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INCREDIBILE: E’ MORTO UN FASCISTA! di Antonio Serena

Giorgio Albertazzi era troppo grande perché di regime potesse silenziare la sua morte. Tv e giornali non hanno detto che non ha mai rinnegato la sua fede giovanile pur onorando le altrui scelte, ma un passo avanti è stato fatto. Lo hanno ricordato come artista e come comandante di plotoni d’esecuzione, ovviamente senza entrare nel merito. Ma almeno adesso sappiamo che anche i fascisti muoiono.

Qualche dubbio in merito ci era sorto nel febbraio scorso alla morte di Piero Buscaroli. I giornali e mamma RAI non ne hanno quasi parlato. Era mica Nessuno, Buscaroli. Era quello del “Bach” finito negli Oscar Mondadori; quello de “La morte di Mozart”, quello del “Beethoven” pubblicato da Rizzoli. Un padre del giornalismo. Al “ Borghese” con , al “Giornale” con e , direttore del “ Roma”, inviato di guerra, raffinato cronista di costume sotto pseudonimo, critico musicale tra i più validi, battitore libero di sconfinate conoscenze, direttore di collane editoriali curate per Rusconi e Mondadori. La mediocrità e la bassezza del mondo intellettuale non gli ha mai perdonato le posizioni di destra. “Vade retro”, Satana!

In realtà quello che non perdonano, questi servi a tempo pieno, è la coerenza. Non per nulla questa è in cui tien botta un personaggio come Giorgio Napolitano, che passò in un battibaleno dal fascismo al comunismo e dall’elogio della sanguinosa repressione di Ungheria del ’56 alle lezioni di democrazia dal Quirinale, fino alle recenti mosse golpiste per perorare la causa di un governo di “nominati”.

Non sono stati pochi questi furbetti carrieristi collusi col fascismo che, caduto il regime, rinnegarono subito il loro passato. Un elenco lunghissimo di politici, artisti, poeti, pittori, scrittori, cineasti. Qualche nome: , Mario Alicata, , Michelangelo Antonioni, Domenico Bartoli, , Rosario Bentivegna, Carlo Bernari, Libero Bigiaretti, Giacinto Bosco, Paolo Bufalini, Felice Chilanti, Danilo De’ Cocci, Galvano Della Volpe, Antigono Donati, Amintore Fanfani, Mario Ferrari Aggradi, Massimo Franciosa, Fidia Gambetti, , Giovanni Battista Gianquinto, Vittorio Gorresio, Luigi Gui, Renato Guttuso, Ugo Indrio, Pietro Ingrao, Davide Lajolo, Carlo Lizzani, Carlo Mazzarella, Milena Milani, Alberto Mondadori, Elsa Morante, , Pietro Nenni, Ruggero Orlando, Ferruccio Parri, Pier Paolo Pasolini, Mariano Pintus, , , Giorgio Prosperi, Ludovico Quaroni, Tullia Romagnoli Carrettoni, Edilio Rusconi, Eugenio Scalfari, , Gaetano Stammati, Paolo Sylos Labini, Paolo E. Taviani, Arturo Tofanelli, Palmiro Togliatti, Marcello Venturoli, Benigno Zaccagnini, Cesare Zavattini, Giorgio Vecchietti, Corrado Alvaro, Cesare Angelini, Giulio Carlo Argan, Riccardo Bacchelli, Piero Bargellini, Carlo Betocchi, Romano Bilenchi, Walter Binni, Alessandro Bonsanti, , Dino Buzzati, Enzo Carli, , Luigi Chiarini, , Gianfranco Contini, Galvano Della Volpe, Giuseppe Dessì, , Enrico Falqui, Francesco Flora, , Mario Luzi, Bruno Migliorini, Paolo Monelli, Eugenio Montale, Indro Montanelli, Carlo Muscetta, Piermaria Pasinetti, Cesare Pavese, Giaime Pintor, Vasco Pratolini, Salvatore Quasimodo, Vittorio G. Rossi, Luigi Russo, Luigi Salvatorelli, , Ugo Spirito, , , Giuseppe Ungaretti, Nino Valeri, Manara Valgimigli, Giorgio Vigolo, Luigi Dallapiccola e Gianandrea Gavazzeni, Amerigo Bartoli, Domenico Cantatore, Pericle Fazzini, Renato Guttuso, Mino Maccari, Mario Mafai, Camillo Pellizzi, Aligi Sassu, Orfeo Tamburi.

Da rabbrividire a leggere le parole del compagno Pietro Ingrao: “A noi hanno insegnato che il Fascismo si chiamava rivoluzione e ci hanno incantati le parole di Mussolini…”. O le suppliche al di Norberto Bobbio pescato a tramare nell’ombra: “…l’accusa mi addolora profondamente e offende intimamente la mia coscienza fascista…sono iscritto al P.N.F. e al Guf dal 1928, da quando cioè entrai all’Università, e fui iscritto all’Avanguardia Giovanile nel 1927…”. O i manifesti di Palmiro Togliatti: “Lavoratore fascista, ti diamo la mano perché assieme a te vogliamo fare forte , libera e felice la nostra bella Italia”. E l’Arcitaliano , fascista, antisemita dei più accesi, razzista, leghista, craxiano e comunista del quale U’ Presidente Napolitano qualche anno fa tessè l’elogio funebre in questi termini: “ Fu una figura di spicco del movimento partigiano, rimasto sempre coerente con quella sua fondamentale scelta di campo per la libertà e la democrazia”. Anche quando scriveva: “Sarà chiara a tutti, anche se ormai i non convinti sono pochi, la necessità ineluttabile di questa guerra, intesa come una ribellione dell'Europa ariana al tentativo ebraico di porla in stato di schiavitù”.

Ma, quanto a razzismo, Bocca non fu solo. Scrisse Eugenio Scalfari, quello di “Repubblica”: “Gli imperi moderni sono basati sul cardine ‘razza’, escludendo l’estensione della cittadinanza da parte dello stato nucleo alle altre genti” (24 settembre 1942). Un concetto di razza che piaceva anche a Benigno Zaccagnini, futuro Segretario della DC: ”Si deve sentire d’istinto e quasi per l’odore quello che vi è di giudaico nella cultura. Gli ebrei possono essere solo nemici e sopraffattori della nazione che li ospita” (11 febbraio 1939).

Norberto Bobbio, pescato a fare il doppio gioco, scrive al Duce dichiarandogli la sua fedeltà e perorando l’accesso ad una cattedra universitaria: ”Vostra Eccellenza vorrà perdonarmi se oso rivolgermi direttamente a Lei, …sono iscritto al P.N.F. e al Guf dal 1928, da quando cioè entrai all’Università, e fui iscritto all’Avanguardia Giovanile nel 1927, …sono cresciuto in un ambiente familiare patriottico e fascista (mio padre, chirurgo primario all’Ospedale S. Giovanni di questa città, è iscritto al P.N.F. dal 1923, … durante gli anni universitari ho partecipato attivamente alla vita e alle opere del Guf di Torino con riviste Goliardiche, numeri unici e viaggi studenteschi, sì da essere stato incaricato di tenere discorsi commemorativi della Marcia su Roma e della Vittoria agli studenti delle scuole medie; … mi sono dedicato totalmente agli studi di filosofia del diritto, …studi da cui trassi i fondamenti teorici per la fermezza delle mie opinioni politiche e per la maturità delle mie convinzioni fasciste.… l’accusa su riferita mi addolora profondamente e offende intimamente la mia coscienza fascista…Le esprimo il sentimento della mia devozione”. Pochi mesi dopo aver spedito questa lettera, verrà riabilitato e otterà la cattedra di Filosofia del diritto a Camerino.

Repubblichina era anche Margherita Hach, la famosa astrofisica scomparsa qualche anno fa, che così confessò al : “Giurai fedeltà al regime fascista perche’ volevo la medaglia vinta in atletica. Ma quella promessa fu per me una sorta di spergiuro, perché ero contraria al fascismo da quando erano entrate in vigore le leggi razziali”. Hai capito la bricconcella….E prima delle leggi razziali…? “Fu un atto di viltà, ricorda la Hack - impegnata in seguito sul versante politico diametralmente opposto e candidatasi più volte con Pdci e Rifondazione comunista – “ma allora prevalsero la festa e l’orgoglio”. Non fu l’unica donna famosa che, per necessità o convinzione, aderì al fascismo, rinnegandolo successivamente. Prima di lei lo fece la scrittrice Sibilla Aleramo, nel dopoguerra ardente comunista.

Anche Dario Fo militò nella nella Repubblica Sociale di Salò. Il paracadutista Fo e il tenente della «Tagliamento» Albertazzi erano fianco a fianco nella Gnr, la Guardia nazionale repubblicana. Ed erano in buona compagnia. Per esempio era ben rappresentato il cinema: il regista Marco Ferreri e gli attori Ugo Tognazzi (faceva parte della Brigata Nera di Cremona) e Marcello Mastroianni (era della Todt). Tra le star del varietà televisivo: Raimondo Vianello e Walter Chiari (erano entrambi nella X Mas). Dove c’era anche il disegnatore-scrittore Hugo Pratt. Altri attori che indossarono la divisa della Gnr furono Paolo Ferrari, Paolo Carlini ed Enrico Maria Salerno. Anche Rossano Brazzi, Lina Volonghi, Ernesto Calindri, Lia Zoppelli, Carlo Dapporto, i fratelli De Filippo calcarono le scene “repubblichine”

Furono tanti i vip della R.S.I. Molti di loro – Albertazzi, Raimondo Vianello, Walter Chiari, , il grande Mario Sironi, Ardengo Soffici, Giuseppe Berto, Dino Buzzati, Giovanni Comisso, il famoso detective Tom Ponzi – non rinnegarono mai il loro passato. Segno che si puo’ esser coerenti e affermarsi comunque. Magari pagando conti salati come Alberto Burri, uno dei più grandi pittori nazionali, dimenticato per anni dalla Kultura Ufficiale per le sue scelte politiche. Dopo la laurea in medicina, si arruolo’ infatti come ufficiale medico e, fatto prigioniero in Tunisia dagli americani, fu recluso, insieme a Giuseppe Berto e Beppe Niccolai, nel "criminal camp" per non cooperatori ad Hereford, in Texas. A loro, a questi grandi della cultura italiana, non fu concesso nessun Premio Nobel, diversamente da Dario Fo, il giullare sessantottino che denunciò per diffamazione i suoi detrattori asserendo al processo “…di essersi arruolato nei paracadutisti della R.S.I come un infiltrato dai partigiani”, venendo però smentito dai suoi comandanti e dagli stessi ex partigiani. Il Tribunale di Varese, in data 7 marzo 1980, sentenziò in via definitiva che è “perfettamente legittimo definire Dario Fo repubblichino e rastrellatore di partigiani”. Dove non si capisce più se sia più patetico il Dario o il giudice di turno.

Di Albertazzi, per tornare a navigare in acque pulite, ricordo un incontro avvenuto una sera del 1994 (’95?) nel ristorante di fronte al Senato. Incrociammo i nostri sguardi per caso e io mi avvicinai istintivamente. Avevo appena letto il suo libro “Un perdente di successo”, uscito già da qualche anno e mi complimentai. Gli dissi chi ero e perché ero lì; che avevo conosciuto Zeffirelli, anch’egli senatore. Ci scambiammo alcuni pareri sulla situazione politica, poi gli dissi che conoscevo la sua storia e che apprezzavo la sua coerenza. Apprezzò timidamente. Chiamarono entrambi. Ci scambiammo gli indirizzi e ci salutammo. Poi mi ammalai e per un po’ non frequentai l’ambiente romano.

Ripenso a quell’incontro casuale leggendo cosa scrive la stampa dopo la sua morte. Dopo averne tessuto gli elogi culturali post mortem, i corvi non mancano di ricordare che comunque comandò un plotone di esecuzione e che fucilò dei partigiani. Creando una nuova categoria di combattenti: quelli cha vanno in guerra senza fucile e recitano il rosario, anzi, nella fattispecie, l’ “Amleto”. Ma, ancora quand’era in vita, qualche mediocre di razza eletta, per la precisione Sergio Luzzatto, scrisse cose disgustose. E allora vediamo di far chiarezza su chi veramente fu questo “perdente di successo” – come volle definirsi in un suo libro – questo fascista, questo uomo libero che assomiglia poco o niente ad una Margherita Hack che rinnega per una medaglia.

Giorgio Albertazzi, sottotenente della 3° Compagnia del 63° Battaglione “M” della “Tagliamento”, era accampato a Solagna quando vi fu il famoso rastrellamento del Grappa e la carneficina degli impiccati di viale Venezia a Bassano del Grappa. Una storia sconosciuta ai più che la storiografia ufficiale ha cercato di distorcere e occultare. Quel massacro fu voluto da un paio di capetti della guerriglia su pressioni della missione inglese (Maggiore Paul Newton Brietsche) che, nonostante i pressanti inviti dei tedeschi ad abbandonare la zona prima dell’attacco onde evitare una carneficina, spinsero 500 ragazzini disarmati allo scontro, tenendo così impegnati fascisti e tedeschi ed evitando che costoro andassero a rafforzare il fronte della Linea Gotica. Una scelta criminale. Una storia nota e trattata nei convegni partigiani e da storici seri, che qualche propagandista politico continua ad occultare negli “armadi della menzogna” preferendo indugiare sadicamente sulla violenza teutonica.

I tribunali di questa repubblica hanno fatto chiarezza totale su quei fatti, meno sulle torture e le umiliazioni subite dai militari della “Tagliamento”, durante e dopo la guerra, perseguitati per anni. Ma qualcuno, inseguendo ancora i fantasmi spennacchiati dell’antifascismo, vuole, sull’esempio di qualche Alto Rappresentante istituzionale, riaprire in chiave politica pagine che, a 70 anni dalla fine della guerra civile, appartengono alla storia e dovrebbero cedere il passo alla pacificazione civile.

Ma lei, Albertazzi, non si è pentito? Gli ha chiesto quell’Aldo Cazzullo* che non si vergogna di credere ancora che “l’Italia sia stata liberata dai partigiani”--“Di cosa dovrei pentirmi? Non amo il pentimento, un sentimento cattolico che disprezzo. Perché ‘dalla parte sbagliata’? Perché era la parte perdente?”.

- Non c’è proprio nulla che le pesa? Neppure l’accusa di aver fucilato? -“Una cosa che mi pesa c’è: aver sentito talora la mia scelta per sociale, che mai rinnegherò, come un freno per fare sino in fondo quel che avrei voluto, a fianco della sinistra. Voltare gabbana, mai. Le stesse cose che mi avevano spinto a Salò, l’anticlericalismo, l’idea sociale della Carta del lavoro e della partecipazione dei lavoratori agli utili delle aziende, l’istinto dell’anarchia e della libertà, nel dopoguerra mi spingevano a impegnarmi con la sinistra”. Uno schiaffo in faccia sonoro agli eterni cultori della fazione e dell’odio, a gente priva di fantasia ed intelligenza. Albertazzi si dovrebbe pentire per un legittimo atto di guerra quando Obama si rifiuta di chiedere scusa al popolo giapponese per le 200.000 vittime delle atomiche su Nagasaki ed Hiroscima.

-Mi parli del 1943. E lui, fierissimo: “Per chi come me leggeva Salgari e l’Avventuroso, all’astuzia di Ulisse preferiva la forza di Achille, era cresciuto nel mito di Baracca e di D’Annunzio, dei trasvolatori dell’Atlantico e dei calciatori bicampioni del mondo, il fellone era Badoglio che scappava. Che ha senso ricordare oggi: la parte legale non era quella? Per chi come me aveva il mito non tanto del Duce ma di Ettore Muti ucciso dai badogliani, di Italo Balbo abbattuto nel cielo della Sirte, degli eroi della Folgore disfatti a Bir el Gobi, la ‘parte legale’, l’Italia, era quella. E io ho combattuto per l’Italia. Non amavo Mussolini per la sua retorica. Come non ho amato Berlusconi per la sua pompa, pur se riconosco che è un grande attore. L’ideale era D’Annunzio, lui che alla testa dei legionari si alza sulla moto a offrire il petto ai colpi, lui che dopo una notte con l’imperatrice mormora a chi gli chiede com’è andata: ‘Non ho più i miei sessant’anni’….”

“Da ragazzo ero innamorato di zia Livia, la sorella di mia madre, sposata con zio Alfio. Gli chiedevo: zio, cos’è il fascismo? Rispondeva: il fascismo è l’Italia. Dopo il 25 luglio 1943 e l’arresto del Duce andarono a prenderlo in quattro, lui aveva una rivoltella in tasca ma non la usò, lo massacrarono di botte, agonizzò per giorni sputando a pezzi i polmoni. Io avevo 18 anni, tiravo di boxe, ero forte e veloce. Partigiani in giro non ce n’erano, e devo dire che non ne ho mai visti, se non nella primavera del ’45. Non voglio generalizzare, ma certo molti divennero partigiani in quanto renitenti…Di Dario Fo non saprei. Con gli amici occorre delicatezza; e Dario è un amico. Non ho mai osato porgli l’argomento…”

“[Anni fa] militanti di Rifondazione mi contestarono chiamandomi ‘fucilatore non pentito’. Io non mi pento di quanto ho fatto; a maggior ragione, non mi pento di quanto non ho fatto. E io non ho fucilato nessuno…. Ma non è vero che eravamo sottomessi ai nazisti. Tenevamo una piccola parte del fronte, lungo il Foglia, pressati dai polacchi di Anders e dalla Quinta Armata. Una notte passai le linee per andare a salutare i miei a Firenze; avrei potuto restare ma prevalse il senso di lealtà. Tornai. Qualche giorno dopo i tedeschi ci consegnano due disertori, addestrati in Germania, inquadrati nell’esercito della Rsi, fuggiti e ripresi. Avrebbero potuto fucilarli subito. Invece li processarono. Uno fu assolto, l’altro condannato a morte. Tergiversammo, nella speranza di risparmiarlo. Il comandante del reggimento, Zuccari, ordinò: o lui, o voi. Il plotone d’esecuzione fu comandato da un maresciallo, mi pare si chiamasse Manca. Io non ebbi un ruolo, però c’ero, come sottotenente ero il più alto in grado: il comandante della compagnia era ferito, il sostituto assente. Al processo per salvarmi spostai la data della mia incursione a Firenze. In seguito ho riconosciuto che quel giorno ero lì. Ma questo non fa di me un fucilatore. Mio padre e mio fratello avevano passato notti durissime, legati, terrorizzati: ‘Il vostro Giorgio è stato impiccato’, dicevano…”

Appartengono al dopo le sue battaglie sessantottine, le sue scelte di genere, odiato e adorato, ancora una volta epurato dalla cattedra di Letteratura Teatrale all’Università di Torino unicamente per il suo passato. “Un uomo – ribadì – è ciò che ha fatto, ma anche ciò che pensa”. Difficile convivere con un mondo che non pensa e non ama più.

* Corriere della Sera del 28 maggio 2016