NUMERO 276 in edizione telematica 10 gennaio 2020 DIRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected]

Ecco, l’idea è non solo di come ci si arrivi sul filo, a quel traguardo ideale, che ognuno di noi si è dato all’inizio di un percorso, ma perché. Alla fine ogni storia non può che essere originale, soggettiva, personale. Io, dunque, conservo da sempre nell’intimo pensiero una mia visione pressoché onirica dello sport, che mi accompagna dall’adolescenza, che ancora mi tiene per mano, che mi detta un ritmo senza pause, né cali, né soste, di lena piuttosto lunga. Insomma, partendo dalla corsa sappiamo che le diverse forme in cui l’atletica si alleggerisce, sino sintetizzarsi nel decathlon, rappresentano l’esaltazione delle individualità, di fatto il massimo in termini metaforici, ovvero la sintesi del concetto di “Ognun per se e Dio per tutti!”. Cosa vuol dire questo, in termini pratici, ora che la “Regina” è in sofferenza di emozioni, di coinvolgimenti nell’italico immaginario? Che ahimè si è di fronte ad una crisi di vocazioni, talenti e di immaginifici precettori. Insomma un malessere che pervade ormai da troppo tempo chi è nella torre, che fu eburnea per buona parte del XX Secolo. Un calo del desiderio o una crisi da astinenza ? Non c’è dubbio che la millenaria matrice, nobile, blasonata comporta di per se quella sicumera che, nel fare la differenza, tradisce nei fatti il divenire, salvo l’ambizione, l’ardire. Allora, la consapevolezza di rappresentare l’archetipo per eccellenza, l’homo ludens, l’eroica millenaria passata per i Giochi Olimpici, Istmici, Pitici, Nemei, Agoni essere gli eredi, i portatori del mitico messaggio di speranza e di progresso partito con Fidippide, magari fa rinsavire o delirare, vedere orizzonti con luce diversa. Diciamo che occorre percepire quel che è immanente e immateriale, affidato alle potenzialità che non tutti sono capaci di intuire, alla sensibilità che consente di apprezzare fenomeni apparentemente effimeri, ma in realtà straordinari, come lo possono essere un doppio arcobaleno o l’aurora in trasmutazione boreale. In verità, la storia dell’atletica leggera italiana si impunta ogni giorno di fronte alle sue radici negate, quello Stadio di Domiziano, sepolto da quasi duemila anni sotto Piazza Navona, che pazientemente attende la restituzione del ruolo, il riconoscimento e la riconoscenza, per essere la pietra angolare o se preferite nera del movimento mondiale. Basterebbe questo per far capire l’esigenza di un rapporto culturalmente diverso, non snob, ma ambizioso sì, nei confronti di popolo e istituzioni. Una pervicace azione di promozione culturale espressa in modo efficace con mezzi aggiornati, un importante investimento nel campo della comunicazione, dovrebbero sovvertire la stagnazione e l’obsolescenza, mentre la presenza strategica in ogni Comune riconcilierebbe fantasia e realtà sui territori, laddove oggi inattesi e inosservati germogliano e appassiscono anche coloro che potrebbero ambire al podio più alto,

SPIRIDON/2 come capitò a quasi tutti i nostri amati, osannati e indimenticati campioni da Lunghi a Pietri a Frigerio, da Maffei a Valla, da Dordoni a Pamich, da Consolini a Tosi, da Berruti a Mennea, da Simeoni a Damilano. Sento di dover descrivere questo aspetto romantico e ideale, passionale che ha contraddistinto i migliori momenti della nostra vita,

quando quelli di gloria avevano del trascendentale e prescindevano sintomaticamente dal rapporto burocratico organizzativo, erano avulsi dalle fortune di club titolati, di centri in divisa, da selezioni da bando o parametri di guru testardi, ma si affidava a refoli di vento spiranti dalle più diverse direzioni. In poche parole, l’atletica deve tornare a battere i territori e a rapportarsi con il tessuto sociale, sposando quelle marginalità che più hanno bisogno di identificarsi con l’essenzialità del gesto sportivo, a partire da quello più spontaneo, dal camminare veloce, prima ancora di correre. Occorrono ancora entusiasmo e capacità empatica per recuperare lo spazio che spetta, compiendo un atto doveroso verso la collettività, rivedendo completamente i numeri di società,

eventi e praticanti, intercettando tutto quel che è in sospensione, trasformarlo in fertile humus e determinare la ripresa in progressione geometrica. L’atletica è nel DNA di ognuno. Dobbiamo soltanto attivare con sapienza la giusta attenzione, la capacità di misurarsi, di ascoltarsi, di valutarsi a partire dalle opportunità di autostima, tali da cambiare anzitutto la qualità etica del rapporto con se stessi e gli altri. Oggi possiamo portare il verbo o se preferite la proposta per essere diversi, migliori, attraverso la metodologia informatica, i social. Possiamo generare un sistema di promozione diretta, di approccio e assistenza per numeri illimitati di praticanti, salvo le declinazioni successive da dedicare alla fase premiante, alla qualità. Se ricordiamo Ridolfi, Zauli e Nebiolo, piuttosto che Comstock, Oberweger e Rossi occorre abbinare i medagliati sul campo, eccellenze simboliche rappresentative della loro genialità, oltre la sapienza costruttiva con Littoriali,

Studenteschi, Campi Scuola, Olimpiadi, Scuola Nazionale, Universiadi, Centri Olimpia, Giochi della Gioventù … Infine, proviamo ad immaginare chi possa ora candidarsi al comando, a principe o consigliore per una fase così importante, per quella che appare come una opportunità di necessaria rinascenza, di operare l’alchimia nell’angusto spazio che rimane tra il vivere e il morire, piuttosto che sopravvivere, sul filo di lana. Ruggero Alcanterini

SPIRIDON /3

errare humanum est, perseverare autem diabolicum

TORTU INSISTE NELL’ERRORE Nel mese più morto dell’anno per l’atletica, campestri e prime timide riunione indoor escluse, Tortu ci fa sapere che anche nel 2020 privilegerà i 100 nel sogno (assurdo) di poter vincere un’Olimpiade sulla distanza più prestigiosa e stressante del programma atletico. Dunque, secondo noi, continuare nel nefasto proposito di trascurare i 200 dove nell’orticello europeo, avrebbe sicure chance di medaglia nonché di possibile finale mondiale e/o olimpica, tempi alla mano. Non facciamo profezie ma l’investimento totale nei 100 alla fine della carriera potrebbe fargli considerare il settimo posto iridato del 2019 (unico bianco in finale) come il miglior risultato di carriera considerando quell’insormontabile gap di due/tre metri che lo separa dall’eccellenza (da Bolt i metri sarebbero stati più di quattro). Il bello (o il brutto) che nella sua corte di suggeritori (ormai sempre più affollata, non ultima la parola di Fastweb, magniloquente sponsor) nessuno azzarda un’affermazione contraria. Perseverare sarà diabolico, lo scriviamo preventivamente augurandoci di venire smentiti perché nel magro pascolo dell’atletica italiana questo è uno dei rari valori certi su cui investire. Lo era fino a tre anni anche la Trost che in questo lasso di tempo ha combinato davvero poco. Nel 2020 altro giro altra giostra con scoperte che certo non pertengono ad Archimede ma ad un empirismo di seconda mano. “Avevo trascurato di lavorare sulla forza”- la detto la ragazza. Dunque “che la forza sia con lei” e la faccia uscire dalla mediocrità di misure e piazzamenti che a 26 anni dicono veramente poco sperando che le faccia compagnia quella Vallortigara assolutamente orfana dei due metri già toccati. Intanto il calcio compila piani di fattibilità per rinnovare un parco impianti che è sostanzialmente fermo al rinnovamento messo in atto per i mondiali del 1990, quando ci dissero che lo stadio Olimpico aveva bisogno di una copertura, salvo smentirsi un decennio dopo. I progetti riguardano Milano, Bergamo, Brescia, Genova, Udine, Verona, Bologna, Firenze, Roma, Cagliari, Napoli, Lecce. Dunque un restyling totale delle grandi piazze. E l’atletica che fa, reagisce? No, il desolente planning degli impianti esistenti quando comincia la nuova stagione indoor è sotto l’occhio di tutti. Una nomina del football chiarisce quanto il merito e la competenza siano oggi valori immateriali. Il nuovo presidente della Lega Calcio è il milanese Paolo Dal Pino? Cosa sa di calcio? Assolutamente nulla, dunque è adatto alla carica. Viene dal Brasile e al massimo ha tifato per il Botafogo. Cosa importa? L’esempio di Sabelli a digiuno di sport, tendenzialmente uomo di potere, è illuminante. Uomini sbagliati nei posti sbagliati. Vuoi mettere con Malagò che ha una presenza nella nazionale di calcetto, con Mario Pescante che correva gli 800. No, Petrucci no. Quando è diventato presidente del basket non ne conosceva le regole. Ma a proposito della commistione atletica/calcio apprendiamo con sorpresa (ma anche con sgomento) che il segretario della Fidal Fabio Pagliara fa parte della cordata che vuole rilevare (e salvare) il Catania calcio. Rimaniamo sorpresi e straniti. Pagliara ha i capitali per l’operazione o è solo un uomo-garanzia che si avvale della propria carica istituzionale per una operazione di complessa progettualità. Passione o interesse? Gli resterà tempo per l’atletica in un anno delicato? Di Pietro commenterebbe: “Che ci azzecca?”. Non ci proviamo proprio ad abbozzare un altro improponibile confronto tra atletica e nuoto. Negli europei in vasca corta (paragonabile ai campionati continentali indoor di piste e pedane) il nuoto azzurro ha raccolto venti medaglie con 47 primati personali. Quando mai l’atletica ha avuto una ridda di miglioramenti (programmati) così sensibile. Le classifiche di competenza di fine anno collocano l’atletica azzurra a un 51esimo posto mondiale che la dice lunga. E la buona condizione attuale di Crippa e Battocletti non è deterrente sufficiente per scrollarci da questa imbarazzante collocazione. Intanto continua la campagna elettorale. Con un Fabbricini necessariamente presenzialista in ticket con Morini. Ecco, forse in quel caso il merito sarebbe premiato.

DANIELE POTO

SPIRIDON/4

Bolzano svetta nella qualità della vita socio-sportiva. La BOClassic, dalla prima edizione del 1975, ha suggellato l’anno come la Corrida brasiliana di San Silvestro di San Paolo. All'inizio il circuito era ridotto. Dal 1987 è subentrato un anello di 1250 metri da ripetere 8 volte. Nel 1985 si era affermato , nel pieno periodo dei suoi trionfi, avviato nell'82 con il titolo europeo, esaltato nella stagione successiva dal mondiale di Helsinki, completato dal successo olimpico californiano dell'84 e alla vigilia di chiudere il 1985 con la superba doppietta in Coppa Europa. Nell'88, in 28:34, fu il turno di , prossimo a chiudere la stagione con l'argento olimpico di Seoul. Giorni fa, in 28:31, è toccato a Ghebrehwet Faniel Eyob sbalordire il telecronista Franco Bragagna e noi tutti, presenti e lontani. Avviato all'agonismo dall'indistruttibile passione di Giancarlo Chittolini e allenato da , già maratoneta di vaglia, Eyob prepara la gara di Tokio: non è esagerato confidare, con l'agilità di passo che lo contraddistingue, nella speranza di podio. La Sicilia dell’atletica competente sa che Eyob può migliorare il record nazionale dei 21 chilometri e 97 metri di , 1h20 nella Stramilano del 2002. La Sicilia confida anche nei progressi di Osama Ussem Zoghlami, allievo di Gaspare Polizzi, proiettato verso l'obbiettivo dei 3.000 siepi giapponesi, undicesimo a Bolzano in un 31:01 che migliora il 31:08 segnato ad Acireale nel febbraio del 2018. Margaret Kemboi, cinque chilometri in 15:30 nella luminosa giornata climatica vissuta nel nord Italia, eguaglia la Tirop nel primato. Emerge, ancora una volta, la ‘stoffa’ di , sesta classificata in 16:11 e prima delle europee. Nel 1975 la gara femminile era su distanza pari alla maschile. Dal 1979 al 1984 si è accorciata, quasi in controtendenza con le competizioni internazionali dove le donne corrono da tempo su distanze pari agli uomini. C'è tanticchia di Sicilia che esulta per Nadia. E torna alla ribalta , l’emigrato al contrario, dalla Cles trentina della Val di Non alla Conca D’oro siciliana, la sua ‘palermitanizzazione’ con Gaspare Polizzi, come nel racconto inserito nella Storia dell’Atletica Siciliana, un lungo lavoro prodotto a quattro mani tra Sergio Giuntini e il sottoscritto. Giuliano ha rielaborato i principi metodologici appresi e li ha adattati a Nadia, che si dichiara in afflato con il padre- allenatore. Le giornate di questo talento fulgido sono armonizzate, studio e stadio, prati e strada, alture, palestra. I soggiorni in Marocco, radici della madre, ai verdi anni quotata mezzofondista, le hanno fatto comprendere la fatica di resistere alle situazioni, climatiche e sociali, avverse. Nadia Battocletti ha ‘la stoffa’. Nella metafora, l’allenatore-sarto Giuliano ha cercato e trovato ‘gli abiti’ per Nadia, che segue in gara le strategie indicate, ma è dotata di acume tattico, e di finali veementi. Eyob e Battocletti: con le dovute differenze, il loro ‘peso’ è della stessa materia di cui sono fatti i sogni. Nata nel 2000, Nadia sfavillerà nella stagione agonistica appena avviata a livello Under 23, senza escludere la partecipazione all’Olimpiade di Tokio. Qualche giorno, e il sei gennaio il cross ha sostituito la strada. Sessantatreesima edizione del Campaccio, nome derivante da 'campasc', campo incolto in dialetto legnanese. Internazionale dal 1963, la gara è stata interamente targata Etiopia, un fenomenale Mogos Tuemat tra gli uomini e Fotyen Hailu Tesfay tra le donne, Yeman Crippa soddisfatto, di pochissimo fuori dai primi tre, e Nadia Battocletti in linea con la crescita annunciata. Pino Clemente

SPIRIDON/5

Sull'onda della universale celebrazione del suo campionato del mondo, il 2019 è stato l'anno in cui le masse mondiali ( “e reali esigenze ee masse” diceva il Verzo impareggiabile studente cialtrone - ma di avanguardia - per “Alto gradimento” già negli anni '70 ) hanno preso coscienza di come il calcio femminile abbia ormai diritto ad una dignità e rilevanza tali che non avrebbe stupito più di tanto se i giudici à la page di “Time” lo avessero dichiarato “persona dell'anno” 2019 al posto della carismatica ed un poco ieratica Greta Thunberg, dopo che nel 2017 il titolo era andato al movimento #Me too, altra icona indiscussa della emancipazione femminile dalla tirannia – nel caso godereccia - del maschio. Ma, politicamente corretto a parte, ha davvero tanto da guadagnare lo spettatore sportivo cui eventualmente si apra tutto uno scenario ed annesso stupidario (intra ed extra mediatico) proprio del calcio al maschile epperò il tutto edulcorato dalla superiore finezza senz'altro da supporre nella versione al femminile ?

Se c'è uno sport che al femminile patisce la comparazione con la versione mascolina (siappure il genere femminile in classicità e purezza non sempre risulti esaltato nelle uniformi del soccer coté feminin, ma questo per le menti più aperte non può che essere un vantaggio . . .) questo è il calcio, non uno sport di combattimento come la boxe ad esempio, od uno di forza come il sollevamento pesi, che risultano decisamente apprezzabili quale che sia la metà del cielo su ring o pedana al pari di altri sport di squadra, ma proprio il calcio, dove la dilatazione dello spazio di gioco rispetto ad altri sport amplifica in modo netto la differenza di velocità ed energia applicate, lo spettacolo che si abbassa, peggio di quanto non accada nel rugby – sempre ad esempio – dove pure a parità dimensionali del campo, l'azione è di norma concentrata sulla linea di impatto e partecipata dall'insieme delle due squadre, così che la percezione della minore qualità in ambito tecnico- atletico tra i sessi risulta mitigata ed incide in minor misura sulla godibilità del confronto messo in scena.

Ma cosa gliene può fregare di questi limiti calcistici alle masse moderne, in particolare a paladini reduci dal #Me Too, a pasionarie femministe, a sardine e progressisti sempre e comunque perchè nessuno resti indietro, neanche – in prospettiva - il salario delle migliori prestipedatrici al cospetto di quello dei Messi, dei CR7 (sic !) e dei . . . Rabiot ? Nulla, tantopiù che la lesbica capitana delle campionesse del mondo degli Stati Uniti, Megan Rapinoe, è una indiscussa voce in ogni battaglia per i diritti cvili e naturalmente sempre contro il solito Donald Trump. Tutto quadra insomma.

Il calcio deve essere sempre più per tutti (i poveri allocchi) “lo sport più bello del mondo” e guai a chi d'ora in poi oserà discriminare tra i sessi in campo: Rai, Sky e Dazn si ritengano avvertiti, i pensionati che da sempre hanno straveduto per una sola Inter od una sola Juventus, raddoppino i propri orizzonti, tantopiù che a loro basta che sia calcio in fondo (con il venire meno di altri, di orizzonti . . .). Mauro Molinari

SPIRIDON/6

Animula vagula, blandula... … scelti da Frasca

Per Ludovico, questo libro era un'idea fissa, una cosa da fare assolutamente, una di quelle esigenze giornalistiche che nascono dalla stessa vita, con le sue sorprese, le sue avventure, le sue sventure. E la sua vita – a un certo punto – lo aveva messo difronte alla SLA, come un muro altissimo che sorga all'istante e poi ti crolli addosso. Il muro che aveva travolto sua moglie Regina. Dopo la lunga battaglia, nobile perché persa dall'inizio (e tutti lo sapevano, lui per primo), Ludovico decise che quell'esperienza doveva essere raccontata. Perché il nemico, la SLA, è ancora semiclandestino, e invece parlarne (tra malati, tra malati e sani, tra famiglie dei malati, tra sani e sani, tra malati e medici, tra sani e medici) è forse il primo passo per sconfiggerlo… Ludovico aveva preparato già molto materiale, aveva intervistato medici e malati, aveva cercato di scoprire perché l'incidenza della SLA aumenti in misura esponenziale tra gli sportivi, in particolare tra i calciatori. Lo schema del volume, e buona parte del contenuto, erano sulla sua scrivania la notte in cui il destino ce l'ha portato via, impareggiabile amico, grande giornalista, formidabile e avventuroso padre. Ed è stato automatico, subito, decidere che il lavoro di Ludovico Perricone, il suo impegno contro la SLA, la sua storia di dolore e divulgazione non dovevano andare perduti. Così ci siamo messi in movimento, figli e amici, per aggiungere qualche pezzo mancante al puzzle, per chiudere qualche frase rimasta in sospeso: ma sia chiaro che ogni parola è di Ludovico, ogni scritta nera d'inchiostro è sua, sua e di Regina, sua e di Fabio, Flavia e Federica. Una grande battaglia, persa solo in apparenza. Perché Regina e Ludovico ci sono, e ci parlano ancora. Maurizio Crosetti, prefazione a SLA, il dramma e la speranza, di Ludovico Perricone, Tipolito Melli – Borgone Susa, 2005.

Mi ha rovinato. Ha riso delle mie perdite. Deriso i miei guadagni, offeso il mio popolo. Ostacolato i miei affari. Mi ha messo contro i miei amici. E istigato i miei nemici. E per quale ragione? Perché io sono un ebreo. E un ebreo non ha mani? Non ha occhi, un ebreo? Organi, gambe, braccia. Sensi. Affetti, passioni? Non è nutrito dallo stesso cibo, ferito dalle stesse armi, soggetto alle stesse malattie, curato dalle stesse medicine? E non soffre il caldo d'estate e il freddo d'inverno come un cristiano? Se mi pungete, non sanguino come voi? Se mi fate il solletico, non rido? Se mi avvelenate, non muoio anch'io? E se mi offendete, non dovrei vendicarmi? Se un cristiano è offeso da un ebreo, quel cristiano come mostra la sua carità? Vendicandosi, sicuro! E se un ebreo viene offeso da un cristiano, perché dovrebbe comportarsi in modo diverso? Dal monologo di Shylock nel Mercante di Venezia di William Shakespeare (Stratford-upon-Avon 1564-1616).

Ora è notte, mantello di noi che fummo sradicati dalle nostre radici. Sotto il piccolo lume che ci veglia, la monaca ha preso a sgranare il suo rosario, il signore decoratissimo si toglie pian piano le scarpe, il vecchio fantino si sente il sedere compresso tra due selle, gli arciduchi si addormentano impettiti. Dolores finisce il suo lavoro a maglia per i suoi bambini che non nascono; ed io, io attendo che le comunicazioni si ristabiliscano tra gli esseri umani. Un giorno, forse, abbatteremo le porte della nostra prigione, parleremo a uomini che ci risponderanno, gli equivoci si dissiperanno tra i vivi, i morti non avranno più segreti per noi. Quel giorno, prenderemo treni che partono. Da L'humeur vagabonde di Antoine Blondin (Parigi 1922-1991), Premio Goncourt nel 1977 e dell'Accademia francese nel 1979, inviato dell'Équipe in 7 edizioni olimpiche, 27 Tour e 4 Europei di atletica, compresa Roma '74, con Jacques Goddet e Robert Parienté.

C'è un uomo che cammina nel tempo, che trasfonde il suo spirito in altri uomini. Sono questi personaggi eccezionali, artisti, politici, scienziati ed anche atleti, tutti destinati a segnare, nei rispettivi campi, la storia. 12 settembre 1913, Danville, Alabama. Quel giorno, a Danville, nasce J.C. Owens. Diranno che J.C. stava per James Cleveland. Non è vero: J.C. stava per Jesus Christ. E come potrebbe essere diversamente visto che J.C. era il <> dell'Ebreo Errante. Verrà una guerra a portarsi via mezza umanità. Ai neri misero addosso un'uniforme e li mandarono a morire in Europa. J.C. per sua fortuna era troppo piccolo ed evitò di conoscere l'Europa in anticipo. Remo Musumeci su Atletica Leggera, Gennaio 1981.

SPIRIDON/7

Magellano e Don Bosco intorno al mondo

Esortava Nelson Mandela: «La pace non è un sogno, si può costruire. Ma per fare ciò occorre saper sognare». Quando Don Bosco aveva solo nove anni ebbe un sogno che gli fece conoscere il programma divino su di lui. Capì che doveva diventare “capo dei birichini” (come soleva definirsi), per guidare tutti al bene. Più di qualcuno lo soprannominò “sognatore” e lui stesso era solito puntualizzare: «Chiamateli sogni, chiamateli parabole, date loro qualsivoglia altro nome che vi garbi, io sono sicuro che, raccontati faranno del bene». È uscito in questi giorni un libro, Magellano e Don Bosco intorno al mondo, tanto gradevole da leggere quanto informato, pieno di notizie, ricordi, riferimenti ed anche spunti poetici. Don Bosco e Magellano. «Un prete e un marinaio cosa possono avere in comune? Sono vissuti a distanza di secoli...». Entrambi sognatori. “Vedevano” sempre i luoghi prima di arrivarci; immaginati in anticipo e poi conosciuti... Ogni esplorazione è sempre preceduta da un sogno, fosse anche un semplice sogno geografico. Quello che si compie con questo libro è un viaggio denso di emozioni; per capire il presente, procedendo dal passato. Lo stile narrativo seguito dall’autore (Nicola Bottiglieri) è di grande leggibilità per l’ampiezza del respiro e per la vastità del suo mondo; attrae la purezza e l’armonia del linguaggio. I capitoli sono piccoli frammenti di vita, vissuta tra mille difficoltà ed incredibili coincidenze, tra costrizioni ed episodi di umanità. Il lettore non potrà sottrarsi al fascino narrativo e alla conoscenza di avvenimenti, che solo una capillare ricerca poteva riportare alla luce. Il volume, anche se per fluidità della lettura e dello stile assomiglia ad un racconto, è a tutti gli effetti un testo di storia. La ricerca merita rispetto e attenzione. Il pregio particolare è in un’opera che può essere letta con diletto anche da chiunque ami dedicare un po’ di tempo a letture istruttive e dilettevoli. Lo spirito che aleggia in tutte le pagine è il gesto di un uomo (Don Bosco) che si preoccupava di seminare per il futuro. Quel piccolo seme, gettato dalla Provvidenza alla periferia torinese di Valdocco oltre un secolo fa, è oggi diventato un immenso albero di tanti colori e frutti.

Nicola Bottiglieri è docente di Letteratura ispanoamericana all’Università di Cassino e del Lazio meridionale. I suoi lavori vertono sulla letteratura di viaggio, in particolare sui viaggi reali e immaginari nell’Oceano Atlantico. Autore di romanzi, racconti, riscritture di miti e resoconti di viaggio, ha curato, fra l’altro, la sceneggiatura del film A sud del sud, un road movie alla “fine” del continente americano (DVD Elledici 2014). La Postfazione è di don Francesco Motto, già direttore dell’Istituto Storico Salesiano e attuale presidente dell’Associazione Cultori di Storia Salesiana.

Pierluigi Lazzarini Ex Allievo e Storico di Don Bosco

SPIRIDON/8

Da Atletica, rivista della Fidal fondata nel 1933, novembre 1984, direttore Primo Nebiolo, vice- direttore Augusto Frasca, direttore responsabile Ruggero Alcanterini, capo redattore Carlo Santi.

Marcia, fatica e gloria di sempre, di Alfredo Berra… Non intendo in poche righe fare un excursus storico della marcia italiana, nel qual caso dovremmo iniziare a partire dal diciannovesimo secolo e poi continuare con Altimani, il milanese che nel 1913 stabilì il primato sui 5 e sui 10 km su pista, e poi ancora con , una delle più fulgide immagini storiche dello sport italiano, il fanciullo di Anversa 1920, anno della ripresa dopo il primo conflitto mondiale, e con i Callegari, Cassani, Giani, con grandi pionieri come , e tutti i protagonisti della Cento Chilometri, senza dimenticare Brignoli, Gobbato, il genovese , Bosatra, Guglielmi, e tenendo presente il pervicace , apripista della scuola romana che ha poi, nel suo comparto mitologico, Silla Del Sole, arrivando al controllore dell'Atac Mario Di Salvo… Il binomio Dordoni- Pamich resse il vertice della marcia italiana, in terra nostra e fuori, per oltre una quindicina d'anni. , detto Giuspai, è del 1926, di Piacenza, ed iniziò ad emergere negli anni difficili della Repubblica di Salò, quando fare sport non era certamente facile, anche se in Lombardia, fra il Milanese e il Comasco, si svolsero domenicalmente molte gare, di cui era protagonista anche Valentino Bertolino, classe 1917, di Gassino Torinese, operaio delle Ferrovie, collega di nostro padre, ed attraverso il quale radicammo la passione per l'atletica, sull'esempio di un impegno serissimo. Trottavamo, ritenendoci onorati, al fianco di Bertolino in allenamento, durante il nostro breve periodo di tentata iniziazione della pratica atletica agonistica. Eravamo agli inizi degli anni Quaranta. Frattanto si concludeva la guerra, ed alla ripresa di una vita più normale Dordoni – una linea da signore della marcia, non il traccagno deambulatore – duramente provato nell'affetto familiare dal terremoto bellico per la perdita di un fratello, incominciò ad affermarsi per i colori della Farnesiana di Piacenza, passando presto alla prestigiosa Virtus di Bologna, fino a trovarsi con , che nel frattempo si era rivelato nell'Amatori di Genova – dove, con il fratello Giovanni, che smise presto, si impose un anno nel Trofeo Pavesi, fatica particolare di Edoardo Vinci al Corriere dello Sport – con la stessa maglia verde del Gruppo Sportivo del Calzaturificio Diana di Piacenza, una sponsorizzazione ante-litteram. Dordoni vinse prima il titolo europeo a Bruxelles nel 1950, per trionfare due anni dopo, sempre sui cinquanta chilometri, nell'Olimpiade di Helsinki. Il suo nome è tra quelli incisi sulla tribuna dello stadio finlandese. La sua azione era slanciata e resistente, attraversata anche da crisi che lui ha sempre cercato di superare. Pamich era una solida combinazione del mare di Carnaro edel mare di Genova, ed era fornito di grandi doti naturali, meno classico ma di struttura più potente. Realizzò una magnifica tripletta, vincendo prima agli europei di Belgrado, 1962, due anni dopo il titolo olimpico di Tokyo, sempre sulla distanza classica dei cinquanta, e poi ancora agli Europei di del 1966. Pamich aveva anche stabilito una serie di primati all'Olimpico di Roma, in particolare quello mondiale sulla lunga distanza, di cui ho visto riproposta un'immagine nell'ultimo Annuario federale, riuscendo a superare, in una inesausta galoppata mattutina, un fastidioso inconveniente fisico che lo obbligò a ricorrere ad un'apparecchiatura igienica di fortuna nel bel mezzo della pista (qualcosa del genere, causa la pioggia gelata, gli capitò anche a Tokyo). Dordoni poi s'inquadrò nei ruoli tecnici della Fidal, dopo non lieve battersi con l'amministrazione del Coni, ricoprendo, come tuttora, il ruolo di responsabile del settore, un settore che talora vive di piccole e grandi parrocchie: è gente che viene dall'immensa passione per una fatica colossale, una passione che viene trasmessa ai giovani, fra i quali viene poi a nascere anche un … Dordoni svolge attività anche con l'Associazione Azzurri d'Italia, presieduta dall'ex campione ciclista Fiorenzo Magni, pratese emigrato a Monza. Pamich, oggi cinquantunenne, una laurea in psicologia, marcia ancora con passione e cerca di addestrare i giovani. Ecco, due grandi campioni, due vite parallele, anche se molto diverse, due testimonianze esemplari per la gioventù che fa sport e che si avvicina a questa disciplina <> che è l'atletica, due protagonisti di una specialità che reca oltretutto il sapore di una fatica ecologica e popolare.

SPIRIDON / 9

Ajla Del Ponte e la 4x100 elette squadra dell'anno

Grandissima soddisfazione per Ajla Del Ponte che alla cerimonia degli Sports Awards 2019 ha portato un po' di gloria anche al Ticino. La sprinter di Losone è stata scelta insieme a Sarah Atcho, Mujinga Kambundji e Salomé Kora per il premio di squadra dell'anno. Le atlete rossocrociate hanno fatto sognare l'intero paese grazie alla loro prova da urlo nella 4x100 dei Mondiali di Doha, dove hanno stabilito il nuovo record nazionale in 42"18 cogliendo il quarto posto iridato. In questa edizione degli Sports Awards per la prima volta è stato assegnato anche il premio MVP dell'anno (riservato ai giocatori degli sport di squadra), andato a Roman Josi, preferito a Clint Capela e Pascal Meier. Quale migliore nuovo talento è stata premiata la biker Sina Frei, come atleta paralimpica Manuela Schär, mentre Adrian Rothenbühler (atletica) è stato scelto per il premio di allenatore dell'anno.

Una pioggerellina e il fondo particolarmente scivoloso del Parco Casvegno non hanno fermato la carica agonistica dei 500 partenti al cross di Mendrisio, terza tappa della Coppa Ticino FTAL Laube-Greenkey ottimamente organizzata dall’Atletica Mendrisiotto. Sei successi sono andati sia al GA Bellinzona che all’US Capriaschese, la quale ha annoverato la doppietta di Roberto Delorenzi che, reduce dal doppio impegno nei cross di qualifica agli Europei, ha dominato

sia il cross lungo che il cross corto. Nella gara principale, sui 4 km si stacca subito un terzetto composto da Delorenzi, Tobia Pezzati (ATM) e Lukas Oehen (GAB). Il capriaschese in costante accelerazione ha progressivamente staccato i vincitori delle prime due prove, per andare a cogliere il secondo successo di giornata. Pezzati ha ceduto solo all’ultimo giro, mentre Oehen ha lasciato la compagnia dei due giovani verso metà gara. Nel corto (2 km), Delorenzi ha sorpreso in volata il leader di coppa Ismail Sebghatullah (SAL), mentre Marco Delorenzi (USC) ha battuto in volata Enea Ratti (GAD) per prendersi il podio, prima di finire quarto nella gara principale davanti a Tommaso Marani e ai primi Master e U20, i quali percorrevano stavolta la stessa distanza. Nella gara femminile, sui 3 km miglior tempo assoluto per Zoe Ranzoni (Virtus), uscita di prepotenza nella seconda parte di gara per vincere tra le U20 davanti a Giorgia Merlani (USC), quarto tempo assoluto, e Cecilia Ferrazzini (Virtus). Paola Stampanoni (GAB) con il secondo tempo di giornata rimane a punteggio pieno nella coppa W20 e coglie il secondo successo piegando la resistenza di Elisa Bertozzi, (USC) al debutto in categoria.

SECONDA DOPPIETTA PER ROBERTO DELORENZI ZOE RANZONI VINCE FRA LE DONNE

L’ultima prova del 2019 della Coppa Ticino di Cross FTAL Laube-Greenkey, organizzata con entusiasmo e passione dalla Virtus Locarno, ha portato a Moghegno 300 atleti. Il tracciato Valmaggese, che alternava tratti scorrevoli a una parte ricca di saliscendi e cambi di direzione, ha raccolto consensi tra gli appassionati e regalato gare avvincenti, che ancora una volta hanno visto sei vittorie dell’USC Capriaschese con la doppietta di Roberto Delorenzi e la prima vittoria tra le W20 per Elisa Bertozzi. Tre successi del GA Bellinzona, con la tripletta tra gli U18, e due vittorie per Vigor Ligornetto e GA Dongio. Roberto Delorenzi è stato ancora una volta il

SPIRIDON/10 grande protagonista della giornata. Nel cross lungo, poco dopo metà gara ha piazzato l’allungo decisivo per staccare un tenace Tobia Pezzati (ATM), che guida oramai la Coppa Ticino. Il fratello Marco, invece, all’ultimo giro ha cominciato la progressione per liberarsi di Tommaso Marani (SAL). Nel corto, nel corso del secondo e ultimo giro Roberto si è involato staccando Marco Maffongelli (Vigor), che ha dovuto poi inchinarsi anche al leader di coppa Ismail Sebghatullah (SAL). Molto più movimentata la gara femminile, abbinata a quella dei ragazzi U18. Tra le donne, dopo i primi 800 metri erano in sei al comando: Zoe Ranzoni (Virtus) ed Elisa Bertozzi (USC) hanno allungato il passo, assicurandosi la vittoria nelle rispettive categorie. La junior Ranzoni, con un’accelerazione brutale nell’ultimo giro, ottiene peraltro il miglior tempo di giornata e sarà sul podio U20 con Giorgia Merlani (USC). La nazionale di CO Elisa Bertozzi riesce invece a contenere il finale della capoclassifica Paola Stampanoni (GAB), completa il podio Emma Lucchina (Vigor). Tra gli U18, un quintetto si presenta compatto all’ultimo giro che regalerà una volata emozionante e la tripletta per i ragazzi del GAB: Siro Gentilini ha il guizzo vincente per domare Giulian Guidon sul filo di lana, seguono i due vincitori delle prime tre prove Filippo Balestra e Giona Lazzeri (GAD), che nell’ordine comandano la Coppa.Tra gli U20, sui 6 km la volata premia Daniele Romelli (Vigor) davanti a Mattia Verzaroli (GAB) e Manuele Ren. Tra le ragazze U18, la Vigor sigla una bella tripletta con Giulia e Sara Salvadé davanti a Margherita Croci- Torti. Tra gli U16 Tristan Knupfer (Triunion) vince agile, mentre Gioele De Marco (ASM) regola in volata Elia Maggetti (Virtus). Tra le ragazze Zoe Rossi (SAB) coglie il primo successo stagionale a spese di Gaia Berini (GAB), terza Benedetta Bettega (ATM). Nelle categorie Masters, in cinque chiudono l’anno imbattuti. Tra gli uomini Elia Stampanoni (USC) con il miglior tempo sui 6 km vince tra gli M40 su Ivan Boggini (RCB) e Thomas Domeniconi (ASM). Tra le donne W40 doppietta del GAB con Jeannette Bragagnolo e Zuleika Carenini, terza Janet Francisci (SAM). Tra i cinquantenni è ancora poker USC, con la vittoria di Jonathan Stampanoni su Ralf Mureddu e Davide Jermini. Tra le donne W50 Lara Amaro Zamboni (USC) firma la sua quarta vittoria davanti a Katharina Wangler (RCB) e Antonella Daldini (SAM). Doppietta RCB tra gli M60, con Gaetano Genovese davanti a Claudio Gennari e a Claudio Brusorio della SFG Biasca. Nelle categorie più giovani, doppietta tra le ragazze per il GAD con le vittorie di Aline Oliva e Tosca Del Siro. Tra i ragazzi Samuele Iaconi (USA) firma il primo successo, mentre Gabriele Berini (GAB) conferma la vittoria di Mendrisio. Leonida Stampanoni, foto USC P.G.C.

La Sierre-Zinal 2020 si svolgerà domenica 9 agosto! Il numero di posti rimane lo stesso del 2018 e del 2019 al fine di garantire a ciascun partecipante un percorso ed un’organizzazione di qualità. Anche se la formula che consente a tutti di essere soddisfatti non esiste, poiché l’organizzazione non può consentire a tutti di registrarsi, è stato studiato un modello di iscrizione che tenga conto di tutti i fattori sarà proposto per l’edizione 2020 Per tutti coloro che non riescono a ottenere una registrazione per la gara del 9 agosto 2020, l’organizzazione Sierre-Zinal desidera offrire la possibilità di unirsi alla grande famiglia Sierre-Zinal diventando volontari.Ciò consentirà loro di correre gratuitamente Sierre-Zinal durante la gara di volontariato del prossimo settembre (compresi pettorale, medaglia, diploma di gara, ecc.) Per farlo basta Registrati direttamente a [email protected]

47ª edizione della Ciaspolada.Il trentino Alberto Vender e la toscana Anna Laura Mugno hanno apposto il proprio sigillo sulla...la straordinaria gara che si disputa sulle nevi della Val di Fiemme con le tradizionali “ciaspole” ai piedi. Per Vender, al debutto assoluto nella più antica e celebre competizione riservata alle racchette da neve, è stata “buona la prima”. Il ventitreenne di Pieve di Bono, specialista della corsa in montagna, si è imposto in solitaria, coprendo i 7,2 chilometri del percorso in 28’26”, accompagnato sul podio dal catalano Eduard Hernandez Teixidor e dal veneto Filippo Barizza, che ha replicato il terzo posto del 2017. Ancora più netta la vittoria della toscana Anna Laura Mugno, che ha iscritto il proprio nome nell’albo d’oro della competizione per la seconda volta consecutiva, dopo il successo che, dodici mesi fa, le aveva consegnato il titolo di campionessa del mondo della disciplina. A raccogliere l’eredità dell’iridato Cesare Maestri, trentino che aveva vinto in Val di Non nel 2017, 2018 e 2019, è stato dunque un suo “collega”, ovvero un altro specialista della corsa in montagna, proveniente dalle Valli Giudicarie proprio come Cesare, non a caso suo compagno d’allenamento. Si è trattato, dunque, di un ideale passaggio di consegne tra i due.

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“In alto”, è l’ultima silloge del poeta Antonio Cozzotorto, capace di farci assaporare l’importanza del passato e del ricordo, non in senso nostalgico, bensì nella costante ricerca di una “libertà senza frontiera”, dominando il mediocre confine di arroganza, di una società sempre più arida di amore e di parole. I versi schietti e disinvolti, percorrono la vita dell’autore dall’infanzia al presente alternando “l’ Uomo al Carabiniere”, che ha saputo conservare un legame indissolubile con le proprie origini, ma soprattutto con la propria famiglia. I sacrifici ed il sudore del padre, “l’uomo dalla scorza dura”, “il sorriso contagioso” della madre verso i propri pargoli, hanno accresciuto in lui la consapevolezza che la “fatica” è la premessa per la serenità interiore. L’autore richiama l’attenzione del lettore al “cuore del Carabiniera”che, con libero arbitrio decide di “servire la Patria” affrontando le insidie e le problematiche tipiche della “scelta di servizio” con totale spirito di obbedienza e di abnegazione, con professionalità e competenza, con dignità e giustizia. Proseguendo nella lettura,si percepisce l’esortazione “al camminare senza sosta senza mai guardarsi alle spalle, respirando a pieni polmoni, nonostante l’aria sia viziata da “venti di morte e d’inutilità”. Così, sia quando canta la lotta alla mafia, sia quando da voce a sentimenti personali, la poesia di Cozzitorto si pone come emblema del “contradditorio esistere” che esalta il bene al male, l’errore al giusto, la solitudine al subbuglio, il successo alla sconfitta, il coraggio alla paura, la tristezza alla gioia in una lotta senza tempo, al “cancro della Società”, che logora gli animi e celebra l’esteta. L’autore volge il suo sguardo “in alto” entrando in connubio con l’infinità celestiale, e come un gabbiano sorvola sulla superficialità delle menti; aprendo le ali abbraccia la saggezza in perfetto equilibrio fra realtà e misticismo, fra il razionale e l’irrazionale; spiccando il volo abbandona la sterile realtà terrestre in cerca di una emancipazione spirituale. Il poeta che nell’opera ricorda il suo essere “vagabondo di penna”, attraverso le sue rime racconta e si racconta con spontaneità e delicatezza, toccando l’anima del lettore. Sarà proprio quella penna, che, in silenzio e con discrezione scriverà un nuovo capitolo della storia: il trionfo della sincerità dell’amore e del rispetto sul male, l’ingiustizia e la prevaricazione. (C.D.)

FOTO D’EPOCA

Partenza del Campaccio del 1963 vinto da

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L’Ancona Respect è una squadra di calcio che disputa il campionato regionale under 15 della Fgci femminile. Una squadra ufficiale, voglio dire, assoggettata a tutte le norme che regolano l’attività delle società sportive italiane soggette al Coni. Tra le quali norme esiste da sempre quella dell’apoliticità nello sport. D’altra parte se non fosse così avremmo squadre finanziate dai partiti invece che dagli sponsor. Avremmo abbinamenti equivoci agli impianti, tipo Legastadium invece di Dacia Arena. Ma l’impegno politico dell’Ancona va in una direzione ben riconoscibile, evidente fin dal nome respect, cioè antirazzismo militante. Uno schieramento politico così netto è strano per un sodalizio composto di bambine o al più di ragazzine. Ma sono i dirigenti che contano. E sono loro che hanno messo in mano alle bambine under 12 un bel cartello “diamo un calcio a Salvini” nella foto ufficiale di un torneo prenatalizio. Rieccoci alla cartellonistica politica abusiva, tanto cara ai compagni. Quella dei “comuni denuclearizzati”. Quella dei ristoranti “deberlusconizzati”, aggiornatisi in “desalvinizzati” da quando il Cav. è stato bloccato per via giudiziaria. Ce n’è uno lungo il Po, un antico circolo socialista di mutuo soccorso “d’ambo i sessi” che fu per un secolo mitica piola operaia e oggi è diventato una falsa piola fighetta coi bicchieri firmati e la cena a 50 euro. All’entrata, immancabile, il cartello “locale desalvinizzato”. Su Internet il locale si definisce “una tasca scarlatta cucita sotto il verde velluto della collina”. Ecco: più radical chic di così si muore. Il “desalvinizzato” era pleonastico [email protected]

E IL MUSEO DELLO SPORT? - Oggi, con un soprassalto di consapevolezza e sentimento di responsabilità, lancio una manciata di stimoli e provocazioni sul tema dello sport, che spero suscitino giuste e opportune riflessioni. Praticamente sul fronte, salvo le notizie dal mercato del calcio e le ambizioni artistiche di Cristiano Ronaldo, tutto tace. Per me non c'è da ridere e nemmeno scherzare, se non con il fuoco, vista la situazione di incertezza e possibile confusione, dopo le dimissioni motivate del vertice di Sport e Salute S.p.A., Rocco Sabelli. Ieri ho avuto l'opportunità di riflettere ad alta voce con chi senza nulla pretendere e puro amore del movimento e delle sue radici, quotidianamente s'impegna, lotta perché non vada in malora quel che rimane di una storia importante ed indispensabile, quella appunto del nostro sport, di cui pare non interessi affatto la sorte, a chi istituzionalmente se ne dovrebbe seriamente occupare. E ricordo che latita ancora il Museo Nazionale dello Sport Italiano, quello che potrebbe divenire attrattore di stima e turismo culturale internazionali, solo che lo si volesse. La realizzazione di quello che potrebbe divenire il "Louvre" dello sport mondiale, con tanti saluti agli altri, compreso il "sacrario" del CIO a Losanna, sarebbe assolutamente possibile proprio a Roma, orfana dei Giochi 2020 e 2024. Disponiamo di opere artistiche, di impianti millenari, di esempi d'architettura e reperti unici al mondo, di luoghi vocati, di memorie che diversamente rischiano il degrado e la distruzione anziché la valorizzazione. Dunque, la cultura dello sport come risorsa non soltanto educativa, ma economica. Pensate che il Museo del Barcellona Football Club, assolutamente degno ma limitato, batte per visitatori ogni altra struttura della Città che fu sede olimpica nel 1992. Ci vogliamo pensare? Vogliamo darci un ruolo che non sia solo contemplativo ed autoreferenziale, dipendente dagli esiti delle competizioni sul campo e fuori ? R.A.