Design: Bodoni Massimo Vignelli Su Giambattista Bodoni Videointervista a Massimo Vignelli Di Maurizio Molinari, Presentata Al Convegno Bodoni
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View metadata, citation and similar papers at core.ac.uk brought to you by CORE provided by Archivio istituzionale della ricerca - Politecnico di Milano CRISOPOLI BOLLETTINO DEL MUSEO BODONIANO DI PARMA 15 - 2012/2013 [NUOVA SERIE III] In morte di Gianfranco Fiaccadori 7 di Bruno Zanardi Bodoniana Bodoni e gli Amoretti concorrenti anche a Milano. La competizione per le forniture di torchi e caratteri alla Stamperia governativa 13 di Andrea De Pasquale & Andrea Amoretti Palatina Michele Colombo. Viaggio in Toscana 47 di Nicoletta Agazzi Ad libros La didattica del libro antico 173 di Alessio Mazzini, Silvia Mirri, Adriana Paolini, Sabina Magrini & Caterina Silva Design: Bodoni. Massimo Vignelli su Giambattista Bodoni Videointervista a Massimo Vignelli di Maurizio Molinari, presentata al convegno Bodoni. Il segno italiano. Moderno per tradizione (Parma, 29 novembre 2013) 191 Our Vignelli Tradizione, avanguardia e architettura nella composizione tipografica di Massimo Vignelli di Luca Monica 199 Bicentenario della morte di Giambattsta Bodoni Celebrazioni Bodoniane 2013 213 di Caterina Silva Attività del Museo Bodoniano Cronaca 2012 233 Design: Bodoni Massimo Vignelli su Giambattista Bodoni Videointervista a Massimo Vignelli di Maurizio Molinari, presentata al convegno Bodoni. Il segno italiano. Moderno per tradizione (Parma, 29 novembre 2013) Maurizio Molinari: Il tema è Giambattista Bodoni. Cosa distingue la sua arte e che cosa lo rende unico? Massimo Vignelli: Bodoni è un personaggio che nasce in un’epoca meravigliosa, una delle più grandi della storia. Dopo il Rinascimento la grande epoca più importante è l’Illuminismo, dove troviamo da Bach a Mozart, per finire con Beethoven. Poi ci sono l’architettura e il design che in quel periodo stavano crescendo. Bodoni è un personaggio importante, perché nasce in un momento in cui non esistevano tanto i libri. I libri sì, c’erano, ma erano pochi ed erano pubblicati da stampatori. Lo stampatore una volta era anche l’editore, non è come oggi, dove abbiamo l’editore mentre lo stampatore è un’industria che stampa. In quell’epoca la professione di editore e di stampatore erano un’unica cosa. Di conseguenza, la posizione culturale e intellettuale dello stampatore o dell’editore o della persona che disegnava il carattere era importante. Chi c’era in quell’epoca? Nel Cinquecento c’erano personaggi come Ga- ramond in Francia o Aldo Manuzio a Venezia, che sono stati i primi grandi editori e stampatori, i primi grandi artefici nel campo della tipografia. Poi in Inghilterra c’era Baskerville e lì il fenomeno cominciava a diventare molto più interessante, perché Baskerville non era soltanto un disegnatore di caratteri o un tipografo, ma anche un imprenditore. Gli inglesi da sem- pre sono grandi businessman e c’è sempre un aspetto, appunto, di business dietro alle grandi invenzioni inglesi. C’erano poi i francesi del Settecento come Fournier che fornì i primi rudimenti a Bodoni e poi ci sono i personaggi contemporanei come Didot. Didot e Bodoni. Didot è importante perché ha preso i caratteri romani, per così dire tradizionali, e ha esasperato il rapporto tra gli spessori, cioè tra le parti verticali che sono grosse e le parti di collegamento che sono sottili. Questo collegamento tra grosso e sottile, che a un profano può sem- brare niente, in realtà in termini tipografici è stata una rivoluzione. Tutto ciò, naturalmente, rifletteva anche la posizione intellettuale di Bodoni. Ricordiamoci che Bodoni nacque da una famiglia di stampatori a Saluz- zo, in Piemonte, si trasferì più tardi a Parma e nel clima culturale francese di Parma trovò l’occasione di esprimere il suo interesse verso il carattere, verso la tipografia e l’editoria in generale. Prima di stabilirsi a Parma andò a Roma presso la Propaganda Fide, dove venne in contatto praticamente con tutte le lingue, dal russo al copto, perché la Propaganda Fide era radi- cata in tutto il mondo: era lo strumento di comunicazione del Vaticano e di conseguenza aveva bisogno di caratteri. Naturalmente, essendo formata da intellettuali, aveva anche bisogno di cose fatte bene. Consideriamo anche che Bodoni era giovanissimo, vent’anni circa, e aveva già un grande talento. E questo, tra l’altro, dovrebbe essere un gran- de stimolo per i giovani. MM: Venendo al talento che si rispecchia nel suo Manuale Tipografico, come è nato il carattere che è poi divenuto il punto di riferimento dei carat- teri moderni? MV: Il Bodoni nasce dal carattere romano, e infatti anche i caratteri lapidari romani fatti con lo scalpello erano grossi e sottili. Bodoni si rifà a quel tipo di caratteri non di tipografia e a questo sovrappone un suo gusto tipografico che rifletteva anche le tendenze intellettuali del primo Neoclassicismo. Teniamo presente che, dalla metà del Settecento in poi, quando Bodoni operava, si era in un momento di transizione. In Francia c’erano Diderot e d’Alembert, quindi la scoperta delle enciclopedie, con grande anticipo rispetto a qualunque altro paese. L’Italia era una colonia, uno stato agricolo e artigianale, ancora abbastanza poco sviluppato rispetto ad altri paesi. Oggi lo chiameremmo un paese «arretrato» rispetto a quello che stava succedendo, salvo avere punte avanzate, appunto, con personaggi come Bodoni. Bodoni si allaccia quindi al clima, al vento che correva dalla Francia. Ma se confrontiamo due contemporanei, Bodoni in Italia e Didot in Francia, vediamo che Bodoni lega il disegno dei caratteri alla struttura tipografica, con un’eleganza incredibile della pagina e del libro, mentre Didot, pur essendo estremamente raffinato, venendo da una cultura enciclopedica, passa già all’industria ed è l’inventore dello «stereotipo». Lo «stereotipo» è una lastra di rame che viene incisa e che sostituisce la pagina legata con lo spago, la pagina tipografica, di piombo. La pagina di rame permette una moltiplicazione del libro e lo trasforma da prodotto artigianale a prodotto industriale. È lì che si vede l’importanza del clima culturale. Quel clima francese era già proiettato verso l’industria, mentre l’Italia era ancora una civiltà agricola ed artigianale e quindi la stampa era un’attività legata a po- chi personaggi, con poche copie, con una piccola diffusione. Ciò nonostan- 192 te, dato il talento italiano, data la grande tradizione culturale e visiva che esisteva in Italia e che esiste tuttora, l’attenzione andava verso un’eleganza e una raffinatezza estreme dell’unità tipografica e della veste editoriale. Veste editoriale che naturalmente sconvolge il mondo, il quale afferma: «finalmente dei libri fantastici», perché infatti questi erano molto più belli di quelli realizzati da chiunque altro, in qualunque altro paese. Va bene i francesi, va bene gli inglesi, ma chi era il grande genio della tipografia a quell’epoca? Bodoni, non c’è dubbio. MM: Pochi conoscono Bodoni come Lei e, guardandolo da vicino, ci può dire qualcosa di lui che pochi sanno? MV: Bodoni nacque da una famiglia di tipografi, quindi il piombo ce lo aveva nel sangue. Ma non era solo questo, aveva nel sangue anche il fatto di incidere le lettere. Le lettere sono piccole, egli non faceva soltanto i corpi grandi, intagliava nell’acciaio e dall’acciaio realizzava il modello per la fusione in piombo. Era una operazione relativamente lenta e certo non industriale e richiedeva una perfezione ed una sensibilità assolute. Come si diceva, Bodoni andò a Roma e lì imparò ancora di più. Ma Lon- dra già allora era il luogo dove si andava per diventare qualcuno, perché gli inglesi offrivano la possibilità di espandersi al di là della provincia e del pa- ese dove uno nasceva, dando la possibilità di commercializzare il proprio lavoro, e il sogno di tutti era naturalmente quello di divulgare le proprie idee ed i propri prodotti. Perciò Bodoni, a circa vent’anni, decise di andare a Londra. Partì, raggiunse Saluzzo per salutare i parenti prima del viaggio in Inghilterra e invece si prese una grave malattia. Rimase bloccato con la febbre alta a Saluzzo e quando guarì, forse perché troppo debole a causa della malattia, rinunciò a partire per Londra. Saltò fuori allora una offerta a Parma e si spostò lì. MM: Perché l’eredità di Bodoni conta nel design del mondo di oggi? MV: Sarebbe come chiedere quanto conta l’eredità di Le Corbusier nel mondo dell’architettura o l’eredità di Frank Lloyd Wright o di Gropius. In un certo senso Bodoni è molto più come Gropius, perché ha creato una scuola. È un personaggio che ha rivoluzionato l’arte della stampa attraver- so il carattere, l’aspetto. Non l’arte della stampa, ma il carattere stesso. La cosa fondamentale è che, essendo un intellettuale, non un commercian- te, non si mise a disegnare caratteri a non finire, come avverrà più tardi, quando il carattere tipografico passò dall’intuizione di questi incredibili artigiani, artisti, intellettuali, all’ignoranza della produzione industriale. 193 La produzione industriale aveva offerto improvvisamente un’infini- tà di caratteri, uno peggio dell’altro, perché non aveva nessuna integrità culturale, perché badava soltanto a fare quattrini e a rispondere ad una domanda volgarissima, come la domanda del mondo della pubblicità. È fondamentale invece quello che diceva Bodoni, cioè che a lui interessava soltanto disegnare cose meravigliose, non cose volgari. Questa ricerca è infinita ed è incredibile. È esattamente quello che io dico sempre, che ri- peto da ottant’anni (a questo punto oramai): «il mestiere di designer è una guerra continua contro la volgarità», e Bodoni già lo sapeva. MM: Quali sono le nuove frontiere del design del XXI secolo, dall’archi- tettura agli smartphone? Quali sono i trend e perché questi si stanno impo- nendo? MV: Secondo me le tre basi fondamentali nel design sono: la storia, la teoria e la critica. È soltanto con una buona conoscenza storica che un de- signer può disegnare cose nuove, perché senza una conoscenza approfon- dita del passato non può esistere niente per il futuro, se non delle brutte copie ed una estensione di una mentalità volgare.