COMUNE DI ACQUAPENDENTE

RISERVA NATURALE MONTE RUFENO

Piani di Gestione e Regolamentazione sostenibile di SIC e ZPS assegnati alla Riserva Naturale Monte Rufeno

Servizi di assistenza tecnica A.T.I. Dream Italia scrl – Lynx Natura e Ambiente srl - Temi srl arch. Nicolò Savarese

Settembre 2004

INDICE GENERALE

PARTE I – QUADRO CONOSCITIVO

1. SIC E ZPS

2. AMBIENTE FISICO 2.1. ASPETTI GEOLOGICI 2.1.1. Cenni di tettonica 2.1.2. Cenni di geologia 2.2. IDROGRAFIA E GEOMORFOLOGIA 2.3. CLIMA

3. VEGETAZIONE 3.1. INQUADRAMENTO GENERALE 3.2. METODOLOGIA DI ANALISI 3.2.1. Rilevamenti 3.2.2. Cartografia 3.2.3. Bibliografia 3.3. PRESENZA E DISTRIBUZIONE DEGLI HABITAT 3.3.1. Pratelli rupicoli calcicoli o basofili dell’Alysso-Sedion albi 3.3.2. Stagni temporanei mediterranei con pratelli anfibi a dominanza di piccoli giunchi e micropteridofite (Isoeto- Nanojuncetea) 3.3.3. Pratelli di erbe graminoidi ed annuali (Thero- Brachypodietea) 3.3.4. Formazioni Formazioni erbose secche seminaturali su substrato calcareo (Festuco-Brometalia) 3.3.5. Foreste di versanti, valloni e ghiaioni del Tilio-Acerion 3.4. STATO DI CONSERVAZIONE DEGLI HABITAT

4. FAUNA 4.1. INQUADRAMENTO GENERALE 4.2. METODOLOGIA DI ANALISI 4.2.1. Rilevamenti 4.2.2. Cartografia 4.2.3. Bibliografia 4.3. ARTROPODOFAUNA 4.3.1. Gambero di fiume (Austropotamobius pallipes)

2 4.4. ITTIOFAUNA 4.4.1. Premessa metodologica 4.4.2. Barbo (Barbus plebejus) 4.4.3. Cavedano dell’Ombrone (Leuciscus lucumonis) e Cavedano (Leuciscus cephalus) 4.4.4. Rovella (Rutilus rubilio) 4.4.5. Vairone (Leuciscus souffia muticellus) 4.4.6. Lasca (Chondrostoma genei) 4.4.7. Cobite (Cobitis taenia bilineata) 4.4.8. Ghiozzo di ruscello (Gobius nigricans) 4.5. ERPETOFAUNA 4.5.1. Premessa metodologica 4.5.2. Salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata) 4.5.3. Tritone crestato italiano (Triturus carnifex) 4.5.4. Ululone a ventre giallo (Bombina variegata) 4.5.5. Testuggine di Hermann (Testudo hermanni) 4.5.6. Testuggine palustre europea (Emys orbicularis) 4.5.7. Cervone (Elaphe quatuorlineata) 4.6. ORNITOFAUNA 4.6.1. Premessa metodologica 4.6.2. Nibbio bruno (Milvus migrans) 4.6.3. Falco pecchiaiolo (Pernis apivorus) 4.6.4. Biancone (Circaetus gallicus) 4.6.5. Succiacapre (Caprimulgus europaeus) 4.6.6. Tottavilla (Lullula arborea) 4.6.7. Averla piccola (Lanius collurio) 4.6.8. Magnanina (Sylvia undata) 4.7. MAMMOLOFAUNA 4.7.1. Lontra (Lutra lutra) 4.7.2. Lupo (Canis lupus) 4.7.3. Chirotteri

5. AMBIENTE ANTROPICO 5.1. DEMOGRAFIA 5.2. SCUOLA E ISTRUZIONE 5.3. STRUTTURA ABITATIVA 5.4. POPOLAZIONE ATTIVA E MERCATO DEL LAVORO 5.5. STRUTTURA ECONOMICO PRODUTTIVA 5.5.1. Agricoltura 5.5.2. Industria e servizi 5.5.3. Turismo 5.6. ATTIVITÀ ANTROPICHE E USO DEI SUOLI 5.6.1. Pesca 5.6.2. Attività agricole 5.6.3. Raccolta funghi

3 5.6.4. Attività estrattive 5.6.5. Attività zootecniche 5.6.6. Caccia 5.6.7. Attività turistiche 5.6.8. Attività artigianali 5.6.9. Gestione forestale 5.7. IL PATRIMONIO STORICO CULTURALE 5.7.1. Cenni storici 5.7.2. Caratteristiche economiche storiche 5.7.3. Beni culturali nel territorio di Acquapendente

PARTE II - PIANO DI GESTIONE

6. QUADRO PIANIFICATORIO E NORMATIVO 6.1. QUADRO PIANIFICATORIO 6.2. VINCOLI ESISTENTI 6.2.1. Vincolo idrogeologico 6.2.2. Vincolo paesaggistico 6.2.3. Vincolo archeologico 6.3. IL PIANO DELLA RISERVA NATURALE DI M. RUFENO 6.3.1. Inquadramento ambientale e territoriale 6.3.2. Perimetrazione e zonizzazione 6.3.3. Istituzione delle zone contigue 6.3.4. Dotazioni funzionali e infrastrutturali 6.3.5. Modalià di attuazione 6.4. IL PIANO DI GESTIONE

7. FATTORI DI MINACCIA E STRATEGIE DI GESTIONE PER LA CONSERVAZIONE DEGLI HABITAT 7.1. FATTORI DI MINACCIA 7.1.1. Tilio Acerion 7.1.2. Praterie dei Festuco-Brometalia 7.1.3. Pratelli del Thero-Brachypodion e cenosi dell’Alysso- Sedion 7.1.4. Mosaico vegetazionale lungo i corsi d’acqua 7.2. STRATEGIE DI GESTIONE

8. FATTORI DI MINACCIA E STRATEGIE DI GESTIONE PER LA CONSERVAZIONE DELLE SPECIE 8.1. ARTROPODOFAUNA 8.2.1. Gambero di fiume (Austropotamobius pallipes)

4 8.2. ITTIOFAUNA 8.2.1. Barbo (Barbus plebejus), Cavedano dell’Ombrone (Leuciscus lucumonis) e Cavedano (Leuciscus cephalus) 8.2.2. Rovella (Rutilus rubilio) 8.2.3. Vairone (Leuciscus souffia muticellus) 8.2.4. Lasca (Chondrostoma genei) 8.2.5. Cobite (Cobitis taenia bilineata) 8.2.6. Ghiozzo di ruscello (Gobius nigricans) 8.3. ERPETOFAUNA 8.3.1. Salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata) 8.3.2. Tritone crestato italiano (Triturus carnifex) 8.3.3. Ululone a ventre giallo (Bombina variegata) 8.3.4. Testuggine di Hermann (Testudo hermanni) 8.3.5. Testuggine palustre europea (Emys orbicularis) 8.3.6. Cervone (Elaphe quatuorlineata) 8.4. ORNITOFAUNA 8.4.1. Nibbio bruno (Milvus migrans) 8.4.2. Pecchiaiolo (Pernis apivorus) 8.4.3. Biancone (Caircaetus gallicus) 8.4.4. Strategie di gestione relative ai Rapaci forestali 8.4.5. Succiacapre (Caprimulgus europaeus) 8.4.6. Tottavilla (Lullula arborea) 8.4.7. Averla piccola (Lanius collurio) 8.4.8. Magnanina (Sylvia undata) 8.5. MAMMOLOFAUNA 8.5.1. Lontra (Lutra lutra) 8.5.2. Lupo (Canis lupus) 8.5.3. Chirotteri

9. CRITERI E MODALITA’ D’INTERVENTO 9.1. ESECUZIONE E GESTIONE DIRETTA DEGLI INTERVENTI 9.1.1. Interventi di ingegneria naturalistica 9.1.2. Interventi riguardanti le componenti biotiche 9.2. REGOLAMENTAZIONE INDIRETTA DELLE ATTIVITÀ COMPATIBILI/INCOMPATIBILI 9.2.1. Normative tecniche di attuazione degli strumenti pianificatori 9.2.2. Normative e vincoli di natura legislativa 9.3. INCENTIVAZIONE DI ATTIVITÀ ED INTERVENTI DESIDERABILI 9.4. MONITORAGGIO PERMANENTE DEGLI HABITAT E DELLE SPECIE 9.4.1. Tilion Acerion 9.4.2. Praterie perenni e terofitiche 9.4.3. Artropodofauna

5 9.4.4. Erpetofauna 9.4.5. Ornitofauna 9.4.6. Mammolofauna 9.5. INFORMAZIONE, FORMAZIONE, EDUCAZIONE AMBIENTALE 9.6. MODELLO TERRITORIALE PER LA TUTELA E LA GESTIONE DELLE RISORSE AMBIENTALI 9.7. MODIFICHE ALLA PERIMETRAZIONE DEI SITI

Allegato ‘A’ BOZZA DEL REGOLAMENTO DI GESTIONE

Allegato ‘B’ SCHEDE DEGLI INTERVENTI PROPOSTI

TAVOLE fuori testo:

1. CARTA DELL’USO DEL SUOLO E DELLA VEGETAZIONE 2. CARTA DEGLI HABITAT DI INTERESSE COMUNITARIO 3. CARTA DELLE STAZIONI DI PRESENZA E DELLE SEGNALAZIONI DELLE SPECIE FAUNISTICHE DI INTERESSE COMUNITARIO E CONSERVAZIONISTICO 4. MOSAICO URBANISTICO 5. CARTA DEI VINCOLI GRAVANTI SUL TERRITORIO

6 CREDITI

I Piani di Gestione dei SIC e ZPS assegnati alla Riserva Naturale Monte Rufeno sono stati elaborati da:

Alessandro Bardi Enrico Calvario Nicolò Savarese Guido Tellini con il coordinamento generale di Nicolò Savarese e con la supervisione di Massimo Bedini (Direttore della Riserva)

Gli studi di settore sono stati svolti da:

ASPETTI VEGETAZIONALI: DREAM Italia scrl con il coordinamento del Dr Guido Tellini Botanica: Dr.ssa Claudia Angiolini Aspetti gestionali: Dr. Antonio Gabellini

ASPETTI FAUNISTICI: LYNX Natura e Ambiente srl con il coordinamento del Dr. Enrico Calvario Artropodofauna: Dr.ssa Rachele Venanzi (Gambero di Fiume) Ittiofauna: Dr.ssa Anna Rita Taddei, Dr. Eugenio Stabile, Dr.ssa Raffaella Berera (coop. GAIA), Federico Fapperdue, Manuel Bombelli Erpetofauna: Prof. Marco Bologna (coord. scientifico), Dr. Leonardo Vignoli Ornitofauna: Francesca Zintu (Rapaci forestali), Dr. Alberto Sorace (altre specie di Uccelli) Mammolofauna: Dr. Mino Calò (Carnivori), Dr.ssa Stefania Biscardi (Chirotteri)

ASPETTI SOCIO ECONOMICI: TEMI srl con il coordinamento del Dr. Alessandro Bardi Aspetti gestionali: Ph.D. Fulvio Cerfolli, Ing. Alessandro Musmeci Aspetti paesaggistici: Arch. Donatella Violante Aspetti infrastrutturali: Ing. Massimo Iacobini

PIANIFICAZIONE TERRITORIALE: Arch. Nicolò Savarese

EDITING CARTOGRAFIA: Sig.ra Paola Bassi e Dr. Emanuele Turrini (Dream Italia scrl)

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Ringraziamenti

Si ringrazia la Direzione ed il personale della Riserva con particolare riferimento a Roberto Papi, Massimo Bellavita e Luca Colonnelli, che hanno assicurato un prezioso supporto tecnico e logistico per la realizzazione delle indagini di campo e fornito numerosi dati di presenza relativi a specie di interesse comunitario. Si ringraziano inoltre il Dr. Sergio Zerunian per la disponibilità al confronto sulle problematiche relative all’ittiofauna, la Dr.ssa Alessandra Tomassini per il supporto sul campo durante il survey speditivo sui Chirotteri, la Dr.ssa Silvia Sebasti per il supporto al coordinamento delle attività relative alla Fauna.

8 PARTE I QUADRO CONOSCITIVO

1. SIC E ZPS

Si riportano nel seguito le schede relative ai 5 SIC e alle 2 ZPS ricadenti nel Comune di Acquapendente ed assegnati alla Riserva Naturale di Monte Rufeno.

Denominazione SIC / ZPS Superficie N° habitat N° Specie ZPS IT6010003 2339,2 ha 11 14 SIC IT6010004 1677,2 ha 4 10 SIC IT6010005 140,1 ha 2 2 SIC IT6010006 521,8 ha 7 2 SIC IT6010001 161,3 ha 4 9 SIC e ZPS IT6010002 60,9 ha 2 2

ZPS IT6010003 Monte Rufeno Habitat: 130: Formazioni a Juniperus communis su lande o prati calcioli 9180*: Foreste di versanti, ghiaioni e valloni del Tilio-Acerion 9260: Foreste di Castanea sativa 6210: Formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo (Festuco-Brometalia) (*stupenda fioritura di orchidee) 3290: Fiumi mediterranei a flusso intermittente con il Paspalo- Agrostidion 6431: Bordure erbacee alte dei corsi d’acqua e aree boscate 6420: Praterie umide mediterranee con piante erbacee alte del Molinio-Holoschoenion 3260: Fiume delle pianure e montani con vegetazione di Ranunculus fluitantis e Callitriche- Batrachion 3140: Acque oligomesotrofe calcaree con vegetazione bentica di Chara spp 6110*: Formazioni erbose rupicole calcicole o basofile dell’Alysso- Sedion albi 3132: Acque oligotrofe dell’Europa centrale e perialpina con vegetazione annuale su argini esposti (Nanocyperetalia) Specie: Mammiferi: Canis lupus, Lutra lutra Uccelli: Pernis apivorus, Milvus migrans, Circaetus gallicus, Caprimulgus europaeus, Lullula arborea, Lanius collurio, Sylvia undata, Charadrius dubius Rettili: Testudo hermanni, Elaphe quatorlineata, Emys orbicularis

9 Anfibi: Bombina variegata

SIC IT6010004 Monte Rufeno Habitat: 5130: Formazioni a Juniperus communis su lande o prati calcioli 9260: Foreste di Castanea sativa 6210: Formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo (Festuco-Brometalia) (*stupenda fioritura di orchidee) 6110*: Formazioni erbose rupicole calcicole o basofile dell’Alysso- Sedion albi Specie: Mammiferi: Canis lupus Uccelli: Pernis apivorus, Milvus migrans, Circaetus gallicus, Caprimulgus europaeus, Lullula arborea, Lanius collurio, Sylvia undata Rettili: Testudo hermanni, Elaphe quatorlineata

SIC IT6010005 Fosso dell’Acqua Chiara Habitat: 9180*: Foreste di versanti, ghiaioni e valloni del Tilio-Acerion 6431: Bordure erbacee alte dei corsi d’acqua e aree boscate Specie: Rettili: Emys orbicularis Anfibi: Bombina variegata

SIC IT6010006 Valle del Fossatello Habitat: 5130: Formazioni a Juniperus communis su lande o prati calcioli 6210: Formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo (Festuco-Brometalia) (*stupenda fioritura di orchidee) 3290: Fiumi mediterranei a flusso intermittente con il Paspalo- Agrostidion 6420 Praterie umide mediterranee con piante erbacee alte del Molinio-Holoschoenion 3260: Fiume delle pianure e montani con vegetazione di Ranunculus fluitantis e Callitriche- Batrachion 3140: Acque oligomesotrofe calcaree con vegetazione bentica di Chara spp 3132: Acque oligotrofe dell’Europa centrale e perialpina con vegetazione annuale su argini esposti (Nanocyperetalia) Specie: Rettili: Emys orbicularis Anfibi: Bombina variegata

SIC IT6010001 Medio corso del Fiume Paglia Habitat: 3280: Fiumi mediterranei a flusso permanente con il Paspalo- Agrostidion e con filari ripari di Salix e Populus alba 91F0: Foreste miste riparie di grandi fiumi a Quercus robur, Ulmus laevis, e Ulmus minor, Fraxinus excelsior o Fraxinus angustifolia (Ulmenion minoris) 6431: Bordure erbacee alte dei corsi d’acqua e aree boscate

10 92A0: Foreste a galleria di Salix alba e Populus alba Specie: Mammiferi: Lutra lutra Uccelli: Milvus migrans, Alcedo atthis, Tringa glareola, Caprimulgus europaeus, Egretta garzetta, Charadrius dubius Rettili: Emys orbicularis Pesci: Leuciscus lucumonis, Barbus plebejus

SIC e ZPS IT6010002 Bosco del Sasseto Habitat: 9180*: Foreste di versanti, ghiaioni e valloni del Tilio-Acerion 9210*: Faggeti degli Appennini con Taxus e Ilex Specie: Uccelli: Milvus migrans, Lullula arborea

11 2. AMBIENTE FISICO

2.1. ASPETTI GEOLOGICI

2.1.1. Cenni di tettonica

L'area è caratterizzata da due stili tettonici, il primo, più antico, è formato da tutta una serie di pieghe, pieghe-faglie, faglie inverse e sovrascorrimenti, che interessano le formazioni flyschoidi del Creta-Eocene. Il secondo, relativamente più recente, è di carattere distensivo con risposte alle sollecitazioni di tipo rigido, e quindi formato da una serie di faglie dirette. Queste ultime hanno tagliato tutte le strutture precedenti (formate sia dal Complesso flyschoide che da quel Neoautoctono) e dando luogo a motivi ad "Horst-Graben". L'area interessata dai SIC e dalla ZPS si trova lungo l'allineamento della dorsale (horst) Rapolano-Monte Cetona- San Casciano dei Bagni, quest'ultima separa due grandi bacini (graben) colmati da sedimenti argillosi pliocenici, quello ad Ovest di Siena-Radicofani e quello ad Est della Val di Chiana. Questo sistema di faglie distensive, che hanno interessato tutto lo spessore della crosta, ha permesso la risalita del magma dal mantello creando centri di emissione vulcanici allineati secondo direttrici ben definite del nuovo assetto tettonico che si è andato a determinare.

2.1.2. Cenni di geologia

Nell'area d’indagine sono presenti sia rocce sedimentarie appartenenti a tre unità stratigrafiche, che vulcaniti del distretto vulsino. Pertanto la stratigrafia della zona è la seguente: • Alluvioni recenti • Complesso vulcanico • Complesso neoautoctono • Complesso delle Liguridi

Complesso delle Liguridi. Questo complesso è presente nella Riserva per oltre l’80% della superficie interessata dai SIC, e costituisce una coltre alloctona formata da sedimenti flyschoidi depositatisi tra il Cretaceo inferiore e l'Eocene medio-superiore. Quest’unità torbiditica è rappresentato da due gruppi sedimentari distinti, quello delle "argille con calcari palombini" e quello delle "argille calcaree di Santa Fiora". Secondo alcuni autori questi due gruppi, in parte coevi, farebbero parte di due bacini deposizionali attigui, quello Ligure e quell’Australpino interno. Questi sedimenti flyschoidi sono stati trascinati nella posizione attuale dagli eventi dell'orogenesi appenninica.

Gruppo di Santa Fiora. Questa unità è stata a sua volta distinta in quattro formazioni, dalla più recente alla più antica sono:

12 • San Pietro Aquaeortus • Poggio Belvedere • Santa Fiora (s.s.) • Villa la Selva

Formazione di Villa la Selva. Questa formazione, del Cretaceo inferiore, è caratterizzata da una successione torbiditica di calcari, calcari marnosi, marne, siltiti quarzose con mica bianca e argilliti. Verso l'alto la formazione passa gradualmente ad alternanze regolari di argilliti, siltiti e calcari silicei di tipo "palombino". La formazione in generale non è presente nell'area interessata dal piano.

Formazione di Santa Fiora. La formazione, del Cretaceo superiore, è costituita da una sequenza torbiditica di argille (dominanti sulle altre litofacies), arenarie e calcari siltitici. Questa formazione è quella arealmente più presente nell’area, affiora dalla zona della Monaldesca fino al Fiume Paglia, e sul versante di destra è presente su tutta l'area a Nord ed ad Est di Torre Alfina fino al fiume sopra citato. La frazione argillosa è formata da strati di argilla vera e propria di colore giallastro e da strati di argilliti di colore grigio piombo, grigio verde e rossastre. Le stratificazioni di arenaria possono presentarsi, a volte, in forma lenticolare e dare origine a corpi di discreta potenza quale il Membro di Monte Rufeno. Le arenarie presentano prevalentemente un cemento siliceo-argilloso ed inglobano clasti poligenici di rocce metamorfiche, vulcaniche e carbonatiche giurassiche; sono correlabili con le arenarie "pietraforte" pur presentando un minore sviluppo della frazione pelitica e siltosa

Formazione di Poggio Belvedere. Questa formazione, del Paleocene inferiore, è rappresentata da una sequenza torbiditica molto simile a quella di Santa Fiora, ma rispetto a questa è più rappresentata la frazione calcarea. La formazione non è presente nell'area.

Formazione di San Pietro Aquaeortus. Anche questa formazione è di origine torbiditica, datata Eocene medio-Eocene superiore. E' composta da strati più o meno spessi di calcari marnosi a differente contenuto di argilla alternati a strati di marne e livelletti di arenaria a cemento calcareo, nonché di argilliti varicolori. Questa formazione affiora nell’area in due zone: a sinistra del Fiume Paglia presso il Podere Vecchio della Monaldesca e sul versante destro presso il Podere di Monte Crocione.

Gruppo delle argille con calcari Palombini. Questa unità, del Cretaceo inferiore, è composta essenzialmente da: • formazione delle argille con calcari palombini s.s. • olistoliti di rocce ofiolitiche.

Formazione delle argille con calcari palombini. Questa formazione è formata da alternanza di strati di forte spessore di argille e di calcari silicei grigi (palombini),

13 dove l'argilla è nettamente dominante sulla frazione calcarea. Questa ultima si presenta molto compatta, a frattura concoide, poco alterabile. La formazione è caratterizzata da una forte caoticità e disturbo degli strati, tale che a volte non sono più riconoscibili, e gli ammassi del calcare prendono l'aspetto di olistostromi. Nell’area, le argille con calcari palombini, sono presenti sulla sponda sinistra del Fiume Paglia ed occupano la parte centrale estendendosi lungo l'asse Podere Vitabbieti, Podere Marzapalo, Podere S. Anna; sulla sponda di destra del Fiume Paglia affiorano tra l'abitato di Torre Alfina e Poderenovo

Olistoliti di rocce ofiolitiche. Nella massa caotica delle "argille con calcari palombini" sono inclusi corpi (olistoliti) di rocce ofiolitiche di dimensioni molto variabili; dal punto di vista petrografico spesso hanno l'aspetto di una breccia formata da clasti di serpentina e di gabbro, subordinatamente di diabase. Nell’area queste rocce affiorano in diversi punti, ma quello più importante si trova lungo il Fosso del Mandrione.

Complesso Neoautoctono. Questo complesso è costituito da sedimenti pliocenici, che hanno riempito il bacino formato dal graben di Radicofani, ed è caratterizzato da tutta una serie di passaggi eteropici fra le diverse facies deposizionali; attualmente diversi contatti tra i terreni del Neoautoctono e quelli delle Liguridi è dato da faglie dirette. Il Complesso neoautoctono comprende la seguente successione di litofacies (dalla più recente alla più antica): • Conglomerati di Trevinano • Arenarie e sabbie con intercalazione di brecce e livelli argillosi • Argille ed argille sabbiose • Sabbie ed argille sabbiose con olistostromi del Complesso delle liguridi Alcuni di questi terreni sono presenti nell'area interessata, in particolare le arenarie e sabbie con intercalazione di brecce e di livelli argillosi affiorano tra il Torrente Tirolle ed i poderi Palombaro e Tirolle.

Complesso vulcanico. Nell'area sono presenti piccoli lembi di materiale piroclastico proveniente dall'apparato vulcanico di Bolsena, nonché piccole colate laviche fuoriuscite dal cratere di Torre Alfina. Queste vulcaniti fanno parte della provincia magmatica "alcalino-potassica" romana. Le lave di Torre Alfina (datate circa 0,8 M. di anni) sono composte da latite olivinica di colore grigio, talora con sfumature rossastre o brune, la tessitura è prevalentemente porfirica con massa di fondo tendenzialmente vetrosa in subordine equigranulare; la struttura è massiccia con passaggi a fluidale. Queste lave poggiano direttamente sul complesso alloctono delle Liguridi. Queste lave caratterizzano il substrato del SIC “bosco del Sasseto”. In questa area, più precisamente, il materiale lavico, a causa di fenomeni di frana e conoide, si interseca con il flysch sottostante, determinando una morfologia ed una pedologia estremamente complesse e diversificate.

Alluvioni recenti. Lungo il Fiume Paglia e nel tratto finale del Torrente Fossatello, nonché all'incrocio tra il Torrente Tirolle ed il Fosso dell'Acquachiara

14 sono presenti depositi alluvionali recenti (olocenici); in particolare le alluvioni del Fiume Paglia presentano due ordini di terrazzi con un gradino di circa un metro. In generale questi depositi sono costituiti da ciottoli, ghiaia e sabbia eterogenei con dominanza del materiale calcareo, quest'ultimo derivante prevalentemente dalla erosione delle Liguridi.

2.2. IDROGRAFIA E GEOMORFOLOGIA

Il territorio interessato dai SIC s’inserisce in un ambiente collinare di tipo preappenninico. L’andamento morfologico si presenta abbastanza dolce, con pendenze medie dei versanti che si aggirano intorno a valori del 30-35% e forme tipiche di versante complesso con alternanza di ripiani di versante e sommitali, bordi di scarpata, cigli di erosione, versanti convessi e subordinatamente concavi. Sotto il profilo orografico il nucleo settentrionale è caratterizzato dall’andamento dello spartiacque principale, che da Monaldesca si dirige verso Sud interessando Vill’Alba Tigna e che nei pressi di Vitabbieti si biforca in due rami (verso M.Rufeno a sud-ovest, verso Marzapalo a sud-est), formando l’ampio bacino del Mandrione. Dalla direttrice principale si dipartono verso est una serie di valli e vallecole secondarie fino al Fossatello, mentre ad ovest è il vallone dell’Acquachiara che delinea con andamento semicircolare l’orografia del territorio. Il bosco del Sasseto occupa invece un versante caratterizzato da notevoli pendenze in alto (in vicinanza del cratere), per poi discendere su posizioni di medio e basso versante. Le quote medie si aggirano intorno ai 500-550 m.s.l.m. con minime e massime rispettivamente di 250 e 750 m.s.l.m.

La morfologia è comunque condizionata anche su estese superfici da intensi ed imponenti fenomeni franosi. Notevole il dissesto presente presso Vitabbieti, una frana di scoscendimento rotazionale, causata da scalzamento al piede per l’attività erosiva del torrente Fossatello. Caratterizzata da una superficie di distacco profonda e quindi dalla movimentazione di una massa detritica di enormi dimensioni, essa presenta numerose nicchie di distacco e scarpate secondarie, fratture e crepe trasversali, con alternanza di conche e dossi sul corpo della frana, che nelle aree in contropendenza a bassa permeabilità danno luogo alla formazione di laghetti di frana stagionali o permanenti detti localmente “trosce”. Fenomeni franosi simili per dinamica ed estensione si rinvengono anche nel versante del Mandrione (Troscia del Porcino). Oltre a questi elementi macroscopici di dissesto il territorio è interessato da altri fenomeni di dissesto ed instabilità in corrispondenza dei torrenti principali. Si osservano frane di varie dimensioni, versanti interessati da soliflusso e soil creep, movimenti gravitativi di massa molto lenti, aree con più o meno intensa erosione superficiale diffusa (sheet erosion) e localmente fenomeni di erosione incanalata (rill e gully erosion).

15 Il reticolo idrografico nel complesso è di tipo sub-dendritico, soprattutto sui litotipi meno permeabili e passa a pinnato e sub-parallelo nei litotipi maggiormente permeabili presenti soprattutto nell’area di Torre Alfina (Bosco del Sasseto). I torrenti principali che affluiscono al Paglia sono: il Fossatello, il Tirolle, l’Acquachiara, l’Acquacalda, il Mandrione nell’area di Monte Rufeno; solo il fosso del Piscino interessa il Bosco del Sasseto. Il regime è a carattere nettamente torrentizio, con i massimi di portata in autunno, in corrispondenza dei massimi di precipitazione.

2.3. CLIMA

Per procedere all’inquadramento climatico dell’area interessata dai SIC e dalla ZPS presa in esame può essere opportuno inquadrare l’area di studio nel contesto climatico regionale. Il clima del appare alquanto variabile sia nell’ambito stagionale che con il mutare delle condizioni orografiche. Due sono i fattori che si contrappongono nel determinare le condizioni climatiche della regione: da una parte la presenza di un sistema di rilievi che delimita nel settore orientale tutto il territorio regionale, dall’altro il grande sviluppo della fascia costiera. L’influenza marina si manifesta con un abbassamento delle escursioni termiche e con un continuo apporto di umidità da parte dei venti occidentali, verso l’interno della regione. I rilievi dell’interno intercettano le correnti umide in ragione di 50 mm/anno di aumento della piovosità ogni 100 metri di incremento nell’altitudine. La morfologia pianeggiante della costa centro settentrionale del Lazio e la sua relativa distanza dai rilievi abbassa fortemente i valori della piovosità annua in questo settore, che si attestano sui 750 mm/anno, tali valori aumentano sensibilmente nel Lazio costiero meridionale. Procedendo dalla costa verso est, nella stessa direzione delle correnti atmosferiche apportatrici di umidità marina, la quantità delle precipitazioni aumenta molto progressivamente nei tratti pianeggianti o collinari dove raggiunge valori attorno agli 8-900 mm/anno, come ad esempio lungo la valle del Tevere o nelle basse colline della marittima; tale aumento è molto più brusco nelle aree meridionali. La distribuzione delle precipitazioni registra un massimo autunnale per le zone di pianura e collina; valori elevati di piovosità si prolungano invece a tutta la primavera nelle aree più rilevate. lì minimo assoluto si registra normalmente nel mese di luglio. Il carattere ‘mediterraneo" dell’andamento climatico è evidenziato anche dalla sua estrema variabilità da un anno all’altro.

In generale le temperature medie raggiungono il minimo nel mese di gennaio, per salire rapidamente nei mesi primaverili sino al massimo termico nel mese di luglio. L’effetto mitigante del mare è evidente nell’andamento dei valori di temperatura media mensile che, almeno nella fascia costiera, collinare e pedemontana subiscono oscillazioni contenute nel corso dell’anno. Più si procede verso l’interno della Regione e più le caratteristiche del clima tipicamente mediterraneo della costa (escursioni termiche contenute, aridità

16 estiva prolungata) evolvono verso forme a carattere più "continentale" con marcate differenze stagionali, intense precipitazioni, forti minimi invernali e temperature estive non elevate. Sintetizzando si possono individuare tre tipi climatici: • uno costiero e della pianura, con temperature medie annue attorno ai 16°C precipitazioni tra 750 e 830 mm/anno, marcata aridità estiva; • uno delle colline più interne e dei rilievi preappenninici, con media annua attorno ai 14°C e precipitazioni medie annue che giungono a 1100 mm/anno; • uno dei rilievi montani con media annua di 12º e valori di precipitazione superiori ai 1300 mm/anno.

Volendo inquadrare in questo contesto la particolare situazione dell’area di Monte Rufeno, si possono utilizzare le informazioni disponibili sulle stazioni termopluviometriche più prossime: Acquapendente (425 m.s.l.m.) e San Casciano dei Bagni (582 m.s.l.m.), rispettivamente per il periodo 1964-1993 e 1955-1974. Sebbene infatti le informazioni disponibili risultino datate, e siano influenzate dalle caratteristiche orografiche specifiche dei siti di localizzazione delle stazioni, crediamo sia comunque possibile giungere ad una definizione climatica sufficiente per gli scopi del piano.

Combinando i dati termici con quelli pluviometrici si possono costruire numerosi tipi di diagrammi che riassumono le caratteristiche termo-pluviometriche delle stazioni considerate e nello stesso tempo forniscono alcune informazioni sul regime idrico dei suoli, che a sua volta influenza la vegetazione. Gli elaborati che abbiamo ritenuto opportuno compilare, a partire dai dati disponibili, per definire le condizioni climatiche dell’area sono: • valori medi mensili e annuali delle precipitazioni e delle temperature; • istogrammi in cui si riportano i dati pluviometrici mensili; • diagramma di Bagnouls e Gaussen, nel quale le piovosità sono raffrontate con le temperature a scala doppia di quella della piovosità (sono considerati aridi i periodi in cui la curva delle precipitazioni si trova sotto quella delle temperature P/T=2), in quanto ritenuto in grado di definire sinteticamente il clima di un’area.

Analisi climatica delle stazioni di Acquapendente e S. Casciano Bagni Precipitazioni. Nelle tabelle e negli istogrammi che seguono sono riportati i valori medi delle precipitazioni mensili (espresse in mm di pioggia), registrati rispettivamente per Acquapendente e San Casciano dei Bagni.

Stazione di Acquapendente - precipitazioni medie del periodo 1964-1993 Mesi G F M A M G L A S O N D Anno

P.mm 82 91 75 72 76 49 38 54 81 115 130 87 950

17 Stazione di S. Casciano Bagni - precipitazioni medie del periodo 1955-1974 Mesi G F M A M G L A S O N D Anno

P.mm 89 105 82 73 78 49 55 55 86 105 131 113 1021

Acquapendente

140 120 100 80 60 40

piovosità in mm 20 0 DIC GIU OTT SET LUG FEB APR NOV GEN AGO MAR MAG

San Casciano dei Bagni

140 120 100 80 60 40

piovosità in mm 20 0 DIC GIU OTT SET LUG FEB APR NOV GEN AGO MAR MAG

La distribuzione mensile delle piogge ha un andamento tipicamente mediterraneo, presentando il massimo autunnale nel mese di novembre e l’altrettanto tipico minimo estivo in luglio. La piovosità registrata nei mesi autunnali (ottobre-dicembre), raggiunge per le due stazioni 332 mm e 349 mm, pari rispettivamente al 35% e 34% del totale annuo. Anche nei mesi primaverili, comunque, le precipitazioni appaiono significative, caratteristica che permette di inquadrare l’area nel contesto climatico regionale “delle colline e dei rilievi preappenninici”.

18 Temperature dell’aria. Nelle tabelle che seguono sono riportate le temperature medie registrate dalle stazioni di Acquapendente e San Casciano dei Bagni.

Stazione di Acquapendente - temperature medie del periodo 1964-1993 Mesi G F M A M G L A S O N D Anno

T.C° 4,6 5,6 7,7 10,5 14,8 18,8 21,8 21,7 18,6 14,0 8,8 5,7 12,7

Stazione di S. Casciano Bagni - temperature medie del periodo 1955-1974 Mesi G F M A M G L A S O N D Anno

T.C° 2,5 5,4 9,1 12,6 14,7 18,6 20,3 19,4 18,4 13,8 8,6 5,6 12,4

Dall’analisi dei dati, la temperatura media annua delle due stazioni di Acquapendente e San Casciano dei Bagni raggiunge rispettivamente 12,7 e 12,4 °C; il mese più caldo è luglio con una temperatura media diurna di 21,8 °C e 20,3 °C, mentre il mese più freddo è gennaio con una temperatura media diurna di 4,6 e 2,5 °C. Per cinque mesi l’anno, da novembre a marzo, in entrambe le stazioni, la media delle minime si mantiene inferiore ai 10 °C, mentre nel resto dell’anno la temperatura media diurna è superiore ai 10 °C. La presenza di giorni di gelo (gelate tardive) nel periodo vegetativo è piuttosto infrequente, come del resto le gelate precoci. Nel contesto regionale, quindi, si tratta di temperature medie annue relativamente basse, anche considerando la zona climatica dei rilievi antiappenninici. A fronte, comunque, di temperature medie annue relativamente basse, si notano alcuni caratteri tipici dei climi mediterranei, quali la già citata scarsità di gelate tardive, e la limitata escursione termica annua (differenza tra la media diurna del mese più caldo e di quello più freddo) che con 17,2 °C per Acquapendente e 17,8 °C per San Casciano dei Bagni, è inferiore ai 20 °C, considerati come soglia di passaggio tra climi marittimi e continentali. I venti che più frequentemente spirano nell’area sono di provenienza meridionale apportatori di piogge locali, mentre moderato è l’afflusso dei venti settentrionali. Le nebbie compaiono spesso nelle porzioni più basse, lungo la valle del Paglia.

Diagrammi climatici. Combinando i dati termici con quelli pluviometrici, si possono costruire il diagramma termopluviometrico di Bagnouls e Gaussen e il diagramma di Thornthwaite (supponendo una AWC di 150 mm) per la determinazione del bilancio idrico. Per Acquapendente entrambi i diagrammi evidenziano che mediamente, da giugno ad agosto per Bagnouls e Gaussen e da maggio a settembre secondo Thornthwaite, esiste per questa stazione un periodo arido (curva delle precipitazioni al di sotto di quella delle temperature nel diagramma di Bagnouls e Gaussen, curva AE, evapotraspirazione reale sotto la curva PE

19 evapotraspirazione potenziale nel diagramma di Thornthwaite) con utilizzo e successivo esaurimento della riserva idrica del suolo.

Diagramma di BAGNOULS E GAUSSEN Stazione di Acquapendente

160 80 140 70 120 60 100 50 P( mm ) P m m 80 40 T °C T (°C) 60 30 40 20 20 10 0 0 DIC. GIU. FEB. SET. OTT. GEN. APR. LUG. NOV. MAR. AGO. MAG.

Diagramma di BAGNOULS E GAUSSEN Stazione di San Casciano dei Bagni

160 80 140 70 120 60 100 50 P( mm ) P m m 80 40 T °C T (°C) 60 30 40 20 20 10 0 0 DIC. GIU. FEB. SET. OTT. GEN. APR. LUG. NOV. MAR. AGO. MAG.

20 Bilancio idrico della stazione di Acquapendente

150

100 deficit Piovosità in mm ricarica, surplus 50 surplus utilizzazio

0 GEN. FEB. MAR. APR. MAG. GIU. LUG. AGO. SET. OTT. NOV. DIC. mesi dell'anno

P = piovosità media men. in mm PE= Evapotraspirazione potenziale mm AE= Evapotraspirazione reale mm

Bilancio idrico della stazione di San Casciano dei Bagni

150

100 deficit Piovosità in mm ricarica, surplus 50 surplus utilizzazio

0 GEN. FEB. MAR. APR. MAG. GIU. LUG. AGO. SET. OTT. NOV. DIC. mesi dell'anno

P = piovosità media men. in mm PE= Evapotraspirazione potenziale mm AE= Evapotraspirazione reale mm

In realtà l’esaurimento della riserva idrica, in cui la sezione di controllo del suolo è completamente secca, ha durata variabile in funzione della capacità di acqua disponibile del suolo; per la maggior parte dei suoli rinvenuti nell’area si osserva

21 quindi un regime di umidità xerico, ad eccezione dei suoli con A.W.C. uguale o superiore a 180 mm. per i quali si è considerato un regime di umidità udico. Per la stazione di San Casciano dei Bagni il diagramma di Thornthwaite segnala un periodo arido da giugno fino a settembre, meno prolungato rispetto alla stazione di Acquapendente; al contrario del diagramma di Bagnouls e Gaussen, che non evidenzia un periodo arido estivo. A proposito di questa differenza, va considerata però la grande variabilità interannuale, sia nelle temperature, ma soprattutto nelle precipitazioni che caratterizza, come detto, in generale il clima del Lazio, ed in particolare il clima dell’area mediterranea della regione. In base a questa considerazione, quindi, si può immaginare che la situazione ora presentata, riferita ad una annata media, non permetta di evidenziare le annate particolarmente siccitose (es. 2003), la cui ricorrenza, anche se relativamente sporadica, condiziona pesantemente la vegetazione e le attività agro-zootecniche.

22 3. VEGETAZIONE

3.1. INQUADRAMENTO GENERALE

La vegetazione dei SIC della Riserva Naturale di Monte Rufeno ha risentito e risente tutt’oggi di passati interventi antropici sull’ecosistema. Infatti fino agli anni ’50 queste aree erano abitate da famiglie di contadini distribuite nei casali sparsi nella zona, i quali attualmente rappresentano una delle peculiarità della Riserva stessa. Già nel 1952, in seguito all’abbandono di alcuni casali, vennero eseguiti rimboschimenti con conifere (per lo più del genere Pinus) nei coltivi abbandonati. L’abbandono delle campagne proseguì fino agli anni ’60 e contemporaneamente continuò l’opera di rimboschimento, protrattasi fino al 1972. I boschi di latifoglie, prevalentemente a dominanza di Quercus cerris (le cerrete rappresentano la formazione vegetale predominante nell’area), furono governati a ceduo e ciò ha influito profondamente sullo stato attuale di conservazione e ricchezza floristica delle aree boschive. Tuttavia accanto a boschi fortemente degradati a causa della pregressa azione antropica, si rinvengono cenosi boschive che, pur avendo subito gli effetti negativi della presenza umana, mostrano segni di ripresa che fanno presagire un’evoluzione positiva di queste cenosi. Le principali tipologie vegetazionali note per la Riserva sono le seguenti.

Cerreta, che occupa quasi il 50% della superficie totale ed è, nonostante la contrazione del cerro nell’area in oggetto a favore delle coltivazioni agricole, la formazione più estesa. Dal punto di vista fitosociologico la maggior parte di queste cerrete sono state attribuite all’associazione Asparago tenuifolii- Quercetum cerridis, che caratterizza le cerrete termofile dei litotipi prevalentemente argillosi del complesso flyschoide affiorante nell’alto Lazio.

Castagneto, poco esteso ad occupare le pendici più estese e fresche di Monte Rufeno, tra 640 e 750 m s.l.m.; deriva dalla conversione di un vecchio castagneto da frutto, del quale sono ancora evidenti le ceppaie delle piante del vecchio ciclo.

Bosco misto mesofilo, che occupa il 15% della superficie della Riserva e si sviluppa essenzialmente in corrispondenza degli avvallamenti naturali, lungo gli impluvi dei fossi, in esposizioni fresche. Oltre al cerro, in genere con coperture relativamente basse, sono osservabili Fraxinus ornus, F. oxycarpa, che si concentra nelle depressioni insieme ad Ulmus minor, Ostrya carpinifolia, Carpinus betulus, Quercus petraea e varie altre specie del genere Quercus. La presenza di elementi subacidofili e mesofili, ne permettono l’inserimento negli aspetti mesofili dell’alleanza Teucrio siculi-Quercion cerridis.

Macchia di tipo mediterraneo, che occupa poco più del 5% della superficie totale e la cui origine è strettamente legata alle passate vicende antropiche della zona; infatti queste aree furono utilizzate per il pascolo in bosco, pratica

23 che alterò l’originario bosco deciduo con sottobosco di entità mediterranee, favorendo la costituzione della macchia. Lo strato arboreo è costituito essenzialmente da Quercus ilex, Quercus pubescens, Arbutus unedo, Acer monspessulanum, A. campestre. Lo strato arbustivo è composto essenzialmente da sempreverdi quali Erica arborea, Viburnum tinus, Phillyrea latifolia, Pistacia lentiscus.

Rimboschimenti a conifere, effettuati negli ex-coltivi e dunque presenti esclusivamente nelle aree circostanti i casali. Le specie maggiormente utilizzate, singolarmente o a dar vita ad aspetti misti, sono Cupressus arizonica, Pinus nigra, P. halepensis, P. pinaster, P. radiata, P. pinea, P. strobus.

Vegetazione igrofila ripariale, particolarmente sviluppata sui greti del fiume Paglia, dei torrenti Tirolle e Fossatello e nelle trosce (depressioni umide dove permane una lama d’acqua per tutto l’anno). Vi dominano Salix alba, S. elaeagnos, S. purpurea, S. capraea, Populus nigra, P. alba, Alnus glutinosa. Sui terrazzi fluviali ciottolosi, soprattutto di Paglia e Fossatello, a mosaico con i saliceti pionieri è presente una vegetazione erbacea xerofila rappresentate da garighe a Santolina etrusca, Satureja montana, Helichrysum italicum attribuibili al Santolino-Saturejetum montanae.

Pascoli e prati, che coprono poco più dell’1% della superficie totale e si insediano prevalentemente su terreni incolti non rimboschiti o in aree in cui i rimboschimenti sono falliti o lungo i terrazzi fluviali di paglia ed altri corsi d’acqua. Vengono attribuiti a due classi distinte, Agropyretea intermedii-repentis e Festuco-Brometea, quest’ultima oggetto di approfondimenti in quest’ambito in quanto raccoglie cenosi d’interesse comunitario.

Nei 5 siti presi in esame e nel territorio strettamente contermine non risulta presente, allo stato attuale delle conoscenze, nessuna specie vegetale di interesse comunitario secondo il regolamento 92/43 CEE. Vi si rinvengono invece 5 habitat d’interesse comunitario peculiari per specie vegetali e animali: a) Pratelli rupicoli calcicoli o basofili dell’Alysso-Sedion albi; b) Stagni temporanei mediterranei con pratelli anfibi a dominanza di piccoli giunchi e micropteridofite (Isoeto-Nanojuncetea); c) Pratelli di erbe graminoidi e erbe annuali (Thero-Brachypodietea); d) Formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo (Festuco-Brometalia); e) Foreste di versanti, valloni e ghiaioni del Tilio-Acerion.

24 3.2. METODOLOGIA DI ANALISI

3.2.1. Rilevamenti

Nel periodo maggio-luglio 2004 sono stati realizzati 27 rilievi originali, cercando di indagare in modo particolare le aree fuori dalla Riserva non oggetto dello studio di Scoppola (1998), tenendo conto delle situazioni di vegetazione a mosaico frequenti e normali in seno alla maggior parte delle cenosi rilevate. Il rilevamento ha interessato gli habitat indicati come prioritari per i SIC relativi alla Riserva di Monte Rufeno: • Formazioni erbacee secche su substrato calcareo con stupende fioriture di orchidee (Festuco-Brometalia) (11 rill.); • Foreste dei valloni del Tilio-Acerion (6 rill.); • Pratelli rupicoli calcicoli o basofili dell’Alysso-Sedion albi (4 rill.); • Pratelli di erbe graminoidi e erbe annuali (Thero-Brachypodietea) (6 rill.); • Stagni temporanei mediterranei con pratelli anfibi a dominanza di piccoli giunchi e micropteridofite (Isoeto-Nanojuncetea). Per quest’ultimo habitat sono state effettuate numerose esplorazioni per fare rilievi di questa comunità sia alla confluenza tra Fossatello e Paglia che lungo il Paglia nella zona a valle di Monte Procione, ma la comunità non è stata rilevata come non si sono rilevate, neppur in modo isolato, le specie che la compongono – Juncus gr. bufonius, Cyperus sp. pl. annuali.

Per il rilevamento della vegetazione è stata seguita la metodologia fitosociologica, che si basa sull’elenco delle specie presenti in un’area omogenea e sull’attribuzione a ciascuna di esse di un valore di copertura come riportato:

Copertura percentuale valore Individui rarissimi r Individui rari + Individui in grado di coprire meno di 1/20 della superficie del rilievo 1 Individui numerosi ma in grado di coprire meno di 1/4 della superficie del rilievo 2 Grado di ricoprimento tra ¼ e ½ della superficie del rilievo 3 Grado di ricoprimento tra ½ e ¾ della superficie del rilievo 4 Grado di ricoprimento superiore ai ¾ della superficie del rilievo 5

Per ogni rilievo inoltre si sono registrati numerosi parametri ambientali e caratteristiche vegetazionali: altitudine (metri s.l.m.), inclinazione (°), esposizione, rocciosità (%), pietrosità, superficie rilevata (mq.), copertura e stratificazione della vegetazione, copertura dei licheni e briofite, ecc. I campioni di specie raccolti per l’identificazione in laboratorio, dopo essere stati sottoposti ad essiccazione, sono stati determinati utilizzando le principali Flore nazionali ed europee disponibili (Fiori, 1923-29; Pignatti, 1982; Castroviejo et

25 al., 1986-88; Tutin et al., 1964-1980, 1993). Gli exsiccata delle specie raccolte e determinate sono depositati presso l’Herbarium Universitatis Senesis (SIENA) I sopralluoghi ed i rilievi effettuati permetteranno una caratterizzazione più precisa nel comprensorio per tutti gli habitat, ma in particolare per Alysso- Sedion albi, Thero-Brachypodion e boschi del Tilio-Acerion, dei quali esisteva la segnalazione ma mancava una descrizione floristica più precisa poiché non erano stati indagati tramite rilievi vegetazionali. Essi permetteranno inoltre di aggiornare la cartografia della distribuzione degli habitat d’interesse comunitario. La realizzazione della parte analitica del lavoro, basata sull’analisi fitosociologica tramite valutazioni qualitative e quantitative e confronti con la letteratura, ha permesso di attribuire i rilievi a singole associazioni o aggruppamenti e di definire le esigenze ecologiche delle comunità rilevate. Quest’analisi ha permesso inoltre di valutare con maggior precisione le cause di minaccia, livelli di fragilità ed eventuali criteri da adottare per la gestione a fini di conservazione delle comunità oggetto di interesse.

3.2.2. Cartografia

Le due carte tematiche allegate alla presente relazione (scala 1:15.000), relative ad uso del suolo-vegetazione (Tavola 1) e habitat (Tavola 2), sono state realizzate utilizzando le fonti ed il metodo di lavoro elencati di seguito: • ortofotocarte; • carta della vegetazione realizzata da Scoppola e Filesi (1997); • carta dell’uso del suolo del piano forestale della Riserva; • uscite in campagna per delimitare ex-novo sulle ortofoto fornite le tipologie nelle aree dei SIC esterne alla Riserva, o per integrare e/o ricontrollare i dati disponibili sulle carte della vegetazione ed uso del suolo, poiché si tratta di documenti datati e la vegetazione è in evoluzione; tali uscite hanno permesso di raccogliere informazioni sia per quanto riguarda l’uso del suolo- vegetazione che relativamente agli habitat; • impiego del software ArcGIS 8.2 per la delimitazione a video (editing) delle entità poligonali identificate in campo o tramite banche dati esistenti e per la creazione del database associato, tramite attribuzione dei codici corrispondenti ad ogni tipologia. Per la carta dell’uso del suolo-vegetazione sono stati appositamente creati dei codici ed una legenda secondo la realtà considerata mentre per legenda della carta degli habitat ci siamo attenuti alle diciture della Direttiva 92-43 CEE.

3.2.3. Bibliografia

La zona dei SIC risulta per lo più ben esplorata dal punto di vista floristico- vegetazionale. Gli studi censiti in quest’ambito e riportati in bibliografia, riguardanti la flora vascolare e la vegetazione dei SIC del comprensorio di

26 Monte Rufeno, sono numerosi (26) e con buona probabilità costituiscono la quasi totalità dei contributi recenti sui territori oggetto d’indagine. La flora è stata indagata sia tramite contributi puntuali come segnalazioni floristiche (Rossi, 1981; Scoppola 1991; Scoppola & Picarella, 1992), che tramite uno studio estensivo relativo alla Riserva Naturale di Monte Rufeno che ha permesso di stilare un elenco floristico di oltre 1000 specie (Scoppola, 2000). Le numerose indagini sulle comunità vegetali effettuate dalla Prof.ssa Scoppola e collaboratori tramite la realizzazione di rilevamenti fitosociologici, hanno permesso di individuare, descrivere e cartografare i principali tipi di vegetazione presenti (Scoppola & Filesi, 1997; Scoppola, 1998). Tra questi sono stati oggetto di analisi più approfondite gli aspetti forestali a dominanza di querce (Scoppola & Filesi 1995, 1998), le garighe di greto (Scoppola & Angiolini, 1997 a, 1997b; Angiolini et al. 1998) e le praterie perenni (Scoppola & Pelosi, 1995; Angiolini & De Dominicis, 2001).

A nostro avviso gli studi sopra citati forniscono un buon quadro floristico- vegetazionale dei SIC del comprensorio di Monte Rufeno ai fini di una corretta gestione ambientale. E’ comunque da notare che riguardano essenzialmente l’area compresa entro il limite della Riserva, lasciando scoperte le parti di SIC non ivi incluse. Queste sono rappresentate per lo più da lembi di territorio poco estesi ed affini dal punto di vista floristico-vegetazionale con quanto rinvenuto in Riserva; l’eccezione più rilevante è rappresentata dal bosco del Sasseto, un’area estesa che raccoglie un ambiente originale, interessante dal punto di vista naturalistico e fitogeografico e molto bello anche a livello paesaggistico.

Inoltre sono quasi del tutto assenti studi specifici relativi alla maggior parte delle comunità che rappresentano habitat di interesse prioritario secondo la Direttiva 92/43/CEE, quali le formazioni camefitiche rupicole calcicole o basofile dell’Alysso-Sedion albi, i pratelli di erbe annuali (Thero-Brachypodietea), i pratelli anfibi a dominanza di piccoli giunchi e micropteridofite (Isoeto- Nanojuncetea) e le foreste di versanti, valloni e ghiaioni del Tilio-Acerion. Tali aspetti meriterebbero un’analisi vegetazionale, sintassonomica ed ecologica più puntuale ed estensiva nell’area dei SIC sia a fini scientifici che conservazionistici; in questo contesto particolare attenzione dovrebbe essere riservata alle relazioni tra comunità vegetali e parametri ambientali.

Per questi motivi si è condotta una serie di indagini esplorative e susseguentemente una serie di rilievi fitosociologici nelle località si sono rinvenuti gli habitat d’interesse, contribuendo pertanto a integrare e completare le conoscenze sugli habitat d’interesse situati nei SIC.

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27 2. Angiolini C., De Dominicis V. (2001) - The phytocoenosis of consolidated alluvium: a syntaxonomical and synecological study in the braided streams of southern Tuscany (Italy). Belg. Journ. Bot. 134(2): 192-209. 3. Colletti L. (1996) - Nota sulla flora del bosco monumentale del Sasseto (VT). Monti e boschi 47 (1): 19-22. 4. Gallozzi M.R. (1999) - La famiglia "Leguminosae" nella Riserva Naturale Monte Rufeno:inquadramento sistematico e ruolo nelle dinamica forestale Università degli Studi della Tuscia di , Facoltà di Agraria 5. Intoppa F., Rossi W. (1983) - Su alcune Orchidee del Lazio settentrionale. Atti della Societa' Toscana di Scienze Naturali, Memorie, serie B, 40: 43. 6. Maggi M. (1996) - Recupero degli oliveti nella riserva naturale di Monte Rufeno. Tesi di Laurea. Università degli Studi della Tuscia di Viterbo, Facoltà di Agraria. 7. Maggi R. (1991) - Il ruolo delle aree protette nella gestione del territorio. Tesi di Laurea Università degli studi di Roma "La Sapienza" Corso di Laurea in Scienze Biologiche. Monte Rufeno: sistematica e corologia. Tesi di Laurea Università degli Studi della Tuscia di Viterbo, Facoltà di Agraria. 8. Maggi V. (1992-1993) – La componente legnosa nella flora della Riserva Naturale Regionale Monte Rufeno (VT): sistematica e corologia. Tesi di Laurea. Università degli Studi della Tuscia di Viterbo, Facoltà di Agraria. 9. Montero F.M., Franceschetti C. (1998) - La Riserva Naturale di Monte Rufeno. In: Franceschetti C. (Ed.), Aree protette del Lazio: 89-112. Zonza ed., Cagliari. 10. Piazzai M. (1999) - Censimento, analisi floristica e pedologica delle depressioni umide (trosce) presenti nella Riserva Naturale Regionale Monte Rufeno Tesi di Laurea, Università degli Studi della Tuscia di Viterbo, Corso di Laurea in Scienze Forestali. 11. Rossi W. (1981) – Segnalazioni floristiche italiane: 131. Dictamnus albus L. Inf. Bot. Ital. , 13 (2-3): 201. 12. Scoppola A. (1991) – Nuove indagini floristiche nella Provincia di Viterbo (Italia centrale). Giorn. Bot. Ital., 125: 379. 13. Scoppola A. (1995) – Piante minacciate, vulnerabili o molto rare della Provincia di Viterbo. Amm. Prov. Viterbo, Ass. Ambiente. Viterbo. 159 pp. 14. Scoppola A. (1998) – La vegetazione della Riserva Naturale Monte Rufeno (Viterbo) (con note illustrative della Carta della Vegetazione, scala 1:10000). Regione Lazio, Acquapendente. 69 pp. 15. Scoppola A. (2000) - Flora vascolare della Riserva Naturale di Monte Rufeno. Webbia 54(2): 207-270. 16. Scoppola A., Angiolini C. (1997a) - Vegetation of stream-bed garigues in the antiapennine range of Tuscany and (Central Italy), especially the new association Santolino etruscae-Saturejetum montanae. Phytocoenologia, 27(1): 77-102.

28 17. Scoppola A., Angiolini C. (1997b) - Considerazioni ecologiche e sintassonomiche su alcune garighe dell’entroterra tra Siena e Viterbo. Fitosociologia, 32: 121-134. 18. Scoppola A., Avena G.C. (1992) – La vegetazione della Riserva Naturale Regionale Monte Rufeno. In: Olmi M., Zapparoli M. (a cura di), L’ambiente nella Tuscia laziale – Aree protette e di interesse naturalistico della Provincia di Viterbo:81-90. Univ. della Tuscia, Union Printing ed. Viterbo. 19. Scoppola A., Filesi L. (1991) - Prime note sulla vegetazione forestale della riserva naturale regionale di Monte Rufeno (Viterbo, Italia centrale). Giornale Botanico Italiano, 125(3): 414. 20. Scoppola A., Filesi L. (1995) – I boschi di latifoglie della Riserva Naturale Regionale Monte Rufeno (VT). Annali di Botanica (Roma), 51 (1993) suppl. 10: 241-277. 21. Scoppola A., Filesi L. (1997) – Carta della Vegetazione della Riserva Naturale Monte Rufeno (Vt). Centro Stampa s.r.l., Roma. 22. Scoppola A., Filesi L. (1998) – Sui querceti del Lathyro montani-Quercion cerridis dell’Alto Lazio (VT). Annali di Botanica (Roma), 54(3):295-301. (1996). 23. Scoppola A., Pelosi M. (1995) – I pascoli della Riserva Naturale Regionale Monte Rufeno (Viterbo, Italia centrale). Fitosociologia, 30: 123-143. 24. Scoppola A., Picarella M.E. (1992) – Segnalazioni floristiche Italiane: 682-684. Informatore Botanico Italiano 24(1-2): 54-55. 25. Scoppola A., Picarella M.E. (1994) - Hottonia palustris L. (Primulaceae) can still be found in Latium. Giornale Botanico Italiano, 128(1): 316. 26. Tittarelli L. (1993) - Studio della diversità biologica in aree di interesse naturalistico: confronto fra dati relativi a cenosi animali e vegetali. Tesi di Laurea, Università degli Studi di Roma "La Sapienza", Corso di Laurea in Scienze Biologiche.

29 3.3. PRESENZA E DISTRIBUZIONE DEGLI HABITAT

3.3.1. Pratelli rupicoli calcicoli o basofili dell’Alysso-Sedion albi

Cod. Corine 34,11 Cod. Natura 2000 6110

All’interno delle praterie, in particolare in corrispondenza di dossi e linee di espluvio (per es. nel tratto sommitale delle Greppe della Maddalena), e in modo molto più frammentario sulle alluvioni terrazzate del fiume Paglia con substrato ricco in ciottoli e ben drenato, gli aspetti emicriptofitici possono essere sostituiti da cenosi camefitiche a dominanza di specie della famiglia delle Crassulaceae, a cui appartengono la maggior parte delle piante grasse di climi temperati, soprattutto del genere Sedum (Sedum sexangulare, S. rubens, S. acre, S. album); ad esse si aggiungono con buona frequenza e copertura terofite come Alyssum alyssoides e Saxifraga tridactylites. Si tratta per lo più di aspetti paucispecifici in cui sono frequenti poi le ingressioni di specie effimere del Trachynion (Arenaria leptoclados, Minuartia hybrida, Catapodium rigidum). Tali cenosi, presenti nell’area solo in modo limitato e discontinuo, sono legate a substrati più compatti e a litosuoli sempre basici e sono frequenti in corrispondenza di affioramenti rocciosi; possono essere considerate come frammenti dell’Alysso-Sedion albi.

Tabella 1 - Cenosi camefitiche dell'Alysso-Sedion (rilievi originali 2004)

N. ril. 1 2 3 4 Sotto Monte Sotto Monte Sotto Monte Località Tigna Rufeno Rufeno Rufeno Quota 610 630 670 600 Incl. 0 0 / 5 Esp. / / / SW Rocciosità 35 90 80 Pietrosità 75 40 45 / Cop. Lichenico-muscinale 20 25 30 40 Cop. Totale 65 60 40 60 Altezza veg. 15 10 10 5 Specie di Alysso-Sedion e ordini superiori Freq. Sedum sexangulare 2 1 2 4 4 Alyssum alyssoides 1 1 + 3 Saxifraga trydactyletes 3 3 1 3 Sedum rubens + 1 Erophila verna + 1 Contatti con i Trachynietalia dystachiae Arenaria leptoclados + + + 1 4 Catapodium rigidum 1 1 + 3 Minuartia hybrida 1 1 2 3 Trifolium scabrum + 1 2

30 Psilurus incurvus + 1 Medicago minima + 1 Syderitis romana + 1 Euphorbia exigua + 1 Altre Cerastium ligusticum 1 + 1 3 Poa vivipara 2 + 1 3 Veronica persica + + r 3 Crepis sancta + + 2 Sherardia arvensis + + 2 Trifolium stellatum + + 2 Erodium cicutarium + + 2 Geranium lucidum r 1 Legousia falcata + 1 Galium verum + 1 Thymus longicaulis + 1

3.3.2. Stagni temporanei mediterranei con pratelli anfibi a dominanza di piccoli giunchi e micropteridofite (Isoeto- Nanojuncetea)

Cod Corine 22,34 Cod Natura 2000 3170

Lungo il Fiume Paglia, in presenza di piccole depressioni umide laterali rispetto all’alveo principale, su depositi fini oligo-mesotrofi, Scoppola (1998) segnala la presenza di una formazione a dominanza di Juncus bufonius e Cyperus fuscus. Si tratta di aspetti costituiti da terofite di piccola taglia tra cui sono frequenti specie dei generi Juncus e Cyperus, che si sviluppano su substrati limoso- argillosi verso l’inizio dell’estate; essi danno luogo a fitocenosi rade e paucispecifiche attribuibili al Nanocyperion (Isoeto-Nanojuncetea). Tali cenosi vengono indicate come piuttosto rare e localizzate lungo la sponda, generalmente a mosaico con altre vegetazioni di taglia maggiore (per es. aspetti a Typha minima) o in coincidenza con lembi di ontaneta. Allo stato attuale, durante i sopralluoghi effettuati in questa primavera-estate, nonostante si siano trovati habitat adatti per la cenosi, esse non sono state rinvenute. Vista la frammentarietà di questi aspetti è probabile che sia molto difficile il loro rinvenimento. E’ altrimenti probabile che l’abbondanza di piogge di questa primavera e il regime di morbida del fiume non abbiamo permesso lo sviluppo di queste cenosi, mantenendo sommerse fino a giugno inoltrato le stazioni dove esse hanno l’optimum ecologico.

31 3.3.3. Pratelli di erbe graminoidi ed annuali (Thero-Brachypodietea)

Cod Corine 34,5 Cod Natura 2000 6220

Nei SIC, sia in corrispondenza dei substrati argilloso-calcarei o arenacei che delle alluvioni ciottolose, uno degli stadi seriali più distanti da quello forestale maturo è rappresentato dai pratelli a netta dominanza di terofite. Nei casi rinvenuti nei SIC, la presenza di vegetazione terofitica al di fuori del suo optimum climatico non è un fatto eccezionale poiché, come riscontrato anche in altre aree dell’Italia centrale, è il substrato a determinare l’aridità stazionale (determinismo edafico). In corrispondenza di calcari-marnosi o arenarie, su litosuoli e nelle situazioni più aride e aperte (suoli ben drenati, situazioni di dosso, esposizioni mediamente più calde), spesso a contatto con fitocenosi erbacee perenni dello Pseudolysimachio-Brometum, si sviluppano pratelli effimeri, talvolta discontinui, in cui prevale la componente terofitica. Queste comunità, spesso con elevata ricchezza floristica, sono a dominanza di Trifolium scabrum ed Hypochoeris achyrophorus; vengono inquadrate in Trifolio scabri-Hypochoeridetum achyrophori (Trachynion dystachii). L’azione del disturbo antropico, soprattutto in aree vicine a strade e sentieri, sovrappongono alla cenosi in questione una diffusa nitrofilia, che giustifica specie come Trifolium stellatum e Bromus rigidus (contatti con i Brometalia rubenti-tectori). Pratelli con composizione floristica simile si rinvengono anche nelle alluvioni terrazzate, in corrispondenza di situazioni dove l’elevata presenza di sabbie contribuisce ad accentuare le difficili condizioni ambientali per la vegetazione dando luogo a suoli incoerenti e a bassa capacità idrica di ritenuta, si insediano pratelli terofitici in mosaico con le cenosi camefitiche a Santolina etrusca e Satureja montana. Sempre in alveo fluviale si sviluppano aspetti terofitici estivi; si insediano nelle tasche di sabbia e, a causa delle condizioni di elevata aridità, sono in genere poveri di specie. Vi dominano Micropus erectus e Vulpia ciliata insieme a Medicago minima e Coronilla scorpioides (Trachynion dystachii).

Tabella 2 - Pratelli terofitici (rilievi 2004) N. ril. 1 2 3 4 5 6 Freq Sotto A monte di Loc. Torr. Pod. S. Presso il Località Monte Pod. Fornello Fossatello Anna Macchione Rufeno Acerona Quota 670 540 520 235 325 590 Incl. 7 15-20 / 5 <5 Esp. W / E SW Rocciosità 5 / 20 Pietrosità 5 10 40 30 80 Cop. Lichenico-muscinale 100 75 50 10 / Cop. Totale 75 60 85 60 80 Altezza veg. 15 15-20 20 10 20

32 Specie di Trifolio scabri-Hypochoeridetum Hypochoeris achyrophorus 2 1 3 1 + 1 6 Trifolium scabrum 2 3 4 3 4 5 Linum strictum + + 2 Specie di alleanza, ordine, classe Catapodium rigidum + 1 + 1 + 5 Medicago minima 1 2 + + + 5 Arenaria leptoclados + 3 1 1 4 Minuartia hybrida 1 1 + 3 Syderitis romana + 1 1 3 Euphorbia exigua + + 2 Trifolium campestre + + 2 Ononis reclinata 1 1 Linum trigynum 1 1 Polygala monspeliaca 1 1 Gaudinia fragilis + 1 Scorpiurus muricatus 1 1 Acinos arvensis + 1 Bupleurum baldense 1 1 Filago pyramidata + 1 Contatti con i Brometalia rubenti-tectorum Onobrychis caput-galli + 1 + + 4 Trifolium stellatum 2 2 + + 4 Bromus sterilis 1 1 1 3 Sherardia arvensis 1 1 1 3 Trifolium cherleri 1 1 2 Vulpia ciliata + 1 2 Urospermum dalechampii + 1 Bromus madritensis + 1 Aegilops geniculata + 1 Reichardia picroides + 1 Altre Blakstonia perfoliata + + + 3 Crepis sancta + + 1 3 Medicago orbicularis + + 2 Trifolium angustifolium 1 2 2 Astragalus hamosus 1 1 2 Trifolium tomentosum + 1 2 Cerastium arvense 2 2 2 Cerastium ligusticum + 1 2 Myosotis arvensis + 1 2 Alyssum alyssoides 1 1 2 Erophila verna + 1 Saxifraga trydactyletes 1 1 Sedum sexangulare 1 1 Sedum rubens 1 1 Arabis hirsuta + 1 Capsella bursa-pastoris + 1 Crepis zacintha 1 1 Dactylis glomerata + 1 Euphorbia peplus + 1

33 Geranium molle 1 1 Geranium purpureum + 1 Hypericum perforatum + 1 Lamium amplexicaule + 1 Lathyrus sphaericus 1 1 Legousia falcata + 1 Micropus erectus 1 1 Petrorhagia prolifera + 1 Sanguisorba minor + 1 Thymus longicaulis + 1 Veronica persica + 1 Vicia hybrida + 1

Tab. 3 - Pratelli terofici (dati bibliografici)

Rilievo n. 1 2 3 4 5 6 7 8 Altitudine m.s.l.d.m. 58 58 64 77 75 77 64 64 Esposizione W SW SW SE S SE E NW Inclinazione in ° 2 2 2 2 2 2 0 0 Ricoprimento in % 95 70 95 75 90 50 90 75 Numero di specie 53 41 45 45 56 32 26 35 Differenziali dell'aggruppamento Cynosurus echinatus 1 1 1 + 1 + 1 + Madicago mimina 2 2 + 2 2 + + Hypochoeris achyrophorus + 1 + + 1 + + Medicago sativa ssp. falcata + 2 1 1 + 2 3 Galium verum 1 1 + + + 1 2 Linum strictum + + + 2 1 + Specie di Thero-Brachypodietea Trifolium scabrum 2 2 1 1 3 1 + Petrorhagia prolifera + + + + + + Calamintha nepeta 1 1 + + + Sideritis romana 1 1 + + 1 Bupleurum baldense 1 + + + + Alyssum minus + + + + carlina corymbosa + + + + Catapodium rigidum + + + Althaea hirsuta + + 1 Tordylium apulum + + Marrubium incanum + + Coronilla scorpioides + + Tragopogon crocifolius r + Hippocrepis unisiliquosa + + Trifolium incarnatum 1 2 Crepis zacintha + Pallenis spinosa + Trifolium cherleri + Onobrychis caput-galli + Euphorbia exigua +

34 Scabiosa maritima + Trifolium subterraneum + Vicica hybrida + Filago pyramidata + Trifolium leucanthum + Specie dei Brometalia, Festuco-Brometea Eryngium campestre + 1 1 2 1 + + Anthemis tinctoria + + + + + 1 + Sanguisorba minor + 1 1 1 1 + + Trifolium campestre 1 + 2 3 1 + Thymus longicaulis + 1 1 1 + + Bromus erectus + 4 3 3 + Petrorhagia saxifraga 1 1 + + + Teucrium chamaedrys 2 + 1 + Campanula rapunculus + + 1 + Galium corrudifolium + 1 + + Lotus corniculatus + 1 1 + Potentilla hirta + + + + Arabis sagittata + + r Dianthus carthusianorum + + + Anthyllis vulneraria + + + Achillea collina + + 1 Stachys salvifolia + + Arenaria serpyllifolia + + Hieracium piloselloides 1 + Knautia purpurea + Poa bulbosa + Koeleria splendens 1 Festuca rubra + Himanthoglossum adriaticum + Centaurea bracteata + Leontodon villarsii + Odontites lutea + Ophrys sp. + Contatti con i Brometalia rubenti-tectorum e Alysso-Sedion albi Trifolium stellatum 2 1 1 + 1 + + 1 Avena barbata 1 1 1 + + 1 1 Medicago rigidula 1 + + 2 + + Aegilops neglecta + 2 + 1 1 Carthamus lanatus + 1 + + + Astragalus hamosus + + + + + Sedum sexangulare 1 + 1 1 2 Urospermum dalechampii + + + + Bromus madritensis 1 + + + Bromus hordeaceus 1 1 1 Vulpia ciliata + + + Lathyrus sphaericus + + + Trifolium angustifolium + + + Phleum subulatum 1 1

35 Nigella damascena + + Sedum rubens + + Sedum acre + 2 Echium vulgare + + Carduus pycnocephalus r + Bromus rigidus + + Aegilops geniculata 2 Sedum album + Altre specie Phleum bertolonii + + 2 + 1 3 1 Dactylis glomerata + + 1 1 + 2 2 Plantago lanceolata + 1 1 + + 1 Hypericum perforatum + + + + + Geranium columbinum 1 + + + Sharardia arvensis + r 1 + 1 Convolvulus arvensis + + + 1 + Gaudinia fragilis 1 1 2 Xeranthemum cylindraceum + + 1 Knautia integrifolia 1 + Geranium molle + + Silene vulgaris + + Lathyrus aphaca + + Vicia sativa r + Bromus sterilis 1 1 Crepis neglecta + +

3.3.4. Formazioni erbose secche seminaturali su substrato calcareo (Festuco-Brometalia)

Cod Corine habitat da 34,31 a 34,34 Cod Natura 2000: 6210

Nell’area dei SIC le praterie meso-xerofile, pur non ricoprendo aree estese, si articolano in almeno tre tipologie prevalenti, in relazione prevalentemente alle caratteristiche geologiche e morfologiche della stazione. Gli aspetti prativi più naturali, in mosaico con lembi di cerreta o nuclei di arbusteti con cui sono in relazione seriale, risultano presenti in substrati sia acidofili che basofili nel piano collinare inferiore, mentre in quello collinare superiore sono limitati ai substrati tendenzialmente argillosi. Si tratta di cenosi a carattere semimesofilo con fisionomia caratterizzata soprattutto da Bromus erectus, Carex flacca, Hippocrepis comosa, Dorycnium herbaceum, Polygala flavescens; sono stati inquadrati in un’associazione descritta proprio nella Riserva di Monte Rumeno e denominata Pseudolysimachio barrelieri– Brometum erecti. Di questa all’interno dei SIC, oltre all’aspetto tipico, si rinvengono due subassociazioni: globularietosum punctatae a carattere pioniero, più xerofila, con cotico discontinuo, caratterizzata da Globularia

36 puntata e Fumana procumbens; brizetosum mediae a cotico pressoché continuo e differenziata da Brachypodium rupestre, Briza media, Cruciata glabra, Geranium sanguineum, che segna la transizione verso gli stadi più maturi della serie ed è presente al margine dei lembi di querceto chiuso. Aspetti con elevate coperture di Aster linosyris sono legati a suoli più argillosi e sconnessi; in questi ambienti le comunità mostrano ingressioni di specie legate alle praterie mesofile dei Molinio-Arrhenateretea come Dactylis glomerata e Phleum pratense, che presentano anche coperture elevate.

In corrispondenza del piano collinare superiore, in stazioni da pianeggianti a scarsamente acclivi, su suoli a reazione basica con una componente argillosa abbastanza rilevante, si individuano praterie miste dove Bromus erectus è accompagnato da Brachypodium rupestre e altre specie tipiche quali Ononis spinosa, Daucus carota, Foeniculum vulgare ssp. piperitum, che ne indicano il carattere subnitrofilo; queste si arricchiscono in terofite in corrispondenza di dossi e linee di espluvio. Tali cenosi, con carattere di transizione verso le praterie postcolturali, vengono inquadrate nel Polygalo-Brachypodietum rupestris (Phleo-Bromion, Brometalia erecti) descritta per l’Umbria e il Lazio interno.

Sulle alluvioni terrazzate del fiume Paglia, nei terrazzi esterni ormai quasi sganciati dalla dinamica fluviale, a mosaico con la gariga a Santolina etrusca o con gli arbusteti del Cytision, si insediano praterie semimesofile a dominanza di Bromus erectus e caratterizzate da Aster lynosiris, legato all’abbondanza di argilla nel suolo; Seseli tortuosum, che è presente anche nelle garighe ma più abbondante in queste praterie di ambienti più freschi; Anacamptis pyramidalis, tipica di praterie mesofile. Tali cenosi, molto più povere di specie rispetto agli altri brometi dei SIC, sono state riferite ad una nuova associazione descritta per le alluvioni consolidate dei greti di Toscana e Lazio e denominata Seselio tortuosi-Brometum erecti (Bromion erecti, Leucanthemo vulgaris-Bromenalia erecti).

Tabella 4 - Praterie dei Festuco-Brometea (rilievi 2004) N. rilievo 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 freq Paglia Confl. Press T. sotto Sopra Pod. Pod. Pod. Fossa o il Località Tigna Tigna Fossa Mt. Tigna Vitabb S. S. S. tello/P Macch tello Crocio ieti Anna Anna Anna aglia ione ne Quota (m.s.l.m) 600 610 235 220 200 600 610 590 340 330 330 Inclinazione (°) 7 5 / / 5 <2 5 2 10 <5 2 Esposizione W W / / E SSW SW NE E ESE SE Copertura 20 30 40 60 20 15 35 / 5 15 5 lichenico/muscinale (%) Copertura totale 70 65 70 65 90 80 60 100 100 80 95 vegetazione (%) Cop. Strato arbustivo 5 / / 2 / 5 / / 2 5 5 Cop. Strato erbaceo 70 65 60 65 90 80 60 100 100 80 95

37 Altezza vegetazione (cm) 30 40 40 50 40 40 30 50 40 20 30 Superficie rilevata (m2) 10 15 8.00 10 15 8 10 25 20 10 15 Caratt. e diff. di Pseudolysimachio barrelieri-Brometum erecti Polygala flavescens + 1 + + 1 + 1 + 8 Plantago maritima + + 2 Scabiosa maritima + + 2 Dorycnium penthaphyllum ssp. 1 1 herbaceum Diff. della subass. globularietosum punctatae Globularia punctata 2 2 + + + 5 Fumana procumbens 1 + + 3 Diff. variante di suoli più argillosi e sconnessi Aster lynosiris + 2 1 2 3 5 Filipendula vulgaris 1 1 Urospermum dalechampii 1 1 Specie del Bromion Blakstonia perfoliata 1 + + + 1 + 1 7 Leucanthemum pallens 1 + + 1 4 Anacamptis pyramidalis + + + 3 Oprhys apifera + + + 3 Orchis coriophora 1 1 + 3 ssp.fragrans Centaurea bracteata 1 + 2 Centaurium erytraea + + 2 Genista tinctoria + + 2 Ophrys bertolonii + + 2 Prunella laciniata 1 + 2 Lotus corniculatus + 1 Specie dei Brometalia, Festuco-Brometea Bromus erectus 3 3 3 3 4 4 3 4 3 4 4 11 Carex flacca 1 + + 1 1 2 + + 8 Linum tenuifolium + 1 + 1 + 1 1 1 8 Potentilla hirta 1 + + + 1 1 1 7 Brachypodium rupestre + + 1 1 + 2 + 7 Sanguisorba minor + 1 + + + + 6 Dianthus carthusianorum + + + + + 5 Galium corrudifolium 1 1 1 1 2 5 Serapias vomeracea 1 + + + 1 5 Hippocrepis comosa + + 1 + 4 Koeleria splendens 2 2 + 2 4 Thymus longicaulis 1 + 1 2 4 Euphorbia cyparissias + 1 1 3 Hieracium piloselloides + 2 2 3 Onobrychis viciifolia 1 2 + 3 Trifolium campestre 1 + + 3 Campanula rapunculus + + 1 3 Linum tryginum 2 + 2 Odontites lutea + + 2 Anthemis tinctoria + + 2 Cuscuta epithymum + 1 Eryngium campestre + 1 Helianthemum + 1 nummularium Stachys sylvatica + 1 Teucrium chamaedrys + 1 Trifolium ochroleucon + 1 Arabis collina + 1

38 Contatti con gli Agropyretea intermedii-repentis, Molinio-Arrhenateretea Dactylis glomerata + + + + 1 2 2 + 1 9 Phleum pratense 1 + 1 2 1 1 6 Daucus carota + + 2 Picris hieracioides + + 2 Plantago lanceolata 1 + 2 Achillea ageratum + 1 Ranunculus bulbosus 1 1 Pulicaria dysenterica 1 1 Contatti con i Tuberarietea guttatae Hypochoeris achyrophorus + + + + 4 Scorpiurus muricatus + + + 1 4 Euphorbia exigua + + + 3 Catapodium rigidum + 1 Crepis zacintha + 1 Filago germanica + 1 Gastridium ventricosum 1 1 Gaudinia fragilis 1 1 Linum strictum + 1 Sherardia arvensis + 1 Foeniculum vulgare + 1 Trifolium scabrum + 1 Altre specie Dorycnium hirsutum + + + + + 5 Hypericum perforatum + + + + + 5 Spartium junceum + + + + + 5 Agrostis stolonifera + + + 3 Oenanthe pimpinelloides 1 + 1 3 Quercus pubesccens + + + 3 Xeranthemum + + 2 3 cylindraceum Antoxanthum odoratum + 2 2 Avena barbata 2 + 2 Bellardia trixago + 1 2 Cistus creticus ssp. + + 2 eriocephalus Juniperus communis + + 2 Lathyrus sylvestris + + 2 Melilotus neapolitana 1 + 2 Pallenis spinosa + + 2 Reichardia picroides + 1 2 Santolina etrusca 1 1 2 Sedum sexangulare + + 2 Allium sphaerocephalon + 1 Althaea hirsuta + 1 Aristolochia rotunda + 1 Briza maxima + 1 Bromus hordeaceus 1 1 Clematis vitalba + 1 Condrilla juncea + 1 Convolvulus cantabrica + 1 Cornus sanguinea + 1 Crataegus monogyna + 1 Cruciata glabra + 1 Cynosurus cristatus 2 1 Fraxinus ornus + 1 Gladiolus communis 1 1 Helichrysum italicum + 1

39 Inula viscosa + 1 Lolium multiflorum + 1 Luzula campestris + 1 Lycnis flos-cuculi + 1 Melica ciliata + 1 Ononis spinosa + 1 Prunus spinosa + 1 Pyrus amygdaliformis + 1 Pyrus pyraster + 1 Quercus ilex + 1 Rosa sempervirens + 1 Satureja montana + 1 Silene vulgaris 1 1 Stachys germanica + 1 Tanacetum corymbosum + 1 Teucrium montanum + 1 Tragopogon porrifolius + 1 Ulmus minor + 1 Veronica prostrata 1 1 Vicia bithynica + 1

Tabella 5 - Praterie dei Festuco-Brometea (dati bibliografici)

Rilievo n. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 Altitudine m.s.l.d.m. 490 490 290 290 290 290 520 650 520 490 650 Esposizione SW NW NW S SWSW NW \ W SWW Inclinazione in ° 4 5 0 2 0 8 5 0 5 10 5 Ricoprimento in % 40 60 60 75 90 95 70 95 80 80 95 Numero di specie 21 40 25 46 36 43 44 39 36 37 34 Caratt. e diff. di associazione Dorycnium penthaphyllum ssp. herbaceum 1 1 2 1 1 1 1 1 1 Polygala flavescens + + + + + + 1 Pseudolysimachion barrelieri + + 1 + + + + Scabiosa maritima + 1 1 + + Plantago maritima 1 2 1 1 1 Diff. subass. globularietosum punctatae Globularia punctata 1 2 + + Fumana procumbens + 1 Diff. Variante di suoli argillosi e sconnessi Aster linosyris + 2 2 1 2 + + + 1 Ononis spinosa + + + 3 3 + Filipendula vulgaris + + 1 + Urospermum dalechampii + + + Senecio erucifolius + + Parapholi strigosa 1 + Hedysarum coronarium 1 + Diff. subass. brizetosum mediae Brachypodium rupestre + + + 1 2 4 Briza media + 2 2 1 2 Cruciata glabra + + Geraniium sanguineum + + +

40 Specie del Mesobromion Centaurea bracteata + + 1 + 2 + + + + 1 Blackstonia perfoliata + + + + + + + + + Prunella laciniata + + + 2 1 + 1 + + Leucanthemum pallens + 1 + + + + 1 + Anacamptis pyramidalis + + Lotus corniculatus + + + 1 + Ophrys sp. + + + + + Genista tinctoria + 1 + + Polygala vulgaris + + Orchis coriophora ssp. fragrans + + Centaurium erytraea + Phleum ambiguum + Specie di Brometalia, Festuco-Brometea Bromus erectus + 2 2 + 2 2 3 3 3 3 2 Carex flacca 1 1 1 2 1 1 2 2 1 + 1 Potentilla hirta + + 1 1 + + + + + + + Sanguisorba minor + + + 1 1 1 + + + Thymus longicaulis + + + 3 + + + + Leontodon villarsii + 1 + 3 2 1 + + + Galium corrudifolium + + 1 + + + 1 Hippocrepis comosa 1 + 1 2 2 2 2 Onobrychis viciifolia + 1 + + + Koeleria splendens + 1 1 1 + + Thesium divaricatum + + 1 + + 1 + Trifolium campestre + + + Helianthemum nummularium + 1 + + 1 Odontites lutea + + + + Serapias vomeracea + + + + Linum tenuifolium + + 1 + Hieracium piloselloides + Eryngium campestre + + 1 Cuscuta epithymum + + + Linum triginum + + Agrimonia eupatoria + + + Stachys salvifolia + + + Dianthus carthusianorum Trifolium ochroleucon + + Euphorbia cyparissias + + + Teucrium chamaedrys + + Achillea collina Anthemis tinctoria Hieracium pilosella Knautia puropurea + Petrorhagia saxifraga Campanula rapunculus Carex caryophyllea Specie di Agropyretalia intermedii repentis, Molinio-Arrhenateretea Phleum bertolonii + 2 1 + + 1 + + Dactylis glomerata 1 1 + + 1 1 + + Plantago lanceolata + + + + + + +

41 Daucus carota + + + + + + Picris hieracioides + + + + Linum bienne + + 1 + Convolvulus arvensis + + + Trifolium lappaceum 1 1 + Allium vineale + r r Poa compressa + + + Festuca arundinacea + + Ornithogalum umbellatum + r Inula viscosa + + Xeranthemum cylindraceum + Phalaris coerulescens + Pulicaria dysenterica + Agriopyron repens + Achillea ageratum Carex distans Bellis perennis Galium album Ranunculus bulbosus Danthonia decumbens + Altre specie Linum strictum + + 1 1 1 + Euphorbia exigua + + r + + Scorpiurus muricatus + 1 2 + + Hypericum perforatum + + + Anagallis arvensis + + + Dorycnium hirsutum + + + + Cynodon dactylon + + + Brachypodium dystachium + + 1 r Gastridium ventricosum + + + Aegilops geniculata + + + + Juniperus communis + + Vicia bithynica 1 r Ornithogalum brevistilum + + Trifolium echinatum + + Knautia integrifolia + 1 + Geranium columbinum + + Gladiolus communis + Carlina corymbosa + + Avena barbata + + Euphorbia falcata + + Hypochoeris achyrophorus + Medicago minima + Kickxia spuria r Prunus spinosa + +

42 3.3.5. Foreste di versanti, valloni e ghiaioni del Tilio-Acerion

Cod Corine 41,4 Cod Natura 2000 9180

Nel Tilio-Acerion sono inquadrati soprassuoli forestali a carattere pioniero, densità irregolare e composizione variabile per la presenza contemporanea di specie sia mesofile e nemorali, esigenti quindi di suoli fertili e freschi, che nitrofile di orlo. Questi boschi sono da considerare un tipo di vegetazione extrazonale e rappresentano un habitat di notevole interesse conservazionistico. All’interno dei SIC le cenosi del Tilio-Acerion risultano ben rappresentate esclusivamente all’interno del bosco del Sasseto e altrove distribuite in modo puntiforme. Si insediano in corrispondenza di stazioni particolari come ambienti di forra o di fondovalle con suoli fertili e profondi, ma interessati da frequenti fenomeni di crollo o franamento che causano il parziale o totale disturbo della vegetazione insediata; la morfologia interagisce con la litologia e deve avere carattere di elevata ripidità. Nel bosco del Sasseto si rinvengono prevalentemente in aree con ghiaioni a clasti molto grossi e pendici rupestri; la loro peculiarità è legata al fatto che lo strato arboreo è particolarmente ricco in latifoglie nobili quali Acer campestre, A. pseudplatanus, Tilia platyphyllos – molto ben rappresentato -, T. cordata, Ulmus glabra, Carpinus betulus, Corylus avellana e Fagus sylvatica, che può assumere il ruolo di specie dominante. Anche gli strati arbustivo ed erbaceo risultano ricchi in entità di boschi mesofili submontani quali: Tamus communis, Euonymus europaeus, Ilex aquifolium, Galium odoratum, Melica uniflora, Mycelis muralis, Cardamine kitaibelii, Festuca heterophylla, Primula vulgaris, Adoxa moschatellina, Campanula trachelium. Tali popolamenti si ritiene possano essere attribuiti ad un tipo appenninico dell’alleanza Tilio-Acerion (Fagetalia), definito prevalentemente su base fisionomico-ecologica e non floristica.

Tabella 6 - Boschi del Tilio-Acerion (rilievi 2004) N. rilievo 1 2 3 4 5 6 freq Sasseto Sasseto Sasseto subito subito Sasseto in Sasseto in Sasseto in Località sotto sopra sopra alto alto alto castello strada strada Quota (m.s.l.m) 420 430 510 520 525 540 Inclinazione (°) 20 15 25 5 10 35 Esposizione NE E N NE NW N Rocciosità (%) 5 10 10 5 5 10 Pietrosità (%) 20 35 35 85 70 30 Copertura totale vegetazione 95 85 100 100 95 100 (%) Cop. Strato arboreo 90 80 95 90 85 90 Cop. Strato arbustivo 55 35 70 10 15 40 Cop. Strato erbaceo 30 70 60 60 20 60 Altezza vegetazione (m) 30 25 25 30 25 35

43 Superficie rilevata (m2) 250 250 300 200 200 300 Specie caratt. e diff. dell'alleanza Tilio- Acerion Mercurialis perennis + + + 1 + 5 Polystichum setiferum 1 2 + 1 4 Tilia platyphyllos 3 4 4 2 4 Cardamine kitaibelii + + 2 3 Geranium robertianum 1 1 1 3 Phyllitis scolopendrium 1 2 + 3 Ranunculus lanuginosus 1 + + 3 Ulmus glabra 2 1 2 Tilia cordata 2 + 2 Juglans regia 1 1 Acer pseudoplatanus 1 1 Specie di Fagetalia, Querco-Fagetea Carpinus betulus 3 3 2 1 + 2 6 Castanea sativa 1 1 1 1 2 5 Melica uniflora 1 2 1 1 1 5 Mycelis muralis + 1 1 1 1 5 Ilex aquifolium 2 1 1 + 4 Cornus mas L. + + + 3 Sanicula europaea + + + 3 Scutellaria columnae + + + 3 Brachypodium sylvaticum + + 2 Campanula trachelium + 1 2 Cardamine bulbifera 1 1 2 Corylus avellana 2 1 2 Daphne laureola + + 2 Galium odoratum 1 2 2 Hieracium gr. murorum + 2 2 Lathyrus venetus + + 2 Milium effusum + + 2 Primula vulgaris + + 2 Quercus petraea + + 2 Moehringia trinervia + 1 Fagus sylvatica 3 1 Melittis melyssoophyllum + 1 Altre Acer campestre 2 1 2 + + 1 6 Fraxinus ornus 2 1 2 1 + 1 6 Hedera helix 2 3 3 2 1 3 6 Asplenium onopteris + + + 1 4 Quercus ilex + 1 1 + 4 Ruscus aculeatus + + 1 1 4 Crataegus laevigata + + + 3 Helleborus bocconei 1 1 + 3 Ostrya carpinifolia 1 2 1 3 Sorbus torminalis + + + 3 Viola reichenbachiana 1 + 1 3 Alliaria petiolata 1 1 2 Asplenium trichomanes + + 2 Carex depauperata + + 2

44 Clematis vitalba + 1 2 Coronilla emerus L. subsp. + 2 2 emerus Euonymus europaeus + + 2 Fraxinus oxycarpa + 1 2 Galium aparine + + 2 Glechoma hirsuta + + 2 Ligustrum vulgare + + 2 Lonicera caprifolium 1 1 2 Parietaria officinalis + + 2 Poa sylvicola 1 + 2 Polypodium vulgare + + 2 Prunus spinosa + + 2 Quercus cerris 2 1 2 Rubia peregrina + + 2 Rubus ulmifolius + 1 2 Sambucus nigra + + 2 Symphytum tuberosum + + 2 Urtica dioica + + 2 Viola alba + + 2 Ajuga reptans + 1 Arum maculatum + 1 Athyrium filix-foemina + 1 Cruciata glabra + 1 Digitalis lutea + 1 Festuca heterophylla 1 1 Fragaria vesca + 1 Holcus lanatus + 1 Luzula forsteri + 1 Mespilus germanica + 1 Monotropa hypopytis + 1 Pteridium aquilinum + 1 Rubus gr. sylvatici + 1 Scrophularia nodosa + 1 Senecio fuchsii + 1 Tamus communis + 1 Umbilicus rupestris + 1

Tab. 8 - Tilio-Acerion (rilievi inediti A. Scoppola)

Rilievo n. 1 2 Altitudine m.s.l.d.m. 540 540 Esposizione NE N Inclinazione in ° 30 35 Ricoprimento in % 100 100 Numero di specie 48 45 Specie caratt. e diff. dell'alleanza Tilio-Acerion Tilia platyphyllos Scop. 1 2 Cardamine kitaibelii Becherer 2 1 Mercurialis perennis L. 2 1

45 Phyllitis scolopendrium (L.) Newman + + Polystichum setiferum (Forsskal) Woynar 2 Geranium robertianum L. + Ranunculus lanuginosus L. + Specie di Fagetalia, Querco-Fagetea Campanula trachelium L. + + Carpinus betulus L. 1 2 Corylus avellana L. 1 1 Castanea sativa Miller 2 2 Galium odoratum (L.) Scop. 2 1 Lathyrus venetus (Miller) Wohlf. 1 + Melica uniflora Retz. 2 + Sanicula europaea L. + + Scutellaria columnae All. + + Viola reichenbachiana Jordan ex Boreau + + Daphne laureola L. + + Moehringia trinervia (L.) Clairv. + + Mycelis muralis (L.) Dumort. + + Fagus sylvatica L. 4 Hieracium racemosum W. et K. 2 Digitalis micrantha Roth + Polystichum aculeatum (L.) Roth 1 Symphytum tuberosum L. + Adoxa moschatellina L. + Festuca heterophylla Lam. 1 Ilex aquifolium L. + Melittis melissophyllum L. + Primula vulgaris Hudson + Solidago virgaurea L. + Milium effusum L. + Altre Quercus ilex L. 1 + Fraxinus ornus L. + + Acer campestre L. 1 + Alliaria petiolata (Bieb.) Cavara et Grande + + Allium pendulinum Ten. 1 + Asplenium trichomanes L. + + Coronilla emerus L. + + Cyclamen repandum S. et S. + + Euonymus europaeus L. + + Hedera helix L. 3 3 Lonicera caprifolium L. 2 + Polypodium interjectum Shivas + + Ruscus aculeatus L. + 1 Stellaria media (L.) Vill. + + Anemone apennina L. + Cyclamen hederifolium Aiton + Dactylis glomerata L. + Luzula forsteri (Sm.) DC. +

46 Poa sylvicola Guss. + Sorbus torminalis (L.) Crantz + Tamus communis L. + Arabis turrita L. + Chaerophyllum temulum L. + Cornus mas L. + Galium aparine L. + Helleborus foetidus L. + Orobanche hederae Duby + Poa nemoralis L. + Sambucus nigra L. + Umbilicus rupestris (Salisb.) Dandy +

3.4. STATO DI CONSERVAZIONE DEGLI HABITAT

Le aree interessate dai SIC presentano superfici con vegetazione spontanea molto estese. I sopralluoghi e le analisi effettuate hanno permesso di rilevare come elevata importanza dal punto di vista floristico (un ricco corteggio di specie mesofile e sciafile legate alla faggeta) e vegetazionale è rivestita dai boschi ricchi in latifoglie miste mesofile del Tilio-Acerion che coprono porzioni di territorio anche ampie in corrispondenza di stazioni particolari quali ambienti di forra o di fondovalle con suoli fertili e profondi, prevalentemente all’interno del bosco del Sasseto, fuori dal perimetro della Riserva. Si tratta di boschi molto belli dal punto di vista paesaggistico, ma sicuramente di estrema bellezza è anche l’altra parte del bosco del Sasseto, prevalentemente coperto da bosco di leccio. Il bosco è ricco di esemplari arborei anche di dimensioni ragguardevoli, talvolta secolari (alcuni da considerare anche alberi monumentali), e con un denso sottobosco di edera, ciclamini, viburno, agrifoglio.

Prima delle nostre indagini, gli unici dati disponibili sulla presenza del Tilio- Acerion nell’area di Monte Rufeno si riferivano a due segnalazioni di Scoppola per il rapporto inerente gli habitat prioritari della Dir. 92/43. Durante i campionamenti effettuati al bosco del Sasseto si è rilevato che tali boschi risultano piuttosto continui e con ampia distribuzione in corrispondenza delle aree acclivi, con accumulo di clasti ed esposizioni fresche della porzione meridionale del SIC (vedi carta degli habitat). Il rinvenimento nelle cenosi rilevate di numerose delle specie che caratterizzano floristicamente il Tilio-Acerion, quali Acer pseudoplatanus, molto raro nell’area della Riserva, Tilia platyphyllos, Ulmus glabra, Polystychum setiferum, Phyllitis scolopendrium, indicano che il Tilio-Acerion nel SIC non è da intendere presente solo in senso fisionomico ma nel suo habitus tipico; le cenosi inoltre, anche se isolate, sono in un buono stato di conservazione e in grado di mantenersi, visto che risultano accantonati in aree scarsamente accessibili, con corteggio pressoché inalterato.

47 I dati di letteratura riportano che questo habitat in Italia è attualmente distribuito prevalentemente lungo l’arco alpino, ed in particolare nel settore orientale. Poche sono invece le segnalazioni per l’Appennino, spesso genericamente attribuite all’alleanza, ed ancora meno quelle relative a zone antiappeniniche; per il Lazio ad oggi sono note solo la stazione di Monte Rufeno ed una stazione sui Monti del Reatino. Tali cenosi risultano in generale alquanto localizzate e spesso in contrazione a causa di locali interventi selvicolturali verificatesi nel corso degli anni o modificazioni dell’habitat. I nostri dati sulla presenza ed ampia distribuzione del Tilio-Acerion nel SIC Bosco del Sasseto assumono quindi maggiore rilevanza se inquadrati in questo contesto generale. Inoltre supportano ampiamente le auspicabili attività volte alla tutela di questo habitat nel SIC limitando al minimo gli interventi selvicolturali e non realizzando affatto opere sistematorie o di regimazione che abbiano per oggetto i versanti su cui sono posti questi boschi.

La vegetazione spontanea lungo i tratti con depositi ciottoloso-sabbiosi del fiume Paglia è poi rappresentata prevalentemente da cenosi non indicate tra quelle di interesse prioritario secondo la 92-43 CEE, ma di elevato pregio naturalistico. Esse costituiscono una tipologia vegetazionale davvero peculiare per il Lazio, poiché in questa Regione hanno distribuzione limitata quasi esclusivamente al territorio di Monte Rufeno; altrove sono frequenti in Toscana meridionale e presenti in modo marginale in Umbria. Si tratta di garighe dominate da due piante con odore aromatico, robuste e cespugliose (suffrutici): l'elicriso (Helichrysum italicum), con fiori di un bel giallo carico e la santolina (Santolina etrusca), con fiori di colore giallo citrino. Quest'ultima è una specie di elevato interesse naturalistico perchè ha un areale ristretto a Toscana meridionale, Lazio settentrionale e, solo marginalmente, Umbria; trova il suo habitat primario lungo i letti fluviali sassoso-ciottolosi. Il mosaico vegetazionale presente nei primi e secondi terrazzi ciottoloso-sabbiosi dell’alveo fluviale tra garighe, praterie, cenosi a piccole camefite succulente, pratelli terofitici xerofili ed igrofili, saliceti e formazioni elofitiche costituisce uno degli aspetti più belli e ricchi di specie del SIC del torrente Paglia. Durante i campionamenti lungo i corsi d’acqua non è stato possibile rinvenire gli aspetti terofitici afferenti al Nanocyperion.

Di elevato valore naturalistico, come è testimoniato dal loro inserimento tra gli habitat di importanza comunitaria nell’Allegato I della Direttiva Habitat 92/43/Cee (Codice habitat da 34.31 a 34.34, praterie aride seminaturali su substrati calcarei dei Festuco-Brometea), sono poi le praterie da xerofitiche a semimesofitiche a dominanza di graminacee perenni dei generi Bromus, Brachypodium, Phleum. Tale habitat mostra una distribuzione subatlantica-submediterranea occidentale con areale che include la parte occidentale della regione medioeuropea, compresa la zona submediterranea dell’Italia; nella parte meridionale del suo areale è diffuso prevalentemente in concomitanza di catene montuose. Le praterie appartenenti a quest’ordine occupano superfici piuttosto estese dell’Italia peninsulare, poiché sono diffuse lungo tutto l’arco appenninico dalla

48 Liguria alla Calabria, in stazioni limitate dei settori meridionali delle Alpi oltre che in una località in Sicilia. Da un punto di vista più strettamente conservazionistico tali praterie, che nel contesto generale del Lazio settentrionale sono da ritenersi di elevata valenza ecologica e fitogeografica, sono oggetto di una progressiva regressione sia qualitativa che quantitativa (spesso sono fortemente invase da arbusti), poiché risentono negativamente delle condizioni di abbandono a cui sono state sottoposte negli ultimi 50 anni. La loro distribuzione nell’area di Monte Rufeno risulta frammentaria, per lo più con lembi di dimensioni limitate a mosaico con altre tipologie vegetazionali; quindi, anche se sono distribuiti nella maggior parte dei SIC, escluso il Bosco del Sasseto, il rischio di scomparsa a cui sono sottoposti può ritenersi abbastanza elevato. I rilievi effettuati comunque ne dimostrano il buono stato di conservazione ed il pregio naturalistico grazie all’elevata ricchezza di specie che li caratterizza, spesso anche rare come varie Orchidacee, Pseudolysimachion barrelieri, Plantago maritima, Polygala flavescens.

In corrispondenza di dossi, linee di espluvio o affioramenti rocciosi, ma anche sulle alluvioni terrazzate del fiume Paglia con substrato ricco in ciottoli e ben drenato, e, come rilevato nei sopralluoghi di questa primavera-estate, in aree aperte dei rimboschimenti, ovunque il suolo sia ricco di scheletro e si verifichino condizioni di aridità, gli aspetti emicriptofitici possono essere sostituiti da lembi (al massimo di pochi metri quadrati) di cenosi dominate da piccole camefite succulente (Alysso-Sedion). Tale habitat mostra distribuzione incentrata nell’Europa continentale temperata, spingendosi solo in modo frammentario nell’area mediterranea. Nel Lazio, dove è comunque rappresentata da cenosi frammentarie e di estensioni limitate, ne sono note stazioni anche legate ai substrati travertinosi. Nei SIC di Monte Rufeno, come indicato nella Carta degli habitat, alla luce delle nuove conoscenze acquisite con le indagini recenti, le cenosi dell’Alysso-Sedion risultano un po’ più diffuse di quanto noto in letteratura. Si tratta comunque di aspetti per lo più paucispecifici (“fitocoenon basale” sensu Poldini), con composizione floristica impoverita e differenziata rispetto agli aspetti più tipici presenti per esempio in Italia settentrionale.

Inoltre nei SIC, sia in corrispondenza dei substrati argilloso-calcarei o arenacei che delle alluvioni ciottolose, uno degli stadi seriali più distanti da quello forestale maturo è rappresentato dai pratelli a netta dominanza di terofite, favoriti dal substrato ad elevata aridità (determinismo edafico). Si tratta di cenosi ampiamente distribuite nell’area mediterranea, che si rarefanno estremamente passando in zone interne preappeniniche dove rappresentano aspetti edafo-xerofili. La distribuzione dei pratelli terofitici non è ancora sufficientemente nota nell’Italia peninsulare; essi, nonostante abbiano scarsa incidenza sul paesaggio vegetale del Viterbese, assumono particolare significato nelle serie edafofile calcicole del piano bioclimatico collinare (per es. aree travertinose) e in quelle climatofile del piano mesomediterraneo. Queste comunità a dominanza di Trifolium scabrum e Hypochoeris achyrophorus risultano abbastanza ben rappresentate nel SIC, anche se sempre in forma di lembi di limitate estensione spesso in mosaico anche stretto con altre tipologie.

49 Sono inoltre per lo più ben conservate, come dimostrato dall’elevata ricchezza floristica. In alcuni casi tuttavia, per disturbo antropico soprattutto in prossimità di sentieri, strade o rimboschimenti e altrove per leggera pressione da pascolo ovino, la composizione floristica tipica risulta alterata, essendo arricchita in specie sinantropiche quali Sherardia arvensis, Bromus sterilis, Trifolium stellatum.

50 4. FAUNA

4.1. INQUADRAMENTO GENERALE

Nel presente rapporto sono proposti i risultati ottenuti dalle indagini di campo, oltre che dalla raccolta di informazioni bibliografiche e documentali sulle specie faunistiche di interesse presenti nei 5 siti di importanza comunitaria presenti nel comprensorio di Monte Rufeno (Acquapendente).

Nei 5 siti presi in esame e nel territorio strettamente contermine risultano segnalate 22 specie di interesse: − 1 Artropode Crostaceo: il Gambero di fiume italiano Austropotamobius pallipes − 2 Pesci: il Barbo Barbus plebejus ed il Cavedano (o Cavedano dell’Ombrone) Leuciscus sp. − 3 Anfibi: la Salamandrina dagli occhiali Salamandrina terdigitata, il Tritone crestato italiano Triturus carnifex e l’Ululone dal ventre giallo Bombina pachypus − 3 Rettili: la Testuggine comune Testudo hermanni, la Testuggine palustre europea Emys orbicularis e il Cervone Elaphe quatuorlineata − 11 Uccelli: l’Airone bianco maggiore Egretta alba, l’Albanella reale Circus cyaneus, il Biancone Circaetus gallicus, il Corriere piccolo Charadrius dubius, la Garzetta Egretta garzetta, la Magnanina Sylvia undata, il Martin pescatore Alcedo atthis, il Nibbio bruno Milvus migrans, la Nitticora Nycticorax nycticorax, il Pecchiaiolo Pernis apivorus, il Succiacapre Caprimulgus europaeus e la Tottavilla Lullula arborea − 2 Mammiferi: il Lupo Canis lupus e la Lontra Lutra lutra.

Di alcune specie tuttavia (Ululone dal ventre giallo, Testuggine comune, Magnanina e Lupo) esistono solo segnalazioni piuttosto datate e la presenza attuale nel comprensorio resta da accertare, in quanto non riconfermata dalle indagini effettuate. Inoltre dall’analisi della carta della distribuzione della fauna risulta abbastanza evidente una distribuzione piuttosto frammentata e discontinua di alcune specie. Esistono poche segnalazioni nelle porzioni più meridionali e in quelle più settentrionali della Riserva, come sulla confluenza del Torrente Fossatello col Fiume Paglia e nel Bosco del Sasseto.

Infine, nel corso delle indagini, è stata rilevata la presenza di ulteriori specie di interesse comunitario tra artropodi, anfibi e pesci.

51 4.2. METODOLOGIA DI ANALISI

4.2.1. Rilevamenti

Per quanto riguarda i metodi di rilevamento utilizzati, si rinvia alla premessa metodologica relativa ai singoli gruppi.

4.2.2. Cartografia

E’ stata prodotta una cartografia GIS in scala 1:10.000 relativa alle segnalazioni ed alle stazioni di presenza delle specie faunistiche di interesse comunitario e conservazionistico (Tavola 3). Sono state riportate informazioni sulle stazioni di presenza relative ai seguenti gruppi faunistici: Pesci, Anfibi, Rettili, Uccelli, Mammiferi (Carnivori e Chirotteri). Per quanto riguarda gli Anfibi ed i Rettili, sono state riportate anche le segnalazioni di presenza disponibili per l’area di studio e non derivanti dalle indagini di campo effettuate per il presente studio.

4.2.3. Bibliografia

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67 4.3. ARTROPODOFAUNA

4.3.1. Gambero di fiume (Austropotamobius pallipes)

Caratteristiche della specie e distribuzione nell’areale Dal punto di vista morfologico A. pallipes si distingue da A. torrentium, entrambi presenti in Europa, in quanto il primo possiede una serie di spine dietro il solco cervicale, assenti nel secondo che presenta, invece, la parte ventrale dell’esopodite antennale con margine denticolato, inoltre A. torrentium è generalmente più piccolo (Laurent, 1988; Albrecht, 1982). Mentre è possibile, in genere, distinguere A. pallipes italicus da A. pallipes pallipes, le due sottospecie presenti in Italia, per il rostro, che nel primo ha una lunghezza pari ad un terzo della sua lunghezza totale, mentre nel secondo è pari ad un quinto, e la forma dei gonopodi che in A. pallipes pallipes hanno punta simmetrica e sono dotati di un tallone moderatamente sviluppato, in A. p. italicus sono asimmetrici e con tallone più sviluppato (Albrecht, 1982). La necessità di attuare una strategia di tutela per il gambero di fiume (Austropotamobius pallipes), deriva dal suo status di “specie vulnerabile” come definito dall’IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) e per questo inserita nell’Invertebrate Red Data Book. E’ una specie molto importante, sia per il suo ruolo economico, che per il suo ruolo di indicatore biologico della qualità delle acque: la sua presenza indica, infatti, uno stato di buona salute dei corsi d’acqua. Il genere Austropotamobius si estende in Europa occidentale (Francia, Isole britanniche) e centromeridionale (Penisola Balcanica, Italia, Austria, Germania meridionale, Svizzera). A. torrentium è distribuito in Germania centromeridionale e Paesi Danubiani fino in Albania, Macedonia e Grecia settentrionale. In Svizzera è presente una zona di parapatria tra A. pallipes e A. torrentium (Buttiger, 1981; Albrecht, 1982). A.pallipes è presente in Europa occidentale, in particolare nelle Isole Britanniche, esclusa la Scozia, in Francia, in Germania sud occidentale, in Dalmazia, in Austria (Corinzia), in Slovenia occidentale ed in Italia, presente con le due sottospecie A. pallipes pallipes e A. pallipes italicus. In Spagna è presente la sottospecie A. pallipes lusitanicus (Laurent, 1988). Bisogna comunque notare che l’odierna distribuzione degli Astacidi è stata anche influenzata dall’uomo che fin dal XVI sec. (Albrecht, 1983), per scopi commerciali, ha introdotto popolazioni in luoghi dove non sarebbero mai arrivate, come avvenuto in Corsica dove si è avuta una introduzione di A. pallipes in tempi relativamente recenti (Arrignon 1991; Attard e Vianet, 1985) o le popolazioni portoghesi di A. pallipes lusitanicus.

Distribuzione e stato di conservazione in Italia In Italia A. pallipes è presente con le due sottospecie: A. pallipes pallipes e A. pallipes italicus. L’areale di A. pallipes pallipes si estende nell’Italia nord occidentale (Piemonte e Liguria occidentale), mentre A.pallipes italicus è presente nell’Italia peninsulare dalle Prealpi alla Calabria settentrionale.

68 Gli studi condotti sulla specie Austropotamobius pallipes in Italia (Iaconelli, 1996; Nascetti et al., 1997) hanno mostrato che lo stato di conservazione della specie “non è soddisfacente”. L’inquinamento agricolo, industriale ed urbano dovuto all’antropizzazione, infatti, ma anche altri eventi quali la spinta frammentazione degli habitat, il bracconaggio, l’introduzione per motivi economici di competitori alloctoni che sono stati in passato anche vettori di malattie, hanno purtroppo portato ad una drastica riduzione dell’areale di questa specie e la scomparsa locale di numerose popolazioni. Tutto ciò ha provocato, inoltre, una preoccupante diminuzione della variabilità genetica delle popolazioni naturali di gambero sopravvissute, che presentano valori prossimi allo zero (Nascetti et al., 1997).

Distribuzione e stato di conservazione nel Lazio Il panorama mostrato per la distribuzione del gambero di fiume in Italia risulta essere perfettamente calzante anche per quanto riguarda il Lazio. Lo stato di conservazione risulta essere “non soddisfacente”: Sono infatti poche le popolazioni di gambero sopravvissute, isolate con variabilità genetica del tutto assente. La presenza della specie è stata segnalata soltanto in pochi siti, nelle province di Rieti, Roma e Viterbo. In particolare nella Provincia di Viterbo è presente nel territorio della Riserva Naturale Selva del Lamone (Farnese), nella zona dei (Viterbo), nella zona dei Calanchi di Civita di Bagnoregio e nel territorio del Comune di Acquapendente.

Distribuzione e stato di conservazione nel sito Studi sulla consistenza e sulla genetica sono stati condotti sulla popolazione naturale di gambero di fiume del Fosso del Riso (Venanzi, tesi di laurea 2002). Sono stati effettuati censimenti con il metodo della cattura-marcaggio-ricattura. Il valore ottenuto con l’applicazione della formula di Chapman, per la stima della dimensione della popolazione, ha mostrato che la popolazione studiata nel Fosso del Riso, affluente del Torrente Subissone, è costituita da poche centinaia di individui (200-300). Naturalmente questa stima ha potuto individuare solo l’ordine di grandezza della popolazione, non il numero effettivo. I censimenti effettuati con metodi indiretti, infatti, forniscono dati approssimati di densità delle popolazioni animali, che risentono dell’influenza di diverse variabili che intervengono nel corso di un ciclo annuale o di intervalli di tempo più ampi. Nonostante questa popolazione si possa considerare “abbondante”, data l’esigua lunghezza del corso d’acqua preso in esame, è da prendere in considerazione il fatto che risulta essere l’unica popolazione residua in tutto il bacino idrografico comprendente il Fosso del Riso. Le analisi genetiche hanno mostrato inoltre l’assenza completa di variabilità genetica. I bassi livelli di variabilità genetica, sebbene siano una caratteristica tipica di tutti i crostacei decapodi specialisti (Nevo, 1978; Nevo et al., 1984), nel gambero di fiume appaiono molto evidenti. La drastica riduzione demografica delle popolazioni italiane ed europee del gambero di fiume, dovuta all’alterazione e frammentazione del loro habitat, ha determinato un progressivo isolamento delle popolazioni, con una conseguente riduzione del flusso genico

69 ed un forte aumento dell’inbreeding. Conseguenza di questi fenomeni è stata la diminuzione del grado di polimorfismo e quindi della variabilità genetica, che rende le popolazioni vulnerabili ed incapaci di adattarsi alle variazioni ambientali. Per tutte queste considerazioni è possibile concludere che la popolazione del Fosso del Riso è da considerarsi “minacciata”.

4.4. ITTIOFAUNA

4.4.1. Premessa metodologica

Il tratto del Fiume Paglia compreso nel SIC presenta caratteristiche di buona diversità ambientale, con anse e irregolarità morfologiche dell’alveo, per la presenza di raschi, buche e zone di sedimentazione adiacenti alle buche stesse e di isolotti nell’alveo, e può essere considerato come zona dei Ciprinidi a deposizione litofila. Le acque sono piuttosto limpide, soggette però a torbide di breve durata, con corrente veloce alternata a zone dove l’acqua rallenta e la profondità è maggiore; il fondo è costituito in prevalenza da ciottoli e ghiaia, ma sono anche presenti massi e limitate aree sabbiose in alcune zone laterali. Le stazioni per i campionamenti dell’ittiofauna sono state individuate durante dei sopralluoghi condotti il 30 dicembre 2003 e il 5 gennaio 2004 insieme al personale della Riserva. I siti di campionamento sono stati scelti in modo da rappresentare le diverse tipologie ambientali e in relazione alla presenza di possibili elementi di disturbo. Le stazioni, evidenziabili nella cartografia allegata, sono di seguito riportate: • Stazione 1 Fiume Paglia, località “Le chiusarelle”, nei pressi di Ponte Gregoriano • Stazione 2 Fiume Paglia, tratto in prossimità di una porcilaia e della confluenza del Fosso Subissone • Stazione 3 Fiume Paglia, tratto in corrispondenza dei resti di un ponte • Stazione Fosso Subissone, tratto compreso tra la seconda briglia (a monte della prima briglia in corrispondenza del guado sul fosso), fino alla confluenza con il Fiume Paglia • Stazione Fosso Stridolone, in prossimità della confluenza con il Fiume Paglia. E’ un tratto che ha caratteristiche di transizione tra la zona della Trota e quella dei Ciprinidi a deposizione litofila. Il fondo è per la maggior parte ciottoloso e in alcuni punti presenta anche grossi sassi, ghiaia e sabbia; assenza di macrofite acquatiche.

Il Fosso del Riso non è risultato idoneo per la vita dei pesci, in quanto di portata scarsa, non costante e caratterizzato da numerose discontinuità naturali dell’alveo. Tali motivi ci hanno indotto a non effettuare campionamenti sulla fauna ittica. Per la elevata qualità ambientale del Fosso Stridolone e a seguito di alcune segnalazioni sulla probabile presenza di specie ittiche d’interesse da parte di pescatori e del personale della Riserva, abbiamo ritenuto importante effettuare

70 un campionamento anche su questo corso d’acqua, anche se esterno al SIC. I campionamenti sono stati condotti il 30 aprile e 10 maggio 2004, utilizzando un elettrostorditore ad impulso e dei coppi. In ciascuna stazione sono stati percorsi circa 200 metri del corso d’acqua; i pesci catturati sono stati identificati, misurati e pesati e poi rilasciati nello stessa zona in cui erano stati raccolti. Durante i campionamenti sono state rilevate 9 specie di Teleostei (Tab. 4.4.1), la maggior parte appartenenti alla famiglia dei Ciprinidi.

Tabella 4.4.1: elenco delle specie rilevate nel SIC e origine nel bacino Barbo (Barbus plebejus) Ciprinidi indigena Cavedano (Leuciscus cephalus) Ciprinidi indigena Vairone (Leuciscus souffia muticellus) Ciprinidi indigena Rovella (Rutilus rubilio) Ciprinidi indigena Lasca (Chondrostoma genei) Ciprinidi introdotta Carpa (Cyprinus carpio) Ciprinidi introdotta in tempi remoti Cobite (Cobitis taenia bilineata) Cobitidi indigena Ghiozzo di ruscello (Gobius nigricans) Gobidi indigena Pseudorasbora (Pseudorasbora parva) Ciprinidi introdotta

In riferimento alle specie riportate nella Scheda Natura 2000, è stata confermata la presenza del Barbo (Barbus plebejus), mentre per i risultati sugli esemplari di “Cavedano” presenti sia nel Medio corso del Fiume Paglia che nel Fosso Stridolone e sulla loro posizione sistematica si rimanda al punto 4.4.3. Le altre specie ittiche di interesse comunitario rilevate nel SIC e riportate in tabella non sono inserite nella Scheda Natura 2000, ma se ne tratterà comunque nel presente capitolo. Si allegano le foto riguardanti le stazioni di rilevamento nel bacino del F. Paglia e del Fosso dell’Acquachiara.

4.4.2. Barbo (Barbus plebejus)

Caratteristiche della specie, distribuzione nell’areale e stato di conservazione in Italia L’areale di distribuzione del Barbo interessa tutta la Regione Padana (compresa la Dalmazia) e la maggior parte dell’Italia peninsulare. E’ una specie con discreta valenza ecologica tipica della zona dei Ciprinidi a deposizione litofila, che predilige tratti con acque ben ossigenate, corrente vivace, acque limpide e fondo ghiaioso che rappresenta il substrato per la deposizione dei gameti. E’ un pesce gregario con abitudine bentoniche; si nutre soprattutto di macroinvertebrati e occasionalmente anche di macrofite. La maturità sessuale viene raggiunta a 2-3 anni nei maschi, mentre a 4-5 anni nelle femmine; non c’è un evidente dimorfismo sessuale. Il periodo riproduttivo va da aprile a luglio, quando la temperatura dell’acqua raggiunge 16-17 °C e durante questo periodo i Barbi risalgono i corsi d’acqua, anche di piccoli affluenti, alla ricerca di fondali idonei per la riproduzione.

71

SIC IT6010001 Medio corso del Fiume Paglia

1

2

Figure 1 e 2: Stazione 1 sul Fiume Paglia in località “Le chiusarelle”

72 3

4

Figure 3 e 4: Stazione 2 sul Fiume Paglia nei pressi della porcilaia e della confluenza del Fosso Subissone

73 5

5

6

Figure 5 e 6: Stazione 3 sul Fiume Paglia

74 7

7

Figure 7 e 8: Fosso Subissone, tratto a valle della seconda briglia (Fig. 7) e tratto in prossimità della confluenza con il 8 Fiume Paglia (Fig. 8)

75 9

9

10 Figure 9 e 10: Fosso del Riso

76 11

Figure 11 e 12: Fosso Stridolone, tratto in prossimità della confluenza con il Fiume Paglia (Fig. 11) e confluenza con il 12 Fiume Paglia (Fig. 12)

77 13

14

Figure 13 e 14: campionamento con elettrostorditore nella Stazione 1 sul Fiume Paglia

78 15

15

16

16

Figure 15 e 16: campionamento con elettrostorditore nella Stazione 3 sul Fiume Paglia

79 17

18

Figura 17 e 18: esemplari di Barbo (17) e Cavedano (18) catturati nella Stazione 1 sul Fiume Paglia

Fiume Paglia stazione 1

11% cavedano 8% barbo 2% rovella cobite 8% ghiozzo di ruscello

71%

Figura 19: percentuale numerica delle specie ittiche catturate nella Stazione 1 del Fiume Paglia

80 Fiume Paglia stazione 2

6% 1% 8% cavedano barbo rovella 7% lasca 42% vairone ghiozzo di ruscello pseudorasbora 11%

25%

Figura 20: percentuale numerica delle specie ittiche catturate nella Stazione 2 del Fiume Paglia

21

Figura 21: Speudorasbora catturata nella Stazione 2 sul Fiume Paglia

81 Fiume Paglia stazione 3

carpa lasca 2% 22% cavedano 39%

rovella barbo 35% 2%

Figura 22: percentuale numerica delle diverse specie ittiche catturate nella Stazione 3 del Fiume Paglia

82 23

Figura 23: esemplari di Cavedano catturati nel Fosso Stridolone

Fosso Stridolone

cavedano barbo 19% rovella vairone ghiozzo di ruscello lasca 5% 47% 3%

17%

9%

Figura 24: percentuale numerica delle diverse specie ittiche catturate nella Stazione sul Fosso Stridolone

83 25

Figura 25: esemplari 25giovani di Ciprinidi, probabilmente Vairone

26

Figura 26: briglia sul Fosso Subissone

84 27

28

Figure 27 e 28: esemplari di Ghiozzo di ruscello (foto di Roberto Antonini, dall’ Archivio della Riserva)

85 29

29

30

Figure 29 e 30: escavazione nella zona pianeggiante non molto lontana dal Fiume Paglia

86 SIC IT6010005 Fosso dell’Acqua Chiara

Figure 31 e 32: tratto a valle della briglia in corrispondenza del guado sul Fosso dell’Acqua Chiara; tipologia degli ambienti in cui è stata rilevata la presenza del Vairone

31 1

32 2

87

33

Figure 33 e 34: cascata dell’Acqua Chiara (Fig. 3) e tratto a valle della stessa (Fig. 4) 34

88 35

Figura 35: tratto in prossimità della seconda cascata, localizzata a monte di quella dell’Acqua Chiara

89

36

37

Figure 36 e 37: giovani esemplari di Vairone catturati nel Fosso dell’Acqua Chiara

90

38

39

40

Figure 38-40: esemplari adulti di Vairone catturati nel 15 Fosso dell’Acqua Chiara

91 E’ una specie che riesce a tollerare un basso livello di inquinamento dato da scarichi urbani, mentre risente particolarmente delle alterazioni degli alvei che compromettono le caratteristiche ambientali e soprattutto i substrati per la riproduzione, quali le canalizzazioni, i prelievi di ghiaia e i lavaggi di sabbia. Potrebbero essere questi i motivi che hanno portato in Italia alla forte contrazione numerica di alcune popolazioni e alla scomparsa di altre. Un altro importante aspetto da considerare è l’attività di ripopolamento che viene fatta per questa specie ittica poiché oggetto di pesca sportiva. Molto spesso i ripopolamenti vengono effettuati con materiale non proveniente dall’Italia ed in alcuni casi anche appartenente ad altre specie del genere Barbus. La variabilità fenotipica osservabile nelle popolazioni italiane è probabilmente aumentata negli ultimi 20-30 anni per fenomeni di ibridazione tra gli individui indigeni e alloctoni, compromettendo le caratteristiche genetiche delle popolazioni indigene (inquinamento genetico). In alcune aree del bacino del Po si assiste al declino del Barbo in relazione all’introduzione del Barbus barbus, una specie originaria dell’Europa centrale, più resistente al degrado degli ambienti acquatici. Barbus plebejus è citato negli Allegati II e V della Direttiva 92/43/CEE che lo riportano rispettivamente tra le “specie animali e vegetali d’interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione” e tra le specie animali e vegetali di interesse comunitario il cui prelievo nella natura e il cui sfruttamento potrebbero formare oggetto di misure di gestione. E’ anche indicato tra le specie protette nella Convenzione di Berna. Tra le categorie di minaccia della Lista rossa dei Pesci d’acqua dolce in Italia, il Barbo è considerato “a più basso rischio”.

Distribuzione e stato di conservazione nel SIC Il Barbo è risultato presente in tutte le stazioni sul Medio corso del Fiume Paglia e sul Fosso Stridolone (Figg. 17, 19, 20, 22 e 24). Sono stati catturati esemplari giovani, di taglia compresa tra 6 e 9 cm di lunghezza totale, ed individui adulti di taglia tra 13 e 26 cm. La stazione 2 è stata quella in cui il Barbo è risultato più abbondante (18 esemplari catturati, contro 5 e 1 esemplare rispettivamente nelle stazioni 1 e 3 sul Fiume Paglia e 9 individui sul Fosso Stridolone) (Fig. 20). Tutti gli individui presentavano la colorazione tipica del Barbus plebejus, con le caratteristiche puntinature grigie che cospargono il corpo nella regione latero-dorsale e le pinne (soprattutto quella dorsale e caudale) (Fig. 17); soltanto 3 esemplari catturati nella stazione 2 avevano una colorazione piuttosto omogenea, anche sulle pinne. E’ possibile considerare questi ultimi come Barbus plebejus in relazione al fatto che poteva trattarsi di adulti con un certo grado di variabilità nella colorazione; la caratteristica puntinatura è infatti generalmente più evidente nei giovani ed è possibile che in alcuni esemplari adulti possa non essere così marcata. Non è però escluso che una variabilità fenotipica possa essere anche dovuta ad un inquinamento genetico verificatosi in seguito a fenomeni di ibridazione tra esemplari indigeni e alloctoni, questi ultimi introdotti nel bacino con i ripopolamenti per la pesca sportiva. Questa specie è infatti oggetto di tale attività nel Medio corso del Fiume Paglia e nel Fosso Stridolone e ogni anno

92 vengono effettuati dei ripopolamenti per questo scopo. L’Amministrazione Provinciale di Viterbo ha previsto per il 2004 l’immissione di circa 5.500 Barbi di 3-5 cm di lunghezza, mentre nel 2003 sono stati rilasciati 7.000 esemplari. Dai risultati ottenuti con la pesca mediante elettrostorditore e per le caratteristiche dell’intero tratto del corso d’acqua esaminato, considerato come zona dei Ciprinidi a deposizione litofila in cui la specie tipica è proprio il Barbo, riteniamo che questa specie sia distribuita in tutto il tratto del Fiume Paglia in oggetto e nel Fosso Stridolone, anche se con popolazioni numericamente non molto consistenti. La presenza di giovani e di adulti in riproduzione indica che nella popolazione sono rappresentate varie classi di età e che è quindi ben strutturata, garantendone la capacità riproduttiva nel corso d’acqua.

4.4.3. Cavedano dell’Ombrone (Leuciscus lucumonis) e Cavedano (Leuciscus cephalus)

Note sul Cavedano dell’Ombrone Il Cavedano dell'Ombrone (Leuciscus lucumonis), segnalato nella scheda Natura 2000 per il SIC "Medio corso del Fiume Paglia", è un piccolo Ciprinide descritto nei primi anni ‘80 come specie endemica in un’area dell’Italia centrale tirrenica comprendente sistemi idrografici della Toscana, Umbria e alto Lazio, nei quali vive in simpatria con il Cavedano, Leuciscus cephalus. Le conoscenze sulla sua biologia sono scarse. I dati disponibili indicano che questa specie popola i corsi d’acqua di medie e piccole dimensioni, poco profondi, con corrente moderata e fondo sabbioso o ghiaioso. Sembra essere adattato alla vita in ambienti caratterizzati da forti escursioni stagionali di temperatura e di portata, presentando una maggiore adattabilità rispetto al Cavedano, con il quale spesso convive. Altre specie con le quali si trova associato almeno in parte nel proprio habitat sono la Rovella, l’Alborella e il Barbo. Da tempo si discute sulla validità sistematica di questa specie (Gandolfi et al., 1991; Zerunian, 2002). L’analisi dei dati a disposizione fa sorgere il dubbio che non si tratti di una nuova specie, ma che possa esserci una variabilità intraspecifica o essere il risultato di un processo di ibridazione tra L. cephalus e L. souffia o Rutilus rubilio. Gli elementi che separerebbero L. lucumonis da L. cephalus riguardano i valori di pochi caratteri morfometrici e quelli di alcuni caratteri meristici quali ad esempio: • numero delle scaglie lungo la linea laterale (38-43 e 41-48 rispettivamente) • numero delle branchiospine (6-9 su ciascun arco branchiale e 7-11 rispettivamente) • numero di raggi della pinna anale (7-8 e 7-10 rispettivamente) • numero di raggi della pina ventrale (6-8 e 7-9 rispettivamente)

93 Per tutti questi caratteri c’è una sovrapposizione parziale di valori, per cui nessuno risulta avere un valore diagnostico certo. La colorazione di L. lucumonis risulta lievemente diversa, essendo più scura; inoltre la taglia di L. lucumonis è decisamente inferiore a L. cephalus. Dati pubblicati recentemente, riguardanti aspetti biochimici e genetici di L. cephalus e L. lucumonis (Manaresi et al., 1997; Keitmaier et al., 1998), avvalorerebbero l'ipotesi della non esistenza di questa ultima specie. Per quanto riguarda il SIC interessato, i dati sulla fauna ittica prodotti in seguito alle indagini per il "Programma di realizzazione della fase conoscitiva della Carta Ittica Provinciale per i sottobacini del Fiume Paglia, Mignone e Marta”, Coop. GAIA, non indicano la presenza di questa specie, bensì riportano la presenza del Cavedano (L. cephalus). Dall’esame morfologico dei “Cavedani” catturati durante i campionamenti per il presente Piano di Gestione, è emerso che la maggior parte degli esemplari presentavano i caratteri morfologici del Cavedano (L. cephalus) (Figg. 18 e 23). Alcuni individui di maggiori dimensioni mostravano una colorazione giallastra, con le scaglie non contornate dalla caratteristica puntinatura che caratterizza il Cavedano (si discuterà di tale variabilità nel seguito). Considereremo quindi gli esemplari presenti nel SIC appartenenti alla specie Leuciscus cephalus. Per analizzare in dettaglio la popolazione di Cavedano nel Fiume Paglia e se questa presenti caratteristiche diverse dalle altre popolazioni italiane sarebbe necessario condurre uno studio mirato.

Caratteristiche del Cavedano, distribuzione nell’areale e stato di conservazione in Italia Il Cavedano è distribuito in quasi tutta l’Europa e parte del vicino Oriente. In Italia è uno dei pesci d’acqua dolce maggiormente diffusi, ed è indigeno nell’intera Regione Padana e in tutta quella Italico-peninsulare. Nel Lazio questa specie è ampiamente diffusa ed è presente nella maggior parte dei corsi d’acqua e dei bacini lacustri. E’ un pesce che vive nel tratto medio dei corsi d’acqua di maggiori dimensioni, dove spesso si trova associato ad altri Ciprinidi, quali il Barbo e la Lasca. Predilige acque limpide e a fondo ghiaioso, ma per la sua elevata resistenza ed adattabilità vive in una grande quantità di ambienti, anche nei laghi. E’ un pesce gregario ed è un opportunista alimentare, caratteristica questa che contribuisce al suo successo; la sua dieta è molto ampia e va da organismi acquatici, a materiale di origine vegetale e anche una componente terrestre rappresentata soprattutto da insetti alati, semi e frutti di piante. La maturità sessuale viene raggiunta in genere a 2-4 anni di età e il periodo riproduttivo va dalla seconda metà di maggio a tutto giugno, ma può protrarsi anche di molto in funzione del regime termico dell’habitat. Durante questo periodo, i maschi presentano tubercoli nuziali poco sviluppati diffusi sul capo e sul tronco. Le uova vengono deposte prevalentemente su fondali ghiaiosi e in acque basse. Il cavedano è una delle specie ittiche d’acqua dolce indigeni in Italia più tollerante ad alcuni tipi di alterazioni ambientali, quali l’inquinamento prodotto da scarichi urbani e le canalizzazioni, e per questo non è in diminuzione nell’areale

94 di distribuzione, anzi attualmente sembra avere una più ampia distribuzione rispetto al passato. E’ oggetto di pesca sportiva e vengono effettuati a tale scopo ripopolamenti di cavedani sia dalle amministrazioni provinciali che dalle associazioni di pescatori, ed è probabile che in molte popolazioni possa essersi verificato il fenomeno dell’inquinamento genetico, ovvero che ci siano oltre agli esemplari indigeni, anche una componente di individui di origine alloctona ed ibridi.

Distribuzione e stato di conservazione del Cavedano nel SIC Leuciscus cephalus è risultata la specie più diffusa e maggiormente presente sia come percentuale numerica (Figg. 19, 20, 22 e 24) che ponderale nel Medio corso del Fiume Paglia e nel Fosso Stridolone. I campionamenti hanno portato alla cattura di numerosi esemplari in tutte le stazioni, sia di giovani che di adulti sessualmente maturi. L’esame morfologico degli esemplari ha messo in evidenza una lieve variabilità morfologica per quanto riguarda un limitato numero di individui di taglia maggiore, i quali presentavano una colorazione giallastra, con le scaglie non contornate dalla caratteristica puntinatura che caratterizza il Cavedano. Come per il Barbo, anche per il Cavedano gli esemplari appartenenti alla stessa popolazione possono presentare una certa variabilità fenotipica. Differenze morfologiche potrebbero essere anche dovute ad inquinamento genetico verificatosi in seguito all’introduzione di individui alloctoni provenienti dai ripopolamenti per la pesca sportiva. Per tale attività, l’Amministrazione Provinciale di Viterbo ha previsto per il 2004 l’immissione di 16.000 Cavedani di 3-5 cm di lunghezza, mentre nel 2003 sono stati rilasciati 20.000 esemplari.

4.4.4. Rovella (Rutilus rubilio)

Caratteristiche della specie, distribuzione nell’areale e stato di conservazione in Italia La Rovella è endemica della Regione Italico-peninsulare ed è ampiamente diffusa nella penisola. E’ segnalata anche in Dalmazia, Albania e Grecia anche se è da verificare l’appartenenza allo stesso taxon delle popolazioni italiane. In seguito ad immissioni accidentali legate a ripopolamenti per la pesca sportiva, questa specie ittica è attualmente presente anche in alcuni corsi d’acqua dell’Appennino romagnolo e della Sicilia. La Rovella è una specie gregaria che vive in gruppi. Ha una discreta valenza ecologica ed è in grado di occupare gran parte del corso d’acqua, dalla zona dei Ciprinidi a deposizione litofila fino alla foce. Predilige però le acque con corrente moderata e poco profonde, con fondo ghiaioso o sabbioso e con modesta presenza di macrofite acquatiche. Si nutre principalmente di piccoli invertebrati, ha un accrescimento piuttosto rapido e la maturità sessuale è raggiunta in genere alla fine del primo anno. Il dimorfismo sessuale è evidente soltanto durante il periodo riproduttivo (nei mesi di aprile e maggio), quando i maschi presentano le pinne pari e anale di colore rosso più intenso e vistosi

95 tubercoli nuziali sul capo e a volte anche sulla regione dorso-laterale del corpo. Per la sua discreta valenza ecologica, questo Ciprinide riesce a tollerare modesti incrementi di eutrofizzazione dovuti ad inquinamento da scarichi urbani, mentre è più sensibile alle alterazione del proprio habitat. In genere tutti gli interventi sull’alveo, quali le canalizzazioni, il prelievi di inerti, ecc. producono effetti negativi su questa specie poiché compromettono il substrato riproduttivo con la conseguente diminuzione delle aree di frega. Per quanto riguarda lo stato di conservazione della Rovella in Italia, in alcuni bacini le popolazioni sono in forte contrazione numerica soprattutto in relazione a fenomeni di competizione che si sono originati in seguito all’introduzione e acclimatazione di specie alloctone, quali il Triotto (Rutilus erythrophthalmus). Un esempio in merito è il Lago di Bracciano, in cui la presenza del Triotto ha portato ad una forte rarefazione della popolazione autoctona di Rovella. In altri ambienti in cui questa specie è stata introdotta, ad esempio in Sicilia, si è diffusa ampiamente e costituisce in alcuni casi una delle specie ittiche dominanti. Rutilus rubilio è riportata nell’Allegato II della Direttiva 92/43/CEE tra le “specie animali e vegetali d’interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione”. E’ anche indicata nell’Allegato III della Convenzione di Berna. Tra le categorie di minaccia della Lista rossa dei Pesci d’acqua dolce in Italia, la Rovella viene considerata ”a più basso rischio”.

Distribuzione e stato di conservazione nel SIC La presenza di questa specie era stata segnalata in alcuni corsi d’acqua della Riserva da pescatori e dal personale della Riserva stessa ed è stata rinvenuta sul Fiume Paglia durante i campionamenti per una tesi di laurea ancora in corso. Le nostre indagini confermano la presenza della Rovella, la quale è stata rilevata in tutte le stazioni di campionamento nel Medio corso del Fiume Paglia e nel Fosso Stridolone, ed è risultata numericamente più abbondante in quest’ultimo e nella stazione 3 sul Fiume Paglia (Figg. 19, 20, 22 e 24). Sono stati catturati individui giovani (circa 6 cm) e adulti (12-13 cm), tra cui numerosi maschi maturi in livrea riproduttiva, con tubercoli nuziali e pinne rosse. In base ai dati ottenuti, possiamo asserire che la Rovella è distribuita in tutto il tratto del SIC e nel Fosso Stridolone con popolazioni ben strutturate e capaci di automantenersi.

4.4.5. Vairone (Leuciscus souffia muticellus)

Caratteristiche della specie, distribuzione nell’areale e stato di conservazione in Italia Il Vairone è un endemismo italiano ed ha un areale di distribuzione che comprende l’Italia settentrionale; è presente principalmente nelle regioni occidentali e centrali mentre tende a diminuire di frequenza verso est, e nelle regioni peninsulari fino alla Campania e al Molise. La sua distribuzione è però

96 frammentata, poiché questa specie è piuttosto sensibile ed è legata ad una buona qualità dei corsi d’acqua. E’ una specie gregaria che vive in acque correnti, limpide e ben ossigenate e con fondali ghiaiosi; è presente nel tratto medio-alto dei corsi d’acqua e va ad occupare prevalentemente la Zona dei Ciprinidi a deposizione litofila. E’ una specie sicuramente più esigente rispetto alla Rovella ed è legata ad una buona qualità del corso d’acqua. Ricerca il cibo prevalentemente sul fondo e la sua dieta è rappresentata per lo più da organismi macrobentonici. La maturità sessuale è raggiunta al secondo-terzo anno e il dimorfismo sessuale è evidente soltanto durante il periodo riproduttivo che va da aprile a luglio, quando i maschi mostrano una livrea più accesa, con riflessi violacei nella banda scura che percorre longitudinalmente i fianchi, le pinne pari ed anale di colore più intenso e il capo si ricopre di piccoli tubercoli nuziali. La deposizione dei gameti avviene in acque basse e correnti, su fondali ciottolosi e ghiaiosi. Il Vairone è una specie in diminuzione nell’areale di distribuzione, sia in relazione ad una contrazione numerica delle popolazioni che a causa di estinzioni locali. Le popolazioni di questa specie, esigente per quanto riguarda la qualità ambientale, sono consistenti nei corsi d’acqua non inquinati e che conservano idonee caratteristiche ambientali. Oltre alle varie forme di inquinamento, il Vairone è particolarmente sensibile ad alterazioni del proprio habitat, soprattutto per ciò che concerne i substrati per la riproduzione. Leuciscus souffia è riportato nell’Allegato II della Direttiva 92/43/CEE tra le “specie animali e vegetali d’interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione”. E’ anche indicato nell’Allegato III della Convenzione di Berna. Tra le categorie di minaccia della Lista rossa dei Pesci d’acqua dolce in Italia, il Vairone è considerato ”a più basso rischio”.

Distribuzione e stato di conservazione nel SIC La presenza del Vairone è stata rilevata nella stazione 2 del Medio corso del Fiume Paglia e nel Fosso Stridolone; il numero degli esemplari catturati è esiguo, rispettivamente 6 e 3 (Figg. 20 e 24). Alcuni esemplari di Ciprinidi, probabilmente di Vairone, lunghi pochi cm sono stati catturati sul Fosso Subissone a monte della briglia in corrispondenza del guado sul fosso (Fig. 25). Dai dati dei campionamenti sembrerebbe che la distribuzione di questa specie sia più localizzata rispetto alla Rovella, probabilmente in relazione alle sue maggiori esigenze ecologiche. Per le caratteristiche ambientali piuttosto uniformi lungo tutto il tratto del Fiume Paglia compreso nel SIC, non è però escluso che possa essere presente anche in altre zone.

4.4.6. Lasca (Chondrostoma genei)

Caratteristiche della specie, distribuzione nell’areale e stato di conservazione in Italia E’ una specie endemica in Italia ed è presente in Italia settentrionale e nel

97 versante adriatico di quella centrale, fino all’Abruzzo; nel versante tirrenico esistono delle popolazioni in Liguria, Toscana e Lazio che si sono originate in seguito all’introduzione di materiale alloctono con i ripopolamenti a favore della pesca sportiva. La Lasca vive nei tratti medio-alti dei corsi d’acqua con corrente vivace o moderata, acque limpide e fondo ghiaioso e nella zonazione di corsi d’acqua italiani è una delle specie tipiche della zona dei Ciprinidi a deposizione litofila. Tende a localizzarsi nelle zone dove l’acqua è più profonda; si nutre sul fondo e ha una dieta di tipo onnivoro che comprende sia invertebrati acquatici che materiale vegetale, in particolare alghe epilitiche. Il dimorfismo sessuale è evidente soltanto durante il periodo riproduttivo, in primavera, quando il maschio presenta le pinne pari ed anale di colore più acceso e piccoli tubercoli nuziali sia sulla testa che nella parte anteriore del corpo. La riproduzione e la deposizione dei gameti avviene in acque poco profonde, con corrente vivace e fondo ghiaioso.

Riguardo lo stato di conservazione in Italia, le popolazioni di Lasca sono quasi ovunque in contrazione. Questa specie ha stretta valenza ecologica ed è sensibile al degrado dei corsi d’acqua, sia per ciò che concerne la qualità delle acque che per le alterazioni degli alvei e dei substrati. La presenza di sbarramenti crea inoltre un ostacolo per il raggiungimento delle aree più idonee alla frega. In alcune regioni inoltre ha risentito negativamente dell’introduzione del Chondrostoma nasus, specie alloctona introdotta con la quale è entrata in competizione.

Chondrostoma genei è riportata nell’Allegato II della Direttiva 92/43/CEE tra le “specie animali e vegetali d’interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione”. E’ anche indicato nell’Allegato III della Convenzione di Berna. Tra le categorie di minaccia della Lista rossa dei Pesci d’acqua dolce in Italia, il Vairone è considerato ”vulnerabile”.

Distribuzione e stato di conservazione nel SIC Durante i campionamenti per il presente Piano di gestione sono stati catturati numerosi esemplari di Lasca in tutte le stazioni, ad eccezione della stazione 1 (Figg. 20, 22 e 24). La stazione sul Fosso Stridolone è stata quella in cui la presenza di questa specie è risultata numericamente maggiore; sono stati osservati giovani e individui adulti, molti caratterizzati da livrea riproduttiva. Sebbene sia una specie di interesse comunitario, la Lasca non è originaria nel bacino del Fiume Paglia. Poiché si è ben adattata, riproducendosi naturalmente e raggiungendo una buona consistenza numerica e rappresentando una delle specie dominanti in alcuni tratti del Medio corso del Fiume Paglia e nel Fosso Stridolone, e non avendo evidenziato elementi di disturbo, non si ritiene di dover mettere in atto misure di conservazione nel territorio del SIC.

98 4.4.7. Cobite (Cobitis taenia bilineata)

Caratteristiche della specie, distribuzione nell’areale e stato di conservazione in Italia E’ una sottospecie endemica in Italia. L’areale di distribuzione comprende tutte le regioni settentrionali e parte di quelle centrali; nel versante adriatico è presente fino alle Marche, mentre in quello tirrenico fino alla Campania. In Abruzzo, Basilicata, Calabria e Sardegna esistono popolazioni originatesi da materiale alloctono ed in alcuni bacini hanno raggiunto una elevata consistenza numerica (ad esempio nei laghi della Sila). E’ probabile che anche alcune popolazioni lacustri dell’Italia centrale abbiano avuto origine da materiale alloctono. Il Cobite è strettamente legato alle acque dolci, ha una discreta valenza ecologica ed è in grado di occupare vari tratti del corso d’acqua dalla zona dei Ciprinidi a deposizione litofila a quella dei Ciprinidi a deposizione fitofila. Predilige le acque limpide e i tratti dove la corrente è meno veloce e il fondo è sabbioso o fangoso, con una moderata presenza di macrofite in cui trova rifugio e nutrimento. Vive anche nelle risorgive e nella fascia litorale di laghi. E’ un pesce di piccola taglia che si nutre sul fondo e la sua dieta è principalmente costituita da larve di Chironomidi, microorganismi e frammenti di origine vegetale, materiale che filtra a livello della camera branchiale dai sedimenti che aspira con la bocca; è attivo principalmente di notte mentre di giorno trascorre la maggior parte del tempo infossato nella sabbia o nel fango, lasciando fuoriuscire solo la testa. Presenta degli adattamenti morfologico- fisiologici, quali una elevata superficie branchiale e la possibilità di svolgere una respirazione di tipo intestinale, che gli permettono di sopravvivere anche in acque povere di ossigeno.

La maturità sessuale è raggiunta al 1° o al 2° anno di età ed è presente un dimorfismo sessuale che riguarda essenzialmente la forma delle pinne pettorali che nei maschi sono più lunghe, strette e appuntite rispetto alle femmine; nei maschi è inoltre presente una struttura ossea laminare alla base della pinna pettorale (“paletta di Canestrini”) che nelle femmine è solo presente eccezionalmente. Il periodo riproduttivo va da aprile a giugno, o da maggio a giugno in relazione alla temperatura dell’acqua. La deposizione dei gameti è preceduta da comportamenti sessuali che culminano con l’attorcigliamento del maschio intorno al corpo della femmina. Questa specie, grazie alla sua discreta valenza ecologica. È in grado di tollerare modeste compromissioni della qualità delle acque, come quella provocata dall’inquinamento prodotto da scarichi urbani; risente negativamente dell’inquinamento chimico, ad esempio da pesticidi. È inoltre minacciato dalle alterazioni degli habitat. Cobitis taenia bilineata è riportata nell’Allegato II della Direttiva 92/43/CEE tra le “specie animali e vegetali d’interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione”. E’ anche indicata tra le specie protette nella Convenzione di Berna. Tra le categorie di minaccia della

99 Lista rossa dei Pesci d’acqua dolce in Italia, il Cobite è considerato ”a più basso rischio”.

Distribuzione e stato di conservazione nel SIC Il Cobite, mai rilevato prima nel SIC, è stato rinvenuto soltanto nella stazione 1 del Medio corso del Fiume Paglia, in un tratto con fondo sabbioso e fangoso. Sono stati catturati 5 esemplari di 6 cm di lunghezza totale, ma ne sono stati avvistati in acqua un numero maggiore (Fig. 19). Per la sua discreta valenza ecologica, è possibile ipotizzare la sua presenza anche in altri tratti del corso d’acqua, limitatamente a zone con moderata corrente e fondo costituito da sabbia e fango, che rappresentano l’habitat preferito da questa specie. Non sono state evidenziate potenziali minacce per questa specie. Per la tutela del Cobite, molto importante è la conservazione degli habitat, in particolare del tipo di substrato.

4.4.8. Ghiozzo di ruscello (Gobius nigricans)

Caratteristiche della specie, distribuzione nell’areale e stato di conservazione in Italia Il Ghiozzo di ruscello è endemico dei bacini idrografici del versante tirrenico della Toscana, Lazio e Umbria. Il limite di distribuzione a nord è rappresentato dal Fiume Serchio, mentre a sud dal Fiume Amaseno. Nella maggior parte dell’areale le popolazioni risultano fortemente localizzate in seguito a estinzioni locali verificatesi a causa di alterazioni degli habitat; solo nella parte alta del bacino del Tevere è ancora presente con una certa continuità. E’ un pesce di piccola taglia, bentonica, che vive nei corsi d’acqua di piccola e media portata, caratterizzati da acque limpide e ben ossigenate e da substrati con ciottoli o sassi che utilizza come riparo e per la deposizione delle uova. I giovani occupano principalmente le aree ripariali dove l’acqua è poco profonda e la corrente è moderata, mentre gli adulti preferiscono aree dove la corrente è più vivace. Si nutre di piccoli invertebrati bentonici, come larve di insetti, crostacei e oligocheti. La maturità sessuale viene raggiunta al primo anno di età, alla lunghezza di 4-5 cm. Il dimorfismo sessuale riguarda la taglia che è più grande nel maschio, la papilla genitale che è corta e tondeggiante nella femmina, mentre è allungata e conica nel maschio, le dimensioni della testa (più grande e larga nel maschio) e la livrea nel periodo riproduttivo quando il maschio assume una colorazione più scura, tendente al marrone-bruno. La riproduzione ha luogo nei mesi di maggio e giugno. Le abitudini comportamentali e riproduttive di questa specie sono piuttosto curiose: il maschio mostra un territorialismo molto spiccato, difendendo il riparo e l’area circostante con segnali di minaccia sia visivi che sonori; segnali acustici e visivi vengono utilizzati anche per corteggiare la femmina, che viene attirata nel riparo, generalmente una pietra appiattita, sulla volta della quale entrambi depongono i gameti e le uova fecondate si

100 sviluppano. E’ una specie che necessita di una buona qualità dell’acqua e più in generale dell’ambiente e risente particolarmente delle artificializzazioni degli alvei. Anche i prelievi idrici e l’inquinamento delle acque rappresentano degli elementi di disturbo. In alcuni ambienti questa specie risulta minacciata dalla presenza di un altro Gobide, il Ghiozzo padano (Padogobius martensii), introdotto accidentalmente in Italia centrale durante ripopolamenti di Ciprinidi effettuati per la pesca sportiva. Gobius nigricans è riportato nell’Allegato II della Direttiva 92/43/CEE tra le “specie animali e vegetali d’interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione”. E’ anche indicato tra le specie protette nella Convenzione di Berna. Tra le categorie di minaccia della Lista rossa dei Pesci d’acqua dolce in Italia, il Ghiozzo di ruscello è considerato ”in pericolo”.

Distribuzione e stato di conservazione nel SIC Prima delle nostre indagini, gli unici dati disponibili sulla presenza di Gobidi nel medio corso del Fiume Paglia e in alcuni fossi immissari si riferivano ad alcune segnalazioni di pescatori sportivi e del personale della Riserva e osservazioni sulla presenza di ovature tipiche di ghiozzi osservate sotto i sassi nel tratto del Fiume Paglia in prossimità del Ponte Gregoriano. Prove più certe sulla presenza del Ghiozzo di ruscello sono emerse invece dall’analisi del materiale fotografico di archivio della Riserva che raffigura esemplari di questa specie nei Fossi Stridolone e Subissone (Figg. 27 e 28), e da recenti ricerche condotte nell’ambito di una tesi di laurea ancora i corso.

Durante i campionamenti nelle Stazioni 1 e 2 del Medio corso del Fiume Paglia sono stati rinvenuti rispettivamente 7 e 4 esemplari di Ghiozzo di ruscello (Figg. 19 e 20). Alcuni individui sono stati catturati anche in alcuni immissari, quali i Fossi Subissone e Stridolone (quest’ultimo non compreso nel SIC) (Fig. 24); nel primo corso d’acqua è stata catturata con il coppo una femmina in riproduzione a monte della briglia in corrispondenza del guado sul fosso e 3 individui a valle, prima della confluenza con il Fiume Paglia, mentre sul Fosso Stridolone sono stati catturati 5 esemplari con l’elettrostorditore. L’unico sito di campionamento in cui non è stata rilevata la presenza di questa specie è la stazione 3, in relazione probabilmente alle condizioni di piena del fiume e alle difficoltà nel campionamento. Per le caratteristiche di elevata naturalità di questa parte del corso d’acqua, la presenza di substrati idonei per le esigenze di queste specie e l’assenza di impatto antropico e di elementi di disturbo, quali discontinuità dell’alveo che avrebbero potuto limitare la sua distribuzione, consideriamo il Ghiozzo di ruscello presente anche in questo tratto.

La cattura (seguita da rilascio) di esemplari giovani e di adulti in riproduzione e l’osservazione di numerose ovature sotto i sassi con uova in sviluppo embrionale indicano che il Ghiozzo di ruscello è distribuito ampiamente nel SIC e nel Fosso Stridolone e che le popolazioni sono in un buono stato di conservazione e in grado di mantenere la capacità riproduttiva della

101 popolazione. Per le numerose discontinuità sul Fosso Subissone, l’esemplare rinvenuto nel tratto a monte della briglia potrebbe far parte di una piccola popolazione isolata; la presenza del Ghiozzo di ruscello è invece maggiore nel tratto in prossimità della confluenza con il Fiume Paglia e gli esemplari catturati fanno sicuramente parte della stessa popolazione presente in questo corso d’acqua. I dati presenti in letteratura riportano che questa specie è attualmente distribuita con continuità solo nella parte alta del bacino del Tevere, mentre in quasi tutto l’areale di distribuzione le popolazioni sono in forte contrazione e risultano alquanto localizzate a causa di estinzioni locali verificatesi nel corso degli anni. I nostri dati sulla presenza ed ampia distribuzione del Ghiozzo di ruscello nel SIC Medio corso del Fiume Paglia e in altri corsi minori del territorio della Riserva assumono quindi maggiore rilevanza se inquadrati in questo contesto generale e supportano ampiamente le auspicabili attività volte alla tutela di questa specie nel SIC, attività che devono essere volte essenzialmente al mantenimento della naturalità dei corsi d’acqua e al controllo dell’inquinamento.

4.5. ERPETOFAUNA

4.5.1. Premessa metodologica

La presenza degli Anfibi e dei Rettili all’interno del SIC è stata rilevata utilizzando tre tipologie diverse di indagine: • è stata consultata la bibliografia disponibile inerente alla specie e il database erpetologico del Lazio coordinato dal Prof. Marco A. Bologna (Laboratorio di Zoologia, Dipartimento di Biologia Università di Roma Tre); • sono state condotte interviste al personale guardiaparco della riserva "Monte Rufeno"; • sono stati effettuati campionamenti diretti sul campo finalizzati al rilevamento delle specie.

Dopo un'attenta osservazione della cartografia, in considerazione delle conoscenze sulla biologia delle specie e dell’esperienza sul territorio dei guardiaparco, sono stati effettuate due sessioni di campionamento nei mesi di Marzo e Maggio nelle aree potenzialmente idonee ad ospitare le specie. In particolare sono state sottoposte ad indagine erpetofaunistica: • i corpi idrici a facies lotica quali i fossi “Del Gambero”, “Tirolle”, “Acquachiara” e “Sorgente delle Lame”, • i corpi idrici a facies lentica quali i fontanili “Vitabbieti”, “Campo del prete” e “S. Vittorio” (questi ultimi due siti in un’area limitrofa alla ZPS) • stagni (trosce), fontanili, pozze nei pressi di ruscelli ed altre raccolte d’acqua nel bacino del Fiume Fiora; “pozza Ottonia”, “pozza Fossatello”, “troscia del porcino”, pozza non meglio identificata, prima dell’area faunistica;

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Pozza Hottonia. Tipologia di corpo idrico a carattere fortemente astatico in bosco misto caducifoglio, ideale per le attività di foraggiamento e basking della Emys orbicularis. Sono presenti cospicue popolazioni di Triturus carnifex e Triturus vulgaris. Questa troscia in particolare è un ambiente a rischio in quanto sta evolvendo piuttosto rapidamente verso l’interramento a causa del progredire di Carex a scapito inoltre della popolazione di Hottonia palustris.

103

Troscia in bosco caducifoglio. Tipologia di corpo idrico in bosco misto caducifoglio con copertura della vegetazione abbondante. E’ colonizzata da Emys orbicularis, in particolare per l’attività di foraggiamento. Sono presenti anche le due specie di Tritoni crestato e punteggiato. E’ minacciata dalla frequentazione da parte degli ungulati selvatici (cinghiale e capriolo) che costituiscono un disturbo soprattutto per la testuggine palustre europea.

104 • ambienti misti (bosco e prati pascoli).

All’interno dei corpi idrici sono stati campionati a vista la vegetazione e gli altri supporti utilizzati dagli animali per la ovodeposizione ed è stato utilizzato un retino da gamberi per la cattura degli gli adulti e delle larve, che sono state determinate ed immediatamente rilasciate.

4.5.2. Salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata)

Caratteristiche e distribuzione generale Salamandrina terdigitata è una specie endemica dell’Appennino appartenente ad un genere monotipico (Vanni & Nistri, 1997). Rispetto ad altri Salamandridi, la salamandrina dagli occhiali ha un aspetto gracile con capo ben distinto dal tronco, arti esili che, a sviluppo definitivo, presentano quattro dita su tutte le zampe. Le dimensioni degli individui adulti, maturi sessualmente, variano in un intervallo tra 60 a 111 mm compresa la coda (Vanni & Lanza 1978). La colorazione appare uniformemente bruno-nerastra sul dorso. A livello del capo vi è una macchia interoculare biancastra-giallo ocra dalla forma che ricorda grossolanamente quella di un paio di occhiali. L’addome è variamente ed irregolarmente pigmentato con alternanza di screziature rosse e macchie nere su uno sfondo biancastro. La superficie della cute è finemente e uniformemente granulosa e il rilevamento di costole e vertebre rende tale animale in apparenza fortemente disidratato (Lanza, 1983).

Habitat elettivi sono principalmente valli ombrose, fresche e umide sebbene viva anche in ambienti aperti e fortemente antropizzati quali parchi o terreni coltivati; non mancano segnalazioni occasionali in grotta. Slamandrina terdigitata è una specie decisamente terricola che si reca in acqua solo nel periodo della deposizione. Di abitudini notturne ed elusive, vive nascosta tra i sassi e nelle fessure del suolo, più di rado sotto i tronchi marcescenti (Vanni, 1980), comparendo all’aperto solo nel periodo degli amori o dopo piogge abbondanti. L’accoppiamento avviene in un periodo compreso tra l’autunno e la primavera (Lanza, 1983) mentre l’ovodeposizione ha luogo generalmente da marzo a maggio (Della Rocca et al. , in stampa). Salamandrina terdigitata presenta sviluppo indiretto. Il periodo di incubazione dell’uovo è correlato alla temperatura dell’acqua (Della Rocca et al. , in stampa), e ad una temperatura di 14°C è di circa 20 giorni (Vanni, 1980).

Distribuzione e stato di conservazione in Italia L’areale della salamandrina dagli occhiali si estende in modo continuo dalla provincia di Genova all’estremità meridionale della Calabria (Aspromonte), con maggiore frequenza di località del versante tirrenico, ma con recenti segnalazioni anche in alcune località del versante adriatico (Zuffi, 1999). La specie è diffusa dal livello del mare fino a ca. 1500 m di quota, più frequentemente tra 200 m e 700 m s.l.m., pertanto è considerata specie

105 tipicamente collinare strettamente legata a cenosi forestali subtermofile o mesofile. Il suo stato di conservazione è di difficile definizione a causa delle difficoltà di rilevamento al di fuori del periodo riproduttivo. E’ una specie molto sensibile al disboscamento e all’alterazione dei corpi idrici utilizzati per l’ovodeposizione. La salamandrina dagli occhiali è specie protetta dalla Direttiva “Habitat” 92/43/CEE (Appendice II e IV), ed è inclusa anche nell’Allegato II della Convenzione di Berna (1979), che promuove la conservazione della vita selvatica e degli ambienti naturali in Europa. Infine, in Italia Salamandrina terdigitata è inserita nel “Libro Rosso” dei vertebrati, quale specie parzialmente minacciata (“LR = Lower Risk”) (Bulgarini et al., 1998).

Distribuzione e stato di conservazione nel Lazio Nel Lazio la salamandrina dagli occhiali è ampiamente diffusa ancorché localizzata, con popolazioni apparentemente stabili (Corsetti & Capula, 1992; Corsetti, 1993, 1999; Corsetti & Angelini, 2000) ed è nota in tutti i rilievi antiappenninici, dai Monti Cimini agli Aurunci. La specie è ampiamente distribuita anche in aree appenniniche nonché in alcune località planiziali presso Roma (Aranova, Acquatraversa, Malafede) (Corsetti & Angelini, 2000; Vignoli & Bologna., 2001; Vignoli et al., 2001). Nel Lazio meridionale è stata rilevata attività riproduttiva anche durante la stagione autunnale con ovodeposizioni osservate nel mese di ottobre (Corsetti 1999a, 1999b). Il subareale laziale risulta frammentato anche se l’elusività della specie contribuisce a sottostimare la sua reale distribuzione. Elemento pressoché costante per consentire la vitalità delle popolazioni, è la presenza di un ruscello di modesta portata o di un piccolo bacino con acque limpide e fresche, per lo più (ma non necessariamente) a fondo roccioso o sassoso, ben protetto dalla vegetazione delle rive e del tutto privo di fauna ittica. Tali bacini idrici, fondamentali siti di ovodeposizione, possono occasionalmente essere anche artificiali o semiartificiali, come abbeveratoi, piccoli pozzi in pietra, vasche in metallo o cemento. La specie è protetta dalla L. R. 18/1988. Infine, Salamandrina terdigitata è inclusa nella “Lista Rossa degli anfibi e dei rettili del Lazio”, classificata quale specie vulnerabile (“VU = vulnerable”) (Scalera et al., 2000).

Distribuzione e stato di conservazione nel sito La specie non risulta segnalata in bibliografia all'interno del sito in esame. Il personale guardaparco della Riserva Naturale Regionale Monte Rufeno ha rilevato la specie all'interno della ZPS "Monte Rufeno" con regolarità negli ultimi 3 anni. Durante i campionamenti, la presenza della specie è stata rilevata nei fossi “del gambero” e “Acquachiara”. Le osservazioni fanno riferimento esclusivamente a stadi larvali. I rilievi erpetofaunistici effettuati sottolineano il buono stato delle popolazioni di salamandrina dagli occhiali presenti all’interno della ZPS. I diversi corpi idrici in cui la specie è stata osservata mantengono un’elevata naturalità, requisito imprescindibile perché la specie vi espleti l’intero ciclo vitale. Inoltre, il

106 ritrovamento delle larve evidenzia inequivocabilmente un’attività riproduttiva della specie nel sito.

Complessivamente i dati ottenuti dalle tre tipologie di indagini non si ritengono sufficienti a determinare lo stato di conservazione delle popolazioni della specie nel sito di indagine. Tuttavia è evidente la presenza di habitat idonei e la presenza effettiva di popolazioni riproducentesi all’intenro della ZPS. E' inoltre necessario tenere in considerazione che la mancanza di studi specifici in loco, e per raffronto con altre indagini popolazionistiche sviluppate in Italia centrale (Angelini et al. 2001; Della Rocca et al., in stampa), non consente di avere un quadro puntuale ed esaustivo sulla consistenza numerica e la struttura di queste popolazioni. La presenza della salamandrina dagli occhiali all’interno della ZPS in esame non è riportata all’interno della scheda “Natura 2000” relativa. Pertanto la sua rilevazione durante la presente indagine costituisce un importante dato in funzione della gestione e della valutazione della ZPS stessa.

4.5.3. Tritone crestato italiano (Triturus carnifex)

Caratteristiche della specie e distribuzione generale Si tratta di una specie di salamandride principalmente acquatica, caratterizzata da un evidente dimorfismo sessuale per quanto concerne dimensione, morfologia e colorazione del corpo. In entrambi i sessi il dorso presenta una colorazione scura con punteggiature nere tonde ed irregolari; il ventre è giallo- arancio con macchie sparse da grigiastre a nere (Lanza, 1983). Il maschio raggiunge 15 cm e durante la fregola presenta un’evidente cresta dorsale, una banda argentea caudale ed un ingrossamento cloacale. Le femmine, lunghe fino a 18 cm, non hanno particolari trasformazioni durante la fregola, ma talvolta presentano una striscia gialla dorsale (Lanza, 1983). Colonizza bacini larghi e profondi con abbondante vegetazione, ma può vivere anche in stagni, pozze astatiche, piccoli corsi d’acqua o anse di fiumi, canali di irrigazione, cisterne, pozzi di pietra, fontanili e sorgenti (Bonifazi, 2000; Bonifazi & Carpaneto, 1990; Giacoma, 1988; Griffiths, 1996). Dove le raccolte d’acqua sono soggette ad essiccazione, gli individui sono in grado di intraprendere una vita terrestre interrandosi o nascondendosi sotto pietre, tronchi ed all’interno di manufatti, per poi entrare in quiescenza durante i periodi aridi oppure scegliendo le ore più umide della giornata per uscire ed alimentarsi di artropodi terrestri. Gli accoppiamenti avvengono in acqua. Le uova sono deposte singolarmente sulla vegetazione acquatica. Si nutre di numerosi invertebrati acquatici (larve di chironomidi, efemerotteri, anisotteri e ditiscidi e varie tipologie di piccoli crostacei quali cladoceri, copepodi ed ostracodi) e terrestri (Fasola & Canova, 1992). La specie è distribuita nella Svizzera meridionale, in parte dell’Austria, nella Baviera meridionale, in Slovenia, in Croazia e in Italia (isole escluse) (Arntzen & Borkin, 1997).

107 Distribuzione e stato di conservazione in Italia Specie ben diffusa su tutto il territorio nazionale si rinviene dal livello del mare fino a 1600 m s.l.m. sulle Alpi e 1800 m s.l.m sull’Appennino (SHI, 1996). L’inquinamento dei corpi idrici, la distruzione degli ambienti umidi e l‘introduzione di pesci carnivori nelle acqua di stagni e fontanili sono i principali fattori di minaccia per questo salamandride. Il tritone crestato italiano è specie protetta dalla Direttiva “Habitat” 92/43/CEE (Appendice II e IV), ed è presente anche in allegato II della Convenzione di Berna (1979), che promuove la conservazione della vita selvatica e degli ambienti naturali in Europa. Dall’IUCN è catalogata come specie parzialmente minacciata (“LR = Low Risk”) (Scalera et al., 2000).

Distribuzione e stato di conservazione nel Lazio Nel Lazio è probabilmente l’urodelo più comune e diffuso. Presenta popolazioni in tutte le provincie, colonizzando ambienti acquatici di varia natura sia naturali sia artificiali, dal livello del mare fino a circa 1800 m s.l.m. (Lago della Duchessa) (Bonifazi, 2000). I fattori di minaccia principali sono simili a quelli menzionati su scala nazionale. E’ importante però evidenziare come la pulizia di fontanili e pozzi legati ad attività antropiche (pastorizia ed agricoltura) spesso entrino in conflitto con questi anfibi sia per le modalità (svuotamento ed eradicazione totale della vegetazione acquatica, talvolta utilizzando prodotti chimici) sia per i tempi di realizzazione che spesso coincidono con la ovodeposizione o lo sviluppo larvale (Bonifazi, 2000). La specie è protetta dalla L.R. n° 18 del 15/IV/88. Nella “Lista Rossa degli anfibi e rettili del Lazio” è classificata quale specie parzialmente minacciata (LR) (Scalera et al., 2000).

Distribuzione e stato di conservazione nel sito La presenza di Triturus carnifex all’interno della ZPS non è testimoniata da alcun dato bibliografico. Tre osservazioni dirette rilevano la specie in aree limitrofe la ZPS in esame: una (1994) nei pressi di località Podere la Cerrina (appena al di fuori del confine meridionale della ZPS) e due (1992 e 1994) in località non precisate 2 km a NE di Acquapendente in direzione di Castel Viscardo.

Il personale guardiaparco della Riserva Naturale Regionale Monte Rufeno, ha permesso di rilevare la presenza diffusa della specie nelle raccolte d’acqua permanenti o semipermanenti all'interno del territorio della ZPS. Dopo un'attenta osservazione della cartografia, in considerazione delle conoscenze sulla biologia della specie e dell’esperienza sul territorio dei guardiaparco, è stata effettuata una sessione di campionamento nel mese di giugno nelle raccolte d’acqua denominate “trosce” all'interno dei SIC costituenti la ZPS: "Monte Rufeno", "Fosso dell’Acqua chiara" "Valle del Fossatello"). Campionando a vista la vegetazione ed altri supporti utilizzati dagli animali per la ovodeposizione ed utilizzando un guadino per gli adulti e le larve, sono stati indagati stagni (trosce), fontanili, pozze nei pressi di ruscelli ed altre raccolte d’acqua.

108 Durante i campionamenti la presenza della specie è stata rilevata presso le seguenti pozze: “pozza Hottonia”, dove sono stati trovati stadi larvali; “pozza Fossatello”, in cui sono stati osservati stadi larvali ed individui pedomorfici; pozza (troscia) del porcino, al cui interno sono stati rilevati stadi larvali; “pozza non meglio identificata sita prima dell’area faunistica, dove sono stati osservati stadi larvali. I campionamenti hanno permesso di rilevare in ogni località un’elevata densità di individui della specie T. carnifex.

In sintesi il tritone crestato italiano è stato rinvenuto in diverse località nel corso dei campionamenti diretti. Il ritrovamento di larve costituisce evidenza diretta che le popolazioni ivi presenti si riproducono e permette, considerando l’aspetto quantitativo dei rilievi erpetofaunistici, di stimare un buono-ottimo stato delle popolazioni in esame. La mancanza di dati pregressi peraltro non consente di ricavare informazioni sul trend della popolazione. Complessivamente, quindi, i dati ottenuti dalle tre tipologie di indagini si ritengono sufficienti a determinare lo stato di conservazione della specie nel sito di indagine. E' inoltre necessario tenere in considerazione che la mancanza di studi specifici in loco, e per raffronto con altre indagini popolazionistiche sviluppate in Italia centrale non consente di avere un quadro puntuale ed esaustivo sulla consistenza numerica e la struttura di queste popolazioni. La presenza del tritone crestato all’interno della ZPS in esame non è riportata all’interno della scheda “Natura 2000” relativa. Pertanto la sua rilevazione durante la presente indagine costituisce un importante dato in funzione della gestione e della valutazione della ZPS stessa.

4.5.4. Ululone a ventre giallo (Bombina variegata)

Caratteristiche della specie e distribuzione generale L’ululone a ventre giallo è un piccolo anuro che raramente supera i sei centimetri di lunghezza totale (Lanza, 1983; Caldonazzi et al., 2000). Il corpo è piuttosto appiattito con capo largo e muso arrotondato. E’ privo di timpani ed ha pupille triangolari o cuoriformi. Il dorso è grigio-brunastro con numerose verruche ed escrescenze cornee. Il ventre è liscio ed ha una colorazione brillante gialla o arancione con macchie grigio-bluastre o nere (Vandoni, 1914; Lanza, 1983). Bombina variegata è una specie medio-sud europea, presente nell’Europa centrale e meridionale ad eccezione della Penisola Iberica, e delle isole del Mediterraneo (Bologna et al., 2000). E’ una specie politipica ed è distinta in quattro sottospecie (Gollmann et al., 1997): variegata (Linnaeus, 1758) è distribuita dalla Francia ai Carpazi; pachypus (Bonaparte, 1838) è un endemismo dell’Italia peninsulare, dalla Liguria centrale all’estremità della Calabria; kolombatovici (Bedriaga, 1890) è endemica della Dalmazia; scabra (Küster, 1843) è propria dei Balcani meridionali. La distribuzione altitudinale di Bombina variegata va dal livello del mare alle

109 zone medio montuose, tuttavia sembra prediligere gli ambienti collinari. Non supera il limite superiore della vegetazione arborea e la quota massima per la sottospecie nominale è 2100 m s.l.m. nei Balcani (Gollmann et al., 1997), mentre la sottospecie pachypus raggiunge 1800 m s.l.m. nell’Appennino meridionale. La specie è legata per la riproduzione ad habitat acquatici di modeste dimensioni, quasi sempre piccole pozze e ruscelli. Nel primo caso si tratta per lo più di pozze temporanee o durature originate dalla presenza di fontanili, piccole risorgive, depressioni del terreno, solchi lasciati da mezzi agricoli riempiti d'acqua oppure da pozze di abbeverata scavate per il bestiame. Nel caso degli ambienti reici, questi sono costituiti in massima parte dall’alto corso di piccole aste secondarie. Generalmente questi ambienti acquatici sono al margine di boschi di latifoglie o di cespuglieti (Bologna et al., 2000). Si tratta di un elemento K-selezionato a lunga vita (ca. 10 anni) e tardiva maturità sessuale (3 anni) a spiccata filopatria verso i siti riproduttivi.

Distribuzione e stato di conservazione in Italia In Italia sono presenti le sottospecie variegata e pachypus; la prima è distribuita a Nord del fiume Po, dalla Lombardia al Friuli Venezia Giulia; la seconda (detta ululone appenninico) si rinviene in tutta l’Italia peninsulare, dalla Liguria occidentale alla Calabria. La specie è stata citata anche per la Sicilia (Bruno, 1970), ma la sua presenza nell’isola non è mai stata confermata (Turrisi & Vaccaro, 1998). Quest’ultima sottospecie ha status tassonomico ancora incerto, poiché secondo alcuni autori potrebbe essere elevata a rango specifico (Barbieri et al., 2004). Legata ad ambienti acquatici per la riproduzione, Bombina variegata ha subito un declino numerico forse determinato soprattutto dall'alterazione di questi habitat, spesso soggetti a bonifica, cementificazione, inquinamento o distruzione. L'ululone a ventre giallo è specie protetta dalla Direttiva “Habitat” 92/43/CEE (Appendice II e IV), ed è presente anche negli allegati della Convenzione di Berna (1979), che promuove la conservazione della vita selvatica e degli ambienti naturali in Europa. In particolare la sottospecie variegata è inserita in Allegato III e la sottospecie pachypus, oggetto della presente analisi, in Allegato II. Infine, in Italia Bombina variegata è inclusa nel “Libro Rosso” dei vertebrati, quale specie parzialmente minacciata (“LR= Lower Risk”) (Bulgarini et al., 1998). Bombina variegata pachypus risulta ancora più vulnerabile a causa della sua endemicità. Sindaco (2000) inserisce l’ululone a ventre giallo nella categoria B1 ovvero “taxon endemico o subendemico con areale ad elevato indice di frammentazione”. Tale autore considera le specie ricadenti in questa categoria come “potenzialmente prioritarie per la conservazione a livello nazionale e internazionale”.

Distribuzione e stato di conservazione nel Lazio A livello regionale l’ululone appenninico presenta una distribuzione discontinua,

110 principalmente concentrata in ambiti collinari e montani; scarse sono invece le stazioni di pianura e costiere. In particolare la specie è segnalata nel Viterbese lungo il medio tratto del F. Fiora, nella Selva del Lamone e nell’area di Monte Rufeno. Sempre nel Viterbese l’ululone è presente in alcune località della Tuscia e dei Monti Cimini, sebbene la sua presenza non sia stata confermata negli ultimi anni. Nella Provincia di Roma è stato rilevato sui Monti della Tolfa, Colli Albani, Monte Lucretili e Lepini. Di un certo interesse sono la popolazione citata per il bosco planiziale della Tenuta di Castelporziano ma non confermata da dati recenti, e le popolazioni riscontrate negli ultimi anni nei limitrofi comprensori di Malafede e di Catelfusano. Queste ultime sono le uniche popolazioni laziali della fascia costiera di cui sia stata confermata la presenza recentemente (Bologna et al., 2000). La distribuzione della specie si presenta meno frammentata nella fascia submontana e montana della provincia di Rieti. In questi settori interni, infatti, l’ululone è segnato per i , Reatini, Cicolano, Laga, e nelle valli dei fiumi Velino, Salto e Turano. È invece assente nelle montagne della Duchessa, forse a causa della scarsità di habitat acquatici idonei. Molto più discontinua è la presenza della specie nei settori montani delle province di Roma e Frosinone, in cui sono conosciute poche stazioni, per lo più concentrate nella fascia submontana dei Monti Simbruini ed Ernici. Una sola stazione è riportata per le catene della Meta e della Mainarde. L’ululone sembra del tutto assente nella provincia di Latina, ad esclusione della già discussa segnalazione per l’area del Parco del Circeo (Bologna et al., 2000). La specie è protetta dalla L.R. 18/1988. Infine, Bombina variegata è inclusa nella “Lista Rossa degli anfibi e dei rettili del Lazio”, classificata quale specie in pericolo (“EN = endangered”) (Scalera et al., 2000).

Distribuzione e stato di conservazione nel sito La presenza di Bombina variegata all’interno della ZPS è confermata da due segnalazioni, un’osservazione diretta (risalente all’anno 1988) ed un dato bibliografico (1992). Entrambe le segnalazioni non fanno riferimento ad una precisa località di ritrovamento, riferendosi più generalmente al territorio della Riserva Naturale Regionale Monte Rufeno. Il personale guardaparco della Riserva Monte Rufeno ha rilevato regolarmente la specie all'interno della ZPS "Monte Rufeno” fino al 2001. Durante i campionamenti, la presenza della specie in esame non è stata confermata. In base alle conoscenze sulla distribuzione dell’ululone a ventre giallo acquisite durante le indagini e l’accertata disponibilità di habitat idonei, la presenza della specie all’interno della ZPS in esame è da considerare effettiva, poiché derivante da rilevatori attendibili, anche se le segnalazioni disponibili più recenti risalgono al 2001. L’elevata naturalità che caratterizza gli habitat elettivi per l’ululone a ventre giallo osservata all’interno del sito di indagine e il ritardato inizio della stagione idonea alla riproduzione nell’anno corrente, unico momento in cui la specie è reperibile, fanno supporre che il mancato ritrovamento durante le indagini di verifica, non sia necessariamente espressione del cattivo stato di conservazione delle popolazioni. La difficoltà generale di ritrovamento della

111 specie, in molte delle stazioni note potrebbe peraltro essere imputabile al complessivo fenomeno di riduzione delle popolazioni italiane ed in particolare di quelle laziali (Bologna et al., 2000), la cui causa è, di fatto, ignota. Inoltre la specie mostra una distribuzione molto frammentata in tutto il territorio del Viterbese (Bologna et al., 2000) e con popolazioni numericamente non stimate, ma comunque scarse. Complessivamente i dati ottenuti dalla presente ricerca non si ritengono sufficienti a determinare lo stato di conservazione della specie nel sito di indagine. Certamente, visto il trend di conservazione a livello regionale e nazionale della ssp. pachypus, riteniamo che, nonostante il buono stato di conservazione ambientale e le scarse minacce rilevate, essa sia da ritenere vulnerabile. E' inoltre necessario tenere in considerazione che la mancanza di studi specifici, ad eccezione dei dati provenienti da indagini erpetologiche più generali (Bologna et al., 2000), non consente di avere un quadro puntuale ed esaustivo sulla consistenza numerica e la struttura di popolazione della specie.

4.5.5. Testuggine di Hermann (Testudo hermanni)

Caratteristiche della specie e distribuzione generale Il genere Testudo annovera nove specie di tartarughe terrestri di cui tre appartenenti alla fauna europea. Testudo hermanni è una specie politipica e si distinguono due razze geografiche T. h. hermanni (Gmelin 1789) e T. h. boettgeri (Mojsisovics 1889), facilmente distinguibili in base alla differente forma del carapace ed alla colorazione del piastrone (Arnold & Burton, 1978). Testudo hermanni è una specie delle coste mediterranee settentrionali (corotipo NE Mediterraneo) (Bologna et al., 2000), diffusa con discontinuità dalla Spagna nord-orientale fino alla Tracia turca (Bour, 1997). La maggior parte delle popolazioni presenti dai Balcani alla Romania sud-occidentale sono ascrivibili alla sottospecie T. h. boettgeri, mentre T. h. hermanni è diffusa nella parte occidentale dell'areale della specie. La maggior parte delle popolazioni selvatiche di testuggine di Hermann vive in regioni caratterizzate da clima di tipo mediterraneo dove colonizza gli habitat caratterizzanti la zona retrodunale e subcostiera, con scarsa vegetazione, prevalentemente di tipo erbaceo od arbustivo basso, e la zona a macchia bassa con formazioni vegetazionali di altezza compresa tra 1 e 3 metri. Colonizza anche ambienti di macchia alta e querceti termofili misti, nonché arbusteti di derivazione dalle suddette formazioni vegetazionali. Sebbene i querceti siano formazioni troppo chiuse ed ombrose per essere abitate stabilmente dalle testuggini, possono essere aree idonee a trascorrere il periodo invernale di letargo grazie alle escursioni termiche meno accentuate e per sottrarsi al caldo torrido degli ambienti retrodunali durante le ore centrali del giorno nel periodo estivo. La specie è attiva da febbraio-marzo ad ottobre-novembre con picchi di attività nei mesi di maggio e giugno. Durante la tarda primavera e l’estate gli animali termoregolano, con un pattern di attività bimodale che mostra picchi nelle prime ore del mattino e nel tardo pomeriggio, ed inattività pressoché totale durante le

112 ore centrali in cui la specie frequenta ambienti di ecotono tra macchia e radura, il che consente di evitare l’irraggiamento diretto. L’attività riproduttiva comincia in primavera con il corteggiamento e gli accoppiamenti e termina nei mesi di maggio e giugno con l’ovodeposizione. Le testuggini depongono le uova scavando i nidi nel terreno, in aree con scarsa vegetazione. I nidi appena allestiti non appaiono diversi dal terreno circostante e non possono essere individuati da alcuna traccia visiva.

Distribuzione e stato di conservazione in Italia La testuggine comune, o testuggine di Hermann (Testudo hermanni), è la sola autoctona del territorio italiano ed è riconoscibile da Testudo greca e Testudo marginata, entrambe introdotte in alcune aree italiane, per la presenza di un astuccio corneo sulla punta della coda e di due placche sopracaudali. L’areale primario in Italia si estendeva a tutta l’Italia peninsulare ed alle isole maggiori. Attualmente la distribuzione della specie è frammentata e limitata alle seguenti regioni: Toscana, Lazio, Campania, Molise, Basilicata, Calabria, Puglie, Sicilia, Sardegna ed alcune isole dell’Arcipelago Toscano (Societas Herpetologica Italica, 1996). In alcune aree della Pianura Padana, nonché occasionalmente in altre regioni, sono stati segnalati esemplari, probabilmente provenienti dal commercio, ascrivibili alla sottospecie orientale (T. h. boettgeri), maggiormente euriterma ed in grado di sopportare le basse temperature invernali caratteristiche dell’Italia continentale (Ballasina, 1995).

Distribuzione e stato di conservazione nel Lazio Nel Lazio T. hermanni è presente in tutte le province, esclusa quella di Rieti, con i contingenti popolazionali maggiori lungo il litorale romano e viterbese, area che rappresenta più del 85% delle segnalazioni (Carpaneto, 2000). In questa regione la testuggine di Hermann è riscontrabile principalmente in ambienti costieri e sub costieri, in una fascia altitudinale compresa tra il livello del mare fino a 600 metri di quota nelle aree più termofili dove si estendono la macchia mediterranea o il bosco caducifoglio eliofilo (es. comprensorio tolfetano) (Carpaneto, 2000). Il periodo di attività è compreso tra aprile ed ottobre mentre l’attività riproduttiva è concentrata nel mese di giugno. Come in altre regioni italiane, il fenomeno diffuso del rilascio di animali provenienti da allevamenti ha alterato, anche nel Lazio, il quadro distributivo della specie, contribuendo in varia misura a complicare l’identità tassonomica delle popolazioni autoctone: gli esemplari commerciati appartengono generalmente alla sottospecie boettgeri che si ibrida senza difficoltà con la sottospecie nominale. Per quanto concerne la conservazione, attualmente la testuggine di Hermann è inserita nell’appendice II del trattato CITES (Convention on the International Trade of Endangered Species Washington, 1973, recepita in Italia dalla legge 150/92 modificata con la legge 59/93) che ne regola la vendita ed il possesso. Infine, Testudo hermanni è inclusa nella Direttiva Habitat 92/43CEE negli allegati II e IV e nella “Lista Rossa degli anfibi e dei rettili del Lazio”, classificata quale specie in pericolo (“EN = endangered”) (Scalera et al., 2000).

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Distribuzione e stato di conservazione nel sito La presenza della specie all’interno della ZPS è testimoniata da una sola segnalazione in cui non è precisata l’esatta località di rinvenimento riferendosi generalmente al territorio della Riserva Naturale Regionale Monte Rumeno (dato bibliografico risalente all’anno 1992). Il personale guardaparco della Riserva Monte Rufeno ha rilevato la presenza della specie in un'unica località al di fuori del territorio della ZPS, lungo la strada provinciale presso Torre Alfina. L'osservazione risale all'anno 2002 e consiste nel ritrovamento di un singolo esemplare. Durante i campionamenti la presenza della specie in esame non è stata confermata. In base alle conoscenze sulla distribuzione della testuggine di Hermann acquisite durante le indagini, la presenza della specie all’interno della ZPS in esame non può essere considerata effettiva, poiché mancano dati (in particolare recenti) che supportino tale assunto. Peraltro all’interno della ZPS sono stati riscontrati habitat idonei per la presenza di Testudo hermanni. I dati ottenuti dalle tre tipologie di indagini fanno ipotizzare che la testuggine comune, recentemente rinvenuta in una singola località, non presenti popolazioni consistenti nell'area indagata e nelle aree limitrofe. E' inoltre necessario tenere in considerazione che la mancanza di studi specifici in loco, ad eccezione dei dati provenienti da indagini erpetofaunistiche generiche (Atlante Anfibi e Rettili del Lazio), non consente di avere un quadro puntuale ed esaustivo sulla consistenza numerica e la struttura di popolazione della specie.

4.5.6. Testuggine palustre europea (Emys orbicularis)

Caratteristiche della specie e distribuzione generale La specie è distribuita in Europa centro-orientale e meridionale, Asia occidentale e Africa nordoccidentale (Arnold & Burton, 1978). Abita corsi d’acqua con corrente ridotta, stagni, lanche, paludi, lagune salmastre ed anche bacini artificiali. E’ diffusa principalmente nelle zone di pianure ed in quelle costiere; raramente si spinge oltre i 500 m s.l.m. (raggiunge eccezionalmente i 1400 m in Basilicata e Sicilia) (Lanza, 1983; Carpaneto, 2002). Preferisce le zone con abbondante vegetazione acquatica, dove può cercare il cibo o sostare in termoregolazione sia in acqua (“floating” o “basking” acquatico) sia all’esterno (“basking”) sfruttando corpi galleggianti, rami adagiati in prossimità della riva sul pelo dell’acqua o isole costituite da terra o vegetazione. Talvolta alcuni esemplari possono trovarsi anche lontano dai bacini idrici sia in aree boscate sia in terreni coltivati, noto fenomeno di dispersione da collegare probabilmente alla ricerca di nuovi ambienti acquatici o per ovodeposizione. Gli accoppiamenti avvengono in acqua principalmente nei mesi di maggio e giugno, la deposizione tra giugno ed agosto. Le femmine possono deporre da 3 a 15 uova, in una buca profonda circa 15 cm scavata nel terreno, distante anche qualche centinaio di metri dalla risorsa idrica. La schiusa avviene normalmente dopo 80 giorni. Si

114 nutre di anellidi, molluschi, piccoli vertebrati (uccelli palustri, anfibi e loro larve, ma anche pesci: Lanza, 1983), ma negli adulti può essere importante una integrazione a base di vegetazione acquatica (Ferri, 1999). E’ predata principalmente negli stadi giovanili da mammiferi (volpe, lontra ed altri carnivori, ma anche da grossi roditori) e da uccelli (aironi, palmipedi, rapaci e corvidi); è inoltre catturata a qualsiasi età anche dall’uomo sia per fini gastronomici (soprattutto nel passato), sia perché ritenuta dannosa agli impianti di acquicoltura (Ferri, 1999; Lanza, 1983).

Distribuzione e stato di conservazione in Italia Si trova su tutto il territorio nazionale (Sardegna e Sicilia incluse) con la sottospecie E. orbicularis galloitalica. Sembra meno frequente nelle zone montuose. La specie ha subito una drastica diminuzione delle popolazioni in tutte le zone umide nazionali. Il cambio d’uso del suolo a favore dell’edilizia e dell’agricoltura hanno alterato sia le zone di nutrizione ed accoppiamento (stagni, laghi, fiumi a lento corso, etc.) sia le zone di deposizione (i campi nelle zone adiacenti i bacini idrici). Dall’IUCN è catalogata come specie parzialmente minacciata (“LR”) (Spagnesi & Zambotti, 2001). Infine, in Italia Emys orbicularis è inclusa nel “Libro Rosso” dei vertebrati, quale specie parzialmente minacciata (“LR= Lower Risk”) (Bulgarini et al., 1998).

Distribuzione e stato di conservazione nel Lazio E’ presente in quasi il 20% dei quadranti in cui è diviso il territorio regionale, ma in realtà le popolazioni sono molto rarefatte. Le segnalazioni più numerose riguardano le province di Viterbo, Roma e Latina (Utzeri, 2000). Le popolazioni della Testuggine d’acqua europea sono fortemente diminuite a seguito delle imponenti opere di bonifica avvenute nel secolo scorso. Non esistono dati sullo status e sulla struttura di popolazione ed eccezione della Riserva Naturale di Monte Rufeno e di Castel Porziano. Nella “Lista Rossa degli anfibi e rettili del Lazio” è classificata quale specie in pericolo (“EN = Endangered”) (Scalera et al., 2000).

Distribuzione e stato di conservazione nel sito Emys orbicularis è presente nella ZPS in esame con diversi contingenti popolazionali o subpopolazionali, colonizzando diffusamente le aree umide all’interno della Riserva Naturale Regionale Monte Rufeno. I dati di presenza sono sia bibliografici (risalenti agli anni 1992, 1994, 1996, 1997, 1998), sia osservazioni dirette (1988). Il personale guardiaparco della Riserva Naturale Regionale Monte Rufeno ha permesso di rilevare la presenza della specie in diverse località all'interno della ZPS. La specie è osservata con continuità da circa dieci anni in corrispondenza delle pozze (“trosce”) presenti all’interno di boschi caducifogli o misti, conosciute con denominazioni tratte dagli studi effettuati su Emys orbicularis negli anni 1994 e 1997-98: “pozza Hottonia”, “pozza Vitabbiete”, “pozza Dama”, “pozza Fossatello”, “troscia del Porcino”, pozza non meglio identificata, prima

115 dell’area faunistica, “pozza Raganella”, “Troscione”. A questo riguardo gli ultimi censimenti svolti dal personale della Riserva Naturale di Monte Rufeno del 2001 sulle popolazioni di questa specie hanno messo in evidenza una popolazione minima di 84 individui contro i 120 presenti nel 1996 (Rovero F., 1994-95 Tesi di Laurea; M. F. W. Marango, 1997-1998 Tesi di Laurea); Dopo un'attenta osservazione della cartografia, in considerazione delle conoscenze sulla biologia della specie e dell’esperienza sul territorio dei guardiaparco, sono stati effettuate due sessioni di campionamento nel mese di Maggio esplorando gli ambienti elettivi per la specie in tutto il territorio della ZPS. Nel dettaglio sono stati effettuati rilevamenti erpetofaunistici presso le raccolte d’acqua denominate: a) “pozza Hottonia”, b) “pozza Fossatello”, c) “troscia del porcino”, d) pozza non meglio identificata, prima dell’area faunistica. Durante i campionamenti la presenza della specie in esame è stata confermata in 3 delle 4 raccolte d’acqua esaminate, sempre osservando un numero compreso tra 1 e 5 esemplari. I dati ottenuti dalle tre tipologie di indagini fanno ipotizzare che la testuggine palustre, rinvenuta in quattro località, presenti popolazioni consistenti e vitali nell'area indagata, almeno per quanto concerne le aree umide della ZPS. Studi di popolazione pluriennali pregressi, effettuati dall’Università di Firenze, confermano la stabilità e la vitalità delle popolazioni in esame.

4.5.7. Cervone (Elaphe quatuorlineata)

Caratteristiche della specie e distribuzione generale Il genere Elaphe annovera circa 38 specie di ofidi aglifi di cui 7 appartenenti alla fauna europea e 5 presenti in Italia. Il cervone (Elaphe quatuorlineata) è diffuso nell'Italia appenninica e in Sicilia, nell'area mediterranea di Slovenia, Croazia e Montenegro, Albania, Macedonia meridionale, Grecia, Bulgaria, Romania, Moldavia, Ucraiana e Russia precaucasica; popolazioni sono presenti marginalmente anche in Kazakistan, Turkmenistan, Iran, Turchia e Siria (Böhme, 1997). Elaphe quatuorlineata è una specie politipica con 3 sottospecie: E. q. quatuorlineata (Lacépède, 1789) diffusa dall'Italia peninsulare ai Balcani, E. q. sauromates (Pallas, 1814) presente nell'Europa orientale fino al Caucaso, E. q. muenteri (Bedriaga, 1881) solo di alcune isole Egee (Böhme, 1997). Elaphe quatuorlineata presenta una colorazione delle parti superiori bruno- giallastra con quattro caratteristiche bande longitudinali scure (due per lato) decorrenti dal collo fino alla base della coda (Arnold & Burton, 1978). E’ uno dei serpenti più grandi d’Europa raggiungendo, seppur raramente, la lunghezza massima di 260 cm. La macchia mediterranea è il tipico habitat colonizzato da questa specie, sebbene anche altri boschi caducifogli termofili siano largamente colonizzati. Predilege soprattutto aree ecotonali radure-bosco, forre, boscaglie, ruderi, muretti a secco e coltivi (Bruno & Maugeri, 1977). Lo si riscontra dal livello del mare sino a 2500 m (Armenia). Il cervone è una specie decisamente terrestre sebbene sia un abile arrampicatore e nuotatore. Tali caratteristiche

116 permettono al cervone di colonizzare una vasta varietà di ambienti, sfruttandone le diverse disponibilità trofiche. E’ un attivo predatore la cui dieta comprende lucertole, uccelli micromammiferi. Durante i mesi più freddi (da settembre-ottobre a marzo-aprile), trascorre la latenza invernale nelle cavità degli alberi o all’interno di tane di roditori abbandonate. L’attività riproduttiva comincia in primavera (maggio-giugno) con gli accoppiamenti e termina nei mesi di giugno e luglio con l’ovodeposizione. Le femmine depongono da 3 a 18 uova scavando buche nel terreno o sotto le radici degli alberi deperienti. I giovani sono attivamente predati dal biacco mentre gli adulti sono regolarmente cacciati dal cinghiale, il tasso, la volpe e falconiformi.

Distribuzione e stato di conservazione in Italia In Italia il cervone è diffuso nell’area peninsulare a sud del fiume Arno ed in Sicilia (Societas Herpetologica Italica, 1996). Sembra sia stato importato, senza acclimatazione, in Liguria, Piemonte, Trentino, Veneto e Toscana settentrionale. E’ uno dei serpenti più conosciuti dagli abitanti delle campagne, per il quale hanno coniato le denominazioni più varie, spesso legate a credenze popolari. Il nome di “pasturavacche” risale ad una delle più diffuse che vuole il cervone ghiottissimo di latte, tanto da spingersi ad attingerlo direttamente dalle mammelle delle mucche al pascolo o addirittura a quelle delle donne con il neonato accanto. E’ ancora oggi protagonista di manifestazioni pagane legate al culto di Angizia, che hanno luogo, quale cerimonia religiosa, a Cocullo e Preturo (Abruzzo). In Italia, come in altre zone del suo areale, il cervone è fortemente in contrazione principalmente per l’alterazione e la riduzione degli habitat naturali. In Italia il cervone è incluso nel “Libro Rosso” dei vertebrati, quale specie parzialmente minacciata (“LR = Lower Risk”) (Bulgarini et al., 1998).

Distribuzione e stato di conservazione nel Lazio Nel Lazio E. quatuorlineata è presente su tutto il territorio regionale in tutte le province, anche se meno frequente nel settore sud-orientale, probabilmente per difetto di ricerche (Cattaneo & Carpaneto, 2000). In questa regione il cervone colonizza formazioni di bosco e boscaglia, sia sempreverdi sia caducifoglie e misti, prediligendo, all’interno di queste, le aree ecotonali a confine con le radure idonee all’attività di termoregolazione (Cattaneo & Carpaneto, 2000). Si rinviene anche in ambienti ruderali o con un basso grado di antropizzazione, dove trova nei manufatti i siti di rifugio o estivazione-ibernazione. Il legame con l’acqua porta il cervone e visitare ambienti sia lotici che lentici quando entrano in contatto con gli habitat boscosi o arbustivi. Specie tipicamente termoxerofila si spinge eccezionalmente fino a 1500 m s.l.m. sui Monti Lepini anche se generalmente non supera i 900-1000, rimanendo a quote più basse, più caratteristiche dell’ambiente mediterraneo. E. quatuorlineata è inclusa nella “Lista Rossa degli anfibi e dei rettili del Lazio”, classificata quale specie in pericolo (“EN = Endangered”) (Scalera et al., 2000).

117 Distribuzione e stato di conservazione nel sito Due segnalazioni rilevano la presenza di Elaphe quatuorlineata all’interno della ZPS: un’osservazione diretta (risalente all’anno 1988) e un dato bibliografico (1992). Entrambe le segnalazioni non fanno riferimento ad una precisa località di ritrovamento, riferendosi più generalmente al territorio della Riserva Naturale Regionale Monte Rufeno. Il personale guardaparco della Riserva Naturale Regionale Monte Rufeno ha rilevato la specie all'interno della ZPS "Monte Rufeno", in località Tetto Rosso nell’anno 2000 e in località Vitabbieti nel 2002. La specie è peraltro ben nota agli abitanti in tutta l’area. Durante i campionamenti la presenza della specie in esame non è stata confermata. In base alle conoscenze sulla distribuzione del cervone acquisite mediante le tre tipologie di indagine è evidente una presenza effettiva della specie all’interno della ZPS in esame. La frequenza di incontro della specie, associata all’elevata naturalità caratterizzante gli habitat elettivi per il cervone osservate all’interno del sito di indagine, permettono di rilevare un'ottima potenzialità ambientale ad ospitare la specie. E' inoltre necessario tenere in considerazione che la mancanza di studi specifici, ad eccezione dei dati provenienti da indagini erpetofaunistiche generiche (Atlante Anfibi e Rettili del Lazio), non consente di avere un quadro puntuale ed esaustivo sulla consistenza numerica e la struttura di popolazione della specie, poiché le osservazioni a disposizione sono tutte frutto di incontri casuali.

4.6. ORNITOFAUNA

4.6.1. Premessa metodologica

Per quanto riguarda i rapaci, il lavoro di censimento e localizzazione delle coppie nidificanti nell’area di Monte Rufeno è iniziato nel mese di febbraio. Dopo uno studio del territorio, utilizzando carte CTR 1:10.000 e la carta della vegetazione della Riserva Naturale Monte Rufeno 1:10.000, e l’esame bibliografico dei vari metodi usati per questa tipologia di lavoro, si è scelto di censire le coppie con dei punti d’avvistamento. Tali punti sono stati scelti in modo da creare una rete, che andasse a coprire la maggior parte dei territori destinati ad essere SIC e ZPS; così se un punto d’avvistamento copre un territorio X, il punto d’avvistamento successivo copre il territorio Y, confinante con X. Questo vale per tutti i punti presi in considerazione. In un primo momento si è scelta una sosta di 30 minuti per ogni punto d’avvistamento. Il lavoro d’osservazione è stato fatto con regolarità dal 15 febbraio al 1°giugno una volta a settimana. Dal 1° maggio, mese in cui quasi tutti i rapaci migratori hanno raggiunto la loro destinazione (il falco pecchiaiolo, a differenza del nibbio bruno e del biancone ha un picco migratorio molto più tardivo, di solito i primi giorni di maggio), si sono eliminati i punti d’avvistamento

118 che interessavano aree poco o per nulla idonee alla nidificazione. Nei punti d’avvistamento rimasti si è scelto di prolungare il tempo di sosta ad un’ora, così da aumentare la possibilità di osservare i rapaci in parata o in atteggiamento di difesa del territorio.

Si riportano nel seguito tutti i nomi assegnati ai punti d’avvistamento, individuabili nella pagina gis creata. NAME: FZMR1 – FZMR2 – FZMR3 – FZMR4 – FZMR5 – FZMR6 – FZMR8 Nella tabella seguente sono riportati i punti in cui sono state avvistate una o più specie: la data dell’avvistamento, il nome del waypoint cui si fa riferimento, la specie, il numero degli individui avvistati ed il comportamento quando possibile o, se distanti dal punto d’avvistamento, la determinazione della loro posizione.

DATA WAYPOINT SPECIE NUMERO BEHAVIOUR 08042004 FZMR1 Circaetus gall. 1 caccia 08042004 FZMR1 Milvus migrans 2 parata 15042004 FZMR1 Milvus migrans 1 15042004 FZMR1 Circaetus gall. 2 parata 22042004 FZMR1 Milvus migrans 1 22042004 FZMR1 Circaetus gall. 1 Si raddoppia il tempo 07052004 FZMR1 Pernis apivorus 1 migrazione 07052004 FZMR1 Milvus migrans 4 Monte Crocione 08052004 FZMR2 Milvus migrans 1 11052004 FZMR1 Milvus migrans 1 caccia 11052004 FZMR1 Indeterminati 2 21052004 FZMR1 Pernis apivorus 5 21052004 FZMR1 Milvus migrans 1 25052004 FZMRPEC2 Pernis apivorus 1 a terra 25052004 FZMRPE Pernis apivorus 1 a terra 25052004 FZMR2 Pernis apivorus 1 08042004 FZMR6 Milvus migrans 1

Oltre ai waypoint di partenza, sono riportati in quest’ultima tabella ulteriori punti d’avvistamento. Questi punti aggiunti sono gli avvistamenti fatti durante gli spostamenti da un punto all’altro, o per il falco pecchiaiolo avvistamenti fatti lungo una strada che non è stata scelta inizialmente come punto obbligato d’avvistamento, ma si è deciso di praticarla solo dopo aver accertato la presenza della specie nella stessa area degli anni precedenti e l’utilizzo di questa strada quale territorio di caccia. Infatti il falco pecchiaiolo, essendo una specie strettamente forestale, non è facilmente osservabile da punti esterni alle aree boschive. Nel periodo di studio non si è potuto accertare la nidificazione di nessuna coppia, infatti per fare ciò è necessario rinvenire nido con uova o piccoli, nido vuoto, trasporto imbeccata, sacche fecali, materiale per il nido. Il rinvenire sacche fecali o materiale per il nido implica un avvicinamento al nido tale da poter provocare l’abbandono da parte della coppia.

119 Mentre il periodo di studio è stato antecedente alla nascita dei pulli e quindi a tutto ciò che può interessare gli stessi o le cure parentali. Il rinvenimento del nido vuoto è un’operazione che va effettuata dopo il periodo autunnale, quando gli alberi sono spogli ed i nidi sono più facilmente individuabili. Quindi si è parlato esclusivamente di • nidificazione probabile: uccello in canto, impegnato in attività di difesa del territorio, osservate le parate nuziali; • nidificazione eventuale: uccello osservato durante il periodo riproduttivo, nell’ambiente adatto, senza altra indicazione di nidificazione. (SROPU, 1995)

Per quanto riguarda le specie ornitiche, Il Succiacapre è stato censito in 14 punti di ascolto, distanziati almeno 1 km l’uno dall’altro, in tre uscite effettuate il 21 maggio, 28 maggio e 7 giugno 2004, nella fascia oraria 21.00 – 24.00. Due dei 14 punti sono stati collocati nel SIC “Bosco del Sasseto” e uno nella vicina zona Caselle-Giardino dove la specie era stata censita in anni recenti. Gli altri 11 punti di ascolto sono stati distribuiti nel seguente modo: sette nella ZPS ‘Monte Rufeno’, includendo il sito posto in località Lanetta dove il Succiacapre era stato rilevato nel 1996 (Papi com. pers.); quattro in zone aperte a ridosso delle formazioni boschive della ZPS, ma fuori dai suoi confini. Questi quattro punti, che includono il sito S. Angelo dove la specie era presente nel 2001 (Papi com. pers.) e che non distavano più di un chilometro dalle formazioni boschive della ZPS, sono stati effettuati perché tre su quattro segnalazioni passate del Succiacapre (Ponte Gregoriano nel 1996, Podernovo nel 2000, S.Angelo nel 2001) erano avvenute appunto al di fuori della ZPS suggerendo una preferenza della specie per queste zone al margine tra l’area boschiva della ZPS e gli ambienti aperti. In ogni punto d’ascolto il rilevatore sostava per dieci minuti.

I rilevamenti della Tottavilla sono stati effettuati due volte nel periodo invernale (16 gennaio e 23 gennaio) e tre volte a primavera (29 marzo, 10 maggio e 22 maggio), nell’uscita del 29 marzo, comunque, non è stato possibile raccogliere dati a causa delle condizioni climatiche inclementi. Nelle uscite invernali sono state effettuate escursioni nella ZPS e nelle zone di fondovalle del Paglia. Nelle uscite primaverili la Tottavilla è stata censita mediante punti d’ascolto (Blondel et al. 1970) della durata di 10 min. distanti almeno 200 m l’uno dall’altro. Sono state effettuate 11 stazioni d’ascolto nei punti in cui la specie era stata censita negli anni passati (Calvario et al. 1991, Papi com pers.): Fosso Gambero, Tetto Rosso, Morto Loto, Tigna, Monaldesca, Querciabuca, Tigna Vitabiete, Pianacce, Procoio, S. Antonio, Mazzante.

L’Averla piccola è stata cercata nei due punti in cui era stata censita negli anni 1996-1998: Località Podere Fornello nella ZPS Monte Rufeno e Località S. Antonio vicino all’area del SIC ‘Il Sasseto’ (Papi com. pers.). In queste due aree sono state effettuate il 22 maggio due stazioni d’ascolto di 20 min. Escursioni nel territorio della ZPS e del SIC in cerca della specie sono state compiute nella stessa data e il 10 maggio. Per valutare la presenza della Magnanina, il 22 maggio è stata esplorata l’area

120 dove la specie era stata censita nel 1988 (Calvario et al. 1991).

4.6.2. Nibbio bruno (Milvus migrans)

Caratteristiche della specie e distribuzione nell’areale Grande rapace (lunghezza 46-59 cm; apertura alare 130-155 cm; peso 560- 1210 g) marrone scuro; la gran parte degli individui presenta un pannello biancastro squadrato o a forma di mezzaluna sulla parte inferiore dell’ala scura; la coda è forcuta; i sessi sono simili nel piumaggio ma la femmina è notevolmente più grande (W.S.Clark, 2003). Frequenta ambienti misti con boschi di latifoglie o foreste mediterranee alternati a zone aperte, soprattutto se in prossimità di zone umide; frequenta anche zone antropizzate attirato dalle discariche a cielo aperto; frequenta soprattutto zone di pianura e di collina (C. Scoccianti & G. Scoccianti, 1995). Preda piccoli vertebrati, soprattutto pesci ed anfibi; secondariamente, piccoli mammiferi, rettili ed uccelli. Abbastanza comune, ma nidificante localizzato in gran parte dell’Europa, tranne per le Isole Britanniche, la Scandinavia, gran parte dell’Africa settentrionale e il Medio Oriente.La gran parte degli individui abbandona l’Europa durante l’inverno migrando in Africa.

Distribuzione e stato di conservazione in Italia Eccetto per pochi individui in Sicilia, le popolazioni italiane sono migratrici e nidificanti, con areale di svernamento in Africa. In Italia la specie, presente da marzo a settembre, presenta una distribuzione a chiazze con quattro nuclei principali: prealpino-padano, tirrenico-appenninico, adriatico inferiore-ionico e siciliano. Le popolazioni più importanti sono concentrate presso i grandi laghi prealpini, dove si registrano densità di 7-180 coppie/100 km2. La stima complessiva della popolazione italiana è difficile a causa delle ampie fluttuazioni locali e si aggira sulle 700-1000 coppie. Studi intensivi di popolazione in otto aree prealpine negli anni 1992-2000 hanno evidenziato simultanei incrementi e cali di popolazione in aree anche molto vicine tra loro, rendendo difficile la stima di una tendenza complessiva, probabilmente in calo. Dopo un ampio declino negli anni ’60-’70, le popolazioni della Pianura Padana mostrano locali segni di ripresa. Cali importanti sono segnalati per l’Italia centrale (F.Sergio, 2002).

Distribuzione e stato di conservazione nel Lazio con specifico riferimento alla Provincia di Viterbo Nel Lazio il Nibbio bruno occupa soprattutto una vasta area della fascia tirrenica a nord di Anzio, fino a Montalto di Castro, con un ampio inserimento all’interno, che interessa tutta la fascia preappenninica e in particolare la valle del Tevere e i rilievi che vi si affacciano. Altre coppie isolate si incontrano in tutte le zone di collina e di bassa montagna con ampi boschi di latifoglie e preferibilmente corsi d’acqua e bacini lacustri. La consistenza numerica può essere stimata in 100-

121 200 coppie. Le notizie circa la presenza storica nel Lazio sono scarse, ma tendono a confermare una distribuzione più ampia sia in senso geografico che altitudinale: era nidificante agli inizi del secolo nei boschi di pianura di Castelporziano e Castel Fusano, forse nel Parco del Circeo e in molte altre zone della campagna romana attualmente frequentate solo durante la migrazione. La specie ha subito un forte calo numerico ed una notevole contrazione di areale, soprattutto a causa della distruzione delle grandi selve di querce caducifoglie e Leccio dell’antiappennino e della campagna romana e della trasformazione dei pascoli in colture agricole intensive. In particolare si segnala la scomparsa e la diminuzione dei nuclei coloniali, il più importante dei quali resta quello di Castelporziano. Nella provincia di Viterbo la sua presenza estiva risulta essere di “nidificazione eventuale” nelle seguenti aree: S.Giov. delle Contee, Gradoli, Bolsena, Capodimonte, Montefiascone, Celleno, Attigliano, Ponte San Pietro, Riminino, Viterbo, Soriano nel Cimino, San Giuliano, La Rocca, Vignanello, Gallese, Capranica, Sutri, Bassano Romano, Nepi; si parla invece di “nidificazione probabile” presso le località di Tuscanica e Vetralla; la “nidificazione certa riguarda le seguenti località: Proceno, Orte, Civita Castellana, Ronciglione, S. Martino al Cimino, Tarquinia, Monte Romano, La Farnesiana, Civitella Cesi (F.Petretti, 1995).

Distribuzione e stato di conservazione nel sito Dal 1995 ad oggi presso la Riserva di Monte Rumeno sono stati svolti diversi lavori riguardanti l’avifauna nidificante. Nel 1995 la SROPU pubblica l’Atalante degli uccelli nidificanti nel Lazio, contenente i dati raccolti tra il 1983 ed il 1986, con l’integrazione di ulteriori dati raccolti fino al 1994; Milvus migrans in quest’opera risulta essere presente presso Proceno con nidificazione certa; Nel 1996 si ha una nuova fonte di dati: il progetto atlante dell’avifauna nidificante presso la Riserva Naturale di Monte Rufeno [Papi & Bellavita, 1996] da cui il Nibbio bruno risulta essere nidificante nella Riserva con due coppie. Inoltre tra il 1995 ed il 2003 ci sono stati numerosi avvistamenti di tali specie che ne confermano la presenza [Papi et al.]: • tra marzo e luglio 1995, presso le località Ponte, Cassia-Fornace, Podernovo – Strada e Ponte Gregoriano; • tra marzo e luglio 1996 nelle località Fiume Paglia loc. Farnia e loc. S. Anna, Tigna, Pianacce, Il Troscione; • marzo 1997, presso loc. S. Anna; nel 1998 e 1999 non ci sono dati riguardanti gli avvistamenti; • aprile 2000 in loc. S. Anna e Procoio; marzo 2001, presso il Fiume Paglia loc. Farnia; • giugno 2002, tra il Felceto e Monte Rufeno; luglio 2003, presso il Fiume Paglia loc. S. Anna. I dati raccolti nel 2004 a partire dal mese di marzo, rilevano la presenza di 4 individui: l’8/04 dal Pod.e Sant’Anna viene osservata una coppia in parata; sempre dalla stessa località vengono effettuati regolari avvistamenti di singoli individui; il 7/05 vengono individuati 4 individui “in termica” nell’area del fiume Paglia in corrispondenza di Monte Procione dove in precedenza era già stato

122 avvistato un singolo individuo. Questi dati confermano la presenza di due coppie di Milvus migrans, di cui una può essere considerata con “nidificazione eventuale”, ed una con “nidificazione probabile” essendo stata osservata durante la parata nuziale. Una è probabilmente localizzata lungo il fiume Paglia, in un’area compresa tra Monte Crocione e Sant’Anna, l’altra in un’area compresa tra Sant’Anna, il Pod.e il Ponte. Non si hanno notizie per quanto riguarda contatti con popolazioni limitrofe. Per quanto riguarda la continuità della presenza della specie, si ritiene necessaria la conservazione della fascia vegetazionale riparia del fiume Paglia, al momento non garantita. Infatti tale area non rientra nel territorio della Riserva Naturale di Monte Rufeno. Anche se l’andamento della popolazione non è in declino, non si può dire che l’area di distribuzione naturale della specie non rischia di declinare in un futuro prevedibile e che continuerà ad esistere un habitat sufficiente per mantenerne la presenza a lungo termine.

4.6.3. Falco pecchiaiolo (Pernis apivorus)

Caratteristiche della specie e distribuzione nell’areale Grande rapace (lunghezza 51-57 cm; apertura alare 115-136 cm; peso 510- 1050 g.) simile alle poiane; in volo riconoscibile per la testa piccola, il collo lungo e la coda lunga con gli angoli arrotondati. La colorazione del piumaggio è molto variabile(W.S.Clark, 2003). Abita complessi forestali, soprattutto fustaie di latifoglie, ma anche miste o di conifere e cedui invecchiati, con ampie radure e prati (C. Scoccianti & G. Scoccianti, 1995). Predilige larve, pupe, nidi e adulti di varie specie di vespe e api. Ma a volte si nutre anche di rettili, mammiferi, nidiacei, frutta e bacche. Gregario in migrazione, diventa invece territoriale nel periodo di nidificazione. È un nidificante piuttosto comune in molte delle aree boscate dell’Europa, assente solo nella tundra e nella steppa brulla. E’ raro nelle Isole Britanniche (W. S. Clark, 2003).

Distribuzione e stato di conservazione in Italia In Italia è regolarmente distribuito sulle Alpi, con maggiori densità in ambito prealpino. Molto localizzato in Pianura Padana, regolarmente diffuso nell’Appennino tosco-emiliano, diviene più localizzato in Italia centro- meridionale, a sud fino a Campania e Basilicata. Le densità rilevate variano tra 4,3-11 coppie / 100 km2sulle Alpi e 3,5-10 coppie / 100 km2 in Italia centrale;più frequentemente densità di 1 cp. / 100 km 2. L’estrema elusività della specie rende difficile una stima della consistenza della popolazione italiana complessiva, stimata in 600-1000 coppie. Areale storico di nidificazione senza apparenti sostanziali differenze. (P. Brichetti & G. Fracasso, 2003; F.Sergio & Penteriani, 2002). La specie rientra nella categoria “vulnerabile” dell’IUCN (E.Calvario, M. Gustin, S. Sarrocco et alt., 1999).

123 Distribuzione e stato di conservazione nel Lazio con specifico riferimento alla Provincia di Viterbo La distribuzione nel Lazio è abbastanza frammentaria ed interessa tutte le cinque province della regione: aree di pianura, collinari e montane del Lazio settentrionali; aree preappenniniche ed appenniniche; aree prossime alla costa nel Lazio meridionale. In un’area collinare di 850 km 2 del Lazio settentrionale è stata riscontrata la densità di 1 coppia / 28,3 km2. Il numero di coppie nidificanti nella regione è stato stimato prossimo al valore di 100. Risulta presente con “nidificazione eventuale” nelle località Ponte San Pietro e Soriano nel Cimino; con nidificazione probabile a San Martino al Cimino, Ronciglione e Tarquinia; nidificazione certa nelle località La Farnesiana e Civitella Cesi. I dati raccolti presso la Riserva Naturale di Monte Rufeno dal 1996 confermano la presenza della specie durante l’intero periodo di nidificazione, per cui si può ritenere probabile la nidificazione della specie in loco.

Distribuzione e stato di conservazione nel sito Esistono diversi lavori riguardanti l'avifauna presente nella Riserva Naturale di Monte Rufeno; nel 1995 viene pubblicato dalla SROPU l'Atlante degli uccelli nidificanti nel Lazio, contenente i dati raccolti tra il 1983 ed il 1986, con l'integrazione di ulteriori dati raccolti fino al 1994: Pernis apivorus non risulta nidificante nell'area. Nel 1996 il progetto atlante dell'avifauna nidificante presso la Riserva Naturale di Monte Rufeno [Papi & Bellavita, 1996] evidenzia la presenza nell'area di 1-2 coppie nidificanti. Inoltre tra il 1995 ed il 2003 ci sono stati numerosi avvistamenti che ne confermano la presenza [Papi et al.]: tra marzo e luglio 1996 presso le località Miccia, Vitabbieti, Frana Vitabbieti e S. Antonio; nell' agosto del 1997 presso il campo sportivo di Torre Alfina; per il 1998, 1999 e 2000 non si hanno dati; tra giugno e luglio 2001 torretta Monte Rufeno, Mulinaccio e Macchione; tra marzo e agosto 2002 tra Morto del Loto, Vill'Alba, Torretta Monte Rufeno e Felceto; marzo e giugno 2003, presso loc. Pianacce e Tigna. Il lavoro di monitoraggio svolto nell'anno 2004, conferma la presenza dei pecchiaioli in periodo di nidificazione. Il primo avvistamento risale al 21/05, presso località Sant'Anna, dove ne sono stati contati 5. Dopo questa data gli avvistamenti si sono ripetuti, e la loro distribuzione farebbe pensare all'esistenza di due coppie nidificanti abbastanza vicine, che occupano l'area delimitata a sud dai Pod.i Sant'Anna e Pianacce, a Nord dalla località Frana Vitabbieti e Morto del Loto. In entrambi i casi si può parlare solo di nidificazione eventuale.

Considerando che: • la specie viene osservata da diversi anni con regolarità in periodo riproduttivo nella stessa area; • tale area non è soggetta a modificazioni strutturali, né ad un particolare disturbo antropico, né a particolari forme di inquinamento (acustico, delle acque, etc.);

124 • l'area interessata dalla nidificazione e le aree potenzialmente idonee non sono in declino né rischiano di declinare in un futuro prevedibile; non si evidenziano rischi immediati per la conservazione della specie nella zona. Nonostante questo sono necessari degli interventi volti a diminuire il rischio di fallimento della nidificazione (es. incendi) ed a migliorare o creare gli ambienti idonei soprattutto all'alimentazione della specie.

4.6.4. Biancone (Circaetus gallicus)

Caratteristiche della specie e distribuzione nell’areale Aquila caratteristica di medie dimensioni (lunghezza:59-65 cm; apertura alare 165-188 cm; peso 1,2-2,3 kg) facilmente riconoscibile per la testa e la parte anteriore del petto scuri che contrastano con il resto del corpo più chiaro. Predilige ambienti misti con ampi tratti aperti steppici o rocciosi, alternati a foreste. Si nutre principalmente di serpenti e lucertole; caccia principalmente trascorrendo molto tempo in spirito santo o librandosi, ma anche stando su alti posatoi. E’ vocifero solo durante il periodo di nidificazione. E’ allevato un solo pulcino l’anno. Nidifica in Marocco e Algeria settentrionali, Spagna, Francia meridionale, localmente in Italia ed Ex-Jugoslavia, in Grecia, Turchia, Israele, nel Caucaso meridionale, in Ucraina, Russia, Bielorussia e nella Polonia orientale. La maggior parte della popolazione migra in Africa, in un’area a sud del Sahara, per passarvi l’inverno.

Distribuzione e stato di conservazione in Italia Si hanno scarse informazioni per quanto riguarda la distribuzione e densità delle coppie riproduttrici in Italia, ma si stima che siano presenti circa 400 coppie. I due nuclei principali di presenza della specie sono rappresentati dalla Maremma tosco-laziale e da una vasta porzione delle Alpi occidentali, comprendente la Liguria, il Piemonte, e la Valle d’Aosta. La specie è presente anche in altre aree dell’Appennino: Molise, Gargano, Cilento, Basilicata e Calabria. La specie è classificata a status sfavorevole in Europa (SPEC3: rara). Il maggior fattore limitante per la specie è rappresentato dalla riduzione degli habitat di caccia elettivi, dovuta soprattutto alle attuali modifiche delle pratiche agro-pastorali. I tagli forestali, l’elettrocuzione su linee elettriche a media tensione, la persecuzione diretta e l’uso di bocconi avvelenati rappresentano ulteriori cause di decremento della popolazione.

Distribuzione e stato di conservazione nel Lazio con specifico riferimento alla Provincia di Viterbo Nel Lazio il Biancone occupa soprattutto una vasta area di circa 150.000 ettari della maremma laziale, fra Cerveteri, Civitavecchia e Tarquinia e presenta coppie isolate in altre zone adatte. La consistenza numerica può essere stimata in 20-30 coppie. Il Biancone è inserito nelle Lista rossa nazionale(Frugis e Schenk, 1981) in quanto ritenuto vulnerabile per le particolari esigenze

125 ecologiche. Le notizie circa la presenza storica nel Lazio sono scarse, ma tendono a confermare una distribuzione più ampia sia in senso geografico che altitudinale: era nidificante agli inizi del secolo nei boschi di pianura di Castelporziano e Castel Fusano, forse nel Parco del Circeo e in molte zone della campagna romana attualmente frequentate solo durante la migrazione. La specie ha subito un forte calo numerico ed una notevole contrazione di areale soprattutto a causa della distruzione delle grandi selve di querce caducifoglie e Leccio dell’antiappennino e della campagna romana, nonché della trasformazione dei pascoli in colture agricole intensive. Nella provincia di Viterbo è segnalato con “nidificazione eventuale” nell’area di Acquapendente (anche se i dati raccolti in luogo dal 1996 confermano una nidificazione certa), Ponte San Pietro, San Giuliano, Vetralla, Ronciglione; con “nidificazione certa” nell’area di Tarquinia, La Farnesiana e Monte Romano.

Distribuzione e stato di conservazione nel sito Dal 1995 ad oggi sono stati svolti diversi studi riguardanti la nidificazione della specie nella Riserva di Monte Rufeno. L'Atlante degli uccelli nidificanti nel Lazio (1995, SROPU), contenente i dati raccolti tra il 1983 ed il 1986, con l'integrazione di ulteriori dati raccolti fino al 1994 testimonia una "eventuale nidificazione" nell'area di Proceno, prossima ad Acquapendente. Il progetto atlante dell'avifauna nidificante presso la Riserva Naturale di Monte Rufeno (1996, Papi & Bellavita) accerta la nidificazione di una delle due coppie presenti nell'area in esame, presente tra la metà di marzo e la metà di settembre. Inoltre tra il 1995 ed il 2003 ci sono stati numerosi avvistamenti di tali specie che ne confermano la presenza [Papi et al.]: luglio e agosto 1995, presso le loc. di Vitabbieti, Monte Petrocco e Aquilonaccio; -da inizio marzo a fine settembre 1996 nelle località Vitabbieti, S. Anna, Marzapalo, Procoio, Olivena, L'Aquilone, Fosso Alto; tra marzo e ottobre 1997 presso Palombaro, Fosso Alto, Macchia Bruciata; per il 1998 non si hanno dati; agosto 1999 presso loc. Bandita; tra l'aprile ed il settembre del 2000 presso Olivena, Torretta Monte Rufeno e Bandita; tra marzo ed agosto 2001, presso Bandita, S. Anna, Giardino - Cancello, Paradisino, Marzante; marzo e aprile 2002 in loc. S.Anna e Bandita; tra marzo ed agosto 2003 in località S. Anna, Torretta Monte Rufeno, Acquapendente, tra Barlettara e Poppatoio, 1 km Sud Trevinano lungo strada. Dal mese di marzo 2004 è stato svolto un lavoro per censire le coppie nidificanti. Grazie ad una serie di punti di avvistamento, si è monitorata la maggior parte del territorio interessato da ZPS; si sono raccolti dei dati settimanalmente riguardanti le specie avvistate in loco e il loro comportamento. E' stata rilevata la presenza di una coppia, nell'area compresa tra Pod.e di Procoio, Pod.e Sant'Anna a sud e Pod.e Marzapalo e Cava dei Bianchi a nord. Dopo un primo avvistamento di un singolo individuo la prima settimana di aprile in località Sant'Anna, il 15 dello stesso mese nella stessa località è stata osservata una coppia in parata nuziale. Successive osservazioni ne confermano la permanenza. Questo ci permette di sostenere la nidificazione probabile della coppia. Un'ulteriore conferma all'ipotesi di nidificazione è l'area

126 occupata, la medesima degli anni passati. Infatti il biancone tende a rioccupare i nidi passati o ad occupare o costruire nuovi nidi nelle medesime aree degli anni precedenti. Avvistamenti esterni al lavoro di censimento segnalano la presenza sporadica di qualche individuo nell'area compresa tra Pod.e Palombaro, Pod.e Monaldesca e Greppe della Maddalena. Ma non essendo stato osservato nessun comportamento indice della presenza di una coppia, possiamo indicare l'area come interessata da un'eventuale nidificazione. Considerando che: - la specie nidifica da diversi anni nella stessa area; - tale area non è soggetta a modificazioni strutturali, né ad un particolare disturbo antropico, né a particolari forme di inquinamento (acustico, delle acque, etc.); - l'area interessata dalla nidificazione e le aree potenzialmente idonee non sono in declino ne' rischiano di declinare in un futuro prevedibile; non si evidenziano rischi immediati per la conservazione della specie nella zona. Nonostante questo sono necessari degli interventi volti a diminuire il rischio di fallimento della nidificazione (es. incendi) ed a migliorare o creare gli ambienti idonei soprattutto all'alimentazione della specie.

4.6.5. Succiacapre (Caprimulgus europaeus)

Fenologia, distribuzione e habitat riproduttivo Specie paleartica. E’ migratore regolare, estivo, nidificante e svernante irregolare. L’areale riproduttivo include tutta la penisola e le isole maggiori, ma la specie risulta assente dai rilievi montuosi più elevati, dalla Pianura Padana orientale e da porzioni di regioni meridionali a scarsa copertura arborea (Salento, Sicilia meridionale). Nel Lazio è presente dalle zone a ridosso della fascia costiera fino a quote intorno ai 1500 m. Gli ambienti riproduttivi sono caratterizzati da aree in cui zone boschive si alternano ad aree cespugliate e zone aperte (pascoli, radure, zone prative) spesso in situazioni che per caratteristiche del suolo o di esposizione risultano asciutte. La densità dei nidificanti è in genere non elevata: in un’area della Toscana centrale sono stati osservati 0,01-0,1 maschi per 10 ha (Consani e Tellini Florenzano 2001). Nel Lazio gli arrivi nelle aree di nidificazione si collocano intorno alla fine di aprile; le partenze autunnali avvengono verso metà settembre.

Situazione europea e nazionale La popolazione europea è stimata in 223921-264419 coppie (Hagemeijer e Blair 1997). Il Succiacapre è una SPEC 2 (Species of European Conservation Concern), cioè una specie le cui popolazioni globali sono concentrate in Europa e che godono di uno sfavorevole stato di conservazione (Tucker & Heath 1994). La popolazione nazionale di origine sub-sahariana si aggira sulle 5000-15000 coppie (Meschini e Frugis 1993) ma è forse sottostimata a causa delle difficoltà di censimento della specie. E’ inserito nella Lista rossa nazionale (LIPU e WWF

127 1999) come specie a più basso rischio. Non sono disponibili stime sugli effettivi svernanti, presenti irregolarmente nella porzione meridionale della penisola.

Distribuzione e stato di conservazione nel sito Nella ZPS e nelle sue immediate vicinanze la specie sembra godere di un buono status complessivo. La specie è stata censita in tre dei sette punti effettuati all’interno della ZPS, riconfermando tra l’altro la segnalazione del 1996 in località Lanetta. Inoltre la specie è stata censita in tutti i punti situati a ridosso delle formazioni boschive della ZPS ma collocati esternamente ai suoi confini. Anche in questo caso è stata riconfermata la segnalazione avvenuta in località S. Angelo nel 2001. La specie non è stata censita invece nei due punti effettuati nel SIC ‘Il Sasseto’ e nella vicina stazione Caselle-Giardino. Per questi tre punti occorre notare però che i censimenti si sono svolti il 7 giugno in una nottata di forte vento. Poiché in simili condizioni l’attività canora del Succiacapre si interrompe (Consani e Tellini Florenzano 2001), il mancato rilevamento della specie non può essere assunto come sua assenza. Ciò può essere particolarmente vero per il sito Caselle-Giardino dove il Succiacapre era stato censito ripetutamente in anni recenti. Tralasciando questi tre punti, i dati raccolti confermano la preferenza della specie per ambienti a mosaico in cui superfici boschive si alternano ad ambienti aperti. Infatti la specie è risultata assente in quattro punti posti nelle zone a più densa copertura boschiva della ZPS ed è stata trovata al contrario in tutti i sei punti di confine tra formazioni boschive e zone aperte (due interni e quattro esterni alla ZPS). Anche l’altro punto in cui la specie è stata rilevata (località Lanetta), pur essendo situato dentro le zone boschive, è caratterizzato dalla presenza di radure e zone aperte cespugliate.

4.6.6. Tottavilla (Lullula arborea)

Fenologia, distribuzione e habitat riproduttivo Specie europea. Migratrice regolare, nidificante e svernante. Nel territorio nazionale si rinviene dal piano fino ai 2000 m s.l.m. risultando più scarsa in alcune regioni settentrionali e in Puglia. Nel Lazio la popolazione nidificante risulta ben distribuita nella fascia collinare, pedemontana e montana. Occupa praterie montane e soprattutto zone ecotonali, pascoli cespugliati e zone aperte a ridosso di rimboschimenti. La popolazione italiana è stanziale, ma la penisola è interessata al passaggio e allo svernamento di individui delle popolazioni nord-nordorientali.

Situazione europea e nazionale La popolazione europea è stimata in 1050376-2239048 coppie (Hagemeijer e Blair 1997). La Tottavilla è una SPEC 2 (Species of European Conservation Concern), cioè una specie le cui popolazioni globali sono concentrate in Europa

128 e che godono di uno sfavorevole stato di conservazione. Meschini e Frugis (1993) stimano in 20000-40000 coppie la popolazione nazionale.

Distribuzione e stato di conservazione nel sito Nella ZPS ‘Monte Rufeno’ i dati raccolti destano una certa preoccupazione perché la specie è stata rinvenuta solo in uno dei cinque punti in cui era stata trovata nel 2003 (località Tigna) e solo in due degli 11 punti in cui era stata osservata tra il 1996 e il 2003 (località Tigna e Querciabuca). Comunque, occorre osservare che la specie è stata censita anche in un punto in cui non era mai stata segnalata in precedenza (cancello a nord di Tigna verso il confine regionale con l’Umbria) e che un totale annuale di tre siti di presenza della specie rientra nel range degli anni precedenti che è variato tra tre a sei siti annuali. D’inverno la specie non è stata censita nella ZPS, ma un gruppo di 15 individui è stato osservato il 16 gennaio nella Piana del Mazzante non distante dai confini del SIC ‘Medio corso del Fiume Paglia’. Nel SIC ‘Il Sasseto’ la specie non è stata censita in periodo riproduttivo a conferma della mancanza di segnalazioni degli anni precedenti. Viene riconfermata, però, la presenza nelle zone limitrofe (località Giardino-Caselle) dove sono stati censiti tre maschi in canto (Papi com. pers.). I siti in cui la Tottavilla è stata rilevata nella ZPS ‘Monte Rufeno’ sono collocati tra i 650 e 690 m s.l.m. ossia verso le quote maggiori della ZPS. Nel zone Giardino-Caselle, invece, le quote di rinvenimento della specie oscillano tra i 350 e i 450 m s.l.m. Tutti i siti di rilevamento sono caratterizzati dalla presenza di aperture (radure, zone prative, giovani oliveti, pinete diradate) nella superficie boschiva.

4.6.7. Averla piccola (Lanius collurio)

Fenologia, distribuzione e habitat riproduttivo Specie paleartica. E’ migratrice regolare e nidificante, diffusa ovunque nel territorio nazionale ad eccezione della Puglia e della Sicilia. E’ tipica di ambienti aperti con alberi e arbusti sparsi. In agosto-settembre migra verso l’Africa sub- sahariana, ritornando nelle aree di riproduzione in aprile maggio, rioccupando spesso il territorio dell’anno precedente.

Situazione europea e nazionale La popolazione europea dell’Averla piccola si aggira sulle 2610000-3685000 coppie (Hagemeijer e Blair 1997). E’ una SPEC 3 (Species of European Conservation Concern), cioè una specie le cui popolazioni non sono concentrate in Europa, ma che godono di uno sfavorevole stato di conservazione (Tucker & Heath 1994). In diminuzione anche in Italia, dove la popolazione ammonterebbe a 30000-60000 coppie (Meschini e Frugis 1993).

129 Distribuzione e stato di conservazione nel sito Nella primavera 2004, la specie non è stata trovata nei due siti in cui era stata censita nel periodo 1996-1998 né è stata osservata in altre zone della ZPS Monte Rufeno e del SIC ‘Il Sasseto’. Inoltre non ci sono segnalazioni recenti della specie nella ZPS e nel SIC (Papi com. pers.). Apparentemente, quindi, la specie si sarebbe estinta a livello locale.

4.6.8. Magnanina (Sylvia undata)

Fenologia, distribuzione e habitat riproduttivo Specie mediterranea. In Italia è residente e migratrice a corto e medio raggio, assente come nidificante nelle regioni settentrionali. Nel Lazio si riproduce in poche località in ambienti di macchia mediterranea degradata. Frequenta brughiere, garighe e macchie.

Situazione europea e nazionale La popolazione europea della Magnanina è stimata in 2025456-3635791 coppie (Hagemeijer e Blair 1997). E’ una SPEC 2 (Species of European Conservation Concern), cioè una specie le cui popolazioni globali sono concentrate in Europa e che godono di uno sfavorevole stato di conservazione. (Tucker & Heath 1994). In Italia la popolazione si aggira sulle 10000-30000 coppie (Meschini e Frugis 1993).

Distribuzione e stato di conservazione nel sito La specie non è stata trovata nel sito in cui era stata censita nel 1988 né è stata osservata in altre aree della ZPS Monte Rufeno e del SIC ‘Il Sasseto’ dove, tra l’altro, non ci sono segnalazioni di Magnanina da diversi anni (Papi com. pers.).

4.7. MAMMOLOFAUNA

4.7.1. Lontra (Lutra lutra)

Caratteristiche della specie e distribuzione nell’areale La lontra (Lutra lutra), è un Carnivoro ad ampia distribuzione geografica, distribuito nella regione paleartica ed orientale, presente in tutta l’Europa, dall’Artico al Mediterraneo e dall’Irlanda verso est fino all’Asia e al Giappone, con esclusione dei territori settentrionali della Siberia e di gran parte della Penisola Arabica e Indiana, tuttavia con popolazioni molto frammentate e localizzate (Council of Europe, 1996; Mitchell-Jones et al., 1999; Spagnesi, 2002). Animale sociale, strettamente legato agli ambienti acquatici con ricchezza di risorse alimentari (pesci e anfibi) e buona copertura vegetale (per siti di rifugio), territoriale di abitudini solitarie con rapporto di coppia limitato al periodo dei

130 corteggiamenti, vive su ambiti relativamente estesi (aree vitali da 14 a quasi 60 kmq) con spostamenti giornalieri piuttosto ampi (in media 5 km, ma anche oltre 10 km) (cfr. per tutti Prigioni, 1997). Il declino delle popolazioni di lontra registratosi nel XIX e XX secolo, soprattutto nella Europa sud-occidentale e nell’Inghilterra, è stato causato da diversi fattori concomitanti: dall’inquinamento chimico (vd. contaminazione) delle acque e delle risorse preda, dal deterioramento e dalla frammentazione dell’habitat (canalizzazione corsi d’acqua, rimozione vegetazione riparia, dighe e sbarramenti) ma anche e forse decisamente (localmente) dalle persecuzioni dirette dell’uomo, nonché da mortalità stradale (Council of Europe, 1996; Prigioni, 1997).

Allo stato attuale la lontra è diffusa soprattutto nell’Europa centro-orientale, con “popolazioni abbondanti e sane” ma con “i rischi che l’evoluzione degli ex paesi comunisti verso una economia di mercato è suscettibile di far pesare sul loro ambiente” (da Council of Europe, 1996); presenta inoltre segni di ripresa nell’Europa settentrionale, mentre permane molto rara e minacciata di estinzione soprattutto nell’Europa meridionale (Council of Europe, 1996; Mitchell-Jones et al., 1999). La lontra, specie considerata “vulnerabile o localmente in pericolo” (I.U.C.N., 1996), è inserita nell’allegato II (specie strettamente protetta) della Convenzione di Berna (Convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa, firmata a Berna il 17.09.1979) sotto l’egida del Consiglio d’Europa e ratificata dall’Italia con Legge 5 agosto 1981 n. 503, è inserita nell’allegato IV (specie di interesse comunitario che richiede protezione rigorosa, con proibizione di cattura, uccisione, disturbo, detenzione, trasporto, scambio e commercializzazione) della Direttiva comunitaria Habitat 92/43/CEE recepita dall’Italia con DPR 8 settembre 1997 n. 357; è inoltre inserita nella appendice I (specie in pericolo di estinzione) della CITES Convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione (Washington, 1973) recepita dall’Italia con Legge 19 dicembre 1975 n. 874 ed a livello europeo con regolamento 338/97/CEE (ivi inclusa in allegato A: specie il cui commercio è generalmente vietato) ed è specie particolarmente protetta in base alla Legge 11 febbraio 1992 n. 157. Oggi in Europa il futuro della lontra è legato ad opportune azioni per la sua conservazione, attraverso un impegno congiunto e coordinato di tutte le Nazioni (vd. Linee guida: Council of Europe, 1996).

Distribuzione e stato di conservazione in Italia La lontra in Italia, ritenuta comune e diffusa nei corsi d’acqua delle Penisola fino ai primi del XX secolo (Ghigi, 1911), nel corso del secolo scorso ha subìto una drastica rarefazione fino a renderla oggi tra i mammiferi più minacciati di estinzione del nostro Paese. Già da una inchiesta del 1971-73, la distribuzione della specie appariva molto discontinua nell’Italia settentrionale, ancora piuttosto ampia nell’Italia centro- meridionale, con popolazioni scarse o molto scarse e in progressiva diminuzione (Cagnolaro et al., 1975).

131 Ad alcune verifiche puntuali (Wayre, 1976; Macdonald-Mason, 1983) faceva allora seguito il primo (e tuttora unico) censimento diretto di presenza della lontra condotto su tutta la Penisola nel 1984-85, dal quale emergeva confermata una situazione allarmante della specie, molto rarefatta ed ormai localizzata soprattutto in fiumi dell’Italia centro-meridionale, in molte aree gravemente minacciata o già sull’orlo dell’estinzione (Cassola, 1986). Oggi la lontra, nonostante le diverse analisi, proposte e indicazioni di intervento (vd. Cassola, 1986; AA.VV., 1993; Prigioni, 1997; Reggiani et al., 1997; G.L.L.I., 1998) resta tra i Mammiferi terrestri più minacciati d’Italia, considerata nella Lista Rossa dei Vertebrati italiani come specie “in pericolo in modo critico”, con una stima di circa 100 esemplari su un areale frammentato e con piccole popolazioni isolate (Canu, 1998; Bulgarini et al., 1998): sopravvive in fiumi soprattutto dell’Italia meridionale (Sele, Calore, Agri e Basento), mentre in quelli dell’Italia centrale è da ritenersi quasi estinta o prossima all’estinzione (Farma- Merse, Fiora) (Prigioni, 1997; Spagnesi, 2002). Obiettivo urgente per la lontra è quello di un suo apposito Piano di Azione o Action plan di conservazione a livello nazionale, la cui redazione è già stata prevista (G.L.L.I., 1998).

Distribuzione e stato di conservazione nel Lazio con specifico riferimento alla Provincia di Viterbo Sino alla fine del XIX ed ancora ai primi del XX secolo la lontra era presente, anche se non più abbondante e in rarefazione, in molti corsi fluviali ed ambienti umidi del Lazio, così nell’Alto Lazio (Reggiani et al., 1986), nel territorio Romano (Reggiani et al., 1986; Tinelli & Tinelli, 1986), nel Reatino (Cammerini, 1986) e nel Lazio meridionale (Canu-Penteriani, 1986). Nel Viterbese, in particolare, la lontra era indicata presente ai primi del ‘900 nei comuni di Corneto, Tarquinia, Viterbo, Soriano (Ghigi, 1911) e nei corsi d’acqua del Mignone, nel lago di Vico e sul Monte Cimino (Lepri, 1911). Sempre nel Viterbese, da inchiesta indiretta del 1971-73 la lontra veniva ancora segnalata nei bacini del Paglia, del Fiora, dell’Arrone, del Mignone e nei laghi di Bolsena e Vico (Cagnolaro et al., 1975), mentre un “censimento” di presenza analogamente svolto nel 1976-77 riportava la presenza della specie in 22 Comuni della Provincia di Viterbo (Pavan-Mazzoldi, 1983). Per limiti metodologici tale quadro risultava certamente ottimistico, se si considera che da un survey specialistico condotto poco dopo nel Lazio nel 1982, segni di presenza della lontra venivano riscontrati solo nel fiume Fiora e sull’Arrone (Macdonald-Mason, 1983). Successivamente, nell’ambito del censimento nazionale della lontra realizzato nel 1984-85, le ricerche condotte in tutto l’Alto Lazio documentavano la presenza della specie solo lungo il fiume Fiora ed il suo affluente Olpeta (Reggiani et al., 1986; Arcà, 1986), ivi ancora successivamente rilevata (Arcà- Prigioni, 1987; Calvario-Sarrocco, 1987); mentre risulta pure che “una coppia di lontre ha poi frequentato, fino all’alluvione dell’autunno 1987, un sistema di canali di bonifica posto nella Piana di Tarquinia e collegato ad una zona umida litoranea” (da Celletti, 1996). Alla fine degli anni ’90 la presenza della lontra nel Viterbese veniva ancora

132 indicata nel solo bacino del Fiora e suoi affluenti (Celletti, 1996; Prigioni, 1997), mentre dalle ultime indagini ivi svolte non sono stati più trovati segni di presenza della specie né nel tratto toscano (AA.VV., 2001), né in quello laziale del fiume ove sono però emerse ancora di recente, segnalazioni indirette e non verificate del mustelide (Calò, 2004).

Distribuzione e stato di conservazione nel sito Per approfondire le conoscenze sulla lontra nell’area di SIC/ZPS in oggetto, nel periodo compreso tra dicembre 2003 e luglio 2004 sono state svolte diverse indagini e verifiche, di tipo indiretto (bibliografico-documentale) e di tipo diretto (verifiche e ricerche di campo). Le indagini indirette hanno portato alla raccolta delle informazioni bibliografiche disponibili e delle notizie originali sul territorio e sulla presenza della lontra (riferita in particolare agli ultimi 30 anni) nel bacino del Paglia e suoi affluenti (tratto laziale e toscano limitrofo). I materiali bibliografici e i dati originali ed inediti raccolti e giudicati di diverso interesse specifico e di riferimento sono quelli citati nel presente lavoro. Le informazioni originali di orientamento e/o riscontro sull’area e sulla presenza della lontra, sono state ricercate e raccolte presso studiosi ed esperti della specie, presso Personale della Riserva Naturale di Monte Rufeno, in particolare Personale di vigilanza, Personale del Corpo Forestale dello Stato, pescatori e cacciatori operanti nell’area, ed attraverso contatti con la Provincia di Viterbo e Consorzio di bonifica della Val di Paglia.

Da questa indagine indiretta è emerso che la lontra era già rara nell’attuale area di SIC/ZPS nell’immediato ultimo dopoguerra del secolo scorso (Bedini, 1947), con sue ultime notizie e indicazioni di presenza negli anni ’70 (vd. Cagnolaro et al., 1975; Spagnesi-Cagnolaro, 1981; Pavan-Mazzoldi, 1983; Mariani-Inverni, 1986; Papi, 1998), non più riscontrata e citata presente a metà degli anni ’80 (Reggiani et al., 1986) e neppure successivamente e/o in tempi recenti (cfr. Baldetti et al., s.d.; Celletti, 1996; Papi, 1998). In ogni caso, per il bacino del Paglia e sue affluenze in territorio laziale vi sono diverse indicazioni ed informazioni passate e recenti che, nel confermare l’assenza della lontra, evidenziano comunque una certa qualità ambientale e possibile interconnessione dello stesso Paglia con altri bacini di presenza storica e/o attuale e potenziale della specie (cfr. Reggiani et al., 1986; Baldetti et al., s.d.; Papi, 1998; Tito Colombari, 2000; AA.VV., 2001; Taddei in presente Piano).

133

INDAGINI DIRETTE SVOLTE SULLA PRESENZA DELLA LONTRA NEL BACINO DEL FIUME PAGLIA E AFFLUENTI

Area di indagine: da confluenza Torrenti Senna e Rigo in tratto toscano, fino a Rio Fossatello (confine Umbria) (*) = % sito di Reggiani et al ., 1986

DATA SITO CONTROLLATO TRATTO ISPEZIONATO COINCIDENZA SITO PRESENZA LONTRA SITUAZIONE AMBIENTALE RILEVATORE gg/mm/aa località lato idrografico / ml % di sito (*) indici rilevati note generali e/o specifiche nominativo 04/01/2004 Paglia confluenza T. Senna dx / 600 nessuno buona portata idrica e med. ripariale Calò Paglia confluenza T. Rigo sx / 600 " buona portata idrica e sit. ripariale " Paglia confluenza T. Elvella sx / 600 " buona porta idrica e med. ripariale " Paglia confluenza T. Siele dx / 500 " buona portata idrica e med. ripariale " Paglia confluenza Fso. Stridolone dx / 500 100 " buona portata idrica e sit. ripariale " Paglia confluenza Rio Tirolle sx / 500 100 " buona portata idrica e med. ripariale " 22/02/2004 Paglia confluenza T. Rigo e sx / 800 " buona portata idrica e sit. ripariale " T. Rigo sx / 600 " buona portata idrica e med. ripariale " Paglia confluenza Rio Tirolle sx / 500 100 " buona portata idrica e med. ripariale " Paglia confl. F.so Subissone e dx / 800 100 " buona portata idrica e sit. ripariale " Subissone sx / 600 " buona portata idrica e scad. sit. ripariale " 04/04/2004 Paglia confluenza Fso. Stridolone dx / 500 100 " buona portata idrica e sit. ripariale " Paglia confluenza Rio Tirolle sx / 500 100 " buona portata idrica e med. ripariale " Paglia confl. F.so Subissone dx / 600 100 " buona portata idrica e sit. ripariale " Paglia confl. Rio Fossatello e sx / 400 100 " buona portata idrica e ott. sit. ripariale " Rio Fossatello dx / 600 " buona portata idrica e ott. sit. ripariale " 01/05/2004 Paglia confluenza T. Rigo sx / 800 " buona portata idrica e sit. ripariale " Paglia confluenza Rio Tirolle sx / 500 100 " buona portata idrica e med. ripariale " Paglia confl. F.so Subissone e dx / 800 100 " buona portata idrica e sit. ripariale " Subissone sx / 600 " buona portata idrica e scad. sit. ripariale " 04/07/2004 Paglia confluenza F.so Stridolone dx / 500 100 " buona portata idrica e sit. ripariale " Paglia confluenza Rio Tirolle sx / 500 100 " scarsa portata idrica e med. ripariale " Paglia confl. F.so Subissone dx / 600 100 " scarsa portata idrica e scad. sit. ripariale " Paglia confl. Rio Fossatello e sx / 400 100 " buona portata idrica e ott. sit. ripariale " Rio Fossatello dx / 600 " buona portata idrica e ott. sit. ripariale "

134 In dettaglio, il quadro di segnalazioni e riscontri storici circa la presenza della lontra sul Paglia è il seguente: - nel 1947, la specie era considerata già rara nel medio e basso corso del Paglia (Bedini, 1947); - nel 1972, vi sarebbe stata l’ultima segnalazione (una uccisione) della specie nel basso corso del Paglia sul Fosso Stridolone, seguita da poche altre uccisioni e segnalazioni nel tratto umbro del fiume fino al 1981 (Mariani- Inverni, 1986); - nel 1984-85, non sono stati rinvenuti segni di presenza della lontra nel bacino del Paglia ma sono stati comunque valutati 4 siti ancora buoni per la presenza della specie (Reggiani et al., 1986); - negli anni ‘90, i Manifesti del Gruppo di Lavoro Lontra Italia non hanno proposto alcun riferimento sulla specie per il bacino del Paglia (G.L.L.I., 1994 e 1998); - ancora negli anni ’90, confermata l’assenza della lontra nel fiume Paglia, esso è stato considerato potenzialmente idoneo per l’attuazione di un programma di reintroduzione della specie previa valutazione definitiva su aspetti di carattere specifico e generale (Baldetti et al., s.d.); - alla fine degli stessi anni ’90, il Paglia ed i suoi affluenti sono stati indicati ancora idonei per poter ospitare la lontra, previe misure di salvaguardia ambientale (eliminazione fonti di inquinamento soprattutto da metalli pesanti) e regolamentazione della pesca (Papi, 1998).

Le indagini dirette per la verifica della presenza della lontra nell’area di SIC/ZPS sono state svolte nel periodo compreso tra gennaio e luglio 2004 nella parte laziale del bacino del Paglia e suoi affluenti (Torrente Elvella, Torrente Siele, Torrente Stridolone, Rio Tirolle, F.so del Subissone, Rio Fossatello), ed in punti limitrofi nel territorio toscano (confluenza dei Torrenti Senna e Rigo). E’ stata utilizzata la stessa metodica adottata nel censimento nazionale di presenza della specie del 1984-85, consistente nella ricerca dei segni di presenza della lontra in numerosi “siti” di controllo, ove si ha potenziale marcaggio e/o presenza della specie, ciascuno percorso per almeno 600 ml. (cfr. Cassola, 1986). Tale metodo, applicato in modo puntuale su siti nell’area di indagine, è sostanzialmente analogo e riconducibile al “metodo standard” raccomandato dall’Otter Specialist Group dell’I.U.C.N./S.S.C. (Reuther et al., 2000). In ogni caso, vista anche la parziale corrispondenza di alcuni siti da controllare con quanti già ispezionati in precedenti indagini locali (su 11 siti controllati nella presente indagine, 4 siti corrispondono a quelli di Reggiani et al., 1986), l’obiettivo è stato pure quello di un confronto della loro qualità ambientale per la lontra, come allora valutata e come ora nuovamente valutabile con la medesima metodica (vd. Reggiani et al., 1986) e con stessa scheda di ricerca già adottata ed archiviata (Cassola, 1986; Reggiani et al., 1986). Lo schema riassuntivo dei siti in specifico controllati è in allegata tabella. In base a quanto emerso dalle diverse indagini, allo stato attuale si può affermare quanto segue: - nell’area indagata di SIC/ZPS, non sono stati rilevati segni di presenza della

135 lontra, né raccolte segnalazioni o indizi di sua presenza oltre quanto già noto; - di fatto, la lontra è confermata completamente estinta nel bacino (indagato) del Paglia e suoi affluenti; - nell’insieme, lo stato generale del bacino del Paglia e suoi affluenti in tratto laziale non appare drasticamente modificato rispetto a precedente indagine sulla lontra (Reggiani et al., 1986), anche se permangono fattori di alterazione (escavazioni/lavaggi di inerti presso alveo) e di possibile inquinamento (scarichi agro-zootecnici), già evidenziati e sottolineati da altri studi (cfr. Reggiani et al., 1986; Tito Colombari, 2000; Taddei in presente Piano); - in ogni caso, per quanto sopra e per quanto già valutato, si deve ribadire che le uniche prospettive per la lontra nel Paglia erano legate alla sopravvivenza della popolazione della specie nel Fiora qualora per questa vi fossero state le possibilità “di raggiungere dimensioni tali da poter rappresentare un centro di dispersione, o comunque fornire possibilità di prelievo” (Reggiani et al., 1986).

A tal proposito, si può comunque segnalare che recenti indagini svolte sulla lontra in territorio toscano nella provincia di Grosseto, dalle quali sono emerse tracce di presenza della specie nell’alto corso del fiume Ombrone, hanno rilevato potenzialità dirette di collegamento tra lo stesso Ombrone ed il Fiora, sulle pendici boscate del Monte Amiata nei pressi di Santa Fiora (AA.VV., 2001), dove vi sono pure concrete possibilità di collegamento tra lo stesso Alto Fiora e l’Alto Paglia (vd. a sud-ovest di S. Fiora: torrenti Senna e Siele) (così già Baldetti et al., s.d.).

4.7.2. Lupo (Canis lupus)

Caratteristiche della specie e distribuzione nell’areale Il lupo (Canis lupus), è un Carnivoro ad ampia distribuzione geografica, con areale originario che comprendeva un tempo gran parte dell’emisfero settentrionale e l’intero continente nord-americano ed euroasiatico. Animale sociale, adattabile a molti tipi di ambiente con diverso grado di copertura boschiva, vive in branchi gerarchicamente organizzati spesso in numero limitato di individui (2-7), con basse densità (1-4 individui/100 kmq.) su vasti ambiti territoriali (oltre 2.500 kmq.), alimentandosi in modo opportunistico di mammiferi selvatici o domestici predati, ma anche di carcasse, rifiuti e piccole quantità di frutta (Boscagli, 1985a; Boitani, 1986; Ciucci-Boitani, 1998); le zone forestali rappresentano (vd. in Italia) un ambiente di particolare importanza per la specie, soprattutto per la ridotta presenza umana che vi si registra (Genovesi-Duprè, 2002). Nel XIX secolo, le persecuzioni operate dell’uomo hanno progressivamente ridotto l’areale del lupo fino a causarne l’estinzione in quasi tutta l’Europa centrale e settentrionale e la drastica rarefazione in quella meridionale; la sopravvivenza di nuclei e la ricolonizzazione dall’Est ha consentito al lupo di

136 essere ancora oggi presente in diversa misura nell’Europa soprattutto orientale, in quella meridionale, su parte della Penisola iberica e limitatamente in quella scandinava (Promberger-Schroeder, 1993). Di recente, il lupo ha mostrato segni di ripresa in varie parti d’Europa dove viene riconquistando progressivamente nuovi spazi del suo areale potenziale di distribuzione (Promberger-Schroeder, 1993; Boitani, 2000). Il lupo è inserito nell’allegato II (specie strettamente protetta) della Convenzione di Berna (Convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa, firmata a Berna il 17.09.1979) sotto l’egida del Consiglio d’Europa e ratificata dall’Italia con Legge 5 agosto 1981 n. 503, è inserito nell’allegato D (specie di interesse comunitario che richiede protezione rigorosa, con proibizione di cattura, uccisione, disturbo, detenzione, trasporto, scambio e commercializzazione) della Direttiva comunitaria Habitat 92/43/CEE recepita dall’Italia con DPR 8 settembre 1997 n. 357; è inoltre inserito nella appendice II (specie potenzialmente minacciata) della CITES Convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione (Washington, 1973) recepita dall’Italia con Legge 19 dicembre 1975 n. 874 ed a livello europeo con regolamento 338/97/CEE ed è specie particolarmente protetta ai sensi della Legge 11 febbraio 1992 n. 157. Oggi, il futuro del lupo in Europa è legato sia all’impegno di ogni singolo Stato sia alla possibilità di realizzare uno sforzo coordinato di tutte le Nazioni che fanno parte dell’areale (effettivo e potenziale) della specie (Genovesi, 2002).

Distribuzione e stato di conservazione in Italia Il lupo in Italia, largamente diffuso nella intera Penisola fino alla metà del XIX secolo, ha fortemente ridotto il suo areale nella prima metà del XX secolo in seguito alla persecuzione umana, che è stata la causa della sua estinzione dalle Alpi e dalla Sicilia (Genovesi-Duprè, 2002). Nei primi anni ’70 del secolo scorso, il lupo sopravviveva solo in pochi e frammentati comprensori montani dell’Appennino centro-meridionale ma, grazie alle misure di protezione e sensibilizzazione adottate ed alle accresciute risorse preda (vd. reintroduzione ungulati, ed anche immissioni di cinghiali per scopi venatori), nel corso degli ultimi venti anni ha nuovamente espanso il suo areale (cfr. Boitani, 1976; Pavan-Mazzoldi, 1983; Boscagli, 1985b, 1985c; Boitani- Ciucci, 1993, Boitani-Ciucci, 1996). Oggi il lupo è stabilmente presente in tutta la catena appenninica, dall’Aspromonte fino alle Alpi marittime ed ha ricolonizzato anche aree alpine del Piemonte fino a raggiungere i confini meridionali della Valle d’Aosta (Genovesi, 2002; Genovesi-Duprè, 2002). Una stima relativamente recente, basata sulla estrapolazione di dati di aree di studio all’intero areale della specie, indica una presenza di 400-500 lupi in tutta l’Italia (Ciucci e Boitani, 1998).

Distribuzione e stato di conservazione nel Lazio con specifico riferimento alla Provincia di Viterbo Fino ai primi anni (metà) del secolo scorso, il lupo è stato ampiamente diffuso

137 nei principali territori appenninici e preappenninici dell’attuale Lazio, nonché in sue aree montuose piuttosto localizzate (Monti Lepini) o di bassa quota (comprensorio Tolfetano-Cerite), ove la presenza del carnivoro si è rarefatta ma comunque tuttora in diversa misura conservata (cfr. Boitani, 1976; Pavan- Mazzoldi, 1983; Boscagli, 1985b, 1985c; Boitani-Ciucci, 1993, Boitani-Ciucci, 1996; Verucci, 1998; Verucci-Russo, 2002; Esposito-Proietti, 2002). Nella provincia di Viterbo, il lupo ha avuto particolare diffusione probabilmente fino al XVIII-XIX secolo, con popolamenti in continuità con i territori della limitrofa Toscana, poi rarefattosi e scomparso come nel resto della Penisola a causa soprattutto delle persecuzioni umane (cfr. Boitani, 1976; Pavan-Mazzoldi, 1983; Boscagli, 1985a; Boitani, 1976). La diffusione storica e recente del lupo nel Viterbese - Alto Lazio è stata poco e solo relativamente indagata, considerata soprattutto in modo indiretto nel quadro di analisi e ricerche sulla specie a livello di areale vasto o del relativamente vicino comprensorio tolfetano-cerite (vd. Tassi, 1971; Arcà et al., 1985; Boscagli, 1985a, 1985c; Boitani, 1986; Francisci et al., 1991; Boitani- Ciucci, 1993; Francisci-Guberti, 1993; Boitani-Ciucci, 1996; Capizzi, 1996), in passato comunque considerata per i territori di Ischia di Castro e di Farnese (Calvario-Sarrocco, 1987; Calò, 1995a) e di recente esaminata per gli stessi territori nell’ambito del Piano di gestione di locali SIC/ZPS (Calò in AA.VV., 2004); poche sono invece le indicazioni specifiche per il territorio di SIC/ZPS in oggetto (Capizzi, 1996; Papi, 1998; Bellavita, 2004; Catalini, 2004).

Distribuzione e stato di conservazione nel sito Per approfondire le conoscenze sul lupo nel territorio di SIC/ZPS nel periodo compreso tra ottobre 2003 e luglio 2004 sono state svolte diverse indagini e verifiche, sia di tipo indiretto (bibliografico-documentale) che diretto (ispezioni di campo). Le indagini indirette hanno portato alla raccolta delle informazioni bibliografiche disponibili e di diverse notizie originali sul territorio e sulla presenza storica e recente del lupo (riferita in particolare agli ultimi 10 anni) nel comprensorio dell’Alto Lazio Viterbese. I materiali bibliografici e i dati originali ed inediti raccolti e giudicati di diverso interesse specifico e di riferimento sono quelli citati nel presente lavoro. Le informazioni originali di orientamento e/o riscontro sull’area e sulla presenza del lupo sono state ricercate e raccolte presso il Personale della Riserva Naturale di Monte Rufeno, naturalisti ed esperti locali, Personale della Amministrazione Provinciale di Viterbo e del Corpo Forestale dello Stato, veterinari e cacciatori operanti nell’area. Da questa indagine emerge che il lupo, diffuso e attivamente cacciato nel comprensorio di Monte Rufeno negli anni ’30 del secolo scorso, era ancora presente nell’area di Monte Rufeno negli anni ’60 (Bellavita, 2004) e che la “ricomparsa” del carnivoro nel territorio di Acquapendente, successiva ad una sua “ricolonizzazione” di territori ad ovest nel basso Grossetano, si evidenzia dalla fine degli scorsi anni ’80 e fino a tempi anche recenti (Papi, 1998; Bellavita, 2004; Catalini, 2004). In termini di inquadramento storico e generale, si può quindi riportare che:

138 - negli anni ’30 del secolo scorso il lupo era diffuso nel territorio di Monte Rufeno, in continuità/collegamento con la Selva di Meana ed il Monte Amiata, dove veniva cacciato (ivi pure la figura del “lupaio”) e localmente anche detto (significativamente?) “can guasto” (da indagine su vita contadina: rif. Bellavita, 2004); - tale presenza del lupo nel territorio di Monte Rufeno, con avvistamenti, danni ed abbattimenti della specie (ad es. loc. Vitabbieti e Felceto), è riportata fino agli anni ’60, quando il territorio viene abbandonato dagli agricoltori/allevatori che vi risiedevano (da indagine su vita contadina: rif. Bellavita, 2004); - successivamente, agli inizi degli anni ’70, viene sostenuto per la prima volta che lupi “in piccoli branchi o in sporadici individui isolati frequentano ormai più o meno regolarmente i , , Cimini e i Monti della Tolfa nell’Alto Lazio, sconfinando talvolta nella Maremma Toscana o nella stessa Campagna Romana.” (da Tassi, 1971); - ancora per la fine degli anni ’70 del secolo scorso si sostiene che “Also at the end of the seventies, in central Italy wolves recolonized a small mountain range south of Rome, and they also started moving from Latium northward into southern Tuscany, along the hilly coastal areas up to Grosseto plains.” (da Boitani-Ciucci, 1993); - per gli inizi degli anni ’80, vengono riportate uccisioni di una lupa (1980) presso Albinia (Grosseto) nonché di un lupo (gennaio 1981) nei pressi di Miemo (Pisa), mentre viene riferita l’esistenza di una decina di denunce di danni al bestiame domestico nel 1979 presso Manciano (Grosseto) (Cenni, 1985), aree geografiche ad occidente del territorio di SIC/ZPS oggetto di indagine; - alla metà degli anni ’80, si sostiene che sul lupo per “la bassa Toscana e l’Alto Lazio le stime si differenziano a causa del diverso rilevamento; sui Monti della Tolfa è certa la presenza di 6-8 individui … che si ritiene di poter aggiungere ad almeno altri 4-5 nell’alto viterbese, stima deducibile dagli abbattimenti di 8 avvenuti tra la provincia di Viterbo e la zona a S-E del lago di Bracciano (1977-1983); non sembrano disponibili dati per ipotizzare l’esistenza di nuclei stabili. Nella bassa Toscana, tra Colline Metallifere, Maremma e confine tosco-laziale esistono invece probabilmente due di questi nuclei, uno localizzato immediatamente a N del confine e l’altro a S del M. Amiata. Gli abbattimenti recenti sono 8. L’ipotesi più attendibile viene fissata per la Toscana meridionale a 8-12 esemplari” (da Boscagli, 1985c); - ancora a metà degli anni ’80, viene indicata per la prima volta la “possibilità di esistenza di un corridoio faunistico che leghi questo comprensorio (tolfetano-cerite-manziate) alla Toscana centrale, almeno per quanto riguarda il lupo”, e si riporta che sul lupo “negli ultimi tre anni sono state accertate uccisioni e segnalazioni attendibili, anche se sporadiche, lungo una fascia di entroterra che parte dalla Toscana centrale e arriva sicuramente a sud di Manciano (GR)” e si afferma che “le segnalazioni di lupi nel Lazio settentrionale sono localizzate a non più di 30-35 km dal confine con la Toscana (quindi a non più di 40 da Manciano)” concludendo che “le recenti segnalazioni di lupo in Toscana possono poi far pensare ad

139 una irradiazione dai Monti della Tolfa” (da Arcà et al., 1985); - per la fine degli anni ’80, viene riportato che “… in 1987, 12 wolves, most probably the entire local subpopulation, were killed by farmers and hunters of the Commune of Manciano (southern Tuscany): after a few years of increasing damages to live-stock, local people decided it was time to act by themselves, though illegaly. Numbers of killed animal did not reflect the numbers of wolves alive before, nor after, the actual reaction” (da Boitani- Ciucci, 1993); - ancora alla fine degli anni ’80, per la vicina area di Ischia di Castro viene indicato che “nel territorio dei comuni di Ischia di Castro, Manciano e Farnese, negli ultimi due anni sono stati uccisi almeno 5 lupi (ufficialmente denunciati) (Consulteco, 1985).” (Calvario-Sarrocco, 1987); - dalla fine degli anni ’80, in specifico nel territorio di Acquapendente (SIC/ZPS in oggetto) si iniziano ad avere segnalazioni (non confermate) della specie (Papi, 1998); - agli inizi degli anni ’90, viene sottolineato per la prima (unica) volta che per lo studio della distribuzione del lupo “va meglio circostanziata la funzione della valle della Nera e della regione vulsina che sembrano funzionare come corridoio e che connettono l’Appennino al complesso Toscana meridionale e Tuscia” (Francisci et al., 1991); - ancora nei primi anni ’90, viene ribadito che l’area di distribuzione del lupo in Italia “include inoltre importanti zone delle regioni collinari tra il Lazio settentrionale e la Toscana meridionale e centrale” (da Boitani-Ciucci, 1996); - negli stessi primi anni ’90, per la vicina area della Selva del Lamone si afferma del lupo che “in questa zona la presenza di questo carnivoro dev’essere considerata temporanea e saltuaria, in quanto le condizioni ambientali non ne permettono la permanenza per lunghi periodi.” (da Baragliu-Casi, s.d.), mentre viene ribadito che “intorno alla metà degli anni ’80 nei Comuni di Farnese, Manciano ed Ischia di Castro è stata denunciata ufficialmente l’uccisione di 5 esemplari di lupo.” e che “dalla fine degli anni ’80 in poi cessano di verificarsi le segnalazioni della specie nell’area” ed ancora che “la segnalazione più recente riguarda il territorio di Acquapendente, dove nel gennaio 1995 è stato ucciso un individuo; tale dato conferma la presenza, sia pure saltuaria e temporanea di un nucleo di lupo nel vasto territorio della bassa Toscana e dell’alto Lazio” (da Calò, 1995a); - nella seconda metà degli anni ’90, per il Viterbese, si afferma che la presenza del lupo “è accertata fino al 1989 nell’area compresa tra i Monti della Tolfa e Tuscania dove con buone probabilità è ancora presente un nucleo stabile di individui. Segnalazioni meno continue provengono dai Monti Cimini e dai valloni tufacei situati a Sud. Un altro settore di presenza stabile della specie è quello delle aree boscate al confine con le province di Siena e Grosseto. Da queste zone provengono notizie di numerose uccisioni illegali; l’ultimo abbattimento risale al 1994 nel comune di Acquapendente. Il centro di irradiazione della popolazione della Maremma tosco-laziale è peraltro da riferirsi al nucleo insediatosi sui Monti della Tolfa

140 intorno agli anni cinquanta. La dinamica delle popolazioni di Lupo sembra seguire delle fluttuazioni ascrivibili a successive fasi di colonizzazione – incremento numerico – aumento danni al patrimonio zootecnico – aumento delle persecuzioni – contrazioni – ricolonizzazione.” (da Capizzi, 1996); - per la fine degli anni ’90, in specifico nel territorio di Acquapendente oltre all’abbattimento di un lupo nel 1995 presso Trevinano, si hanno segnalazioni della specie nel 1996 e 1998 (vd. oltre) più o meno attendibili ed anche dirette da parte del Personale della Riserva Naturale di Monte Rufeno (Papi, 1998; Bellavita, 2004; Catalini, 2004); - infine negli ultimi anni, nel 2000, 2001 e 2003, sempre nel territorio di Acquapendente si sono ancora avute segnalazioni indirette e dirette della specie da parte del Personale della Riserva Naturale di Monte Rufeno (Papi, 1998; Bellavita, 2004).

In dettaglio, le suddette recenti segnalazioni dirette e indirette di presenza del lupo nel territorio (vasto) di SIC/ZPS in oggetto, sono le seguenti: - nel 1995, in gennaio, un lupo maschio di due anni abbattuto nei pressi di Trevinano (Papi, 1998); - nel 1996, primavera, osservazioni di due lupi nell’area circostante la Riserva Naturale di Monte Rufeno (Papi, 1998); - nel 1996, un probabile lupo visto (rispettato?) durante una “cacciarella” di cinghiale nella zona di Trevinano (rif. Catalini, 2004); - nel 1998, in marzo, un lupo avvistato in loc. Tigna nella Riserva Naturale di Monte Rufeno dal Guardiaparco Bellavita (in Papi, 1998; Bellavita, 2004); - nel 2000, il 28 marzo, uccisione di pecore e presunto avvistamento di lupo in loc. Podere delle Monache presso la Riserva Naturale di Monte Rufeno (tra SS Cassia e Trevinano) (rif. Bellavita, 2004); - ancora nel 2000, in novembre, uccisione di pecore attribuita a lupo in loc. Barlettara presso ingresso della Riserva Naturale di Monte Rufeno (rif. Bellavita, 2004); - nel 2001, uccisione di pecore attribuita a lupo in loc. Torre Alfina presso la Riserva Naturale di Monte Rufeno (rif. Bellavita, 2004); - ancora nel 2001, il 29 agosto, uccisione di pecore attribuita a lupo in loc. Casavecchia sotto Monte Rufeno nella omonima Riserva Naturale (rif. Bellavita, 2004); - nel 2003, in novembre, un probabile lupo avvistato in loc. S. Vittorio presso Torre Alfina nella Riserva Naturale di Monte Rufeno dal Guardiaparco Bellavita (Bellavita, 2004).

Alla luce di quanto sopra, in assenza di conoscenze puntuali sulla presenza del lupo nel territorio di SIC/ZPS, nel periodo tra gennaio e luglio 2004, ci si è innanzitutto predisposti a verificare ogni eventuale segnalazione della specie che potesse pervenire da fonti qualificate, appositamente attivate (Personale Riserva Naturale Monte Rufeno, veterinari e cacciatori delle zone), purtroppo senza che vi sia stata alcuna occasione di controllo. Al contempo, sono state comunque svolte alcune verifiche mirate (sopralluoghi e perlustrazioni) a carattere puntuale ed estensivo in diverse zone del territorio

141 di SIC/ZPS, ad integrazione di conoscenze personali pregresse. Nelle verifiche di campo si è utilizzato il cosiddetto “metodo naturalistico”, basato sulla ricerca e determinazione di segni di presenza certi e significativi (escrementi, tracce, segni di marcatura etc.) della specie (Boscagli, 1985a; Ragni et al., 1988), senza poter comunque impiegare altre tecniche che hanno nella nevosità (rara nell’area di studio) il loro presupposto applicativo (Boitani- Ciucci, 1999). Non si è inoltre potuto utilizzare il metodo di cosiddetto “wolf-howling” (Boscagli, 1985a), per l’impossibilità di avere le figure (più d’una) specialistiche necessarie da impegnare in un programma di adeguata attendibilità/ripetitività/ significatività, inattuabile nel quadro del presente lavoro. Sono state controllate con sopralluoghi e perlustrazioni lungo itinerari (in diverse giornate) le seguenti zone, scelte in base a considerazioni di possibile frequentabilità/idoneità per il carnivoro, disponibilità di sue risorse alimentari accessibili (ungulati selvatici e/o domestici), tranquillità generale e sue eventuali direttrici (corridoi boschivi) di spostamento: - nella Riserva Naturale di Monte Rufeno, loc. Torre Alfina–Pastorello (14.03.2004, 18.07.2004), Torrente Fossatello (14.03.2004, 18.07.2004), Fosso del Subissone (14.03.2004), Monaldesca (01.05.2004), senza aver rilevato segni di presenza della specie; - nell’area di Trevinano - Riserva Naturale di Monte Rufeno, Podere Pisciarello - Podere Tirolle (30.01.2004, 07.03.2004, 01.05.2004), Podere Pantano – Macchia dei Paicci (30.01.2004, 07.03.2004, 01.05.2004), senza aver rilevato segni di presenza della specie; - nell’area della Selva di Meana, loc. Podere Granaro – Fosso Rivareale (07.03.2004, 01.05.2004, 18.07.2004), senza aver rilevato segni di presenza della specie. - In base a quanto sopra, allo stato attuale si può affermare che: - il lupo frequenta in diverso modo e misura il territorio di SIC/ZPS da diversi anni, nell’ambito di sue direttrici di movimento ed aree di presenza relativamente stabile individuabili probabilmente tra Alto Lazio e comprensori di Monte Amiata e bassa Maremma toscana; - negli ultimi anni, la presenza del lupo è stata più volte segnalata (accertata/probabile) all’interno del territorio di SIC/ZPS (Riserva Naturale Monte Rufeno e Torre Alfina) ed in zone immediatamente limitrofe a nord- ovest (tra SS Cassia e Trevinano), mentre vi sono altre diverse indicazioni di presenza del carnivoro nei vicini territori occidentali dello stesso Alto Lazio e del Grossetano (cfr. Calò, 2004); - allo stato, non vi sono indicazioni (indirette e/o dirette) di presenza stabile, anche temporaneamente possibile, del lupo nel territorio di SIC/ZPS; - il territorio di SIC/ZPS è certamente idoneo alla presenza del lupo, per estensione/continuità di superfici boschive, presenza di risorse preda (ungulati selvatici e domestici), ambiti di scarsa antropizzazione e relativa tranquillità, collegamenti ambientali con la Bassa Toscana, in particolare con il comprensorio di Monte Amiata (vd. territori di Abbadia S. Salvatore, S. Fiora, Arcidosso) ma anche con l’area occidentale di basso Grossetano – Alto Lazio (vd. territori di Sorano, Pitigliano, Manciano, Ischia di Castro,

142 Farnese); - l’analisi della presenza e dello status del lupo nel territorio di SIC/ZPS in oggetto presuppone una conoscenza più vasta ed aggiornata della specie riferita alle suddette aree limitrofe, in alcune delle quali sono state già svolte recenti indagini specialistiche (Monte Amiata: Boscagli, 2004) o formulate considerazioni (SIC/ZPS Farnese e Ischi di Castro: Calò in AA.VV., 2004), ciò senza trascurare la necessità di conoscenze su altre zone relativamente collegate e/o di riferimento (vd. Selva di Meana in Umbria, Monti Volsini e Monti Cimini nel Viterbese); - in ogni caso, la verifica e valutazione puntuale del carattere della presenza e delle possibili direttrici di movimento del lupo nel territorio di SIC/ZPS necessita di indagini specialistiche mirate e ripetute, con tecniche adeguate (in particolare: “wolf-howling”).

In conclusione, lo stato di conservazione del lupo nel territorio di SIC/ZPS in oggetto può essere solo relativamente valutato, trattandosi di area di presenza probabilmente ancora instabile e ridotta della specie. Si deve comunque sottolineare il valore funzionale di questo territorio di SIC/ZPS posto in continuità con le aree vaste del lupo nella bassa Toscana, in particolare con i comprensori di Monte Amiata e di bassa Maremma - Alto Lazio occidentale, e che rappresenta un ambito quantomeno di fondamentale raccordo tra le suddette aree vaste ed altre zone storiche e/o attuali di possibile movimento/presenza del carnivoro nell’Italia centrale (vd. zone di Monti Volsini, Monti Cimini, Monti Sabatini ed anche Monti Sabini). Di fatto, lo stato di conservazione del lupo nel territorio di SIC/ZPS è quello di specie minacciata e comunque di specie “vulnerabile” (sensu letterale e IUCN, 1996), così come a livello europeo e nazionale (Boitani, 2000; Genovesi, 2002).

4.7.3. Chirotteri

Nonostante nelle schede Natura 2000 relative ai siti inerenti il presente Piano di Gestione non fossero indicati i Chirotteri, si è deciso effettuare una indagine breve, nella forma del survey speditivi, al fine di verificare la presenza di specie appartenenti a questo gruppo nell’area. A tal scopo il giorno 21 maggio 2004 con la collaborazione del personale della Riserva di Monte Rufeno, si è proceduto ad un’ispezione di potenziali rifugi dei chirotteri presenti. Sono state ispezionate cavità artificiali scavate nel tufo nei pressi del giardino botanico. All’interno di due di queste sono stati rinvenuti due individui di Rhinolophus ferrumequinum. Sono stati inoltre perlustrati casali abbandonati verificando la presenza di chirotteri e/o di resti di pasto e/o guano. In un casale sono state ritrovate tracce consistenti di guano e un chirottero appartenente alla famiglia dei Rinolophidae che non è stato possibile catturare e quindi determinare a livello di specie. Dalle misure prese sull’avambraccio fornite dal personale della riserva che aveva avuto modo di valutare la presenza di una colonia nei giorni precedenti alla visita, è possibile desumere che tale colonia fosse composta da R. ferrumequinum. Dalle tracce di guano e dalle

143 indicazioni fornite è presumibile che la colonia fosse composta da circa una trentina di esemplari. E’ possibile inoltre che oltre a R. ferrumequinum fossero presenti altre specie appartenenti alla stessa famiglia (sempre basandomi su indicazioni fornitemi dal personale della riserva). Nella stessa giornata è stato ispezionato il casale ora adibito a centro didattico. In diverse stanze del casale sono state rinvenute tracce di guano ed in una di queste sono stati contati tre individui di R. hipposideros. Dati bibliografici indicano la presenza di altre specie di chirotteri nell’area: Myotis emarginatus dato riportato in “ P. P. Crucitti, M. Andreini e M. Leopardi 1991. Una Comunità Trogofila di Chirotteri del Lazio Settentrionale (Italia Centrale) (CHIROPTERA). Atti Soc. ital. Sci. Nat. Museo civ. Stor. Nat. Milano. Vol 132 n. 8, pg 89-104”. A quanto risulta nella riserva non sono stati condotti studi sulla presenza di chirotteri sebbene l’area sembrerebbe offrire interessanti spunti per studi faunistici su questo gruppo. La sola visita effettuata e la scarsezza della bibliografia non sono pertanto sufficienti per fornire un quadro soddisfacente sul popolamento di chirotteri nella riserva. In base ai pochi dati raccolti verranno forniti suggerimenti gestionali puramente indicativi.

144 5. AMBIENTE ANTROPICO

L’analisi delle variabili socio-economiche oltre a rappresentare un elemento fondamentale nella definizione del contesto di riferimento, ha come obiettivo anche quello di evidenziare eventuali criticità del sistema territoriale in termini di sviluppo e di squilibri. Tale analisi è stata condotta sulla base di diverse fonti statistiche, riconducibili principalmente a dati ISTAT (censuari e non) ed ANCITEL1; inoltre, deve essere premesso che le informazioni ricavate fanno riferimento a periodi diversi (in alcuni casi al censimento del 1991), non essendo spesso disponibili dati più aggiornati perché ancora provvisori o incompleti. I potenziali impatti delle attività umane sui siti d’interesse sono trattati nel paragrafo 5.6.

Un ultimo aspetto delle analisi riguardanti l’ambiente antropico, riveste una particolare importanza in questa sede: si tratta del patrimonio storico-culturale, le cui molteplici interrelazioni con il patrimonio ambientale dell’area concorrono a definirne la peculiarità, oltre che a qualificarne lo sviluppo.

5.1. DEMOGRAFIA

Secondo il “XIV Censimento della Popolazione e delle Abitazioni” (ottobre 2001), la popolazione legale residente nel Comune di Acquapendente ammonta a 5.788 unità, pari al 2% della popolazione complessiva della Provincia di Viterbo.

Tabella 5.1.1. Popolazione residente, variazione % e densità demografica

Popol. Residente ab/kmq 2001 var % '91-'01 var % '81-'91 Acquapendente 5.788 -1,7 0,6 44,6 Provincia Viterbo 288.783 3,7 3,8 79,9 Fonte: ISTAT

La densità demografica2 dell’area è di 44,6 abitanti/km2, inferiore sia al dato provinciale (79,9 abitanti/km2), sia al totale regionale (297,1 abitanti/km2) ed indica un bassissimo livello di pressione antropica. Analizzando l’evoluzione demografica è possibile evidenziare le tendenze in atto (e gli eventuali squilibri) per ciò che concerne sia il movimento della popolazione che la sua struttura.

1 Si tratta del sistema informativo statistico-territoriale sugli Enti Locali dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani 2 Abitanti/Superficie territoriale.

145 Dal punto di vista della dinamica della popolazione, nel decennio 1981-1991 il numero di residenti era rimasto pressoché stabile (+0,6%), mentre negli ultimi dieci anni si è avuta una flessione in termini assoluti di 98 unità (da 5.886 a 5.788) pari al -1,7% in netta controtendenza rispetto a quanto verificato a livello provinciale, invece, gli ultimi due censimenti hanno rilevato un incremento costante della popolazione rispettivamente del 3,8% e del 3,7%. Con riferimento ai dati di fonte anagrafica (che, però, sovrastimano in genere la popolazione effettivamente censita), si riportano nella Tabella 5.1.2 i dati relativi al bilancio demografico al 31 dicembre 2002, che mostrano nell’ultimo anno un lieve incremento della popolazione residente nel comune. Bisogna sottolineare, inoltre, come su questo (al pari di quello provinciale) incida principalmente il saldo migratorio (inteso come differenza tra chi decide di risiedere nel territorio e chi decide di abbandonarlo): infatti, mentre il movimento naturale registra un saldo negativo di 38 unità (in linea con la tendenza nazionale di una riduzione costante del tasso di natalità), quello anagrafico ha avuto un saldo positivo (+56 unità), tanto da riuscire a compensare, in valore assoluto, il primo dato. Quest’ultimo fenomeno può essere spiegato con la tendenza abbastanza diffusa e generalizzata all’allontanamento dai centri urbani più grandi (e dai disagi tipici quali traffico, inquinamento, criminalità, ecc.) di un numero sempre più consistente di cittadini che scelgono di spostare la propria residenza in centri abitati di piccole dimensioni in contesti maggiormente vivibili e più convenienti da un punto di vista puramente economico.

Tabella 5.1.2. Bilancio demografico al 31/12/2002. Confronto tra dato comunale e provinciale

Movimento Movimento Popolaz. naturale anagrafico residente Nati Morti Saldo Iscritti Cancel. Saldo Acquapendente 45 83 -38 120 64 56 5.807 Prov. Viterbo 2.220 3.191 -971 8.090 5.075 3.015 291.153 Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

Secondo l’ultimo censimento, risiedevano nell’area 2.378 famiglie, pari al 2,1% dei nuclei familiari dell’intera provincia di Viterbo: rispetto al valore censito nel 1991, il numero delle famiglie risulta in crescita con una percentuale del 9,5% (in provincia di Viterbo questa percentuale sale al 13,5%). Per quanto riguarda il numero medio di componenti per famiglia, si è registrata invece una sensibile diminuzione (-11% circa) essendo passati dai 2,7 membri del 1991 ai 2,4 dell’ultimo censimento; anche a livello provinciale si è avuta, nello stesso periodo, una contrazione (seppur minore) da 2,7 a 2,5 unità, corrispondente in termini relativi al -7,4%.

Il dato relativo alla presenza di cittadini stranieri mostra come il totale di immigrati ufficialmente residenti nel comune ammontasse al 31 dicembre 2001 a 99 unità, corrispondenti, in termini relativi, all’1,7% della popolazione residente ad Acquapendente. Un altro elemento molto importante per l’analisi della struttura demografica dell’area riguarda la composizione della popolazione complessiva del comune

146 di Acquapendente per fasce di età (Tabella 5.1.3), da cui si rileva la netta prevalenza della componente anziana rispetto alla fascia giovane, con una quota di ultrasessantacinquenni molto più alta del valore provinciale.

Tabella 5.1.3. Composizione % della popolazione residente per fasce di età

0-14 15-64 65+ Totale Acquapendente 10,8 61,7 27,5 100,0 Prov. Viterbo 12,8 66,2 21,0 100,0 Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

Infatti, nel 2001 emergeva che la fascia di età di popolazione “giovane” (vale a dire fino a 14 anni) era costituita da 625 unità e rappresentava appena il 10,8% della popolazione, la fascia con età compresa tra i 15 e i 64 anni era composta da 3.751 unità (pari al 61,7% della popolazione residente), e che il restante 27,5% era costituito dalla popolazione con età superiore o uguale a 65 anni (1.592 unità).

Figura 5.1.I. Composizione % della popolazione residente per fasce di età

70 60 50 40 30 20 10 0 Acquapendente Prov. di Viterbo

0-14 15-64 65+

Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

Per delineare un quadro più rappresentativo della dinamica demografica vengono inoltre considerati i seguenti indici, i cui valori confermano un fenomeno d’invecchiamento della popolazione molto marcato:

1. indice di ricambio generazionale3; 2. indice di ricambio congiunturale4 3. indice di dipendenza5;

3 Rapporto tra la popolazione di 0-14 anni e la popolazione ultrasessantacinquenne, moltiplicato per 100. 4 Rapporto tra la popolazione in età compresa tra i 15 e i 24 anni e la popolazione tra i 55 ed i 64 anni, moltiplicato per 100.

147 Tabella 5.1.4. Indici strutturali della popolazione residente (%)

Indice Ricambio Ricambio Dipendenza generazionale congiunturale Acquapendente 39,3 74,5 62,1 Prov. Viterbo 61,1 90,1 51,1 Fonte: Elaborazione su dati ISTAT

L’indice di ricambio generazionale è pari al 39,3%, vale a dire che per ogni 100 anziani ci sono solo 39 giovani sotto i 14 anni: anche il dato riscontrato a livello provinciale evidenzia la prevalenza della componente anziana, ma con un valore decisamente superiore a quello comunale (63,6%). L’indice di ricambio congiunturale fornisce una stima del turnover che dovrebbe realizzarsi tra coloro che appartengono alla fascia di età presumibilmente corrispondente a quella di ingresso nel mondo del lavoro e le persone in età pensionabile. Ad Acquapendente il numero di giovani che si può affacciare sul mercato del lavoro è inferiore a quello dei lavoratori di età compresa tra 55 e 64 anni essendo pari rispettivamente a 496 e a 666 unità, con un rapporto percentuale del 74,5%. Anche in questo caso si registra una profonda differenza con il valore medio del viterbese dove si supera il 90%. Infine, l’indice di dipendenza consente di identificare il carico relativo della popolazione inattiva su quella presumibilmente attiva e mostra come circa 62 individui su 100 dipendano dal reddito prodotto da quelli in età compresa tra 15 e 64 anni, mentre in ambito provinciale tale rapporto scende a 50 persone su 100.

5.2. SCUOLA E ISTRUZIONE

Le informazioni relative al livello d’istruzione e alle istituzioni scolastiche presenti sul territorio sono molto utili per la caratterizzazione del tessuto sociale della comunità locale. I dati relativi al Censimento Generale del 1991 evidenziavano per il Comune di Acquapendente un indice di scolarizzazione superiore6 del 18,3%, di poco inferiore alla media provinciale (19,2%). Anche il livello d’istruzione superiore riportato può essere ricondotto alla consistente presenza di anziani nel comune e al progressivo invecchiamento della popolazione, in quanto, generalmente, sono le generazioni più giovani a conseguire titoli di studio superiori (non essendo costretti ad abbandonare gli studi in età scolare per cominciare a lavorare). Inoltre, devono essere considerati anche quei fenomeni di abbandono del proprio comune di origine da parte dei giovani più istruiti, costretti a trasferirsi altrove per poter trovare occupazioni maggiormente idonee al loro livello d’istruzione.

5 Rapporto tra la popolazione in età non attiva (0-14 anni e 65 anni e più) e la popolazione in età attiva (15-64 anni), moltiplicato per 100. 6 Rapporto tra laureati e diplomati sulla popolazione di età superiore a 6 anni.

148 La maggior parte della popolazione di età superiore a 6 anni possedeva al massimo il titolo di studio relativo alla licenza elementare ed alla scuola media inferiore (58,9%), mentre gli analfabeti erano il 3,9% (percentuale decisamente più alta di quella provinciale dove rappresentavano il 2,1%). Come precedentemente riportato, solo 18 persone circa su 100 erano in possesso di un titolo d’istruzione superiore: in particolare, i diplomati costituivano il 15,6% ed i laureati erano appena il 2,7%. Nel 1998, il numero totale di alunni e di classi era rispettivamente di 1.026 e 53 unità, con una media di 19 alunni per classe. Nella tabella seguente si riporta il dettaglio della distribuzione di classi e alunni per tipologia di scuola.

Tabella 5.2.1. Numero di classi e alunni per livello d’istruzione (1998)

Classi Alunni Scuola N° % N° % Materna 6 11,3 150 14,6 Elementari 11 20,8 196 19,1 Medie Inferiori 8 15,1 142 13,8 Medie Superiori 28 52,8 538 52,4 TOTALE 53 100,0 1.026 100,0 Fonte: Elaborazioni su dati Ancitel 1996

5.3. STRUTTURA ABITATIVA

Nel territorio comunale gli ultimi dati censuari del 2001 riportano un patrimonio abitativo complessivo di 2.615 abitazioni (pari all’1,8% del totale provinciale), di cui circa il 90% risulta occupato (contro una media provinciale del 76% circa). Rispetto ai valori del censimento del 1991, bisogna sottolineare come, a fronte di un aumento a livello provinciale del 7,2%, il patrimonio abitativo comunale risulti invece in calo con una percentuale del 5%.

Tabella 5.3.1. Censimento delle abitazioni (2001): valori assoluti e %

Abit. occupate Abit. non occ. Totale

Val. Ass. % Val. Ass. % Val. Ass. % Acquapendente 2.350 89,9 265 10,1 2.615 100,0 Prov. Viterbo 112.441 76,2 35.082 23,8 147.523 100,0 Fonte: ISTAT

Per il calcolo delle abitazioni ad uso vacanza si deve invece fare ancora riferimento al censimento del 1991, quando (con 339 abitazioni su 595) quest’ultime costituivano circa il 57% delle abitazioni non occupate (poco meno della media provinciale dove si supera il 60%). Bisogna evidenziare però che all’epoca del censimento, il rapporto tra case non occupate e case censite era molto diverso da quello odierno, in quanto erano quasi il 22%, contro il 10% del 2001.

149 Sempre nel 1991, le abitazioni occupate per motivi di studio o di lavoro erano 48, mentre risultavano non occupate e non utilizzate 193 case. Per quanto riguarda il livello di urbanizzazione, si registra un valore di densità abitativa comunale abbastanza basso, pari a 20,1 abitazioni/km2, circa metà del valore medio del viterbese (40,8 abitazioni/km2).

5.4. POPOLAZIONE ATTIVA E MERCATO DEL LAVORO

Ad Acquapendente, sulla base del censimento ISTAT del 1991, la popolazione attiva7 costituiva il 39% della popolazione totale (in valore assoluto, gli attivi erano 2.294 unità), in linea con quanto registrato su scala provinciale. All’interno della popolazione attiva (cfr. Tabella 5.4.1), un’alta percentuale di persone, pari all’86,3%, risultava occupata (mentre il dato provinciale è dell’83,3%), i disoccupati erano il 6,5%, mentre il restante 7,2% era rappresentato da persone in cerca di prima occupazione. La popolazione in condizione professionale, come somma degli occupati e dei disoccupati, costituiva pertanto, nel 1991, il 92,9% della popolazione attiva: di questi il 66% era costituito da lavoratori dipendenti a vario titolo, il 27,9% da lavoratori in proprio, mentre il restante 6,1% da imprenditori o liberi professionisti.

Tabella 5.4.1. Composizione della popolazione attiva (1991): valori assoluti e %

In cerca Occupati Disoccupati Totale 1^ occupaz. Valore Valore Valore Valore % % % % Ass. Ass. Ass. Ass. Acquapendente 1.980 86,3 150 6,5 164 7,1 2.294 100,0 Prov. Viterbo 90.766 83,3 7.020 6,4 11.133 10,2 108.919 100,0 Fonte: Elaborazione su dati Ancitel

La tabella 5.4.2 riporta la distribuzione degli attivi in condizione professionale tra i principali settori economici (agricoltura, industria e servizi). Da questa si evidenzia come il comparto agricolo abbia complessivamente un peso notevole all’interno del tessuto economico del comune di Acquapendente con il 15,3% di attivi nel settore, in linea con quanto risulta in ambito provinciale (14,6%). Rispetto al valore medio della provincia di Viterbo, è possibile inoltre notare nel comune una maggior percentuale di attivi nell’industria (26,7% e 30% rispettivamente)la situazione, e una relativa minore importanza del settore terziario (54,7% e 58,7% rispettivamente), a cui comunque fa riferimento la maggior parte degli attivi censiti.

7 La popolazione attiva è composta, secondo l’ISTAT, dagli occupati, dai disoccupati e da persone in cerca di prima occupazione.

150 Tabella 5.4.2. Distribuzione degli attivi in condizione professionale (1991): valori assoluti e %

Agricoltura Industria Altra attività Totale Val. Val. Ass. % Val. Ass. % % Val. Ass. % Ass. Acquapendente 326 15,3 639 30,0 1.165 54,7 2.130 100,0 Prov. Viterbo 14.271 14,6 26.146 26,7 57.369 58,7 97.786 100,0 Fonte: Elaborazione su dati Ancitel

Figura 5.4.I. Composizione della popolazione attiva in condizione professionale (1991)

60

50 40

30

20 10 0 Acquapendente Prov. di Viterbo

agricoltura industria altre attività

Fonte: Elaborazione su dati Istat

5.5. STRUTTURA ECONOMICO PRODUTTIVA

Attraverso l’analisi della struttura economico-produttiva del Comune si vuole evidenziare la vocazione e la tipologia produttiva prevalente, il livello d’imprenditorialità dell’area, la dinamicità e la vivacità imprenditoriale del territorio e la dimensione media delle imprese stesse. In questa sintesi della struttura economico-produttiva, sono stati considerati anche due validi elementi di definizione del patrimonio dei luoghi e del grado di benessere, quali la ricchezza immobiliare pro capite ed il reddito disponibile pro capite (fonte Ancitel, 1999). In particolare, il reddito disponibile, influendo sull’entità e sulla qualità dei consumi, è un indicatore molto rilevante per le politiche locali poiché fornisce un’informazione efficace del tenore di vita della popolazione e dello sviluppo economico del comune (senza però dare conto della distribuzione di tale reddito all’interno della popolazione stessa). Nel comune di Acquapendente il valore di ricchezza immobiliare pro capite era di 27.539 Euro/abitante, contro un valore medio provinciale di 31.725 Euro/abitante (-13,2%), mentre il reddito disponibile era invece più elevato rispetto alla media del viterbese (rispettivamente 13.149 Euro/abitante e 12.076 Euro/abitante) dell’8,3%.

151 5.5.1. Agricoltura

L’agricoltura svolge un ruolo molto importante all’interno del sistema economico comunale: la propensione verso le attività agricole risulta già dall’alta percentuale di popolazione attiva nel settore, poco più alta di quanto si verifica a livello provinciale (pari rispettivamente al 15,3% e al 14,6%, fonte Istat 1991). L’area di Acquapendente, inoltre, s’inquadra in una zona, quale quello dell’Alto Viterbese, molto fertile e con una grande tradizione agricola che ha soprattutto nel vino e nell’olio i suoi prodotti di punta, più rinomati e pregiati, ma anche con una produzione ortofrutticola, cerealicola e di legumi rilevante e di elevata qualità. Bisogna comunque sottolineare che, più generalmente, è tutta la provincia di Viterbo ad occupare, dal punto di vista agricolo, un ruolo specifico e fondamentale all’interno del panorama regionale. Infatti, il settore primario nel Lazio, se non proprio marginale, è senza dubbio meno importante degli altri rami delle attività economica, mentre nel viterbese l’agricoltura ha un peso notevole in termini sia di percentuale di forza lavoro attiva, sia di quota di reddito prodotto.

Secondo il “V Censimento Generale dell’Agricoltura”, nel 2000 le aziende agricole presenti sul territorio comunale erano 688, in calo del 13,4% rispetto al 1990 (quando erano 794), con un valore di densità di 5,3 aziende/km2 tra i più bassi del viterbese (dove la media è di 10,6 aziende/ km2). Anche in provincia di Viterbo si è avuta una diminuzione del numero di aziende, ma più contenuta (- 2,9%). Dai dati riportati in Tabella 5.5.1, si nota, però, come ad una generale diminuzione del numero di aziende censite sul territorio, sia corrisposto, in termini di superficie media, un diverso andamento tra il comune ed il territorio provinciale: infatti, ad Acquapendente si è registrato un aumento un aumento della superficie media aziendale da 14,98 ha a 16,72 (+11,6%), mentre in provincia si è avuta una flessione del 3,3%.

Tabella 5.5.1. Aziende agricole: numero ed estensione superficiale

N° aziende Sup media aziendale (ha)

1990 2000 Var. % 1990 2000 Var. % Acquapendente 794 688 -13,4 14,98 16,72 11,6 Prov. Viterbo 39.291 38.144 -2,9 7,62 7,37 -3,3 Fonte: ISTAT

Dalla Tabella 5.5.2, dov’è riportato il dettaglio delle caratteristiche della struttura agricola, si evidenzia come nel 2000 la Superficie Totale8 (che costituisce il 4,1% del totale provinciale) comunale sia diminuita al pari di quella provinciale, ma in misura minore, essendosi registrato ad Acquapendente un calo del 3,3% rispetto al censimento del 1990 (rispettivamente 11.501,89 ha e 11.893,82 ha),

8 Per Superficie Totale s’intende la superficie complessiva dei terreni dell'azienda agricola destinati a colture erbacee e/o legnose agrarie, inclusi i boschi, la superficie agraria non utilizzata ed altra superficie occupata da parchi e giardini ornamentali, fabbricati, stagni, canali, ecc. situati entro il perimetro dei terreni che costituiscono l'azienda

152 e del 6,1% nel viterbese.

Tabella 5.5.2. Caratteristiche della struttura agricola

SAU/Sup. totale sup. totale (ha) SAU (ha) (%)

Var. Var. Var. 1990 2000 1990 2000 1990 2000 % % % Acquapendente 11.893 11.501 -3,3 5.572 5.468 -1,9 46,9 47,5 1,5 Prov. Viterbo 299.463 281.069 -6,1 223.976 210.438 -6,0 74,8 74,9 0,1 Fonte: elaborazione su dati ISTAT

Per quanto riguarda la Superficie Agricola Utilizzata9 (SAU), l’ultimo censimento la quantificava in complessivi 5.468,78 ha (pari, con il 47,5%, a meno della metà della Superficie Totale, contro il 75% circa del dato provinciale), mentre nel 1990 era 5.572,63 ha, con un calo del 2% circa. (molto variabile, però, tra comune e comune). Tale valore è decisamente inferiore a quello medio provinciale dove la SAU è diminuita del 6% (con decrementi significativi soprattutto intorno al Lago di Bolsena e nella fascia pre-maremmana centrale): questo fenomeno è riconducibile al progressivo spopolamento di quelle aree rurali prive di una vocazione verso colture specializzate e, quindi, incapaci di garantire un reddito sufficiente ai residenti. Bisogna inoltre sottolineare l’importanza delle superfici boschive ad Acquapendente che coprono il 47% circa del totale comunale, mentre in ambito provinciale la quota scende al 20%. L’analisi delle colture praticate (cfr. Tabella 5.5.3) evidenzia come la forma di utilizzazione più importante, in termini di superficie investita, sia quella dei seminativi (comprendenti principalmente cereali, ortive e foraggiere avvicendate), che coprono quasi l’85% della SAU comunale. Anche a livello provinciale la maggior parte della SAU è destinata a questo tipo di coltivazioni, ma con una percentuale decisamente inferiore (70%). Invece, mentre in provincia sono molto diffuse le coltivazioni legnose agrarie (essenzialmente vite, olivo, fruttiferi), ad Acquapendente queste occupano una posizione più marginale (pari, rispettivamente, al 20% ed al 3,5%).

Tabella 5.5.3. Utilizzazione dei terreni (2000)

prati coltivazioni seminativi permanenti, totale SAU legnose agrarie pascoli Sup (ha) % Sup (ha) % Sup (ha) % Sup (ha) % Acquapendente 4.662 85,3 205 3,8 600 11,0 5.468 100,0 Prov. Viterbo 147.412 70,0 42.013 20,0 21.012 10,0 210.438 100,0 Fonte: elaborazione su dati ISTAT

9 SAU: Insieme dei terreni investiti a seminativi (compresi gli orti familiari), prati permanenti e pascoli, coltivazioni legnose agrarie (compresi i castagneti da frutto)

153 Figura 5.5.I. Utilizzazione dei terreni (2000)

100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 Acquapendente Prov. di Viterbo

seminativi coltivazioni legnose agrarie prati permanenti, pascoli

Fonte: Elaborazione su dati Istat

Nella tabella seguente viene riportato il confronto tra gli ultimi due censimenti dell’agricoltura del 1990 e del 2000. Nel territorio comunale, a fronte di una riduzione notevole delle superfici interessate da coltivazioni legnose agrarie e da pascoli e prati permanenti, nell’ultimo decennio la SAU destinata a seminativi è aumentata di quasi il 6%, passando da 4.409 ha a 4.662,58 ha. Al contrario, in provincia, la contrazione delle superfici utilizzate ha investito tutte le tipologie di coltivazioni.

Tabella 5.5.4. Variazione dell’utilizzazione della SAU (1990-2000)

Coltivazioni legnose Prati permanenti, seminativi (ha) agrarie (ha) pascoli (%)

Var. Var. Var. 1990 2000 1990 2000 1990 2000 % % % Acquapendente 4.409 4.662 5,8 274 205 -25,0 890 600 -32,5 Prov. Viterbo 152.056 147.412 -3,1 44.707 42.013 -6,0 27.212 21.012 -22,8 Fonte: elaborazione su dati ISTAT

Una delle maggiori risorse dell'agricoltura comunale è legata alla cerealicoltura: la superficie investita a cereali occupa infatti 1.830 ha circa (pari al 39,5% dell’intera superficie a seminativi). Deve essere sottolineato, però, che dal 1990 questa è diminuita di quasi 378 ha, con una variazione percentuale del –17%. Tra i seminativi una quota importante è costituita dalle foraggiere avvicendate con una superficie investita molto estesa (1589,6 ha), mentre è trascurabile quella destinata ad ortive (16,2 ha).

All’interno delle coltivazioni legnose agrarie (che occupano con 193,9 ha il 3,5% appena della SAU comunale), il 70% della superficie totale è rappresentato dalla vite (135,9 ha), il 28% circa dall’olivo (54 ha) ed il rimanente 2% da fruttiferi (con 2,8 ha coltivati a nocciolo e 1,2 ha a castagno). La coltivazione dell’olivo, di antica tradizione nella zona, ha comunque rivestito sempre un ruolo importante tanto da costituire una delle prime fonti di reddito per le popolazioni

154 locali: uno dei prodotti principali è senza dubbio l'olio extravergine di oliva di Monte Rufeno che deriva dalla spremitura delle olive raccolte negli oliveti (coltivati secondo il disciplinare dell'agricoltura biologica) interni alla Riserva Naturale. In particolare va evidenziato come, al pari dell’andamento generale della provincia di Viterbo, anche a livello comunale ci sia stato, rispetto al censimento del 1990, un deciso aumento della superficie occupata dagli olivi (+48%) e una contemporanea riduzione di quella investita a vite (-38,5%).

Per quanto riguarda la zootecnia, dai dati del Censimento del 2000 emerge un consistente ridimensionamento dell’attività comunale ed una riduzione del numero di aziende dal 1990 del 70% circa (spiegabile non solo con la chiusura delle stesse, ma anche con l’accorpamento in unità più grandi), in linea con quanto avvenuto a livello provinciale. Questo fenomeno ha interessato soprattutto gli allevamenti di piccole dimensioni a carattere familiare, ma anche quelle aziende più sviluppate, comunque incapaci di sopportare gli oneri connessi all’adeguamento richiesto dalle normative in materia di tutela ambientale. Distinguendo i capi allevati per tipologia, il calo maggiore, rispetto al 1990, è riscontrabile nel numero di avicoli censiti con una riduzione di 5.288 unità (- 73,5%). Nella tabella seguente si riporta in dettaglio il numero dei capi censiti e la loro variazione in termini relativi.

Tabella 5.5.5. Variazione percentuale del numero di capi censiti (1990-2000)

Numero di capi Tipologia Var. % 1990 2000 Bovini e bufalini 1.670 880 -47,3 Equini 193 160 -17,1 Suini 2.825 1.810 -35,9 Ovini 9.124 5.894 -35,4 Caprini 77 47 -39,0 Avicoli 7.191 1.903 -73,5 Fonte: ISTAT

5.5.2. Industria e servizi

I due comparti costituiti dal settore secondario e dal settore terziario impiegavano circa l’85% della popolazione attiva del territorio comunale (fonte ISTAT, 1991): nello specifico, il ruolo principale era costituito dal settore terziario in cui era occupata una percentuale di attivi del 54,7% (contro il 58,7% del viterbese), mentre il tasso di secondarietà (determinato dalla quota di attivi nel comparto industriale sul totale degli attivi in condizione professionale) raggiungeva il 30% (maggiore del dato provinciale pari al 26,7%).

Il riferimento statistico su cui ci si basa è costituito essenzialmente dal “Censimento Generale dell’Industria e dei Servizi” del 1991 e dai primi risultati

155 ufficiali di quello del 2001, che permettono comunque di disporre di una serie d’informazioni abbastanza ampia e articolata sulle attività secondarie e terziarie, a livello di comune e di categoria economica. Nell’ambito di questi censimenti vengono rilevati sia le imprese che le unità locali10 (UL), con i relativi addetti: le unità locali rappresentano i luoghi (non necessariamente coincidenti con la sede fisica dell’impresa) dove si realizza la produzione di beni o la prestazione di servizi, e pertanto i dati riferiti a tali unità riproducono meglio la situazione dei posti di lavoro effettivamente presenti nel territorio.

Le informazioni che si ricavano consentono di tracciare un quadro abbastanza aggiornato di settori, quali quelli produttivi, soggetti a rapide e profonde trasformazioni e di riflettere la situazione complessiva dell’occupazione. Inoltre, differentemente da quanto avvenuto con il censimento intermedio condotto dall’Istat nel 1996, sono comprese tutte le unità operanti sul territorio, sia quelle costituite a fini di lucro (i cui prodotti e/o servizi sono cioè destinati alla vendita), sia quelle no profit (istituzioni pubbliche, istituzioni sociali private, ecc.) od operanti nei servizi di pubblica utilità (quali istruzione, sanità, ecc.) che rappresentano delle opportunità lavorative rilevanti.

I primi risultati del “VIII Censimento Generale dell'Industria e dei Servizi” evidenziano (cfr. Tabella 5.5.6), negli ultimi dieci anni, un diverso andamento delle UL e degli addetti censiti che contrasta parzialmente con quanto avvenuto in provincia di Viterbo dove si è registrato un buono sviluppo imprenditoriale. Ad Acquapendente, infatti, a fronte di una riduzione rispetto al 1991 del numero delle UL di 19 unità (in controtendenza rispetto al dato provinciale), corrispondenti in termini percentuali al 3,4%, il numero di addetti è cresciuto di 78 unità pari al 4,4%.

Tabella 5.5.6. Unità Locali e addetti (1991-2001): valore assoluto e variazione percentuale

Unità Locali Addetti 1991 2001 Var % 1991 2001 Var % 1991-2001 1991-2001 Acquapendente 554 535 -3,4 1.780 1.858 4,4 Prov. di Viterbo 19.260 20.647 7,2 69.291 72.617 4,8 Fonte: Istat

10 Luogo fisico nel quale un'unità giuridico-economica (impresa, istituzione) esercita una o più attività economiche. L'unità locale corrisponde ad un'unità giuridico-economica o ad una sua parte, situata in una località (topograficamente identificata da un indirizzo e da un numero civico) dove si esercitano delle attività economiche per le quali una o più persone lavorano (eventualmente a tempo parziale) per conto della stessa unità. Esempi di unità locale sono: agenzie, alberghi, bar, garage, laboratori, magazzini, negozi, officine, ecc.

156

Figura 5.5.II. Unità Locali e addetti (1991-2001): variazione percentuale

8 6 4 2 0 -2 -4 -6 -8 Acquapendente Prov. di Viterbo

Unità Locali Addetti

Fonte: Elaborazione su dati Istat

Nella tabella seguente, si riporta invece il dettaglio per settore delle variazioni percentuali tra gli ultimi due censimenti. Nell’ambito di un quadro provinciale piuttosto discordante con settori in forte calo (quale quello secondario) e altri in crescita (quale quello legato alle istituzioni), è possibile rilevare ad Acquapendente l’incremento delle UL industriali (differentemente da quanto avvenuto nel viterbese dove si è avuta una consistente flessione percentuale) ed il contemporaneo calo degli addetti nel settore, la pesante contrazione del numero di UL e di addetti nel settore terziario e, invece, il loro aumento all’interno delle istituzioni (pubblica amministrazione, sanità, scuola, ecc) con tassi di crescita molto diversi rispetto alla media provinciale (bisogna sottolineare come in questo settore siano state create nel corso degli ultimi anni numerose opportunità d’impiego, tanto da costituire uno sbocco lavorativo molto importante).

Tabella 5.5.7. UL e addetti (1991-2001): variazione % per settore

Industria Terziario Istituzioni

UL Addetti UL Addetti UL Addetti Acquapendente 9,9 -8,7 -18,6 -27,3 5,6 7,5 Prov. di Viterbo -28,4 -26,5 8,5 -13,8 18,9 4,0 Fonte: Elaborazione su dati Ancitel

I dati dell’ultimo censimento relativi al numero di UL per settore presenti nel comune (Tabella 5.5.8) mostrano come il terziario, nonostante il forte calo, occupi ancora il ruolo più importante all’interno del tessuto economico locale con quasi il 60% del totale (valore decisamente inferiore se confrontato con il 74,4 % del viterbese). Ad Acquapendente assumono però un peso rilevante anche le UL del settore industriale, con un terzo delle UL presenti (mentre a livello provinciale queste rappresentano il 17,7%).

157

Tabella 5.5.8. UL per settore (2001)

Industria Terziario Istituzioni Totale

N° % N° % N° % N° % Acquapendente 178 33,3 319 59,6 38 7,1 535 100,0 Prov. di Viterbo 3.649 17,7 15.361 74,4 1.637 7,9 20.647 100,0 Fonte: Elaborazione su dati Ancitel

Figura 5.5.III. UL per settore (2001): composizione %

80,0 70,0 60,0 50,0 40,0 30,0 20,0 10,0 0,0 Acquapendente Prov. di Viterbo

Industria Terziario Istituzioni

Fonte: Elaborazione su dati Ancitel

Per quanto riguarda la distribuzione di addetti nel 2001 (tabella 5.5.9), si evidenzia come la maggior parte degli addetti censiti trovi impiego principalmente nel settore terziario, ma con una percentuale inferiore al 50%. Infatti, sulla base di questi dati, oltre a confermarsi il peso dell’industria nel comune di Acquapendente con il 28,4% di addetti (percentuale più alta di sei punti rispetto al valore medio provinciale) va sottolineato il ruolo delle istituzioni che costituiscono un importante sbocco occupazionale con circa un quarto di addetti impiegati.

Tabella 5.5.9 Addetti per settore (2001)

Industria Terziario Istituzioni Totale

N° % N° % N° % N° % Acquapendente 527 28,4 874 47,0 457 24,6 1.858 100,0 Prov. di Viterbo 16.442 22,6 40.437 55,7 15.738 21,7 72.617 100,0 Fonte: Ancitel

158 Figura 5.5.IV. Addetti per settore (2001): composizione %

60,0

50,0

40,0

30,0

20,0

10,0

0,0 Acquapendente Prov. di Viterbo

Industria Terziario Istituzioni

Fonte: Elaborazione su dati Ancitel

Il valore medio di addetti per UL, riportato in tabella 5.5.10, rimarca la peculiarità delle UL operanti nelle istituzioni con 12 addetti/UL (in provincia tale rapporto assume un valore pari a 9,6).

Tabella 5.5.10. Numero di addetti per UL (2001)

Industria Terziario Istituzioni Acquapendente 3,0 2,7 12,0 Prov. di Viterbo 4,5 2,6 9,6 Fonte: Elaborazione su dati Ancitel

Per ottenere, invece, un dettaglio maggiore delle informazioni riguardanti il sistema industriale e dei servizi, si deve ancora fare riferimento al censimento intermedio del 1996, a causa della provvisorietà e dell’ufficiosità dei dati di quello del 2001. Per quanto riguarda le UL industriali, la Tabella 5.5.11 evidenzia, al pari dell’area provinciale, la prevalenza del settore delle costruzioni (87 unità totali su 160 corrispondenti, in termini relativi, al 54,4%), seguito dalle attività manifatturiere (comprendenti la produzione di metalli e di prodotti in metallo, il “tessile e l’abbigliamento”, ecc.) con il 44,4%, mentre erano state rilevate due attività legate alla produzione e distribuzione di energia elettrica, gas e acqua nessuna legate all’estrazione dei minerali.

Tabella 5.5.11. UL industriali per sezione (1996)

Produz., Estrazione Attività distribuz. en Costruzioni Totale Minerali Manifatturiera elettrica, acqua, gas N° % N° % N° % N° % N° % Acquapendente 0 0,0 71 44,4 2 1,3 87 54,4 160 100,0 Prov. di Viterbo 91 1,7 2.152 40,8 40 0,8 2.994 56,7 5.277 100,0 Fonte: Elaborazione su dati Istat

159 Il dato inerente agli addetti impiegati nelle varie sezioni (Tabella 5.5.12) sottolinea invece come il maggior peso, in termini di forza lavoro occupata, sia connesso alle attività manifatturiere con 397 addetti su 660 (pari al 60,2%), ed al settore delle costruzioni dove trovano occupazione 255 addetti (38,6%).

Tabella 5.5.12. Addetti nell’industria per sezione (1996)

Produz., Estrazione Attività distribuz. en Costruzioni Totale Minerali Manifatturiera elettrica, acqua, gas N° % N° % N° % N° % N° % Acquapendente 0 0,0 397 60,2 8 1,2 255 38,6 660 100,0 Prov. di Viterbo 436 2,2 11.653 58,2 910 4,5 7.019 35,1 20.018 100,0 Fonte: Elaborazione su dati Istat

La Tabella 5.5.13 mostra l’assenza nel comune di UL industriali medio-grandi e, specificatamente, di unità con più di 50 addetti impiegati: infatti, quasi il 92% delle UL censite è di piccole dimensioni con un numero di addetti inferiore alle 10 unità (su 160 UL censite 147 unità rientrano in questa classe dimensionale) ed il restante 8% (corrispondente in valore assoluto all’8% circa) circa ha un numero di addetti compreso tra 10 e 49. Quest’ultime (cfr. Tabella 5.5.14), però, costituiscono nel settore secondario un’importante fonte d’impiego visto che vi trovano occupazione 251 addetti su 660 (38%).

Tabella 5.5.13. UL per classi dimensionali di addetti (1996)

1-9 10-49 50-199 200+ Totale N° % N° % N° % N° % N° % Acquapendente 147 91,9 13 8,1 0 0,0 0 0,0 160 100,0 Prov. di Viterbo 4.935 93,5 298 5,6 40 0,8 4 0,1 5.277 100,0 Fonte: Elaborazione su dati Istat

Tabella 5.5.14. Addetti impiegati nelle UL per classi dimensionali (1996)

1-9 10-49 50-199 200+ Totale

N° % N° % N° % N° % N° % Acquapendente 409 62,0 251 38,0 0 0,0 0 0,0 660 100,0 10.30 Prov. di Viterbo 51,5 5.345 26,7 3.260 16,3 1.113 5,6 20.018 100,0 0 Fonte: Elaborazione su dati Istat

Per quanto riguarda le attività terziarie sono stati presi in considerazione sia i

160 servizi alle imprese11 propriamente detti (legati all’innovazione del processo produttivo e delle strutture aziendali e comunemente chiamati “terziario avanzato”), sia quelle attività comunque connesse al sistema produttivo, ma non operanti in modo esclusivo con questo (sistema commerciale12, creditizio e servizi di trasporto). Bisogna inoltre considerare come la dinamica industriale e produttiva comporti un’articolazione (anche a livello di classificazione statistica) dei “servizi” sempre maggiore, con l’inserimento di nuove figure e tipologie professionali (per esempio, inerenti alla certificazione di qualità, alla sicurezza sul lavoro, all’informatica, ecc.). I dati riguardanti la distribuzione delle UL per tipologia (cfr. Tabella 5.5.15) mostrano una sostanziale concordanza con il quadro provinciale, con lievi differenze dell’ordine dei decimi di punto percentuale: anche ad Acquapendente, infatti, la maggior parte (circa il 67%) delle UL operano all’interno del sistema commerciale, il 20,8% riguarda i servizi alle imprese, il 7,7 operano nei trasporti ed il restante 4,2% nel sistema creditizio. Osservando i dati relativi al numero di addetti per categoria riportati in Tabella 5.5.16, si notano maggiori scostamenti con i valori medi del viterbese: in particolare, ad Acquapendente risulta una percentuale di addetti nel settore commerciale più alta rispetto a quella provinciale (rispettivamente 67,8% e 62,5%), mentre negli altri settori si mantiene costantemente più bassa (soprattutto nel settore dei trasporti e dei servizi alle imprese).

Tabella 5.5.15 UL terziarie per categorie (1996)

Sistema Servizi alle Commercio Trasporto Totale creditizio imprese N° % N° % N° % N° % N° % Acquapendente 191 67,3 22 7,7 12 4,2 59 20,8 284 100,0 Prov. di Viterbo 8.322 68,2 848 6,9 435 3,6 2.598 21,3 12.203 100,0 Fonte: Elaborazione su dati Istat

Tabella 5.5.16. Addetti nel terziario per categorie (1996)

Sistema Servizi alle Commercio Trasporto Totale creditizio imprese N° % N° % N° % N° % N° % Acquapendente 447 67,8 77 11,7 35 5,3 100 15,2 659 100,0 17.61 Prov. di Viterbo 62,5 3.891 13,8 1.756 6,2 4.907 17,4 28.164 100,0 0 Fonte: Elaborazione su dati Istat

11 Tali servizi non sono utilizzati esclusivamente da aziende medio-piccole che non hanno né la convenienza, né la possibilità di svolgere queste attività all’interno dell’impresa, ma anche da grandi aziende perché presuppongono, per esempio, un uso saltuario o una forte specializzazione (pubblicità, ricerche di mercato, ecc.) 12 Comprendente commercio all’ingrosso e al dettaglio dentro e fuori gli esercizi commerciali

161 5.5.3. Turismo

Per analizzare l’andamento del settore turistico nel territorio, si fa riferimento alle informazioni sulla struttura ricettiva e sulle presenze registrate (ossia al numero di notti trascorse dai clienti) nei vari esercizi, alberghieri ed extralberghieri, ricavate dal “Piano di sviluppo socio-economico” della Comunità Montana Alta Tuscia Laziale, e a stime effettuate dall’Ancitel sul turismo nelle seconde case nel 1999.

L’offerta ricettiva Dall’analisi dei dati sopraccitati è possibile tracciare il quadro dell’offerta ricettiva del comune di Acquapendente nel 2000, includendo sia le strutture alberghiere in senso stretto (vale a dire alberghi e residenze turistiche alberghiere), sia il sistema di ricettività complementare (costituito da campeggi, bed and breakfast, affittacamere, ostelli e villaggi turistici) convenzionalmente conosciute come strutture extra-alberghiere. Nel comune di Acquapendente l’offerta complessiva ammonta a 412 posti letto, dei quali la maggior parte è riconducibile ai 17 esercizi extralberghieri presenti nel territorio: in dettaglio, in queste strutture è concentrato l’82% dei posti letto totali (pari in valore assoluto a 338 unità), ed il rimanente 18% (corrispondenti a 74 unità) si trova in 4 esercizi alberghieri.

Per quanto riguarda la tipologia, gli alberghi sono equamente distribuiti tra le due categorie di livello inferiore (1 e 2 stelle), mentre nell’ambito dell’accoglienza complementare il peso principale è costituito dagli alloggi agrituristici con 9 strutture e con il 60% circa dei posti letto complessivi (204 su 338). Oltre a questi, sono presenti anche 4 Bed & Breakfast (con un’offerta di 24 letti) e 4 case per ferie (per un totale di 110 posti letto). Più in generale, i dati riportati evidenziano la tendenza evolutiva della ricettività ad Acquapendente che si basa prevalentemente sugli agriturismi e sulle forme di ricettività “rurale”: questi non rappresentano più solo un elemento integrativo e di diversificazione delle attività delle aziende agricole, ma sono ormai una componente essenziale nella formazione del reddito delle aziende stesse. Inoltre, queste strutture s’inquadrano all’interno di politiche di sviluppo del territorio che hanno favorito il recupero del patrimonio edilizio rurale e la ristrutturazione di alcuni vecchi casali interni alla Riserva di Monte Rufeno, trasformandoli in esercizi ricettivi e creando così una rete di piccoli ma confortevoli agriturismi a gestione familiare.

Per quanto riguarda l’offerta di letti nelle case vacanza, bisogna evidenziare che questa si basa non su dati ufficiali (essendo spesso seconde case di proprietà che non hanno l’autorizzazione ad esercitare come strutture ricettive), ma su stime effettuate dall’Ancitel attraverso elementi quali, ad esempio, il censimento delle abitazioni utilizzate per motivi di vacanza e la variazione dei consumi di energia elettrica. Nel 1999, secondo la stima fatta dall’Ancitel, c’era un’offerta di posti letto piuttosto consistente di 1.114 unità (pari all’1,6% dell’offerta complessiva provinciale).

162 La domanda turistica L’analisi del movimento turistico nel 2000 (fonte Comunità Montana Alta Tuscia Laziale) evidenzia una domanda fortemente sbilanciata a favore delle strutture extralberghiere, dove si avevano 19.451 presenze (dato stimato attraverso indagini ad hoc), contro le 3.846 registrate in quelle alberghiere. Bisogna però rilevare come questi dati risentano della mancata o insufficiente denuncia da parte degli esercizi ricettivi delle presenze effettivamente ospitate, e ciò è ancora più vero nel caso delle strutture complementari che, soprattutto negli anni passati, sfuggivano a qualsiasi forma di rilevazione. Lo squilibrio suddetto è ulteriormente confermato dal grado di utilizzazione delle strutture ricettive che rappresenta un indicatore sintetico del bilancio domanda/offerta ed è dato dal rapporto, in termini percentuali, tra il numero di presenze complessive localmente registrate ed il numero complessivo di posti letto disponibili (considerando tutti gli esercizi al lordo delle varie chiusure stagionali). Negli esercizi alberghieri, infatti, il grado di utilizzazione è pari al 14,2% e in quelli complementari è uguale al 15,8%, evidenziando complessivamente un livello di utilizzo di queste strutture non molto elevato.

Per quanto riguarda un’indicazione sul grado di “attrattività” della domanda turistica comunale, si può utilizzare il rapporto tra le presenze negli esercizi ricettivi e la popolazione residente; in particolare, per gli esercizi alberghieri questo indice è pari a 664,5 presenze ogni 1.000 abitanti (contro le 1.168,6 presenze ogni 1.000 abitanti in ambito provinciale), mentre per gli esercizi complementari si registra un valore decisamente alto, soprattutto se confrontato con il dato medio del viterbese di 853,1 presenze ogni 1.000 abitanti, pari a 3.360,6 presenze ogni 1.000 abitanti (va tuttavia sottolineato che questo dato deriva non da valori effettivamente censiti, ma da stime effettuate e riportate nella fonte utilizzata). Un altro aspetto importante da considerare concerne le presenze nelle seconde case che costituiscono una parte consistente del movimento turistico comunale e che nel 1999 erano state stimate (fonte Ancitel) in 43.010 unità (circa l’1,2% del dato provinciale). Rapportando tale valore ai residenti, si ottengono 7.402,8 presenze ogni 1.000 abitanti, inferiore di circa il 61% di quello calcolato a livello provinciale, pari a 12.154,7 presenze ogni 1.000 abitanti.

163 Tabella 5.5.17. Quadro sinottico dei principali indicatori socio-economici

Comune di Provincia di Indicatori Acquapendente Viterbo Demografia Popolazione residente (2001) 5.788 288.783 Densità demografica, ab/kmq (2001) 44,4 79,9 Variazione della popolazione legale '81-'91 (%) 0,6 3,8 Variazione della popolazione legale '91-'01 (%) -1,7 3,7 saldo naturale (2002) -38 -971 saldo migratorio (2002) 56 3.015 bilancio demografico (2002) 18 2.044 % popolazione 0-14 (2001) 10,8 12,8 % popolazione 15-64 (2001) 61,7 66,2 % popolazione 65+ (2001) 27,5 21,0 Indice di ricambio generazionale (2001) 39,3 61,1 Indice di ricambio congiunturale (2001) 74,5 90,1 Indice di dipendenza (2001) 62,1 51,1 Scuola e istruzione % Analfabeti (1991) 3,9 2,1 % Diplomati (1991) 15,6 16,5 % Laureati (1991) 2,7 2,7 Indice di scolarizzazione superiore (1991) 18,3 19,2 Struttura abitativa Abitazioni totali (2001) 2.615 147.523 % Abitazioni occupate (2001) 89,9 76,2 % Abitazioni non occupate (2001) 10,1 23,8 % Abitazioni per le vacanze (1991) 57 61,6 Popolazione attiva e mercato del lavoro Popolazione occupata (1991) 1.980 90.766 Popolazione disoccupata (1991) 150 7.020 Popolazione in cerca di prima occupazione 164 11.133 (1991) Popolazione attiva (1991) 2.294 108.919 % Popolazione attiva in agricoltura (1991) 15,3 14,6 % Popolazione attiva nell’industria (1991) 30 26,7 % Popolazione attiva in altre attività (settore 54,7 58,7 terziario) (1991) Struttura economico-produttiva Aziende agricole (2000) 688 38.144 Sup. agricola totale (2000) 11.501,9 281.069,6 SAU (2000) 5.468,8 210.439 % SAU/Sup totale (2000) 47,5 74,9 Unità Locali (2001) 535 20.647 Variazione del numero di UL '91-'01 (%) -3,4 7,2 % UL-industria (2001) 33,3 17,7 % UL-terziario (2001) 59,6 74,4 % UL-istituzioni (2001) 7,1 7,9

164 Comune di Provincia di Indicatori Acquapendente Viterbo Addetti (2001) 1.858 72.617 Variazione del numero di addetti '91-'01 (%) 4,4 4,8 % addetti-industria (2001) 28,4 22,6 % addetti-terziario (2001) 47,0 55,7 % addetti-istituzioni (2001) 24,6 21,7 Reddito disponibile (€)/abitanti (1999) 13.149 12.143 Ricchezza immobiliare (€)/abitanti (1999) 27.539 31.735 Sistema turistico Posti letto negli esercizi alberghieri (2001) 90 5.638 Presenze negli esercizi alberghieri (2001) 6.214 350.474 Presenze esercizi alberg/1000 abitanti (2001) 1.073,6 1.213,6 Grado di utilizzo degli esercizi alberghieri (2001) 18,9 17,0 Posti letto negli esercizi complementari (2001) 96 17.726 Presenze negli esercizi complementari (2001) 377 130.412 Presenze esercizi compl/1000 abitanti (2001) 65,1 451,6 Grado di utilizzo degli esercizi complementari 1,1 2,0 (2001) Posti letto nelle case vacanza (1999) 1.114 69.000 Presenze nelle case vacanza (1999) 43.010 3.551.956 Presenze case vac/abitanti per 1.000 (1999) 7.402,8 12.154,7

165 5.6. ATTIVITÀ ANTROPICHE ED USO DEL SUOLO

Le principali attività antropiche individuate nei siti (o localizzate nelle aree contigue, ma comunque interessanti SIC e ZPS) comprendono: • la pesca; • le attività agricole; • la raccolta funghi; • le attività estrattive; • le attività zootecniche; • la caccia; • le attività turistiche; • le attività produttive artigianali; • la gestione forestale.

5.6.1. Pesca

Questa attività viene regolarmente praticata a livello sportivo lungo il Medio corso del Fiume Paglia e nel Fosso Stridolone e riguarda principalmente specie quali il Barbo e il Cavedano. A tale scopo, l’Amministrazione Provinciale di Viterbo ha programmato una serie annuale di ripopolamenti con il rischio, però, di forme d’inquinamento genetico tra esemplari indigeni ed alloctoni.

5.6.2. Attività agricole

Acquapendente è essenzialmente un paese agricolo, ricco di terreni fertili adibiti soprattutto a seminativi: la struttura agricola della zona è basata in modo principale su piccole aziende a conduzione familiare (su un totale censito di 688 aziende quasi il 64% ha un’estensione superficiale di meno di 2 ha). In virtù dell’applicazione di un programma di conversione ad agricoltura biologica, fortemente voluto dalla Comunità Montana, della diffusione di tale pratica a gran parte del territorio e delle aziende e dell’attenta gestione delle stesse, non si segnalano grosse problematiche legate all’inquinamento di origine agricola e quindi alla presenza nel suolo e delle acque di sostanze chimiche quali nitrati, fosfati, insetticidi, erbicidi e pesticidi. All’interno dei SIC e della ZPS, in prossimità di poderi e casali (sottolineando che tutti quelli ricadenti in queste aree, ma fuori dai confini della Riserva appartengono a privati) ci sono circa 52 ha di terreni destinati a seminativi. Abbastanza estese (24,8 ha) sono le aree dedicate agli oliveti (e da cui si ricava un olio - l'olio extra vergine di oliva di Monte Rufeno – che fa parte del raggruppamento degli oli dell’Alta Tuscia), mentre sono poco rilevanti in termini di superfici occupate (appena 2,3 ha) gli altri tipi di coltivazioni legnose agrarie (vigne e frutteti).

166 5.6.3. Raccolta funghi

La raccolta dei funghi (soprattutto porcini) è possibile in tutti i boschi che ricadono nella Riserva, di proprietà del demanio regionale e, naturalmente, anche nei SIC e nella ZPS. La raccolta è consentita a chiunque sia in possesso dell’apposito tesserino ed è regolamentata, nei periodi e nelle quantità, dalla legge regionale.

5.6.4. Attività estrattive

Si tratta di attività di scavo per prelievo d’inerti nella zona pianeggiante nelle vicinanze del Medio corso del Fiume Paglia, in prossimità delle aree di frega. Le escavazioni non sono svolte direttamente in alveo, ma in zone lungo il fiume e sono connesse in primo luogo all’attività svolta dall’impianto d’inerti (che si occupa prevalentemente del deposito di conglomerati cementizi e bituminosi, nonché dello smaltimento dei materiali di risulta dei cantieri edili) vicino al villaggio artigiano, ma anche al programma di restituzione all’agricoltura di alcune aree in località Procoio (con rimozione degli ammassi ghiaiosi e ricopertura con terreno vegetale).

5.6.5. Attività zootecniche

Un ruolo molto importante nell’economia comunale è costituito dall’allevamento ed in particolare da quello di suini ed ovini (con, rispettivamente, più di 1.800 e 5.800 capi censiti). Tra i principali allevamenti di suini si citano uno a Nord sul Tirolle e due più a Sud in località Procoio e Piana del Marsante. Questo tipo di attività può rappresentare una minaccia in termini, ad esempio, di raccolta d’acqua per l’abbeveraggio (con conseguente consumo indiscriminato della quantità delle risorse idriche) e d’immissione nel Fiume Paglia di sostanze inquinanti, anche se, nelle aziende considerate, deve essere evidenziata la presenza di propri sistemi di raccolta e depurazione. Le aree di pascolo interne ai SIC e alla ZPS (comprendenti sia i pascoli propriamente detti, sia altre formazioni prative, più naturali, meno usate per il pascolo) si estendono per circa 84 ha. L’estensione superficiale di queste aree è comunque diminuita progressivamente, con fenomeni di abbandono e conseguente ricopertura vegetale o riconversione agricola.

5.6.6. Caccia

La caccia (prevalentemente al cinghiale) è regolamentata da disposizioni provinciali e comunali e viene praticata nelle aree contigue alla Riserva, mentre al suo interno è rigorosamente vietata. Vengono inoltre segnalati, anche se limitati, fenomeni di bracconaggio riguardanti non solo le aree oggetto di studio, ma, più estesamente, il territorio della Riserva Naturale nonché terreni contigui, spesso legati alla difesa dei terreni coltivati da parte degli agricoltori.

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5.6.7. Attività turistiche

Anche se non si manifesta nelle forme e nella dimensione di fenomeno di massa, il turismo nell’area sta assumendo sempre più importanza, grazie allo sviluppo del settore agrituristico. Negli ultimi anni, infatti, attraverso il recupero del patrimonio edilizio rurale e la ristrutturazione di vecchi casali all’interno dell’area protetta (di proprietà pubblica e dati in gestione alla Coop. “Radici”), si è creata una fitta rete di strutture ricettive extra-alberghiere quali: Podere Sambucheto (principalmente rivolto a gruppi tipo scout), Podere Palombaro (dove c’è anche un maneggio), Podere Tigna e Podere Monaldesca. Questo fenomeno ha comunque coinvolto anche i poderi di proprietà privata (ad esempio, il Podere Lacerona) e la ricettività sta assumendo un ruolo sempre più centrale nella formazione del reddito delle imprese agricole.

Inoltre, pur non riguardando direttamente attività ricettive in senso stretto, va evidenziato l’utilizzo di alcuni poderi per altre attività, tipo il podere Monte Rufeno (situato nel punto più alto della Riserva) come osservatorio astronomico, e il podere Marzapalo (gestito dalla Coop. “Ape Regina”) destinato ad ospitare un centro di formazione professionale continua e superiore (con corsi di Informatica, Beni Culturali, Ecologia e Ambiente, Artigianato Artistico, Turismo e Agricoltura).

5.6.8. Attività artigianali

Questo tipo di attività, di antica tradizione, è ancora molto importante nel tessuto economico locale, tanto che sono presenti ed attive ancora numerose botteghe artigiane, principalmente concentrate all’interno del villaggio artigiano “Ponte Gregoriano”, in prossimità del Medio corso del Fiume Paglia.

5.6.9. Gestione forestale

La maggior parte della superficie dei SIC interessati al Piano ricade all’interno della Riserva Naturale “Monte Rufeno”, che è stata recentemente oggetto di un Piano di Assestamento Forestale, redatto nel 2000 a cura della DREAM Italia, ed avente validità decennale. Questo piano aggiorna ed integra quello redatto nel 1987, la cui applicazione ha riguardato il decennio precedente. Il Piano individua quattro classi fisionomiche forestali, le cui superfici sono riportate nel seguente prospetto. Il piano prevede di non effettuare nessun intervento nella classe “cedui in attesa”, di effettuare limitati diradamenti nella classe “fustaie di cerro e altre latifoglie”, di effettuare interventi di avviamento a fustaia nella classe “cedui da avviare a fustaia” e limitati interventi di diradamento, volti soprattutto al passaggio verso boschi misti più naturali, nella classe “fustaie di conifere”. Nelle aree ritenute maggiormente sensibili per la presenza di emergenze faunistiche il piano prevede di effettuare gli interventi al di fuori della stagione riproduttiva e,

168 tra l’altro, parte della classe “cedui in attesa” è stata individuata proprio in base alla presenza di emergenze faunistiche o floristico-vegetazionali, in modo da limitare al minimo l’impatto antropico.

Classe fisionomica Superficie (ha) Fustaie di cerro e altre latifoglie 436 Cedui da avviare a fustaia 307 Fustaie di conifere 613 Cedui in attesa 1380

Il piano, quindi, prevede una gestione estremamente conservativa degli ambienti forestali, volta soprattutto al mantenimento ed all’incremento del valore naturalistico e della naturalità dei boschi della Riserva. Per quanto riguarda gli ambienti forestali posti al di fuori della Riserva, mancano per quanto ci consta strumenti pianificatori, e le eventuali utilizzazioni vengono effettuate in base alle indicazioni della Legge Forestale. In base ai nostri sopralluoghi si può comunque fornire un’indicazione generale delle utilizzazioni forestali effettivamente riscontrate sul territorio. Nelle porzioni dei SIC situate al di fuori della proprietà pubblica, e della Riserva, si individuano grossolanamente due fondamentali indirizzi di gestione. Nei boschi situati nella parte occidentale del SIC Monte Rufeno la gestione prevalente è quella a ceduo, attivamente utilizzato su buona parte della superficie. Per quanto concerne il SIC “Bosco del Sasseto”, invece, da gran tempo non sembrano essere stati effettuati interventi gestionali di rilievo.

5.7. IL PATRIMONIO STORICO CULTURALE

5.7.1. Cenni storici

Il territorio storico della Tuscia, di cui Acquapendente è sempre stata uno dei centri principali, s’identifica con l’area dell’Etruria meridionale. In particolare l’Alta Tuscia ne costituisce il lembo più periferico e in qualche modo marginale, anche se questa marginalità ne ha fatto un punto di passaggio e di scambio molto intenso con altre realtà storiche e geografiche confinanti. A ciò ha indubbiamente contribuito il percorso della Cassia che, non solo in epoca romana, ma anche medievale (Via Francigena), ha costituito la principale direttrice di scambio nord/sud.

In epoca antica il territorio acquesiano gravitava nell’orbita di Volsini (l’antica Orvieto, poi distrutta e rifondata dai Romani in corrispondenza dell’odierna Bolsena). Appartenuta al dominio bizantino prima e longobardo poi, nel secolo VIII una parte importante della Tuscia fu oggetto di donazione al Papa da parte di Liutprando. Tale donazione, confermata e notevolmente ampliata da Carlo Magno (nel 774) costituì la prima base territoriale del potere temporale della Chiesa, entrando a far parte del “Patrimonio di S. Pietro”.

169 Durante il periodo medievale, tutto segnato dal susseguirsi dei conflitti tra Papato e Impero e tra Orvieto e Acquapendente per il controllo del territorio, molti documenti ne attestano l’importanza non solo stategico-militare (legata alla Cassia), ma anche economica.

In epoca moderna, il territorio acquesiano fu oggetto di rivendicazioni e di lotte tra varie famiglie nobili romane che si contendevano potere e territori dello Stato Pontificio, finendo poi sotto il controllo dei Farnese con il nome di Ducato di Castro. Ritornato sotto il pieno controllo papale con Innocenzo X (nel 1644), Acquapendente divenne sede vescovile; ma nel secolo XVIII inizia una lunga fase di stagnazione politica ed economica, durata sino alla nascita dello Stato italiano.

5.7.2. Caratteristiche economiche storiche

Acquapendente e l'intero Viterbese hanno sofferto a lungo le condizioni di estrema povertà dovute in parte al diffondersi del latifondo, in parte alla depressione delle zone costiere paludose e malariche. La lunga dominazione pontificia ha caratterizzato storicamente lo sviluppo strutturale e agrario dell'intera Tuscia, favorendo la creazione della grande proprietà religiosa e soffocando l'autonomia delle piccole comunità monastiche locali. La verifica delle condizioni dell'agricoltura, dell'artigianato e dell'industria nella zona, ci viene fornita da due inchieste di ampio respiro compiute nel XIX secolo, la prima del periodo napoleonico ad opera del De Tournon (1809-1813), la seconda a ridosso dell'unificazione, frutto dell'inchiesta parlamentare Jacini (1877). Entrambe le inchieste testimoniano, nonostante lo scarto cronologico di circa sessant'anni, la grande arretratezza soprattutto tecnologica del Lazio, apportando documentazioni dettagliate con cataloghi, inventari, liste di oggetti, strumenti e cicli lavorativi. Emerge dalle inchieste un panorama tecnologico estremamente arcaico e i dati sulla produzione locale ci informano di come essa non fosse in grado neanche di coprire la richiesta interna.

Le principali vocazioni agricole erano naturalmente incentrate sulle colture tradizionali: grano, avena, orzo, mais, vite e ulivo. Negli ultimi anni del governo pontificio si sviluppò notevolmente la produzione delle nocciole e delle castagne, ancora oggi fiorente in tutta l'area. Ma la coltura pregiata più diffusa e industrialmente caratterizzante, in questo periodo, fu quella della canapa. La coltivazione e la lavorazione della canapa, come documentano alcuni testi storici dell'800, rimasero attività importanti per l'economia della zona fino ad alcuni decenni fa. Essa ha lasciato segni evidenti in questi luoghi e ha caratterizzato l'aspetto del territorio, sia nei suoi paesaggi agricoli (le "canepare"), sia nelle strutture di lavorazione (pozze per la macerazione, piazzette, botteghe, stanzoni), sia nel ricco repertorio di strumenti utilizzati, di cui esistono copiose collezioni, gelosamente conservate da alcuni abitanti di queste zone. I prodotti consistevano nella realizzazione di funi e reti per la pesca (nel vicino lago di Bolsena), di filati e tessuti per l’abbigliamento e l’arredamento.

170 Va tenuto presente che, agli inizi del Novecento, l'Italia rappresentava la seconda nazione al mondo per la quantità di canapa tessile prodotta ed era preceduta, in questa graduatoria, dalla sola Russia.

Nella seconda metà del secolo appena trascorso, l’economia di queste terre, ancora tutta segnata dalle attività agricole, ha condiviso il progressivo impoverimento delle aree rurali interne e marginali del nostro Paese, con il conseguente esodo migratorio ed il declino demografico, economico e sociale.

5.7.3. Beni culturali nel territorio di Acquapendente

Si riportano nel seguito le schede relative alle principali risorse storico-culturali presenti nel territorio acquesiano. Si evidenzia la presenza, all’interno della Riserva, del Museo del Fiore, originale e qualificato spazio espositivo, molto frequentato, anche a livello didattico.

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Sulle origini di Acquapendente non esistono notizie certe. Si ipotizza che sull' ambito territoriale dove oggi sorge la città, sia stato inizialmente fondato un centro etrusco successivamente abitato dai romani e poi invaso e distrutto dalla furia dei longobardi. Dall'analisi documentaria, si rintraccia, invece, una più pro- babile nascita del nucleo urbano originato da un "Vico" di nome Arisa, formatosi tra il IX e X secolo lungo la via Francigena. L'ubicazione sull'importante strada medioevale fece sviluppare il piccolo borgo che nel '964 ospitò l'imperatore Ottone I. Con la donazione, da parte di Matilde di Canossa di tutti i suoi beni alla chiesa, Acquapendente entra a far parte del Patrimonio di San Pietro ed è posta sotto la diocesi di Orvieto. Il XIII secolo è segnato da un susseguirsi di conflitti tra Papato ed Impero e tra Acquapendente ed Orvieto. Centro Storico di Con il ritorno del Papa a Roma, dopo l'esilio ad Avignone, Acquapendente Acquapendente riacquistò i propri diritti di autogoverno. La città conoscerà ancora periodi difficili, aggravati da nuovi conflitti nel 1641, con l'inizio della guerra di Castro, allorchè Acquapendente verrà dapprima sac- cheggiata delle truppe di Odoardo Farnese e successivamente dall'esercito del Papa. Dopo la pace stipulata tra Odoardo Farnese e Papa Urbano VIII la dispu- ta riprese nel 1644 con il nuovo Papa Innocenzo X che ordinò l'assedio e la di- struzione della città di Castro. A seguito di questo evento la sede vescovile fu trasferita ad Acquapendente e la basilica del Santo Sepolcro divenne catte- drale. Dopo la rivoluzione francese Acquapendente è una tra le prime città ad instaurare un ordinamento repubblicano che rimarrà in atto fino al termine della Repubblica Romana nel 1799.

Basilica del S. Sepolcro Chiesa di S. Agostino Chiesa di S. Francesco Chiesa di S. Lorenzo Chiesa di S. Vittoria Casa di Riposo S. Giuseppe Monastero di S. Chiara Chiesa di S. Antonio A. e S. Caterina edifici di rilievo Palazzo Viscontini Piazza G. Fabrizio e palazzi Signorili Palazzo Vescovile Ospedale Civile Torre del Barbarossa Teatro Boni Biblioteca Cinta Muraria Palazzo Comunale

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denominazione Basilica del Santo Sepolcro-Cattedrale dal 1649

La fondazione della basilica è da far risalire, secondo la tradizione, a Matilde di Westfalia, (895 -968), madre di Ottone I il Grande, la quale, in viaggio dalla Germania con l'intento di erigere a Roma un santuario dedicato al Santo Sepolcro, fece sosta ad Acquapendente, dove, spinta degli eventi o da un sogno premonitore, ordinò di fare costruire la chiesa. La chiesa originariamente a forme romaniche a subito nel tempo diverse trasformazioni fino al secolo XVIII quando, in conformità con i canoni del barocco settecentesco, venne interamente ricostruita la facciata e sostanzialmente modificata la navata centrale. Il suo interno si sviluppa su tre livelli: il superiore del transetto con l'altare centrale e le cappelle di S. Ermete e del Sacramento; il mediano con le tre navate; l'inferiore con la cripta romanica del X-XI secolo. Nella facciata, rifatta e ultimata nel 1780 sull'originale romanica, spicca, sopra il portale, la presenza di una grande nicchia dove è collocata una copia del busto di descrizione Papa Innocenzo X, il cui originale, risalente al 1652, è opera dell'insigne scultore Alessandro Algardi. La Basilica divenne cattedrale nel 1649 dopo la distruzione della Diocesi di Castro. Collocati a decorare il fronte degli amboni sono due pregevoli bassorilievi. Entrambi di provenienza ignota, sono da attribuire ad Agostino di Duccio (1418 - 1481). Sul muro di destra, in prossimità della cappella del "Sacramento" è possibile ammirare una pala d'altare in terracotta invetriata di Jacopo Beneventano. Dietro l'altare sono visibili i pregevoli stalli lignei del coro, in noce, commissionati tra il 1685 e il 1688 allo scultore Matteo Monzù. In fondo alla navata centrale è collocato un fonte battesimale in travertino proveniente dalla Chiesa di Santa Vittoria raffigurante i dodici apostoli, da alcuni critici datato al XIV secolo. La Cripta del Santo Sepolcro (monumento nazionale dal 1895) costituisce, per la sua antica origine (seconda metà del X secolo), uno degli esempi più caratteristici ed importanti di cripte romaniche in Italia.

denominazione Chiesa di Sant'Agostino - ex Convento dei frati Agostiniani

La chiesa attuale risente fortemente delle trasformazioni barocche che si operarono in Acquapendente a partire dalla seconda metà del settecento e fu la prima a subire queste trasformazioni a causa di un incendio che la distrusse l'8 novembre 1746. La chiesa con il vicino convento furono fondate nel 1290. Il descrizione chiostro ha mantenuto i suoi caratteri cinquecenteschi fino all'ultimo secolo. L'interno della chiesa, restaurata nel 1983 dopo diversi anni di abbandono, ha mantenuto l'impianto settecentesco e tutte le opere qui conservate non sono anteriori a questo secolo.

denominazione Chiesa di San Francesco

173 Consacrata nel 1149 dal vescovo di Orvieto Aldrobandino, affidata ai minori conventuali nel 1253. Chiesa in origine a forme gotiche poi rimaneggiata nel 1747 secondo canoni barocchi. A fianco della facciata c'è il campanile del 1506 eretto su progetto di Raffaele da Prato, con bifore ai primi due piani e l'ultimo piano a monofore completato nel 1934. La torre è munita di tre campane, la più vecchia è del 1472 fusa da Giovanni da Ferentino. All'interno, nel secondo altare di destra, si conserva, un Crocifisso in legno del XIII secolo attribuito a Lorenzo Maitani mentre descrizione nel secondo altare di sinistra si trova una statua dorata dell'Assunta opera del fiammingo Carlos Duames della fine del Seicento. Sono dislocate lungo il perimetro della chiesa, quattordici statue lignee intagliate nel 1751 da Giovanni Bulgarini da Piancastagnaio, che rappresentano, a grandezza naturale i dodici apostoli più San Giuseppe e San Giovanni Battista. Meritano particolare attenzione gli affreschi del coro firmati "F.I.L.A. 1645" cioè "Frater Julis Leonardus Acquipendi", tuttavia il ciclo è da attribuire a Francesco Nasini che firma altre opere all'interno della chiesa.

denominazione Chiesa di San Lorenzo

La chiesa è dedicata a San Lorenzo Levita e Martire ed a San Michele Arcangelo. Due ampie scalinate laterali fanno arretrare l'edificio di qualche metro rispetto ai caseggiati vicini e ne nascondono in parte l'odierna facciata, a lesene d'ordine tuscanico gigante, ed il solenne portale in pietra. Non si conosce con precisione l'anno di edificazione della chiesa; sembra esistesse già prima del 1594. Nel 1877 la chiesa venne demolita e ricostruita dall'architetto Guglielmo Meluzzi, lo stesso che curò il rifacimento del Palazzo Municipale. L'interno è stato poi soggetto, nel descrizione corso degli anni a numerosi restauri. Fra le varie opere contenute nella chiesa, di varia epoca ed origine, bisogna ricordare la lunetta su tavola raffigurante "Cristo in Pietà con angeli", parte della pala d'altare del 1505, proveniente dalla chiesa di Sant'Agostino opera del senese Girolamo di Benvenuto. La lunetta, precedentemente conservata nella basilica del Santo Sepolcro, è stata oggetto di un accurato restauro nel 1989 e collocata, per motivi di sicurezza, nella Chiesa di San Lorenzo.

174 denominazione Chiesa di Santa Vittoria

Santa Vittoria aveva il titolo di chiesa priorale che tenne fino a quando nel 1649 la chiesa del Santo Sepolcro venne elevata a cattedrale e dichiarata capoluogo di diocesi. Nelle navate laterali si trovano due cappelle dedicate alla Madonna di Pompei e all'Annunziata. Nell'abside, in posizione più elevata, si erge la statua descrizione lignea della Madonna del Fiore scolpita da Giovanni Bulgarini di Piancastagnaio nel 1751. Con decreto pubblico gli acquesiani stabilirono che questa preziosa statua di Maria SS.ma fosse portata in solenne processione per le vie della città il 15 maggio di ogni anno. denominazione Convento dei Padri Cappuccini Il Convento dei padri Cappuccini è situato nel poggio sopra la valle Citerna. La chiesa è intitolata a San Franscesco di Assisi. La strada che conduce al convento è lastricata con pietre di Bagnoregio, lungo la stessa sono situate le stazioni della Via Crucis. La struttura architettonica della chiesa è molto semplice: costituita da un'unica navata, sul fronte dell'arco trionfale è dipinto a tempera l'emblema descrizione francescano, la volta è a botte. Racchiusa in una cornice di stucco si trova una pala d'altare settecentesca di autore ignoto. Nella parte centrale della parete destra è presente una nicchia con il simulacro della Madonna, arricchito con un diadema d'oro. In fondo alla chiesa all'interno della cappella è esposta con cornice in legno la copia di una Madonna del quattrocento.

denominazione Monastero di Santa Chiara

Ai margini nord-ovest del centro urbano di Acquapendente, un tempo denominato "Poggio del Massaro", è ubicato il monastero di clausura di Santa Chiara. Su questo colle era eretta, una antica fortezza a difesa della città, per tale motivo la località veniva denominata anche "la cittadella". Nel 1333 l'autorità pontificia descrizione concesse a Fra' Tommaso di Acquapendente, padre provinciale dei minori conventuali, la facoltà di costruire sul predetto colle il monastero, usufruendo della esistente fortezza. Il monastero venne costruito e destinato a sede della comunità religiosa delle Clarisse.

denominazione Chiesa di S. Antonio Abate e S. Caterina

La facciata, che risale ad un secolo fa, è dell'architetto Guglielmo Meluzzi. Al centro della facciata si apre un grosso finestrone a occhio di bue. All'interno, nell'aula dei fedeli, si possono ammirare una statua lignea della Madonna di Loreto e la cappella in onore di S. Rocco con la sua immagine lignea. Sopra il cornicione, nelle aule, sono rappresentati con figure simboliche i sacramenti. Nelle descrizione nicchie dell'abside si trova la statua di S. Antonio abate di grande interesse storico artistico, citata da mons. P. Mignucci nel settembre 1652; a sinistra della nicchia c'è l'immagine di S. Caterina vicino alla ruota, simbolo del suo martirio. L'altare è decorato con graffiti eseguiti dall'artista locale Mario Vinci, le volte sono state eseguite da Ennio Luzzi nel 1965, entrambi nativi di Acquapendente sono ancora attivi nel territorio.

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denominazione Palazzo Viscontini

Alla morte di Viscontini il palazzo passò alla nipote Egidia e poi alla famiglia Benci; nel 700 fino ai primi dell'ottocento appartenne ai Cerri ed è attualmente di proprietà della famiglia Cordeschi. Il palazzo cinquecentesco, elaborato secondo lo schema consueto dello Scalza presenta una facciata con un primo piano fortemente bugnato e molto ricco plasticamente, piano nobile meno accentuato descrizione con finestre dotate di timpani ed architravi ed ultimo piano più basso dotato di finestre semplicemente incorniciate. Il palazzo è dotato all'interno di un grande giardino in cui fu costruito un anfiteatro dedicato a Girolamo Fabrizio. Esso aveva una capienza massima di 700-800 spettatori e contava sette palchi, tre dei quali, posti di fronte al palcoscenico formavano la cosiddetta "galleria della sala del caffè".

denominazione Piazza G. Fabrizio

Dopo il disboscamento della valle del Rivo intorno al XII secolo, nasce nel cuore della città piazza G. Fabrizio, già piazza Vittorio Emanuele. E' qui che numerose famiglie vollero edificare i loro signorili palazzi, veri e propri monumenti per Acquapendente, soprattutto per i caratteristici e solenni portali. Davanti alla chiesa di Santo Stefano è situato palazzo Benci Caterini, con portale ad arco sotto una trabeazione di tipo dorico. Il concio di chiave, anziché essere decorato dal descrizione tradizionale stemma, riporta un mascherone grottesco. Il palazzo con facciata a sette fori e due piani, aveva in origine sul secondo una loggia aperta con tre archi a tutto sesto ancora visibili. Altro palazzo interessante è quello Savini - Costantini che si affaccia sull'angolo della piazza principale; la ghiera dell'arco del portale allarga verso l'alto ed è ornata al centro dallo stemma gentilizio dei Savini. Palazzo Petrucci Piccioni di fronte al palazzo Comunale ha l'arco a tutto sesto del portale racchiuso entro forti lesene bugnate.

denominazione Palazzo vescovile

Con la distruzione della città di Castro e l'erezione della nuova diocesi di Acquapendente la città divenne sede vescovile. La comunità acquistò ed offrì al vescovo il palazzo della famiglia Oliva che doveva essere una parte dell'attuale palazzo; la forma attuale è dovuta ai restauri ed agli ampliamenti effettuati tra sei e settecento. Il palazzo è stato in passato il luogo in cui venivano carcerati i descrizione malfattori, il piano terra dell'ala destra era adibito a questa funzione, ora è occupato da un magazzino ma sono in parte ancora visibili le vecchie "celle" coperte da una volta a botte e con una piccola finestra per la luce. Come ogni carcere esso porta scritto sulle sue mura parte delle sofferenze sopportate dagli sfortunati inquilini. In questo caso si tratta di vere opere d'arte essendo i graffiti sul muro autoritratti, figure di animali o scene religiose.

176 denominazione Ospedale civile

La nascita dell'ospedale civile avvenne nella seconda metà del 1400, con la fusione degli ospedali acquesiani di San Giovanni e di Santa Maria così chiamato perché si trovava davanti alla chiesa di Santa Maria più nota come San Francesco. Le sue antiche origini vengono svelate sia dal portale ogivale di sicura epoca medioevale con la croce gerosolimitana posta sul suo architrave, sia da un descrizione affresco di Madonna con Bambino di autore ignoto, di scuola umbro senese dell'inizio cinquecento, posto all'ingresso dell'odierno ospedale. In Acquapendente, fuori dele mura esisteva l'ospedale di San Lazzaro a servire i lebbrosi del quale non rimane traccia se non nella tradizione locale. Infatti per la festa di San Lazzaro i cittadini acquesiani erano soliti fare delle merende all'aperto, la tradizione rimane ancora oggi con quella che viene chiamata la merenda di San Lazzaro.

denominazione Cinta muraria In Acquapendente le strutture fortificate del sistema feudale furono abbattute e sostituite con mura che meglio rispondevano alle mutate strategie di difesa introdotte con l'uso delle armi da fuoco. La posizione di cerniera tra la Toscana e le terre controllate dal Papa faceva di Acquapendente una pericolosa zona cuscinetto sottoposta alle mire espansionistiche di Orvieto e Siena. Così nel 1198 l'ennesima guerra contro il comune di Orvieto si risolse in un notevole danno per le mura acquesiane. Nel periodo rinascimentale le mura urbane di Acquapendente avevano già assunto l'aspetto che hanno poi mantenuto nel corso dei secoli successivi. Altre opere difensive furono progettate dal Cardinal Francesco Barberini nel 1643 durante la guerra di Castro con nuove fortificazioni e trincee. Poi durante il secolo dei lumi l'intero complesso fortificato cadde in un lento ed inesorabile stato di abbandono. descrizione Ma è nel corso del XIX secolo che si assiste alle maggiori opere di trasformazione con la demolizione di alcune porte e torri e lo sfruttamento per fini abitativi di parte della cinta muraria compresi alcun torrioni. Torre Julia de Jacopo. Lambita dalla S.S. Cassia sorge in prossimità del torrente Quintaluna, la porta di Santo Sepolcro detta comunemente Torre Julia a ricordo del coraggioso gesto di una donna che nel 1550, durante l'attacco delle truppe pitiglianesi accorse alle grida d'allarme lanciate dalle sentinelle e riuscì a chiudere il portone lasciato semi-aperto dai soldati di guardia. L'originario nucleo medioevale era formato dal solo corpo di fabbrica costituito da una porta ornata da teste zoomorfe, protetta da una torre soprastante atta alla difesa piombante. Sarà durante il primo rinascimento con l'avvento delle armi da fuoco, che la torre verrà mozzata e si costituirà il corpo anteriore a pianta esagonale munita di camminamento, caditoie ed archibugiere.

denominazione Torre del Barbarossa Vuole la tradizione che sia l'ultima vestigia del castello di Federico Barbarossa in cui risiedeva il suo governatore Guelfo VI scaricato dalla popolazione in seguito descrizione alla ribellione del 1166. La torre è dotata di orologio che già esisteva nel 1588 come annota lo storico locale Biondi. La forma attuale della torre è dovuta ai rifacimenti dell'ottocento che hanno aggiunto la cella campanaria ed i merli.

177 denominazione Ponte Gregoriano

Ponte sul fiume Paglia fatto edificare da Papa Gregorio XIII nel 1578. Testimone nei secoli della vita di Acquapendente, il ponte Gregoriano ha visto passare su di sé personaggi illustri, eserciti invasori, pellegrini e comuni viandanti accompagnandoli muto nei loro viaggi e segnando a volte i loro destini. Anticamente era costruito interamente in legno ma veniva continuamente travolto dalle piene del fiume. In occasione della visita di Papa Gregorio XIII al cardinale descrizione Sforza e del travagliato attraversamento del fiume, il Pontefice volle che il ponte fosse fatto in pietra e incaricò gli architetti Fontana di edificarlo; i lavori terminarono nel 1580. Costruito su sei archi in pietra, dotato di quattro pile con sagome frangiflutti nel verso della corrente mantenne questo aspetto per diversi secoli; dopo i restauri dell'inizio del XIX secolo, il ponte è stato interamento rifatto dopo la seconda guerra mondiale, essendo stato minato dall'esercito tedesco in ritirata. denominazione Teatro Boni Il complesso denominato "Teatro Boni" è posto nelle immediate vicinanze della piazza principale. L'organismo architettonico è tipico del teatro lirico, palchi su più ordini disposti a "Ferro di Cavallo"; nella sommità trova posto il "Loggione". Gli ordini di palchi sono tre ed ogni livello è alto circa mt. 2,15; sul loggione poggia la struttura lignea costituente la copertura di origine semisferica della sala, con al centro la bocca di estrazione dell'aria, sfociante nel camino superiore. La costruzione è realizzata in muratura ordinaria, con paramenti esterni in blocchi di tufo locale a faccia vista; le strutture orizzontali di copertura sono completamente in legno e laterizi. L'ossatura dei palchi è costituita da muratura di mattoni con descrizione sovrastante volta ad arco ribassato di copertura. Il palcoscenico, originalmente in legno, è stato ristretto e sostituito da un solaio in laterocemento, tale opera è stata attuata per adeguare la sala a veglioni ed a spettacoli cinematografici. Le attrezzature sceniche, fatta salva qualche corda e carrucola sono ormai del tutto perse, avendo il teatro assolto, negli ultimi anni di utilizzazione, alla sola funzione di sala per proiezione. Attualmente il teatro Boni è in restauro. Il recupero dovrà essere compatibile con le attuali esigenze di spettacolo e sicurezza, pertanto occorre pensare non solo a rendere l'"edificio" sicuro, ma anche sfruttabile appieno da tutte le forme culturali. denominazione Cinema Olimpia Il Cinema è situato in un edificio del centro storico, nelle immediate vicinanze della piazza principale. La funzione di cinematografo è svolta fin dal 1925 nella sala cinematografica denominata fin dall'origine "Cinema Olimpia". La denominazione non è casuale, infatti il nome deriva da donna Olmpia Pamphili (1594-1657), importante personaggio storico che governò la Chiesa durante il pontificato di Innocenzo X nel 1600. La famiglia era originaria di Acquapendente, dove aveva abitato per secoli nel complesso di case ove attualmente è ubicato il Cinema. Dal descrizione 1925, nel locale si è svolta l'attività di sala cinematografica, esercitata dalla famiglia Brenci, sino alla data del Luglio 1998, data in cui l'immobile e l'attività sono stati ceduti alla Regione Lazio e successivamente passati al Comune di Acquapendente.Il locale si sviluppa in due livelli distinti, il piano terreno, che comprende la platea e il piano superiore la galleria per complessivi 232 posti. Alla galleria si accede tramite una scala collocata lateralmente all'accesso della platea, si compone della sala gradonata, ove sono localizzati soltanto posti a sedere e due appendici laterali che si affacciano sulla sala sottostante.

178 denominazione Palazzo Comunale

Nel 1872 la Giunta Munucipale incaricò l'arch. Guglielmo Meluzzi (Rimini 1822- Roma 1884) del progetto del nuovo palazzo comunale da erigersi nello stesso luogo del vecchio. I lavori iniziarono nel 1877. L'edificio fu concepito in stile neocinquecentesco con gradinata e portico ad arcate al piano terra e due ordini superiori, con un ampio loggiato al primo piano che nel progetto definitivo fu chiuso con finestre. Un ordine gigante di paraste suddivide in tre parti il prospetto principale ed incornicia quelli laterali. Il cornicione, ben proporzionato, è decorato descrizione con mensole, ovoli e dentelli e l'altana con l'orologio centrale ed i due stemmi laterali in cotto, con le insegne del Regno e del comune, coronano il palazzo. Il palazzo comunale preesistente lo conosciamo da un acquarello, opera dello stesso Meluzzi, dipinto a fronte dell'immagine che avrebbe avuto il nuovo e più grande edificio di sua progettazione. Il palazzo antico, dalla piante rilevate dall'architetto riminese, era di dimensione abbastanza contenute e privo di particolari decorazioni.

denominazione Castello di Torre Alfina (Fraz. Acquapendente)

Il paese di Torre Alfina si sviluppa intorno al Castello da cui ha avuto origine. Si deve a Desiderio ultimo re dei Longobardi (756 - 774), la costruzione della Torre centrale detta del Casseo. Nell'809 con la calata di Carlo Magno in Italia, quattro fratelli al suo seguito di origine tedesca si stabilirono nell'Italia centrale. Uno di loro, fermatosi ad Orvieto, avrebbe dato origine ai Monaldeschi. Questi, da quel descrizione momento controllarono molti castelli della zona circostante compreso Torre Alfina. Estinta la Casata dei Monaldeschi, il castello passò in eredità ai marchesi Bourbon Del Monte, che lo tennero sino al 1881 quando fu acquistato e salvato dalla rovina dal marchese Edoardo Cahen. Il castello fu lasciato da suo figlio Rodolfo in eredità ad un suo governatore e da allora più volte venduto dai proprietari sino ai nostri giorni ponendo così fine all'ultima casata nobile vissuta a Torre Alfina.

denominazione Castello di Trevinano (Fraz. Acquapendente)

Piccolo centro di probabile origine etrusca. Le scarse notizie che si hanno sul castello di Trevinano risalgono alla metà del XII secolo, periodo tormentato da frequenti scontri tra gli acquesiani e gli orvietani. Una data fondamentale è descrizione sicuramente il 1187, anno in cui con un trattato di pace, stipulato tra le città di Acquapendente ed Orvieto, si concede l'abitato di Trevinano ai figli di Sinibaldo Visconti di Campiglia. Attualmente il castello è di proprietà dei Boncompagni - Ludovisi, dopo essere stato per circa 300 anni della famiglia Bourbon Del Monte.

179 denominazione Chiesa della Madonna della Quercia (Trevinano)

Scendendo da Trevinano verso il Paglia, a circa un km. dall'abitato, si trova la chiesa dedicata alla Madonna della Quercia. Secondo la tradizione popolare, riportata da un manoscritto del 1782, sui rami di una quercia secolare avvenne descrizione l'apparizione della Madonna. A croce latina con braccia absidate, fu eretta a santuario intorno al XVI secolo. Sull'altare, in parte barocco, si può notare un pezzo del tronco dell'albero del miracolo.

denominazione Chiesa parrocchiale (Trevinano)

La chiesa parrocchiale, come si può dedurre da un documento del settecento, è intitolata alla "Madonna SS. Sotto il Mistero della Natività"; a tre navate divise da due file di tre pilastri ciascuna, collegati da archi. Attualmente la navata centrale, descrizione che anticamente era "a volta", è formata da capriate con travi dipinte. La sua erezione è presumibilmente del periodo rinascimentale. Sugli altari di stile barocco si possono notare tele del XVI e XVII secolo.

denominazione Museo del Fiore

Anno di fondazione 1995 Sede e originaria destinazione d’uso Casale Giardino, Riserva Naturale del Monte Rufeno Attraverso pannelli, giochi interattivi e sussidi multimediali il visitatore è condotto nel mondo del fiore, per coglierne gli aspetti biologici, ecologici, Materiali e temi espositivi (entità della culturali. Di interesse demologico l'ultima stanza, collezione e stato di conservazione > dedicata alla ricostruzione di un laboratorio per la quantificare e descrivere l'esposizione attuale, realizzazione dei "pugnaloni" (pannelli realizzati con anche in percentuale) petali di fiore), con postazione video, pannello interattivo e programma informatico ("Il fiore e il folklore"). Non vi è pertanto una “collezione”, ma una serie di percorsi di visita. Provenienza dei materiali esposti Locale Ente competente Comune di Acquapendente

Informazioni logistiche

Collegamenti e trasporti Il museo è raggiungibile solo con mezzi propri. E' allestito il "Sentiero Natura del Fiore" come stazione esterna del museo, ricco ed articolato in 22 punti di sosta attrezzati e didatticamente arredati, Percorsi turistico-culturali allestiti dedicato specificamente a gruppi e scuole. E' possibile inoltre usufruire degli altri percorsi naturalistici ed escursionistici attivati nella Riserva Servizi attivati Ristorazione No Punto vendita (libreria, oggettistica, ecc.) No Servizi per i disabili Si Servizi didattici Si

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