STRUMENTI 2 3 Giuseppe Marci

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STRUMENTI 2 3 Giuseppe Marci STRUMENTI 2 3 Giuseppe Marci IN PRESENZA DI TUTTE LE LINGUE DEL MONDO Letteratura sarda 4 STRUMENTI / 2 Coordinamento editoriale CENTRO DI STUDI FILOLOGICI SARDI / CUEC ISBN: 88-8467-307-0 IN PRESENZA DI TUTTE LE LINGUE DEL MONDO Letteratura sarda © 2005 CUEC editrice prima edizione dicembre 2005 CENTRO DI STUDI FILOLOGICI SARDI Via Principessa Jolanda, 68 - 07100 Sassari Via Bottego, 7 - 09125 Cagliari Tel. 070344042 - Fax 0703459844 www.centrostudifilologici.it info@ centrostudifilologici.it CUEC via Is Mirrionis 1, 09123 Cagliari Tel/fax 070271573 - 070291201 www.cuec.it e-mail: [email protected] Senza il permesso scritto dell’Editore è vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Realizzazione editoriale: CUEC Copertina: Biplano snc, Cagliari Stampa: Grafiche Ghiani, Monastir (Ca) 5 Ai giovani, perché riflettano 6 7 De Sanctis è un hegeliano che si rivolge a un’esperienza concreta e che, attraverso la storia della letteratura, costruisce una fenomenologia dello spirito italiano reinterpretando genialmente la costruzione storiografica della Fenomenologia dello Spirito di Hegel. La Storia della letteratura italiana è infatti una sorta di epifania progressiva dello spirito, ma è anche un’invenzione: l’analogia con Hegel indica soltanto l’originalità con la quale De Sanctis costruisce qualcosa di analogo rispetto allo spirito di una lingua, di una comunità e di una geografia. Il problema è in sostanza l’istituirsi di una coscienza moderna attraverso la letteratura, riconoscendo ancora, nella tradizione letteraria, uno dei luoghi principali di rappresentazione e di autoriflessione. Ezio Raimondi Fare l’archeologo significa interpretare basandosi su alcuni dati certi e poi interpretare ancora. Un lavoro di introspezione. Giovanni Lilliu 8 9 Indice Premessa 11 Bàntidu de sa sardidàde 17 La storia culturale 23 Le origini 45 I Condaghes 50 L’agiografia e la cronaca 53 La Carta de Logu 60 Post res perditas 64 Il Cinquecento 1. Storie di libri 69 2. Sigismondo Arquer 71 3. Storici ed eruditi 75 4. Una letteratura trilingue 79 Il Seicento 1. Carestie e pestilenze 85 2. Storici ed eruditi 86 3. Romanzieri e poeti 89 4. Il teatro 98 5. Fra cultura spagnola e cultura italiana 100 Il Settecento 1. La storia degli uomini 106 2. Il rapporto col Piemonte: i problemi linguistici 109 3. Storici, eruditi e trattatisti 115 4. L’Index libri vitae di Giovanni Delogu Ibba 118 5. Le riforme 121 6. La letteratura didascalica e d’intonazione civile 125 7. I didascalici 135 10 8. Il teatro 178 9. La poesia 180 10. Vincenzo Sulis 189 L’Ottocento 1. La Restaurazione 194 2. “La storia non fu scritta” 196 3. La lingua sarda 204 4. L’attività pubblicistica 206 5. Letterati e poeti 212 6. La narrativa 215 7. Enrico Costa 231 Il Novecento 1. Il sentimento dell’autonomia 238 2. Grazia Deledda 241 3. Sebastiano Satta 244 4. La “giovane generazione” 245 5. Tra le due guerre 248 6. Il secondo Novecento 257 7. Il misturo 292 La “scuola sarda di giallo” 308 Lingua, letteratura e identità 330 Ringraziamenti 338 Cronologia 341 Indice dei nomi 361 Indice delle opere 369 Indice dei periodici 375 11 Premessa C’è un’immagine della Sardegna che abitualmente si propone, data e ricevuta come moneta corrente, quasi fosse l’unica possibile. È l’im- magine di una civiltà pastorale arroccata in un ambiente naturale, sel- vaggio e inaccessibile. Quasi un mito, fondato sul concetto di insula- rità intesa come separatezza, separatezza che deriva dal dato geografi- co e si trasforma in un elemento della psicologia, in tratto del caratte- re continuamente ripetuto nel corso dei secoli. Separatezza e diffiden- za, sospetto nei confronti di ciò che viene dal mare, uomini o idee che siano, resistenza ai sempre ripetuti tentativi di conquista. È un’imma- gine fiera, non priva di un suo rudimentale eroismo. L’accompagna un corredo che dall’antichità giunge fino a noi con pochissime modi- ficazioni. La veste di pelle, il coltello, la mungitura, l’impianto della vigna che ripete il gesto di Noè, il vino nero, la cantina, le voci barito- nali, la vendetta e così via. Ancora oggi, in un’epoca in cui la comunicazione in tempi reali può darci rapida ed esatta informazione di ciò che accade in paesi lontani, quell’immagine sembra essere la sola accreditata a rappre- sentare la Sardegna, il solo biglietto da visita autentico. Chi, per ragioni di lavoro o per vacanza, sbarca nell’Isola, s’attende di trovare giacche d’orbace e gambali di pelle, porchetti arrosto e balli in tondo. Né un’opinione molto diversa abbiamo noi che in questa ter- ra abitiamo. E non c’è dubbio che un tale radicato convincimento nasca dall’importanza, dalla prevalenza, forse, che la cultura pastorale ha avuto (e ancora, almeno in parte, ha) rispetto alle altre forme in cui nei secoli si è caratterizzata la storia della Sardegna. Ma a una più attenta riflessione si dovrà convenire che la visione pastorale, primitiva e rusti- ca, non esaurisce il panorama isolano. Come tutte le definizioni, del re- sto, che fissano ciò che è mobile, schematizzano ciò che è vario, intro- ducono semplificazione dove c’è complessità di fenomeni. E sotto il peso di una eccessiva semplificazione risulta compresso, ancora oggi, quasi del tutto ignorato, un importante campo nel quale 12 purtuttavia si sono lungamente esercitati gli uomini che hanno vis- suto in Sardegna: il campo delle attività culturali e, particolarmente, quello della scrittura. Se un’improvvisa domanda ci chiedesse di elencare le principali testimonianze prodotte dallo spirito umano in Sardegna, non avrem- mo difficoltà a ricordare le opere dell’età nuragica, parleremmo delle chiese pisane, forse delle attività pittoriche e dei retabli. Ma a chi ver- rebbe in mente di citare un’opera letteraria? Certo, c’è Grazia Deledda con il suo Premio Nobel che appare come un monumento nel deser- to, c’è la poesia di Sebastiano Satta e, più vicini a noi, Paese d’ombre di Giuseppe Dessì, Il giorno del giudizio di Salvatore Satta, Padre padrone di Gavino Ledda, i romanzi e i racconti di Sergio Atzeni che hanno avuto notevole diffusione, quelli di Salvatore Mannuzzu: difficile ag- giungere molti altri nomi di scrittori o titoli di opere. Vari sono i motivi che possono spiegare questa dimenticanza, ma, al di là d’ogni possibile giustificazione, essa rappresenta indubbia- mente una perdita non inferiore a quella costituita dalla devastazione di un ambiente naturale, dal crollo di un monumento, dal furto di un’opera d’arte. Il nostro essere qui, così come siamo, deriva da un processo storico e da un’elaborazione culturale che vanno conosciuti, qualunque importanza abbiano avuto nell’ampio scenario degli eventi umani, perché solo attraverso quella conoscenza, e la riflessione che ne deriva, possiamo arrivare a capire la nostra attuale fisionomia, a disegnare il nostro futuro modo di essere. Lo studio delle produzioni letterarie può aiutarci a capire che quell’immagine fiera e barbarica non esaurisce l’intero panorama, perché alla realtà sarda anche appartengono, e non vanno dimenticati, lo sforzo del pensiero e la tensione della scrittura: un’attività intellet- tuale che dalle età più antiche a oggi si è sviluppata, anche in maniera discontinua, ma comunque tracciando una parabola che può essere identificata e descritta. A dispetto della frantumazione geografica del territorio isolano e della perifericità rispetto alle capitali della cultura europea, gli autori sardi, quando più quando meno nelle diverse epo- che storiche, non furono ignari del dibattito ed ebbero la strumenta- zione dottrinaria per parteciparvi intendendolo e, in determinati casi, arricchendolo con il personale contributo. 13 Testimonianza di questa attività sono le opere che ci rimangono e che meritano di essere riconsiderate, lette l’una in relazione all’altra, studiate nei tratti che le accomunano e le congregano in un unico as- sieme rappresentante il patrimonio letterario sardo. È a questo assie- me che volgiamo lo sguardo con la convinzione che conoscerlo sia, per i sardi, un compito irrinunciabile. Va subito detto, a scanso d’equivoci, che una siffatta considerazio- ne non nasce da ragioni d’indole sentimentale ma piuttosto deriva da- gli atteggiamenti ormai saldamente assunti dalla metodologia lettera- ria, sempre più attenta ai particolari percorsi che le letterature hanno compiuto e compiono nelle diverse regioni del globo, non di rado an- che espresse da piccoli popoli, talora in una lingua differente da quella parlata (ma con feconde derivazioni dalle consuetudini dell’oralità) o, sempre più di frequente, in un impasto, comunque connotato, fra la lingua materna e quella della nazione che per gli eventi della storia ab- bia esercitato una dominazione politica e, comunque, abbia avuto un influsso culturale e linguistico. In Italia la tradizionale immagine di una letteratura nazionale, de- sanctisianamente vista come un sistema unitario e coeso, è stata ri- considerata dopo la pubblicazione del saggio di Carlo Dionisotti inti- tolato Geografia e storia della letteratura italiana (1951) che ha spie- gato come l’attività letteraria possa e debba essere vista in relazione allo spazio e al tempo, alla storia e alla geografia, “alle condizioni che nello spazio e nel tempo stringono ed esaltano la vita degli uomini”1. Per quanto concerne la Sardegna è necessario precisare che “allo stesso modo in cui il sardo non può essere considerato un dialetto ita- liano, difficilmente la Sardegna, a causa della sua posizione decentrata e della sua peculiarissima storia, segnata dall’incontro con diverse culture, può essere integrata in un discorso di storia letteraria rigoro- samente italiana”2. Tale precisazione avrà non trascurabile importanza nell’aiutarci a considerare le opere prodotte dai sardi nel corso dei secoli come il 1 C. DIONISOTTI, Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1984, p.
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