei Presidi, rimasto agli spagnoli con il trattato di Cateau Cambrésis. Il problema del banditismo fu affrontato sia da Francesco che da Ferdinando, intenzionati entrambi a sconfiggere questo fenomeno che toccò i suoi apici nel 1590, e cominciò progressivamente a scomparire sotto il regno di Ferdinando, anche per l’incisività delle sue operazioni repressive. Il brigantaggio, comunque, se nel granducato rappresentò una difficoltà notevole per i commerci e per l’approvvigionamento dei generi alimentari, rimase un fatto circoscritto ad un breve periodo, cosa che invece non si verificò per lo Stato Pontificio e per i domini italiani della Spagna, dove continuò a permanere ancora per anni.

Per avere più notizie sulla “Via Francigena” indico, per coloro che volessero arricchire le conoscenze, qui sotto altri libri: La via Francigena (Una strada europea nell’Italia del Medioevo) – Editrice Le Lettere 1996 Firenze - Renato Stopani. Guida ai percorsi della Via Francigena in Toscana – Editrice Le Lettere 1995 Firenze – Renato Stopani. Storia della Via Francigena (Dai Longobardi ai Giubilei) – Editrice Il Leccio 1998 Siena – Mario Bezzini. Strada Francigena-Romea (Con particolare riferimento ai percorsi Siena-Roma) Editrice Il Leccio 1996 Siena – Mario Bezzini.

Dal primo libro citato del Bezzini mi sono piaciuti i tre tragitti che lui fa della Via Francigena man mano che arrivava al tragitto definitivo. Il Bezzini ricorda prima di tutto che Bolsena era l’antica Volsinnii, nel Medioevo è ricordata però con il nome della martire che è sepolta a Bolsena: Santa Cristina. Sempre per ricordare i posti vicino a noi esisteva S. Pietro in Paglia che oggi non esiste più. Bezzini chiama la via Francigena del percorso di Sigerico “Francigena maestra” e ricorda che, dopo Torrenieri i viandanti avevano a disposizione un altro percorso, detto in generale Francigena dei “Baptisteria” che era quello che toccava tutte le chiese battesimali che risalgono ai primi secoli di libertà del cristianesimo. Questo percorso toccava le chiese di S. Vito e Modesto in Rutiliano, detto poi Corsignano, e dopo il progetto del Rossellino, comandato da Pio II si chiamò Pienza. La strada dopo questa località arrivava a Monticchiello dove troviamo il baptisterium di Santa Monica e tre ospitali gestiti da religiosi, poi con il castellare di Sillena e vicino le chiese dei santi Cosma e Damiano, più oltre si arrivava quindi a Sarteano dove era il baptisterium di S. Cesareo dove

428 A. VANZULLI, op. cit. 429 L. CANTINI, Legislazione Toscana, cit., vol. XI, p. 378. 182

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi i conti di Sarteano e Chiusi fondarono nel 1084 la bella abbazia di Spineto dedicata alla SS. Trinità e a S. Maria e anche a Sarteano troviamo tre ospitali. Il Bezzini ci ricorda che gli ospitali religiosi non erano soli ma vi erano anche strutture ricettive gestite da privati a scopo di lucro. Superato Sarteano la strada si dirigeva a Cetona e poi a San Casciano Bagni e questa strada ha resistito fino a pochi anni fa, a Cetona vi era la chiesa battesimale paleocristiana dedicata a Giovanni Battista. Dopo S. Casciano dei Bagni si dirigeva sul sito Ospizio dove troviamo la chiesa battesimale paleocristiana di S. Maria della Colonna. Presso tale pieve (prima chiamata baptisterium) esisteva un importante ospizio. La strada proseguiva poi per Trevinano e da qui (prima Centeno) presso il ponte gregoriano entrava nella Francigena maestra. Questa strada alternativa, sopra ricordata, fu anch’essa chiamata Francigena o Romea o Romana. Infatti, in vari ordinamenti della Repubblica di Siena è fra quelle chiamate Francigena o Romana. I motivi per cui vari viandanti preferivano quelle strade possono essere vari, ma il più importante era la pericolosità che la strada maestra, in particolare il tratto fra S. Quirico d’Orcia e Ponte al Rigo. Secondo molti studiosi il percorso trattato sopra, specie nel trecento, fu frequentato più di ogni altro tracciato da banditi e persone di malaffare. Un altro percorso, nella stessa zona era quello ad est della Francigena maestra, molto più vicino a Radicofani. Tale percorso lasciava la Francigena poco prima di attraversare l’Orcia ed arrivava a Spedaletto, dove era il piccolo ospitale di S. Nicola, dopo di che arrivava a S. Pietro in Campo ed andava a raggiungere Clemenziano (oggi La Palazzina) (veramente il Borgo di Clemenzano era molto più grande e vi era la chiesa di San Lorenzo e il convento privato di S. Quirico di Clemenzano N.d.A.) e Celle sul Rigo e dopo Cammattole e si ricongiungeva alla via maestra presso Torricella. Il terzo percorso importante è quello che dopo l’attraversamento dell’Orcia verso ovest e che passava per Castiglione d’Orcia e poi per Vivo d’Orcia, ove troviamo un romitorio e un’abbazia camaldolesi, abbazia dedicata a S. Romualdo. Da Vico d’Orcia si arrivava poi ad Abbadia S. Salvatore, che tanta importanza ebbe per la Francigena, poi Piancastagnaio e scendeva per ricongiungersi con la Francigena a Ponte al Rigo. Però il più importante percorso rimane quello che si formò nel XII secolo e che passava per Radicofani il quale piano piano soppiantò, in parte, l’itinerario fatto da Sigerico. A questo proposito si consiglia rivedere l’articolo a pagina 33 «Paesaggi sepolti: insediamento e incastellamento sull’Amiata, 750 – 1250 di Chris Wickham».

Da Internet su Google Libri dal titolo “Divagazioni su Radicofani nelle fonti odeporiche” che vuol dire, secondo il vocabolario: «che è proprio di un viaggio, che riguarda un viaggio: narrazione odeporica, descrizione di un viaggio, resoconto di notizie, esperienze e simili raccolte durante un viaggio…». Questo libro “on line” a cura di Fabrizio Vanni il quale attraverso i resoconti che ci hanno lasciato coloro che viaggiavano per la “Via Francigena” e che attraversavano il Paglia o Radicofani, il Vanni si è cimentato a trovare il motivo per cui affermare che coloro che attraversavano la Val di Paglia avevano molta fretta di arrivare a destinazione e quelli che salivano a Radicofani erano i viaggiatori più ricchi, più esigenti, i nobili, i militari ecc. i quali trovavano un’assistenza adeguata che non avrebbero trovato negli 183

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi ospizi della valle del Paglia, i poveri (e non tutti) e coloro che si arrangiavano e che non avevano paura a rischiare la vita per colpa dei banditi né del posto mal frequentato e meno attrezzato. Ebbene in questo libro nella nota n. 3 abbiamo la spiegazione “Toponomastica” del termine: Radicofani che qui sotto riportiamo.

Divagazioni su Radicofani nelle fonti odeporiche A cura di Fabrizio Vanni Abbiamo estrapolato dalla nota n. 3 il significato della toponomastica del termine Radicofani.

Nella «Toponomastica della Toscana Meridionale ecc.» (Siena: Accademia degli Intronati, 1969) il Pieri ci propone Radicofani, Radicofano, Radicophani, Radicofini, Radicofanum e Radecofini, che non esauriscono certamente le varianti che si incontrano nelle fonti. Anche per l’etimologia del toponimo il Pieri si mostra stranamente prudente, limitandosi a interpretare la prima parte del nome come abbreviazione di Radipert o Radicauso (a cui non potremmo non aggiungere Ratchis, visto che si trattava di beni regi). Utile infine, anche se non risolutivo, l’elenco degli altri toponimi con l’identica componente: due Radi a Monteroni d’Arbia e a (Siena), Radicondoli (-), Radipopoli (Castell’Azzara di Grosseto) e Radicagnoli ( di Pisa). – Scilicet, p. 158. Il Kurze nel Codex Amiatinus aggiunge anche la voce Radicophino. Cfr. anche “Minute nel fondo del monastero di S. Salvatore al Monte Amiata” / Wilhelm Kurze. – In: «Scritti di storia toscana» / Wilhelm Kurze; a cura di Mario Marronchi. – Pistoia: Società Pistoiese di Storia Patria, 2008. – Scilicet, p. 256. Nei Monumenta Germaniae Historica (d’ora in poi MGH) s’incontrano anche Radicofono, Radicofoni e Radicofino. Le molte varianti del toponimo sembrano, da un lato, non deporre a favore di una diffusa e coerente frequentazione della località, anzi ne suggeriscono l’occasionalità percettiva non degna di approfondimento. D’altro lato, quando si passa a formulare ipotesi sul significato del nostro toponimo, composto da due parti ben distinte, appare evidente, dalle molte grafie sopra esposte, che si è persa ben presto la cognizione di entrambi i termini che compongono il toponimo e che ne dovrebbero spiegare il senso: il nome proprio è scomparso dall’antroponimia, e il nome comune, che potrebbe comunque ricordare, nella lingua alto-tedesca, o meglio ancora alto-bavarese, un oggetto, la kofenna, che è un contenitore, una gerla, un corbello di vimini, ora detto Tragkorb. Cfr. «Althochdeutsches Wörterbuch»: 5. überarbeitete und erweiterte Auflage / Rudolf Schützeichel. – Tübingen: Max Niemeyer Verlag, 1995. – Ad vocem. Sulle terminazioni in –kofen di toponimi bavaresi e della Svizzera orientale, cfr. «Archiv für das Studium der neueren Sprachen und Literaturen»: XVIV Jahrgang, 34. Band / herausgegeben von Ludwig Herring. – Braunschweig: Druck und Verlag von George Westermann, 1863. – Scilicet, S. 468-469. “Charakteristisch für Baiern sind die Ortsnamen auf -kofen. In Altbaiern ist ein Mengkofen, Teutenkofen, Zaizkofen, und auch Köfering wird in die Verwandtschaft gehören. In der Ostschweiz finden sich die Ortschaftsnamen Böttigkofen, Dotzikofen, Dettigkofen, Heschikofen, Göttikofen, Latigkofen, Zollikofen, und eine große Anzahl von Ortschaftsnamen auf kon, welches aus kofen zusammengezogen, nicht etwa aus der lateinischen Endung cum entstanden ist.ʺ Disponibile su Google Libri. In italiano rimane soltanto il vocabolo cofano e il dialettale cofana, che esprime un contenitore concavo e capiente, specialmente di cibo, mentre, dalle parti di Roma, esprime anche, forse un traslato del primo senso, la crocchia raccolta sul capo dei capelli delle donne (fonte: Anna Marchesini del disciolto trio comico Lopez, Marchesini, Solenghi) a ricordarci il lontano uso di tale termine. 184

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Non escluderei, anche se è lectio difficillima, che la coniazione di quell’espressione presumibile «Ratchis-kofen» potesse avere una base metaforica, dove il colle di Radicofani per la sua forma, che appare ben distinguibile anche a distanza, quasi una catinella rovesciata, assume il senso ironico di “corbello o cofano di Ratchis o anche cappello di Ratchis” o, ancora più comico, “crocchia o catinella di Ratchis”, titolare, all’epoca della nascita del toponimo, del luogo e delle terre demaniali che circondano l’altura. Tra tutte queste, prediligo “cappello di Ratchis” perché a un grande re si addice un grosso cappello. Ma si tratta, ovviamente, di inferenze non dimostrabili, poco più di una serie di boutades. Dopo tutto, se il romantico William Hazlitt descrisse la notte passata a Radicofani “come essere alloggiati in una nuvola: sembrava proprio la cuna delle bufere e delle tempeste”, penso che anche l’interpretazione qui proposta abbia anch’essa una sua dignità immaginifica. Dal libro “Radicofani e il suo Statuto del 1441”, più volte citato, a cura di Beatrice Magi abbiamo altre spiegazioni della toponomastica del nome: Secondo quanto narra il Vilifranchi, che fu medico condotto intorno al 1830, esso fu un tempo chiamato “castello di San Pietro” a cui la terra è dedicata e sotto il cui titolo è dedicata la Chiesa arcipretale.430 Tanto questo scrittore, quanto l’illustre storico Muratori ritengono che abbia poi ricevuto il nome di Radicofani per essere situato alle radici di uno scoglio il quale, avendo la figura di un grande cestone (quasi) rettangolare, fu detto per questo Montecofano (Radicofani)431. In tempi più vicini a noi e quindi successivamente il parroco di Radicofani, appassionato storico locale432, sostenne che il nome significava: “possedimenti del re Rachis”, derivando dalla congiunzione dei due termini tedeschi “Rachis” e “hoffen =terre”: la sua tesi è avvalorata dall’esistenza, ancor oggi, di località nel letto dell’Orcia dal nome: Terra del re, Terra della regina, Pian del re (Planum regis, negli antichi contratti)433. Bisogna sottolineare, infatti, che quasi tutti i territori di Radicofani erano di proprietà regia o imperiale. Un’altra teoria è stata elaborata da Arturo Santioli434, per il quale “Radicophanum” deriverebbe da due radici, una etrusca: rat (cima o punta) ed una latina: phanum (tempio o sacro). Anche questa teoria sembra essere una spiegazione verosimile avvalorata dal fatto che alla fine dell’Ottocento, vicino all’abitato, furono trovate 92 statuette votive etrusche, oggi al Museo Etrusco di Firenze; ancora nel bosco “Isabella” si è trovata una costruzione quadrangolare che sembra sia stata fatta dagli etruschi; inoltre, ed il sito viene ricordato anche nello Statuto di Radicofani del 1255, vicino al Borgo Castelmorro vi era un sito nominato “Viclano o Viclanus”. Tutto ciò può aver fatto venire al Santioli la radice etrusca “rat”, il vocabolo latino “phanum” fa venire in mente le statuine votive etrusche. Visto che abbiamo parlato del bosco, non possiamo tacere il “Quaderno dell’Archivio n. 3 – 1993” dell’Archivio Italiano dell’arte dei giardini del comune di San Quirico d’Orcia:

IL BOSCO ISABELLA A RADICOFANI (Un bosco tardoromantico) A cura di Maria Mangiavacchi e Ettore Pacini

430 VILIFRANCHI, Lettera al Prof. Studiati, “Nuovo giornale pisano dei Letterati”, Anno 1832. 431 L. A. Muratori, Storia del Medio evo., Vol. IV, Dissert. 50, p. 567. 432 F. M. MAGRINI, La verità storica su Ghino di Tacco, cit., Rimini, 1987. 433 A. VERDIANI-BANDI, i CASTELLI DELLA Val d’Orcia e la Repubblica di Siena, cit., ristampa anastatica della II Edizione, Montepulciano, 1973, p. 25. 434 A. SANTIOLI, L’Amiata-turismo storia e arte, Siena, 1984, p. 14. 185

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Editoriale donchisciotte (finito di Stampare nel mese di Febbraio 1994 presso Ed. Grafica l’Etruria Cortona – AR –

Odoardo Luchini, del quale parleremo più avanti in occasione dei personaggi nati a Radicofani, volle fortemente la realizzazione del Bosco, in posizione dominante a ridosso del paese a valle della casa padronale e del giardino di famiglia…………il bosco può in un certo senso collegarsi agli ideali liberali del suo ideatore. Da segnalare inoltre un ideale di solidarietà massonica che sottende la costruzione a confermare l’alleanza tra antica aristocrazia locale e nuova classe borghese emergente……………. Il bosco è un luogo in cui viene riproposto il gusto di una libera natura e svincolata da ogni legame con l’uomo…… È stato creato artificialmente un ambiente naturale «organizzato» e «migliorando» le realtà presenti sul luogo sul luogo che più incidevano sul paesaggio…… Caratteristico è soprattutto l’uso dei numerosi massi basaltici presenti sul terreno, molto spesso lasciati così come sono o usati per erigere muretti a secco a sottolineare pendenze per costruire gradinate. …. In tutto ben si inseriscono le rovine della fortezza di Radicofani distrutta nel 1555 dalle truppe imperiali. Le grotte inoltre, disseminate lungo i percorsi, sembrano antri naturali inserendosi perfettamente nel paesaggio. Vi è la costruzione della piramide dal significato chiaramente massonico, e la costruzione rettangolare con grossi blocchi lunga 16 metri e larga 6 che sembra essere una costruzione etrusca e di cui abbiamo accennato sopra. Poi vi è un grosso masso che è chiamato «sasso bulletta» messo al centro di una conca sottolineata da muretti e da un ponticello a secco e scalette dalle quali ci si arriva accanto. Prima all’inizio di ogni vialetto vi era una grossa pietra a piramide sempre a ricordo del simbolismo massonico. Il Bosco per iniziativa di Matilde Luchini è stato dichiarato di notevole interesse pubblico in base alla legge 11.06.1922 n. 778 art. 2 fin dal 1929. Veniva aperto al pubblico in occasione di solennità patriottiche, come ricorda Alberto Luchini nel libro citato sopra. In base alla legge 1497 del 1939 è stato classificato con D.M. 23.05.1972 (G.U. 17.01.1973) fra le bellezze naturali. È stato acquistato dal comune di Radicofani nel 1983 (atto di vendita in data 24 ottobre) per adibirlo a parco pubblico e nell’atto di vendita è fatta menzione che il nome di «Bosco Isabella» venga conservato in perpetuo. Il fatto che il comune abbia preso il bosco, secondo me, è stato l’inizio della sua lenta ma inesorabile fine. Sono, infatti, cadute diverse piante, la forestale che ogni tanto viene a ripulirlo, non taglia l’edera che strozza le piante e non fa nessuna azione a che venga mantenuto com’è. Tutto quello che viene dato o venduto alla “cosa pubblica”, purtroppo, in Italia, con il tempo o muore o cambia destinazione; se non si prendono i provvedimenti che esistono in altri paesi europei! Nella penultima parte del libro vi si parla di: ipotesi di conservazione e restauro. Ebbene a tutt’oggi non è stato fatto quasi nulla e in questa parte si parla delle cure che questo tipo di strutture necessitano per essere mantenute ideali, ma fino ad oggi, e sono passati vent’anni dalla pubblicazione del libro, è stato fatto ben poco delle cose che elencate qui sotto! Nel nostro caso è fatta salva l’integrità dell’intero complesso, che non ha subito grossi interventi e rimaneggiamenti se non il taglio di alcune piante morte. L’edera poi ha coperto larga parte della piramide, in molte zone ha coperto il terreno e le pietre a forma conica o prismatica che delimitano i vialetti. La lettura del luogo viene compromessa e vengono nascosti alcuni degli elementi decorativi. …………………La prima cosa è quella di tagliare gli alberi morti o quelli segnati da competizione. 186

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Tagliare inoltre le robinie che si trovano nella parte bassa. Ripulire periodicamente dall’edera tutti i sassi, le pietre e i manufatti che hanno funzione decorativa.

Qui sotto inserisco alcuni documenti di cui sono venuto in possesso e che, credo, possono essere interessanti per avere un quadro più particolareggiato sul tema di cui trattano.

Documenti che spiegano ancora di più quanto scritto sopra in riferimento alla chiesa di Sant’Agata.

Questi documenti portano la firma di Nicoletta Innocenti datate 24 giugno 1996 e che riguardano notizie intorno alla congregazione di Sant’Agata.

La tradizione orale, supportata recentemente da uno studio condotto da Don Ferruccio Marcello Magrini, attribuisce la ragione della costituzione della Confraternita di Sant’Agata ad una regione precipua. Il XVIII sec. Fu per Radicofani un secolo particolarmente funesto a causa di numerosi e violentissimi terremoti. Il primo si manifestò nei primi anni del 1700 per poi ripetersi con maggiore virulenza nel 1727, nel 1740, nel 1764, nel 1776. I danni arrecati all’abitato di Radicofani durante il terremoto del 1727 risultarono in gran parte irreversibili. Infatti, la primitiva struttura urbanistica medievale risulterà, dopo la ricostruzione, fortemente modificata. Era allora patrono di Radicofani, dal 1647, San Saturnino, protettore delle messi e dei raccolti, ma evidentemente gli eventi luttuosi che avevano colpito Radicofani in occasione dei recenti terremoti indussero la popolazione a chiedere la protezione della Santa di Catania. Fu così che il a Agosto dell’anno 1727 nella Chiesa di San Pietro fu indetta un’assemblea generale, presieduta dal Gonfaloniere e dal clero locale, nella quale fu stabilito che una rappresentanza di cittadini si sarebbe recata in Sicilia per chiedere di poter ottenere una reliquia contenente un frammento delle ossa di Sant’Agata. Il gruppo di uomini designati dall’assemblea, dopo aver ottenuto dal Vescovo di Chiusi Monsignor Giustino Bagnesi un salvacondotto per l’attraversamento dello Stato Pontificio e del Regno delle Due Sicilie, alla guida del Reverendo Giovanni Pompilio Bonamici, partì da Radicofani il giorno della festa dell’Assunta nell’anno 1727. (Archivio della Curia Vescovile di Chiusi – Filza 94B inserto I). Cominciò così il culto di Sant’Agata che divenne patrona e protettrice della Comunità di Radicofani particolarmente venerata per tutto il XVIII sec.

Per ottenere ulteriori informazioni intorno alla Compagnia di Sant’Agata occorre recarsi all’Archivio della Curia Vescovile di Chiusi dove, all’interno dello “Indice Generale degli atti relativi alla Pievania di Radicofani” troviamo un “Indice Cronologico della Cartella I – Congregazione di Sant’Agata e San Saturnino” redatta alla fine degli anni Ottanta da Don Marcello Ferruccio Magrini. Ne pubblichiamo la parte relativa alla Congregazione di Sant’Agata. ATTI RELATIVI ALLA PIEVANIA DI RADICOFANI. INDICE CRONOLOGICO DELLA CARTELLA N° 1 – CONGREGAZIONE DI SANT’AGATA E SAN SATURNINO.

Anni 1556-1612 – Memorie della Chiesa di San Lorenzo e del Convento dei Minori Conventuali. Anno 1792 – Erezione della Via Crucis nella Chiesa di San Lorenzo Martire. Anno 1793 – Dopo la soppressione della Chiesa e Convento Francescano per ordine del Granduca Pietro Leopoldo di Toscana, la chiesa di San Lorenzo viene affidata alla Congregazione di Sant’Agata eretta con Sovrano Rescritto in data 27 Marzo 1793. La nuova Congregazione, composta da settantadue fratelli, redige un proprio STATUTO, nel Maggio 1793, costituito da XX Capitoli. 187

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Anno 1794 – Solo un anno dopo anche la Congregazione di Sant’Agata verrà soppressa dal governo Granducale. Il popolo di Radicofani invia una supplica al Granduca e al Vescovo di Chiusi, Mons. Giuseppe PANNILINI, chiedendo il ripristino della Congregazione. La domanda sarà accolta. Anno 1799 – Benedetto TRONI di Pistoia venne incaricato dalla Congregazione di costruire un nuovo organo per la Chiesa di Sant’Agata. Il costo è di 150 scudi d’argento fiorentini. Anno 1800 – Angelo FONDI-UGURGERI, nobile senese proprietario della Villa dei Piani- Fondi, dona alla Chiesa di Sant’Agata un casalino, utilizzato come fienile e posto davanti alla chiesa di Sant’Agata. Il casalino viene demolito per dare spazio e maggiore visibilità alla facciata. Anno 1802 – Con l’autorizzazione del Vicario dell’Ordine dei Dominicani, viene eretta nella chiesa di Sant’Agata la Confraternita del SS. Rosario, con obbligo di celebrare la Festa della prima domenica di Ottobre. Anno 1806 – Il Vescovo Giuseppe PANNILINI ordina con Decreto di trasferire l’Urna e la reliquia di San Saturnino dalla Chiesa di Santa Maria Assunta alla Chiesa di Sant’Agata. Da un documento originale del 1627 risulta che il Rev.mo Padre Maestro Giovanni PELLEI di Radicofani, benemerito della Patria, aveva fatto dono ai suoi concittadini del Corpo di San Saturnino Martire stabilendo che fosse conservato nella Chiesa di Santa Maria Assunta. Il Vescovo PANNILINI dispose tale trasferimento perché il Consiglio della Compagnia dell’Assunta si era reso responsabile d’” incuria e negligenza” nella custodia delle Sacre Reliquie. Durante la Visita Pastorale compiuta a Radicofani il 13 Maggio 1804, il Vescovo PANNILINI dispose che la Reliquia in argento di Sant’Agata, unitamente alla Statuetta e all’Urna di San Saturnino, venissero cancellate dall’Inventario della Pieve di San Pietro e trasferite in quello della Congregazione di Sant’Agata. Nella stessa circostanza, Mons. PANNILINI confermò la licenza di continuare nella Chiesa di Sant’Agata la Novena del Santo Natale, da tenersi all’Alba, per comodità dei coloni residenti in campagna. Ancora il 13 Maggio 1804, Mons. PANNILINI, su richiesta del Consiglio della Congregazione, accordò di spostare alla seconda Domenica dopo Pasqua la festa anniversaria della Consacrazione dell’antica Chiesa di San Lorenzo avvenuta il 6 Febbraio dell’anno 1557, perché coincideva con la Festa annuale della Patrona di Radicofani. Anno 1807 – Contrasti insorti fra il Pievano di San Pietro e il Direttivo della Congregazione di Sant’Agata per la celebrazione di alcune Festività. Il Vescovo stabilisce per ciascuno dei contendenti l’assegnazione delle rispettive Feste e Funzioni Sacre. Nello stesso anno 1807 vennero commissionati agli artigiani Antonio ROSI e al figlio Eustachio nuovi candelieri di legno dorato con Crocefisso, Carte Gloria, Scaletta per Massaie, Vasi da fiori, per un importo di scudi fiorentini Novanta. Anno 1811 – L’Imperatore Napoleone Bonaparte ordina la soppressione di numerose comunità religiose, fra le quali il Convento dei frati Cappuccini di Radicofani. Poiché in questo Convento si teneva ogni anno per la Settimana Santa l’Esposizione del Sepolcro, il Direttivo della Congregazione di Sant’Agata chiede ed ottiene dal Vescovo diocesano la facoltà di poter trasferire nella loro Chiesa il Sepolcro del Giovedì Santo. Anno 1814 – Quando il Granduca Pietro Leopoldo di Lorena espulse da Radicofani i Minori Conventuali, il fabbricato adiacente alla Chiesa dell’ex Convento con l’annesso orto fu assegnato all’Arcipretura di San Pietro perché servisse come Casa Canonica del Parroco che, dopo i terremoti del Settecento, era rimasto privo di una propria abitazione. Il Direttivo della Congregazione di Sant’Agata reclamava i propri diritti sul fabbricato e sull’orto. L’Arciprete GORGONI fece ricorso al Vescovo che obbligò il Direttivo a consegnare le chiavi al Parroco. Anno 1817 – L’Oratorio della Madonna delle Nevi, annesso all’antico Spedale dei Pellegrini ubicato all’inizio della strada che conduce alla Fortezza, apparteneva per diritto di Patronato al Regio Ospedale di Santa Maria della Scala in Siena. A seguito della chiusura dello Spedale di Radicofani, l’Oratorio delle Nevi venne abbandonato e minacciava rovina. In occasione della visita pastorale che si ripeteva ogni tre anni, il Vescovo PANNILINI dette incarico a un sacerdote di Radicofani, Don Paolo ROSSINI, di redigere una perizia per eventuali riparazioni. Risultata la spesa troppo onerosa e non essendo più necessario al Popolo per la vicinanza del paese, l’Oratorio venne dissacrato ed il titolo trasferito nella Chiesa di Sant’Agata con tutti gli arredi sacri e con obblighi di una messa ogni 188

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Sabato e la celebrazione della Festa annuale nella ricorrenza del 5 Agosto. Il Decreto Vescovile fu ratificato dal Cancelliere comunale Tommaso MAGNANI il 27 Gennaio 1817. Anno 1827 – Il rettore pro-tempore della Congregazione di Sant’Agata, Don Francesco MAGRINI, espose al Vescovo che a seguito della accresciuta popolazione e della domanda dei cittadini che vogliono entrare a far parte della Congregazione, sarebbe opportuno elevare il numero dei fratelli, fino ad allora circoscritto a settantadue membri, portandolo a cento. Si sarebbe in tal modo evitato malcontento e rimostranze da parte degli esclusi. Il Vescovo Giacinto PIPPI accordò tale richiesta ed aumentò il numero dei Fratelli in data 7 Luglio 1827. Anno 1836 – L’Arciprete Don Giuseppe GORGONI fa presente al Vescovo che la Chiesa di Sant’Agata, Patrona del Paese, è molto frequentata da parte dei Fedeli. Sarebbe pertanto desiderabile che l’unico Altare esistente in questa Chiesa venisse insignito del titolo “Privilegiato”. Tale richiesta venne concessa il 17 Dicembre 1836. Anno 1868 – Domanda presentata nella consueta Adunanza generale della Congregazione che si teneva ogni anno il 19 Marzo, festa di San Giuseppe. Angelo INSELMINI chiede di essere ammesso a far parte della Congregazione prendendo il posto del padre defunto. L’INSELMINI, in caso di elezione, s’impegna, nella sua qualità di muratore, a riparare gratuitamente il tetto della Chiesa ogni qual volta ve ne sia bisogno. Anno 1915 – Elenco e stima delle proprietà della Congregazione, già appartenenti al soppresso Convento dei Frati Minori Francescani: Podere MARRANO (casa colonica di due vani con orto e aia); Puntone delle PIANINI; Puntone delle CHIAVI; Assolata e PAICCIA; due vigne in PERTIME; quindici pecore. Totale della stima Lit. 327

Per ultimo aggiungiamo della Storia di Radicofani l’ultimo capitolo che è la storia dell’ultima guerra mondiale e che il passaggio del fronte da Radicofani dette l’ultima battaglia che si ricordi; aggiungiamo le fotografie del Cimitero Militare della località “La Mossa”. Il 17 giugno a ricordo di questi eventi il Comune di Radicofani con altre Associazioni Combattentistiche dei Partigiani e Militari dei Carabinieri e con Combattenti della Legione Straniera, venuti dalla Francia e dall’Italia, fa una grande manifestazione ripresa anche da giornali e TV a livello locale e Nazionale.

BATTAGLIA DI RADICOFANI – (morte di Tassi e Magi)

Mentre accadeva che in tutta Italia i giovani si arruolavano con i Partigiani, anche Radicofani veniva investito dall’incalzare della lotta ed il gruppo dislocato, al comando del carabiniere Vittorio Tassi, aveva intensificate le proprie azioni in esecuzione dell’ordine trasmesso al comando. La reazione tedesca fu molto cruenta sia per l’importanza strategica del contrafforte sulle vallate verso Siena, per il collegamento della Cassia, nonché per la possibilità di facile spostamento di mezzi motorizzati che l’andamento del territorio consentiva a differenza degli altri nostri capisaldi. Quindi quando la battaglia infuriava verso la Nuta e sul monte Cetona, divenne impossibile per questo gruppo riunirsi agli altri. Fu così che dopo varie azioni portate a compimento vennero catturati dei prigionieri fra i quali il comandante Vittorio Tassi e Renato Magi i quali, trasportati a valle davanti alle Nute. Località Pian del Re, dove infuocato si svolgeva lo scontro, il 16 giugno (il 17 giugno n.d.t.) stesso venivano qui fucilati.

Il periodico “IL CARABINIERE” (aprile 1976 n. 4 XXIX°) così la descrive:

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“Quando il Tassi ed i suoi partigiani, dal loro osservatorio, avvistano in lontananza le colonne tedesche che affrontano lentamente la ripida salita, ne danno immediata comunicazione al comando Simar. Quest’ultimo avverte a sua volta il Comando Alleato che può così sviluppare le azioni dei cacciabombardieri proprio mentre le unità germaniche percorrono il tratto più tortuoso della strada. Terminata l’offensiva aerea, le forze partigiane di Tassi attaccano tempestivamente i Nazisti, sorprendendoli nel momento più critico. Il puntuale rapporto fra i bombardieri e le azioni di guerriglia causa al nemico perdite sensibili e continue. Per non far rilevare il dispositivo di resistenza, gli attacchi vengono svolti in località sempre diverse e anche lontane da Radicofani. Ma i tedeschi riescono ad individuare ugualmente la dislocazione dei Patrioti e decidono di intervenire. Vogliono assolutamente neutralizzare la resistenza partigiana nella zona, sorprendendone i componenti con un’azione concentrica. Alle ore 15 del 15 giugno 1944 consistenti formazioni naziste, dotate anche di mezzi cingolati, attuano un massiccio rastrellamento nell’area compresa fra Poggio al Fibbia e Poggio Casano. Tutte le case coloniche sono sistematicamente ispezionate, gli abitanti perseguiti ed interrogati. Ma il grosso delle forze germaniche punta minaccioso sul podere “Sterposi”. Il carabiniere Tassi decide allora di impegnare col fuoco il nemico, onde permettere ai componenti della sua formazione di sganciarsi. L’ azione si accende violenta, con ostinata durezza da entrambe le parti. Tuttavia, di fronte alla superiorità in uomini e mezzi dei nazisti, Tassi è costretto ad ordinare il ripiegamento: mentre egli con cinque volontari, tra cui il giovane Magi fronteggia coraggiosamente i tedeschi, i suoi compagni riescono a disimpegnarsi infine e a sfuggire all’accerchiamento. Successivamente sopraffatto e catturato insieme ai suoi, viene condotto a Poggio Casano. Sede del comando germanico. Qui i prigionieri sono sottoposti a torture e a lunghi interrogatori. I nazisti, minacciandoli di morte, vogliono assolutamente notizie sulla composizione e sulla dislocazione delle bande partigiane operanti nella zona. Ma i patrioti rimangono sul diniego più deciso. Il carabiniere Tassi, tuttavia, percepisce la gravità del momento: i suoi compagni per la loro giovane età, sono particolarmente esposti al pericolo di crollare sotto le sevizie; un attimo di debolezza può comportare la fine per i suoi compagni e l’annientamento della Simar. Allora, con piena consapevolezza della sorte cui va incontro, dopo un ulteriore lungo interrogatorio, afferma che gli uomini catturati non appartengono ad organizzazioni partigiane e rivendica soltanto a sé la responsabilità delle azioni compiute contro le unità germaniche. Riesce però, solo in parte a convincere i tedeschi, che caricano su un camion gli altri patrioti per imprigionarli nelle carceri di Siena e trattengono lui e il Magi. Il 17 giugno 1944 i nazisti, ormai convinti che i due prigionieri non parleranno, li conducono in località Pian del Re, in Val d’Orcia. Qui fanno scavare loro una fossa. Quindi li legano insieme ad un albero. Una squadra di SS li abbatte con scariche di mitra. Dopo la ritirata delle truppe germaniche, gli abitanti di Radicofani recupereranno le salme e le seppelliranno degnamente nel cimitero cittadino. Alla memoria del carabiniere Tassi verrà concessa la medaglia d’oro al valore militare. Al giovane Magi, che con tanto generoso coraggio aveva voluto seguire il Tassi, verrà concessa la medaglia di bronzo al valore militare. Costoro, assistiti negli ultimi istanti da un cappellano militare, ebbero modo di scrivere ai propri famigliari il loro tragico destino.

Contemporaneamente alla battaglia sul monte Cetona, sul versante più a sud (verso l’Amiata) reparti francesi tentavano di attestarsi su Radicofani dove si ebbero durissimi scontri. Qui avanzava la 13^ semibrigata della Leg. Straniera, anch’essa facente parte della div. Francia Libera, che trovò un’accesa resistenza prima di poter accedere alla imponente rocca di Gino di Tacco. Dice il diario di guerra francese: “La 1^ D.F.M. era bloccata sulle alture a due Km. Da Radicofani (in codice quota 896). La 1^ brigata riuscì a distruggere 3 carri Tigre. La 4^ brigata occupava S. Casciano”.

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“Solo al mattino del giorno 18 veniva sferrato l’attacco a Radicofani con durissimi scontri strada per strada. In questa lotta cadeva il Col. Laurent Champrassey Comandante il 1° R.A.D. Nella lotta i tedeschi contrattaccarono con carri armati e la lotta si fece più serrata. Alla fine 90 soldati e due ufficiali tedeschi restarono prigionieri delle truppe francesi” (Rif. a pag. 37 – I francesi a Siena).

Avevano resistito all’attacco reparti del 67° Panzer Granadier Regiment ed al Maggiore Radgens comandante della piazza era stato ordinato di “battersi fino all’ultima cartuccia”. Tuttavia i reparti francesi. Altrettanto determinati, dopo aver distrutto i mezzi corazzati, come avevamo avvisato dalle nostre postazioni del Cetona, presero d’assalto il paese con scontri condotti casa per casa e quindi gli ultimi superstiti si arresero consentendo la totale occupazione del cocuzzolo e del castello il pomeriggio del 18 giugno 1944. Il maggiore Radgens anziché arrendersi preferì suicidarsi.

Anche la cronaca raccolta da Claudio Biscarini su “Vicende belliche in terra di Siena 1943- 1944” così la descrive:

“Dalla valle del Paglia verso Radicofani, la divisione motorizzata di Brosset stava conducendo un’accanita battaglia con gli uomini della 26^ Panzer di Crasemann. L’avanzata di Brosset era iniziata il 15 giugno quando alcuni elementi blindati avevano raggiunto e sorpassato il Paglia ed erano arrivati a lambire la rotabile Radicofani. San Casciano Bagni. La cittadina di Radicofani, con la sua imponente rocca, dominava all’epoca, il passo omonimo sulla Cassia. Come ricorderemo, la 1^ divisione, era suddivisa in due raggruppamenti detti Est e Ovest. La resistenza dei granatieri germanici era fortissima. I due raggruppamenti incontrarono sulla loro strada anche elementi dell’11° Reggimento, 4^ divisione Paracadutisti; li ritroveremo più avanti. L’avanzata procedeva con difficoltà fra i campi di mine, interruzioni stradali e sotto i tiri della onnipresente artiglieria avversaria. Il 16 giugno il Raggruppamento Est (4^ Brigata) progettava un’azione su Celle sul Rigo e S. Casciano Bagni che avrebbe viste impegnate alcune unità del battaglione di fanti di Marina del Pacifico e del 21° Battaglione di marcia raggiungeva Celle sul Rigo e si attestava a difesa. Elementi della ricognizione venivano presi sotto il tiro degli 88 mm. tedeschi. L’artiglieria tedesca attivissima, batteva anche la Cassia infliggendo perdite al 2° battaglione della Legione Straniera. Il 17 giugno vedeva le unità di ricognizione del raggruppamento Ovest arrancare per tre ore sulla Cassia onde raggiungere le posizioni d’attacco. La 1^ Brigata arrivava a 2 km a sud di Radicofani. Gli avversari erano ben trincerati. L’aereo di appoggio all’artiglieria alleata comunicava che erano appostati, verso Radicofani, ben tre carri Tigre. Alcuni Tank Destroyer dell’8° Reggimento Cacciatori d’Africa li distruggevano su segnalazione dell’aereo. Spesso saranno proprio questi piccoli velivoli, artiglierie flieger come li chiamavano i tedeschi, onnipresenti in cielo a risolvere critiche situazioni. Il raggruppamento Est iniziava ad avanzare su S. Casciano. La cittadina venne presa alle 7:00 del 17/6/1944 dal Battaglione di Fanti di Marina del Pacifico che si spingeva fino a Poggio Crispino catturando alcuni mezzi e non poche armi abbandonate dai tedeschi. A sera tutti gli obbiettivi erano stati raggiunti e il servizio informazioni francese rilevava, pericolosissimi, alcuni carri pantera. Erano stati respinti, l’avversario concentrava le sue forze in alcuni punti riuscendo a conquistare monte Calcinaio che veniva però ripreso successivamente nel contrattacco. Il 24° battaglione di marcia raggiungeva a sera, Fontevetriana. Dall’alto di Radicofani e di monte Calcinaio i francesi potevano scorgere la piana dell’Orcia ma, oramai, il tempo della divisione di Bosset era finito. Stavano arrivando i marocchini della 2^ divisione di André Dody e sarebbero stati loro ad attaccare la Frieda. I tedeschi segnalavano: sulla Cassia forte movimento di mezzi motorizzati in direzione nord. Le forche caudine erano passate.

EPOPEA DELLA 13^ D.B.L.E. – CAMPAGNA D’ITALIA 191

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(Demi …. Lègionaire Etrangère)

La 13^ ha ricevuto l’ordine di aprire la via alle truppe alleate dirette a Nord.

Il 17 giugno 1944 il 1° B.L.E. arriva nelle vicinanze di Radicofani, davanti a Torre Colle (Tre Colle?) porta d’ingresso in Toscana. Nel corso della giornata, i Legionari, hanno i primi combattimenti durante i quali catturano 10 soldati nemici. Radicofani 18 giugno 1944. Il Comune di Radicofani è presidiato da elementi del 26° e 29° Panzer grenadiere Divisionen e del 3° Reg. Paracadutisti. La difesa del Borgo è ben organizzata, soprattutto all’entrata nel grande Palazzo del “Podestà” e nel Torrione che domina tutta la pianura circostante dall’alto dei suoi 896 mt. Il Palazzo del Podestà costituisce un primo importante osservatorio per il Maggiore RADGENS che comanda il presidio; dispone di 12 mitragliatrici e di due cannoni da 75 PAC e di 3 carri armati Panzer come artiglieria. Forze alleate di appoggio cominciano l’accerchiamento della Zona da Est. Il 1° Batt: L.E. si avvia il villaggio. Sono le ore 09,00 del 18/6/44. Il Comandante De Serigné dovrebbe essere appoggiato da carri armati e dall’artiglieria Divisionale. La foschia mattutina favorisce il dispiegamento della 2^ e 3^ Cia che procedono in testa. Ma la manovra di avvicinamento del Gruppo blindato dell’8° Reg. dei Cacciatori d’Africa è ostacolato. I carri armati non possono lasciare la strada senza il pericolo di impantanarsi e non possono procedere sulla stessa che è completamente minata e battuta dall’Artiglieria nemica. Il fuoco nutrito di armi automatiche blocca completamente la colonna blindata a trecento metri dalla casa del Podestà. Alle ore 09.00 esatte. I Legionari attaccano. Il tiro delle mitragliatrici Breda impedisce alla 3^ Cia di avanzare. Il suo comandante, il Cap. De LUSANCAY è ferito al braccio, Bisogna, assolutamente, ad ogni costo, neutralizzare 4 nidi di mitragliatrici da 20 mm che difendono il Fortino. Il S/Ten POIREL, dando prova di audacia, con 6 Legionari, tenta di introdursi nella casa fortificata. Il movimento del Commando sfugge alla sorveglianza dei difensori. I Legionari riescono ad introdursi nella fortificazione ed occupano tutta la casa. In pochi minuti la Guarnigione, valutata a più di 100 nemici si arrende. Il Maggiore RADGENS non sopporta questa umiliante sconfitta. Verrà trovato suicida, nella soffitta, con una pallottola in testa. Questo magnifico colpo di mano permette alla 2^ Cia di attaccare, frontalmente, il Villaggio. A sua volta, nel primo pomeriggio, il S/Ten. JULLIAN, il cui coraggio temerario è già leggenda, si impadronisce del Torrione. Infatti scala, con i suoi Legionari, lo stretto sentiero roccioso che parte dal Borgo. Con la sua consueta foga non esita ad entrare da solo nella Torre che espugna con le bombe a mano. Durante l’azione si trova faccia a faccia con 7 soldati nemici che cattura. Alle 17.00 non c’è più resistenza. Questi combattimenti furiosi sono costati cari al nemico che, oltre i morti, lascia sul terreno anche 115 prigionieri. Dura, ma gloriosa giornata per il 1° Batt. della 13^. D.B.L.E. Le azioni eroiche si sono succedute a ritmo incalzante. I Legionari, sempre degni dei loro energici ed intrepidi Comandanti hanno rivaleggiato d’audacia. La loro tradizionale disciplina al fuoco ha contribuito, in maniera decisiva, a scardinare la difesa di Radicofani ed aprire, così, la via alle truppe alleate in marcia verso nord.

RENATO MAGI

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Di anni 18 – muratore – (aveva fatto domanda di entrare nel corpo dei carabinieri aiutato, forse dal suo amico Vittorio Tassi) nato a Radicofani l’8 settembre 1925 -. Dai primi di marzo appartenente alla formazione operante, sotto il comando di Vittorio Tassi, nella zona di Radicofani -. Sorpreso il 15 giugno 1944 da pattuglia tedesca e trovato armato di bombe a mano -. Condotto nei pressi della cantoniera detta “Vittoria”, lungo la strada Radicofani-Chianciano -. Fucilato da plotone tedesco, alle ore 7 del 17 giugno 1944, con Vittorio Tassi.

Questa la lettera scritta, prima di morire, inserita nelle lettere dei condannati a morte della resistenza europea e nel libro di esempio di lettere di MARINO MORETTI – DOMENICO CONSONNI “LINGUA MADRE” Grammatica Italiana moderna per le scuole Medie – Società Editrice Internazionale – Torino – Ristampa Ottobre 1957 – Pag. 333. Nel libro sopradescritto viene presentata con questa dicitura: lettera alla mamma scritta pochi minuti prima di morire. È necessario dirti che non vuol essere solo un esempio di lettera?

Strada Radicofani-Chianciano, 17 giugno 1944.

Cara mamma,

Oggi 17 alle ore 7, fucilati innocenti. La mia salma si trova di qua dalla scuola cantoniera dove sta Albegno, di qua dal ponte. Potete venire subito a prendermi. Mi sono tanto raccomandato, ma è stato impossibile intenerire questi cuori. Mammina, pregate per me, dite ai miei fratelli che siano buoni, che io sono innocente. Mentre scrivo ho il cuore secco, mamma e babbino cari, venite subito a prendermi. Dite alla cara Maria che sia buona, che io la ho voluto tanto bene e che si ricordi di me. Abbiamo dieci minuti ancora. Baci, a tutti per sempre. Sono il primo. L’anello datelo alla mia Maria che lo tenga per ricordo.

VITTORIO TASSI

Di anni 41 – carabiniere – nato a Radicofani (Siena) il 1° maggio 1903 – comandante di una formazione partigiana operante nella zona di Radicofani, sulle montagne di Cetona e lungo la via Cassia, effettua colpi di mano su colonne tedesche – In seguito alla cattura, da parte di una pattuglia tedesca, di Renato Magi, partigiano nella stessa formazione, si espone, nel tentativo di scagionarlo, al punto di scoprire le proprie responsabilità -. Condotto nei pressi della cantoniera della Vittoria, lungo la strada Radicofani – Chianciano -. Fucilato da plotone tedesco, alle ore 7 del 17 giugno 1944, con Renato Magi -. Medaglia d’oro al valor militare.

Cara Olga, oggi 17 alle ore 7 fucilati innocenti la mia salma si trova di qua dalla scuola o cantoniera dove sta Albegno.

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Cara Olga Ti raccomando i nostri figli confortali e voglia loro bene quanto gliene volevo io secondo mio ultimo desiderio io direi di non risposarti più però fai secondo di come saranno le tue possibilità finanziarie. Come ti ripeto tu puoi prendere la mia salma anche a mezzogiorno di quest’oggi stesso, io mi sono tanto raccomandato ma è stato impossibile intenerire questi cuori. Perdonami se qualche volta sono stato cattivo con te ma ti faccio presente che ti ho sempre voluto bene.

Cara Mamma, Vi raccomando di aiutare mia moglie e i miei figli quanto più potete, perdonatemi di tutto, Vi bacio.

Vostro Vittorio morto innocente

Cari suoceri anche voi aiutate e sorvegliate i miei figli e specie oggi in questo giorno difficile. Mia cara Olga avrei tante cose da dirti ma non posso più scrivere perché ho il cuore secco. Dirai a tutti perché sono morto se Iddio vuole ci rivedremo in cielo e di lì non ci separeremo più.

Caro Ercole sii buono e ubbidiente e ricorda spesso il tuo babbo. E tu cara Anita sii buona a fai la ragazzina per bene che Iddio ti aiuterà. Vi bacio tutti per l’ultima volta.

Vostro Vittorio che muore innocente

detti orologio e portafoglio a Beppino gli stivali li lascio a Ercole dirai a Remo che muoio io e Renato soli con il nostro segreto.

Tutte e due le lettere sono state pubblicate sia sulle “Lettere dei condannati a morte della Resistenza” sia sui Condannati a morte della Resistenza Europea.

Qui sotto le foto del cippo della Legione Straniera e il cippo dove furono fucilati i partigiani:

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LO STATUTO DEL COMUNE DI RADICOFANI DELL’ANNO 1255 “Bullettino Senese di Storia Patria”, 42 (1935).

La traduzione dal latino di questo statuto è stata curata da Don Ferruccio Marcello Magrini, che conosciamo per i libri che ha scritto su Ghino di Tacco, grazie ai documenti del Cecchini che gli fece avere l’autore del presente libro, il quale ha curato le aggiunte in corsivo, con questo carattere e sottolineato. Si riporta, qui di seguito, sia l’originale che la traduzione.

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Prima, però, di riportare lo statuto riportiamo anche le considerazioni che il Piattoli ha fatto in prefazione nel suo articolo sul “Bullettino Senese di Storia Patria” dove è stato edito: Il possesso del castello di Radicofani rimase incontrastato alla badia di S. Salvatore dell’Amiata435 fino al momento in cui cominciò a divenire sensibile l’influenza del comune di Siena, forte della donazione della sesta parte del castello (e del borgo) fattagli nel marzo 1138 dal conte Manente di Pepone436. Ma la non lieta avventura dell’abate Ranieri, subita nel luglio 1145 sotto la pressione dell’esercito senese, per cui in certo modo egli dovette riconoscere la supremazia di Siena su Radicofani437, agevolò la cessione della metà del paese a papa Eugenio III nel maggio 1153438. Così ad un vecchio padrone vacillante e ad un padrone probabile assai prossimo si sostituiva una potenza lontana e spesso immersa in faccende che la tenevano distratta dal pensare al piccolo possesso, favorendo lo sviluppo di un’organizzazione comunale. Nel 1256 Radicofani con Proceno ed Acquapendente dipendeva da un castellano sottoposto al rettore del patrimonio di San Pietro (alla metà del XIV° sec. Il castellano era Dino da Radicofani) in Toscana439. La sua giurisdizione non si limitava alle fortificazioni, comprendendo tutti i diritti sui territori, ma siccome Radicofani allora era retta da un podestà coadiuvato da un consiglio e agente secondo una carta statutaria redatta dai rappresentanti dei comunisti, ne indurremo che il castellano deteneva i diritti feudali e forsanche nominava i podestà nei centri che avevano ottenuto dal pontefice un’autonomia amministrativa. Ignoriamo quando in Radicofani cominciarono a vivere organismi che preludessero al Comune; ad ogni modo nei frammenti che studieremo si parla di un privilegio pontificio, che concedeva agli abitanti di non essere convenuti fuori dal territorio. Di qui la concessione legittima di uno statuto e del suo esecutore, il podestà. Pertanto non anteriormente al 1153 si sarà costituito il Comune, il che coincide con la caduta dei poteri diretti dell’abate Amiatino. Il più antico statuto intiero della comunità di Radicofani pervenutoci appartiene al 1397 (1441), quando il castello, pur rimanendo nel patrimonio pontificio, era sottoposto alla protezione di Siena440. Riescono quindi interessanti, ed occupano un posto non disprezzabile nelle redazioni statutarie dei comuni Toscani i frammenti che noi abbiamo rintracciato mentre costituivano la guardia di un codice della Biblioteca Forteguerriana in Pistoia441, e che appartengono al 5 novembre 1255. L’opera a cui i frammenti trovansi uniti sono le «Sententiae» di S. Bonaventura, in origine distribuite in quattro volumi; ed è il quarto che li contiene, in fine. Le carte di guardia al principio del detto codice e dell’altro volume rimasto furono sottratte in epoca non troppo remota; cosa per noi dannosa, in quanto non improbabilmente contenevano altre parti dello statuto. Ne possiamo dedurre che l’opera giunse al convento Francescano di Giaccherino presso Pistoia, donde alla soppressione napoleonica fu tolta, da Siena o dal territorio Senese, se pure non ebbe la prima sede nel convento dei frati Minori di Radicofani. Né è da dimenticare che i frati di S. Francesco furono in diversi centri i depositari delle carte comunali. I frammenti sono contenuti in due carte, che costituivano il primo foglio dell’ultimo quaderno, - in senso lato, - dello statuto. Non essendo le rubriche numerate, è impossibile arguire il numero dei fogli deperiti del quaderno. La scrittura è a piena pagina; i titoli delle rubriche, in inchiostro rosso, furono collocati dove tornava meglio rispetto allo spazio disponibile. In inchiostro rosso sono pure le lettere

435 Le più complete notizie intorno alla località si trovano, oltre che nell’opera fondamentale di A. VERDIANI BANDI, i Castelli Della Val d’Orcia e la Repubblica di Siena, II ed. Siena, 1927, presso il Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana di E. REPETTI, IV, pag. 709 sgg. e presso O. BICCHI, Radicofani, in «Bull. Senese di Storia Patria», cit., XIX (1912), pag. 123 e sgg. 436 Il Caleffo Vecchio del Comune di Siena, a cura di G. CECCHINI, I, pag. 34 n. 34. – Egli era dei Manenti visconti di Campiglia: cfr. VERDIANI-BANDI, pag. 34 e 36. 437 Il Caleffo Vecchio cit., pag. 57, n. 42. – Cfr. anche VERDIANI-BANDI, PAGG. 36-37. 438 KEHR, Regesta Pontificum Romanorum, III, pag. 241, n. 14. – anche VERDIANI-BANDI, pag. 37. 439 REPETTI, IV, pagg.710-11. 440 ARCHIVIO DI STATO IN SIENA, Statuti, n. 104. 441 Porta la numerazione D-310. 196

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi iniziali di ogni singola rubrica, ed il notaio che scrisse il testo segnò all’estremità del margine di sinistra tali lettere per ricordarsene nel porle a suo luogo in inchiostro rosso. Per comodità degli studiosi abbiamo dato in parentesi quadra una numerazione progressiva alle rubriche giunteci intere o frammentarie sia per la mancanza degli altri fogli, sia perché, per adattarla al codice, la pergamena fu tagliata nella parte inferiore asportando l’ultima linea di scrittura nella prima carta : nella seconda il danno è stato insussistente, essendo mancante solo il margine, ma in questa ha reso lacunoso il testo in qualche parte lo strappo di una sottile striscia di membrana al centro della metà inferiore della carta. Sono sopravvissuti 68 paragrafi dello statuto, un complesso quindi non indifferente di disposizioni. Da esse si trae qualche notizia sull’assetto burocratico del piccolo Comune. Al suo vertice stava la curia comunis presieduta dal podestà, dal giudice e dal camarlingo, con a disposizione uno o più messi. Gli abitanti esprimevano la loro opinione attraverso il consiglio ed il parlamento. Vigilavano l’osservanza dello statuto nelle campagne sei campari. Per la dispersione degli uomini del comune in centri diversi (Borgo Maggiore, Castello, Castelmorro, Bonmigliaccio), in ognuno di questi erano stretti in societates con a capo dei suprastantes. Noi dubitiamo che l’ambito dei gruppi di società fosse limitato alla parrocchia; e che ognuno rappresentasse un piccolo comune entro il più grande retto dal podestà. Certamente le societates preesistettero al grande comune, ma dovettero essere pochi i loro gruppi, non più di quattro. Infatti tre sole chiese a Radicofani ricordano le liste delle decime ecclesiastiche del 1275-76: la pieve di S. Giovanni (Battista) e le chiese di S. Andrea e di S. Pietro442. Ora, se S. Andrea esercitava i ministeri parrocchiali per gli uomini di Castelmorro, e S. Pietro per quelli di Borgo Maggiore443, ne rimane che la pieve era situata al Castello444. Però lo statuto al modo che ricorda i suprastantes di Bonmigliaccio, così dispone anche la costruzione di una chiesa in quella località, cosa che al 1276 ancora non era realizzata e forse non lo fu mai. (Invece nello statuto del 1441 la chiesa di S. Giovanni era stata costruita e lo si ricorda quando si parla dell’elezione dei sacrestani nelle principali chiese del Comune)445. Sorto in un mondo schiettamente feudale, ed intralciato dai diritti feudali spartiti tra la badia di S. Salvatore, il Comune di Siena, la Chiesa Romana, e anche qualche stirpe di signori, il Comune di Radicofani non potette esplicare azione durevole sui territori circostanti né prosperare rigogliosamente liberandosi dei legami che lo avvincevano. Rimane il ricordo di un patto con la abbazia di S. Piero in Campo dagli abitanti di Radicofani rappresentati da Avveduto notaio: non erreremo ponendolo intorno al 1235, anno in cui il medesimo Avveduto stipulò un accordo con il sindaco di Siena in occasione dei danni riportati dagli uomini del suo comune da parte dei fuorusciti di Montepulciano uniti ad alcuni masnadieri senesi446. Termineremo questa nostra breve disamina accennando al numero rilevante di ospedali sparsi nel suo territorio: allo spedale di Spineta dell’omonima badia447 e a quello di Fonte Cecola si accompagnavano gli spedali di S. Maria e di Bonagiunta. Ciò si spiega con il passaggio per la zona dell’antica via Francesca: ivi riposavano i viandanti e i pellegrini stanchi, portando i fermenti delle idee nuove, i cui rappresentanti maggiori, i frati di S. Francesco, avevano creduto opportuno anche fermarsi448. Così accanto alle vecchie badie ricchissime, e di contro ad esse, si posarono i poverissimi,

442 Cfr. Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV, I, Tuscia, a cura di P. GUIDI, Città del Vaticano, pagg. 122, 125, 127, 128 e 129. 442 REPETTI, IV, pag. 710. 444 REPETTI, IV, pag. 711, sembra identificare la chiesa di S. Pietro con la pieve di S. Giovanni, ma, come abbiamo visto, nel sec. XIII erano due enti distinti. La seconda alla sua soppressione, - che non ci risulta in qual epoca avvenisse – fu trasferita nella prima. 445 B. MAGI Radicofani e il suo statuto del 1441, E. Cantagalli, Siena 2004, Rubrica 8, pag. 91 (Nota aggiunta dall’A.). 446 BICCHI, PAG. 132. 447 Dalle rubr. XL e LVI sembra sorgesse nel Borgo Maggiore. 448 La rubr. XLII parla del luogo dei frati Minori; pertanto la data 1257, desunta dal REPETTI, IV, pag. 713, da una lapide sulla facciata di S. Agnese, più che all’edificazione del convento, va attribuita ad un’ampliazione o ad un rifacimento. 197

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi tentando di farle crollare. Insieme sorse dai fedeli dei feudatari, dai liberi, una classe nuova conscia della sua cultura e della sua forza. E noi additiamo l’esponente massimo che essa ebbe in Radicofani in uno degli estensori del nostro statuto, messer Guasta, i cui nepoti omonimi si coprirono di fama servendo l’uno armato, il comune di Firenze, impadronendosi l’altro della signoria della propria patria449, sì da occuparvi il posto un giorno tenuto dal dantesco Ghino di Tacco. R. PIATTOLI

[I].

…………………poterit, teneatur potestas manum percussoris cum qua dapnum, percussionem vel feritam dederit, facere amputari, exceptis minoribus, xiiii. annis, qui pro malefitiis puniantur arbitrio consilii, nisi quis talia fecerit ad sui defensionem.

Articolo 1° ………Il Podestà è tenuto ad ordinare l’amputazione della mano di ogni persona responsabile di aver recato un danno, una percossa o una ferita, a meno che l’offesa sia stata compiuta per legittima difesa. I minori di quattordici anni saranno esentati dal taglio della mano, e la loro condanna verrà stabilita ad arbitrio del Consiglio.

[II]. De pena malifitiorum commissorum (a)450 in curia et certis locis.

Quicumque aliquod malifitium commiserit in curia comunis Radicofani coram potestate vel iudice et camerario, vel in parlamento, consilio, nuptiis (b), vel ad murtuum (c) seu ostem vel cavalcamento (c), penam dupli solvere teneatur pro maleficio commisso et declarato per capitula costituti, nisi hoc fecerit ad sui defensionem. Et si dictam penam solvere non possit, amputetur ei caput.

Articolo 2°

Titolo: Pena per i crimini commessi nella Curia (Palazzo Pretorio) e in altri luoghi adibiti a pubbliche adunanze. (La pena per crimini commessi nella Curia e in certi luoghi) Chiunque avrà commesso una qualsiasi violenza nella Curia del Comune di Radicofani alla presenza del Podestà, del giudice e del Camarlingo (amministratore), oppure durante il Parlamento, il Consiglio, la celebrazione di un matrimonio o di un funerale, o anche in una osteria o sulla pubblica strada, dovrà risarcire il doppio del danno arrecato e riconosciuto dai capitoli dello Statuto, purché non si tratti di legittima difesa personale. Nel caso che il condannato si trovi nell’impossibilità di pagare la multa assegnata dal Giudice, gli sarà tagliata la testa.

[III]. De percussione cum manibus et spentis et eorum pena.

Quicumque alicui dederit alapam, boccatam vel pugillum, si sanguis exierit, pro pena. x. libras, et si sanguis non exierit, .c. soldos; et si ceperit eum per capillos iniuriose, solvat pro pena .c. soldos; et si dederit spentam et non ceciderit, solvat .xx. soldos, et si ex predictis percussionibus et iniuriis ceciderit in terram, solvat pro pena .c. soldos ; et si post casum molestaverit eum faciendo plus iniurie, solvat pro pena .x. libras.

449 REPETTI, IV, pag. 713; BICCHI, pagg. 140-41, 172; VERDIANI-BANDI, pag. 74. 450 - a) commissis. – b) così A, per numptii – nunzi, messi, - c) così A. – 198

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Et hec locum non habeant inter patrem et filium, dominum et servientem, inter frates carnales et personas coniuntas hunius (c) familie vel divise.

Articolo 3°

Titolo: Percosse arrecate con l’uso delle mani o spingendo a terra l’avversario. Elenco delle pene. Chiunque avrà dato uno schiaffo, o inferto un pugno sulla bocca ad altra persona, incorrerà nelle seguenti ammende: se si produce un’emorragia, si dovranno pagare 10 libbre (moneta di rame); se invece non consegue spargimento di sangue, la pena sarà ridotta a 100 soldi. Qualora una persona venga gettata per terra, il responsabile della spinta dovrà pagare 100 soldi. Se una donna insulterà la sua nemica afferrandola per i capelli, la pena stabilita sarà anche in questo caso di 100 soldi. Nell’eventualità che le ingiurie e le percosse risultino cumulative, l’ammenda complessiva assommerà a 10 libbre. Le pene sopra descritte non verranno applicate nel caso che la lite o le percosse avvengano tra padre e figlio, tra il padrone e il suo servitore, come pure tra persone appartenenti alla stessa famiglia.

[IV]. De assalimento et eorum (d)451 pena.

Si quis aliquem assaliverit iniuriose cum armis ad domum suam, solvat .x. libras pro pena, et omnibus et singulis cum (e) ipso euntibus tollantur .c. soldi. Et si alibi assaliverit, perdat .xx. soldos, si clarum fuerit, et si asque armis assaliverit, solvat .x. soldos, et totidem solvat quilibet qui cum eo iverit.

Articolo 4°

Titolo: Violazione di domicilio e pene rispettive. Chiunque si renda colpevole di violazione di domicilio, penetrando armato nell’abitazione altrui, dovrà pagare un’ammenda di 10 libbre. Se la violazione verrà compiuta da più persone insieme, ciascuna di esse è tenuta a versare la somma di 100 soldi. La pena è ridotta nel caso che la violazione a mano armata si verifichi in luogo diverso dall’abitazione. (E se l’assalto viene fatto in un altro luogo, la pena sia di 20 soldi, se tutto è stato manifestato chiaramente, e senza le armi, e 10 soldi ciascuno quando sono più persone).

[V]. De evaginazione (a2) armorum et eorum pena.

Si quis contra aliquem iniuriose evaginaverit spatam, falgonem, cultellum, aut ceperit lanceam seu spedum, mazam aut alia arma malitiosa, perdat .xx. soldos, si clarum fuerit, et si asque armis ammenaverit manu, perdat .x. soldos.

Articolo 5°

Titolo: uso illegale delle armi e relative pene. Se qualcuno minaccerà altra persona sfoderando la spada, afferrando un coltello, impugnando una falce, una mazza o qualsiasi altro strumento offensivo, dovrà pagare 20 soldi. Nel caso che la minaccia sia portata senza armi, la pena sarà ridotta a 10 soldi equivalenti alla metà.

451 - d) evidentemente, il pronome si riferisce ai possibili delinquenti. – e) segue espunto eo. – a2) evaginatione. - 199

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[VI]. De pena intrature domus alterius.

Quicumque malitiose vel furtive intraverit de notte domum alterius vel sine licentia domini domus, solvat pro pena, .xxv. libras, et si de die. x. libras, et restituat quod ecceperit vel astulerit. Quam penam si solvere non poterit, puniatur arbitrio potestatis, si capi poterit, alias autem exbanniatur.

Articolo 6°

Titolo: Pena per furto perpetrato in casa altrui. (Punizione per essere entrato nella casa altrui). Chiunque s’introduca di notte nella casa di altri in maniera furtiva e senza l’autorizzazione del proprietario allo scopo di rubare denaro o altri oggetti, dovrà restituire tutto ciò di cui si è impossessato ed in più pagare un indennizzo di 25 libbre, Se il fatto è successo di giorno oltre a restituire, come sopra, tutto ciò di cui si è impossessato, dovrà pagare un indennizzo di 10 libbre. Se il ladro non è in grado di pagare la forte somma dovuta, il podestà può permutare la cifra con altra pena proporzionata, e qualora si renda latitante verrà bandito dal territorio del Comune.

[VII]. De intratura vinee, orti et capanne, et pena eorum.

Quicumque fregerit vel malitiose intraverit capannam 452(b), ortum aut vineam alterius causa tollendi inde aliquid invito domino, perdat de note (c) .x. libras et de die .c. soldos. Idem intelligatur de posticiis. Et penam solvat qualibet vice et da(n)num emendet ; et stetur exinde dicto et iuramento denuntiantis cum unico teste, exceptis .vi. campariis, quorum cuilibet eorum denuntiationi credatur sine aliquo teste.

Articolo 7°

Titolo: Pena per furto commesso in una vigna, in un orto o in una capanna. (Punizione di chi entra nelle vigne, negli orti e capanne e relative pene). Chiunque penetri deliberatamente dentro il recinto di una vigna, di un orto, o scardini la porta di una capanna con l’intenzione di asportare qualcosa contro la volontà del padrone, sarà punito con una pena di libbre 10 se l’infrazione sia compiuta di notte e con 100 soldi se il furto avvenga di giorno. La stessa pena verrà applicata nel caso che risulti forzato l’ingresso posteriore. La denunzia al giudice dovrà essere convalidata dal giuramento di un unico testimone. Se invece la denuncia venga presentata da uno dei sei campari (Vigili preposti all’osservanza dello Statuto nelle campagne), non occorre la deposizione di alcun testimone.

[VIII]. De pena furti animalium.

Si quis rapuerit vel furtive astulerit equm, iumentum, somarium, somariam, bovem, baccam vel aliquam bestiam grossam, .xx. libras pro pena solvat pro qualibet bestia et plus arbitrio potestatis, et

452 - b) capanna. – c) così A. – 200

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi restituat furtum. Et si restituere non poterit, et si captus fuerit et dictam penam solvere non poterit, eruantur ei oculi de capite.

Articolo 8°

Titolo: Pena per furto di animali domestici. Se qualcuno s’impossesserà furtivamente e porterà via un cavallo, (una bestia da soma), un somaro, un bue, una mucca o qualsiasi altro animale domestico di grossa taglia, dovrà pagare una pena di 20 libbre, ed in più restituire la bestia rubata. Nel caso che il responsabile, dopo essere stato scoperto e arrestato, non sia in grado di restituire il mal tolto, verrà accecato demandando al boia di strappargli gli occhi da ambedue le orbite.

[IX]. De pena massaritiarum alterius.

Item si quis astulerit aliquam massaritiam (d)453 laboratoris de campo alterius, solvat .v. soldos pro pena et rem restituat et dapnum emendet passo ad suum dictum tantum sine alia probatione.

Articolo 9°

Titolo: pena per furto delle masserizie altrui. Parimente, se qualcuno si approprierà di qualche utensile appartenente a un agricoltore, pagherà la pena di cinque (5) soldi e sarà inoltre tenuto alla restituzione dell’oggetto rubato. Per la denunzia, basta soltanto il riconoscimento dell’attrezzo agricolo da parte del proprietario, senza alcun’altra prova.

[X]. De pena bladi, messi et lini alterius.

Qiucumque furtive astulerit bladum, messum vel linum de campo alterius vel area aut maceratorio, solvat .x. libras nomine pene, et restituat bladum seu linum; et hoc in messo, blado et lino ronco. Et si penam non solveret et caperetur, fustigetur cuto ad collum. In blado vero vel messo et lino non ronco si quis predicta fecerit, de notte solvat . xx . soldos, de die . x . soldos, et linum et blandum redat in duplum.

Articolo 10°

Titolo: pena per il furto del grano, della biada e del lino. Chiunque si renda responsabile del taglio di grano e di biada (e del lino) nel campo altrui, oppure di sottrazione di lino dalla fossa adibita a maceratoio, dovrà pagare 10 libbre, oltre la restituzione dei foraggi indebitamente appropriati. E se non potrà corrispondere la multa stabilita, il colpevole sarà fustigato sulla pelle del collo. La pena è ridotta a 20 soldi nel caso che i foraggi si trovino ancora in pianta prima della mietitura (e se la sottrazione è effettuata di notte la pena è di 20 soldi mentre se è effettuata di giorno la pena è di 10 soldi). (Per quanto riguarda il lino e la biada la pena è il doppio).

[XI].

453 - d) massaratiam. - 201

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De pena furti minutarum bestiarum.

Quicumque furtive astulerit aut contrasserit pecudem, capram, porcum vel aliquam bestiam minutam, et clarum fuerit, solvat pro pena . c . soldos et da(n)num emendet in duplum sacramento illius cuius fuerit, et si non solverit et capietur, puniatur arbitrio potestatis. Et quicumque astulerit ocam vel pullum solvat . xl . soldos.

Articolo 11°

Titolo: pena per il furto di animali minuti e da cortile. Chiunque porterà via di nascosto e condurrà nella propria stalla una pecora, una capra, un suino o altro animale minuto, dopo essere stato scoperto e identificato, dovrà pagare come pena 100 soldi e inoltre è tenuto a risarcire il legittimo proprietario restituendo il doppio con deposito giudiziario. E se non ha la possibilità di (restituire quanto dovuto) restituzione, sarà punito ad arbitrio del Podestà. Il furto di un pollo e di un’oca comporta una multa di 10 (40) soldi.

[XII]. De pena interfectionis bestiarum.

Si quis interfecerit equum, iumentum, mulum aut aliquam bestiam crossam (a)454 alterius, solvat pro pena , x . libras et dapnum in dupplo emendet. Et si aliquam bestiam crossam percusserit, solvat pro pena . xx . soldos et (b) emendando dannum in duplum ad pactum et defendimentum domini bestie. De bestiis autem minutis, si aliquam interfecerit, solvat . v . soldos pro pena et da(n)num emended.

Articolo 12°

Titolo: pena per l’uccisione di animali domestici. Se qualcuno si renderà colpevole dell’uccisione di un cavallo, di un mulo o di ogni altra bestia da soma (grossa), è tenuto a pagare una pena di 10 libbre e a risarcire il doppio del danno arrecato al legittimo proprietario. Nel caso di percosse o altri maltrattamenti agli animali (di taglia grossa), la pena prevista consisterà nel pagamento di 20 soldi, (e risarcire il doppio del danno arrecato al legittimo proprietario). Se qualcuno ucciderà delle bestie minute dovrà pagare una pena di 5 soldi e risarcire il danno al legittimo proprietario.

[XIII]. De pena ignis immissi in bonis alterius.

Quicumque immiserit ignem in domo, capanna, blado seu molendino alterius, aut inceserit (c) vel devastaverit vineam, solvat pro pena . xx . libras, semper da(n)num emendando.

Articolo 13°

Titolo: pena per aver procurato un incendio nella proprietà altrui. Chiunque si renda responsabile di aver appiccato il fuoco intenzionalmente a una casa, capanna, mulino, oppure a una messe di grano o di biada, a una vigna, pagherà come pena 20 libbre, oltre al risarcimento del danno procurato.

454 - a) così A. – b) segue espunto h con a principale. – c) inciserit. - 202

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[XIV]. De pena palee et feni alterius.

Si quis astulerit vel auferri fecerit paleam seu fenum de pallareo alterius asque licentia domini, solvat de nocte pro pena .xx . soldos et de die . x . soldos.

Articolo 14°

Titolo: pena per furto di paglia o di fieno. Chiunque s’impossessi e porti via dal pagliaio o dal fienile, senza autorizzazione del padrone, un certo quantitativo di paglia o di fieno, pagherà come pena 20 soldi se il furto è avvenuto di notte, ridotta a 10 soldi se invece il furto si è verificato durante il giorno.

[XV]. De pena exfortiamenti mulierum.

Quicumque exfortiaverit aliquam femminam nuptam, vel vim intulerit causa iacendi cum ea, solvat pro pena . xxv . libras. Si autem ipsa femmina non fuerit nutta, solvat malefactor . x . libras. Si autem non poterit solvere (d)455 dictam penam, multetur in manu vel pede, salvo quod si infra . xv . dies a die violentie commisse voluerit eam recipere in ussorem, nulla pena auferatur eidem.

Articolo 15°

Titolo: pena per violenza carnale contro le donne. Chiunque si renda colpevole di stupro a danno di una donna sposata e non consenziente, pagherà come pena 25 libbre. Nel caso che si tratti di una ragazza nubile, la pena è ridotta a 10 libbre. Se l’aggressore non possiede denari sufficienti per compensare l’oltraggio, sarà mutilato con il taglio di una mano o di un piede, salvo che, entro 15 giorni dalla violenza commessa, vorrà riparare con la celebrazione del matrimonio.

[XVI]. De malefitio commisso a filio familias (a).

Si quis filius familias malefitium commiserit, de quo dapnum sit espressum per capitulum costituti, et penam non solveret, cogatur pater assignare potestati vel iudici aut camerario pro comuni madietatem omnium suorum bonorum, et medietas ipsorum bonorum detur patri et alia medietas inter filios divitatur, et pena detur in partem filii delinquentis. Et si pars eius non esset ad penam sufficiens, pro redio (b) sit perpetuo extra exbannitus.

Articolo 16°

Titolo: responsabilità paterna per crimini compiuti da figli minorenni. Quando la trasgressione della legge venga compiuta da un giovane minorenne e questi non abbia la disponibilità per risarcire il danno arrecato, il Podestà o il giudice procederanno al pignoramento fino alla metà dei beni patrimoniali posseduti dal padre del minore, lasciando l’altra metà per il mantenimento della famiglia. E se i beni sequestrati non siano sufficienti al compenso per i danni, il responsabile del crimine verrà bandito in perpetuo dal territorio del Comune come persona insolvibile.

455 - d) solvare. – a) familiax. – b) intendasi residuo. 203

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[XVII]. De pena filii verberantis patrem.

Si quis patrem ceperit per capillos aut aliter vulneraverit seu matrem, primo Dei maledictionem incurrat, et, si capi poterit, mictatur in catena, et in ea triduo teneatur ad minus, et postmodum puniatur arbitrio potestatis, nisi ante quam hoc fiat pro pena solverit . x . libras. Et quilibet filius (c)456 teneatur alere patrem et matrem si eis placuerit.

Articolo 17°

Titolo: pena per il figlio che percuote i propri genitori. Se qualcuno è così snaturato da insultare, percuotere e arrecare ferite al padre, o afferrare per i capelli la madre, incorrerà anzitutto nella maledizione di Dio, e inoltre sarà arrestato e posto in catene, rimanendo in prigione per almeno tre giorni e poi condannato ad arbitrio del Podestà, (eccetto che per la pena paghi 10 libbre.). Il figlio è comunque obbligato a mantenere a sue spese i propri genitori quando divengono anziani e non hanno più la capacità di lavorare.

[XVIII]. De pena ludi ad azara et maledictione sanctorum.

Nulla persona ludat ad ludum, in quo denarii possent perdi, in aliqua ecclesia, nec maledicat Deum vel matrem eius sanctam Mariam virginem aut suos sanctos benedictos, nec ludat ad azara in aliquo loco. Et qui contra fecerit . xx . soldos pro pena qualibet vice solvat, de qua pena sit medietas accusantis; et totidem perdat habitator domus, in qua ludetur, et ille qui ad ludum denarios vel pignus mutuabit, et credatur dicto denuntiatoris.

Articolo 18°

Titolo: pene per la profanazione di un luogo sacro, per la bestemmia e per il gioco d’azzardo. Nessuna persona ardisca profanare una chiesa e qualsiasi altro luogo adibito al culto, o pronunziare maledizioni contro il nome di Dio, della sua santa Madre la Vergine Maria e dei (suoi) Santi. È inoltre severamente vietato praticare in qualsiasi luogo, sia pubblico che privato, il gioco dei dadi nel quale si rischiano forti perdite di denaro. Il proprietario in cui si tiene abusivamente il gioco della Zara (nel quale erano usati tre dadi) sarà multato di 20 soldi, metà dei quali andranno a beneficio di colui che avrà denunziato il fatto alle autorità del Comune.

[XIX]. De pena proiectionis lapidum.

Si quis maior, . xiiii . annis malitiose vel furtive proiecerit lapides (d)457 supra domum alterius, solvat . xl . soldos, si querimonia inde fuerit, singulis vicibus, et dapnum emendet ad estimationem domini domus. Et maior . vi . annis solvat .xx . soldos, si querimonia inde fuerit.

Articolo 19° Titolo: pena per il lancio di pietre.

456 – c) segue espunto fa con m principiata. 457 - d) corretta su s. - 204

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Se qualcuno, maggiore di quattordici anni, con intenzione malevola e di nascosto, scaglierà sassi contro una casa altrui, pagherà 10 (40) soldi ogni volta che sarà colto sul fatto, e risarcirà il danno arrecato secondo la stima fatta dal proprietario dell’abitazione. Nel caso che la sassaiola sia compiuta da un adulto, la pena è elevata a 20 soldi. (E se la sassaiola è compiuta da uno maggiore di 6 anni la pena è diminuita a 20 soldi, dopo la lagnanza alle autorità da parte del proprietario).

[XX]. De pena incisionis arborum.

Quicumque inciserit arborem domesticum in vinea, orto aut meratorio (e)458 alicuius et in campo alterius, perdat . x . libras pro pena et dampnum emendet, exceptis arboribus stantibus in silvis, maghiis (a) et fossatis, de quibus salvatur pena . v . soldorum tantum.

Articolo 20° Titolo: pena per il taglio di alberi. Chiunque si renderà colpevole del taglio di piante da frutto in una vigna, orto, maceratoio o campo altrui, pagherà 10 libbre di multa e risarcirà al proprietario il danno causato. La pena è ridotta a soli 5 soldi se le piante tagliate si trovano nei boschi, nelle macchie o lungo gli argini dei fossi.

[XXI]. De pena tenute et possessionis.

Si quis aliquem de tenuta et possesione rei immobilis estrasserit aut occupaverit, . x . soldos nomine pene solvat et tenutam restituat. Cultus antem non computetur (b) pro re immobili. Et si de tenuta cultus quis (c) aliquem estrasserit, solvat . v . soldos. Etiam si quis tenuta rei mobilis alium privaverit, solvat . x . soldos et omnino tenutam restituat.

Articolo 21°

Titolo: pena per illegittima occupazione di un podere o di un immobile. Chiunque abbia estromesso da un podere o da un immobile il legittimo proprietario, occupando un bene che non gli appartiene, sarà punito con una multa di 10 soldi e con la pronta restituzione di quanto ha indebitamente occupato. Il prodotto delle messi dei campi non è equiparato ad un bene immobile (ma è punito con la pena di 5 soldi). (Ancora, chi abbia privato di cose mobili, la tenuta, o il podere, sia condannato a pagare 10 soldi oltre a restituire totalmente tutto ciò di cui si è appropriato).

[XXII]. De pena illius qui pignus et tenutam (d)459 contenserit balitori.

Quicumque conteserit balitori comunis seu nuntio dare tenutam, aut non permiserit ipsam dari, solvat pro pena . v . soldos. Et si post datam tenutam ipsum molestaverit, aut ipsa usus fuerit contra voluntatem habentis, solvat pro pena . xx . soldos et restituat tenutam. Et si quis de manu (e) balitoris ……….

458 - e) maceratorio. – a) volgare macchie. – b) coputetur. – c) così A. 459 – d) tenuta - e) lettura probabile, essendo tagliata la pergamena.

205

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Articolo 22°

Titolo: pena da comminare a colui che impedisce al pubblico banditore di esigere pegni o depositi cauzionali. Chiunque avrà impedito al Banditore del Comune o all’Esattore di esigere un deposito in qualità di garanzia o caparra, sarà punito con un’ammenda che oscilla tra i 5 e i 20 soldi, secondo la gravità di ogni singola circostanza…………

[XXIII]. De pena turpitudinis ad fenestram.

Nemo proiciat vel proici faciat turpitudinem de fenestra contra domum alterius vel in via publica, et contra faciens . x . soldos pro pena solvere compellatur. Et hoc publice banniatur.

Articolo 23°

Titolo: pena per coloro che gettano dalla finestra le immondizie domestiche. Coloro che trasgrediscono le norme concernenti la pulizia del paese, gettando dalle finestre rifiuti solidi o liquidi (verso la casa altrui e) sulla pubblica via, andranno incontro a una multa di 10 soldi. Questa norma sarà notificata alla popolazione con pubblico bando.

[XXIV]. De pena iniuriarum verborum.

Quicumque alicui desserit (f)460 mentiris, periurum sive cornutum, latronem vel bozam, et mulieri lerciam vel fuiam461, aut aliquod verbum iniuriosum, coram curia, solvat pro pena . xx . soldos, alibi . x . soldos, si querimonia inde fuerit. Et si renvoltaverit iniuriam quam ab alico (g) substinuisset, si coram curia . xl . soldos, si alibi . xx . soldos, si querimonia inde fuerit.

Articolo 24° Titolo: pene per ingiurie verbali. Chiunque offenda altra persona usando male parole o offese del genere: spergiuro, cornuto, ladro, bastardo e se rivolga a una donna insulti come: sudicia, bugiarda, puttana, sarà punito, a seguito di querela da parte dell’offeso, con una multa di 20 soldi, (10 soldi se chi offende si pente). Se l’offesa è fatta, in qualche modo alla presenza di persone della (Curia) la multa sarà di 40 soldi, se chi ingiuria si pente la pena è ridotta a 20 soldi).

[XXV]. De sindicaria offitiarum facienda.

Teneatur potestas infra . ii . menses a principio sui domminatus sindicare omnes offitiales de Radicofano, qui fuerunt pro anno proxime preterito, per iuramenta comunis hominum de Radicofano, si aliquid ipsis offitialibus dederunt contra formam constituti aut consilii. Et si aliquis corum inventus fuerit contra predicta aliquid accepisse, in duplum reddere compellatur.

460 - f) così A per dixerit. – g) così A per aliquo. - 461 - Notisi il valore generico assegnato all’aggettivo dantesco di fronte al significato specifico di ladra. 206

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Articolo 25°

Titolo: controlli sulla correttezza e onestà dei pubblici funzionari. Il Podestà, entro i primi due mesi dall’inizio del suo incarico, è tenuto a controllare il comportamento dei funzionari del Comune di Radicofani rimasti in carica durante l’anno precedente alla sua nomina. E se qualcuno di essi sarà trovato in difetto per aver trascurato l’esatta applicazione degli Statuti o per aver approfittato di denaro o vantaggi a suo favore, sarà obbligato a restituire il doppio dei profitti illeciti percepiti.

[XXVI]. De pace facta pro malefitio infra certum tempus.

De omni malefitio personali commisso inter aliquas personas, et omnibus et singulis verbis iniuriosis seu malefitiis persone, de quibus pena imponitur per constitutum, possit et liciat fieri pax et concordia infra . xv . dies a die commissi malefitii in antea. Et si facta fuerit infra dictum tempus, ex tunc nulla pena auferatur exinde non obstante aliquo capitulo costituti, excepto furto et intrata domus alterius de nocte et de die.

Articolo 26°

Titolo: condono della pena per avvenuta pacificazione entro il tempo stabilito. Per ogni violazione della legge verificatasi nel corso di contrasti tra due o più persone, ovvero per qualsiasi offesa verbale punita dagli articoli dello Statuto, sarà possibile beneficiare di un condono a condizione che sia ristabilita la pace e la concordia entro 15 giorni a decorrere dal momento in cui accaddero i fatti incriminati. Il condono comunque non potrà essere concesso per quanto riguarda i furti e la violazione di domicilio, verificatasi sia di giorno sia di notte.

[XXVII]. De pena spinarum.

Si quis spinas alterius mandrie, vinee vel orti seu campi estrasserit vel inciserit, . x . soldos pro pena solvat.

Articolo 27°

Titolo: pena per il taglio o l’abbattimento di una recinzione della proprietà privata, Se qualcuno aprirà dolosamente un varco nella siepe o nel muro che recinge un ovile, una vigna, un orto, un campo, dovrà pagare una pena di 10 soldi.

[XXVIII]. De pena aiutorii asgarano.

Quicumque de Radicofano dederit consilium, autorium vel iuvamen alicui asscarano traneunti vel stanti per Radicofanum vel etiam Radicofani cum furto, preda rapina, .c. soldos pro pena solvat.

Articolo 28° Titolo: pena per colui che presta aiuto a un ricercato.

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Qualsiasi abitante di Radicofani che fornirà informazioni, protezione o aiuto di ogni genere ad un evaso o fuoruscito, responsabile di omicidio, violenza, furto o rapina, e che si trovi a passare per Radicofani, oppure che si nasconda dentro il paese o nei suoi dintorni, sarà tenuto a pagare una pena di 100 soldi.

[XXIX]. De pena putredinis proiecte in viis Radicofani.

Nulla persona proiciat vel proici faciat in muris castelli vel burgorum Radicofani, vel in fossis nec a fossis intus versus terram, letamen, fecciam, vinacciam seu spazaturam (a)462 aut palglarum, nec in viis publicis nec infra muros predictos, et contra faciens solvat pro pena . x . soldos. Et hoc publice banniatur.

Articolo 29°

Titolo: pena per coloro che scaricano rifiuti nelle vie del paese. Nessuna persona scaricherà rifiuti all’interno delle mura del Castello o dei Borghi di Radicofani, evitando di ingombrare le pubbliche vie con scarichi di terra, letame, feccia delle botti, vinaccia, spazzatura, paglia delle stalle e simili; i trasgressori saranno puniti con una pena di 10 soldi. Quest’ordine sarà reso di pubblico dominio dal banditore comunale.

[XXX]. De pena impedimenti domus et platee mercati.

Nulla persona faciat vel costruat aliquod edifitium propter quod impediatur vel minuatur platea comunis sive mercati. Contra faciens solvat pro pena . lx . soldos, et teneatur insuper quicquid edificatum fuerit elevare.

Articolo 30°

Titolo: pena per coloro che costruiscono (abusivamente presso le piazze ed i mercati) con costruzioni abusive le piazze e i mercati. Nessun cittadino costruirà qualsiasi edificio privato nelle aree riservate alle pubbliche piazze e ai mercati, impedendo il libero esercizio della vita sociale ed economica. I trasgressori pagheranno 10 (60) soldi di multa e saranno costretti a demolire a proprie spese l’edificio arbitrariamente costruito.

[XXXI]. De penitentia danda ospiti et eius pena.

Ordinamus quod quicumque non fecerit dari penitentiam ospiti suo petenti, et fraudem commisserit quod non recipiat penitentiam, solvat pro pena . x . libras.

Articolo 31°

Titolo: Divieto di imporre una tassa di soggiorno ai forestieri. Ordiniamo che nessuno pretenda di imporre una tassa ai viaggiatori in transito per Radicofani. Chi ricorrerà alla frode, sarà punito con un’ammenda di 10 libbre.

462 - a) segue espunta una s. 208

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[XXXII]. De pena portantis panem et vinum ante ostium alterius.

Nemo burgiensium portet vel mictat vinum seu panem ante ostium alterius ad vendendum transeuntibus, vel mensuram aliquam. Contra faciens singulis vicibus solvat . v . soldos, ecceptis (a)463 personis que publice vadunt ad vendendum panem per Radicofanum. Et nemo portet panem vel vinum seu aliqua victualia ad stratam de suttus ad bannum . c . soldorum.

Articolo 32° Titolo: pena per coloro che vendono pane e vino davanti alla porta delle abitazioni altrui. Nessun abitante dei Borghi di Radicofani potrà erigere bancarelle per la vendita del pane e del vino ai forestieri di passaggio, impedendo l’accesso alle case degli altri cittadini. Coloro che violeranno questa norma dovranno pagare ogni volta 5 soldi. La proibizione non concerne i fornai che si recano per le case di Radicofani a vendere il pane. È inoltre proibito alle persone non autorizzate recarsi lungo la strada che passa a valle (di sotto) per vendere pane, vino o altri generi commestibili ai viandanti, pena una multa di 100 soldi.

[XXXIII]. De non recipiendo rem prede et furti.

Ordinamus quod nullus scienter emat vel receptet studiose ab aliquo rem prede vel furti sine parabola illius cuius fuerit. Et si quis contra fecerit, solvat pro pena qualibet vice . lx . soldos et restituat rem eptam (b)464 sine pretio domino rei, salvo quod liceat hominibus de Radicofano rem abblatam pro comuni et a comuni vel ab alio, qui licentiam habuerit, sine pena emere.

Articolo 33°

Titolo: pena per i ricettatori di oggetti rubati. Ordiniamo che nessuno compri o rivenda consapevolmente oggetti provenienti da furti o da sequestri. Coloro che non rispetteranno quest’ordine, saranno puniti ogni volta con una multa di 10 soldi. (60 soldi e dovranno restituire la cosa rubata o sequestrata). È però consentito ai cittadini di Radicofani acquistare oggetti confiscati dalle autorità comunali.

[XXXIV]. De facienda scaraguaita.

Si qua persona non fecerit custodiam terre seu scaraguaitam de die et da nocte, sicut ei iniuntum fuerit, solvat curie singulis vicibus . v . soldos pro pena.

Articolo 34°

Titolo: pena per coloro che si rifiutano di fare il turno di guardia. Se un cittadino si rifiuterà di compiere l’obbligo che stabilisce di effettuare periodicamente il turno di ronda all’interno delle mura, durante il giorno o durante la notte, allo scopo di sorvegliare sul rispetto dell’ordine pubblico, dovrà ogni volta pagare alla Curia una pena di 5 soldi.

[XXXV]. De sellis et de frenis iumentum et aliis armis emendis.

463 - a) così A. - 464 - b) così A per emptam. 209

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Potestas teneatur omnes et singulis habentes iumenta emere sellas, frenos bonos et ydoneos, et spatam, lanceam. cervelleriam et kalcarea, et hec usque ad kalendas martii, ita quod quelibet sella valeat . xx . soldos: et ita per totum annum tenere. Et potestas vel iudex teneatur duabus vicibus in anno facere eas demostrari, et sacramento (c) comunis interrogens si sella, quam ostendit, sit assignantis. Et contra faciens in quolibet capitulo . x . soldos pro pena solvat, et insuper habere et assignare predicta teneatur. Et hoc intelligatur de illis qui non habent predicta, et salvo quod sit in arbitrio potestatis de illis iumentis que videbuntur (d)465 eidem convenientia habere predicta.

Articolo 35° Titolo: obbligo di tenere sempre a disposizione la sella, il freno, le briglie e le armi per chi possiede un cavallo. Il Podestà è tenuto a controllare che tutti i singoli possessori di cavalli si riforniscano di sella, delle briglie, della lancia, elmo e calzari entro il primo giorno di marzo, al prezzo complessivo di 20 soldi; (e in tal maniera tenere tutto l’anno). Il Podestà ed il Giudice hanno altresì l’obbligo di verificare due volte l’anno che tutti i cavalieri dispongano costantemente di quest’attrezzatura completa, sotto pena di pagare 10 soldi per ogni arredo che risulti mancante. (E ciò comprende anche coloro che non hanno le cose suddette e coloro che, per arbitrio del Podestà, hanno bestie da soma che hanno convenienza ad avere le cose sopra elencate).

[XXXVI]. De citinis non faciendis in certis locis.

Item nulla persona faciat nec fieri faciat aliquam citinam a Montelupone illuc sicut mittit per podium Calcinarie, et mictit ad fossatum Nebiaiole, et redit ad Umbricianum, et mittit ad podium Clantine et Faggeta superius, Contra faciens singulis vicibus solvat . xl . soldos pro pena.

Articolo 36°

Titolo: divieto di costruire recinti in alcune località. Nessun proprietario potrà recintare riserve di caccia privata nella zona di Montelupo (Montelupone), nel poggio del Calcinaio, lungo il fosso dei Nibbiali, e nei pressi della strada che da Umbriciano conduce alla Faggeta superiore (nel sito di Umbriciano, nel poggio di Clantina e Faggeta Superiore). I trasgressori saranno multati di 10 soldi. (Coloro che trasgrediscono questo divieto dovranno pagare 40 soldi come pena).

[XXXVII]. De roketo fontis Santesis.

Teneatur potestas in principio sui domminatus facere banniri rocketum contra fontem Santesem466 per totum annum. Et si quis inciserit arbores in eadem, vel avellanas collegerit in eadem usque ad festum Sancte Marie de agusto tam in dicto rocketo quam in aliis, solvat pro pena . x . soldos.

Articolo 37°

465 -c) sacremento – d) vedebentur. 466 Oggi Fonte Antese. 210

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Titolo: norme per la macchia della Fonte del Santese (oggi Fonte Antese). (Macchia di Fonte del Santese). Il Podestà è obbligato, all’inizio del suo mandato, di emettere un bando, valido per tutto l’anno, sull’uso della macchia (Macchion Grosso) che si estende intorno alla Fonte del Santese (Il vocabolo antico “Santese” significa: Sagrestano, oppure Amministratore laico di una chiesa). Se qualcuno andrà a fare legna, tagliando le piante che si trovano in detta macchia, oppure a raccogliere nocciole dopo la festa di Santa Maria di agosto, sia nella stessa macchia come nelle altre vicine, sarà punito con una multa di 10 soldi.

[XXXVIII]. Qualiter mulieres et homines vadant post mortum. Nulla mulier presummat ire vel vadat ad foveam, ad quam corpus defunti seppelliri (a)467 debet, nec exeat de ecclesia causa eundi ad foveam cum eodem, set corpore sepulto exeant de ecclesia et revertantur domum non faciendo moram aliquam supra foveam. Contra faciens pro qualibet vice solvat . v . soldos, excepta femmina penitentie, que possit ire; et adito (b) quod homines primo iusta mortuum et femmine post homines vadat.

Articolo 38°

Titolo: norme per gli uomini e per le donne che partecipano a un funerale. Nessuna donna potrà essere presente mentre il corpo del defunto viene calato nella fossa (sia che il defunto venga seppellito in chiesa che fuori) per non disturbare con il pianto lo svolgimento del rito. Non appena sia stata compiuta la tumulazione, le donne usciranno dalla chiesa per far ritorno a casa. Coloro che non rispetteranno questa disposizione, saranno punite con una multa di 5 soldi. Durante il trasporto dalla casa del defunto alla chiesa, verrà osservato l’ordine che segue: precederà il Clero, poi il feretro, dietro gli uomini e per ultime le donne.

[XXXIX]. Quod mulieres non vadant per pennam.

Nulla mulier presummat ire per Radicofanum causa acquirendi pennam, linum sive bladum per se vel eius nomine. Contra faciens solvat . xx . soldos nomine pene, si inventa fuerit.

Articolo 39°

Titolo: Norme supplementari per le donne. (Affinché le donne non vadano per piume). Nessuna donna potrà percorrere le vie del paese (andare per Radicofani allo scopo di acquisire piume o lino per se stesse o in nome di altre persone) e recarsi nelle case altrui allo scopo di raccogliere piume per fare cuscini, materassi o acquistare lino da tessere. Coloro che saranno colte sul fatto, pagheranno 20 soldi di multa.

[XL]. De ortis non faciendis in certis locis.

Item nulla persona presummat facere aliquem ortum in carbonariis Burgi Maioris, Castelli et Castrimurri infra os fines: in Burgo a cantone cellarii Bonagratie Iuvannutii usque ad rocketum positum supra ospitale de Spinetis. Idem dicimus de carbonariis Castelmorri. Et si quem factum esset

467 - a) suppelliri. – b) così A per addito. 211

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi et inveniretur infra dictos fines, infra unum mensem a principio sui domminatus potestas faciat dissipari, et puniatur in . v . soldis (c)468, et dissipet quicquid fecerit, excepto orto filiorum Richi Malentrata.

Articolo 40

Titolo: Divieto di coltivare orti in determinati luoghi. Nessuna persona potrà impiantare e coltivare un orto privato nelle carbonaie di Borgo Maggiore, del Castello e di Castelmorro, all’interno della cinta delle mura. Dentro Borgo Maggiore, la proibizione si estende dalle cantine di Buonagrazia di Giovannuzzo fino alla macchia che circonda lo Spedale di Spineta (fino alla macchia posta sopra allo Spedale di Spineta). Lo stesso divieto è valido anche per le carbonaie di Castelmorro. Il Podestà, nel primo mese della sua carica, dovrà punire i trasgressori per l’importo di 10 (5 soldi) soldi, imporre la distruzione degli orti abusivi, fatta soltanto eccezione per l’orto che appartiene ai figli di Arrigo Malentrata.

[XLI]. De rocketo supra ospitale de Spineto.

Nemo rumpat petras in fossato seu rocketo quod est supra ospitale de Spinetis ab ipso ospitali usque ad viam Castellanam, et contra faciens . c . soldos singulis vicibus nomune pene perdat.

Articolo 41°

Titolo: Vincolo per la macchia che appartiene allo Spedale di Spineta. Nessuno potrà spaccare le pietre da costruzione nella macchia di proprietà dell’Ospedale di Spineta, a iniziare dallo stesso Spedale fino a tutta la Via Castellana. Chi trasgredisce questo vincolo, pagherà ogni volta 100 soldi. – (Questo Spedale, fatto costruire dall’Abbazia di Spineta all’inizio della strada che conduce alla Fortezza, assunse in seguito il titolo di “Spedale dei Pellegrini” e successivamente quello di “Spedale di San Pietro”. (Fu soppresso nel 1782 dal granduca Pietro Leopoldo di Lorena, e la sua esistenza è attestata nella toponomastica attuale con la “Via dello Spedale”).

[XLII]. De rocketo circa locum fratrum.

Nemo rumpat petras seu incidat arbores vel frasscas in rocketo circa Bo(n)miliaccium, quod est a cisterna usque ad petram Grossam a capanna que fuit Intende Baldini. Et nemo incidat arborem vel frasscas, aut faciat ligna im rocketo circa fratum Minorum. Contra faciens . lx . soldos solvat singulis vicibus. Et nemo incidat arbores seu frasscas, nec incidat seu rumpat petras in rocketo de muro Bo(n)miliaccii foras usque ad locum ubi est capanna Burnetti Godinelli, usque ad domum Fighinensium, et contra faciens . x . soldos qualibet vice solvat.

Articolo 42°

Titolo: Vincolo per la macchia di Bonmigliaccio e per quella che appartiene al Convento dei Frati Minori (San Francesco Vecchio). – (La macchia vicino ai frati). Nessuno potrà spaccare le pietre da costruzione o tagliare alberi e frasche nella macchia che si estende intorno a Bonmigliaccio e che confina con la cisterna fino al Sasso Grosso e alla capanna (che fu) dell’Intendente Baldini. Parimente, è vietato tagliare alberi e frasche, o raccogliere legna nella macchia che circonda la proprietà dei Frati Minori Conventuali. Per i trasgressori sarà comminata una

468 - c) sottinteso quilibet contra faciens. 212

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi multa di 10 soldi (60 soldi) ogni volta. (E nessuno tagli alberi o frasche, ne spacchi pietre nella macchia vicino al Roccheto e muro di Bonmigliaccio fuori dal luogo dove è la capanna di Burnetti Golinelli e vicino alla casa di Fighinesio, per i trasgressori verrà comminata una multa di 10 soldi ogni volta)

[XLIII]. De spatio dimittendo pro edifitiis.

Quicumque voluerit facere aliquod hedifitium iusta viam pubblicam dimitat solium et spatium . vi . brachiorum ad brachium canne senensis pro via inter rem suam et rem sui convicini; et si erit in strata, dimitat per . ii . cannas proud videbitur potestati sive iudici: et si erit in retto vicinali, dimictat per . viii . pedes, et, si minus esset via ibi et si plus esset, plus dimictat. Contra faciens . xx . soldos pro pena sol[vat et ] (a)469 dissipet quicquid ultra hedificaverit. Et hoc intelligatur in Radicofano usque ad ospitale fontis Cecule, usque ad ospitale de Sancta [Maria] ……….(a).

Articolo 43°

Titolo: distanze da mantenere nella costruzione di edifici privati. Chiunque vorrà edificare una casa privata lungo la via pubblica, dovrà lasciare una distanza di sei braccia di Canna senese tra l’edificio da costruire, (e se sarà costruito sulla strada libera per due (2) canne, può costruire con licenza del Podestà o del Giudice, se è dietro ad un vicino può costruire a 8 piedi e se la distanza è minore deve distanziarsi di tanto), la strada e le case dei vicini. Queste distanze dovranno essere osservate anche intorno allo Spedale di Fonte Cecola (acqua salmastra) e allo Spedale di Santa Maria. Chi non rispetterà queste norme, dovrà pagare 20 soldi oltre alla demolizione dell’edificio.

[XLIV]. Questo aticolo manca di titolo perché la pergamena è stat parzialmente tagliata.

….sursum et citinell(is) intus, a meratorio Proventiani sursum, ab ospitale Bonaionte sursum, a petra Posatoria intus, a cerreto Guilielmi intus, a petra Pintiuta sursum, a postitiis sursum debeat et teneatur ponere vineam ad unum starium semente ad maiorem starium Radicofani usque ad festum omnium sanctorum, et ponere similiter in dicta quantitate terreni usque ad . xv . plantones (b)470 cuiuslibet arboris domestice et fructus afferentis. Et quicumque ad dictum terminum non fecerit, . lx . soldos nomine pene solvat. Et potestas teneatur super hoc videndo ponere . iii . bonos homines ad sciendum si facta (c) erunt. Ei hoc capitulum teneantur potestas et camerarius facere poni de costituto in costituto.

Articolo 44°

Questo articolo manca di titolo perché la pergamena è stata parzialmente tagliata. L’argomento tattato riguarda l’impianto di nuove vigne. ………. (al di sopra e in prossimità , entro il negozio di Provenzani, sopra lo Spedale di Bonagiunta, entro la pietra Posatoria, entro il cerreto di Guglielmi, sopra la pietra Pinzuta, e dopo tutto questo chiunque …) Chiunque vorrà piantare nuove vigne nella campagna di Radicofani, dovrà occupare al minimo la superficie equivalente a uno staio di semente e intramezzare i filari con almeno quindici piante domestiche e da frutto. Il periodo stabilito per la

469 - a) tagliata la pergamena. 470 – b) plantonis. – c) segue una p. – a2) Leggasi Sinibardi. 213

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi messa a dimora dei vitigni non dovrà oltrepassare la festa di tutti i Santi (mese di Novembre). (Chi non rispetterà questi detti termini dovrà pagare la somma do 60 soldi di multa). Il Podestà assumerà tre sorveglianti esperti per controllare che le norme siano rispettate. (E questo capitolo [oggi diremmo articolo] sia mantenuto dal Podestà in modo che il ministro futuro sia tenuto a portarlo da Statuto a Statuto).

[XLV]. De confinibus vinearum non intradis cum bestiis.

Ordinamus quod a festo sancte Marie de agusto usque ad perfectas vendemias nulla pecura transeat a strata ospitalis Bonaionte usque ad podium Sassete, et a Mattonasria sicut mittit via que venit ad citinas, et vadit per fossatum Melanensem ad podium Trifolli, et a fornace Ioannis Sinbardi (a2) intus, a Petriscaia intus, a podium Scolculi intus, a strata de Sturtis intus usque ad fossarellam campi Iannini et redit in fossato Voltiole et redit ad rigum, ad vadum Cellensem usque ad Cotone, et mittit per fossatum Fagelle, et mittit per fossatum Melglani ad podium Trifolli. Et qui contra fecerit pro qualibet foccla solvat . xx . soldos.

Articolo 45°

Titolo: Costruzione di siepi per impedire agli animali di penetrare all’interno delle vigne. Ordiniamo che dalla festa di Santa Maria di agosto fino al termine della vendemmia, nessun gregge di pecore transiti per la strada che conduce dallo Spedale di Bonagiunta fino a Poggio Sasseta, e inoltre dalla strada che va dalla Mattonaia (così come s’immetta nella via prossima, e vada per il) al fosso della Milanese, come pure dall’altra strada che congiunge il poggio di Trecolle (o Piantrafolla?) (Dentro) alla fornace di Giovanni di Sinibaldo, (dentro a Pietreta, al poggio Scolculi, alla strada di Sturtis e al fossatello del campo di Iannini e passare per il fosso di Voltole e toccare il Rigo) dal fiume Rigo al fosso di Voltole, dal guado di Celle al Cotone, (lasciare per il fossato Fagelle, e lasciare per il fossato Melano al poggio Trecolle [o Piantrafolla?]). Chi trasgredirà queste proibizioni sarà multato di 20 soldi.

[XLVI]. De toto costituto legendo.

Teneatur iudex totum statutum legere, ita quod omnis homo sit certus de hiis que in eo continentur.

Articolo 46°

Titolo: pubblica lettura dello Statuto. Il giudice del Comune di Radicofani è tenuto a leggere nella pubblica piazza dei Borghi tutti i capitoli di questo Statuto, affinché ogni cittadino sia a perfetta conoscenza dei suoi contenuti. La legge non ammette ignoranza.

[XLVII]. De non ocellando cum panno rubeo.

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Nullus ocellator vadat ad oscellandum cum panno rubeo per terram Radicofani ad bannum . xl . soldorum, medietatem cuius banni sit accusantis, et ei qui astulerit non detur (b)471 bannum.

Articolo 47°

Titolo: Divieto di uccellagione con telo rosso. Nessuno può catturare uccelli usando il panno rosso. Questa proibizione è valida per tutto il territorio di Radicofani. I cacciatori che non rispetteranno questo divieto dovranno pagare una multa di 10 soldi (40 soldi), metà dei quali andranno a beneficio di colui che avrà sporto la denuncia.

[XLVIII]. De via a fossato de Spissis.

Item ordinamus quod via comunis a fossato de Spissis usque ad portas Radicofani actetur trainaria, ubi actata non est, ad dictum Serafini Romani et Terrisii, et totum comune Radicofani intersit et faciat per totum mensem madii.

Articolo 48°

Titolo: ampliamento della strada che proviene dal fosso di Spineta. Ordiniamo che la strada comunale che proviene dal fosso di Spineta (Ponte sul fiume Orcia) e conduce alla Porta di Radicofani sia ampliata allo scopo di permettere il transito dei carri. Il lavoro è stato appaltato (Il Comune di Radicofani l’ha appaltato) a Serafino di Romano e al capomastro Terzilio, con l’obbligo che l’ampliamento sia portato a termine entro il mese di Maggio.

[XLIX]. De via Corvarie.

Item Attettur via de Corvaria per totum comune Radicofani, ubi actata non est, a colle Olivoli usque ad Radicofanum ad dictum Serafyni Romi (c) et Terrisii per totum mensem aprelis.

Articolo 49°

Titolo: ampliamento della strada di Corvaia. Parimente verrà ingrandita la strada comunale che da Corvaia e dal poggio dell’Oliveto conduce fino al paese di Radicofani. Anche questi lavori sono stati affidati a Serafino di Romano e a Terzilio e dovranno essere completati entro il mese di Aprile.

[L]. De macinis et eorum pretio.

Quicumque magister da Radicofano sciverit facere macinas, et fecerit, teneatur illas vendere Radicofanensibus parium silicet pro . lx . soldis, et non plus (d), et universis molendinis abatis de Calemala472. Et si pro dicto pretio non dederit Radicofanensibus, aliis non vendat. Et qui contra fecerit solvat pro pena . lx . soldos.

471 - b) qui ei …..det. Si sottindenda ei dopo astulerit. - (a2) leggasi Sinibaldi. c) così A per Romani. – d) plux. 215

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Articolo 50°

Titolo: Costruzione di macine da mulino e loro prezzo. Ogni maestro scalpellino di Radicofani che sia capace di eseguire macine da mulino dovrà venderle ai mugnai di Radicofani al prezzo fisso di soldi 10 (60), senza maggiorazioni. Sono inoltre tenuti a fornire di macine i mulini di Callemala che sono di proprietà dell’Abbazia di San Salvatore. Se non verrà rispettato il calmiere stabilito, dovranno subire una pena di 10 (60) soldi. (Le macine da mulino di Radicofani erano molto ricercate per la durezza e la resistenza della lava rossastra con cui venivano eseguite) Di quest’attività di cui parla pure il Gherardini nella sua venuta a Radicofani nel 1676, non siamo riusciti, per ricordala, visto che è durata circa 8 secoli, a farci nemmeno il Palio che era previsto nello Statuto e, quindi, non abbiamo nulla che ci possa ricordare questa importante attività durata tanto tempo.

[LI]. De via de molinis.

Item via de molendinis de Perticariis actetur ab agro domini Guaste de podio de Scolculo usque Radicofanum per homines Burgi ad dictum Tancredi domine473 (a) Guilie per totum mensem madii.

Articolo 51°

Titolo: Manutenzione della strada che conduce ai Mulini. Agli uomini che abitano Borgo Maggiore (?) spetta il compito di mantenere in efficienza la strada che porta al Mulino dei Perticari, attraverso i campi di proprietà del Signor Guasta. I lavori di manutenzione dovranno essere eseguiti entro il mese di Maggio. (Sotto la direzione di Tancredi di donna Giulia nel mese di maggio)

[LII]. De vie masse Score.

Attetur et arrenetur silice, ubi actata non est, a massa Scole usque ad ospitale Fontis Ceculi (b)474 per totum mensem agusti per homines Castelli, Castri Murri et Bo(n)miliacii ad dictum Iohannis Sinibardi.

Articolo 52°

Titolo: manutenzione della strada che conduce allo Spedale di Fonte Cecula. Agli uomini che abitano i Borghi del Castello, di Castelmorro e di Bon Migliaccio spetta il mantenimento della strada che porta allo Spedale di Fonte Cecula. La fornitura e lo spargimento della ghiaia sulla carreggiata saranno effettuati nel mese di Agosto dal predetto Giovanni di Sinibaldo.

[LIII]. De offitio scandali.

472 Intendi: i mulini a Callimala dell’abate di S. Salvatore. cfr, REPETTI, IV, pag. 710. Per i possessi della badia in quella località. – tra cui la chiesa dedicata a S. Cristina, - cfr VERSIANI –BANDI, pag. 27. Alla bontà della lava rossastra di Radicofani per costruire macine da mulini accenna pure il REPETTI, IV, pag. 714. 473 ) a) segue espunto Guaste. 474 – b) eu aggiunto nell’interlinea. 216

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Nemo prestet impedimentum offitio scandali ad bannum . v . soldorum, et una sit regula pro quolibet populo comunis et non ultra. Et si aliquis puer faceret aliam, solvat . v . soldos.

Articolo 53°

Titolo: pena che verrà comminata a coloro che non rispettano le servitù. Se gli abitanti delle quattro contrade che compongono il Comune di Radicofani si rifiutano di assolvere gli oneri connessi agli obblighi di servizio ad essi spettanti, andranno incontro ad una pena di 5 soldi “pro capite”. (Nessuno sia di ostacolo ai doveri che ciascun [cittadino] del popolo del comune deve avere per regola, e colui o coloro che non li rispettano dovranno pagare per ammenda 5 soldi. E, la stessa cosa, vale anche per i ragazzi. Anch’essi paghino 5 soldi se non rispettano gli obblighi dello Statuto).

[LIV]. De requisitione fornariorum.

Iudex comunis teneatur ter in anno inquirere fornarias si bene faciunt suum offitium, et si aliquam invenerit475 (c) contra facientem, solvat . x . soldos pro pena.

Articolo 54°

Titolo: controlli periodici per i fornai. Il Giudice del Comune di Radicofani è tenuto a verificare tre volte l’anno l’attività dei responsabili che gestiscono i forni; e qualora si riscontri qualche irregolarità o trascuratezza per quanto concerne la qualità della farina e la cottura del pane, sarà applicata l’ammenda di 10 soldi.

[LV]. De observando contractum cum abate Santi Petri in Campo.

Potestas et totum comune Radicofani iuramento teneatur observare et facere observari contractum factum inter Avidutum notarium, sindicum comunis, et do(m)num Jacobum abatem Sancti Petri in Campo et Bartholomeum sindicum eiusdem ecclesie ex altera, sicut plene continetur in istrumento facto manu Benvenuti notarii. Et hoc, capitulum de costituto in costituto ponatur.

Articolo 55°

Titolo: obbligo di osservare il contratto con l’Abate di San Piero in Campo. Il Podestà e i Magistrati del Comune di Radicofani sono tenuti sotto giuramento a osservare e a far rispettare il contratto stipulato, tramite il notaio Avveduto rappresentante del Comune di Radicofani, con il signor Giacomo, abate dell’Abbazia di San Piero in Campo (Valdorcia), rappresentato dal suo amministratore Bartolomeo incaricato da quell’Abbazia, come chiaramente è contenuto nel contratto scritto per mano del notaio Benvenuto. Questo capitolo sarà ripetuto anche negli Statuti successivi.

[LVI]. De complendo murum post domus Ranerii castaldi.

475 - c) inverit. 217

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Potestas sive camerarius teneatur cogere suprastantes sotietatum Burgi Maioris facere fieri per homines ipsius Burgi murum cum pettoralibus et merlis inceptum post domum Ranerii castaldi usque ad cantum domini Iacobi Vendibovis iuxsta viam qua itur ad fontem usque ad kalendas ottubris proxime venturas. Et potestas cogat abbatem de Spinetis et ospitalarios facere et complere presam que remansit anno preterito, et iuvare suprastantes ad alias presas faciendas, sicut placuerit suprastantibus; et si nollet facere, potestas et iudex faciant fieri de bonis eorum. Et fiant in dicto muro due cocle, una inter domum Iacobi et Ildebrandi Legesis, et alia inter domum Rola(m) (a)476 et domum ospitalis. Et hec fiant ad dictum et voluntatem Ranerii castaldi et Borgarelli, qui sun(t supr)states ad dictus opus faciendum.

Articolo 56°

Titolo: completamento del muro di sostegno che si trova sotto la casa del Castaldo (vocabolo di origine longobarda che significa: amministratore) Ranieri. Il Podestà ha il dovere di imporre ai Governatori che presiedono la popolazione di Borgo Maggiore a far erigere dagli uomini dello stesso Borgo un muro completo di parapetto e di merli sotto la casa del castaldo Ranieri fino al cantone dell’abitazione del signor Giacomo Vendibovi, lungo la strada che conduce a Fonte Grande; Il lavoro dovrà essere ultimato per il 1° di ottobre prossimo venturo. Inoltre il Podestà dovrà costringere l’Abate di Spineta e gli amministratori che dirigono l’ospedale che appartiene all’Abbazia a completare i lavori rimasti sospesi lo scorso anno. In caso contrario, il Podestà (e il Giudice) provvederà (provvederanno) al completamento di detti lavori, addebitandone il costo all’Abbazia. (E questo sia fatto per ciò che ha detto e per la volontà del castaldo Ranieri e Borgarelli, che sono i suprastantes dell’opera che sarà fatta).

[LVII]. De istrumentis inveniendis.

Teneatur potestas infra unum mensem a principio sui domminatus invenire omnia [instrument]a comunis, et specialiter et nominatim instrumentum sive licteram papalem, in qua continetur quod aliquis (b)477 non possit extra Radicofanum conveniri, et dep(onan)tur apud quemdam bonum massarium eleptum per consilium.

Articolo 57°

Titolo: conservazione dei documenti pubbici (che riguardano il Comune). Il Podestà, nel primo mese dall’inizio del suo incarico, dovrà ottenere tutti i documenti che legalizzano la sua nomina, e in particolare gli atti notarili, le Bolle pontificie e gli attestati che comprovano la sua origine non radicofanese, essendo il Podestà di regola forestiero. Tali documenti saranno raccolti e conservati nell’Archivio del Comune.

[LVIII]. De via fontis Pergule.

Actetur et silicetur et arenetur via de fontis Pergula ab orto Ioannis [….]zuculi usque ad plebem Viclani per homines Castelli et Castelmorri per totum mensem aprelis ad dictum Rai[neri]i Baroncelli, et fiat ponticellus a Mattonaria, et aqua de fonte Pergula curat infra rem domine Sapie et rem Rollandi Vegnentri.

476 - a) rola(n)[di]? - 477 - b) aliqui. - 218

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Articolo 58°

Titolo: strada che conduce a Fonte Pergola. Dovrà essere mantenuta in efficienza la strada di Fonte Pergola con regolari lavori di manutenzione, utilizzando ghiaia e sabbia di fiume (?). Il tracciato di questa strada inizia dall’orto di Giovanni Zucoli e termina alla Pieve di Castelmorro (la via di Fonte Pergola dall’orto di Giovanni …Zucoli fino alla plebe di Viclano e ci devono lavorare gli uomini di del Castello e quelli di Castelmorro)478. È affidato l’incarico a Ranieri di Baroncello per far costruire entro il mese di aprile un piccolo ponte alla Mattonaia, permettendo all’acqua che sgorga da Fonte Pergola di scorrere attraverso i campi di proprietà del signor Sapia e di Rolando Vegnantri.

[LIX]. De [via] de Agiano facienda.

Attetur479 c), silicetur et arenetur via ab Incarerata usque ad apparitori[un de Spi]netis per homines Burgi Maioris usque et per totum mensem maii ad dictum et ad mandatum Michaelis Fylippi.

Articolo 59°

Titolo: costruzione della strada di Agiano. Gli operai di Borgo Maggiore apriranno una nuova strada che dall’incarcerata condurrà fino all’Apparitoia di Spineta. L’esecuzione dei lavori sarà affidata a Michele di Filippo e si protrarranno per tutto il mese di Maggio con l’impiego di sabbia e di ghiaia estratta dal fosso dell’Orcia (dove l’ha trovato il fosso dell’Orcia, anche se ci sta bene?).

[LX]. De via de molinis.

Atetur (d), silicetur et arrenetur via de molendinis de Calemala a campo Ber[tolin]i de Ioiannis usque ad silvam de Planis per totum mensem maii et per totum comune ad dictum Iohannis Iannis.

Articolo 60°

Titolo: manutenzione della strada che porta ai mulini del Paglia. Anche questa importante strada che inizia dal campo di Bertolino (di Giovanni) e, attraverso la Selva del Piano (Cerreto Piano?) raggiunge i mulini di Callemala sarà mantenuta in ordine con nuovi rifornimenti di sabbia e ghiaia per riparare l’erosione delle piogge invernali. (e, per tutto il comune, dal detto Giovanni di Nanni. La parte di sotto vale soltanto per i lavori). I lavori saranno diretti da Giovanni di Nanni e verranno effettuati nel mese di Maggio.

[LXI]. De via a molinis.

Attetur, silicetur et arrenetur via de molinis a porta de Cresscis usque ad [viam] que venit de Bo(n)miliaccio per totum mensem maii et per totum comune ad dictum Iacobi Bontalenti.

Articolo 61°

478 - Antico insediamento, quasi certamente di origine Etrusca, che era situato dove o nei pressi di Castelmorro. Si ciamava, in latino “Viclanus”. 479 c ) la a ripetuta. - d) notare come cominciano i capitoli e la differenza che c’è fra i verbi iniziali del capitolo! - 219

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Titolo: manutenzione della strada del Mulino di Cresci (?). È affidata a Jacopo Buontalenti la fornitura di sabbia e di ghiaia per la manutenzione della strada che dalla porta del mulino del Cresci imbocca nella strada che scende dal Borgo di Bonmigliaccio. Anche questi lavori saranno fatti per tutto il mese di Maggio.

[LXII]. De via Bo(n)miliacii.

Attetur via a cantone domus Iacobi Carnevecha usque 480(a) ad portam domus B[….]tis per totum mensem martii, et silicetur de lapidibus rossis481 de Castello per homines Bo(n)miliacii ad dictum Fede Smoche.

Articolo 62°

Titolo: manutenzione della strada di Bonmigliaccio. Gli operai del Borgo di Bonmigliaccio, sotto la direzione di Fede Smoche, cureranno la manutenzione della strada che dalla casa di Giacomo Carnevecchia conduce fino alla porta della casa di Battista. I lavori saranno eseguiti nel mese di marzo; ma per la pavimentazione, anziché adoperare la sabbia e la ghiaia di fiume, sarà utilizzata la pietra rossa (pepa) (io penso quella pietra rossa più compatta e più dura, data la pendenza della strada!) estratta dalla cava del Castello.

[LXIII]. De via Storte [a] domo Melani.

Item attetur via de Storta a casa Melano usque ad exitum cerreti, et sil(ice)tur et stirpetur per homines Burgi Maioris ad dictum Benencase Tornensis.

Articolo 63°

Titolo: manutenzione della strada di Casa Melano. Gli operai di Borgo Maggiore, sotto la direzione di Benincasa Tornensi, ripareranno la strada che dalla Storta conduce a Casa di Melano fino al termine del Cerreto, liberando la carreggiata dagli sterpi e spargendo sopra un nuovo manto di ghiaia.

[LXIV]. De ecclesia Bo(n)miliaccii et eius aiutorium faciendo.

Omnes homines qui habitant estra portam Novam de Castromurro usque ad por[tam] Ormanni, et extra portam Bo(n)miliacci, teneantur iuvare omnes alios de Bo(n)miliaccio et esse cum eis ad hedificandam ecclesiam de Bo(n)miliaccio, ad [om]nia opera et expensas pro ipsa ecclesia. Et potestas cogat eos ad hoc ad (b) voluntatem soprastantium Bo(n)miliacii qui nunc sunt et in antea erunt; et si quis esset nollet etstare, puniatur a . xx . soldis et nichillominus stet cum eis.

Articolo 64°

Titolo: costruzione della Chiesa (di San Giovanni Battista?) nel Borgo di Bonmigliaccio.

480 - a) ausque. - b) segue espunto deu[m]. 481 - vedi nota nell’art.( L). 220

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Tutti gli uomini che abitano al di fuori della Porta Nuova di Castel Morro (Oggi Porta del Vento) e fino a Porta Ormanno, e quelli che risiedono fuori della Porta di Bonmigliaccio, sono tenuti a prestare aiuto agli abitanti del Borgo di Bonmigliaccio e a collaborare con essi per l’edificazione della nuova Chiesa intitolata a San Giovanni Battista (dove ha trovato San Giovanni Battista?482), partecipando a tutta l’opera e alle spese per la costruzione dell’edificio sacro. Il Podestà s’impegna a soddisfare il desiderio degli attuali Governatori di Bonmigliaccio di avere una propria Chiesa, e a tale scopo ordina che vengano puniti con una pena di 20 soldi tutti coloro che si rifiuteranno di prestare il loro contributo all’edificazione e al completamento della detta Chiesa.

[LXV]. De domo Petri Tinacii habenda pro comuni et domo comunis.

Statuimus et ordinamus comuni concordia, quod potestas vel consilium iuramento teneantur per totum mensem ianuarii convocare consiluim483 (c) Radicofani, et in ipso consilio et cum ipso consilio teneatur hemere domum Petri Tinacci et fratruum, (d) que est ad caput Burgi Maioris, pro domo comunis pretio . cc . librarum et abinde infra, si aberi poterit abinde infra.

Articolo 65° Titolo: acquisto della sede del Comune. Stabiliamo e ordiniamo con il consenso di tutto il popolo che il podestà (e il giuramento del consiglio) indica(no) per il mese di Gennaio la convocazione plenaria del Consiglio (di Radicofani) allo scopo di ratificare l’acquisto dell’abitazione di Pietro Tinacci e dei suoi fratelli, che si trova da capo al Borgo Maggiore (oggi Palazzo Pretorio) e che d’ora in poi dovrà servire come residenza ufficiale del Comune di Radicofani. Il prezzo pattuito per l’acquisto è di 200 libbre.

[LXVI]. Qualiter libra fieri debeat, et per quos, et eius modo et ordine.

Potestas de mense aprelis teneatur convocare consilium et in ipso consilio eligere et facere eligi . x . bonos homines per contratas, silicet . ii . de Castello, . ii . de Castromurro et . ii . de Bo(n)miliaccio et . iii . de Burgo Maiori, qui . x . iurent ad santa Dei evangelia allibrare omnes homines de Radicofano sicut eis videbitur; et ad libram quam ipsi facient datium colligatur, et bona illorum . x . allibrentur per consilium.

Articolo 66°

Titolo: imposizione e ripartizione delle tasse comunali. Entro il mese di Aprile, il Podestà farà convocare il Consiglio, nel corso del quale saranno eletti (10) dieci Probiviri così ripartiti per le quattro contrade del Comune di Radicofani: due Probiviri per la contrada del Castello, due per quella di Bonmigliaccio, due per quella di Castel Morro e quattro per la contrada di Borgo Maggiore. I nuovi eletti presteranno giuramento sul Libro dei Santi Evangeli per dare garanzia di imporre una tassa su tutte le famiglie del Comune secondo giustizia, tenendo conto dei beni e delle proprietà possedute da ciascuna di esse.

[LXVII]. De ortis et capannis supra ospitale Sancte Marie.

482 San Giovanni apostolo ed evangelista. 483 - c) cosilium. – d) così A (ausque). 221

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Liceat unicuique volenti facere ortum et capannam in territorio abatie Sancti Salvatoris supra ospitale Sancte Marie iusta viam Castellanam, facere libere ad voluntatem abbatis et suorum nuntiorum, tracto rocketo.

Articolo 67°

Titolo: regolamentazione (ordinamento) degli orti e delle capanne che si trovano sopra l’ospedale di Santa Maria. Sarà consentito a chiunque lo desideri costruire orti e capanne nel terreno che appartiene all’Abbazia di San Salvatore e che si estende sopra lo Spedale di Santa Maria (poi denominato dei Pellegrini e successivamente di San Pietro) (io, invece, penso che lo Spedale di Santa Maria che apparteneva all’Abbazia di San Salvatore fosse e insisteva nel territorio di Castelmorro il quale dipendeva tutto da quell’Abbazia)484, lungo la via Castellana (corrispondente all’attuale Ripa con Via della Fortezza oggi Via Baldassarre Lanci- architetto, costruttore della Fortezza-). Per i contratti d’affitto, gli interessati dovranno inoltrare domanda direttamente all’Abate oppure ai suoi amministratori.

[LXVIII]. De pretio lapidum.

Teneatur potestas cogere et cogi facere omnes illos qui faciunt lapides et soliti sunt facere, dare centonarium lapidum pro . viii .soldis tantum cum . iiii . cantonibus per centonarium. Et si nollent facere, potestas cogat eos facere, et qui contra faceret . x . soldos qualibet vice solvat. Similiter cogantur illi qui faciunt mattones dare . c . mattonum pro . xxv . soldis tantum et non ultra ad bannum . xx . soldorum. Finitum, completum et correttum hoc costitutum per costitutarios comunis, videlicet dominum Guastam, Olverium Presbiteri, Bernardinum Pepi Iamnini, Baldictionem notarium et Petrum de Brigottis, et ab eis (a)485approbatum per singula, non cancellatum, non interlinatum nec vitiatum in aliqua parte, anno Domini millesimo, . CC . . LV ., indictione . XIII ., tempore Alessandri pape quarti, mense novembris die . V . intrante.

Articolo 68°

Titolo: prezzo per la fornitura di materiale da costruzione (Prezzo delle pietre). Il Podestà è tenuto a imporre un tariffario per gli scalpellini che squadrano le pietre, fissando un costo di (otto) 8 soldi per ogni quantitativo di cento pietre conce, ivi comprese quattro pietre da cantonate. Parimente, coloro che lavorano nelle fornaci riscoteranno 25 soldi per ogni cento mattoni. Chi non rispetta queste tariffe pagherà una multa di 10 soldi per la maggiorazione delle pietre, e 20 soldi per quella dei mattoni.

Questo statuto è stato redatto, completato e corretto dai Costituenti del Comune di Radicofani, e precisamente dal signor Guasta, dal sacerdote Oliviero, da Bernardino di Peppe Giammini e da Pietro del Brigotti, fungendo da notaio Baldizione.

484 Infatti guardando le denominazioni dei Bastioni della Fortezza che sono nominati in base alle chiese dove essi erano rivolti, il Bastione di Santa Maria è subito dopo quello di Sam’Andrea, e prima di quello di San Giovanni (n.d.a.). 485 - a) e corretta su a . –

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Lo statuto ha ricevuto l’approvazione per ogni singolo articolo, senza cancellature né correzioni in qualunque sua parte, nell’anno del Signore 1255. Indizione XIII, al tempo di Papa Alessandro IV, il giorno 5 del mese di novembre (entrante).

Radicofani, 15 luglio 1988

Radicofani, lì 3 Marzo 2014

PERSONAGGI ILLUSTRI NATI A RADICOFANI

A nessuno prima delle mie pubblicazioni su “Amiata Storia e Territorio” e su “Centritalia” era venuto in mente di raccogliere in un unico articolo i personaggi illustri o meno cui ha dato i natali la terra di Radicofani, fatta eccezione del Pecci nel XVIII sec. e del Bicchi nel XIX sec. (In modo incompleto). Questi personaggi con il passare del tempo sono stati dimenticati dalla gente di Radicofani e anche da coloro, cultori di storia patria, che avrebbero dovuto ricordarli molto più di Ghino di Tacco, che non era di Radicofani, e che nel nostro paese è restato soltanto tre anni, con qualche sparuta visita poco tempo prima per assoldare i suoi famosi masnadieri per depredare i viandanti sulla via Francigena. Di parere molto più negativo, per ciò che riguarda Ghino di Tacco, Alberto Luchini il quale nel suo “Radicofani” Scandicci 1970 nelle pagg.47 e 48 così recita: «Sembra vietato nominare Radicofani, senza che Ghino di Tacco non venga subito tirato fuori. Personaggio con connotati psicofisici, nel Duecento e Trecento senesi, abbastanza consueti e grossolani……; beneficiò da morto, d’una quaterna di fortune letterarie punto meritate. A) Dell’inserzione in un verso della Commedia di Dante ……… B) Della promozione a medico dilettante e umorista, mercé Boccaccio. C) Del pittoresco-medioevale che, in lui, vollero trovare i romanzieri e memorialisti italiani………………i surricordati Guerrazzi e d’Azzeglio, fruirono dei loro bravi decenni di voga, non sempre gratuita, presso il pubblico leggente connazionale, durante il Risorgimento. D) Del fascino esercitato, ancora nel 1939 su uno dei più patriottici ed educativi scrittori nostri per l’adolescenza. Ci riferiamo a Yambo e al suo romanzo «Il falco della Val d’Orcia» incardinato interamente sulle gesta cavalleresche brillanti, da lui regalate al rapace figlio di Tacco. ……………………………………… Sennonché, e a prescindere da codeste constatazioni, la realtà è, che l’intruso valdichianino Ghino di Tacco, quassù, fu, a malapena, un’apparizione episodica, incapace di metter radici e di lasciar strascichi». Il Mazzuoli nel suo “Pensione Vertunno e dintorni” Abbadia S.S. 2001 - non lo smentisce ma è più moderato affermando: «La grandinata di miliardi, caduta sui restauri del castello, potrebbe costituire l’indispensabile miracolo, per agevolare l’ascesa del “bel Masnadiero” alla gloria degli altari, e non sarebbe fuori luogo nominarlo patrono onorario di Radicofani, con tanto di cerimonia solenne nella Chiesa Parrocchiale, ormai abituata a vederne di tutti i colori. Fin qui fatti e opinioni. Come sia possibile, poi, estromettere dalla storia di Radicofani un protagonista, realmente esistito, autore d’un gran numero di prodezze di ogni genere, passando da una serie di delitti all’amicizia con sua Santità, è un altro paio di maniche. Lo stesso Dante. Senza sbilanciarsi, lo ricorda

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi come giustiziere (o assassino a seconda dei punti di vista) di Benincasa, aretino di nascita e cittadino romano per ragioni d’ufficio.» Come si vede anche fra i radicofanesi colti c’è differenza di opinioni, ma fino ad oggi nessuno ha preso in considerazione gli uomini illustri ai quali ha dato i natali il nostro paese. Vale la pena, quindi, ricordare in queste pagine personaggi importanti nati in questa Terra (come la chiamano Gherardini e Pecci), che con le loro opere o imprese hanno dato lustro al paese di Radicofani486. Più volte in passato e al presente ho cercato di attrarre l’attenzione delle Istituzioni raccontando quello che si conosce su questi personaggi, ultimamente devo dire che qualche cosa, per me ancora poco, è stato fatto. Forse intestando loro qualche via e a lato farne una descrizione più minuziosa possibile potremmo far conoscere alla popolazione questi personaggi e chissà che con il passare del tempo la gente non li senta più vicini a sé. Non è giusto che Radicofani lasci nel dimenticatoio tutti questi personaggi che in passato hanno onorato la storia del paese. A onor del vero il Pecci ricorda «Se non sono i Radicofanesi molto facoltosi, non vi è però alcuno, che non possieda qualche poca vigna, non abbia bestiami e non faccia qualche poca di sementa, e non poche famiglie vi sono antiche e civili...... Radicofani, in ogni età ha mantenuto giovani a studiare nell’Università più culte e molti d’essi sono, in ogni facoltà, divenuti dottori, altri impiegati ne’ governi politici, e altri hanno seguito la milizia…»487 Vito Mazzuoli nel suo libro dichiara: Chi non onora la memoria dei morti, dà un pessimo esempio ai vivi. Ricordo le parole, che oggi mi sembrano profetiche di Luis Buñuel: «Un popolo se non ha memoria del proprio passato è come un albero senza radici, al primo soffio di vento rischia di cadere», ed io credo che se non ricorderemo le nostre vere radici rischiamo di fare la fine dell’albero. Quest’articolo li vuole ricordare tutti quelli di cui sono venuto a conoscenza fino al più internazionale che è tuttora vivente! In primo luogo, va ricordata la famiglia GUASTA (uno di questi è il primo firmatario dello “Statuto di Radicofani del 1255” sopra riportato!), la quale ha dato diversi uomini illustri ed è stata, per antonomasia, la vera famiglia nobile di RADICOFANI488. Anche loro, come Ghino di Tacco, discendenti da un ramo dei Cacciaconti. Tutte le notizie riportate in corsivo-grassetto dei vari personaggi sono state riprese dal ms. del Pecci ricordato nella nota n. 485.

BEATO GUGLIELMO

Frate francescano che visse quasi tutta la sua vita religiosa sul monte della Verna. Uomo di preghiera e di ascesi, è ricordato di Lui un episodio particolare, che mentre era assorto nell'orazione gli fu visto ardere sul capo una fiamma. Morì in odore di santità nel 1270. (Secondo il Pecci Beato

486 Le descrizioni sono state riprese da “La terra di Radicofani” da “Memorie storiche, politiche, civili e naturali delle città, terre e castella che sono e sono state suddite della città di Siena.” ms. D71 di G. A. Pecci, cc. 409-453 dell’A.S.S. 487 Opera già citata nella nota n. 1 pag. 453. 488 Chiamati anche DEL GUASTA vedi Cammarosano P. e Passeri V., I castelli del senese. Repertorio delle strutture fortificate dell’area senese-grossetana. Siena 1976, rist. 1985

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Guglielmo minor conventuale, che, con gran concetto di santità passò all'eterno riposo li quattro dicembre 1270, del quale con stima, e venerazione ne trattarono non pochi scrittori di quella religione.)489

GUASTA DI MESSER IACOMINO

Castellano di Radicofani, condottiero famoso ardito ed abile. Nel 1311 Capitano del popolo a Firenze nel 1325 Generale in capo delle forze armate fiorentine. (Secondo il Pecci nel 1311 fu Capitano del popolo della città di Firenze, conforme scrive l'Ammannati, e resosi Signore della propria Patria (era Capitano del popolo anche a Radicofani), attendendo il mestiero dell'armi, passando di grado in grado, pervenne a' supremi onori della

489 Dal libro " LA FRANCESCHINA" Vol. II – Firenze – MCMXXXI – testo volgare-umbro del secolo XV scritto dal P. Giacomo Oddi di Perugia, edito per la prima volta nella sua integrità dal P. Nicola Cavanna O.J.M. – A PAG. 26-27 leggiamo: "Anche in questa medesima provincia (parla della provincia di Siena dalla quale proveniva il frate di cui aveva parlato precedentemente n.d.t.) et nel loco de la Verna se reposa uno santo frate, chiamato FRATE GUGLIELMO da Radecofano. Quisto homa de Dio avea singularmente la virtù de la oratione, nella quale tucto era absorto. Unde che fo veduto una fiata, stando esso in oratione, uno grande fuoco descendere da cielo sopra lo suo capo. (nel libro c'è anche un disegno la fig.65 n.d.t.), demonstrando quanto erano le suoe oratione infocate de l'amore de Dio. Amen. Nella nota in fondo alla pagina: Pisano, AF IV. pag. 254; Chron. 24 gen. p. 286; Cater. p.15. DAL LIBRO «IL MONTE DELLA VERNA» DI PADRE MARINO BERNARDO BARFUCCI – Firenze - 1993 Sotto un disegno che raffigura il Beato Guglielmo e porta il n. 9, non so dire se è del medesimo libro di cui sopra si legge:"B. Guglielmo de Radicofano, mire sanctitatis, orans ignis maximus super caput eius est; in monte hoc sacro in pace requiescit". Più sotto ancora sempre contrassegnato con il numero 9 c'è scritto: " B. GUGLIELMO, laico, da Radicofani († 1270) – Trascorse quasi tutta la sua vita sul monte della Verna. Mariano scrive:"Frate Guglielmo da Radicofani el quale orando gli fu veduto sopra el capo discendere un grande fuocho". Il Martirologio francescano lo ricorda il 4 dicembre. Un medaglione in affresco che si trova (il disegno di cui ho parlato sopra n.d.t.) al santuario della Verna nel corridoio del dormitorio sopra la porta di una cella: Il beato Guglielmo prega e sul suo capo si posa un globo di fuoco. AFH 2 (1909) 458; 4 (1911) 549; AF, IV, 254 E 519; AM, IV, 358; Franceschina, II, 26. Dal libro "MISCELLANEA FRANCESCANA DI STORIA, LETTERE, DI ARTI" diretta dai frati minori conventuali di San Francesco – Nuova serie – Volume XXXII – Roma – 1982 – a pag. 109 leggiamo: " 19 – B. Guglielmo da Radicofani – Spira divozione in ogni sua parte il Monte della Verna, ove il Serafico Padre S. Francesco ricevé da Cristo nostro Signore le Sacrate Stimmate. E perciò molti Servi di Dio l'hanno volentieri eletto per loro abitazione, come luogo attissimo per la vita contemplativa. Quivi fiorì il B. Guglielmo da Radicofani, Laico, il quale con tanto fervore di spirito attendeva alla santa orazione, che più volte, mentre orava, fu dai Frati veduta una rilucente fiamma di fuoco sopra il suo capo. Visse vita esemplarissima, e colmo di meriti in quel sacro monte riposò in pace circa l'anno 1270. Nella nota c'è scritto: WADD. an. 1270, p. 21 (II ediz. 26). L'ARTURO lo pone al 4 dicembre.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi milizia, perché fu Conestabile (grado di comando nell'antica milizia) di 50 lancie per i senesi contro gli aretini circa l'anno 1314. Rotta poi la guerra tra Castruccio (Castracani) signore di Lucca Capo de' Ghibellini, e i fiorentini, Guasta si avanzò maggiormente, perché ridotti i fiorentini a strettissime angustie, crearono loro Capitano di guerra Oddo da Perugia, e consegnarono l'assoluta custodia della città loro a Guasta, che colà si ritrovava coll' armi ausiliarie de' senesi, conforme scrive Giovanni Villani, ed esso coraggiosamente la difese e preservò. Per una tal valorosa pruova salì Guasta a tanta riputazione, che i "Guelfi di Toscana" lo dichiararono loro Capitano Generale, (o come altri dicono) a Priore della Taglia, cioè della Lega Toscana, nella qual carica andò sempre più agumentandosi onore, e riputazione, di mode che l'anno 1328 fu eletto Governatore di Fuligno, conforme scrive Jacobilli, e altre cariche si può supporre, che esercitasse, ma, in verità, più oltre non se n'ha certezza). Nel suo libro, - Radicofani – a cura di Alberto Luchini – Editrice Industria grafica l’Impronta S.p.A. –Scandicci (FI) –Luglio 1970, - l’autore dichiara a pag. 149: Nel Secolo XIV, il condottiero Guasta manovrò con abilità tale, anche axtra-militarmente, che il Comune di Firenze, forse il più diffidente dell’universo, gli conferì, nel 1311, il grado di Capitano del popolo; e la Signoria, nel 1325, quello di Generale in capo delle forze armate fiorentine, quando Castruccio Castracani ebbe inflitta loro una batosta memorabile. Su internet in un libro su google-libri in pdf- La cronaca anni 1326 -1350 – a pag. 29 dell’anno 1326 troviamo scritto: Morte di messer Guasta da Radicofani (1326) Il 3 settembre vengono tumulate ai Frati Minori le spoglie mortali di Guasta da Radicofani, Capitano di guerra di Bologna, qui giunto agli inizi di aprile. Egli lascia uno splendido ricordo di sé: «avè lo maore honore vivo e morto che regedore ch’avesse may Bononia, e fo capetanio de guerra et avè le chiave delle porti». Il suo comando viene assunto dal fratello, messer Ranieri da Radicofani. Nota 145 (Rerum Bononiensis, p. 370 e Cr. Vill., p. 374 e 375.) Sempre a proposito di Guasta da Radicofani troviamo su Internet a “Capitani di Ventura” un’ampia cronologia delle sue azioni e battaglie.

MONALDO DA RADICOFANI

Podestà di Foligno nel 1323. (Secondo il Pecci l'anno 1325, anch'egli [come Guasta di messer Iacomino] fu podestà, e governatore di Fuligno, come dal catalogo del Jacobilli, e come altro Cartolario riportato nella "Storia di mezza età" del Muratori490 si raccoglie, dove è descritto podestà di Fuligno ancora nell'anno 1323).

PONE DI GUASTA E SUO FIGLIO GUASTA

Nel libro "La città fortificata di Radicofani – Nuova immagine editrice – Siena 1998 – AA.VV." Angela Lanconelli nelle pagg. 93-94 a proposito delle famiglie nobili di questi luoghi dichiara: «È significativa, al riguardo, la vicenda di Pone di Guasta e di suo figlio Guasta. Troviamo Pone nel giugno 1340 alla guida dell'esercito pontificio nella spedizione contro Todi che si era ribellata alla Chiesa; riconquistata Todi, Pone fu incaricato di presidiarla e nel settembre dello stesso anno guidò una nuova operazione militare per la conquista di Onano. Dopo qualche mese, tuttavia, i servigi da lui resi al Papato non gli impedirono di impadronirsi di Radicofani, insieme con Giovanni di

490 Muratori – Storia di mezza età, Tomo IV, Repert. 46, 146. 226

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Monaldo, ma il tentativo non durò a lungo: i due ribelli furono catturati dal rettore della provincia, Bernardo di Lago, e Pone morì poco dopo (prima del novembre 1341) ucciso, insieme con suo fratello, dallo stesso Giovanni di Monaldo491. Dieci anni dopo il figlio Guasta riprendeva l'opera del padre occupando alla fine del 1352 Radicofani e sottomettendosi nell'ottobre dello stesso anno a Siena, ma all'arrivo dell'Albornoz fu catturato e imprigionato a sua volta nel carcere della Curia provinciale. Nel corso di quel secolo, dunque, mentre aumentavano le tensioni all'interno del castello, il controllo papale andò progressivamente allentandosi, fino al definitivo passaggio di Radicofani sotto il dominio del Comune di Siena».

Sempre su internet su google-libri nel libro – La cronaca anni 1326 – 1350 a pag.708 dell’anno 1340 troviamo: Ribellione di Amelia (1340) In giugno si combatte sotto le mura di Amelia. Nel corso del 1339 vi è stato un forte movimento di ribellione in tutta la regione, rivolte in qualche modo fomentate dall’eresia nata con la nomina dell’antipapa del Bavaro. Todi si è sollevata in armi e, nell’aprile 1339, ha minacciato Alviano, Narni, Amelia e San Gemini. Amelia è caduta nelle mani dei ribelli e il rettore ha inviato ora, nel giugno del ’40, il nobile Pone di Guasta da Radicofani ad espugnare l’alta città dove si sono arroccati gli eretici. L’esercito pontificio ha ricevuto rinforzi da Perugia e da Orvieto. Guasta mette balestrieri a Foce, 3 miglia a nord est di Amelia, un naturale antemurale della città, e riesce a espugnare Civitella. La situazione degli assediati in pochi giorni diventa critica e il rettore invia Manfredo Vitelleschi a negoziare la capitolazione dei ribelli. Ottenutala, l’esercito pontificio si installa in città e Pone di Guasta di Radicofani lo governa per qualche tempo. L’esercito del Patrimonio deve ora rivolgere le armi contro la vicina Terni, la quale, a sua volta, si è ribellata, ma questa città oppone una resistenza ben più forte di quella degli Amerini.106

106 ANTONELLI, Patrimonio, p. 299, molto diffuso CESSI, Una relazione, p. 169-175.

DINO DI PONE DI GUASTA DI IACOMINO DA RADICOFANI

Dino di Pone di Guasta da Radicofani, da Belisario Bulgarini nell'albero Genealogico tenuto dalla Famiglia de' Visconti da Campiglia, siccome padre Ugurgieri nelle "Pompe Sanesi", all'opposto dell'Ughelli, che lo crede della famiglia di Ghino di Tacco, né io sarei lontano appigliarmi a quest’ultimo, ma però considero, che Ghino di Tacco fosse de' Cacciaconti signori della Scialenga, e un ramo de' Manenti signori di Sarteano, e Chianciano. Fu dunque Dino Patriarca d'Alessandria, poi Arcivescovo di Genova, e il 29 ottobre 1342 trasferito alla Metropolitana di Pisa, e morì nel 1349, conforme scrivono l'Ughelli, il padre Orlandi nel "Mondo sacro, e profano" 492. Dal libro, - Radicofani – a Cura di Alberto Luchini – Editrice Industria grafica

491 Sulle vicende di Pone vedi M. ANTONELLI, Vicende della dominazione pontificia nel Patrimonio di S. Pietro in Tuscia dalla traslazione sede alla restaurazione dell'Albornoz, in "Archivio della Società romana di storia patria", XXV (1902), pagg. 355-395, XXVI (1903), pagg. 249-341, XXVII (1904), pagg. 109-146 e 313- 349; La dominazione pontificia nel Patrimonio negli ultimi venti anni del periodo avignonese, ivi, XXX (1907), pp. 269-332, XXXI (1908), pp. .121-168 e 315-355; Nuove ricerche per la storia del Patrimonio dal MCCCXXI al MCCCXLI, ivi, LVIII (1935), pp. 119-151. 492 Dal libro "IL CAMMINO DELLA CHIESA GENOVESE - “dalle origini ai nostri giorni" – a cura di Dino Puncuh – Genova MCMXCIX – Nella sede della società ligure di storia patria – Palazzo ducale – Piazza Matteotti, 5 – p. illeggibile – leggiamo: " ..... in questo sfondo papa Benedetto XII, alla morte di Bartolomeo da Reggio, rinnova immediatamente la riserva sulle nomine vescovili dell'intera Liguria, riguardo a Genova con 227

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi l’Impronta – Scandicci (FI) Luglio 1970, l’autore dichiara a pag. 149: in un giro d’anni subito consecutivo (secolo XIV° anni succitati), un Dino da Radicofani, ecclesiastico, fu Arcivescovo, prima di Genova, quindi di Pisa, e spiegò, a parere d’esperti in Storia della Chiesa, una perizia straordinaria. Per una più corretta biografia di Dino da Radicofani, così come è conosciuto in Italia, qui sotto presentiamo, ripresa da Internet la biografia della storica pisana Daniela Stiaffini:

DINO da Radicofani Dizionario Biografico degli Italiani - Treccani – Vol. 40 (1991). di Daniela Stiaffini DINO da Radicofani. – Nacque alla fine del sec. XIII a Radicofani (prov. Siena), dove risiedeva la famiglia. Era nipote di Simone Albo, conte di Radicofani e di Acquapendente, e zio di Guasta da Radicofani, visconte di Montevaso. La sua famiglia apparteneva alla piccola nobiltà feudale toscana e con il titolo comitale deteneva diritti signorili e giurisdizionali sul castello di Radicofani e sul suo circondario fino a comprendere la rocca di Acquapendente. Essa traeva il cognome dal luogo stesso su cui aveva la signoria. Il diritto signorile della famiglia di D. sul castello di Radicofani è testimoniato da una bolla di papa Innocenzo III dell'8 maggio 1200, ma fu sempre contrastato dai monaci del convento di S. Salvatore del Monte Amiata, i quali avevano detenuto l'assoluto potere signorile e giurisdizionale sul castello fino alla metà del sec. XIII quando ne avevano ceduto la metà alla S. Sede nella persona di papa Eugenio III. La prima notizia a noi nota relativa alla residenza della famiglia di D. a Radicofani è contenuta in un atto relativamente tardo, del 2 genn. 1282, in cui si menziona il palazzo dei conti di Radicofani posto nel castello. Sono probabilmente da rifiutare, come prive di fondamento, le affermazioni fatte dall'Ughelli e dall'Ugurgieri Azzolini secondo le quali D. sarebbe stato imparentato con Ghino di Tacco; sono altresì da rifiutare quelle del Tronci, secondo il quale il D. sarebbe stato un suo antenato in quanto un ramo dei Tronci, prima di stabilirsi a Pisa, avrebbero abitato nel contado senese. D. venne destinato dalla famiglia alla carriera ecclesiastica che percorse con soddisfacenti risultati lontano dalla sua patria di origine. Ricevuta l'ordinazione sacerdotale, D., dopo avere conseguito il titolo di doctor decretorum, divenne preposito della Chiesa genovese. Sotto il pontificato di Giovanni XXII divenne cappellano del sommo pontefice. Si distinse in tale carica tanto che il 6 nov. 1332 il pontefice lo nominò patriarca di Grado in sostituzione del patriarca Domenico morto in quell'anno (D. fu consacrato tra il 12 febbraio e il 2 ott. 1333). Anche sotto il pontificato di Benedetto XII D. godette di grande considerazione. Già il 26 giugno 1336 fu incaricato da quel pontefice di studiata diplomazia attende la rinuncia del neoarcivescovo Goffredo Spinola, arcidiacono di San Lorenzo, eletto nel frattempo dal capitolo. Soltanto nel gennaio del 1337, dopo più di un anno di sede vacante, il papa procede alla nomina di Dino da Radicofani, uditore delle cause apostoliche in Avignone e cappellano pontificio, mentre nell'anno seguente è assegnata allo Spinola la cattedra vescovile di Mantova. Per quanto riguarda Dino da Radicofani – senese e discendente da famiglia di origine ...... la recente pubblicazione dell'annuario del monastero urbano di S. Siro rivela un dato interessante: egli nel 1303 risiede a Genova e in qualità di vicario dell'arcivescovo Porchetto presenzia alla lunga e laboriosa elezione dell'abate. In seguito, alla fine del 1332, rinunzia al canonicato dell'antica pieve di Rapallo per assumere il patriarcato di Grado. Alti incarichi e connessi trasferimenti segnano la vita di Dino da Radicofani e anche l'esperienza genovese non si rivela duratura: nel 1342, per volontà di Clemente VI, è trasferito alla sede metropolitana di Pisa dove resta fino alla morte avvenuta agli inizi del '48. (il Pecci ci dice che è morto nel 1349)...... il nuovo incarico pisano di Dino da Radicofani va inquadrato nel nuovo corso di rapporti instauratisi fra Genova e Pisa con il trattato del giugno 1341, i cui obiettivi riflettono da parte delle due secolari rivali prove di notevole pragmatismo politico".

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi condurre una missione di pace da eseguire per conto della Sede apostolica in Francia: doveva comporre la controversia sorta fra Oddone IV duca di Borgogna, da una parte, e Henri de Montfaucon e Giovanni da Cabillono (l'odierna Chálons-sur-Saône) dall'altra. La sua condotta in questo incarico fu prudente e improntata a molta saggezza: dopo tale missione la fiducia nei suoi confronti da parte degli ambienti curiali contribuì ad indurre il papa Benedetto XII a trasferirlo all'arciepiscopato di Genova come successore di Bartolomeo da Reggio, morto il 13 dic. 1335, nomina che venne ratificata con una bolla del 24 genn. 1337 dopo il rifiuto opposto da Gottifredo di Spinola, diacono genovese, a ricoprire tale carica. Le spiccate attitudini diplomatiche di D. non mancarono di manifestarsi anche nel suo governo episcopale. Il nuovo presule, infatti, ebbe un posto di rilievo nel processo svoltosi il 17 genn. 1340 contro il decano Teodorico ed i canonici della Chiesa di Worms, accusati di avere eletto a loro vescovo - dopo la morte di Conone - Gerlasco detto Pincerna, e, dopo la morte di quest'ultimo, Salamanno, preposito della chiesa di S. Stefano di Magonza, senza aver chiesto ed ottenuto la ratifica papale. D., nominato dal pontefice giudice di questo processo, condannò Teodorico ed i canonici di Worms a dieci anni di scomunica. Pochi anni dopo, morto l'arcivescovo di Pisa Simone Saltarelli (24 sett. 1342), il governo di quella città fece pressioni sul pontefice perché designasse come successore del presule scomparso il frate domenicano Marco Roncioni, priore del convento di S. Caterina di Pisa, appartenente ad una delle più influenti e nobili famiglie cittadine: tali preghiere non ottennero l'effetto desiderato, perché il pontefice aveva già deciso di conferire a D. l'importante sede toscana. D. venne eletto infatti arcivescovo di Pisa con una bolla del 7 ott. 1342. Lasciata Genova, tuttavia, il presule non raggiunse subito la sua nuova sede e preferì recarsi ad Avignone dove si trattenne parecchi mesi. La sua permanenza ad Avignone dovette forse prolungarsi più del previsto, perché D. dapprima chiese una sovvenzione in denaro agli abati dei monasteri pisani di S. Vito, di S. Paolo a Ripa d'Arno e di S. Savino per il suo soggiorno avignonese e poi, in novembre, decise di eleggere un suo vicario che governasse la diocesi pisana nella persona di Guidone Sette, arcidiacono della Chiesa genovese. A Pisa D. giunse soltanto all'inizio del mese di febbraio del 1343 proveniente da Livorno dove era sbarcato da una nave che veniva dalla Francia. D. amministrò la Chiesa pisana con molta oculatezza e prudenza. Il suo primo atto in veste di arcivescovo fu quello di chiedere per lo Studio pisano l'autorizzazione papale a conferire il dottorato in sacra pagina, in iure canonico et civile e in medicina: la grazia fu concessa, e dette nuovo impulso alla nascente università pisana. L'anno successivo D. rese di pubblico dominio una lettera del 27 maggio 1344, indirizzata dal pontefice al vescovo di Genova: essa aveva come tema principale la ricerca di una soluzione di compromesso fra il governo pisano e il duca di Milano in lite ormai da diverso tempo. Notevole fu l'attività di D. nella amministrazione dei beni fondiari spettanti alla mensa arcivescovile pisana. Nel 1344 D. elesse il nuovo camerario della mensa arcivescovile pisana nella persona di Peretto di Cognanuti da Val di Tana e, con la sua assistenza, procedette alla vendita, alla permuta o all'acquisto di molti beni fondiari posti nei dintorni di Pisa, fino a comprendere le località di Chianni e San Luce. Il 30 sett. 1344 ricevette il giuramento di fedeltà dagli abitanti di San Michele di Meli di Riparbella, già ribelli al potere di Guasto da Radicofani visconte di Montevaso e nipote di D.: nell'accettarlo, concesse il suo perdono per la sommossa organizzata contro il nipote e nello stesso tempo confermò i suoi diritti feudali e giurisdizionali sull'abitato e il contado di Meli di Riparbella. Anche in questo periodo D. alternò l'attività pastorale con quelle mansioni diplomatiche che il nuovo pontefice, Clemente VI, come già i suoi predecessori, gli affidò periodicamente. Il 28 ag. 1344, ad esempio, si recò insieme al legato della Sede apostolica, Aimerico, a Napoli; e nel giugno dell'anno seguente si dovette occupare, sempre per incarico del papa, della situazione che si era venuta a creare in Corsica con la morte del vescovo Pagano. Nella sua funzione di primate di Corsica, D. affidò la sede vescovile vacante a fra' Bernardo dell'Ordine dei minori, assicurandogli la sua assistenza morale e pastorale. Il 23 sett. 1347, poi, ricevette l'incarico dal pontefice di recarsi insieme con i vescovi di Perugia, di Siena e di Firenze in Sicilia, dove con l'assistenza dei rappresentanti dei governi di Genova, di Siena e di Firenze ebbe il compito di prestare tutto l'appoggio possibile al governo locale. 229

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D. morì a Pisa nel 1348. L'Ughelli e gli autori che muovono da esso affermano invece che D. morì a Pisa l'anno successivo. L'esame della documentazione dimostra, al di là di ogni dubbio, che D. era sicuramente morto nel mese di ottobre del 1348, anche se il suo successore - Giovanni Scarlatti - fu eletto arcivescovo di Pisa solo con una bolla del 27 giugno 1349: esiste infatti un documento del 14 ott. 1348 con il quale il pontefice ordinò ad Andrea da Tuderto di recarsi a Pisa per redigere l'inventario dei beni mobili del defunto arcivescovo: Andrea doveva tra l'altro farsi consegnare gli oggetti personali da questo posseduti.

Fonti e Bibl.: Pisa, Arch. della Mensa arcivescovile, Diplomatico, nn. 29, 704, 631, 683, 703, 760, 765, 733, 715, 747; Ibid., Acta extraordinaria ab anno 1325, n. 1, c. 8rv; Ibid., Apographorum, VIII, nn. 1683, 1685, 1752; Arch. di Stato di Lucca, Cronaca pisana di autore anonimo contenuta nel codice 54, c. 17; Cronica antiqua conventus S. Catharinae de Pisis, in Arch. stor. ital., VI (1845), 2, pp. 519 s.; Benoit XII (1334-1342). Léttres comMunes, a cura di J.-M. Vidal, I, Paris 1902, nn. 3977 s., 4050, 4077, 4098; II, ibid. 1904, nn. 7934, 8147; Jean XXII (1316-1334). Lettres communes, a cura di G. Mollat, VIII, Paris 1924, nn. 47214, 48538, 49065; XI, ibid. 1929, nn. 56521 s.; XII, ibid. 1932, nn. 58750, 59207, 59314, 59592; XIII, ibid. 1933, nn. 61625 s.; Clément VI (1342-1352). Lettres closes, patentes et curiales, a cura di E. Déprez-M-G. Mollat, I, Paris 1960, n. 1728; II, ibid. 1958, n. 3473; I. Ugurgieri Azzolini, Le pompe sanesi ovvero relazioni delli huomini e donne illustri di Siena e suo Stato, I, Pistoia 1649, p. 110; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, III, Venetiis 1718, col. 457, n. LVIII; IV, ibid. 1719, col. 889, n. XXXVII; V, ibid 11720, coll. 1149 s., n. LII; S.M. Fabbruccio, Excursio historica, I, De prima dote Pisani publici Gymnasi, eiusdemque privilegiis, in Raccolta di opuscoli scientifici e filologici, a cura di A. Calogerà, XXIII, Venezia 1741, pp. 6-11; A. F. Mattei, Ecclesiae Pisanae historia, II, Lucae 1752, pp. 60 ss., 82-87; P. Tronci, Annali pisani, III, Lucca 1829, pp. 171, 197; G. Volpini, Storia del monastero e del paese di Abbadia San Salvatore, s.l. 1966, p. 162; N. Zucchelli, Cronotassi dei vescovi e arcivescovi di Pisa, Pisa 1907, pp. 132-135; C. Eubel, Hierarchia catholica... ab anno 1198, I, Monasterii 1913, pp. 266, 281, 400.

Abbiamo riportato tutto l’articolo, consultabile su “internet”, perché è molto più esaustivo e perché abbiamo una più ampia visibilità dell’importanza del personaggio Dino; senza dubbio il più importante personaggio cui abbia dato i natali Radicofani e a Radicofani nessuno lo conosceva!

FRA LEONE DA RADICOFANI

(Sec. XVI) In gran favore presso i Granduchi. (Secondo il Pecci Fra Leone da Radicofani Minor Conventuale fu molto favorito da' Gran Duchi di Toscana, mentre fu Inquisitore a Siena, morì nella carica, e Padre Ugurgieri nelle sue "Pompe Sanesi" asserisce, che morì lì 14. d'ottobre 1576., ma nelle costituzioni del Collegio dei Teologi di Siena si legge morisse nel 1564). Su Internet vi è un racconto intitolato: La pozione di mastro solene di teodato tintore senese Causa d'imputazione di Malìe contro Mastro Solene di Teodato tintore senese. Anno domini 1574. Indizione 2. Martedì 30 Marzo.

Mastro Sebastiano di Ottaviano Menicucci da San Gimignano habitante et accasato in Siena constituito dinanzi alli Probi Rev.di Vicario di Mons. Arcivescovo di Siena et a Mastro Leone da Radicofani dell’Ordine minore di S. Francesco di Giussano Inquisitore del Heresie………. Sempre su Internet su Ereticopedia troviamo gli inquisitori di Siena:

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• Leone da Radicofani OFMConv (1575–1577) • Giovanni Pelleri da Radicofani OFMConv (1656–1664)

DON NICCOLO’ MIGLIORI

Monaco Certosino, compose a requisizione del B. Giovanni Colombini di lui amico, e contemporaneo un’opera, che ha per titolo “Mistica Teologica”, che si conserva scritta a mano nella Libraria de’ Padri Serviti di Siena. Questo Certosino crederei, che fusse della famiglia Migliori del Sig.re Dott. Jacono Paolo, oriunda dalla terra di Chianciano, e stabilita poi a Radicofani, perché si prova concludentemente la di lui discendenza da quella terra dal 1287. in qua, come si può riconoscere dallo Statuto antico di Chianciano, compilato in detto anno, dove, fra gli altri Statuenti, si leggono Nos Minus Monaldi, Cenne Melioris, Finus Berighieri, Statutarj communis Clanciani.

PIETRO MAZZANTE (Il Pecci lo chiama Pietro Mazzantes)

Professore ed Astrologo all'Università di Padova, vissuto nella seconda metà del 1600. (Secondo il Pecci, nativo di questa terra fu bravo professore, e intendente di Astrologia, come molto bene lo dimostra, perché diede alle stampe in Siena l’anno 1600. molte testimonianze di Prognostici, che in gran parte si avverarono).

Su Internet sul sito books-google, it si trova un libro “Collezione degli uomini e donne illustri della Toscana da ……. “ e al nome di Mazzantes Pietro recita: Mazzantes Pietro da Radicofani nel Senese fu valente intendente di astrologia; diede in luce molte prove de’ suoi pronostici in detta scienza. Vedi Ugurgieri pompe senesi par. 1 tit. 21.

GIOVANNI PELLEI

Vissuto tra la prima e la seconda metà del 1600. Frate minore conventuale, fu inquisitore, guardiano del convento di S. Croce a Firenze. Ispettore dei conventi francescani in Toscana e Sardegna ed infine Vescovo di Grosseto. E' ricordato in una lapide della Basilica di S. Francesco a Siena ed è raffigurato in un quadro all'interno della chiesa di S. Agata.

(Secondo il Pecci fu religioso dell'ordine dei minori conventuali, dichiarato in Bologna Maestro, e dopo aver sostenuto l'officio di Guardiano di più conventi, fu eletto Inquisitore di Belluno nel 1656, poi di Trevigi (Treviso), e dopo di Siena. Vacata la chiesa vescovile di Grosseto, il pontefice Alessandro VII gliela conferì nel 1664, ma, senza vederla, mentre per la strada s' incamminava a quella volta, gli otto di giugno del medesimo anno 1664 morì in Radicofani sua Patria, e il cadavere, conforme a quanto aveva disposto, fu trasportato a Siena a seppellire nella chiesa di S. Francesco alla quale era cotanto affezionato, che per mantenimento di quella fabrica lasciò un pingue capitale, co' frutti del quale, amministrati da quattro depotati, eletti dalla Balìa si supplisce a tutto il bisognevole.).

FRA ARCANGIOLO MARIA RADI

(Secolo XVII) Teologo e matematico. (Secondo il Pecci religioso domenicano teologo, filosofo, eccellente mattematico, ritruovò col di lui altissimo ingegno un Oriolo a sole portatile [che fu il primo in questa invenzione, dilatata 231

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi poi a tempi nostri universalmente], senza l'uso della calamita, meraviglioso assai, e in modo di due tavolette, che si chiudono co' loro gnomoni, spiegato in tre faccie, una servendo per la de' raggi del nostro Zenit, l'altra per l'approssimazione ad essa, e la terza per gli Equinozii, ritruovandosi per mezzo di questo, senza fatica, la linea meridionale, e di più può servire comodamente per istrumento a comporre gli Oriuoli, dimostrare l'ore Babiloniche, Astronomiche, e Italiane, e in qual segno il Sole si Truovi, e in quai gradi. Oltre a ciò diede alle stampe "Lunare deliquium Senis observatum die 25 Junii 1657 etc...", di poi si portò nell'Umbria, colà chiamato per levare, e disegnare le piante di tutte quelle Città, ed io ho veduto quella della Città di Narni, e se altre ne compilasse non mi è noto, ma crederei, che l'avesse eseguite).

Su Internet a proposito del nostro ho trovato le seguenti notizie: books.google.it - Altre edizioni Bollettino della Società geografica italiana: Volume 46, Parte 2 Società geografica italiana - 1909 - Visualizzazione snippet A quest'epoca deve evidentemente riportarsi la pianta topografica di Fra Arcangelo Maria Radi, sopracitata. Dalla serie dei vescovi narnesi, stampata dall' Eroli nel suo libro Descrizione delle chiese di Narni e suoi dintorni — Narni, ... Italianistica: Volume 25 1996 - Visualizzazione snippet Infine, vanno anche ricordate le osservazioni fatte da altri due illustri autori che si sono occupati di orologi: Anton Francesco Doni e Arcangelo Maria Radi. Il Doni, nell'opera del quale si ravvisano elementi già presenti nel testo di ... Physis; rivista internazionale di storia della scienza: Volume 10 1968 - Visualizzazione snippet 1665 Arcangelo Maria RADI Nvova Scienza di Horologi a Polvere che mostrano, e' suonano distintamente tutte l'hore Del P. Maestro F. Archangelo Maria Radi de Predicatori Professore di Matematiche, e' Teologo dell'Emin"° S. Card: Facheti ... Filologia e critica: Volume 21 1996 - Visualizzazione snippet Bonito, per giungere a capo del problema, non esita a chiamare in causa i testi scientifici dell'epoca (poniamo, La nuova scienza di orologi a polvere di Arcangelo Maria Radi, gli Orologi elementari di Domenico Maria Martinelli, ... Mappe e letture: studi in onore di Ezio Raimondi Ezio Raimondi, Andrea Battistini - 1994 - 483 pagine - Visualizzazione snippet Il testo maggiormente legato, per argomento e affinità meccaniche, agli Orologi elementari è la Nuova scienza di orologi a polvere" di Arcangelo Maria Radi ... Bullettino senese di storia patria: Volume 19 Nessuna immagine di copertina R. Accademia dei Rozzi, R. Accademia dei Rozzi (Siena, Italy), R. Accademia dei Rozzi. Commissione senese di storia patria - 1912 - Visualizzazione snippet Fra Arcangelo Maria Radi, Domenicano, teologo, filosofo ed eccellente matematico ; inventò un orologio a sole, portatile, che gli scrittori del tempo chiamano meraviglioso. ... A philosophical and mathematical dictionary: containing an ...: Volume 1 - Pagina 327 Charles Hutton - 1815 - 41 pagine - Consultazione completa There is likewise a treatise on Hour- Glasses by Arcangelo Maria Radi, called Nova Scienzade Horologi Polvere. See also the Tcchnica Curiosa of Gasper Schottus ;• and Amontons Remarques et Experiences Physiques sur la Construction d'une ...

GIOVANNI DOMENICO PARRACCIANI

Ogniuno sa, dice il Pecci, perché son fatti freschi de’ tempi nostri, che la famiglia Parracciani è originaria da questa terra, e che da essa, benché nato a Roma, ne derivò L’Eminentissimo 232

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Signore Cardinal Giovanni Domenico di tal cognome, promosso alla Porpora dal pontefice Clemente xi., nel 1706., e morto in Roma nel 1721. (Per più approfondite notizie vedi di F.M. Magrini, I Parroci di Radicofani, Edizioni Cantagalli – Siena – 1983 –Pagg. 15 e16).

Su internet troviamo a « Sant’Anastasia (titolo cardinalizio) » Sant'Anastasia è un titolo cardinalizio istituito da papa Evaristo intorno al 105. In seguito, fu inserito tra quelli del sinodo romano del 1º marzo 499. La chiesa alla quale si ispira è sita ai piedi del monte Palatino. Tale posizione costituisce un'eccezione dato che tutti i 24 titoli esistenti al tempo di papa Marcello I erano fuori dalla cinta muraria di Roma, mentre le diaconie si trovavano al suo interno. In base al catalogo di Pietro Mallio, compilato durante il pontificato di Alessandro III, il titolo era collegato alla Basilica di San Pietro e i suoi sacerdoti vi celebravano Messa a turno. Fra i titolari troviamo: Giovanni Domenico Parracciani (1706 – 1721).

JACONO PAOLO MIGLIORI

(Sec. XVIII) - Medico- Fisico.

(Secondo il Pecci - Medico Fisico vivente, che l'anno 1729 diede alle Stampe in Siena un'opera, intitolata "De lesa digestione dissertatio". Avea ancora antecedentemente nell'anno 1726 scritta la "Storia delle febbri maligne epidemiche occorse in Sarteano per il mal vapore d'una quantità di quoia imputridite, e corrotte", che si ha manoscritta). Il Pecci parla anche di molte altre opere del Migliori e della sua erudizione.

ALCEO GESTRI

Alceo Gestri è stato «il più eccezionale sindaco di quella che sarebbe stata la loro storia futura: notabile locale e uomo di classe dalla testa ai piedi493». Questo sindaco, nato a Pienza, in pratica ha costruito Radicofani con tutti i servizi come lo si trova ancora oggi! Per l'esattezza elencherò tutte le sue opere: il "Maccione" (gli attuali giardini pubblici) era una discarica e concimaia abusiva a cielo aperto, le scuole pubbliche, le fogne, la pavimentazione di tutto il paese, la restaurazione della torre dell'orologio, e, a quanto sembra, il desiderio di realizzare l'acquedotto per portare l'acqua nelle case, infine, un lotto di loculi nel cimitero del paese494. Alceo Gestri era sposato con Giulia Brugi, che morì il 25/11/1875 non ancora trentenne! Nella chiesetta adiacente al podere "Colombaiolo" c'è ancora la pietra tombale (2014) del nostro che recita: «La religione dei sepolcri qui raccolse le spoglie mortali – del Cav. Alceo Gestri – ebbe animo integro e generoso culto e versatile ingegno – Governatore della Misericordia – e sindaco di Radicofani per cinque trienni – ornò il paese di pubblici edifizi e ne migliorò le finanze – la madre, il figlio, i parenti e quanti lo conobbero – piangono inconsolabili la perdita d'una sì cara esistenza – morì il 29 settembre 1881».

493 Vedi di V. Mazzuoli "Pensione Vertunno e dintorni" – Il Riccio – Abbadia S.S. – 2001 – pag. 45. 494 Per altre notizie su Alceo Gestri rimandiamo al libro della nota precedente alle pagg. 45 – 49. 233

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LUCIANO BANCHI Luciano Banchi nacque a Radicofani il 27 dicembre 1837 alle ore 21, da Luigi e da Barbera Modesti, radicofanese figlia di: Pasquale Modesti e Francesca Angeli. Compì i suoi studi presso il regio collegio Tolomei a Siena, conseguì la laurea alla facoltà di giurisprudenza all’Università di Siena. Valente archivista, letterato e filologo, cultore dell’arte ed appassionato Sindaco, Luciano Banchi ha senza dubbio lasciato tracce indelebili del suo operato nella Siena postunitaria. Altissimo senso di responsabilità ed amore per lo studio furono le doti che gli consentirono di diventare un personaggio eminente sulla scena cittadina e nazionale della seconda metà dell’Ottocento495. Nella sua vita ha ricoperto, oltre che la carica di Sindaco di Siena più volte dal 1870 al 1887, quella di archivista, direttore dell’Archivio di Stato, vice-presidente del consiglio provinciale, presidente del reale orfanotrofio ,presidente dell’Istituto provinciale delle Belle Arti, presidente della Società di esecutori di Pie Disposizioni, presidente della reale Accademia dei Fisiocratici, presidente della reale Accademia dei Rozzi, deputato del Monte dei Paschi di Siena, Presidente della stessa deputazione, scrittore e poeta. Amico intimo di Giosuè Carducci, il quale gli dedica anche una poesia (tratto da AA.VV. – Ricordi di Luciano Banchi s.e., s.l. – 1888).

ODOARDO LUCHINI Odoardo Luchini nasce a Radicofani l'11 giugno 1844 , insigne giurista, si laurea all'Università di Pisa a 20 anni in scienze politico-amministrative di cui si ricorda una commedia "Il galante per l'industria" . A 22 anni pubblicò uno studio "La pena di morte e la Storia" e poco più tardi un altro studio sull'opera di G. Vico "De universi juris uno principio et fine uno". Dal 1879 al 1892 fece parte della Camera dei Deputati per il collegio di Montepulciano, tornò nuovamente alla Camera nel 1897 nel collegio di Montalcino. Fu eletto senatore nel 1900 e cinque anni dopo, il 17 gennaio 1905, morì per emorragia cerebrale. Fra le altre cose si interessò dell'emancipazione della donna, e dato il suo amore per le civiltà anglosassoni (aveva visitato molto sia l'America che l'Inghilterra) portò in Italia la "festa degli alberi”, che un altro parlamentare gli rubò. Il "bosco Isabella" (giardino romantico costruito dal 1904 da Odoardo e dalla figlia Matilde catalogato dalla Sovrintendenza come giardino monumentale, del quale abbiamo parlato più sopra)496.

Su Internet vi sono due siti su Odoardo Luchini: Scheda Senatore Odoardo Luchini e Odoardo Luchini – Portale Storico – Camera dei Deputati.

COSTANTINO COSTANTINI Costantino Costantini nacque a Radicofani l'11 dicembre 1860 ed è deceduto a Chiusi il 1° marzo 1948. Maestro e compositore di musica. Vinse un concorso internazionale e diventò “Direttore della Filarmonica di Odessa” con la quale girò la maggior parte delle capitali europee497. Emigrato a Cetona il 13 marzo 1931 ritornato a Radicofani il 18 ottobre 1933 emigrò a Chiusi il 15 aprile 1942. Costantini vinse il concorso sotto il governo dell’ultimo Zar di Russia Nicola II e rimase Direttore della Filarmonica di Odessa fino al 1917, anno della rivoluzione bolscevica.

495 Giulia Barbarulli, Luciano Banchi – Uno storico al Governo di Siena dell’Ottocento, Industria Grafica Pistoleri per conto dell’Archivio Storico del Comune di Siena, 2002. 496Vedi V. Mazzuoli “Pensione Vertunno e dintorni” Ed. Il Riccio – Abbadia S.S, - 2001 – pagg. 148 – 149. Di questo giardino ne abbiamo parlato sopra nel libro “Bosco Isabella”. 497 Notizie riprese dal libro sopra citato pagg.148 – 149. 234

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Al ricordo del prof. Costantini, non è stata dedicata una via, un’aula, una piazza. Male. Chi non onora la memoria dei morti, dà un pessimo esempio ai vivi! (Oggi nel 2014 a Costantini, grazie alle mie ricerche, è stato dedicato il teatro di Radicofani! Prima di questa dedica si chiamava semplicemente “Teatro Comunale” e nel ‘800 sembra si chiamasse “Teatro dell’Etruria”).

MATILDE LUCHINI

Matilde Luchini nacque a Firenze e proprio qui trascorse la sua giovinezza. Figlia del deputato Odoardo Luchini si trasferì a Radicofani nel "ventennio fascista" e proprio in questo periodo istituì la pensione "Vertunno" nella casa paterna, pensione che per un ventennio divenne il crocevia di artisti di vario genere i quali, attirati dalla padrona di casa, valente pittrice e con una solida cultura, vennero volentieri a passare le loro giornate fra le bellezze della Val d'Orcia con le tante personalità che frequentavano la pensione. A questo proposito è bene leggere il libro di Vito Mazzuoli “Pensione Vertunno e dintorni” citato nelle note.

Su internet alla voce Matilde Luchini leggiamo: Firenze (1874 – 1948) Allieva di F. Simi, ne rifletté i caratteri formali depurandoli di certe accezioni dialettali connesse con i temi pateticamente popolari a da boudoir tipici del maestro. Studiò poi anche con C. Ciani . Appartenente alla buona borghesia, ebbe committenti nel suo ambiente, eseguendo ritratti e anche acquarelli e pastelli di fiori. Esordì a Firenze presentando quattro ritratti alla Promotrice del 1891- 1892 e nel 1892 partecipò alla Mostra del ritratto a San Remo. Prese parte in seguito alle mostre di Firenze (1896-1897), di Milano (1900), e di Roma (1904). A Firenze tenne una rinomata scuola di pittura ed ebbe fra i suoi allievi anche G. Severini, uno dei più grandi pittori del novecento. Da ricordare che la Luchini fu molto amica di Ada Negri, alla quale fece pure un ritratto.

FRA ACCURSIO DA RADICOFANI

Frate cappuccino al secolo Salvatore Rasi, nato nel 1890 e morto nel 1950. Fondatore e primo superiore delle missioni cappuccine in Australia. Fondò chiese, collegi, scuole, missioni ed ospizi in U.S.A e in Australia che ancora oggi portano il suo nome. P. Accursio – sacerdote missionario – al secolo Rasi Salvatore di Domenico (fratello della nonna paterna di chi scrive), vestì l'abito il 14 marzo 1906, dec. il 21/02/1950498. P. Accursio – sacerdote missionario –In fondo alla pieve di S. Pietro, a destra, quando si esce, a ricordo di P. Accursio vi è una lapide in sua memoria che ricordando la sua vita così recita: «In memoria del M. Rev. Padre Accursio Rasi – Radicofani 12.11.1890 – Passaic –New Jersey 21.2.1950 – Fondatore e primo superiore della missione di cappuccini in Australia – Per venti anni fecondo apostolo della dottrina di Cristo nella comunità di Orange – New Jersey fondando chiese, collegi, scuole, ospizi, Cavaliere della Corona d' Italia per meriti di apostolato cattolico e d'italianità, soccorritore volontario in Estremo Oriente dei prigionieri italiani di guerra.

498 Notizia ripresa dal "L'ex convento dei cappuccini di Radicofani" – Talete Tapperi – 1931 – Dattiloscritto.

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Iddio lo chiamò a se mentre la sua opera di carità continuava nella Parrocchia di Sant'Antonio in Passaic, dalle autorità civili degli Stati Uniti onorato quale uomo che dette tutto se stesso alla chiesa e alla comunità. Aveva sessant'anni e stava per tornare a salutare la sua patria e i suoi congiunti. Il fratello e le sorelle lo ricordano. Q.M.P.»

Notizie della missione in Australia si possono trovare nella rivista “Fra Noi” – Pagine informative dei Cappuccini Toscani – Anno XIII – Dicembre 1996 – n. 4 – Firenze; in cui si raccontano i sacrifici che dovevano affrontare i frati che andavano nelle missioni in Australia, e quelli fatti da padre Accursio ancora oggi poco riconosciuti. Da questa rivista pubblichiamo la lettera che scrisse p. Silvio, al quale gli hanno dato tutti gli onori della missione e nulla, o poco, hanno dato al Rasi. Padre Silvio con questa lettera riconosce l’opera svolta da p. Accursio. La lettera costituisce un vero documento storico sul ruolo svolto da p. Accursio in quei primi anni della missione.

Due giorni fa, ho ricevuto una lettera del P. Rasi, in cui mi comunicava la nomina dei nuovi superiori e l’ordine a lui di ritornare in America. Non può immaginare come un tale ordine dei superiori di Roma ci abbia altamente sorpresi ed anche moralmente annientati. Per noi P. Rasi era tutto: l’animatore, l’organizzatore e il direttore. In tutti i nostri complicati problemi si aveva solo da scrivere a lui e si era sicuri di avere consigli e direttive ottime, e perciò io considero la sua partenza una vera catastrofe per la nuova missione ………(Non possiamo dire che l’opera di p. Accursio in Australia abbia avuto fino ad oggi il dovuto riconoscimento storico. Quando, nel settembre 1981, fu eretta la Provincia australiana dei cappuccini, negli atti, nei proclami, nelle allocuzioni anche ufficiali, nelle omelie ecc. ..furono ricordati nomi di vari confratelli, ma non fu menzionato, neppure dal Ministro Generale, quello di p. Accursio, a cui la storia non può negare il merito di aver guidato i passi del nuovo cammino dell’Ordine cappuccino in Australia e di averne assicurato l’avvenire su solide basi organizzative. Anche nella recente celebrazione del 50° della presenza dei cappuccini in Australia (9-13 Ottobre 1995), il ruolo da lui svolto non è stato sottolineato con criteri critico-storici adeguati, ma soltanto cronachisticamente ricordato (Cf. «Province of the Assumption, Golden Jubi lee, Mid-Term Assembly October 9-13 1995», Plumpton, Australia, pag. 38-45). Finché non sarà studiata criticamente la copiosa documentazione archivistica ed oggettivamente ripresentata, anche se non con molto onore delle gerarchie dell’Ordine, p. Accursio Rasi sarà sempre creditore nei riguardi della storia dei cappuccini in Australia. Quell’infausto ordine di ritornare in America sembra ancora allungare la sua ombra sulla virtù dovettero del religioso ubbidiente, anche se il tempo ed anche i superiori del tempo dovettero riconoscere la rettitudine, la sincerità e la validità oggettiva delle sue osservazioni.

RINO RAPPUOLI Nato nel 1952 (il 4 agosto) a Radicofani in provincia di Siena, Rino Rappuoli si è laureato nel 1976 in Scienze Biologiche all’Università di Siena. Ha poi consolidato la sua esperienza di ricerca nel campo dei vaccini durante la permanenza in prestigiose istituzioni accademiche degli Stati Uniti, come la Harvard Medical School di Boston e la Rockefeller University di New York, dove si è principalmente dedicato alla patogenesi batterica e allo studio del batterio responsabile della difterite. Nel 1978 entra a far parte del Centro Ricerche dell’Istituto Sclavo di Siena, la principale azienda italiana produttrice di vaccini. Da allora, la sua carriera 236

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi professionale progredisce rapidamente e nel 1988 è nominato direttore della Divisione Ricerca e Sviluppo Vaccini. In seguito all’acquisizione nel 1992 da parte dell’azienda biotenologica statunitense Chiron dell’Istituto Sclavo e alla nascita di Chiron Vaccines, ricopre diverse posizioni di responsabilità, fino alla nomina di Chief Scientific Officer della Chiron Corporation quando lo scorso 20 aprile, l’azienda è stata acquisita dal gruppo elvetico Novartis, ha preso la Responsabilità globale della Ricerca Vaccini di Novartis. Da sempre impegnato nel campo dell’immunologia e dello sviluppo di vaccini contro gravi malattie di origine virale o batterica, Rino Rappuoli è uno dei fondatori della microbiologia cellulare, disciplina che unisce biologia cellulare e microbiologia, ed è fra i pionieri della cosiddetta reverse vaccinology, tecnica innovativa che consente di produrre vaccini partendo dal genoma, una tecnologia che ha permesso di sviluppare vaccini che non è possibile sviluppare con le metodiche classiche. Tra i numerosi successi, quelli più rilevanti sono il vaccino influenzale adiuvato, quello coniugato contro la meningite di tipo C, e il primo vaccino ricombinante contro la pertosse. Ad oggi Rino Rappuoli ha pubblicato oltre 400 lavori scientifici originali ed è stato autore di diversi libri; fa, inoltre, parte del comitato scientifico di autorevoli riviste di settore ed è membro di diversi comitati e organizzazioni internazionali, quali l’European Molecular Biology Organization (EMBO). Insignito di numerose onorificenze nazionali e internazionali, tra i più recenti riconoscimenti da lui ricevuti c’è la prestigiosa Medaglia d’Oro al Merito della Sanità Pubblica, che viene assegnata ogni anno agli scienziati italiani che hanno maggiormente contribuito al miglioramento della salute pubblica. Nel 2005 il premio è stato conferito a Rappuoli dal Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi per i suoi studi pionieristici dedicati allo sviluppo di un vaccino in grado di proteggere da una pandemia di influenza. A coronamento del suo impegno nella ricerca sui vaccini, che ne ha fatto uno dei maggiori punti di riferimento nel panorama scientifico internazionale nel settore dell’immunologia, nel 2006 Rappuoli è stato infine eletto membro della National Academy of Science (NAS) statunitense, entrando così a far parte della limitata rosa di scienziati italiani, tra cui il premio Nobel Rita Levi Montalcini, presenti all’interno della più antica e autorevole istituzione scientifica degli Stati Uniti. «Occupandomi di biotecnologia – racconta – mi ero trovato subito di fronte al mito americano. Mi era stato detto che se volevo avere successo avrei dovuto recarmi negli Stati Uniti, dove i grandi cervelli italiani riescono ad esprimersi e ad avere successo». Tutto quanto sopra, tolto il racconto del nostro, è la biografia della “Novartis” che si trova su Internet al nome “Rino Rappuoli”.

GIUSEPPE LENCI

Giuseppe Lenci nacque a Radicofani il primo aprile 1830 e morì nel febbraio 1873 a Firenze. Figlio del cancelliere Carlo Lenci e da Fine Del Nero. A soli quarantatre anni aveva raggiunto la carica di Cav. Avv. Sostituto Procurator Generale della Regia Corte D’Appello della città di Firenze, quindi il nostro paese ha dato i natali pure ad un magistrato regio! Il Lenci è ricordato in una biografia del 1874 Edita dalla Tipografia Bencini di Firenze firmata A.G.R. (Avvocatura Generale Regia?).

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FRANCESCO CANINI

“Omesso dalla letteratura antica e moderna, dobbiamo la sua conoscenza ai contributi di Laura Martini e agli arricchimenti documentari di Roberto Longhi, Stelvio Mambrini e Salvatore Di Salvo. Il Canini fu sicuramente dimenticato per non aver lavorato a Siena. La sua attività si concentrò quasi esclusivamente sull’Amiata e , dove si trasferì nel 1629 per rimanervi fino alla morte”. Così comincia il libro a cura di M. Ciampolini – Pittori Senesi del Seicento – Nuova immagine – Provincia di Siena. Si deve però a Stelvio Mambrini e alla sua ricerca pubblicata su “Amiata Storia e Territorio” n. 35 del 2000 la notizia che il Canini era di Radicofani (risulta dall’Archivio Vescovile di Chiusi, Parrocchia di Santa Croce di Abbadia San Salvatore – Atti di Battesimo), infatti viene definito “pittore da Radicofani” luogo dove sembra sia nato intorno al 1580 e morto a Sinalunga nel 1643. Fra le sue opere ricordiamo un’“ultima cena”, olio su tela di cm. 200 per 510 sito nel convento di S. Bernardino a Sinalunga datato nel 1629; sempre a Sinalunga in San Pietro ad Mensulas la tela con Gesù che consegna le chiavi a San Pietro datato 1636 e la decollazione del Battista; nella collegiata di Sinalunga ha lavorato a tre tele compresa un’Annunciazione che sembra la meglio riuscita. Ha lavorato a Grosseto dov’è esposta al Museo d’Arte Sacra delle diocesi di Grosseto una “Crocifissione con le Marie e San Giovanni”. È stato presente dal 1616 al 1622 ad Abbadia San Salvatore.

LEOPOLDO MAZZEI

Leopoldo Mazzei (Radicofani 1819 – Pistoia 1901) Leopoldo Mazzei, laureato in medicina a Pisa negli anni 1841-42, di ideali mazziniani, si iscrisse alla “Giovine Italia” e partecipò attivamente a vari circoli politici locali di ispirazione unitaria quali la “Società degli amici del popolo di Pistoia” e la sezione locale della “Società Nazionale” e l’Associazione pistoiese pe l’Unità d’Italia. Il culmine della sua attività “rivoluzionaria” si ebbe nella sua adesione ai fatti del 1848 che tra l’altro lo videro volontario nella prima guerra di indipendenza a Montanara. Questa sua attività gli costò nel 1849 l’arresto per qualche mese. Tornato libero inizia la sua attività di medico presso gli Ospedali Riuniti di Pistoia che lo vedranno percorrere tutta la gerarchia fino al ruolo di direttore che terrà fin quasi alla morte. Questo non gli impedì di essere ufficiale medico della Guardia nazionale dal 1859 al 1866 e quindi membro del Consiglio sanitario circondariale di Pistoia dal 1866 al 1888. L’unità d’Italia, vede un sostanziale distacco di Leopoldo Mazzei dalla politica attiva e la sua iscrizione alla massoneria. Questi brevi tratti servono ad illuminare gli interessi e le attività che emergono dalle carte d’archivio. Dalle radici mazziniane e dall’esperienza massone nasce la sua attenzione per le classi popolari, dalla sua attività di medico i suoi studi di carattere “scientifico”, dalla sua passione civile, deriva la sua produzione letteraria e la sua attività di pubblicista che lo vide tra i collaboratori de «La Nazione».

Dagli strumenti di ricerca: Paolo Franzese, Inventario del Fondo Carte Mazzei.

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Per finire non posso non ricordare il maestro Millo (Giovanni Magrini del 1916) il quale fu, per diverso tempo giornalista della “NAZIONE”, dedicò un articolo a Radicofani che amava profondamente e che riporto qui sotto.

RADICOFANI PAESE NATO DALL’ESTRO DI UN VULCANO

Una rupe scarna, di colore rossigno, spavaldamente impennata nel cielo, con una lunga striscia di case distese lungo il fianco a sole, e una torre emergente dalla sommità, immalinconita in un distaccato sogno di memorie. Sensazione di sperdimento in un silenzio remoto. Radicofani appare al viandante della Cassia con la esasperata concisione di un quadro tirato a pennellate violente, senza respiro di sfumature. Una cert’aria scanzonata, in tanta drammaticità, e la posa aristocratica del torrione, incoronato dalla nobile merlatura guelfa, sono intimamente collegate al privilegio commesso a questa rocca di far gli onori di casa a chi, venendo da Roma per l’antica via Francigena, entra in terra Toscana. Presentazione alla buona, senza finezze, da vecchio armigero indurito nella consegna di vegliare sulle sorti di una gloriosa repubblica e assuefatto assai più a sbrigarsela con bande di predoni e lanzichenecchi che a far cerimonia a carovane di turisti. All’immaginifico, che cantando le laudi della terra modulò la dolcezza della Toscana per le sue colline Inghirlandate di ulivi, andò a genio l’aspra premessa della rupe di Radicofani che gli si rivelò dominatrice del paesaggio più virile d’Italia, modellato dal fuoco e dal travaglio immane della natura. Figura di nobile ribelle, che alla gravità senatoriale dei monti che gli stanno intorno impone il suo atteggiamento spregiudicato di picco maledetto. Immagine selvaggia e spiritata, concepita in un attimo di allucinazione, emergente da una campagna aspra e avara, marcata dalle tetre fenditure che tagliano le crete e sembrano colpi di spada avventati alla cieca da un dio cieco di rabbia. Le genti che abitarono intorno a Radicofani, tormentate dalla stizza d’avere davanti ai loro sguardi la sua sconsacrata irrisione e rabbia d’esser tenute a bada da un Cavaliere di gran cuore che soccorre i miseri e spuntava le unghie ai furfanti, dissero che* questo picco era un parto del diavolo. Ma, se ci fermiamo in intimità col silenzio della rocca, nel distacco della sua altezza, dove si è liberi dalla sensazione di disagio creata dall’asprezza del paesaggio, si arriva naturalmente al senso più aderente e più reale di Dio. Questa solitudine aerea stabilisce un distacco dal resto del mondo e si è presi dalla magica attrazione delle mura sgretolate che evocano il fantastico e tormentato intreccio delle passate avventure ed esprimono il travaglio degli uomini che arroccandosi quassù vissero la loro fugace illusione di titanismo. Ansiti di lotte feroci e figure fascinose di uomini da leggenda che suscitarono fiammate di odio e di ammirazione, sorgono da questa tessitura imponente di mura che il tempo, sornione e indifferente, inghiotte con lenta pazienza. All’improvviso un grido guerriero frange il silenzio. Un falco piomba dal vuoto del cielo incontro alla cima della grande torre; quando è prossimo alla merlatura e si è presi dallo sgomento per l’urto che spezzerà il suo volo temerario, scivola d’ala, caracolla un attimo e si butta, come scagliato da una fionda, dietro un moncone di muro. Per alcuni attimi si ode il suo grido acuto di voluttà rabbiosa. E poi che la voce si spegne, restiamo sospesi nell’attesa che essa torni a rompere il silenzio che cenobio (vita comune) che regola il passo delle ore, quassù, dove il tempo si rivela nella cruda realtà di dominatore 239

Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi invincibile, indice spietato del precipitare delle immortali costruzioni degli uomini e delle loro titaniche illusioni.

Gm (Giovanni Magrini da tutti chiamato Maestro Millo)

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INDICE

Prefazione pag. 2 Radicofani a cura di – O. Bicchi – Siena 1912 ‘ 6 Della Rocca di Radicofani – a cura L Chiavini – 1928 ‘ 7 La fortezza di Radicofani - a cura di E. Magrini – 1929 ‘ 7 Radicofani – a cura di A. Luchini – 1970 ‘ 9 I Parroci di Radicofani – a cura di F. M. Magrini – 1983 ‘ 9 Giustizia per un bandito – a cura di F. M. Magrini – 1985 ‘ 9 La verità storica su Ghino di Tacco – Radicofani difende e riabilita il suo castellano - a cura di F.M. Magrini – 1987 ‘ 9 La robbiane di Radicofani e … - a cura di B. Santi e C, Prezzolini – 1993 ‘ 12 Il bosco Isabella a Radicofani – a cura di M. Mangiavacchi ed E. Pacini – 1994 ‘ 12 La Posta di Radicofani – a cura di L. Carandini – 1995 ‘ 12 La città fortificata di Radicofani – a cura di C. Avetta ‘ 13 Ghino di Tacco nella tradizione letteraria del Medioevo – a cura di B. Bentivogli – 1992 ‘ 13 Il Paglia – cura di Jader Jacobelli - 2000 ‘ 13 Radicofani – a cura di R. Terziani – 1999 ‘ 13 Ghino di Tacco detto il “Falco” – a cura di G. Guidotti – 2001 ‘ 13 Ghino di Tacco – a cura di B. Craxi - 1999 ‘ 13 Pensione Vertunno e dintorni – a cura di V. Mazzuoli – 2001 ‘ 14 Radicofani e il suo statuto del 1441 – a cura di B. Magi – 2004 ‘ 16 Memorie di un’antica terra di frontiera e di fortezze – a cura di Beatrice e Renato Magi – 2006 ‘ 17 Matilde Luchini – a cura di Dee Keithahn – 2002 ‘ 19 Carta Archeologica della provincia di Siena – AA.VV. – 2004 ‘ 19 De strata Francigena – XIX/1-2- AA.VV. – 2011 ‘ 19 L’Abbazia di San Salvatore al Monte Amiata – a cura di W. Kurze e C. Prezzolini – 1988 ‘ 19 L’Amiata nel medioevo – a cura di AA.VV. – 1989 ‘ 33 Romanico nell’Amiata – AA.VV. – 1990 ‘ 61 Prime comunità cristiane e strade romane nei territori di Arezzo-Siena-Chiusi – a cura di A. Maroni – 1990 ‘ 96 Relazione della città di Fiorenza e nel granducato di Toscana – a cura di G. G. Priorato – 1668 – r.a. 1977 ‘ 98 Tradizioni popolari e leggende di un comune medioevale e Del suo contado – a cura di G. Rondoni - ‘ 98 I castelli della Val d’Orcia e la Repubblica di Siena – a cura di A. Verdiani.Bandi – MCMXXXVI – r. a. del MCMXXIII ‘ 99 Comunicazioni stradali attraverso i tempi – Firenze – Roma – a cura di Daniele Sterpos – 1964 ‘ 128 Viaggiatori stranieri in terra di Siena – a cura di A. Brilli – 1986 ‘ 159 I Medici e lo Stato Senese – 1555 - 1609 – a cura di L. Rombai – AA.VV. – 1980 ‘ 166 Libri sulla Via Francigena ‘ 166 Toponomastica del nome Radicofani ‘ 183 Documenti vari ‘ 185

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Battaglia di Radicofani (II^ guerra Mondiale) ‘ 188 Lo Statuto del 1255 ‘ 194 Personaggi Illustri ‘ 222 Beato Guglielmo ‘ 223 Guasta di messer Iacomino ‘ 224 Dino da Radicofani ‘ 226 Giovanni Pellei ‘ 230 Alceo Gestri ‘ 232 Luciano Banchi ‘ 233 Fra Accursio da Radicofani ‘ 234 Rino Rappuoli ‘ 235 Francesco Canini ‘ 237

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