ARIANNA CAPIROSSI

La fortuna iconografica di un’eroina tragica: la storia di Sofonisba tra pittura e teatro

In

La letteratura italiana e le arti, Atti del XX Congresso dell’ADI - Associazione degli Italianisti (Napoli, 7-10 settembre 2016), a cura di L. Battistini, V. Caputo, M. De Blasi, G. A. Liberti, P. Palomba, V. Panarella, A. Stabile, Roma, Adi editore, 2018 Isbn: 9788890790553

Come citare: Url = http://www.italianisti.it/Atti-di- Congresso?pg=cms&ext=p&cms_codsec=14&cms_codcms=1039 [data consultazione: gg/mm/aaaa] La letteratura italiana e le arti © Adi editore 2018

ARIANNA CAPIROSSI

La fortuna iconografica di un’eroina tragica: la storia di Sofonisba tra pittura e teatro

La Sofonisba di Giovan Giorgio Trissino (editio princeps: Roma, 1524) è la prima tragedia regolare in lingua italiana. La pièce ottenne la sua consacrazione con la rappresentazione del 1562, che si avvalse dell’apparato scenico allestito da insieme ai pittori Giovanni Antonio Fasòlo e Giovan Battista Zelotti. L’intervento illustra la sinergia sviluppatasi tra drammaturgo, architetto e pittori per garantire il successo della messa in scena, nonché la successiva fortuna iconografica dell’eroina nei cicli pittorici dipinti dai medesimi Giovanni Antonio Fasòlo e Giovan Battista Zelotti.

Il teatro è lo spettacolo che per eccellenza è in grado di coniugare parola e immagine.1 Durante il Rinascimento, esso cominciò ad assumere forme più definite e regolari, anche se tutto il Cinquecento si configurò come un lungo periodo di sperimentazione alla ricerca di nuove formule in grado di dar vita a un teatro moderno. Questo contributo si concentra in particolare sulla tragedia, genere al contempo letterario e teatrale, oggetto di una lunga disputa tra i letterati della penisola che iniziò nella prima metà del Cinquecento, per poi continuare nel secolo successivo, coinvolgendo anche gli autori francesi e inglesi. Protagonista di questo articolo è Sofonisba, eroina tragica la cui vicenda costituì un vero e proprio leitmotiv che, come vedremo, caratterizzò fin dagli inizi la storia dell’Accademia Olimpica di . Fu Giovan Giorgio Trissino (1478-1550) il primo autore a rendere rappresentabile a teatro la vicenda storica di Sofonisba e a fungere così da catalizzatore per una duratura collaborazione tra pittori, scultori, architetti, coreghi, che insieme seppero tradurre un frammento di storia romana2 in una fonte di ispirazione artistica, divertimento cortigiano e riflessione sulla coeva realtà cinquecentesca. Finora, tra gli svariati contributi inerenti il poeta Giovan Giorgio Trissino, l’architetto Andrea Palladio, i pittori Giovanni Antonio Fasòlo e Giovan Battista Zelotti,3 solo uno ha esaminato in maniera specifica la sinergia creatasi tra questi artisti intorno alla figura tragica di Sofonisba: mi

1 È lo stesso Giovan Giorgio Trissino ad esplicitare il legame tra teatro e pittura in una similitudine enunciata nella dedica della sua Sofonisba a Papa Leone X: «[…] ε cωme Pωlygnotω, anticω pittωre, ne l’opere sue imitandω faceva i corpi, di quellω che εranω, miljωri, ε Pauʃon peggiωri, cωsì la Tragεdia imitandω fa i cωstumi miljωri ε la Cωmεdia peggiωri» (G. G. TRISSINO, LaSωphωnisba, in R. Cremante (a cura di),Teatro del Cinquecento. Tomo I. La tragedia, Milano e Napoli, Ricciardi, 1988, 29-162: 29-30. Cremante conserva la grafia dell’editio princeps). In questo brano l’autore vicentino riprende Aristotele, Poetica, 2 e Orazio, Ars poetica, v. 361. 2 La fonte principale di Trissino per la sua tragedia fu infatti il testo di Tito Livio, Ab urbe condita, XXX, 12-15. Tuttavia, Patrick Kragelund (P. KRAGELUND, Palladio, Trissino and Sofonisba in Villa Caldogno at Vicenza, «Analecta Romana Instituti Danici», XXXII (2006), 1, 139-159: 146, nota 18) suggerisce che Trissino abbia consultato anche la versione trasmessa da Appiano nella sua Storia romana, VI, 37, 149-150 e VIII, 10, 36-40. In particolare, nel libro VI, Appiano spiega dettagliatamente le ragioni politiche per cui Sofonisba, originariamente promessa a Massinissa, venne invece data in sposa a Siface. Nel libro VIII, inoltre, Appiano si sofferma sul rapporto di fiducia sorto tra Asdrubale, padre di Sofonisba, e Massinissa, il giovane principe dei Massili, gentile e di bell’aspetto, che era cresciuto a Cartagine e avrebbe potuto essere il marito perfetto per sua figlia. Asdrubale concesse dunque a Massinissa la mano di Sofonisba, salvo scoprire che per motivi politici il senato cartaginese l’aveva ormai promessa in sposa a Siface. Appiano descrive il dolore di Massinissa e il suo progetto di vendetta contro i Cartaginesi, realizzato attraverso l’alleanza segreta con i Romani. 3 In particolare, per avere una panoramica dei rapporti intercorsi tra Giovan Giorgio Trissino e Andrea Palladio e della loro comune appartenenza al milieu umanistico vicentino, vedere G. PIOVENE, Trissino e Palladio nell’umanesimo vicentino, «Bollettino del centro internazionale di studi di architettura Andrea Palladio», V (1963), 1, 13-23 e il più recente F. LEONELLI, Ut Architectura Poesis. Un rapporto speculare: Trissino e Palladio, «Studium», CX (2014), 6, 918-945.

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riferisco all’articolo del 2006 Palladio, Trissino and Sofonisba in Villa Caldogno at Vicenza di Patrick Kragelund.4 Il mio contributo recupera il confronto proposto da Kragelund fra il testo di Trissino e gli affreschi di Fasòlo e Zelotti,aggiungendovi alcune riflessioni e ponendo in risalto gli elementi stilistici che resero la tragedia di Trissino adatta a una rappresentazione scenica, e anche, sebbene indirettamente, a una realizzazione pittorica. Facendo leva in particolare sulle didascalie implicite (deittici e verbi di movimento)5 e sulla scansione delle scene, vorrei contribuire ad avvalorare l’ipotesi (avanzata da G. J. J. Van der Sman6e P. Kragelund) che nel ciclo di affreschi della stanza di Sofonisba di villa Caldogno i pittori, per illustrare la vicenda, abbiano espressamente seguito le indicazioni del testo trissiniano, e non di quello liviano.7A ciò, premetto una sezione che fa il punto sulle fonti storiche delle rappresentazioni (o delle letture pubbliche) della Sofonisba trissiniana durante il Cinquecento.Il contributo ha quindi lo scopo di riportare l’attenzione su questa vicenda letteraria, artistica e teatrale, raccogliendo la documentazione e gli studi prodotti fino a questo momento sull’argomento e fornendo alcuni spunti aggiuntivi, in modo daoffrire una panoramica completa sul convergere delle attività degli artisti menzionati; correla la ‘rappresentabilità’ teatrale della tragedia alla sua ‘rappresentabilità’ pittorica; riflette sull’intenzione originaria di Trissino di elaborare un testo tragico ricco di suggestioni visive, con finalità non solo letteraria ma anche di rappresentazione scenica. Sofonisba era già entrata nella letteratura teatrale in volgare del primo Cinquecento grazie all’apporto di Galeotto del Carretto, poeta originario di Savona, che nel 1502 dedicò alla marchesa Isabella d’Este una tragedia dal titolo Sofonisba. Caratterizzato dalla polimetria, questo testo era stato

4 Per il riferimento bibliografico esteso, vedere nota 2. 5Fornisco qui di seguito uno spoglio delle numerose espressioni deittiche e dei verbi di movimento che nella tragedia vengono utilizzati per marcare i movimenti dei personaggi (e, specialmente, le entrate in scena e le uscite di scena). Deittici: v. 226, «Eccω»; v. 234, «Eccω»;v. 383, «Eccω»; v. 694, «queste donne»; v. 723, «Eccω»; v. 890, «Eccω»; v. 922, «Qui ne la caʃa»; v. 923, «Qui ne la caʃa»; v. 1025, «qui d’intωrnω»; v. 1146, «Che facciω qui?»; v. 1152, «Eccω i prigiωni»; v. 1167, «quelle tεnde»; v. 1171, «qui», «questi»;v. 1237, «Eccω»; v. 1259, «quivi in questω cantω»; v. 1465, «quel»; v. 1466, «quella coppa»; v. 1918, «questa»; v. 1935, «qui»; v. 2015, «quel pannω». Verbi di movimento: v. 177, «Andiamω»; vv. 234-235, «ad hωr ad hωr εʃce di caʃa / e nωn ὲ bεn anchωr fuor de la porta»; v. 236, «Ma d’ωnde viεntù sì affannatωε stancω?»; v. 237, «Vεngω»; v. 339, «Fuggite»; v. 340, «Fuggite»; v. 490, «le care ginockia che hor abbracciω» (atto di inginocchiarsi); v. 593, «Andiamω adunque»; v. 682, «Ad ogni passω mi rivolgω intωrnω»; v. 723, «un d’e vostri ch’εʃce fuor di caʃa»; v. 725, «a cui n’andava»; v. 868, «viεn fuori»; v. 869-870a, «hor te n’andrai da parte / Nascωʃamente»; v. 872, «Iω farò sì che nωn pωtrà vedermi» (il messo parla riferendosi alla propria posizione rispetto a Massinissa); v. 876, «Hor sωnω uʃcitω»; v. 880, «hor hora di cωstà ne vεngo»; vv. 881-882a, «O Lεliω, anchωra nωn havea rivolti / Lj’ocki vεrsω di vωi»; v. 890, «viεn Catωne»; v. 922, «ωnd’hor ne sωn uʃcitω»; v. 1023, «Ite, militi miεi, dentr’al palazω»; v. 1146, «Mεljω ὲ pur ch’iω ne vada»; v. 1237, «ch’e’ viεn»; v. 1240, «Bεn vεnga Massinissa»; vv. 1257-1258, «Andate un pocω vωi tutti da parte, / Ch’iω vo’ restarmi sωl cωn Massinissa»; v. 1416, «Anderò dentrω»; v. 1469, «Nωn state più di fuore»; v. 1470, «venitene homai»; v. 1522, Hor iω ne vadω in caʃa»; v. 1733, «Sωstenetela bεne»; v. 1734, «Pωnetela a sedere»; v. 1893, «Accωstatevi a mε, voljω appωggiarmi»; v. 1896, «Appωggiatevi pur sωpra ’l miω pεttω»; v. 1954, «bεn sωn venuta»; v. 1979, «venir»; v.2075, «Andate dentrω».Le citazioni sono tratte da G. G. TRISSINO, LaSωphωnisba…, 35-162. 6G. J. J. VAN DER SMAN, La decorazione a fresco nelle ville venete del Cinquecento. Saggi di lettura stilistica e iconografica, Firenze, Istituto universitario olandese di storia dell'arte, 1993. 7 «While Trissino owed much to Livy, the painter seems in fact to have relied exclusively on Trissino» (P. KRAGELUND, Palladio, Trissino and Sofonisba…, 143).

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pensato per la lettura e non per la rappresentazione, come lo stesso Del Carretto esplicitò nella lettera dedicatoria alla marchesa: «leggetela dunque quando haverete oportunità di leggerla».8 Si trattava dunque di un dono privato per la mecenate, in alternativa alla dedica di componimenti poetici, che comunque rimanevano più affini al gusto della destinataria.9 Nella prima parte di questa tragedia, troviamo la narrazione delle manovre politiche e militari dei Romani; solo nella seconda parte (da c. 29v) viene introdotto il personaggio di Sofonisba, dando così spazio alla vera tematica tragica.10 Tuttavia, il personaggio dell’eroina resta molto marginale; è una tragedia agita perlopiù dai personaggi maschili, che lasciano ben poco spazio di parola alla vittima eponima. Esattamente il contrario accade nell’opera trissiniana: qui, Sofonisba è davvero protagonista, e apre l’azione; inoltre, vedremo come Trissino, a differenza di Del Carretto, fosse attento alla rappresentabilità della tragedia, attraverso didascalie implicite che testimoniano come, nella mente dell’autore, fosse ben chiara la destinazione scenica del testo, fin dal momento della stesura. L’ideazione e la stesura del testo si possono collocare tra il 1513 e il 1515, ovvero tra la frequentazione degli Orti Oricellari fiorentini e il primo periodo del trasferimento a Roma di Trissino. La Sofonisba venne dedicata e presentata a papa Leone X nel 1518.11 L’editio princeps uscì nel 1524 a Roma, in conformità con le norme ortografiche elaborate dall’autore in quegli anni.12Nonostante l’attesa di sei anni prima della sua pubblicazione a stampa, la dedica a Leone X, generoso e lungimirante mecenate, contribuì fin da subito a garantire il successo dell’opera, che venne divulgata manoscritta e, secondo alcuni storiografi, fu addirittura rappresentata alla corte papale. Leggiamo ad esempio negli Elogia di Giacomo Filippo Tomasini che Trissino partì alla volta di Roma per lenire la perdita dell’amatissima moglie; una volta giunto a Roma, venne accolto dai letterati della corte romana, dove ebbe luogo la stesura della Sofonisba, nonché la sua messa in scena con grande apparato. Si parla inoltre del conferimento di una corona poetica:

Sed fatis premature uxore erepta, ut amatissimae coniugis iacturam leniret, Romam contendit: ubi a literatis Principibus perhumaniter acceptus, summa dulcedine, et maiestatis pondere calamitosum Sophonisbae Reginae eventum dramate heroico expressit. Quod cum

8G. DEL CARRETTO, La Sophonisba, Venezia, Gabriel Giolito de’ Ferrari, 1546, c. 5v. 9Ivi, c. 5r: «mi è parso per non cadere in contumacia, di mandargli questa opera mia continuata, la qual per una volta sarà in satisfatione de le mie rime, che le soleva mandare». 10 Per una panoramica completa su questa tragedia per la lettura, rimando a M. BOSISIO, Il teatro di corte pre- classicista: storia e geografia, opere, ricezione, tesi di dottorato, tutor Francesco Spera, Università degli Studi di Milano, a. a. 2013/2014, 393 ssg. Per un approfondimento e una discussione sui motivi che spinsero Del Carretto a dedicare il suo testo alla marchesa d’Este, nonché per un confronto con la tragedia di Trissino, rimando inoltre al mio contributo Il farsi della tragedia moderna tra testi sperimentali e opere esemplari, «Studi (e testi) italiani», 40 (2017), 87-103. 11 Cfr. R. CREMANTE, Nota introduttiva, in R. Cremante (a cura di),Teatro del Cinquecento. Tomo I. La tragedia…, 3-21: 3. 12 Il manifesto di questa riforma ortografica è costituito dall’epistola De le lettere nuωvamente aggiunte ne la lingua italiana (1524), dedicata a Clemente VII: G. G. TRISSINO, De le lettere nuωvamente aggiunte ne la lingua italiana, Roma, Lodovico de gli Arrighi Vicentino, 1524.

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Leone X literarum Mecenate benignissimo, in scenam magno apparatu esset productum, primus ille Italiae publicis laureae acclamationibus adjudicatus fuit.13

Per trovare altri indizi su un’ipotetica rappresentazione della Sofonisba, dobbiamo rivolgerci a una lettera scritta a Trissino dall’amico Giovanni Rucellai, anche lui autore di una tragedia, la Rosmunda (approntata negli stessi anni, 1515-1516). Si tratta di una lettera dell'8 novembre 1515, in cui, in calce, si legge: «Abbiate a mente Sophonisba vostra, che forse Phalisco farà l'acto suo in questa venuta del Papa a Fiorenza».14 Falisco è uno dei personaggi della Rosmunda: Rucellai sembrava proprio alludere alla preparazione di una rappresentazione, o, perlomeno, di una declamazione pubblica della propria tragedia. Invitò dunque l’amico a tenere a mente la sua Sofonisba, di modo che potessero essere presentate entrambe a papa Leone X durante la visita a Firenze della fine del 1515. Ebbene, possiamo affermare che la Rosmunda fu rappresentata, grazie alla testimonianza contenuta in appendice allo Zibaldone di Giovanni di Pagolo Rucellai, nonno del già citato Giovanni Rucellai: «L’anno 1515, ritrovandosi papa Lione in Firenze fu convitato all’Horto de’ Rucellai con tutt’i cardinali et alla sua presenza Giovanni Rucellai fece recitare la tragedia di Rosmunda».15 Purtroppo, dobbiamo ammettere che anche questo riferimento è molto succinto e privo di dettagli che possano permetterci di capire a che tipo di spettacolo ci si riferisse con l’espressione «fece recitare la tragedia»;16 in ogni caso, Rucellai appare come coregoincaricato dell’allestimento della recitazione. Tuttavia, nulla viene detto della Sofonisba. Nonostante l’assenza di documenti più perspicui, possiamo ritenere plausibile l’ipotesi che la Sofonisba fosse stata almeno declamata in pubblico, seguendo le annotazioni di Scipione Ammirato:

Ebbe egli [Giovanni Rucellai] per competitore Giovan Giorgio Trissino, autor della Sofonisba. I quali essendo carissimi amici, mi diceva Monsignor Braccio Martelli, che trovandosi in camera molte volte saltavano in banco, e recitando ciascun di loro un pezzo delle lor tragedie, attendevano dagli amici spettatori il giudicio qual giudicassero la migliore».17

D’altra parte, in una lettera datata 1541, Giovan Battista Giraldi Cinzio sostenne che fino ad allora la Sofonisba non era mai stata messa in scena: «[…] doppo tanti secoli ho rinovato l’uso dello spettacolo delle tragedie, il quale era poco meno che andato in oblivione. Ché, ancora che il

13G. F. TOMASINI, Elogia virorum literis et sapientia illustrium ad vivum expressis imaginibus exornata, Sebastiano Sardo, Padova, 1644, 50. Corsivo mio. 14G. RUCELLAI, Le Opere di Giovanni Rucellai ora per la prima volta in un volume raccolte e con somma diligenza ristampate, Padova, Giuseppe Comini, 1772, 191. 15G. DI PAGOLO RUCELLAI, Zibaldone, a cura di G. Battista, Firenze, SISMEL, 2013, 582-583. Ringrazio, per questo riferimento, il professor Marcello Simonetta. Per la rappresentazione della Rosmunda, vedere anche G. RUCELLAI, Lettere dalla nunziatura di Francia (1520-1521), a cura di G. Falaschi, Roma, Salerno, 1983, 18. 16 Il verbo «recitare», infatti, può avere sia il significato di ‘declamare’, ‘dire in pubblico brani letterari’, sia di ‘interpretare in scena’; di questo doppio significato si trovano esempi fin dal Trecento. Cfr. i significati 4 e 5 in S. BATTAGLIA, Grande Dizionario della Lingua Italiana, XV, Q-RIA, Torino, UTET, 649. 17S. AMMIRATO, Opuscoli, vol. 2, Firenze, Amadore Massi e Lorenzo Landi, 1637, 258.

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Trissino sia stato primo di tutti a comporre lodevole tragedia in questa lingua, non fu però introdotta in scena la sua Sofonisba».18 A prescindere da queste testimonianze, in questa sede vorremmo portare all’attenzione alcune importanti prove testuali e paratestuali che avvalorano l’ipotesi che Trissino avesse elaborato una tragedia destinata alla rappresentazione, e non alla semplice lettura; condizione che, in aggiunta,rese le elaborazioni pittoriche uno sbocco naturale per il soggetto. Egli produsse un testo teatrale che, seppur privo di didascalie esplicite, contiene parecchi dettagli relativi a costumi, posizioni, atteggiamenti e qualità dei personaggi. Difatti, attraverso le frequenti espressioni deittiche, le indicazioni spaziali, le descrizioni contenute nelle battute dei personaggi, si possono evincere dettagli sui loro abiti, sull’atteggiamento e la posizione che dovevano tenere in scena e sui movimenti che dovevano effettuare.19 La prima rappresentazione certa della tragedia si ebbe nel 1556 in Francia, nel castello di Blois, alla presenza di Caterina de’ Medici.20 Questa messa in scena seguì la traduzione in prosa approntata da Mellin de Saint-Gelais, pubblicata nel 1559.21Deceduto nel 1550, Trissino non poté vedere questa rappresentazione; tuttavia, l’impegno profuso nel suo progetto letterario e nella questione della lingua ci permette di capire quanto la rappresentazione, e più in generale la ‘rappresentatività’ della tragedia, stessero a cuore all’autore: un requisito importante per ottenere la rappresentatività della pièce era l’impiego della lingua volgare, con particolare attenzione alla sua resa orale. Su questo argomento egli tornò più volte, e non a caso lo ritroviamo nella lettera programmatica De le lettere nuωvamente aggiunte ne la lingua Italiana, manifesto della sua riforma ortografica e fonetica:

[il nostro modo] ci farà al manco queʃta utilità, che dimoʃtrerà la pronuntia, ch’io ʃeguo; perciὼ che in molti vocaboli mi parto da l’uʃo Fiorentino, ε li pronuntio ʃecondo l’uʃo Cortigiano, com’ὲ hωmo dico, ε non huωmo; ωgni, ε non ogni; compωʃto, ε non compoʃto; fωrʃe, ε non forse; hωr, ε non hor; biʃωgna, ε non biʃogna; vergωgna, ε non vergogna; spoʃa, ε non spωʃa; lettera, ε non lεttera; sωgno, ε non sogno; Rεgno, ε non Regno; ʃεnza, ε non ʃanza, εt alcuni altri ʃimili: come ne la nωʃtra Sophonisbaʃi puω vedere. In alcuni altri vocabuli pωi ʃono quaʃi chε trωppo Fiorentino; come ὲ porre dico, ε non pωrre; poʃe, ε non pωʃe; meco, ε non mεco; ε così dico teco, ʃeco, me, te, ʃe; ε non tεco, ʃεco, mε, tε, ʃε; εt anchora leggie, tiεpido, allegro, debile, ʃtεtte, diʃio, ʃicuro, cuωre, εt altri molti ʃimili; come ne la predetta Sophonisba ʃi vede; ne la quale tanto hω imitato il Toʃcano, quanto ch’io mi penʃava dal rεʃto d’Italia poter εʃʃere facilmente inteʃo; ma, dove il Toʃco mi parea far difficultà, l’abandonava, ε mi riduceva al Cortigiano, ε commune.22

18G. B. GIRALDI CINZIO, Carteggio, n° 23, a cura di S. Villari, Messina, Sicania, 1996, 164-165, righe 351-353. 19 Per un’analisi più precisa di queste didascalie implicite, vedereinfra. Cfr. anche il contributo D. QUARTA, Spazio scenico, spazio cortigiano, spazio cortese, in AA. VV.,La corte di Ferrara e il suo mecenatismo (1441-1598), Atti del convegno internazionale Copenaghen maggio 1987, a cura di M. Pade, L. Waage Petersen e D. Quarta, Copenaghen, Forum for Renaessancestudier, 1990, 315. 20 Cfr. R. CREMANTE, Nota introduttiva…, 17. 21Cfr. R. CREMANTE, Nota bibliografica, in R. Cremante (a cura di),Teatro del Cinquecento. Tomo I. La tragedia…, 22-28: 22. 22G. G. TRISSINO, De le lettere…, Roma, Lodovico de gli Arrighi Vicentino, 1524, B2v-B3v.

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Attraverso questo brano, Trissino propose la Sofonisbacome esempio di attuazione della propria riforma linguistica. La scelta ricadde sulla tragedia in quanto l’autore era ben consapevole della duplice dimensione del testo teatrale, che può essere sia letto privatamente e silenziosamente, sia declamato, in lettura pubblica o in rappresentazione; evidentemente, era quest’ultima dimensione, quella orale, a dover prevalere. La crucialità della rappresentazione è testimoniata anche dalla lettera dedicatoria di Sofonisba a papa Leone X:

Perciò che la cagiωne la quale m’ha indωttω a farla in questa lingua si ἑ che, havεndωo la Tragεdia sεi parti necessarie, cioἑ la Favωla, i Cωstumi, le Parole, il Discωrsω, la Rappreʃentaziωne εt il Cantω, manifεsta coʃa ἑ che, havεndωsi a rappreʃentare in Italia, nωn pωtrεbbe εssere inteʃa da tuttω il popωlω s’ella fωsse in altra lingua chε Italiana cωmposta; εt apprεssω i Cωstumi, le Sentεnzie εt il Discωrsω nωn arrecherεbbωnω universale utilitate ε dilεttω, se nωn fωsserω inteʃe da lj’ascωltanti. Sì che, per nωn le tòrre la Rappreʃentaziωne, la quale (cωme dice Aristotele) ἑ la più dilettevωle parte de la Tragεdia […] εlεssi di scriverla in questω idioma.23

La scelta della lingua volgare per il genere tragico venne dunque dettata dalla ‘necessità’ di una rappresentazione, che è una delle sei parti della tragedia, conformemente alla teoria aristotelica. Trissino indicò inoltre come destinazione finale di questo genere teatrale l’arrecare «universale utilitate e diletto» agli ascoltatori («ascoltanti»); questo scopo non si può raggiungere omettendo la rappresentazione, tant’è che, senza di essa, persino «i Costumi, le Sentenzie et il Discorso» verrebbero a perdere significato. Possiamo concludere che, per il Trissino della dedica a papa Leone X, tener conto di una rappresentazione era fondamentale, e dalle sue parole possiamo intuire la speranza di una messa in scena della Sofonisba alla corte pontificia: la tragedia, d’altronde, risultava perfettamente conforme al programma di spettacoli della Roma papale, essendo stata scritta, oltre che per lo svago, soprattutto per essere di «utilitate al vivere humanω».24 Ciononostante, nella Quinta Divisione della Poetica, seguendo Aristotele, Trissino specificò che, tra le sei parti delle tragedia, quelle di competenza del poeta sono solo le prime quattro, escludendo quindi canto e rappresentazione, da lasciare al corego.25 Più di trent’anni dopo la dedica a papa Leone X (la Quinta Divisione della Poetica è stata scritta nel 1549), Trissino sembrò suggerire ai posteri i modi in cui allestire la tragedia, già compiuta nelle sue prime quattro parti. Dopo quella avvenuta su suolo francese del 1556, abbiamo notizia di un’altra rappresentazione tenutasi a Vicenza nel 1562, voluta dall’Accademia Olimpica. Fondata nel 1555, questa Accademia era l’erede dell’Accademia Trissineae che il tragediografo aveva animato nella propria villa di

23G. G. TRISSINO, LaSωphωnisba…, 31. 24Ivi, 30. 25 Cfr. B. WEINBERG, Trattati di poetica e retorica del Cinquecento, vol. 2, Bari, Laterza, 1970, 15.

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Cricoli.26Oltre all’insegnamento delle scienze, tra le attività di questa Accademia svolgevano un ruolo cruciale gli spettacoli, che costituivano un momento ricreativo per i soci e le loro famiglie e contribuivano ad aumentare il prestigio dell’Accademia anche al di fuori dei confini della Repubblica di Venezia. Tra i soci fondatori figurava Andrea Palladio:27 ciò non è incidentale, poiché il futuro architetto, nato Andrea di Pietro della Gondola, fu il principale allievo del Trissino.28 Morsolin, descrivendo i ritrovi di Cricoli, fornisce una descrizione dell’apprendistato del Palladio presso il maestro:

Inferiore di età v’interveniva forse con maggiore frequenza quel giovane, o scarpellino, o manovale, cui l'inclinazione all’architettura, rilevatasi casualmente nella edificazione di Cricoli, doveva collocare tra’ primi dell'arte. Il Palladio, cosi chiamato in onore delle arti, vi attinse anzi i rudimenti elementari dal Trissino istesso, che gli veniva spiegando di mano in mano i libri di Vitruvio.29

L’eredità del Trissino sopravviveva dunque nella persona del Palladio, destinato a diventare celebre anche per i teatri di ispirazione vitruviana. L’architetto cominciò a edificare apparati scenici proprio a Vicenza per l’Accademia Olimpica. La tradizione degli spettacoli teatrali olimpici ebbe inizio due anni dopo la fondazione dell’Accademia, nel 1557: fu questo l’anno dell’Andria di Terenzio, tradotta dall’accademico Alessandro Massarìa, medico amico di Andrea Palladio. Zorzi ipotizza che già in quell’anno fu attiva la collaborazione tra Palladio e il pittore Fasòlo per la realizzazione dell’apparato scenico.30 Architetto e pittore collaborarono, sempre secondo Zorzi, anche nel 1558 per l’allestimento dell’apparato dei ‘Giochi Olimpici’.31

26 «Il Trissino, nei suoi viaggi, si era formato la figura di gentiluomo di prestigio internazionale. Su quel prestigio il Trissino fondò qui a villa Cricoli l’Accademia che diede origine a quella Olimpica» (G. PIOVENE, Trissino e Palladio…, 15). Per approfondire, vedereB. MORSOLIN, Giangiorgio Trissino: monografia d'un gentiluomo letterato nel secolo XVI, Firenze, Le Monnier, 1894, 203 ssg. 27G. ZORZI, Le ville e i teatri di Andrea Palladio, Neri Pozza, Vicenza, 1969, 260. 28 Pierfilippo Castelli dà alcune notizie sugli studi di architettura del Trissino: «Allo studio delle Greche lettere unì il nostro Trissino quello delle scienze Matematiche, e Fisiche, e quello ancora dell’Architettura, in cui molto fece di profitto, come ne fa fede non pure un piccolo Trattato in cotal materia da lui composto; ma la fabbrica del suo Palazzo nella Villa di Cricoli a mezzo miglio lontana da Vicenza, che è tutto di suo disegno sulle regole di Vitruvio». Parla inoltre dell’assiduità del Palladio col Trissino, riprendendo la testimonianza di Paolo Gualdo, contemporaneo dell’architetto: «[…] avendo il Palladio contratta col Trissino grande amistà e dimestichezza, questi conosciutolo di pronto e vivace ingegno, e di ottima e rara indole, tanto affetto gli pose, che non pure gli spiegò egli medesimo Vitruvio, ma con seco il condusse anche a Roma tre volte. Andrea poi in segno di gratitudine fece di Giovangiorgio ne’ suoi libri dell’Architettura lodevole menzione» (P. CASTELLI, La vita di Giovangiorgio Trissino, oratore e poeta, Giovanni Radici, Venezia, 1753, 7-9). 29B. MORSOLIN, Giangiorgio Trissino…, Firenze, Le Monnier, 1894, 271-272. 30Zorzi avalla l’ipotesi citando le Memorie dell’Accademia Olimpica di Bartolomeo Ziggiotti (G. Zorzi, Le ville…, 1969, 110). In esse leggiamo che il 25 gennaio 1557 furono suddivise tra i soci le mansioni per l’allestimento dello spettacolo, e tra coloro che furono incaricati di «far provisione et ordinare la scena et le cose pertinente a quella», figurava Giovanni Antonio Fasòlo. È di particolare interesse il fatto che nello stesso anno il pittore fu uno dei quattro conservatori dell’Accademia, mentre nel 1570 divenne consigliere del Principe dell’Accademia. Cfr. P. KRAGELUND, Palladio, Trissino and Sofonisba…, 141-142. 31G. ZORZI, Le ville…, 1969, 264. Cfr. P. KRAGELUND, Palladio, Trissino and Sofonisba…, 141-142.

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Negli stessi anni, ovvero negli anni ’50 del Cinquecento, è collocabile anche la decorazione pittorica del Castello di Porto Colleoni .32 Questa villa-castello ci interessa poiché contiene un episodio della vicenda di Sofonisba, inserito in un ciclo che illustra scene dell’Ab urbe condita di Livio, la fonte della tragedia trissiniana. Carlo Ridolfi attribuì gli affreschi a , aiutato da Giovan Battista Zelotti e da Giovanni Antonio Fasòlo.33 Per onorare la fama di ‘letteratissimo’ amante delle antichità del committente Francesco da Porto,34 non è un caso che venne scelto un ciclo ispirato al testo liviano, la risorsa principale per lo studio della storia romana.35 Dato che il committente morì nel 1554, gli affreschi dovrebbero essere stati ultimati intorno a quell’anno, anche se la datazione rimane incerta. La scena che più ci interessa, L’incontro di Sofonisba e Massinissa, è stata attribuita al solo Fasòloda Brugnolo Meloncelli.36 Questa scena raffigura l’incontro tra Sofonisba, moglie del re della Numidia Siface, e Massinissa, giunto a prendere possesso della città di Cirte. La scena è rappresentata fedelmente secondo la descrizione di Tito Livio: Massinissa a cavallo si dirige verso la reggia,37 dove sulla soglia incontra Sofonisba.38 In

32M. MORRESI, Palladio, e Cristoforo Sorte in villa Porto-Colleoni, in «Arte Veneta», XL, Electa, Milano, 1986. 33 Zelotti risulta essere discepolo di Veronese anche secondo il Vasari (K. BRUGNOLO MELONCELLI, Battista Zelotti, Milano, Berenice, 1992, 119), mentre Ridolfi sostiene che con tutta probabilità a Thiene era con loro anche il giovane allievo Antonio Fasòlo Vicentino: «[Paolo Caliari detto il Veronese] andatosene a Tiene nel Vicentino, ove nelle case de’ Conti Porti dipinse a fresco nella Sala in partimenti, divisi da figure a chiaro scuro, huomini, e donne, che giuocano ad una tavola; un convito di Cavalieri e di Dame; una caccia, et un ballo; e nella cornice cartelline, bambocci, e festoni. Sopra la porta d'un Camerone stanno appoggiate ad un frontispitio Palade, e Mercurio; e nelle pareti appaiono quattro historie: di Mutio Sceuola, che si abbruggia la mano in emenda d'haver ucciso il Secretario in vece del Re Porsenna: di Sofonisba dinanzi à Massinissa, che la fece dapoi sua sposa per sottrarla dal trionfo; di Marc'Antonio alla Mensa, e Cleopatra con reale apparecchio e corteggio de servi: e di Serse sedente a cui tributano doni i popoli della Grecia et un fregio intorno de fanciulli, e festoni: nelle porte finse cacciatori; e dalle parti d'un camino Venere, e Vulcano, nelle quali fatiche v'hebbe parte Battista Zelotti suo discepolo, che per esser di maniera simile indifferentemente lavorava nelle opere di Paolo, a segno che le cose loro parevano d’una medesima mano, e alcuni dicono, che gli servisse ancora Antonio Fasolo Vicentino, che all'hor giovinetto studiava dalle opere sue» (C. RIDOLFI, Le Maraviglie dell'arte ovvero le vite degli illustri pittori Veneti e dello Stato, vol. 2, Cartallier, Padova, 1837, 7-8. Ho normalizzato la grafia distinguendo le «u» dalle «v»). L’abate Antonio Magrini, invece, non si dice così certo della giovinezza e dell’inesperienza del Fasòlo in quegli anni, come riporta nei suoi Cenni storico-critici sull’artista (A. MAGRINI, Cenni storico-critici sulla vita e sulle opere di Giovanni Antonio Fasolo pittore vicentino, Venezia, G. Antonelli, 1851, 22). 34«FRANCESCO DE PORTO, visse questi anni cavaliere notissimo in tutta Europa, non tanto por lo generale Collateralado dalla Venetiana Republica conferitogli per le singulari virtù sue, sendo litteratissimo, di grave, et prudente consiglio, di vivace spirto, pieno di mirabili discorsi in tutte l’humane attioni, quanto per esser Mecenate, et rifugio de’ dotti, et virtuosi» (G. MARZARI, Dell’Historia Vicentina, Giorgio Greco, Vicenza, 1604, 168. Ho normalizzato la grafia distinguendo le «u» dalle «v»). 35 Ovviamente questo testo figurava anche nella biblioteca di Cricoli del Trissino, vedereB. MORSOLIN, Giangiorgio Trissino…, Firenze, Le Monnier, 1894, 197. 36K. BRUGNOLO MELONCELLI, Battista…, 1992, 121. 37T. LIVIO, Ab urbe condita, XXX, 12, 10: «Et Masinissa, praesidio circa portas opportunaque moenium dimisso ne cui fugae pateret exitus, ad regiam occupandam citato vadit equo» (T. LIVIUS, Ab urbe condita libri XXVIII-XXX, a cura di P. G. Walsh, Lipsia, Teubner, 1986, 111). 38T. LIVIO, Ab urbe condita, XXX, 12, 11: «Intranti vestibulum in ipso limine Sophoniba, uxor Syphacis, filia Hasdrubalis Poeni, occurrit» (T. LIVIUS, Ab urbe condita libri XXVIII-XXX, a cura di P. G. Walsh, Lipsia, Teubner, 1986, 111).

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questa raffigurazione non ci sono dettagli che fanno pensare alla lettura della tragedia di Trissino o alla visione di una rappresentazione teatrale.39

Immagine 1. L’incontro tra Sofonisba e Massinissa. (Archivio Fotografico Castello Porto Colleoni Thiene).

Nel 1562 venne allestita a Vicenza la messa in scena della Sofonisba, in omaggio a Trissino, ispiratore dei valori dell’Accademia degli Olimpici. Lo spettacolo si tenne all’interno del teatro ligneo costruito da Palladio l’anno precedente nel salone del Palazzo della Ragione, in occasione della messa in scena della commedia Amor Costante di Alessandro Piccolomini. Il Carnevale costituiva, per i soci, l’occasione annuale per organizzare feste e spettacoli. Per il 1561, erano in programma sia l’Amor Costanteche la Sofonisba; tuttavia, per mancanza di tempo, ma probabilmente soprattutto di finanziamenti, si decise di differire quest’ultima all’anno successivo.40 Il prezioso teatro ligneo palladiano41 venne dunque conservato per un anno per poter poi essere riutilizzato,

39 Cfr. P. KRAGELUND, Palladio, Trissino and Sofonisba…, 148-149. 40 Per la verità, una testimonianza parla anche di un Edipo rappresentato durante il Carnevale 1561. Leggiamo nelle Memorie dello Ziggiotti questo scritto di Silvestro Castellini (cit. in G. ZORZI, Le ville…, 1969, 276, doc. 14): «Febbraio 1562 CARNEVALE. Fu questo teatro con tanta maestria edificato che si era potuto paragonare a que’ degli antichi. La tragedia rappresentata nel tempo di carnevale in grande pompa e spesa fu quella di Sofocle intitolata l’Edipo, ed aveasi in animo di rappresentare anche la Sofonisba composta da Gio. Giorgio Trissino, ma in mancanza di tempo fu diferita all’anno seguente 1562. Nel teatro stesso adunque che si tenne unito per tutto questo tempo fu rappresentata, mentre era Principe dell’Accademia il Cav. Valerio Chiericati vicentino, essa tragedia […]». 41 Ecco altre due descrizioni del teatro ligneo palladiano, oltre a quelle citate nella nota precedente: «Perché non si può ritrovare cosa di maggior dignità per la essaltazione della nostra Accademia […] nel medesimo ricco et bello et leggiadrissimo apparecchio che sarà tosto all’ordine per recitar la comedia dell’Amor Costante si rappresentasse doppo ancora la Sofonisba tragedia ecc.ma […] con grandissima soddisfazione di tutta questa città» (Ziggiotti, Memorie, in G. ZORZI, Le ville…, 1969, 273, doc. 3). Castellini racconta: «Scielto da sigg. Accademici il gran salone del pubblico palazzo per una rappresentazione da recitare nel carnevale di quest’anno, l’accademico Palladio in tal occasione disegnò un teatro di legname e fu innalzato

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contrariamente all’uso dell’epoca, per cui i teatri erano strutture provvisorie destinate a essere smantellate una volta concluso il Carnevale. Tre fatti concorrono a provare quanto gli Accademici tenessero a portare in scena la Sofonisba. In primo luogo, furono disposti a sorvegliare il teatro ligneo per ben dodici mesi; in secondo luogo, inviarono numerosi richiami ai soci che non avevano versato le loro quote, per ottenere finanziamenti bastevoli alla rappresentazione; da ultimo, prorogarono la carica di Principe dell’Accademia a Valerio Chiericati «per tutto il tempo che si farà la tragedia», andando contro il regolamento, che prevedeva per questa carica una durata massima di tre mesi.42 Certamente, gli Accademici dovevano avere molto a cuore questa rappresentazione, in quanto omaggio alla memoria di Trissino, uno dei letterati più in vista della città. D’altronde, il prestigio dell’Accademia si identificava con lo sfarzo delle rappresentazioni teatrali, e scegliere la Sofonisba permetteva di effettuare un diretto collegamento tra l’Accademia Olimpica e il recente passato dell’Accademia Trissiniana. Almeno due testimonianze documentarie, una del segretario dell’Accademia Paolo Chiappini e una di Tommaso Temanza, biografo di Palladio, concordano nell’affermare che Palladio, in funzione di architetto, e Fasòlo, con mansioni di dipintore, lavorarono insieme per la realizzazione del teatro ligneo, aiutati da Zelotti: è nel 1561, dunque, che possiamo collocare la prima collaborazione di questo trio di artisti.43 Esiste inoltre un documento che attesta che, nel febbraio 1562, Zelotti e Fasòlo parteciparono all’allestimento della scena per la Sofonisba del Trissino: «di sopra era un quadro di pittura grande di chiaro scuro finto d’oro con figure eccellentissime, fatte da messer Gio. Batta (sic!) Veneziano, e da messer Gio. Ant. Fasolo Accademico».44

con tanta diligenza che era in tutto simile a quello degli antichi romani» (G. ZORZI, Le ville…, 1969, 275, doc. 9). Il salone di cui si parla è quello sito nel Palazzo della Ragione. 42G. ZORZI, Le ville…, 1969, 269-270. 43 Riporto qui per esteso le succitate testimonianze. Paolo Chiappini fornisce la descrizione più dettagliata che possediamo del teatro ligneo palladiano. Il suo intervento è così sintetizzato da Zorzi: «il proscenio comprendeva un ordine inferiore corinzio e uno superiore composito. Nel primo si aprivano frontalmente tre porte: la centrale maggiore ad arco e le due laterali minori architravate, intervallate da coppie di colonne legate superiormente da festoni e racchiudenti altrettante nicchie con statue di rilievo di tutto tondo e di grandezza naturale, sormontate da quadretti di pittura di chiaro scuro in color verde finto di bronzo, cioè da bassorilievi. In corrispondenza anche il secondo ordine aveva eguali coppie di colonne racchiudenti nicchie e statue e superiori bassorilievi, cioè sopra le porte laterali erano dipinti altri riquadri a chiaroscuro di color verde finto bronzo e sopra la porta centrale era ‘un quadro di pittura grande di chiaroscuro finto d’oro con figure eccellentissime d’umana grandezza fatte da Mess. Gio. Battista veneziano [Zelotti] e da messer Giovanni Fasolo Accademico’» (G. ZORZI, Le ville…, 1969, 268). Della collaborazione tra Palladio, Zelotti e Fasòlo troviamo anche la seconda testimonianza di Temanza: «Perciò fecero costruir dal Palladio un Teatro di legno nella Sala del Palazzo della Ragione. Fu egli con tale maestria, e magnificenza rizzato, che potevasi forse paragonare agli antichi. Vi dipinsero il Fasolo, ed il Zelotti eccellenti pittori» (T. TEMANZA, Vita di Palladio, vol. I, Venezia, G. Pasquali, 1762, XVII). Chiappini e Temanza forniscono due testimonianze documentarie della fattiva collaborazione tra Palladio, Zelotti e Fasòlo per la creazione dell’apparato scenico in stile vitruviano, secondo gli insegnamenti trissiniani. 44G. ZORZI, Le ville…, 1969, 276, doc. 13 (in questo documento,citando le Memorie delloZiggiotti,si riportala descrizione fornita da Paolo Chiappini). Cfr. R. CREMANTE, Nota introduttiva…, 17; P. KRAGELUND, Palladio, Trissino and Sofonisba…, 143.

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Il successo della loro collaborazione è confermato da numerose testimonianze, in particolare dalle Memorie dello Ziggiotti, segretario dell’Accademia dal 1750 al 1763, nonché da Niccolò Rossi, il quale scrisse qualche decennio dopo l’evento, nel 1590.45 Si descrive uno spettacolo eccellente, ben curato in tutte le sue parti (la recitazione degli attori, i costumi, l’apparato), tanto che entrò subito nell’immaginario culturale dell’epoca, anche grazie ai resoconti delle personalità influenti che vi avevano assistito, come l’ambasciatore di Francia. La Sofonisba divenne uno degli elementi distintivi dell’identità dell’Accademia Olimpica, tanto che la ritroviamo in uno dei monocromi che decorano la fascia superiore delle pareti dell’Antiodeo del Teatro Olimpico. La funzione di questi monocromi è celebrativa, ovvero hanno lo scopo di illustrare i momenti salienti della storia dell’Accademia.

Immagine 2. Alessandro Maganza, la rappresentazione della Sofonisba di G. G. Trissino nel 1562, 1596. (Archivio Fotografico dell’Accademia Olimpica di Vicenza).

45Ziggiotti racconta: «Nel teatro stesso adunque che si tenne unito per tutto questo tempo fu rappresentata, mentre era Principe dell’Accademia il Cav. Valerio Chiericati vicentino, essa tragedia la quale, sì per l’abilità dei recitanti come per li superbissimi abiti appropriati secondo la materia, quanto anco allo spendidissimo (sic!) apparato fu unanimamente lodata, e vennero ad udirla molti gran personaggi forestieri, tra quali l’Ambasciatore francese a cui piacque tanto un tale spettacolo che ritornato a Venezia ne fece poi relatione all’eccellentissimo Senato. […] fu sì grande il numero degli spettatori, che non essendo il teatro capace a contenerli, furono gli Accademici costretti a replicare la recita tre volte, onde alla fine tutti rimanessero soddisfatti sempre coll’intervento delli clarissimi Sigg. Daniel Pisani Podestà et Bartol. Lippomano Capitanio» (in G. ZORZI, Le ville…, 1969, 276, doc. 14). Riporto inoltre la testimonianza di Niccolò Rossi nell’Avvertenza ai lettori dei suoi Discorsi intorno alla tragedia, editi nel 1590: «[…] ho voluto prendere per soggetto del presento (sic!) nostro trattato la Sofonisba, tragedia del molto illustre e dottissimo signor Gioan Giorgio Trissino, dal Vello dell’oro, si perché ella di tutte le moderne tragedie tiene il primo luogo (e quanto fosse superiore a molte delle antiche, si vide l’esperienza, quanta differenza fu dalla rappresentazione sua a quella che fu fatta gli anni passati con tanta spesa e tanta magnificenza, di questi illustri signori Academici, dell’Edipo tiranno di Sofocle; nella quale, quantunque la spesa dell’apparato e di tutte le altre cose fatta da questi signori rapisse gli animi di tanti forestieri alla contemplazione della grandezza dei loro nobilissimi animi, il subieto antico non dilettò molto gli uditori avezzi ai costumi dei tempi più freschi), sì perché avendo io in casa così nobili subietti di tragedie e di comedie non dovevo andarli mendicando da forestieri» (in B. WEINBERG, Trattati di poetica e retorica del Cinquecento, vol. IV, 62).

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Vediamo dunque quanto sia stata duratura la fama di questa rappresentazione, in memoria del successo della quale, ben diciassette anni dopo, l’Accademia Olimpica decise di riprendere la consuetudine delle rappresentazioni teatrali.46 Fu proprio nel nome della Sofonisba trissiniana che il Consiglio accademico cominciò a ventilare l’ipotesi della costruzione di un nuovo teatro, ancora più magnifico di quello del 1560 e, soprattutto, stabile. Era l’atto di nascita del Teatro Olimpico di Vicenza, commissionato subito dopo al Palladio, che ne realizzò il progetto nel 1580, pochi mesi prima di morire. Come abbiamo visto, gli studi teatrali del Trissino e la sua viva attenzione all’aspetto rappresentativo dei testi erano stati coronati dalla fastosa rappresentazione postuma del 1562. Nonostante fossero trascorsi ormai quasi quarant’anni dalla pubblicazione del testo, questo evento consacrò definitivamente la fortuna iconografica del personaggio trissiniano, rendendolo emblema della vivacità culturale, della preziosa erudizione e del prestigio dell’Accademia. Giungiamo all’ultima testimonianza tangibile di questo successo, che ci siamo proposti di analizzare dal punto di vista della collaborazione degli artisti Palladio, Zelotti e Fasòlo: gli affreschi della stanza di Sofonisba della villa di Caldogno (Vicenza), databili alla fine degli anni ’60 del Cinquecento. Questi affreschi sono stati generalmente attribuiti a Giovan Battista Zelotti, con alcuni interventi di Giovanni Antonio Fasòlo. Risalendo al committente, comprendiamo la scelta di questo ciclo decorativo. Il suo nome è ben visibile nell’iscrizione presente sulla facciata della villa: ‘ANGELVS CALIDONIUS LVSCHI FILIVS MDLXX’, ovvero ‘Angelo Caldogno, figlio di Losco, 1570’. Angelo Caldogno era un accademico olimpico che fu anche Principe dell’Accademia e che sostenne fin dall’inizio il progetto del Teatro Olimpico palladiano: troviamo infatti la sua statua proprio al centro della frons scenae del teatro.47 Per la costruzione e la decorazione della villa di questo nobile vicentino, sembra facilmente ipotizzabile il coinvolgimento degli amici Andrea Palladio, Giovanni Antonio Fasòlo e dei loro collaboratori. A più riprese, la paternità della villa è stata negata al Palladio, tuttavia la critica non ha

46«Par che la rappresentazione di Sofonisba tragedia dell’Ecc.mo sig. Gio. Giorgio Trissino già nostro patricio fatta l’anno 1561 nel palazzo publico per la riuscita sua non per sodisfatione ma con meraviglia di chi ne furono spettatori habbia causato fin hora in quest’Accademia un quasi continuo silentio a spettacoli publici, come che potendosi difficilmente sperare più da lei imprese tanto illustri fosse meglio per non declinare non mettersi più a veruna attione tale per l’avenire, ma certamente essendo l’Accademia nostra fondata sopra i continui esercitii virtuosi dall’esperienza di molti anni essendo già conosciuta tale che può sperare sempre d’operare cose eguali, almeno degne di se medesima e della Patria, non deve da questo troppo severo rispetto lasciarsi impedire quel sì lodevole corso, a cui del genio suo, dallo stimolo virtuoso, dal debito della professione, dal desiderio e dall’aspettatione altrui si sente eccitata: onde Anderà parte che questo prossimo carnasciale venturo sia recitata publicamente a casa dell’Accademia, con quella minor spesa che sia possibile, attesa la dignità sua, una favola pastorale, come cosa nova et non più fatta sin’ora da questa Accademia, quella cioè che sarà eletta dal sig. Prencipe nostro et da 4 Accademici, che per questo Consiglio saranno a tal carico deputati» (in G. ZORZI, Le ville…, 1969, 309, doc. 1, alla data X Agosto 1579). 47Cfr. P. KRAGELUND, Palladio, Trissino and Sofonisba…, 140-141.

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addotto abbastanza elementi per poterla assegnare con certezza ad un altro architetto.48 Per quanto riguarda la decorazione, è certo che in villa abbiano lavorato sia Zelotti che Fasòlo, con qualche incertezza sull’attribuzione dei singoli cicli o figure.49 Ma quello che ora ci interessa è notare come la scelta del ciclo di Sofonisba sia ricaduta proprio su uno dei soggetti più cari all’Accademia Olimpica, quasi per consolidare il sodalizio esistente tra i soci, in memoria dei fasti raggiunti nel nome di questa tragedia. Difatti, l’impronta data al ciclo pittorico è quella del testo trissiniano, forse proprio sulla scorta della fortunata rappresentazione del 1562. Osservando gli affreschi del ciclo,possiamo letteralmente ‘leggere’ la tragedia di Giovan Giorgio Trissino.50 Anche la successione delle scene sembra ricalcare il testo letterario.51 La prima scena affrescata corrisponde alla scena di apertura della tragedia del maestro vicentino (vv. 1-117), in cui la regina Sofonisba confessa le proprie pene alla fedele Erminia (ne riportiamo qui di seguito i vv. 1-3 e 8-12):52

SωPHωNISBA Lassa, dωve poss’iω vωltar la lingua Se nωn là ‘ve la spinge il miω pensierω Che giωrnω ε notte sεmpre mi mωlεsta? […] HERMINIA Regina Sωphωonisba, a mε regina Per dignità, ma per amωr sωrεlla, Sfωgate mεcω pure il cuor, che cεrtω Nωn pωssete parlar cωn chi più v’ami; Nέ che si dolja più de i vostri mali.53

48Vedere la riflessione di Renato Cevese in R. CEVESE, Ville della provincia di Vicenza, Milano, Sisar, 1961, 134. 49Cfr.P. KRAGELUND, Palladio, Trissino and Sofonisba…, 141-142. 50 Come indica Kragelund, il primo in assoluto ad aver cautamente ipotizzato un legame tra la resa pittorica di villa Caldogno e il testo della tragedia è stato G. J. J. Van der Sman (P. KRAGELUND, Palladio, Trissino and Sofonisba…, 143). 51 Trissino non aveva fornito indicazioni per la divisione del testo in atti o scene; tuttavia, per comodità, faremo riferimento alla suddivisione convenzionale in atti e scene proposta in G. G. TRISSINO, Sofonisba, in G. Gasparini (a cura di), La tragedia classica dalle origini al Maffei, Torino, UTET, 1963. 52 Kragelund, invece, individua un riferimento ai versi 177-184, in cui le donne decidono di andare a pregare: cfr. P. KRAGELUND, Palladio, Trissino and Sofonisba…, 147, nota 19. 53G. G. TRISSINO, LaSωphωnisba…, 35-37.

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Immagine 3. Sofonisba accompagnata da Erminia e dal proprio seguito.54

L’affresco costituisce una vera e propria illustrazione del brano letterario. Vediamo, in primo piano, Sofonisba ed Erminia, scortate da tre donne che costituiscono il seguito della regina: non a caso, anche nella tragedia, Sofonisba è sempre accompagnata da un coro femminile, che in questo caso entra in scena al termine del dialogo tra le due donne (v. 118 ssg.). Nella pittura, Sofonisba, a destra, con la corona e l’abito verde e dorato, appare in un atteggiamento di prostrazione (evidente nell’incipit della tragedia, al succitato v. 1: «Lassa, dωve poss’iω vωltar la lingua […]»), mentre Erminia la soccorre, tentando di confortarla (al succitato v. 10: «Sfωgate mεcω pure il cuor […]»).

54 Questa e le successive immagini, relative agli affreschi di Fasòlo e Zelotti a villa Caldogno, provengono dal mio archivio personale. Ringrazio il comune di Caldogno per l’autorizzazione alla riproduzione delle immagini nel presente contributo.

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Immagine 4. Sofonisba, accompagnata dal suo seguito, è raggiunta da un famiglio.

Nella seconda scena dipinta, pur fortemente compromessa, possiamo scorgere Sofonisba accompagnata dal suo seguito,55 raggiunta da un uomo che sembra essere un soldato. Dalla posizione dell’uomo, proteso verso la regina, la situazione pare concitata. Il riferimento va alla terza scena della tragedia (vv. 229-338) che vede un famiglio raggiungere il gruppo delle donne «affannato e stanco» (v. 236), per essere giunto correndo dall’accampamento saccheggiato dai Romani.56 Leggiamo qui di seguito le indicazioni contenute nel coro, che descrivono l’arrivo del famiglio trafelato, facendo le veci di una vera e propria didascalia (vv. 226-229):

CHORω Eccω un familjω del Signωr, ch’apena Può trarre il fiatω, ε ciò per lunga via O per altrω disturbω par che sia.57

Subito dopo, in maniera conforme allo stile deittico utilizzato da Trissino nella tragedia, il coro indica la posizione della regina recitando: «Eccω che ad hωr ad hωr εʃce di caʃa / e nωn ὲ bεn anchωr fuor de la porta» (vv. 234-235).58 Nell’affresco vediamo, in alto a sinistra, un grande arco, in cui ben si può identificare l’ingresso del palazzo. Sofonisba appare nell’atto di voltarsi verso

55 Intorno a Sofonisba ci sono le donne del suo seguito (e quindi del coro, osservando la scena in parallelo col testo della tragedia). Il volto della regina è individuabile grazie alla linea del contorno sinistro del viso e all’ombreggiatura delle labbra. Subito a destra, possiamo scorgere tre visi femminili (due dei quali piuttosto ben riconoscibili nelle loro parti attraverso un’attenta osservazione: occhi, naso, bocca; il terzo è posto tra i due precedenti, tuttavia di questo personaggio possiamo ormai intravedere solo il mento e il collo). 56 Cfr. P. KRAGELUND, Palladio, Trissino and Sofonisba…, 148. 57G. G. TRISSINO, LaSωphωnisba…, 56. 58Ibidem.

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l’uomo,afferrando convulsamente i drappeggi del proprio abito con la mano destra, come sorpresa e quasi atterrita dal sopraggiungere frenetico e inaspettato del famiglio, effettivamente foriero di funeste notizie.

La terza scena, la più estesa di questo ciclo, riproduce il soggetto già visto nella villa-castello di Thiene, ovvero l’incontro tra Massinissa e Sofonisba. La somiglianza più lampante è il fatto che Sofonisba si trovi, in entrambi, in primo piano al centro. Mettiamo a fuoco le differenze che si riscontrano tra le due raffigurazioni, per poi trarne le debite conclusioni.59

Immagine 5. L’incontro di Sofonisba e Massinissa, accompagnati ciascuno dal proprio seguito.

La Sofonisba di Thiene si situa al centro dell’affresco, lontana dagli altri personaggi e circondata da un’aura luminosa che la pone in risalto; la sua omologa di Caldogno, invece, condivide il primo piano con Massinissa, e si avvicina a lui: la scelta di raffigurare vicini i due protagonisti aumenta la drammaticità dell’incontro, rendendolo volutamente più realistico ed espressivo. Nella raffigurazione di Caldogno, Massinissa non è a cavallo, come descriveva Livio e come abbiamo visto nell’affresco di Thiene, bensì in piedi vicino alla regina: la situazione è rappresentata secondo la versione trissiniana (vv. 339-389), da cui sono ripresi persino i costumi dei personaggi. Trissino, infatti, al contrario di Livio, inserisce un dettaglio grazie al quale Massinissa deve risultare subito riconoscibile, non essendo a cavallo e trovandosi tra gli altri soldati: il pennacchio vermiglio del suo elmo. Questo dettaglio di costume esplicitato nel testo è un accorgimento funzionale nell’ottica di una messa in scena della tragedia. Leggiamo i versi che descrivono l’incontro (vv. 383- 385): MεSSO Eccω i nimici qui pressω a la piaza.

59 Per il confronto, vedere anche la proposta di Kragelund: P. KRAGELUND, Palladio, Trissino and Sofonisba…, 148-149.

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SωPHωNISBA Mωstrami Massinissa. MεSSO Quel d’avanti, che sωpra l’εlmω ha tre purpurεe penne.60

Notiamo, in questa scena, l’abbondanza di deittici: «Ecco», «qui», «quel», che servono a chiarire, in assenza di narrazione, le posizioni e i movimenti dei personaggi sulla scena. L’incontro tra Sofonisba e Massinissa è uno dei momenti culminanti della tragedia, e nel testo sono presentialcune spie che permettono di comprendere come, secondo Trissino, la scena doveva essere rappresentata. Egli inserìalcuni accorgimenti di regia teatrale, che dovevano essere stati rispettati nella messa in scena del 1562 e vennero fedelmente ripresi dal pittore, che non tralasciò di raffigurare la piazza invasa dai soldati citata nel testo (al succitato v. 383: «Eccω i nimici qui pressω a la piaza»). Proseguiamo il confronto. A Thiene, Sofonisba veniva rappresentata immobile, in posa ieratica,nell’atto di allargare le braccia in segno di rassegnazione; al contrario, a Caldogno è rappresentata in movimento, nell’atto di abbracciare le ginocchia del vincitore in segno di supplica. La prima rappresentazione, statica, si concentrava sull’ammaliante bellezza della fanciulla, mettendo in risalto il suo singolo personaggio; in questa, invece, viene data importanza al dialogo tra Sofonisba e Massinissa, e ritroviamo il dinamismo della scena teatrale, che prevede numerosi contatti tra i due personaggi, ovvero l’abbraccio alle ginocchia e il bacio alla mano di Massinissa da parte della regina, nonché il toccare la mano della regina da parte di Massinissa. Tutti questi gesti non sono raffigurabili contemporaneamente nel dipinto; notiamo tuttavia lo sforzo di Zelotti nel voler raffigurare l’annullamento delle distanze tra i due sovrani nemici, in maniera quasi scandalosa: mentre Sofonisba gli abbraccia le ginocchia, Massinissa protende verso di lei entrambe le braccia, toccandola con la mano destra, per sorreggerla e quasi proteggerla. D’altronde, nella tragedia il dialogo tra i due è molto affettuoso ed esplicita l’amore che le circostanze politiche hanno impedito ai due personaggi di vivere. Leggiamone alcuni brani (vv. 489-492; 522-523; 528-534):61

SωPHωNISBA Fatemi questa grazia, ch’iω la kiεggiω, Per le care ginockia che hor abbracciω, Per la vittωriωʃa vostra manω, Piεna di fede ε di valωr, ch’iω baʃciω. […] MASSINISSA […] Dicω che fermamente vi prωmettω Di far per vωi ciò che m’havete kiεstω. […] E per maggiωr kiareza la man dεstra Tωccar vi voljω. Et hor per questa giurω

60G. G. TRISSINO, LaSωphωnisba…, 67. 61 Vedere anche P. KRAGELUND, Palladio, Trissino and Sofonisba…, 149.

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E per quel Diω che m’ha datω favωre A racquistare il miω patεrnω impεrω, Che servatω vi fia que che prωmettω; E nωn andrete in forza d’e Rωmani Mentre che sarà vita in queste mεmbra.62

La ricostruzione è filologica e attenta, un certo omaggio al maestro Trissino, come già sostenuto da Kragelund.63L’artista pone attenzione nel compendiare, all’interno della medesima immagine, più momenti diversi della tragedia, in modo da permettere allo spettatore di cogliere i riferimenti al testotrissiniano.Questo accorgimento viene utilizzato anche nella raffigurazione degli affreschi successivi, questa volta sintetizzando in una singola immagine addirittura più scene diverse del testo. La necessità di sintesi deriva al pittore dalla consapevolezza di avere a disposizione solo cinque spazi per raccontare la tragedia; di questi, il terzo, quello centrale e più ampio, doveva essere riservato all’incontro dei protagonisti, che però nella tragedia non occupa la posizione centrale, bensì è collocato alla fine del primo atto. Gli ultimi due affreschi effettuano dunque uno sforzo di sintesi non indifferente, con lo scopo di non perdere il legamecon il testo ispiratore.

Immagine 6. L’incontro tra Massinissa e Scipione.

Nel quarto affresco, ritroviamo Massinissa, a sinistra, riconoscibile dal mantello dorato e dall’elmo con le tre penne purpuree, al cospetto di un condottiero romano (sullo sfondo, si nota l’insegna con l’aquila romana).

62G. G. TRISSINO, LaSωphωnisba…, 74-76. 63 «In Villa Caldogno […] there can be no doubt that the main inspiration is from Trissino», P. KRAGELUND, Palladio, Trissino and Sofonisba…, 149.

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Nella tragedia, Massinissa incontra prima Lelio, generale romano (vv. 873-1151), e successivamente il generale Scipione (vv. 1240-1417). Questi due incontri immaginati da Trissino sono speculari. Massinissa si trova per due volte al cospetto di un romano che tenta di farlo desistere dall’idea di prenderein sposa Sofonisba: la donna infatti non è più una regina, bensì una prigioniera di guerra il cui destino dovrà essere decretato dal senato romano. Tuttavia, la gestualità del personaggio romano, che protende una mano contro Massinissa come a voler placare la sua frenesia e il suo desiderio per la donna, ci riconduce alla figura di Scipione, campione di continenza (vv. 1275-1280):64

ΣCIPIωNε Crediate a mε, ch’a l’εtà nostra sωnω Le sparse vωluptà, che habbiàn d’intωrnω, Di più periljω chε i nimici armati; E chi cωn temperanzia le raffrena E dωma, si può dir che acquista gloria Mωltω maggiωr che nωn s’acquista d’arme.65

In questo punto del ciclo, continuando a seguire il testo trissiniano, il pittore ha probabilmente cercato di riassumere in una sola scena il doppio incontro di Massinissa con i condottieri romani Lelio (secondo atto) e Scipione (terzo atto).

L’ultima scena raffigura il drammatico epilogo della vicenda. L’impostazione dell’affresco verrà ripresa nel monocromo di Alessandro Maganza (immagine 2).66 È interessante notare come, in entrambe le raffigurazioni, la composizione presenti degli elementi in comune con l’emblema della riconciliazione d’amore, che sarà illustrato e descritto nell’Iconologia di Cesare Ripa:67 troviamo una donna incoronata; una coppa;68 la presenza di fanciulli. L’emblematica, in via di sviluppo proprio in quegli anni, potrebbe suggerireulteriori spunti interpretativi per gli oggetti della scena. Nonostante l’amarezza del finale tragico, essa avrebbe potuto infatti essere letta anche in senso consolatorio, esaltando la virtù di una donna che accetta il dono fatale – ma obbligato – dell’amato, andando incontro al proprio destinocon fermezza. L’insistenza sul motivo dell’amore e della concordia tra Sofonisba e Massinissa nonostante il contesto avverso, già vista nel terzo affresco di Caldogno, spiegherebbe anche la ragione per cui il pittore, dovendo scegliere i momenti da rappresentare, abbia deciso di tralasciare la scena in cui compare Siface, il marito precedente della regina.

64 Anche Kragelund identifica questo personaggio con Scipione, riprendendo l’argomentazione di Van der Sman, per il quale il generale romano è rappresentato nell’atto di convincere Massinissa a consegnargli Sofonisba (P. KRAGELUND, Palladio, Trissino and Sofonisba…, 150). 65G. G. TRISSINO, LaSωphωnisba…, 116. 66 Cfr. P. KRAGELUND, Palladio, Trissino and Sofonisba…, 143. 67C. RIPA, Nova iconologia, Padova, Pietro Paolo Tozzi, 1618, II, 444-446. 68 «La coppa l’habbiamo posta per figura del presente, poiché in essa si pongono i donativi che si mandano a presentare. I presenti vagliano molto nel conciliare, e riconciliare l’amore […]» (C. RIPA, Nova iconologia…, 445).

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Immagine 7. Sofonisba riceve la coppa di veleno.

Sofonsiba si presenta in primo piano, seduta, così come è descritta dal coro nel testo (vv. 1733- 1736):

Sωstenetela bεne. Hai pωverina! Pωonetela a sedere. Nωn la mωvete, no, nωn la mωvete. Eccω che pur le passa questω affannω.69

Siamo in un punto della tragedia in cui Sofonisba ha già ingerito il veleno, mentre nella raffigurazione è ancora in procinto di riceverlo. Tuttavia, come abbiamo notato precedentemente, il pittore è obbligato a una resa simultanea di azioni che in realtà si susseguirebbero, per rendere la sintesi figurativaefficace e completa rispetto al testo che si prefigge di rappresentare. Altri indizi depongono a favore dell’ipotesi che il pittore avesse in mente il testo tragico: uno su tutti, l’ambientazione nella camera da letto. È ai versi 1621-1624 che si esplicita che il suicidio avvenne proprio lì:

Ne la camera sua fece ritωrnω, ωve sεnza tardar preʃe il venenω; E tuttω lω beveω sicuramente Infin al fωndω del lucεnte vaʃω.70

Non manca una descrizione del recipiente, descritto come ‘lucente’ e, come vedremo poco oltre, ‘d’argento’: anche questi dettagli vengono rispecchiati nella pittura.71 Sullo sfondo, grande

69G. G. TRISSINO, LaSωphωnisba…, 142. 70Ivi, 135-136. 71Il «vaso d’argento» è citato anche in P. KRAGELUND, Palladio, Trissino and Sofonisba…, 152, nota 40.

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importanza ha la sagoma del letto, che nella tragedia ha una funzione referenziale ben precisa, essendo il destinatario di un’apostrofe della protagonista (vv. 1635b-1638):

O lεttω miω, ωve depωʃi il fiωr de la mia vita, Rimanti in pace; da quest’hωra inanzi Dωrmirò ne la tεrra εtεrnω sonnω.72

Ad abbracciarla, in basso, il figlioletto avuto dal marito Siface, presente anche nella tragedia, come indicato da questa battuta deittica di Sofonisba (vv. 1758-1759): «Tu poʃcia, Hεrmina mia, prenderai cura / D’allevar cωme tuω questω fanciullω».73 Le donne del seguito della regina, tra cui forse la stessa Erminia, sono rappresentate sullo sfondo. Il posto in primo piano di fronte a Sofonisba è riservato al servo di Massinissa, che le porge la coppa di veleno. Il servo è indubbiamente un emissario numida, poiché lo vediamo indossare il medesimo copricapo usato nelle scene precedenti in cui compariva la scorta di Massinissa. Nondimeno, la scena, in questo caso, non sarebbe contemplata da una rappresentazione teatrale, poiché l’intervento del servo non è agito, bensì è narrato in terza persona prima dal coro (vv. 1465-1467: «Fa’ poi che quel che havemω vistω andarse / Cωn quella coppa, andandω a la Regina, / Nωn le rεchi dωlωr, ma medecina»74), poi da una serva in maniera più diffusa (vv. 1571-1583):

Eccω un di Massinissa il quale un vaʃω D'argεntω haveva in man piεn di venenω; E cωnturbatω alquantω ne la vista, Disse queste parole a la regina: Madonna, il miω Signωre a vωi mi manda E dice che servatω vωlentiεri V'haria la prima sua prωmessa fede, Sì cωme devea far maritω a mωlje; Ma poi che questω da la forza altrui Lji ἑ toltω, εccω vi sεrva la secωnda, Che nωn andrete viva ne le forze D'alcun Rωmanω, ε però vi ricorda Di far coʃa cωndegna al vostrω sangue.75

Infine, anche Massinissa accenna all’evento (v. 1995: «Il sεrvω che ’l pωrtò»76). Dunque, l’intento del pittore era quello difondere insieme le indicazioni spaziali e relative ai personaggi contenute nel testo per fissare, in un solo colpo d’occhio,i momenti chiave del finale tragico: la consegna del veleno, l’affidamento del bambino a Erminia, la morte della regina.Anche se il momento della

72G. G. TRISSINO, LaSωphωnisba…, 136-137. 73Ivi, 143. 74Ivi, 126. Notare, anche in questi versi, l’abbondanza dei deittici: «quel», «quella», a indicare l’allontanamento (l’uscita di scena) del servo con la coppa. 75Ivi, 131-133. 76Ivi, 156.

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consegna del veleno non si produce in scena, in realtà l’affresco resta concorde al testo nel suo punto culminante,in quantoTrissino aveva comunque scelto di far morire Sofonisba davanti al pubblico.77 L’influenza trissiniana è dimostrata ancora una volta dall’abbigliamento della protagonista: nell’affresco la vediamo con un lungo abito bianco ricco di decorazioni dorate, diverso rispetto a quello degli affreschi precedenti. Per capire la ragione del cambio d’abito, dobbiamo rivolgerci al testo, in cui si spiega che Sofonisba si stava preparando per le imminenti nozze con Massinissa, vestendosi di bianco e portando oblazioni al tempio, in onore di Giunone.78 Trissino la descrisse così (vv. 1471-1472; 1559-1566):

FAMILJω Che la Regina già s’ἑ rivestita Tutta di bianchi panni79 […] SERVA Cωme uʃcì Massinissa, la Regina Fe’ nel palazω suω tutti lj’ altari ωrnar di nuovω d’hεdere ε di mirti; Et in quel mεço le sue bεlle mεmbra Lavò d’acqua di fiume ε poi vestille Di bianche, adωrne ε preziωʃe vεste: Tal che a vederla ogniunω haria bεn dettω Che ’l sωl nωn vide mai coʃa più bεlla.80

Le «bianche, adωrne ε preziωʃe vεste» corrispondono esattamente all’abito bianco con dettagli dorati visibile nella raffigurazione.

Al termine di questo percorso tra letteratura, teatro e pittura, risulta evidentecome Giovan Giorgio Trissino, per almeno un secolo, e dunque anche post-mortem, sia stato il vero catalizzatore delle forze artistiche presenti in territorio vicentino, ispirando la nobiltà cittadina per la costituzione di una nuova Accademia a immagine di quella da lui stabilita a Villa Cricoli. Il virtuoso personaggio di Sofonisba, consacrato dalle arti nella sua integrità morale, fu uno dei lasciti principali del Trissino: divenne un vero e proprio emblema della fama dell’Accademia Olimpica, che attraverso di esso contemporaneamente recava omaggio al proprio maestro e si identificava nelle qualità dell’eroina tragica da lui creata.81 Il lavoro del Trissino non verté solo sulla lingua, ma anche sull’aspetto

77Cfr. P. KRAGELUND, Palladio, Trissino and Sofonisba…, 143, nota 15. 78Ivi, 152. 79G. G. TRISSINO, LaSωphωnisba…, 126. 80Ivi, 130-131. 81 La fortuna del personaggio di Sofonisba nelle arti visive fu indubitabilmente motivata dalle virtù che ad esso venivano associate. La consuetudine dell’epoca di rappresentare le virtù attraverso figure femminili spiegalaproliferazione di raffigurazioni pittoriche della regina cartaginese,con lo scopo di associare le sue qualità al committente (nel nostro caso, in particolare, i membri dell’Accademia Olimpica).

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rappresentativo di ciascuna scena, fornendo un testo che, seppur privo di didascalie esplicite, era già pronto per essere messo in scena, nonché molto adatto ad essere illustrato in pittura. Non può dunque essere un caso che Fasòlo e Zelotti, che collaborarono all’allestimento di questa tragedia nel 1562, ne abbiano ripreso i motivi negli affreschi di villa Caldogno, testimoniando una lettura accurata del testo, forse su richiesta del committente. Il fatto che gli stessi pittori avessero raffigurato, qualche anno prima, al castello Porto Colleoni Thiene, una scena della vicenda di Sofonisba tenendo conto solo del testo di Tito Livio, può farci pensare che, a quella data, probabilmente non era ancora ritornata in auge la tragedia dell’autore vicentino: lo farà con certezza dopo la fastosa rappresentazione del 1562. La fortuna iconografica di Sofonisba, innescata in terra vicentina dalla sinergia compositiva scaturita all’interno dell’Accademia Olimpica, continuerà poi nel secolo successivo, come soggetto ripreso da numerosi pittori italiani e stranieri.82

82 Si vedano, a titolo d’esempio, Massinissa e Sofonisba di Rutilio Manetti (olio su tela, 1620-1625, Firenze, Galleria degli Uffizi), Morte di Sofonisba di Mattia Preti (olio su tela, 1630-1699, Lione, Musée des Beaux-Arts) e Sofonisba e Massinissa e Morte di Sofonisba di Michele Desubleo (Michel Desoubleay) detto Michele Fiammingo (olio su tela, 1620-1676, collezione privata). Anche nel dipinto di Mattia Preti Sofonisba indossa un abito bianco e dorato al momento della morte; Kragelund ipotizza un’influenza trissiniana (P. KRAGELUND, Palladio, Trissino and Sofonisba…, 152-153, nota 42).

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