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CRISOPOLI BOLLETTINO DEL MUSEO BODONIANO DI PARMA

15 - 2012/2013 [nuova serie iii]

In morte di Gianfranco Fiaccadori 7 di Bruno Zanardi

Bodoniana Bodoni e gli Amoretti concorrenti anche a Milano. La competizione per le forniture di torchi e caratteri alla Stamperia governativa 13 di Andrea De Pasquale & Andrea Amoretti Palatina Michele Colombo. Viaggio in Toscana 47 di Nicoletta Agazzi Ad libros La didattica del libro antico 173 di Alessio Mazzini, Silvia Mirri, Adriana Paolini, Sabina Magrini & Caterina Silva

Design: Bodoni. su Giambattista Bodoni Videointervista a Massimo Vignelli di Maurizio Molinari, presentata al convegno Bodoni. Il segno italiano. Moderno per tradizione (Parma, 29 novembre 2013) 191

Our Vignelli Tradizione, avanguardia e architettura nella composizione tipografica di Massimo Vignelli di Luca Monica 199 Bicentenario della morte di Giambattsta Bodoni Celebrazioni Bodoniane 2013 213 di Caterina Silva

Attività del Museo Bodoniano Cronaca 2012 233 Design: Bodoni Massimo Vignelli su Giambattista Bodoni Videointervista a Massimo Vignelli di Maurizio Molinari, presentata al convegno Bodoni. Il segno italiano. Moderno per tradizione (Parma, 29 novembre 2013)

Maurizio Molinari: Il tema è Giambattista Bodoni. Cosa distingue la sua arte e che cosa lo rende unico? Massimo Vignelli: Bodoni è un personaggio che nasce in un’epoca meravigliosa, una delle più grandi della storia. Dopo il Rinascimento la grande epoca più importante è l’Illuminismo, dove troviamo da Bach a Mozart, per finire con Beethoven. Poi ci sono l’architettura e il design che in quel periodo stavano crescendo. Bodoni è un personaggio importante, perché nasce in un momento in cui non esistevano tanto i libri. I libri sì, c’erano, ma erano pochi ed erano pubblicati da stampatori. Lo stampatore una volta era anche l’editore, non è come oggi, dove abbiamo l’editore mentre lo stampatore è un’industria che stampa. In quell’epoca la professione di editore e di stampatore erano un’unica cosa. Di conseguenza, la posizione culturale e intellettuale dello stampatore o dell’editore o della persona che disegnava il carattere era importante. Chi c’era in quell’epoca? Nel Cinquecento c’erano personaggi come Ga- ramond in Francia o Aldo Manuzio a Venezia, che sono stati i primi grandi editori e stampatori, i primi grandi artefici nel campo della tipografia. Poi in Inghilterra c’era Baskerville e lì il fenomeno cominciava a diventare molto più interessante, perché Baskerville non era soltanto un disegnatore di caratteri o un tipografo, ma anche un imprenditore. Gli inglesi da sem- pre sono grandi businessman e c’è sempre un aspetto, appunto, di business dietro alle grandi invenzioni inglesi. C’erano poi i francesi del Settecento come Fournier che fornì i primi rudimenti a Bodoni e poi ci sono i personaggi contemporanei come Didot. Didot e Bodoni. Didot è importante perché ha preso i caratteri romani, per così dire tradizionali, e ha esasperato il rapporto tra gli spessori, cioè tra le parti verticali che sono grosse e le parti di collegamento che sono sottili. Questo collegamento tra grosso e sottile, che a un profano può sem- brare niente, in realtà in termini tipografici è stata una rivoluzione. Tutto ciò, naturalmente, rifletteva anche la posizione intellettuale di Bodoni. Ricordiamoci che Bodoni nacque da una famiglia di stampatori a Saluz- zo, in Piemonte, si trasferì più tardi a Parma e nel clima culturale francese di Parma trovò l’occasione di esprimere il suo interesse verso il carattere, verso la tipografia e l’editoria in generale. Prima di stabilirsi a Parma andò a Roma presso la Propaganda Fide, dove venne in contatto praticamente con tutte le lingue, dal russo al copto, perché la Propaganda Fide era radi- cata in tutto il mondo: era lo strumento di comunicazione del Vaticano e di conseguenza aveva bisogno di caratteri. Naturalmente, essendo formata da intellettuali, aveva anche bisogno di cose fatte bene. Consideriamo anche che Bodoni era giovanissimo, vent’anni circa, e aveva già un grande talento. E questo, tra l’altro, dovrebbe essere un gran- de stimolo per i giovani.

mm: Venendo al talento che si rispecchia nel suo Manuale Tipografico, come è nato il carattere che è poi divenuto il punto di riferimento dei carat- teri moderni? mv: Il Bodoni nasce dal carattere romano, e infatti anche i caratteri lapidari romani fatti con lo scalpello erano grossi e sottili. Bodoni si rifà a quel tipo di caratteri non di tipografia e a questo sovrappone un suo gusto tipografico che rifletteva anche le tendenze intellettuali del primo Neoclassicismo. Teniamo presente che, dalla metà del Settecento in poi, quando Bodoni operava, si era in un momento di transizione. In Francia c’erano Diderot e d’Alembert, quindi la scoperta delle enciclopedie, con grande anticipo rispetto a qualunque altro paese. L’Italia era una colonia, uno stato agricolo e artigianale, ancora abbastanza poco sviluppato rispetto ad altri paesi. Oggi lo chiameremmo un paese «arretrato» rispetto a quello che stava succedendo, salvo avere punte avanzate, appunto, con personaggi come Bodoni. Bodoni si allaccia quindi al clima, al vento che correva dalla Francia. Ma se confrontiamo due contemporanei, Bodoni in Italia e Didot in Francia, vediamo che Bodoni lega il disegno dei caratteri alla struttura tipografica, con un’eleganza incredibile della pagina e del libro, mentre Didot, pur essendo estremamente raffinato, venendo da una cultura enciclopedica, passa già all’industria ed è l’inventore dello «stereotipo». Lo «stereotipo» è una lastra di rame che viene incisa e che sostituisce la pagina legata con lo spago, la pagina tipografica, di piombo. La pagina di rame permette una moltiplicazione del libro e lo trasforma da prodotto artigianale a prodotto industriale. È lì che si vede l’importanza del clima culturale. Quel clima francese era già proiettato verso l’industria, mentre l’Italia era ancora una civiltà agricola ed artigianale e quindi la stampa era un’attività legata a po- chi personaggi, con poche copie, con una piccola diffusione. Ciò nonostan-

192 te, dato il talento italiano, data la grande tradizione culturale e visiva che esisteva in Italia e che esiste tuttora, l’attenzione andava verso un’eleganza e una raffinatezza estreme dell’unità tipografica e della veste editoriale. Veste editoriale che naturalmente sconvolge il mondo, il quale afferma: «finalmente dei libri fantastici», perché infatti questi erano molto più belli di quelli realizzati da chiunque altro, in qualunque altro paese. Va bene i francesi, va bene gli inglesi, ma chi era il grande genio della tipografia a quell’epoca? Bodoni, non c’è dubbio.

mm: Pochi conoscono Bodoni come Lei e, guardandolo da vicino, ci può dire qualcosa di lui che pochi sanno? mv: Bodoni nacque da una famiglia di tipografi, quindi il piombo ce lo aveva nel sangue. Ma non era solo questo, aveva nel sangue anche il fatto di incidere le lettere. Le lettere sono piccole, egli non faceva soltanto i corpi grandi, intagliava nell’acciaio e dall’acciaio realizzava il modello per la fusione in piombo. Era una operazione relativamente lenta e certo non industriale e richiedeva una perfezione ed una sensibilità assolute.

Come si diceva, Bodoni andò a Roma e lì imparò ancora di più. Ma Lon- dra già allora era il luogo dove si andava per diventare qualcuno, perché gli inglesi offrivano la possibilità di espandersi al di là della provincia e del pa- ese dove uno nasceva, dando la possibilità di commercializzare il proprio lavoro, e il sogno di tutti era naturalmente quello di divulgare le proprie idee ed i propri prodotti. Perciò Bodoni, a circa vent’anni, decise di andare a Londra. Partì, raggiunse Saluzzo per salutare i parenti prima del viaggio in Inghilterra e invece si prese una grave malattia. Rimase bloccato con la febbre alta a Saluzzo e quando guarì, forse perché troppo debole a causa della malattia, rinunciò a partire per Londra. Saltò fuori allora una offerta a Parma e si spostò lì.

mm: Perché l’eredità di Bodoni conta nel design del mondo di oggi? mv: Sarebbe come chiedere quanto conta l’eredità di Le Corbusier nel mondo dell’architettura o l’eredità di Frank Lloyd Wright o di Gropius. In un certo senso Bodoni è molto più come Gropius, perché ha creato una scuola. È un personaggio che ha rivoluzionato l’arte della stampa attraver- so il carattere, l’aspetto. Non l’arte della stampa, ma il carattere stesso. La cosa fondamentale è che, essendo un intellettuale, non un commercian- te, non si mise a disegnare caratteri a non finire, come avverrà più tardi, quando il carattere tipografico passò dall’intuizione di questi incredibili artigiani, artisti, intellettuali, all’ignoranza della produzione industriale.

193 La produzione industriale aveva offerto improvvisamente un’infini- tà di caratteri, uno peggio dell’altro, perché non aveva nessuna integrità culturale, perché badava soltanto a fare quattrini e a rispondere ad una domanda volgarissima, come la domanda del mondo della pubblicità. È fondamentale invece quello che diceva Bodoni, cioè che a lui interessava soltanto disegnare cose meravigliose, non cose volgari. Questa ricerca è infinita ed è incredibile. È esattamente quello che io dico sempre, che ri- peto da ottant’anni (a questo punto oramai): «il mestiere di designer è una guerra continua contro la volgarità», e Bodoni già lo sapeva.

mm: Quali sono le nuove frontiere del design del xxi secolo, dall’archi- tettura agli smartphone? Quali sono i trend e perché questi si stanno impo- nendo? mv: Secondo me le tre basi fondamentali nel design sono: la storia, la teoria e la critica. È soltanto con una buona conoscenza storica che un de- signer può disegnare cose nuove, perché senza una conoscenza approfon- dita del passato non può esistere niente per il futuro, se non delle brutte copie ed una estensione di una mentalità volgare. L’altra cosa fondamentale è pensare al design come «senso di respon- sabilità», cioè disegnare delle cose che siano valide per tanto tempo e che siano estensibili in modo che altra gente le possa fare, possa assumere il loro linguaggio. In sostanza il design è una lingua, con la propria gramma- tica, con la propria sintassi, ed è importante che la gente impari la gram- matica e la sintassi del design. Esiste poi un altro aspetto del design che è lo styling, che è invece completamente effimero: qui oggi, via domani. È legato al concetto di ob- solescenza, quindi allo sfruttamento del mercato, al concetto di esosità, concetto miserando della creatività. È una creatività senza spessore in- tellettuale. Lo styling è in sostanza una manifestazione della volgarità, a volte può essere buono, a volte può essere mediocre, il più delle volte può essere pessimo. Non è detto, però, che sia da scartare. La moda è styling, e la moda è rispettabilissima quando è buona. È styling anche il design delle automobili, perché ha un’obsolescenza molto rapida. Per esempio, il design di un mobile non può avere questo livello di obsolescenza: oggi è buono e domani lo getto. Non esiste, è «immorale», è asociale, è irrespon- sabile. In fin dei conti la struttura intellettuale dello styling usa e getta è un crimine, ed è criminale chi lo fa. Mentre invece il design inteso come una manifestazione di responsabi- lità verso il cliente, verso la società e verso noi stessi, quindi un design che dura nel tempo, è quello che noi preferiamo. Ed è esattamente per questo che Bodoni vale. È importante disegnare poche cose ma belle, molto più importante che disegnare molte cose ma male.

mm: Veniamo al «Made in Italy». Che cos’è che noi produciamo, perché e cosa non riusciamo a produrre? mv: Il «Made in Italy» è il prodotto di una situazione storica. L’Italia è stato uno degli ultimi paesi in Europa a diventare industriale. L’Inghilterra è stata uno dei primi, poi sono venuti la Germania, la Francia eccetera. Ma l’Italia non è mai stato un paese industriale fino a dopo l’ultima guerra.

194 È arrivata ad essere un paese industriale quando l’industrializzazione era quasi finita, quindi ha avuto un momento di grande sviluppo, il famoso «boom economico italiano», dagli anni Cinquanta fino agli anni Ottanta, ma sempre in forma molto limitata. Quella che è sempre stata importante in Italia è la cultura artigiana, cioè l’attenzione al dettaglio. Ritornando all’attenzione di Bodoni per il dettaglio, perché i caratteri di Bodoni sono stupendi? Perché mostrano un’attenzione al dettaglio in cui anche il minimo, microscopico elemento è cultura, è proiezione in- tellettuale, che non si trova, invece, nei caratteri e nella tipografia volgari. L’Italia ha questa grande dote di attenzione al dettaglio, che va dalle scarpe alle macchine, perfino una Ferrari è un prodotto di artigianato e non un prodotto industriale. Il problema è che ogni volta che l’Italia esporta un prodotto industriale, in realtà, non ha poi la capacità di so- stenerlo.

1. - Massimo Vignelli & Tom Carnase, Carattere tipografico Our Bodoni, 1989, pagine dello specimen.

mm: Quindi sta dicendo che la forza del «Made in Italy» è ancora nella conservazione della sua natura artigianale? mv: Direi di sì, con l’applicazione dell’industria. Il design italiano del mobile, per esempio, che è eccezionale, è il prodotto di un’industria molto piccola, con produzioni molto limitate e non comparabile con grosse pro- duzioni internazionali nello stesso settore. Perché non dipende soltanto da una questione di dimensioni dell’industria, ma da tutta l’organizzazione commerciale che c’è dietro, come la distribuzione, la penetrazione nei mercati, e qui gli italiani non hanno una tradizione e non sono, in sostan- za, interessati. Però noi abbiamo il nostro posto nel «villaggio globale»,

195 2. - Massimo Vignelli, Manifesto per la mostra Massimo Vignelli. A Few Basic Typeface al Visual Art Museum, New York, 1991.

196 dove la Germania è l’industria pesante mentre l’Italia è il negozio dell’ar- tigiano. L’Italia rappresenta veramente l’artigianato, colto, estremamente bello, perché tutta la capacità intellettuale è proiettata sul dettaglio, quin- di i dettagli sono stupendi. Questo non lo troviamo in altri paesi. Negli Stati Uniti, ad esempio, la capacità industriale è enorme, la capacità di distribuzione è incredibile, ma la qualità del design è indecente, per dire poco, salvo poche eccezioni qua e là. Questo perché l’America è improntata sul concetto di produzione per fare quattrini, sull’esosità, mentre l’Italia è per la qualità. Quindi, noi italiani abbiamo nel nostro difetto un grande pregio: badiamo alla qualità e questa attenzione c’è sempre stata, anche prima di Bodoni, e naturalmente Bodoni ne è stato un artefice. Forse è per questo che quando parlo di affinità con Bodoni mi riferisco all’affinità che provo verso un mio grande mentore che è Goethe. Goethe rappresenta un momento di grande transizione tra il Settecento e l’Otto- cento, è stato un grande poeta, uno scienziato, uno scrittore incredibile, un anticipatore dello Sturm und Drang, la fine dell’Illuminismo, l’inizio del Romanticismo. Che personaggi incredibili e stupendi sono stati! E lo stesso si può dire per Bodoni. Bodoni è una specie di Goethe italiano, sen- za la profondità enorme di Goethe o di Beethoven, ma certo con tutta la brillantezza di una tradizione, che si trova anche in musica e nel teatro, con Vivaldi, Goldoni.

mm: Quindi Goethe, come Bodoni, sono protagonisti di fasi di transizione, come quella che anche noi stiamo vivendo in questo momento. mv: In questo campo particolare della comunicazione, quindi dei ca- ratteri, della stampa, della tipografia, abbiamo una tradizione incredibile che passa dal piombo al computer. Nonostante il piombo fosse arrivato a manifestazioni di volgarità infinite, quello era niente in confronto alle ma- nifestazioni di volgarità offerte oggi dal computer, perché il computer da una parte è una porta aperta all’ignoranza, ma è anche una grande porta aperta alla cultura. Una persona che vuole farsi una cultura non ha mai avuto tante possibilità come adesso di coltivare sé stesso, il proprio gusto, le proprie attitudini, il proprio talento, quindi anche di selezionare i carat- teri tipografici e vedere i vari tipi di impostazione tipografica. È un momento di transizione nel quale abbiamo tutti gli strumenti per fare il meglio che mai sia stato fatto o il peggio che mai sia stato fatto.

mm: Se Lei dovesse parlare con un giovane studente di design, quali segreti gli svelerebbe, quali ricette a cui richiamarsi, quali i maestri da seguire? mv: Secondo me, le cose più importanti per un giovane sono coltivare quella che si chiama la vision, cioè la «visione», verso il mondo, verso il futuro; coltivare il coraggio, cioè non avere paura del rischio, rischiare, e soprattutto la determinazione. È fondamentale: bisogna essere determina- ti fino in fondo, mai farsi distrarre dalle circostanze. Poi, per riuscire a posizionarsi nel mondo, occorrono ancora due cose. La prima è una grande curiosità, è importante aver voglia di sapere il per- ché delle cose, analizzare, setacciare continuamente. Tutto quello che ci

197 circonda è fatto da qualcuno, di conseguenza può essere l’occasione per esaminare e dire: «va bene o va male, cosa è giusto e cosa è sbagliato, come lo farei se dovessi farlo io». La curiosità continua è estremamente impor- tante. Infine, quello che è necessario nella vita sono i contatti. In questo mondo, facilitato dalle comunicazioni di tutti i tipi, è essenziale mante- nere i contatti, perché questi danno la possibilità di stimoli reciproci, e quindi di poter fare cose nuove. È un momento fantastico, ma la cosa più importante è il coraggio. Ci vuole un gran coraggio, è solo questo che può aprire a un giovane la strada al futuro.

198 Our Vignelli Tradizione, avanguardia e architettura nella composizione tipografica di Massimo Vignelli

Luca Monica

Parlare di «tradizione» è quanto mai appropriato per descrivere il senso di modernità, avanguardia e innovazione che attraversa l’opera tipografica di Massimo Vignelli, grafico e designer tra i più importanti nel panorama internazionale dal Dopoguerra ad oggi, di origini italiane, nato nel 1931 e scomparso il 27 maggio 2014, e che ha fatto della città di New York la sua patria di adozione. L’intervista su Giambattista Bodoni qui pubblicata – in sostanza una lezione – tenuta da Vignelli nel novembre del 2013, appena pochi mesi prima della sua scomparsa, testimonia, nei suoi contenuti e nei suoi toni, l’atteggiamento progressivo e sempre rivolto al divenire delle cose, l’atteg- giamento morale nei confronti del progetto che lo ha sempre contraddi- stinto sin dall’inizio. Nel caso di questa intervista è continuo lo sguardo contemporanea- mente attento alla storia e al futuro, secondo un modo che è «critico e operativo», capace cioè di riguardare la storia per quella che è stata, nelle sue possibilità di azione. Il caso di Bodoni serve a Vignelli anche per descrivere una profon- da nostalgia per il contesto italiano, storicamente mai sufficientemente adeguato alle proprie possibilità (soprattutto se misurato nel panorama internazionale), tuttavia riscattato continuamente da geniali personalità individuali. Così è infatti nei precisi riferimenti alla tradizione artigianale, ancora oggi vero motore dell’economia italiana nella competizione inter- nazionale. Per come personalmente ho potuto conoscere Massimo Vignelli, dal versante dell’architettura e tra gli architetti – collaborando con lui e os- servandone l’opera – credo si possa senz’altro affermare che questo at-

199 teggiamento critico e operativo derivi dalla sua formazione di architetto, allievo alle scuole di Venezia e Milano degli insegnamenti dei maestri Giu- seppe Samonà, Ignazio Gardella e, soprattutto, Ernesto Nathan Rogers, frequentando negli anni Cinquanta e Sessanta quella classe di allievi con i quali mai perderà i contatti, l’amicizia e le occasioni di lavoro: Guido Ca- nella, Aldo Rossi, Vittorio Gregotti, Gae Aulenti, Gianugo Polesello, Carlo Aymonino. Infatti, in seguito, trasferitosi negli Stati Uniti, avrebbe proseguito i rapporti con questo ambiente, legandosi al circolo degli architetti nuo- vayorkesi, neorazionalisti e «white», riuniti intorno a Peter Eisenman a partire dagli anni Settanta, cioè al gruppo della rivista «Oppositions» – tra le stagioni culturalmente più significative dell’architettura nordamericana – con Philip Johnson, Richard Meier e molti altri. Un contesto cultura- le vivacissimo al quale Vignelli partecipa direttamente, anche disegnando splendide impaginazioni per le loro riviste, monografie e libri, pubblicati da Rizzoli (diretta da Gianfranco Monacelli) e da altri, creando e stabilendo negli anni la più originale immagine mai vista per le edizioni di architettu- ra (e design e arte), oramai identificativa di un mondo specifico – e anche un settore editoriale – inventato nei suoi canoni e nelle sue regole di im- paginazione come una vera e propria matematica. Tra questi protratti legami che ruotano intorno alle ricerche nel pro- getto di architettura vanno segnalati, per periodi molto diversi, l’inizia- le contributo al futuribile allestimento della Sezione introduttiva alla xiii Triennale di Milano del 1963 (insieme a Vittorio Gregotti), con quadrati contenitori specchiati e iscrizioni neon. Oppure la grafica editoriale per la seconda serie della rivista olivettiana «Zodiac», con Guido Canella di- rettore lungo un decennio negli anni Novanta, con geometrico e composto rigore di bianchi tra fotografie e disegni. L’impegno per una «tradizione del nuovo» – per citare lo splendido titolo del libro di Harold Rosenberg del 1959, relativo alle avanguardie dell’espressionismo astratto americano – che Vignelli coglie nel contesto nuovayorkese, si lega molto bene al concetto di «responsabilità verso la tradizione» – citando un altro noto saggio di Ernesto Nathan Rogers del 1954 relativo al ruolo dell’architettura moderna – nel senso che anche nell’esperienza del designer grafico, soprattutto editoriale, non si può fare a meno delle conquiste dell’esperienza della modernità – come nel caso del riferimento alle avanguardie, o a grandi maestri, quali Alexey Brodo- vitch o Müller-Brockmann. Attenzione, una «tradizione» intrinsecamente nel senso del «nuovo» al punto da trattare la storia come una amica e compagna, non un esercizio di erudizione – eloquente questa intervista su Giambattista Bodoni – fino ad affermare che tra i tanti suoi maestri ci sono stati anche i suoi numerosissimi allievi e collaboratori. Paradigmatico è il caso del disegno dei caratteri tipografici, selezionati da Vignelli come reperti della storia, oggetti quasi da collage come nell’e- sperienza della Pop-Art, o oggetti «ready-made» nei montaggi d’avanguar- dia, secondo una «tradizione» da riconquistare ogni volta. Per esempio il «manifesto-invito» sui caratteri – una pratica ricorrente, anche teorica, di Vignelli – nell’occasione di una mostra sui suoi lavori editoriali, A Few Basic Typefaces, del 1991, recita:

200 3. - Massimo Vignelli, Copertine di libri per 4. - Massimo Vignelli e , la collana Biblioteca Sansoni, Milano, 1963. Libri per Feltrinelli Editore, Milano, 1964.

6. - Massimo Vignelli, grafica per il libro Louis I. Kahn, Rizzoli International, New York, 1991.

5. - Copertine di libri e pubblicazioni disegnate da Massimo Vignelli.

7. - Massimo Vignelli, grafica per il libro di Peter Eisenman, Giuseppe Terragni, The Monacelli Press, New York, 2003.

201 8. - Massimo Vignelli, grafica per la rivista «Oppositions», diretta da Peter Eisenman, MIT Press, Cambridge, Mass., 1973-84.

9. - Massimo Vignelli, grafica per la serie di libri «Any», Rizzoli International, New York, 1994 sgg.

10. - Massimo Vignelli, grafica per il libro di Aldo Rossi, A Scientific Autobiography, MIT Press, Cambridge, Mass., 1981.

11. - Massimo Vignelli, grafica coordinata per l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia iuav, Agenda iuav 1997, con disegni di Carlo Aymonino.

202 12. - Massimo Vignelli, con la collaborazione di Michael Bierut, grafica per la rivista «Skyline», Institute for Architecture and Urban Studies, New York, 1978.

203 13. - Massimo Vignelli, con la collaborazione di Luca Monica, grafica per la rivista «Zodiac», diretta da Guido Canella, Milano, 1990-99.

14. - Massimo Vignelli, disegno di studio per la copertina di «Zodiac 20», 1999.

204 Nella nuova era dei computer la proliferazione dei caratteri tipografici e la manipo- lazione dei tipi rappresenta un nuovo livello di inquinamento visivo minaccioso per la nostra cultura. Più che migliaia di caratteri, tutto quello che desideriamo sono quei pochi e basilari, e buttiamo il resto. Per cui vieni e guarda. Alcuni, pochi basilari caratteri.

E il riferimento esplicito proseguiva illustrando i prescelti caratteri Garamond (1532), Bodoni (1788), Century Expanded (1900), Futura (1930), Times Roman (1931) e Helvetica (1957). Caratteri solo con i quali Vignelli ha realizzato quasi tutti i suoi lavori (a parte alcuni pochi altri, ma sempre autenticamente ben disegnati, Didot, Optima, Univers). Appunto seguendo la pratica del collage delle avanguardie, Vignelli unisce con precisione coppie di caratteri antichi e moderni, Futura-Centu- ry, Futura-Garamond, Helvetica-Bodoni, fino a ricalibrarne il disegno per questo nuovo scopo. Nasce così il disegno dell’Our Bodoni, progettato da Massimo Vignelli e Tom Carnase nel 1989 per la World Typeface Corpora- tion, con un chiaroscuro accentuato e corrispondente a un concetto este- tico preciso:

Noi non crediamo in «nuovi» caratteri tipografici, ma nel fatto che ci sia ancora spa- zio per uno sviluppo nel disegno dei caratteri esistenti e classici. Noi consideriamo che il rapporto tra maiuscolo e minuscolo nell’Helvetica sia il migliore che ci sia e abbiamo voluto ridisegnare il Bodoni utilizzando un rapporto simile tra alto e basso, con ascendenti e discendenti corti. (M. e L. Vignelli, Design: Vignelli, New York, Rizzoli, 1990, p. 150).

Vale la pena di ricordare, a questo punto, che la migliore grafica con- temporanea, a partire dall’esperienza delle avanguardie storiche, prima di tutte l’Avanguardia russa, tende a utilizzare i caratteri sfruttando al massi- mo i loro valori formali, fonetici persino, con combinazioni inaspettate sul piano del puro disegno. E infatti l’altro campo di lavoro di Vignelli legato alla «responsabilità verso la tradizione» è senz’altro quello del disegno, il principale strumen- to di lavoro al quale si affiderà per tutta la sua carriera. Questo è infatti lo strumento più antico dell’azione progettuale, e ancora il più moder- no secondo una metodologia che inizia a precisarsi nelle teorie e nelle pratiche della seconda metà dell’Ottocento. È infatti con Camillo Boito, docente di architettura all’Accademia di Brera a Milano – una delle scuole di formazione di Vignelli – che il disegno viene coltivato in modo razio- nale verso una progettazione dell’architettura che indaga ogni dettaglio linea per linea, fino a definire il nuovo campo delle «arti industriali», vero inizio storico del design italiano e che porrà l’architettura al centro delle esperienze artistiche (e non solo) del Novecento. Non a caso sarà proprio Rogers che alla fine degli anni Cinquanta, in una collana da lui diretta, proporrà una riflessione sulle origini del Movimento moderno attraverso alcune preziose monografie su figure fondative: Camillo Boito, William Morris, Josef Hoffmann, Henry van de Velde, Peter Behrens, Adolf Loos, forse le più significative nell’idea di organizzare il disegno (drawing) come fatto unitario della progettazione dell’architettura verso tutti gli aspetti della vita, passando al disegno (design) dei primi prodotti industriali e gli oggetti d’uso, agli interni domestici e pubblici, ai libri, ai vestiti.

205 15. - Massimo Vignelli, iscrizione-insegna in 16. - Massimo Vignelli, insegna all’ingresso cemento armato sulla facciata del Museum dell’Istituto Universitario di Architettura di of Fine Arts di Houston, architetto Rafael Venezia iuav, 1997. Moneo, 1998.

17. - Massimo Vignelli, Sistema segnaletico per le Ferrovie dello Stato italiane, Stazione di Roma Termini, sezione, 1999.

18. - Massimo Vignelli, con la collaborazione di Luca Monica e Marco Negroni, Sistema segnaletico per le Ferrovie dello Stato italiane, Stazione di Milano Centrale, sezione, 2001.

206 19, 20. - Massimo Vignelli, Sistema segnaletico per la metropolitana di New York. Mappa della rete metropolitana: prima versione, 1970; seconda versione, 2008. Disegni di studio del sistema segnaletico, 1966.

207 Perciò la frase di Massimo Vignelli che compare all’inizio del suo li- bro Design is One, del 2004, testimonia di un atteggiamento intimamente «boitiano»:

Ho avuto il mio primo lavoro part-time come disegnatore nello studio degli ar- chitetti Castiglioni. Essi erano tra i pochi a lavorare nell’intero campo del design e dell’architettura […]. Sono stato affascinato dallo scopo della loro attività. Lì ho imparato la famosa frase di Adolf Loos che «un architetto deve essere capace di di- segnare ogni cosa, dal cucchiaio alla città». Da quel giorno ho voluto disegnare ogni cosa… e ho fatto… non ancora città, ma tanti cucchiai! Il concetto base è che la disciplina del design è una, e se puoi disegnare una cosa, puoi disegnare ogni cosa. La metodologia è la stessa, non importa quale ne sia il soggetto.

Ma in fondo, un disegno di città c’è, e sta nella bellissima mappa della Subway Diagram, del 1972, ridisegnata nel 2008, figurati- vamente memore della migliore Pop-Art nuovayorkese, ma soprattutto non concepibile se non a partire da una idea architettonica dei trasporti nello spazio urbano e nella sua memoria di paesaggio. Lo strumento inaspettato che sorprende per i suoi effetti è il disegno insistito sulla visione bidimensionale della natura che consente di ridur- re su di uno stesso piano i problemi e le complessità spaziali; persino le architetture sono composte come un testo su di una pagina. Ma tutto poi riguadagna volume, nei colori, nei diversi piani su cui stanno caratteri ti- pografici di misure esasperate dal grande al piccolo, nei libri come oggetti, nelle carte in rilievo ecc. Così, per esempio, nella bellissima insegna del Museum of Fine Arts di Houston del 1999, Rafael Moneo, l’architetto del museo, dedica la co- struzione del fronte principale all’iscrizione tridimensionale di Vignelli, eseguita con lettere megalitiche in cemento che si intuisce benissimo es- sere generate da un disegno che privilegia una sola vista. Oppure, analoga- mente, il disegno per la segnaletica della Stazione Termini di Roma riporta su di uno stesso piano iscrizioni poste in spazi profondissimi, dove spesso prevalgono fondali bianchi (o neri) dai quali emergono i profili degli ogget- ti e delle persone. Massimo Vignelli – e l’inseparabile compagna di vita e di lavoro Lella – a partire dalla loro splendida casa-studio a , hanno vissuto in un mondo che testimonia una volontà di non cedere nemmeno sugli aspetti più di dettaglio dell’orizzonte del vivere quotidiano. Hanno voluto pro- gettare talmente tante categorie di cose che riunite insieme consentono di poterci vivere bene. Gli ambienti della loro casa, i loro abiti, i mobili, i libri – solo i libri che hanno impaginato fornirebbero una buona bibliote- ca, con titoli anche importanti e molte buone letture –, gli oggetti d’uso, orologi, occhiali, gioielli, servizi da tavola in argento o porcellana o mate- ria plastica, cristalleria, le sedie su cui sedersi, i tavoli sui quali mangiare o lavorare, le lampade, eccetera, rappresentano un mondo utopico e di realtà al tempo stesso. Essi hanno perseguito con forza e coraggio quella tradizione che ha le molte facce di una sola arte, che pochi grandi hanno saputo organizzare intorno al loro lavoro, come appunto i Boito o i Morris e la loro lezione di modernità.

208 Gli ultimi anni di Vignelli gli hanno consentito di riorganizzare intorno ad alcune significative pubblicazioni la sua prolungata costruzione teori- ca1. Spicca tra gli altri The Vignelli Canon, del 2008, che fornisce una vera e propria matematica, precisata nel corso della sua lunga carriera, arric- chita da molteplici esperienze, ma senz’altro già costruita in un proprio paesaggio mentale fin dall’inizio.

Luca Monica

Un doveroso ringraziamento va a Beatriz Cifuentes dello studio Vignelli Associates di New York, a Luca Vignelli e a Dante Benini. Un affettuoso pensiero per Lella Vignelli.

Note

(1) Diverse sono le pubblicazioni che Massimo e Lella Vignelli realizzato come autori e desi- gner. E. Larrabee, M. Vignelli, Knoll design, New York, Abrams, 1981; M. Vignelli, Design: Vignelli, con uno scritto di G. Celant, New York, Rizzoli, 1990; L. & M. Vignelli, Design is One, Mulgrave, Images Publishing, 2004; M. Vignelli, Vignelli: From A to Z, Mulgrave, Images Publishing, 2007; M. Vignelli, The Vignelli Canon (2008), Milano, Postmedia, 2012, (www.vignelli.com/canon.pdf); M. Vignelli, Designed by: Lella Vignelli, 2013, (www.vignelli.com/Designed_by_Lella.pdf); M. Vignel- li, Vignelli Drawings: A Collection of Sketches for Book Design, Rochester, Rochester Institute of Technology, 2014.

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