Nabis Alcuni Giovani Pittori, Attorno Al 1888, Si Diedero Il Nome Di «Nabis» (Dall’Ebraico: Profeti)
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N Nabis Alcuni giovani pittori, attorno al 1888, si diedero il nome di «Nabis» (dall’ebraico: profeti). I N rappresentano nella storia della pittura un gruppo di personalità distinte, più che un autentico programma estetico comune. Una certa somiglianza di tono e di stile accosta, dal 1889 e per circa un decennio, pittori tra loro diversi come Vallotton e Bonnard, Ker Xavier Roussel e Maurice Denis, Maillol e Lacombe, o Vuillard, Verkade e Sérusier. In quest’ultimo, e attraverso lui in Gauguin ed Emile Bernard, vanno ri- cercate le origini del gruppo. Sérusier, «allievo-economo» all’Académie Julian, incontrò a Pont-Aven Gauguin nel settembre 1888; nell’estate precedente il futuro pittore dei tropici, stimolato dalla presenza del giovane Emile Bernard, aveva elaborato le sue teorie del momento: il cloisonnisme e il sintetismo. Il temperamento insieme spiritualista e didattico di Sérusier ne fece un adepto en- tusiasta e un eccellente propagandista delle tesi di Gau- guin: dipinse nel bosco di Amour a Pont-Aven, sotto la direzione di Gauguin, quanto chiamerà il Talismano, un fondo di scatola di sigari coperto di zone di colore puro e piatto. Tornato all’Académie Julian il mese successivo, «convertì» i giovani allievi Bonnard, Denis, Ibels e Ran- son, che inserirono nel gruppo alcuni loro amici dell’Ecole des Beaux-Arts, Roussel e Vuillard; poi, nel 1891, l’olandese Verkade e il danese Ballin. Nel 1892 vi si ag- giunsero Lacombe, l’ungherese Rippl-Ronai, Maillol e lo svizzero Vallotton. Sin dall’inizio è evidente il carattere iniziatico e sacro dell’estetica dei N. Il simbolismo, nella sua fase spirituali- sta, era terreno comune dei giovani dell’Académie Julian, quando non partecipassero al gruppo Rosacroce. Ma con al- Storia dell’arte Einaudi trettanta serietà che umorismo essi si chiamarono «nabîm», nome trovato dal loro compagno Cazalis, e si ritennero una confraternita decisa a ritrovare le fonti pure dell’arte, dopo le effusioni dell’impressionismo, che giudicavano troppo le- gate al dato sensibile e dunque superficiali. Sérusier fu il catalizzatore del momento, e il critico simbolista Albert Aurier ne fu uno dei primi difensori; Maurice Denis, però, ne fu il teorico, in un articolo chiaro e brillante, scritto ad appena vent’anni: Définition du néo-traditionnisme («Art et critique», 1890), ove compare la famosa formula secondo cui il quadro, «prima d’essere un cavallo da battaglia, una donna nuda o un aneddoto qualsiasi, è essenzialmente una superficie piana ricoperta di colori messi insieme secondo un certo ordine». Per Maurice Denis, come per i suoi com- pagni, la pittura dev’essere un’interpretazione della natura «per scelta e per sintesi», in uno spirito analogo a quello dei preraffaelliti, benché meno letterale per quanto attiene il passato: «Confesso che le predelle dell’Angelico al Lou- vre, l’Uomo in rosso del Ghirlandaio e alcune altre opere di primitivi mi ricordano la natura con maggior precisione di Giorgione, Raffaello, Leonardo». Per i N la scienza del modellato e la prospettiva quali vengono insegnate dal Cin- quecento italiano in poi guastano ciò che essi mirano a ri- trovare: «la salvezza della sensazione primitiva», ove l’emozione sincera si traduce con l’arabesco in piatto, col colore puro, con le armonie ritmiche; Denis cita le loro fonti: «le vetrate medievali, le stampe giapponesi, la pittura egizia». Tra i contemporanei, i giovani pittori si volgono a Puvis de Chavannes, Gauguin e Anquetin. Cercano, par- tendo dai soggetti più umili, «icone moderne», poiché «l’arte è la santificazione della natura, di quella natura di tutti coloro che si accontentano di vivere». Su tali basi co- muni, le opere dei N sono assai diverse. In artisti come Ranson o Maurice Denis, il colore puro e gli arabeschi de- corativi sostengono un’iconografia letteraria e simbolista (Denis, Soir Trinitaire, 1890: Louveciennes, coll. priv.), anzi penetrata di religiosità (il Mistero cattolico, 1890: coll. Denis). La semplificazione linguistica si nutre in Vallotton di un’osservazione feroce (Bagno una sera d’estate, 1892: Zurigo, kh), in Bonnard e Vuillard di grazia intimista e di humor. Bonnard, soprannominato dagli amici «nabi molto alla giapponese», riprende infatti dalle stampe giapponesi gli arabeschi colorati, il tratto abbreviato e il gusto della calligrafia integrata alla composizione: la Signorina dei: coni- Storia dell’arte Einaudi gli (1891: New York, coll. Rubin) o Scene di famiglia (lito- grafia, 1892). Rispondendo alle esigenze di Aurier, per il quale «la vera pittura è la pittura decorativa» («Mercure de France», marzo 1890), Vuillard apporta al linguaggio N le sue decorazioni più sorprendenti: si tratti dei sei pannelli eseguiti per Paul Desmarais nel 1892, o delle otto grandi scene nei giardini pubblici ordinate da Alexandre Natanson nel 1894, cinque delle quali sono oggi conservate al Louvre di Parigi (mam). I N partecipano infatti a quel movimento generale europeo della fine del xix sec. che tenta, elaboran- do un’arte nuova, di abbattere la barriera che separa l’arte decorativa dalla pittura di cavalletto. S’interessano partico- larmente della stampa e del manifesto (Bonnard, manifesti per «France Champagne», 1891, per la «Revue blanche», 1894; Vuillard, litografia la «Bécane», 1894); con disegni e caricature collaborano a numerosi giornali (in particolare Bonnard, Ibels e Vallotton) ed illustrano numerosi volumi: Maurice Denis Le Voyage d’Urien di André Gide (1893); Vallotton La Maîtresse di Jules Renard (1896) e Le livre des masques di Rémy de Gourmont (1897); Bonnard Parallèle- ment di Verlaine (1900). Ranson e Maillol fanno eseguire arazzi su propri cartoni, e Vuillard appronta persino pro- getti di vetrate. I N partecipano anche al mondo teatrale e disegnano numerosi manifesti e programmi per il teatro d’Arte di Paul Fort, e soprattutto per il Théâtre de l’Œuvre di Lugné-Poe. Espongono regolarmente in gruppo agli Indépendants, presso Le Barc de Bouteville in rue Le Pelletier, tredici volte tra il 1891 e il 1896; poi presso Am- broise Vollard. Le loro personali si svolgono invece presso gli amici della «Revue blanche», di cui sono i pittori prefe- riti. D’altra parte lo scioglimento della rivista nel 1903 coinci- de con la dispersione del gruppo, o piuttosto – poiché gli ex N resteranno legati fra loro per tutta la vita – col mo- mento in cui, passati i trent’anni, ciascuno di loro segue una propria strada, che fa emergere le particolarità e le di- vergenze rispettive: «Era finito un periodo della storia della pittura, che essi segnarono della loro impronta e col- marono della loro eleganza» (Antoine Terrasse). (fc). Nachi (Cascata del Monte) Dipinto giapponese anonimo (kakemono a colori ed oro su seta della fine del xiii sec.: Tokio, Museo Nezu) rappre- sentante un paesaggio naturale non idealizzato, intera- Storia dell’arte Einaudi mente dominato dall’immagine imponente della celebre cascata che piomba verticalmente dall’alto di una roccia scoscesa e coronata di alberi, dietro i quali appare il sole. Un tetto di tempio, o meglio di padiglione per la contem- plazione, visibile in primo piano, è l’unico riferimento ad una presenza umana in quest’opera ispirata dallo shintoi- smo sincretico. Oltre all’impianto grandioso, che basta a farne un capolavoro, questo dipinto si riferisce infatti tanto all’adorazione di una divinità naturale shintoista, quanto al culto buddista di Amida, qui simboleggiato dal Sole, di cui si suggerisce la mistica unione col genio della cascata. Per tale motivo la N viene talvolta assimilata a una pittura mandara. (ol). Nacht-Samborski, Artur (Cracovia 1898 – Varsavia 1974). Pittore polacco, dal 1918 al 1921 compì gli studi presso l’Accademia di belle arti di Cracovia, seguendo l’insegnamento di W. Weiss. Dal 1923 effettuò viaggi a Berlino e Vienna. Membro del gruppo dei «kapisti» (Kapismo), tra il 1924 e il 1939 soggiornò più volte a Parigi e prese parte a tutte le attività dei suoi colle- ghi. Insegnò presso la Scuola nazionale di arti plastiche di Sopot dal 1946 al 1949, e all’Accademia di belle arti di Varsavia dal 1949 al 1969. La sua pittura, calma e concen- trata, tende alla decorazione mentale ed associa un senso poetico del colore alla sintesi formale. La XXIX Biennale di Venezia gli ha dedicato una personale nel 1959. Sue opere sono conservate nei musei di Danzica, Varsavia, Cra- covia, Poznaƒ, e in collezioni private. (wj). Nadar (Félix Tournachon), detto (Parigi 1820-1910). Cominciò ad esercitare il giornalismo sin dai diciassette anni a Lione, poi a Parigi. Collaborò a numerosi giornali, tra cui «Le Charivari» e l’«Eclair», dive- nendo noto soprattutto per il suo brio d’umorista e le sue caricature; così, verso il 1851, intraprese il celebre Panthéon Nadar, serie di ritratti velatamente caricaturali, tra i quali i letterati, gli artisti, i dotti e gli uomini politici francesi contemporanei ambivano comparire. Egli stesso disse che il suo Panthéon lo aveva indotto a dedicarsi al ritratto fotogra- fico, attorno al 1853-54. Nel giro di qualche anno, utiliz- zando un procedimento di recente scoperta, l’istantanea, si rivelò uno dei massimi fotografi di tutti i tempi. La sua Storia dell’arte Einaudi competenza tecnica (ottenne numerosi brevetti di perfezio- namento, e la sua carriera è scandita da ricompense ufficia- li), ma ancor più la conoscenza intima dei suoi modelli gli consentirono di cogliere ritratti famosi di Baudelaire, Victor Hugo, Delacroix, Lamartine. Dal 1863 fu colto da una vera e propria passione, che lo rovinò, per l’areonautica; si fece onore a bordo del suo aerostato, il Gigante, e, durante l’asse- dio di Parigi nel 1870, utilizzò i palloni per la difesa della capitale. Dotato di senso innato della pubblicità, e introdot- to in tutti gli ambienti, fu pure legato al movimento impres- sionista: frequentava il gruppo del caffè Guerbois, e la prima mostra impressionista ebbe luogo nel suo studio, al n.