ANIEM

Rassegna Stampa del 27/06/2014

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SCENARIO EDILIZIA

27/06/2014 Corriere della Sera - Nazionale 7 Quelle buone regole che ci aiutano e permettono di attrarre gli investitori

27/06/2014 Corriere della Sera - Roma 9 Operaio cade da 12 metri e muore

27/06/2014 Il Sole 24 Ore 10 La Cina fa crescere la ceramica

27/06/2014 Il Sole 24 Ore 12 Lecco e Sondrio uniscono le forze

27/06/2014 Il Sole 24 Ore 13 L'edilizia ci riprova il primo luglio

26/06/2014 Il Messaggero - Abruzzo 14 Dal calcio a hotel e resort duro colpo all'edilizia locale

26/06/2014 Il Messaggero - Abruzzo 15 Al Casino' con i soldi del sismaHo in tasca 50 mila euroe'

27/06/2014 Il Messaggero - Abruzzo 16 Subappalti, il 25 per cento senza sapere nulla dei lavori

27/06/2014 QN - Il Resto del Carlino - Macerata 17 Spinta all'edilizia, la giunta riduce gli oneri di urbanizzazione

27/06/2014 ItaliaOggi 18 Astaldi punta sull'estero

27/06/2014 L'Espresso 19 Così uccidono istanbul

27/06/2014 L'Espresso 22 Collaudo ricco mi ci ficco 27/06/2014 Il Fatto Quotidiano 24 " Ho fatto molti errori ma non ho rubato "

27/06/2014 Internazionale 28 I rischi nell'ombra

27/06/2014 Prima Comunicazione 32 La scommessa del 'Secolo'

27/06/2014 Prima Comunicazione 38 Il collezionista

27/06/2014 Nuova Finestra 43 Il ruolo di finestre e facciate

27/06/2014 Nuova Finestra 47 L'officina nel DNA

27/06/2014 Nuova Finestra 50 La normativa EN 1090

SCENARIO ECONOMIA

27/06/2014 Corriere della Sera - Nazionale 53 «Nuovi modelli per il business, bisogna cambiare»

27/06/2014 Corriere della Sera - Nazionale 54 Capitali all'Estero Una «Disclosure» anche per i Beni già in Italia

27/06/2014 Corriere della Sera - Nazionale 55 Fininvest sconta il lodo Mondadori Pier Silvio torna nel consiglio

27/06/2014 Corriere della Sera - Nazionale 56 Torna il petrolio di Stato Con riserve per un mese

27/06/2014 Corriere della Sera - Nazionale 58 Intesa, una banca in Brasile per il Made in Ora rotta su Abu Dhabi

27/06/2014 Corriere della Sera - Nazionale 59 Cattaneo non lascia l'energia, due start up in autunno

27/06/2014 Il Sole 24 Ore 61 «Liberare i cofinanziamenti dal patto di stabilità»

27/06/2014 Il Sole 24 Ore 63 Padoan: non ancora usciti dalla crisi

27/06/2014 Il Sole 24 Ore 64 «Ripresa lenta, ma fuori dal baratro» 27/06/2014 Il Sole 24 Ore 66 I Fondi sovrani puntano a Ovest

27/06/2014 Il Sole 24 Ore 68 Telco «chiude» con perdite per 7 miliardi in sette anni

27/06/2014 Il Sole 24 Ore 70 Mps, Moody's alza rating da «B2» a «B1»

27/06/2014 - Nazionale 71 Le tutele degli esodati prolungate di un anno ed estese ad altri 32 mila

27/06/2014 La Repubblica - Nazionale 72 Prestito previdenziale ecco la soluzione che si sta preparando per chiudere il caso

27/06/2014 La Stampa - Nazionale 74 LE REGOLE PER SUPERARE L'AUSTERITY

27/06/2014 La Stampa - Nazionale 75 L'Argentina: pagheremo i tango­bond ai creditori Usa

27/06/2014 MF - Nazionale 76 Ci si può pentire sui capitali nascosti in Italia

27/06/2014 MF - Nazionale 77 Altro che via Argentina, va stanata la Germania

27/06/2014 MF - Nazionale 78 La legge sul rientro dei capitali non sia un condono né un'amnistia

27/06/2014 L'Espresso 80 TASI quanto ci costi

27/06/2014 L'Espresso 83 In banca si viaggia offshore

27/06/2014 L'Espresso 85 Scommetto che evadi

27/06/2014 L'Espresso 90 Ior contro IOR

SCENARIO PMI

27/06/2014 Corriere della Sera - Brescia 94 Export armi, l'ok del ministero Ma è un via libera solo a metà

27/06/2014 Corriere della Sera - Nazionale 96 Rossi richiama le compagnie: «Investite di più sulle imprese» 27/06/2014 Il Sole 24 Ore 97 Napoli riparte dalla moda

27/06/2014 Il Sole 24 Ore 98 Il reattore ha il cuore lombardo

27/06/2014 Il Sole 24 Ore 99 Bonus e-commerce e rendite rivalutate

27/06/2014 ItaliaOggi 100 Semestre Ue nel segno del rigore

27/06/2014 ItaliaOggi 102 Confindustria abbatte stime del pil, ma resta fi duciosa

27/06/2014 MF - Nazionale 103 In Italia la ripresa si allontana

27/06/2014 L'Espresso 104 L'Italia paga Big Pharma Scappa

SCENARIO EDILIZIA

19 articoli 27/06/2014 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 54 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

PROGETTI E RISORSE Quelle buone regole che ci aiutano e permettono di attrarre gli investitori DARIO SCANNAPIECO

N ell'intervista al Corriere della Sera (25 giugno), il commissario della Ue agli Affari economici e monetari, Olli Rehn, sottolinea che «una delle storie di successo che l'Europa può raccontare oggi ai propri Stati-membri riguarda proprio l'Italia». Rehn si riferisce all'attività della Banca europea per gli investimenti in Italia e riporta cifre ed esempi concreti. Tale riconoscimento giunge alla vigilia del semestre in cui sarà il governo di Roma a indirizzare il concerto delle istituzioni comunitarie. Un semestre che coincide con una fase delicata della storia dell'Europa, oggi di fronte a scelte decisive per impostare una solida fase di sviluppo e di lotta alla disoccupazione. Tema cruciale è l'individuazione dei mezzi con cui rilanciare la crescita attraverso gli investimenti. Senza crescita, infatti, le dinamiche del debito pubblico sono tali da vanificare ogni tentativo di consolidamento fiscale. Ripercorrere le tappe che portarono alla nascita della Banca europea per gli investimenti (Bei) e riportare quanto ha fatto per l'Italia può ricordarci che l'Europa è spesso un fattore decisivo di sviluppo e di crescita. La Bei è il braccio finanziario della Ue. La sua nascita ha origine in un primo tentativo di creare in ambito Oece (Organizzazione europea per la Cooperazione economica), un ente finanziario posseduto dagli Stati europei per sostenere i progetti volti alla costruzione del mercato comune. L'Oece, nata nel 1948, aveva compiti di coordinamento dei fondi del Piano Marshall e sarebbe poi diventata l'attuale Ocse. È con le Conferenze di Messina (1955) e Parigi (1956) che si creò la piena consapevolezza che alla nascita di Mec ed Euratom doveva accompagnarsi uno strumento per sostenere la coesione territoriale e gli investimenti. A Messina si dibattè, su impulso delle delegazioni italiana e tedesca, per creare uno fondo volto a «eliminare i contrasti troppo grandi e socialmente pericolosi che potrebbero esistere nelle condizioni di vita delle diverse regioni». Le richieste italiane, nei mesi successivi, si fecero più pressanti, tanto che a Parigi il belga Spaak, insieme a De Gasperi, Adenauer, Schuman e Monnet, insistette sull'opportunità di accordare all'Italia garanzie precise. La Bei vide la luce da lì a poco, con un protocollo annesso al Trattato di Roma. Sino a oggi i prestiti a progetti in Italia ammontano a 172 miliardi di euro (valori nominali), facendone il principale beneficiario tra i 28 Stati azionisti. L'attività è aumentata con la crisi: dal 2008, 57 miliardi di finanziamenti, che hanno sostenuto investimenti per 160 miliardi. Nel 2013 il record di 10,4 miliardi di prestiti. Considerando i 600 milioni del controllato Fondo europeo per gli investimenti (attivo nel private equity , venture capital e garanzie a Pmi) si arriva a un totale di 11 miliardi. Alle Pmi sono andati attraverso le banche italiane 3,4 miliardi: oltre 8.400 quelle finanziate nel 2013, 70.000 nel periodo 2008-2013. Centrale l'impegno per le infrastrutture, i piani di R&S, le Università e l'affiancamento agli enti locali e territoriali. La Bei ha avuto un ruolo decisivo per lo sviluppo dell'Alta Velocità ferroviaria, della rete autostradale, di impianti elettrici, di reti di trasmissione e distribuzione di gas ed energia, della banda larga. Nei primi sei mesi di quest'anno, i prestiti sono stati pari a 5 miliardi. Abbiamo innovato nei prodotti finanziari, rendendo l'Italia un laboratorio per nuove iniziative da replicare in altri Paesi. Un esempio: il recente lancio con i ministri Padoan e Guidi di uno strumento che associa risorse pubbliche nazionali e della Bei, permettendo di moltiplicare i fondi complessivi disponibili per progetti in ricerca e sviluppo di Piccole medie imprese (Pmi). Crisi dei budget pubblici e difficoltà del settore bancario fanno sì che gli investitori di lungo termine come la Bei, e come in Italia la Cassa depositi e prestiti (Cdp), abbiano un ruolo decisivo. Di pochi giorni fa la notizia

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 7 27/06/2014 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 54 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

che la Bei ha approvato il primo project bond in Italia, e uno dei primi in Europa, per il rifinanziamento del Passante di Mestre. Ma oltre l'esigenza di disporre di adeguate risorse, guardando il nostro Paese, appare urgente rafforzare la capacità di preparare progetti ben strutturati che quindi possono coinvolgere le banche. Ciò implica un rafforzamento delle competenze delle amministrazioni centrali e locali e la definizione di regole certe che consentano di attrarre quegli investitori internazionali che in una fase di abbondante liquidità sui mercati sono in cerca di opportunità. In questo contesto l'Europa può ancora di più divenire motore di crescita economica e sociale, con il fine ultimo centrato sul benessere dei cittadini. Vicepresidente della Bei Presidente del Fei © RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 8 27/06/2014 Corriere della Sera - Roma Pag. 6 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Esquilino Operaio cade da 12 metri e muore R. Fr.

Un altro incidente sul lavoro, un'altra morte bianca. La settima a Roma e provincia dall'inizio dell'anno. Mercoledì sera un manovale albanese di 63 anni, Sulejman Zeleny, ha perso la vita dopo essere precipitato per 12 metri in un palazzo di via Galileo Galilei, all'Esquilino. Inutili i soccorsi prestati da alcuni colleghi del sessantenne che hanno chiamato 118 e polizia: per l'uomo, dipendente della società Icop spa, non c'era più nulla da fare. Sull'incidente indagano gli agenti del commissariato Esquilino insieme con gli ispettori del lavoro della Asl di zona che stanno svolgendo accertamenti sul rispetto delle misure di sicurezza nel cantiere. L'albanese, secondo una prima ricostruzione, stava lavorando alla costruzione di una scala interna all'edificio quando ha improvvisamente perso l'equilibrio cadendo nel vuoto. Non è chiaro se per un malore o per altri motivi. Solo la settimana scorsa un altro operaio, un romano di 43 anni, è rimasto folgorato nei sotterranei della stazione Termini mentre stava lavorando su un pannello elettrico, e martedì scorso, a Montesacro, un altro manovale è caduto da una scala alta un paio di metri sbattendo con violenza la testa sul pavimento. L'uomo è stato ricoverato in ospedale in osservazione. All'inizio del mese invece un geometra trentenne ha perso la vita in un cantiere edile vicino alla stazione Aurelia nel tentativo di salvare due operai rimasti bloccati in uno scavo per il crollo di una parete. © RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 9 27/06/2014 Il Sole 24 Ore Pag. 16 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Congiunture. Nel 2013 macchinari a più 50% nel Paese asiatico - Ancora depresse le vendite domestiche (- 10%) La Cina fa crescere la ceramica Acimac: «Anno buono, ci aspettiamo un trend positivo anche per il 2014» NEL 2013 Le esportazioni sono salite del 5,8%, arrivando a 1,37 miliardi, l'80% dei ricavi, con una divisione omogenea delle aree Ilaria Vesentini

BAGGIOVARA (MODENA) «Il mercato italiano è vivo ma questo non significa, ahimè, che ci aspettiamo balzi in avanti di domanda da qui a fine anno. È sempre l'export a garantire la tenuta dei nostri fatturati. E a confermare la nostra leadership mondiale per tecnologia è il fatto che proprio in Cina, nella patria dei nostri più acerrimi concorrenti, siamo cresciuti lo scorso anno di oltre il 50%». Fabio Tarozzi, presidente di Acimac, l'associazione dei costruttori italiani di macchine per ceramica - 144 aziende e 6mila occupati concentrati tra Modena e Reggio Emilia - non conferma il risveglio di domanda interna per i beni strumentali annunciato a gran voce dai colleghi delle macchine utensili, del packaging, del meccanotessile. «Ciò non significa però che siamo pessimisti - sottolinea Tarozzi - e anzi dopo il -10% di vendite domestiche realizzate nel 2013 ci aspettiamo quest'anno un assestamento. Perché in effetti è in atto una riqualificazione verso l'alto del distretto di Sassuolo, ma di piastrelle made in Italy se ne producono 360 milioni di metri quadrati l'anno, in Cina 9 miliardi. E la domanda di sostituzione dei macchinari obsolescenti è ancora fortemente frenata in Italia da problemi di finanziamento». Vale a dire che se in Cina si vendono 1.200 presse ogni anno solo per rimpiazzare vecchia tecnologia, nel nostro Paese non si arriva a 50. I produttori di piastrelle sono i primi clienti dei costruttori italiani di macchine e attrezzature per ceramica e assorbono oltre l'82% dei 1.710 milioni di fatturato messo a segno da questo segmento della meccanica lo scorso anno. Un risultato in lieve recupero (+2,2%) rispetto all'anno prima - racconta la 22ª Indagine statistica nazionale presentata ieri a Baggiovara (Modena) da Acimac - grazie esclusivamente al traino delle esportazioni, salite di 5,8 punti nel 2013 a quota 1,37 miliardi, pari all'80% dei ricavi.Macchine per laterizi, stoviglieria, sanitari, refrattari sono la quota marginale e meno prestigiosa della meccanica emiliana, stabile al primo posto nella corsa competitiva globale per avanguardia tecnologica nelle decorazioni digitali, nelle linee per i grandi formati e nei bassi consumi energetici di tutti gli impianti. Una leadership che si specchia nel salone biennale Tecnoargilla, la prima vetrina mondiale dell'innovazione ceramica in programma a Rimini dal 22 al 26 settembre prossimo. «Un altro punto di forza è che la torta dei mercati esteri è ormai tagliata in fette eque e ideali - precisa il presidente - e questo ci mette al riparo da scossoni di singoli Paesi e consente di bilanciare le crescite molto sostenute in aree come il Centro-Sud America (+22% nel 2013) o l'Africa (+17,5%) con le flessioni in altre, come Nord America (-10,7%) o Europa, mercato sceso di 9 punti e che oggi rappresenta meno del 15% dell'export». Tra compensazione sulle piazze mondiali e tenuta del mercato interno Acimac prevede un trend nel 2014 non dissimile da quello appena archiviato. «È stato un anno positivo perché in un palcoscenico fitto di competitor - conclude Tarozzi - siamo rimasti leader e lo dobbiamo alla sinergia strettissima con il distretto delle piastrelle di Sassuolo, cluster unico al mondo». Come conferma la partnership annunciata ieri tra il big meccanico Sacmi e Graniti Fiandre, che nella sua fabbrica di piastrelle a Castellarano installerà la tecnologia Continua+ (10 milioni di investimento) per produrre lastre di dimensioni illimitate e spessori fino a 2 cm in cotto. © RIPRODUZIONE RISERVATA Le macchine per la ceramica LA FOTOGRAFIA Ilquadro generale dei costruttori italiani dimacchine per ceramica LE ROTTE Destinazioni dell'export di macchine italiane per ceramica nel 2013. Peso%mercati 2012 2013 Var.%13/12 Aziende 151 144 -4,64 Addetti 5.973 6.049 1,27 Fatturato totale (mln di Â) 1.673 1.710 2,21 Fatturato Italia (mln di Â) 381,4 343,8 -9,86 %su totale 22,8 20,1 -

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 10 27/06/2014 Il Sole 24 Ore Pag. 16 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

11,84 Fatturato estero (mln di Â) 1.291,3 1.366,4 5,82 %su totale 77,2 79,9 3,50 Oceania Nord America Est Est Europa Sud America Africa Unione europea Medio Oriente Altri Asia 0,4 6,6 7,4 11,4 13,3 14,6 14,7 15,6 16,2 Fonte: elaborazioni su dati centro studi Acimac Foto: LE ROTTE Destinazioni dell'export di macchine italiane per ceramica nel 2013. Peso % mercati Foto: LA FOTOGRAFIA Il quadro generale dei costruttori italiani di macchine per ceramica Foto: - Fonte: elaborazioni su dati centro studi Acimac

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 11 27/06/2014 Il Sole 24 Ore Pag. 16 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Imprese. Il presidente Maggi: una fusione per recuperare efficienza e non rimanere marginalizzati LOMBARDIA Lecco e Sondrio uniscono le forze Andrea Biondi

LECCO. Dal nostro inviato «Con la crescita e lo sviluppo delle grandi aree metropolitane, se non sapranno parlare in grande i territori come il nostro resteranno marginalizzati, periferie non solo in senso geografico». Giovanni Maggi, presidente di Confindustria Lecco sa bene che queste parole non sono parole qualsiasi perché non vengono dette in un momento qualsiasi. Le due associazioni confindustriali di Lecco e Sondrio (era presente la presidente Cristina Galbusera) davanti al presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, hanno firmato un protocollo per avviare il processo di fusione. Quella di ieri quindi può passare agli annali come l'ultima assemblea di Confindustria Lecco. La nascente "Confindustria Lecco e Sondrio" è sicuramente una realtà che vuole giocare la sua partita in Confindustria, e non solo, posizionata nella massima serie, forte di 850 imprese (di cui 600 lecchesi) che occupano 37mila persone (di cui 27mila negli associati lecchesi). «Il processo di fusione è durato 7 mesi. Siamo la prima territoriale del Nord - ha sottolineato Maggi - ad attuare la riforma Pesenti: lo facciamo con orgoglio». Lo stesso orgoglio dichiarato da Squinzi per la riforma Pesenti «che è frutto di un lavoro importantissimo. E questo fiorire di aggregazioni, partita nelle ultime settimane anche in maniera inaspettata, dimostra che siamo nella direzione giusta e lancia un messaggio alla politica». Accanto ai tentativi di riorganizzarsi c'è però la realtà di tutti i giorni. Lacci, laccuioli, sprechi, «una burocrazia elefantiaca», ha lamentato Maggi, che impattano in Italia e su questo territorio che guarda all'Europa (tema della tavola rotonda cui hanno partecipato il Governatore della Lombardia Luca Maroni, Luca Ricolfi e l'europarlamentare Alessia Mosca) e all'estero (export 2013 oltre 3,7 miliardi pari a poco più dell'1% dell'export nazionale). Ma che guarda anche in casa, forte di una realtà territoriale dove il turismo può essere d'aiuto, ma insieme ad altro. «Ance Lecco ha lanciato l'idea di un polo per l'edilizia scolastica superiore che ci trova concordi», dice Maggi che sul piatto mette anche «la creazione di un Parco scientifico tecnologico» all'interno di un territorio «dove industria e ricerca siano presenti in maniera forte; dove la scuola diventi un'eccellenza, dove i ragazzi abbiano la possibilità di formarsi in azienda». © RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 12 27/06/2014 Il Sole 24 Ore Pag. 17 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Contratti. Martedì per Ance, Legacoop e sindacati ultima verifica per trovare un'intesa sul rinnovo L'edilizia ci riprova il primo luglio Buia (costruttori): «Le parti devono essere unite, dividersi non serve» Cristina Casadei

«Noi segnali di disponibilità li abbiamo messi sul tavolo. La responsabilità solidale è sempre stata una priorità». Per Gabriele Buia, vicepresidente Ance, averla tolta dal perimetro del rinnovo del contratto dell'edilizia sposta gli equilibri faticosamente raggiunti in oltre 18 mesi di negoziato e costringe quindi le imprese a ridiscutere alcune questioni su cui si era già raggiunta un'intesa. Il primo luglio è stato fissato un nuovo incontro tra Ance e Legacoop e Fillea-Cgil, Filca-Cisl e Feneal-Uil per siglare il contratto dopo che nell'ultimo incontro la Fillea ha chiesto di togliere dal perimetro del contratto la responsabilità solidale per gli appalti. «I due anni di responsabilità solidale sono un'assurdità, per questo nel negoziato abbiamo chiesto alla controparte che dopo 120 giorni decada la garanzia dei lavoratori che quindi, dopo quel termine, non potranno chiedere il compenso non ricevuto alla società che ha dato il lavoro in appalto. Ci eravamo impegnati a chiedere alle imprese in appalto l'effettivo bonifico, a testimonianza del compenso ricevuto dai lavoratori in un'ottica di trasparenza e tutela». Non è bastato. Rimettendo in discussione tutto l'impianto del negoziato in cui era già stata raggiunta la sintesi sulla riforma degli enti bilaterali, sull'Ape, sui contratti a termine e sul salario di cui si stava discutendo positivamente. In particolare l'anzianità professionale edile era stata messa in sicurezza salvaguardandone la fruibilità e le quantità economiche tramite la costituzione di un Fondo Nazionale. Sulla bilateralità era stato previsto un percorso di accorpamento e razionalizzazione degli Enti paritetici. Per i contratti a termine era stato deciso il mantenimento del limite del 25% in rapporto ai lavoratori a tempo indeterminato. Con la possibilità per le imprese di un ulteriore 15% di assunzioni a termine per le assunzioni tramite la borsa lavoro dell'edilizia. Sul salario infine le parti erano arrivate a discutere di un aumento di 70 euro per il livello 100, il primo livello, che diventavano 100 per il terzo livello. A questi erano stati aggiunti 8 euro per l'apertura di una posizione individuale nel fondo pensione Prevedi, definita contrattualmente. All'inizio del negoziato le imprese avevano chiesto ai sindacati una rivisitazione radicale dell'Ape e della responsabilità solidale. Avendo fatto concessioni sull'una e sull'altra gli imprenditori proprio in questi giorni stanno ridiscutendo altri punti. In un momento in cui «la sofferenza delle aziende aumenta giorno dopo giorno. Il nostro obiettivo è mantenere le imprese per mantenere le maestranze per mantenere l'occupazione. Pertanto serve essere lungimiranti per evitare che le imprese si ritrovino poi a dover riconoscere aumenti salariali in una fase di carenza assoluta di lavoro», spiega Buia. Al tavolo ci sono due organizzazioni datoriali e 3 sindacali e l'obiettivo «è arrivare a una firma congiunta - aggiunge -. In questo momento le parti devono essere unite per fare fronte alla crisi di settore. Dividersi non serve a nulla. Quello del primo luglio è l'ultimo incontro per quest'estate. O si firma o non si firma. Se ci saranno ancora resistenze allora ognuno dovrà prendersi le proprie responsabilità. Ribadisco: noi segnali di disponibilità li abbiamo dati». © RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 13 26/06/2014 Il Messaggero - Abruzzo Pag. 43 (diffusione:210842, tiratura:295190) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Dal calcio a hotel e resort duro colpo all'edilizia locale L'ALBERGO SAN MICHELE È STATO IL PRIMO A RIAPRIRE IN ZONA ROSSA DOPO IL SISMA

LE DINASTY L'AQUILA Le mani dei Casalesi nella ricostruzione privata dell'Aquila, quella pesante, le case classificate con la «E» che significa crolli, devastazione, spesso morti. Gli appetiti famelici dei clan campani per il terremoto, dei quali si è cominciato a parlare in città per la prima volta nel 2010. Intercettazioni telefoniche che raccontavano la volontà di insediarsi sul territorio, trasferire aziende (come la Gam di Michele Gallo) e denaro, accaparrarsi appalti. La differenza, sostanziale, rispetto ad oggi, è che allora i grimaldelli aquilani erano pochi (si fece il solo nome di Cerasoli, che si è ampiamente difeso), così come i lavori nel mirino. Poca roba, insomma, e «stoppata» giusto in tempo, a quanto pare. Stavolta no, ad essere colpito è il cuore pulsante dell'imprenditoria edile cittadina. Le famiglie in vista, che contano. I simboli del settore. Due tra le dinasty aquilane, gente che partendo da qualche mattone e un po' di calce ha costruito piccoli imperi. Le accuse sono gravi, sebbene tutte da dimostrare. Le due famiglie, Gizzi e Serpetti, hanno inciso moltissimo sia nel settore delle costruzioni, sia nel tessuto sociale, economico e sportivo cittadino. Le due aziende, Domus e Todima, sono accusate di aver stretto un'alleanza - indiretta, per il tramite dei Di Tella e di Bianchini - con i Casalesi, attraverso l'assunzione di manodopera da sfruttare riconducibile ai clan. Gomorra all'Aquila, insomma, stavolta non con un piedino, ma con entrambe le mani. Scenario fantascientifico? Può darsi, solo un eventuale processo lo chiarirà. Certo è che fa effetto immaginare la Camorra affacciarsi sulle rovine dalla porta principale. Gizzi e Serpetti sono quanto di meglio il settore edile ha offerto negli anni. La Domus ha raccolto la storia e la competenza artigianale del cavalier Franco Gizzi, attraverso il passaggio padre-figli che qui è quasi la regola. Dalla fondazione ('78) al '90 si è occupata principalmente di appalti pubblici, poi ha virato sull'edilizia residenziale costruendo circa 200 alloggi in poco tempo. Dopo il sisma ha lavorato nella messa in sicurezza e, a capo di un'Ati, al recupero della caserma dei vigili urbani. Elio Gizzi nel 2007 si è buttato a capofitto nella sua grande passione, il calcio. In sette anni ha portato L'Aquila dall'Eccellenza alle porte della B, sfumata solo negli ultimi playoff. Nel 2012, dopo 5 stagioni alla presidenza, ha lasciato il timone all'amico e collega Corrado Chiodi, supportato da altri costruttori, rimanendo comunque nel pacchetto societario come amministratore delegato. Ai fratelli Serpetti, invece, si devono due tra i progetti ricettivi più suggestivi del territorio. L'Hotel San Michele, a due passi dall'Emiciclo, inaugurato nel 2002, il primo a riaprire in zona rossa appena due mesi dopo il sisma del 2009, ospitando moltissimi sfollati. E, in tempi più recenti, il ristorante resort «La magione Papale», lo splendido locale recuperato da un antico mulino che guarda in lontananza la basilica di Collemaggio su quello che, si dice, era un sentiero caro a Celestino. Anche loro non hanno fatto mancare il sostegno al tessuto sociale cittadino, supportando a più riprese piccole e grandi iniziative, di carattere sportivo ma non solo. Ecco perché, oggi, lo schiaffo che subisce L'Aquila fa ancora più male. La possibilità di difesa è ampia, basti pensare ai meccanismi di controllo (White List, certificati antimafia, regolamentazione dei subappalti) messi in campo per la prima volta dopo il terremoto, tanto da fare dell'Aquila un modello che sarà esportato anche all'Expo. Certo per il sistema - stavolta sì - imprenditoriale locale è una mazzata dura da mandare giù. Rappresenterebbe il tradimento di due tra le migliori espressioni che L'Aquila ha saputo offrire nella storia recente. Stefano Dascoli © RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 14 26/06/2014 Il Messaggero - Abruzzo Pag. 43 (diffusione:210842, tiratura:295190) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Al Casino' con i soldi del sismaHo in tasca 50 mila euroe' Minacce agli operai per riavere i soldi «Vieni in ufficio o ti riduco a una m...»

LE CARTE segue dalla prima pagina Sempre le carte raccontano come Di Tella con gli appalti del terremoto se ne andava al casinò di Venezia. Una cimice del Gico della Finanza dell'Aquila cattura la frase: «In tasca ho 50 mila euro di fiches ed ho anche assegni». Di Tella è amico di Aldo Nobis, fratello di Salvatore, detto Scintilla" braccio armato ed affiliato del clan di Michele Zagaria. L'incontro con quello considerato dagli investigatori l'autista di Zagaria (Raffaele Cilindro) avviene al bar della stazione di servizio Esso dell'Aquila. Sempre Di Tella in una intercettazione afferma: «Se ci ferma la polizia ci arresta, eh questa è un'associazione». Poi la richiesta di lavori per la ricostruzione dell'Aquila avanzata da uno dei suoi interlocutori che nel frattempo aveva raggiunto i due in auto: «Vedi un po' io ti ho chiamato per vedere di far lavorare tre, quattro persone». Insomma un uomo di spessore Di Tella, come confermato da diversi collaboratori di giustizia. Di Tella che si era portato all'Aquila anche un altro pezzo da novanta del clan Zagaria, Giuseppe Santoro (pasticcere sempre di Casapesenna che tramite prestanomi gestiva due società dolciarie che rifornivano decine di punti vendita in provincia di Caserta) e gli aveva prestato un appartamento ubicato al Torrione. La «durezza» del camorrista emerge nell'attività estorsiva nei riguardi dei lavoratori, costretti (dietro la minaccia di morte o di licenziamento) a dare fino al 50 per cento di quello regolarmente percepito, financo il Tfr e la Cassa Edile. «I ragazzi ci devono dare tutti i soldi di resto a noi, le buste paga sono uscite». «Dateci i soldi e poi ne ve andate tutti e due perchè non mi servite». Gli operai erano scelti nel Casertano perchè particolarmente sensibili alle richieste estorsive praticate avvalendosi gli aguzzini, della forza intimidatrice dell'appartenenza ad ambienti criminali. Nessuno fuggiva, tutto era rendicontato fino al centesimo. I Di Tella avevano sotto controllo tutto: dal numero degli operai alle ore di lavoro prestate, fino agli incidenti e malattie. Tutto avveniva alla luce del sole, pagamenti corretti previa assunzione regolare ma appena i soldi venivano accreditati la metà dovevano essere restituiti in contanti o attraverso bonifici bancari. «Digli che sta la fame». E per chi aveva problemi a pagare nell'immediatezza scattava la minaccia. «Mimmo, è arrivata la Cassa Edile, ci vediamo sabato in ufficio, ci vediamo sabato, e se manco i cani, tu sabato non vieni dentro all'ufficio mio io ti faccio una merda, manco i cani, io con la gente sono così, non me ne fotte proprio». Conteggi maniacali, di un costante e spietato prosciugamento di denari dalle buste paga degli operai sulle fatiche patite nei cantieri edili, tutti acquisiti dagli investigatori ed inseriti nella voluminosa ordinanza di 500 pagine circa. «Cassa Edile...vagliò è arrivata ve la devo portare ora o no? O facciamo i conti?». M. I. © RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 15 27/06/2014 Il Messaggero - Abruzzo Pag. 37 (diffusione:210842, tiratura:295190) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Subappalti, il 25 per cento senza sapere nulla dei lavori

LE INTERCETTAZIONI L'AQUILA «Io sto facendo i subappalti in queste, in queste condizioni... gli operai sono i miei. Io ti voglio dare il 25 per cento... io penso che il 25 per cento è una bella cifra... senza fare nulla e il resto me lo prendo io... lo stato di avanzamento è di 156 mila euro... mo' levagli quasi 50 mila euro dalla roba sua (Todima srl)... il 28 per cento è quasi 50 mila euro!». Tra i Serpetti (Todima srl) e i Di Tella vi erano chiari accordi nel senso che la società edile aquilana acquisiva i lavori in maniera diretta, mentre i Di Tella provvedevano al reclutamento dei lavoratori. «Il rapporto di collaborazione - scrive il gip del Tribunale dell'Aquila nell'ordinanza - produceva per i Di Tella, celandosi dietro ditte locali, di evitare di apparire in modo palese, riducendo il rischio di essere sottoposti a controlli nell'ambito dell'attività di monitoraggio, finalizzata alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose; per i Serpetti di acquisire sempre più lavori e dopo averli affidati ai Di Tella, riceva un compenso del 30 per cento dell'importo totale di ciascun lavoro». Tra il geometra Bianchini e Alfonso Di Tella appare chiara una intercettazione in cui si parla di un sal relativo ai lavori presso l'aggregato in via dell'Ortica. Un lavoro che sarebbe stato basso: «Non siamo arrivati nemmeno a 100 mila euro... so' scarsi...» e che avrebbe dovuto essere scorporato della percentuale del 30 per cento spettante alla Todima srl: «Praticamente fino a mo' noi non c'abbiamo guadagnato un c... e loro si prendono il 30 per cento senza problemi... capito... qual è... ecco perchè ho detto che stiamo a fa', a lavora' a c... qua». In un'altra intercettazione, Serpetti, parlando con sua moglie, elogia gli operai casertani, definendoli «rispettosi, cioè ma veramente... c'è gente che... cioè pure il rispetto che ti portano... il lavoro che fanno... la disponibilità...». La circostanza che i Serpetti fossero ben a conoscenza dei legami con i Di Tella e dunque con la criminalità organizzata (clan casalesi) si evince sempre dalle intercettazioni telefoniche. L'occasione è il matrimonio di Cipriano Di Tella avvenuto nel dicembre del 2012 a Casapesenna (Caserta) con il dribbling (documentato dagli investigatori) degli imprenditori aquilani per evitarlo, nonostante il pressing operato dai Di Tella. Sempre in un passo dell'ordinanza il gip evidenzia che i committenti degli immobili da ristrutturare per il ripristino dell'agibilità «credevano dunque di affidare i lavori a una delle più note imprese edili aquilane, ma non si rendevano conto che tale impresa era solo una copertura per l'esecuzione dei lavori da parte dei Di Tella». In una conversazione captata dagli investigatori, Serpetti e sua moglie commentano un articolo pubblicato su una inchiesta della Procura aquilana che aveva portato i finanzieri a effettuare delle perquisizioni a Elio Gizzi. Secondo Serpetti a scatenare l'interesse degli investigatori, l'errore dell'ex presidente dell'Aquila calcio di aver costituito la società Ges Tec quale mezzo di collegamento con i Di Tella: «È partito tutto da là perché hanno fatto una società... per camuffare un subappalto». Secondo i militari delle Fiamme gialle, il modus operandi dei Serpetti si differenziava da quelli di Gizzi, «attraverso la diretta stipula di lavori in subappalto». Sempre le indagini hanno portato alla luce «il disinteresse ai cantieri» da parte di Gizzi «dei quali nono conosceva neanche l'esatta ubicazione». Di Tella, rivolgendosi a Gizzi, afferma: «Tu stai incassando tutti 'sti soldi e non sai neanche da dove vengono... e noi ci stanchiamo...». M.I. © RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 16 27/06/2014 QN - Il Resto del Carlino - Macerata Pag. 10 (diffusione:165207, tiratura:206221) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

BELFORTE SODDISFATTO IL VICESINDACO ANTINORI : «VOGLIAMO AIUTARE E TUTELARE LE MAESTRANZE LOCALI» Spinta all'edilizia, la giunta riduce gli oneri di urbanizzazione

BELFORTE riparte dall'edilizia, con la riduzione degli oneri di urbanizzazione e i bonus previsti dal Piano Casa regionale. Scaduto nel dicembre 2013, ma prorogato dal primo agosto fino al 31 dicembre 2014 nel territorio di Belforte - comune apripista della provincia di Macerata (e tra gli unici in regione, con Pesaro). Con tanto di possibilità per la giunta di prolungare il periodo di applicazione anche per il 2015. La delibera si basa sulla legge regionale 22 e sul protocollo Itaca per l'edilizia sostenibile, che prevedono ad esempio che il contributo di costruzione non debba essere pagato quando si effettuano opere migliorative, tali da abbattere le barriere architettoniche (per l'ampliamento invece riduzione del 20%). L'obiettivo è rilanciare un settore chiave dell'economia. «Il nostro territorio presenta un'altissima percentuale di imprese edili storiche - ha spiegato il vicesindaco Mario Antinori -. Visto che la crisi continua ad incidere negativamente sui progetti di costruzione e valorizzazione dei fabbricati, e quindi sull'indotto delle ditte locali, abbiamo il dovere di adottare misure che siano da stimolo per un settore fermo da tempo. L'edilizia è una risorsa fondamentale sia in termini economici sia di qualità del lavoro per le maestranze locali. Vogliamo aiutarle e tutelarle, per una riqualificazione del costruito con edifici più sicuri ed efficienti dal punto di vista energetico. In sintesi, miriamo a un'edilizia di qualità». Image: 20140627/foto/4730.jpg

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 17 27/06/2014 ItaliaOggi Pag. 40 (diffusione:88538, tiratura:156000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato L'a.d. Cerri: avremo un portafoglio ordini di 33 mld entro il 2018 Astaldi punta sull'estero E sulla decisa diversifi cazione dei mercati

Crescita internazionale e diversificazione: sono gli elementi portanti della strategia di Astaldi, contenuti nel piano industriale al 2018 approvato ieri dal cda. Australia, Indonesia e Vietnam sono i nuovi mercati che il gruppo, attivo nelle costruzioni e nelle concessioni, sta puntando e dai quali si attende risultati a partire dal 2016. La strategia per i prossimi anni è stata illustrata dall'a.d., Stefano Cerri, che ha l'obiettivo di portare il portafoglio ordini di Astaldi dagli attuali 21 a 33 miliardi nel 2018, i ricavi sopra 4 miliardi (+10%) e l'utile netto a 230 milioni (+25%). «Il nostro gruppo è basato in Italia, che è ancora il maggiore mercato per ricavi», ha spiegato Cerri; tra i progetti in cantiere c'è la realizzazione della tratta ferroviaria ad alta velocità Brescia- Padova, recentemente definita «prioritaria» dal ministro delle infrastrutture, Maurizio Lupi. I paesi che cresceranno di più nell'arco di piano saranno Canada e Polonia, ma rimarranno forti anche Turchia, Russia e Sudamerica. In Africa, Astaldi resta concentrata sull'Algeria, il cui contributo sarà più contenuto, nonostante il gruppo vi stia strutturando «un'ulteriore presenza commerciale», ha anticipato Cerri. Nel continente americano, Astaldi valuterà invece «con calma» ulteriori opportunità tra Messico e Colombia, mentre in Canada si potrà sfruttare il campo dell'edilizia sociale (principalmente ospedali) e i progetti legati all'acqua. Un discorso a parte riguarda il Venezuela, da cui Astaldi attende il saldo di circa 300 milioni di euro. «C'è l'assoluta necessità di incassare questi crediti», ha detto Cerri. A livello finanziario, nei prossimi quattro anni per Astaldi il miglioramento del profilo di liquidità sarà «un obiettivo prioritario». Un contributo è atteso dalla vendita di «diverse concessioni», per le quali sono in corso «tre negoziazioni», che potrebbero portare in cassa «circa 600 milioni di euro in termini di liquidità». Nel piano, defi nito «prudente», non è prevista l'ipotesi di acquisire portafogli ulteriori; Astaldi non guarda a gruppi come la Todini, né ad accrescere il suo ruolo in progetti come la Pedemontana in Lombardia.

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 18 27/06/2014 L'Espresso - N.26 - 3 luglio 2014 Pag. 68 (diffusione:369755, tiratura:500452) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Reportage Così uccidono istanbul Un'immensa colata di cemento. Fatta di autostrade, quartieri per i nuovi ricchi, ricostruzioni di Venezia e della Toscana. Erdogan sta cambiando il volto della metropoli turca. Calpestandone la storia Di stefano simoncini -

Fate largo ai grattacieli In questa pagina, dall'alto: il centro commerciale di Istinye Park, con più di 300 negozi di griffe extralusso; un'anziana su un autobus; uno scorcio del Bosforo nei pressi del palazzo Dolmabahçe. Nell'altra pagina, dall'alto: il distretto di Atasehir, costruito dal Varlibas Group International nella parte asiatica della città con l'intento di farne il nuovo distretto fnanziario; la piscina all'aperto del Hillside city club; un interno dello studio fotografco Giycek, specializzato in "ritratti d'epoca": i clienti possono accedere a un ampia scelta di costumi ottomani Due epoche e due continenti Sopra: vecchi edifci del quartiere Tarlabasi; a destra: uscita dei passeggeri dal traghetto che collega Kadikoy (sponda asiatica del Bosforo) con il porto di Karaköy (sponda europea). Nell'altra pagina, dall'alto: il Café Mitanni a Beyoglu; un venditore di castagne arrosto sull'elegante zona pedonale Istiklal Caddesi (viale dell'Indipendenza), una delle più famose strade di Istanbul frequentata da circa tre milioni di persone al giorno nel corso dei fne settimana; terrazza panoramica nella zona di Nisantas, nella parte europea della metropoli turca; un negozio di lusso al Istinye Park Mall. Vista dalla terrazza dello Starbucks di Bebek, porticciolo turistico affacciato sul Bosforo, Istanbul sembra un'oasi di pace: i clienti ripiegati su pc e tablet, la sobria eleganza degli arredi anglosassoni, le lontananze della sponda asiatica con le residenze estive della ricca borghesia locale. Questa cartolina stride però di fronte ad altre immagini, quelle che hanno mostrato al mondo una Turchia fatta di rabbia e fratture sociali. Una realtà esplosa un anno fa con la rivolta di piazza Taksim e riafforata nel primo anniversario della sollevazione con ulteriori scontri, feriti, arresti. Era il 28 maggio del 2013 quando s'innescarono le prime mobilitazioni in difesa di Gezi Park, lo striminzito parco pubblico che stava per essere cancellato per far posto a uno shopping mall travestito da caserma ottomana. Quella scintilla diede fuoco alle polveri in tutta la Turchia, che si ritrovò in pochi giorni sull'orlo del baratro: barricate in tutto il Paese, contromanifestazioni e una repressione violenta che ha lasciato 12 vittime. Per comprendere le ragioni profonde di questi accadimenti e la loro intima correlazione, bisogna guardare alle grandi trasformazioni urbane che stanno cambiando il volto della città, facendo galoppare il Pil ma sfgurando territorio e società. Tra nuovi ponti e autostrade, negli ultimi trent'anni Istanbul si è espansa a macchia d'olio tra distese di baraccopoli, schiere di torri residenziali e fulgidi centri direzionali. Senza regole e senza disegno. Mentre la raffnata borghesia kemalista, laica ed europea, veniva sovrastata dalla classe di imprenditori e politici islamici di origine anatolica, la misurata monumentalità di Beyoglu e i pittoreschi vicoli di Galata venivano inghiottiti da un gigantesco conglomerato che oggi ha raggiunto quasi i 14 milioni di abitanti. Negli ultimi anni, in seguito alla crescita economica e all'egemonia incontrastata del premier Recep Erdogan, si è prodotta un'ulteriore accelerazione che ha trasformato la città in un immenso cantiere. Questa nuova fase è stata pianifcata in un programma governativo definito "visione politica del 2023". Si tratta di un ampio ventaglio di obiettivi messi in campo in vista del 2023, anno del centenario della Repubblica, tra cui quello di fare della Turchia l'ottava potenza economica mondiale, e di Istanbul un centro fnanziario globale. Atasehir è un quartiere periferico della parte asiatica a ridosso dell'autostrada Istanbul-Ankara, che ha visto nascere nel giro di 4-5 anni una foresta di torri di cemento, insieme alla nuova moschea Mimar Sinan, la più grande della Istanbul asiatica, costruita in appena due anni. La moschea è in cima a una collina, ben visibile da ovunque si arrivi. Osservando il panorama dalla sua terrazza, si intravede la Istanbul del 2023. Due enormi cantieri, da un lato e dall'altro dell'autostrada, segnano il perimetro del cosiddetto IFC, Istanbul Financial Center, un'impresa da tre miliardi di dollari che prevede l'insediamento della Borsa valori e il trasferimento da Ankara della sede della Banca centrale turca, nonché la costruzione del complesso "Metropol Istanbul", un mix funzionale di residenze, uffci, albergo e centro commerciale, da cui svetterà la torre più alta di Istanbul, oltre 250 metri. L'IFC occuperà una superfcie di 2,5

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 19 27/06/2014 L'Espresso - N.26 - 3 luglio 2014 Pag. 68 (diffusione:369755, tiratura:500452) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

milioni di metri quadri: più vasta di quella dei centri fnanziari di New York, Londra e Dubai messi insieme. Guardando oltre le voragini dei cantieri, verso il Bosforo a Occidente, si scorge la collina Çamlca, una delle poche aree verdi rimaste in città, sulla cui sommità è prevista la costruzione di un'altra immensa moschea, con una superfcie di 15 mila metri quadri e i minareti più alti del mondo. Il disegno complessivo non emerge dal piano regolatore, strumento quasi ininfuente a Istanbul, ma riunendo i vari tasselli appare evidente. Come l'intera Turchia, anche Istanbul vuole diventare il cuore pulsante di una nuova potenza regionale e continentale, in un coacervo di tradizionalismo e ipermodernità. In primo luogo ci sono le grandi opere avviate o pianifcate, così tante che è diffcile enumerarle. Si parla di metropolitane, autostrade, ponti, canali, aeroporti, un trionfo di immani opere per lo più fnan ziate con il sistema del Build-OperateTransfer (BOT), che lascia ai privati l'onere dell'investimento e l'onore di una concessione remunerativa. È il sistema usato per la realizzazione dell'autostrada Istanbul-Izmir, 435 km di asfalto e uno dei ponti sospesi più lunghi del mondo, l'Izmit Bay Bridge, che è stato iniziato un anno fa e sarà completato nel 2017. Insieme ai lavori, la concessione dell'infrastruttura per 22 anni è andata a un consorzio di cui fa parte, unica straniera, l'italiana Astaldi. Quest'ultima si è aggiudicata anche la costruzione del terzo ponte sul Bosforo, che ha suscitato aspre polemiche poiché si teme possa compromettere la residua fascia verde a ridosso del Mar Nero, di grande valore naturalistico, inducendo una rapida urbanizzazione. A questo attivismo urbanistico si affanca uno sfrenato sviluppo immobiliare, nel quale la fantasia di costruttori e investitori si sta sbizzarrendo senza freni. Non sorprende soltanto l'entità degli insediamenti, con le foreste di torri residenziali che svettano da un anno all'altro cancellando pezzi di territorio, o le immense demolizioni e ricostruzioni, anche su tessuti storici. Sorprende anche la forza con cui l'urbanistica modella comportamenti e stili di vita, "brandizzati" in televisione e sul Web con suggestive ricostruzioni virtuali. Ormai si sta andando ben oltre il modello delle "gated communities", le enclave residenziali esclusive e protette. Ora sono pezzi di città che includono il mondo, lo cancellano. È il caso di "Maslak 1453", una città nella città, o di "Brandium Atasehir", la cui promozione dichiara che non avrai più bisogno di uscire di casa, perché a "Brandium" si lavora, si fa shopping, si esce la sera. Ma in questi feudi tecnologici non s'ingloba soltanto il mondo circostante, fatto di bisogni e desideri quotidiani, s'ingloba anche il resto del mondo, i desideri di fuga e benessere più esotici. E per i turchi di oggi gli esotici siamo noi: due progetti sconcertanti sono stati recentemente avviati nella periferie Ovest e Nord- Ovest. Il "Viaport Venezia" afferma con una certa involontaria ironia di avere «molto di più da offrire di Venezia»: con gondole e canali riprodotti con fedeltà tra una manciata di grattacieli, accanto alla metropolitana che in 20 minuti ti porterà al centro di Istanbul. "Tuscan Valley" apre la sua accattivante descrizione con il titolo "I tuoi sogni diventano la tua vita", mostrando come siano riusciti a riprodurre casali, cipressi e vigne del Chianti a mezz'ora di macchina da Istanbul. Oltre alle 524 ville, non mancano un "Dolce Vita Sports & Life Club" e il "Tuscan Shopping Arcade". Dietro l'operazione c'è Emaar Properties, dello sceicco di Dubai, già artefce del grattacielo più alto del mondo, che sta costruendo ad Atasehir anche un enorme centro commerciale di superlusso (con tanto di zoo): ecco perché si parla, non a torto, di "dubaizzazione" di Istanbul. La dismisura insomma è la regola, sintonizzata sull'entità dei fnanziamenti che si vogliono attirare e sugli stili di vita di una superclasse che si muove da una città globale all'altra. Il tutto in un rapporto inversamente proporzionale tra proftti e diritti. Mettere piede in uno di quei cantieri signifca capire su cosa si fonda la nuova ricchezza: masse di curdi lavorano per lo più informalmente e a ritmi insostenibili, falcidiati dal caporalato e dalle morti bianche, per garantire questo balzo dall'antico all'ipermoderno, dove autoritarismo politico ed enormi concentrazioni di capitali si alleano per cancellare, in nome della crescita e dello sviluppo, i territori e i diritti. Stefano Simoncini foto Di Lina PaLLotta Per L'esPresso È un trionfo di grandi opere a cui lavorano migliaia di curdi sottopagati. Obiettivo: una megalopoli ispirata al kitsch e alla dismisura Foto: L'area commerciale di piazza Karaköy nel nucleo storico di Galata, a Istanbul Foto: sopra: uno dei tantissimi cantierti aperti in città per la realizzazione del progetto "visione 2023" che si propone di cambiare il volto a istanbul e dintorni. a sinistra: passanti e donne sedute su una panchina in

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 20 27/06/2014 L'Espresso - N.26 - 3 luglio 2014 Pag. 68 (diffusione:369755, tiratura:500452) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 21 27/06/2014 L'Espresso - N.26 - 3 luglio 2014 Pag. 42 (diffusione:369755, tiratura:500452) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Attualità Tangentopoli in laguna Collaudo ricco mi ci ficco Dovevano controllare gli appalti, ma erano scelti dai controllati. È l'ultimo scandalo del Mose. Ecco tutti i nomi gianfrancesco turano

Carta igienica frmata. Le grandi maison del lusso non c'entrano. È il modo pittoresco di Pio Savioli per descrivere i controlli del Magistrato delle Acque (Mav), il braccio operativo del governo italiano per le opere in laguna. L'uomo delle cooperative socie del Consorzio Venezia Nuova ha risposto così ai giudici che indagano sul Mose. La dichiarazione esatta di Savioli è: «Il Mav? Lì puoi anche portare la carta igienica usata che te la frmano». L'immagine è poco piacevole e in forte contrasto con la sede dell'istituzione, il palazzo dei Dieci Savi, uno splendido edifcio cinquecentesco ai piedi del ponte di Rialto. Ma è un'immagine calzante. Lo spiega un indagato eccellente dell'inchiesta veneziana, uno di quelli che a palazzo dei Dieci Savi hanno comandato più a lungo. «Ammetto che i collaudatori del Mose erano stati quasi sempre scelti dal Mazzacurati: in realtà le nomine le facevo io ma su indicazione e pressione del Mazzacurati, con alla fne una effettiva coincidenza tra il soggetto controllato e colui che nominava il collaudatore. Una delle ragioni di tali nomine era il fatto che da tali persone dipendeva, o comunque anche da loro, la continuità dei fnanziamenti del Consorzio Venezia Nuova». Firmato Patrizio Cuccioletta, in data 16 giugno. L'ex presidente del Mav, arrestato nell'inchiesta sul Mose, ci ha messo un'ora e trentasei minuti a chiarire ai magistrati come funzionava lo scambio di ruoli che ha creato un danno alle casse pubbliche di almeno un miliardo di euro, se è corretta la valutazione di Piergiorgio Baita, ex amministratore delegato della Mantovani, azionista di riferimento del Consorzio Venezia Nuova (Cvn) presieduto da Giovanni Mazzacurati. La quota spesa nei collaudi - 26 milioni di euro totali - è quasi simbolica rispetto allo sperpero generale di un'opera che costerà 5,6 miliardi di euro. Lo stesso Baita ha inserito i collaudi fra le componenti "bianche" di quei 100 milioni di euro annui spesi dal 2003 per oliare la macchina statale e garantire al Consorzio una corsia preferenziale su ogni altra opera pubblica. Era uno degli elementi del "budget del consenso", come Baita l'ha defnito, insieme alla struttura dirigenziale del Consorzio, ai fondi per i politici e ai margini di guadagno sulle opere per i soci privati. Si può aggiungere che era una componente legale, legittima e necessaria per un intervento ingegneristico rivoluzionario in un habitat fra i più delicati del globo. Se non fosse che il controllore aveva lasciato campo libero al controllato. L'ammissione di Cuccioletta nell'interrogatorio del 16 giugno è il passo decisivo per concedere il patteggiamento all'alto funzionario dello Stato ed è così importante proprio perché i giudici vogliono accertare le responsabilità dei politici nazionali e dei manager di Stato nel bengodi del Mose. La gestione delle commissioni di collaudo è un passaggio chiave di questa strategia, riassunta nelle due pagine di verbale dove Cuccioletta ammette di essersi venduto a Mazzacurati per alcuni milioni di euro, ricavati da quei 15 milioni circa di "nero" annuo di cui ha parlato Baita. Cuccioletta, presidente del Mav per due volte (dall'ottobre 1999 al giugno 2001, poi per altri tre anni dall'ottobre 2008 al 2011) e la sua collega Maria Giovanna Piva, alla guida del Mav dal 2001 al 2008, anche lei arrestata, rivestivano un ruolo fondamentale di controllo tecnico, amministrativo ed economico nei lavori del Mose. Il Mav dipende infatti dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (Mit). Formalmente, l'assegnazione dei collaudi è nelle sue competenze specifche. A liquidare le parcelle, però, è il Cvn in base all'accordo sul concessionario unico. Quindi, l'incarico pubblico è pagato dalle imprese private (Mantovani, Mazzi, Condotte, cooperative). Il ragionamento di Mazzacurati, numero uno del Cvn fno all'arresto nel luglio del 2013, era in sostanza: io spendo, io nomino, voi ricambiate. Sotto il proflo processuale adesso spetterà al grande vecchio del consorzio, se lo riterrà opportuno, illuminare i magistrati sugli incarichi distribuiti in modo da garantire non soltanto la continuità dei fnanziamenti di cui ha parlato Cuccioletta, ma anche la serena atmosfera consensuale sulla quale in tanti hanno prosperato. Le liste che l'Espresso ha consultato e pubblicato vedono in prima fila tutta l'alta dirigenza Anas, che replicato con sdegno minacciando querele. Ma oltre ai presidenti della più grande stazione appaltante d'Italia Vincenzo Pozzi (808 mila euro fatturati) e Pietro Ciucci (508 mila euro), oltre ai direttori generali (Francesco Sabato 332 mila euro fatturati, Alfredo Bajo

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 22 27/06/2014 L'Espresso - N.26 - 3 luglio 2014 Pag. 42 (diffusione:369755, tiratura:500452) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

36 mila euro) e ai direttori centrali (Piero Buoncristiano 251 mila euro, Mauro Coletta 34 mila euro, Massimo Averardi, 232 mila euro) le carte dei pagamenti elencano una pletora di magistrati come Vincenzo Fortunato (300 mila euro fatturati) e di alti dirigenti della pubblica amministrazione statale e locale. Per ognuna delle tre bocche di porto (Lido-Malamocco-Chioggia), per le opere fsse, per quelle mobili, per tutti gli interventi collaterali, sono state attivate oltre 70 commissioni di collaudo. Sulla loro composizione il Mav non ha fnora ritenuto di dovere informare l'opinione pubblica. Il motivo di questo frazionamento dipendeva sì dalla necessità di procedere man mano che arrivavano i fondi da Roma, ma consentiva anche di allargare la base del consenso. E se poi i collaudatori non erano più all'altezza dell'evoluzione politica, si cambiavano. È successo all'ex dg dell'Anas Sabato, nominato da Piva a Lido-San Nicolò ed estromesso nel 2009 proprio da Cuccioletta, legatissimo al ministro dell'epoca Altero Matteoli. Nella stessa commissione la Piva aveva nominato l'architetto di Gianni Di Gregorio (383 mila euro) e il geometra Gualtiero Ceserali (301 mila euro fatturati) che, dopo le polemiche sulla sua insuffciente qualifca, rimase in commissione come segretario. Piva è stata poi nominata dalla Regione per il collaudo del nuovo ospedale di Mestre costruito dalla Mantovani. Pozzi, attuale presidente della Cal (concessioni autostradali lombarde) e commissario della Roma-Latina, ha lavorato invece alla bocca di Malamocco insieme al dirigente del Mit Maria Pia Pallavicini e all'ex direttore del personale Anas Buoncristiano, ad della Cav (concessioni autostradali venete) dopo Eutimio Mucilli, collaudatore pure lui e oggi ad della Quadrilatero Marche-Umbria, controllata dall'Anas. La revolving door con l'Anas ha funzionato in modo che Ciriaco D'Alessio, presidente del Mav dopo Cuccioletta fno ad aprile 2013, è stato poi assegnato all'unità riserve dell'Anas, la commissione che valuta le richieste di extracosti delle imprese, con un contratto da 70 mila euro. A volte, si passava dal collaudo al Mav o viceversa. È capitato all'ex vicepresidente del Mav Giampietro Mayerle. È capitato, per la bocca di Lido, al responsabile amministrativo del Mav Cinzia Zincone, ad Alfredo Caielli, per lunghi anni responsabile dell'Uffcio salvaguardia, quello da cui dipendeva il Consorzio, a Fabio Riva, attuale dirigente dell'Uffcio salvaguardia, e anche al presidente del Mav in carica Roberto Daniele, che però ha lasciato l'incarico di collaudo appena nominato a palazzo Dieci Savi. Per Zincone e Daniele, come per Pallavicini, è inoltre scattato l'obbligo di versare quasi due terzi della parcella al Mit. L'arrivo di Daniele al Mav ha creato qualche scompenso. Ciucci e l'ex capo di gabinetto in diversi ministeri Fortunato, oggi liquidatore della Stretto di Messina, si sono visti revocare da Daniele un collaudo assegnato da D'Alessio (400 mila euro di importo presunto) e hanno fatto ricorso al Tar del Veneto. Un'altra categoria ben rappresentata in commissione di collaudo è quella dei provveditori alle opere pubbliche. Ci sono Luigi Minenza (Abruzzo), Donato Carlea (Campania-Molise), Franceso Musci (Puglia-Basilicata), Lorenzo Ceraulo (Calabria-Sicilia), l'ex Federico Cempella (Friuli), l'altro ex Francesco Errichiello (LombardiaLiguria) oggi assegnato a Expo 2015. I dirigenti del Mit di prima e seconda fascia sono rappresentati da Marcello Arredi (182 mila euro di stipendio annuo e 51 mila di collaudi), da Andrea Ferrante (consiglio superiore lavori pubblici), da Maria Lucia Conti (edilizia statale) e da Bernadette Veca, direttore generale per i contratti pubblici con 160 mila euro di stipendio annuo e 166 mila euro di collaudi fatturati. Chiudono la fila i dirigenti sponsorizzati dai politici come Walter Lupi commissario al terzo valico MilanoGenova, vicino all'ex senatore Pdl Luigi Grillo, arrestato a maggio per la cupola dell'Expo, e Adriano Rasi Caldogno, dirigente regionale e Capo di Gabinetto di Galan quando divenne ministero per i Beni culturali. Tutti insieme per l'opera più consensuale del mondo. M. Toniolo - Errebi,M. Toniolo - Errebi (2), D. Scudieri - Imagoeconomica, M. Frassineti - Agf GIOVANNI MAZZACuRATI. A DESTRA: VINCENZO FORTuNATO. SOTTO: PIETRO CIuCCI. IN ALTO: PIERGIORGIO BAITA. NELLA PAGINA A FIANCO: PATRIZIO CuCCIOLETTA Foto: i cantieri del mose alla bocca del porto di chioggia

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 23 27/06/2014 Il Fatto Quotidiano Pag. 6 (tiratura:100000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato L' intervista/Giancarlo Galan " Ho fatto molti errori ma non ho rubato " I calcoli sui miei redditi non tengono conto di diversi introiti e compensi, facendomi passare per un nullatenente. A proposito della mia quota in Adria Infrastrutture ammetto di aver sbagliato, ma non sono un socio occulto. Nella mia sconfinata buonafede pensavo che i lussi della Minutillo glieli regalasse il marito o qualche moroso Marco Lillo e Marco Travaglio

Marco Lillo e Marco Travaglio Onorevole Giancarlo Galan, lei nega di essere perseguitato dalla magistratura. Anzi, dice che al posto dei magistrati di Venezia, se la Guardia di Finanza le avesse portato le stesse carte sul suo conto, si sarebbe comportato nel loro stesso modo... Beh, avrei avuto gli stessi sospetti su Galan. Però non mi sarei arrestato. Prima, almeno, mi sarei interrogato. Dandomi modo di smontare tutti gli errori delle indagini della Finanza. Ma perché la Finanza avrebbe dovuto incastrarla senza motivo? Non vorrà sostenere che ce l'ha con lei? Sì. Secondo me ha commesso questi errori in buona fede. Non sono mai stato un dietrologo. Mi limito a constatare che hanno scritto un sacco di cose sbagliate. Per esempio? Non hanno calcolato la parte non imponibile dei miei stipendi di parlamentare. Che è molto più cospicua di quella imponibile. Ecco, guardate, questi sono i bollettini delle mie indennità: prima pagina, imponibile, 5 mila 178 euro al netto; seconda pagina, non imponibile forfettario, 13 mila e 335 euro, nette. A fine mese, quando arriva il deposito, la banca ci manda due distinti sms per avvertirci. La Finanza s'è scordata, sempre, per mesi, per anni, la parte non imponibile. Che da sola ammonta a 671mila euro dal 1994 a oggi, con intervallo dei miei mandati di governatore del Veneto. Mica sono noccioline. Poi sfido io che non si spiegano il mio tenore di vita. Fanno apparire lei e tutti i parlamentari poverissimi. Avranno creduto alla bufala dei tagli alla Casta. Ma quindi, se non abbiamo capito male, la parte non imponibile e forfettaria, i nuovi senatori presunti " gratuiti " , anche abolendo l ' indennità, seguiteranno a percepirla? Eh, credo proprio di sì: non ci avevo mai pensato! È vero, avete ragione. Cioè: se Renzi dice " ai nuovi senatori togliamo l'indennità " e toglie solo questa su 13 mila euro, gli altri 8 mila restano? Torniamo a lei, cos'altro manca, nel calcolo della Finanza, sui suoi redditi? Mi mettono giustamente in negativo il magazzino che trovano a 161 mila euro, ma non mettono quello di partenza: cioè mi fanno nascere nullatenente dall'anno 2000, mentre solo in quell'anno, e solo dalla vendita delle azioni di Antonveneta (dove avevo investito la mia liquidazione di Publitalia: 700 milioni di lire), ho incassato una cifra esorbitante: 522 mila euro. Si sono scordati due rimborsi assicurativi per due infortuni che ho subìto, roba da decine di migliaia di euro. Non hanno contato nei redditi della mia famiglia quello che il padre del figlio di mia moglie le versa: sono 1.550 euro al mese dal 2005, 18.600 euro netti all'anno, senz'alcuna imposizione. E poi, clamoroso, non han calcolato tutti i miei compensi di Publitalia, dov'ero manager prima di entrare in politica nel ' 94: nei due anni precedenti avevo guadagnato 660 milioni di lire. Nemmeno le mie tre indennità di fine rapporto, che ho percepito tutte e tre le volte che ho fatto il presidente della Regione. E poi perché hanno preso solo il decennio 2000-2010? Pensano che prima fossi un disoccupato ridotto alla mendicità? In totale la Finanza mi " toglie " , a furia di omissioni, quasi 1 milione e 700 mila euro, e altri 340 mila euro a mia moglie (Sandra Persegato, Forse non le giova la fama del suo partito: in Forza Italia trovare inquisiti innocenti è dura. Ah ah, questo non l'avevo considerato... Scherzi a parte, mettiamo anche che gli inquirenti abbiano omesso alcune sue entrate sbagliando la ricostruzione per difetto. Però il suo problema più grosso è un altro: lei era ed è socio di tutti e tre gli indagati che l'accusano: l'ex segretaria-tuttofare Minutillo, il manager Baita e l'ingegner Mazzacurati presidente del Consorzio Venezia Nuova... Distinguiamo. Per me Mazzacurati era un nuovo ingegner Negrelli, quello che fece il Canale di Suez: lo vedevo come una specie di mito. Baita e Minutillo invece non sono certo stinchi di santo. Ma sono considerati attendibili a prescindere: come si fa? Qualche dubbio, al posto degli inquirenti, io l'avrei sulle loro versioni: hanno tutto l'interesse a scaricare su di me le somme che magari si sono intascati loro. Sì, ma è proprio questo il suo punto debole: sono suoi soci, per giunta in un ' operazione ' o cc u l t a ' . Lei si è schermato dietro un'intestazione fiduciaria per essere socio al 7% di Adria Infrastrutture all ' insaputa di tutti.

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 24 27/06/2014 Il Fatto Quotidiano Pag. 6 (tiratura:100000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

E questa società opera nel settore delle infrastrutture proprio nel Veneto che lei governava, e proprio insieme a Baita e Minutillo che oggi sono i suoi grandi accusatori. Lo ammetto, non lo dovevo fare. L'ho fatto per avere un'occupazione dopo la politica. Ma per garantire un futuro sereno agli ex parlamentari i cittadini pagano già il vitalizio. Lei non è certo una persona indigente e, uscito dal Parlamento, non si sarebbe trovato in mezzo alla strada. In ogni caso, fra tante attività imprenditoriali, perché sceglie proprio di associarsi all'impresa Mantovani amministrata da Baita, il più grande costruttore di opere commissionate dalla Regione di cui lei era presidente. No, no, fermi. Io sono socio non occulto, ma tramite una fiduciaria della Banca Intesa, perfettamente legale. Mica una fiduciaria tipo " Compro oro e pago in contanti " all'angolo della strada! Lei queste cose le può dire in tv e qualcuno le crede ma non al Fatto: le fiduciarie servono a schermare i soci. Infatti per anni i giornalisti hanno scritto di Baita e Minutillo ma nessuno ha mai potuto dire che lei era socio di Adria Infrastrutture. Ma ero socio di un grande manager come Baita e di un ingegnere prestigioso come Mazzacurati in una società praticamente inattiva fino a oggi, in vista di qualcosa che intendevo fare nel lontano futuro, da ex politico. Adria Infrastrutture non fa nulla: a parte forse qualche fattura falsa di cui io non sapevo nulla fino all'altro giorno. Col 7%, si figuri! Mai partecipato a una riunione. E, mentre ero governatore del Veneto per l'ultima volta, dal 2005 al 2010, Adria non ha avuto incarichi e il socio Mantovani non ha più vinto una gara. Anzi ha perso il progetto più grosso: la Pedemontana. Perché dice: " Questa non la dovevo fare " ? Anche lei si rende conto almeno del conflitto d'interessi? Tutti hanno un patrimonio di rapporti, di conoscenze tecniche e umane, che io pensavo un giorno di sfruttare per fare ciò che non ho mai fatto: l'imprenditore in proprio. Sapete cosa mi affascinava? A parte la società con Mazzacurati e Baita, l'idea di fare concorrenza al Telepass. Io il Telepass l'ho sempre odiato. Qui non c ' era solo conflitto di interessi, l'accusa di corruzione non nasce solo dal fatto che lei è socio di Adria Infrastrutture, ma anche e soprattutto dal fatto che lei non avrebbe pagato la sua quota del 7%: l'impresa Mantovani avrebbe versato il capitale al posto suo. Vi parrà strano, ma questo non lo so. È una delle tante cose che devo chiedere al mio amico commercialista, Paolo Venuti, che si occupava per me di tutte queste cose con la più ampia delega e la mia più totale fiducia. Purtroppo non ho ancora potuto chiedergli nulla, perché è in gabbia. Ma Venuti poteva prendere i suoi soldi per acquistare una quota di Adria senza dirglielo? Ma certo, abbiamo deciso di fare questa operazione e poi ci ha pensato lui. Siamo nel 2007. La quota di 500 azioni comprata da Venuti a nome di Venuti, ma per conto di lei Galan, viene pagata 350 mila euro: secondo l'accusa, i due terzi, cioè 237 mila, li mette Mantovani. Ma io questo non lo so! Bisogna che parli con Venuti! Perché secondo me Adria Infrastrutture non valeva proprio un cazzo. Per me era un investimento per un lontano futuro. Nell'immediato, diciamo che era un posto inventato da Baita per dare uno stipendio alla Minutillo, va bene? Lei è a tutt'ora socio allo 0,81% di Adria Infrastrutture . Io? Sì, lei. Ha soltanto lo 0,81% perché nel frattempo hanno fatto altri aumenti di capitale. Non pensa che dovrebbe regalarla domattina? Se tirate fuori carta e penna la regalo a voi ora! Non me ne frega niente... Era il mio sogno di fare l'imprenditore con un ingegnere che sarebbe finito nelle enciclopedie, con un manager che era oggettivamente bravissimo... La Minutillo ha raccontato ai magistrati che andava in giro dagli imprenditori a raccattare soldi in nero per le sue campagne elettorali. Lei invece nega che lo facesse su suo mandato: ma ha mai controllato? Non ha mai saputo se i vari Mantovani, Mazzacurati & C. la finanziavano? No, guardate: Mantovani era troppo furbo per farlo. E comunque lì sei praticamente obbligato a delegare tutto: alle campagne bada il partito, io ero il candidato governatore di Forza Italia, del centrodestra, mica a titolo personale. E poi chi mi conosce lo sa come sono fatto: lascio soldi, telefonini dappertutto, perché do per scontato che la cameriera, mia moglie, gli amici, i collaboratori che passano non li toccano... Ma come fa a non sapere chi ha pagato la sua quota di Adria Infrastrutture? Se mi ritrovo con una quota di 350 mila euro mi chiedo chi paga, o no? Sul " come fa lei a non sapere? " potete lavorare all'infinito. Non mi informavo, mi fidavo dei miei collaboratori. Potevo non sapere che la Minutillo era così ricca? Sì, perché non mi interessava, non era il mio lavoro. Se uno mi accusa di culpa in vigilando, ci azzecca. Ma non sono un corrotto. La Finanza dice che la quota del 5 per cento in Adria Infrastrutture di Chisso è stata pagata da Baita 2 milioni, quindi la sua valeva circa 2,5 milioni. Guardi, se qualcuno mi desse

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 25 27/06/2014 Il Fatto Quotidiano Pag. 6 (tiratura:100000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

2 milioni di euro per il 5 o il 7% di Adria Infrastrutture, andrebbe internato. Perché la società non ha mai fatto nulla. Ma dal bilancio risulta che ha fatto il project financing delle più grandi infrastrutture del Veneto: la piattaforma logistica di Fusina, la Superstrada Nogara-Adriatico; la Via del Mare, il passante Alpe Adria e sta entrando anche nella autostrada da Orte a Mestre Ma no, stiamo parlando di opere che forse si faranno, ma per ora non c'è nulla, nessuna gara, nessun progetto, nemmeno una dichiarazione di interesse pubblico. In gran parte non ne ho mai neppure sentito parlare. E io sono fuori dalla regione da 4 anni, e la Minutillo l'ho cacciata nel 2005, non è più con me da 8 anni... Cioè, in quelle opere non ho più da tempo alcuna voce in capitolo, non posso incidere né dal lato attivo né da quello passivo. Non conto più nulla in Veneto. Nel bilancio di Adria Infrastrutture si legge: " pro gettazione, costruzione ed esercizio della superstrada a pedaggio Via del Mare. Committente: Regione Veneto. Project Financing " . Lei c'era quando è stato proposto questo Project Financing nel 2 0 07 No, se ne parlava credo dal 1995, ma non è stato certo fatto il project financing mentre c'ero io. Quindi l'ha fatto la giunta Zaia? E il Grande Raccordo Anulare di Padova? E le altre opere? Non c'ero neanche lì. Ma il Project Financing c'è stato... Ma non può fare un processo alle intenzioni! Capiamoci. Un consorzio di imprese presenta un progetto. Come se ne possono fare diecimila da parte di chiunque. Poi la Regione decide se è di interesse regionale. Poi la Regione dichiara la pubblica utilità e chiunque può fare un'offerta in concorrenza. Parliamo della sua segretaria, Claudia Minutillo: lei dice che voleva assumere sua cugina, poi invece ingaggiò la Minutillo che era stata appena licenziata dal deputato forzista Bonazza Buora: non ha chiesto perché l'aveva cacciata? Non era una bella re fe re n za . Ma io l'ho presa proprio perché Bonazza l'aveva cacciata: per me era un'ottima referenza, un titolo di merito. Lui mi stava antipatico e lei venne da me in lacrime, mi fece pena. E poi era brava, nei 4 anni e mezzo dal 2000 al 2005 che ha lavorato con me l'ha fatto bene. Poi lei l'ha cacciata. Perché - dice - " stava antipatica a tutti, anche a mia moglie... " . Dobbiamo proprio crederci? e inaugurato io. Per legge antimonopolio, il 20% della capacità produttiva per legge (8 miliardi di metri cubi) dev'essere a disposizione dei concorrenti, cioè del Qatar che fornisce materialmente il gas: se volevo, parlavo col Qatar e mi facevo impacchettare un po' di gas a mio nome e ci facevo il business. Ma non l'ho fatto, naturalmente. L'Indonesia non so manco dove sia, mai stato lì. Non so nulla nemmeno delle obbligazioni di un milione della società Thema di cui avete scritto voi. Altre intercettazioni parlano degli affari di sua moglie. Tante idee, pochi fatti. Ma mia moglie è un vulcano di idee. Pensi che s'era messa in testa di fare delle gelaterie in India, ci ha lavorato, ma poi non se n'è fatto nulla. Invece ha fatto bene quando è entrata in una società del biogas, che ora dovrebbe produrre i primi utili. Lei è socio al 50% di Ihlf tramite un'altra fiduciaria. Ma va là, il vero socio dietro quel 50 per cento è un certo Gilberto Bertipaglia. Io ho una quota minore che non so nemmeno quanto sia. Ma cos'è questa mirabolante società? Un'associazione di professionisti che fanno consulenze - esclusiva mente all'estero e in particolare in Cina - su come funziona il sistema sanitario del Veneto, che è il quarto più efficiente al mondo. Ma anche lì non abbiamo mai fatto nulla. Mai stato in Cina: una volta Bertipaglia mi ha portato a pranzo sui Colli Euganei con un cinese. E io dovrei sentirmi in imbarazzo? È' il mio pallino dell'impresa: non voglio morire facendo politica e trovo patetici i vecchi ex politici che non sanno cosa fare. Parliamo della sua famosa villa. Baita le ha regalato - come dice - i lavori di ristrutturazione? No. La proprietà ha due case, una molto bella, Villa Correr, venduta dai vecchi proprietari a uno speculatore d'arte e poi messa all'asta giudiziaria. Al 15° tentativo, dopo 14 deserti, se la aggiudica Totò, un dentista di Pantelleria, simpaticissimo, che vuole farci uno studio odontoiatrico: la restaura, poi si accorge che non gli serve e i figli lo costringono a venderla. Io la compro a meno di 1 milione di euro, cioè a 6 volte il prezzo pagato da lui, perchè era già tutta restaurata. Io ci faccio solo due interventi, dell'impresa di Turato. Baita sbaglia addirittura la ditta che fa i lavori, che non si chiama Tecnoqualcosa ma Architest. E poi sbaglia le date: parla di lavori ancora nel 2011, quando erano finiti da due anni! E l'altra tenuta di 400 ettari " La Frassineta " , quella in cui era socio di Don Gelmini? Sta sull'Appennino tosco-emiliano. Don Pierino Gelmini ha svenduto il suo patrimonio. Questa tenuta, solo boschi, erba e castagni, con un paio di ruderi che non ho i soldi per mettere a posto, l'abbiamo presa per 800 mila euro con Niccolò Ghedini, con un terzo che poi è uscito. E le nostre mogli, perchè la signora Ghedini è

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 26 27/06/2014 Il Fatto Quotidiano Pag. 6 (tiratura:100000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

una Iap, Imprenditore Agricolo Professionale, per cui paga l'Iva all'1%. Poi Ghedini è uscito, sa le mogli... Con Ghedini siete amici da prima della politica? Lui era amico di mio fratello dall'università, sono coetanei: due anni in meno di me. Siamo tutti di Padova, amici fin da ragazzi. Ma lo porta lei a Berlusconi? No, intorno al 1994, Berlusconi ha un processo a una delle sue società e affida una parte della sua difesa allo studio Ghedini-Longo. Conosce Ghedini, gli piace e un giorno che viene a Padova, all'Hotel " Le Padovanelle " , mi domanda se lo conosco. Così faccio venire Niccolò all'albergo, i due si chiudono in una stanza e da lì inizia il rapporto. L'accusano anche per quei 50 mila euro depositati su un conto a San Marino. Dunque: io faccio il primo storico accordo tra una Regione e uno Stato estero, la Repubblica di San Marino. Ci apro un conto corrente col mio nome e la carta d'identità, una roba simbolica: ci metto dentro 200 euro e vado via. Estate 2004. Un anno dopo ci trovo dentro 50mila euro versati dalla Minutillo con una firma falsa che imita la mia; sei mesi dopo, Colombelli, dirigente della BMC e legato alla Minutillo, li preleva, ancora imitando la mia firma. Se incontrasse la Minutillo, cosa le direbbe? Se uno mi dicesse " Esprimi un desiderio " , io vorrei 30 minuti di assoluta impunità chiuso in una stanza con la Minutillo. Perchè non si può fare così. È disumano,al di là di ogni immaginazione... Io ho colpe in eligendo e in vigilando, per l'amor di Dio, le ho pagate anche nel resto della mia vita. Ma, ostia, cio ' ! Una cosa così non è possibile... Baita lo capisco di più, è un cinico calcolatore, lui sta rifacendo quello che faceva prima come consulente con ottimi rapporti con Mantovani e altri in altri settori: se l'è cavata con un anno e 10 mesi. E tra un pò pensa di rifare il deus machina... Ma la Minutillo no, non la capisco. Si sente tradito? Brivido Caldo Peggio: indignato. L'ho presa da Vuitton e l'ho lasciata da Chanel. All'inizio piangeva disperata, e questi pianti me la rendevano un po ' più umana. Per questo ora mi girano i coglioni, perchè vedo che di umano non ha nulla! Avete presente la Turner in ? A parte il fascino, che non è paragonabile, ostia! È quella. Come dicevano nel mio ufficio, Il diavolo veste Prada ... Ma c'è una spiegazione per questo tradimento? Perchè se lei finirà in galera sarà colpa della Minutillo, Baita e Mazzacurati. L'altra cosa che mi fa girare i coglioni è che ora Mazzacurati è su una spiaggia della California. E guardate la foto della Minutillo su WhatsApp barca che si fa la doccia... , in Se la Camera vota l'autorizzazione al suo arresto e lei finisce dentro, siamo sicuri che la sua versione dei fatti ai magistrati sarà la stessa che ora dà a noi? Non c'è niente di più che le caverebbero fuori in manette? E cosa potrebbero cavarmi fuori? Un patteggio con l'ammissione che ho concordato un milione di euro all'anno di stipendio inesistente? Che ho preso soldi che non ho preso? Patteggio in cambio di cosa, visto che non ho nulla da rivelare? Mah, questo non lo dico certo a voi. Magari potrebbe parlare di qualcun altro. Mazzacurati un giorno, tipo negli anni ' 90, mi dice: " Gianni Letta non lo conosco " . Io glielo presento e non ho mai più assistito a un colloquio tra loro due. Se lei pensa alla galera, qual è la prima cosa che le viene in mente? E Gianni Letta? Mazzacurati non stava lì per caso... Quanti anni ha? Sette. Una sola: mia figlia. Ne ha già parlato con lei? No. Pensa ancora alla politica? No, zero. Politicamente io ho chiuso. Non ne voglio più sapere nulla. Dovevo chiudere quando ho smesso di fare il presidente della Regione. Alla giunta e alla Camera, sul suo arresto, i numeri non sono dalla sua parte. All'università, quando ho dato l'esame di diritto privato, ero il 13° e tutti quelli prima di me erano stati bocciati. Presi 23, un voto storico! Chi l'ha difesa, nel suo partito? Brunetta, Santanchè, Carfagna, Fitto... Berlusconi mi ha telefonato. Chi l'ha delusa? Nessuno, perchè da certa gente mi aspettavo di tutto. Puoi mai essere deluso dalla Gelmini? Quando ero presidente del Veneto avevo cento amici, quando non lo ero più ne avevo la metà, ora ne ho la metà della metà. La politica esaspera i valori buoni e quelli cattivi. Ora vedo solo quelli negativi. Ma, comunque vada, ho chiuso. ha collaborato Gabriele Fazio LUNGO ' I N T E R RO G ATO R I O ' CON L ' EX GOVERNATORE DEL VENETO CHE CERCA DI SMONTARE TUTTE LE ACCUSE: " FOSSI STATO NELLA GUARDIA DI FINANZA, AVREI AVUTO GLI STESSI SOSPETTI. PERÒ NON MI SAREI ARRESTATO PRIMA, ALMENO, MI SAREI I N T E R RO G ATO Foto: SISTEMA MOSE G i ovan n i Mazzacurati, ex presidente del Consorzio Venezia Nuova. In basso, Claudia Minutillo, ex segretaria del governatore del Veneto e Piergiorgio Baita

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 27 27/06/2014 Internazionale - N.1057 - 3 luglio 2014 Pag. 38 (tiratura:130000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato In copertina I rischi nell'ombra The Economist, Regno Unito Dai grandi fondi d'investimento ai siti peer-to-peer , nuovi intermediari stanno prendendo il posto delle banche tradizionali, costrette dalla crisi a ridurre il loro raggio d'azione in molti settori. Ma in questo modo il sistema finanziario è ancora più fragile

In un gigantesco capannone sulla riva dello Yangtze, il fiume più lungo della Cina, una fiamma ossidrica controllata a distanza taglia una spessa lamina d'acciaio. Gli operai con i caschi di protezione si fermano a guardare le scintille. La macchina taglia lentamente una mezzaluna di metallo larga circa un metro. Dopo essere stato temprato e rafreddato, il pezzo è impilato insieme a centinaia di altre forme di metallo, pronte per l'assemblaggio. Dall'altra parte del capannone i saldatori sono costretti a gridare per farsi sentire in mezzo ai gemiti e agli scoppi dei loro attrezzi. Uno dopo l'altro i pezzi sono messi insieme fino a comporre dei complicati reticoli. Quando raggiungono il peso di 150 tonnellate, sono portati fuori dal capannone con una gru e saldati agli altri sul pontile esterno. Quando ogni pezzo assemblato raggiunge le seicento tonnellate, una gru ancora più grande li trasporta su un molo. Tra un anno queste pile di ritagli di metallo diventeranno la Interlink Fidelity, una nave di 180 metri per 32, in grado di trasportare 38.800 tonnellate di grano o ferro grezzo. Non c'è niente d'insolito in questo procedimento, a parte il modo in cui è finanziato: con i capitali della Carlyle, un fondo di private equity che sta allargando il campo delle sue attività al debito privato (il fondo di private equity investe nel capitale di rischio delle aziende, di cui segue per alcuni anni la gestione prima di vendere con l'obiettivo di realizzare una plusvalenza). Secondo la Marine Money International, un'azienda che si occupa del settore nautico, prima della crisi finanziaria le banche coprivano l'87 per cento del credito concesso al settore della cantieristica navale, mentre il resto era finanziato con l'emissione di obbligazioni. I creditori europei facevano la parte del leone. Dopo il crollo del mercato si è capito che gli armatori ordinavano nuove navi sul presupposto - troppo ottimistico - che stesse arrivando la ripresa del commercio mondiale. I cantieri hanno continuato a produrre, contribuendo a una crisi di sovrapproduzione che ha fatto scendere il valore delle navi. A quel punto le banche hanno preso le distanze. Molte sono state costrette a cancellare dai bilanci gran parte dei crediti concessi ai cantieri prima della crisi. Inoltre, le regole più severe imposte alle banche dopo la crisi del 2008 hanno reso relativamente oneroso tenere in bilancio i prestiti agli armatori (o qualsiasi altra forma di credito a lungo termine). Secondo la società di elaborazione dati Dealogic, dal 2007 al 2009 il credito bancario ai cantieri navali è sceso da 92 a 33 miliardi. Le banche in grado di fare credito sono disposte a finanziare solo il 50 per cento dei costi di costruzione di una nave, rispetto al 70 per cento di prima della crisi. Con la ritirata delle banche, i fondi di private equity come Apollo Global Management, Blackstone, Carlyle e Kkr hanno fiutato l'opportunità. Alcuni hanno comprato una serie di prestiti che le banche avevano fatto agli armatori e stavano svendendo. Nel dicembre del 2013, per esempio, l'Oaktree Capital Management ha rilevato 280 milioni di euro di prestiti dalla Commerzbank, un istituto di credito tedesco in dificoltà che ha deciso di lasciare l'industria navale. Altri hanno cercato risorse per fare credito o investire nei cantieri. La Kkr, insieme ad altri investitori, ha raccolto 580 milioni di dollari da destinare a prestiti agli armatori. La Carlyle ha investito in un cantiere delle Bermuda, l'Interlink Maritime, e ha ordinato 28 navi come la Fidelity. Attraverso un accordo separato con un armatore statunitense e un fondo d'investimento asiatico, la Carlyle ha stanziato 750 milioni di dollari per comprare delle navi container. L'industria navale prende soldi dove può, dice Campbell Houston, della Marine Money. Questo vuol dire afidarsi sempre di più a fonti alternative alle banche. Nel 2012 gli armatori hanno emesso un'enorme quantità di obbligazioni. Nel 2013 è stata la volta delle partecipazioni azionarie. I dati scarseggiano, ma secondo Houston nel 2013 i fondi di private equity hanno investito nel settore trenta miliardi di dollari. "Vogliamo espanderci nei settori da cui le banche si stanno ritirando", dice David Marchick, della Carlyle. Altri settori interessanti, spiega il manager, sono l'energia e le materie prime. Quando la Carlyle ha cominciato a sondare gli investitori a proposito di una linea di credito per compagnie petrolifere, rafinerie e centrali elettriche di medie dimensioni, la sua speranza era

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 28 27/06/2014 Internazionale - N.1057 - 3 luglio 2014 Pag. 38 (tiratura:130000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

arrivare a raccogliere un miliardo di dollari. Ma le compagnie assicurative, i fondi pensione e i fondi sovrani sono così afamati di rendimenti più alti di quelli offerti dal mercato obbligazionario, che l'obiettivo è stato addirittura superato. Alla fine il fondo è stato "contenuto" a 1,4 miliardi di dollari, anche se il "co-investimento" di alcuni grandi clienti porterà il credito totale a due miliardi. Marchick ha decine di storie simili da raccontare. "È un'opportunità enorme", aferma. Bennett Goodman, della Gso, la divisione del fondo Blackstone che si occupa del debito privato, è d'accordo: "Siamo al quarto, quinto anno di una corsa ventennale". Secondo le sue previsioni, nei prossimi dieci anni i prestiti della Gso cresceranno del 10-20 per cento all'anno. Questa nuova tendenza non riguarda solo le imprese dei paesi ricchi e le aziende manifatturiere che prendono i loro ordinativi. David Creighton, della Cordiant, un fondo che gestisce più di 2,4 miliardi di dollari di debito privato e investe esclusivamente in imprese dei paesi in via di sviluppo, dice che i paesi a reddito medio-basso hanno bisogno, come quelli ricchi, di fonti alternative di finanziamento. Creighton cita l'esempio della Fiagril, un'azienda agricola brasiliana a cui la Cordiant ha appena prestato cento milioni di dollari. Le imprese private hanno dificoltà a ottenere prestiti di queste dimensioni dalle banche locali, spiega Creighton, e allo stesso tempo le somme sono troppo esigue per giustificare le spese e le complicazioni dei prestiti obbligazionari. Così ai prestiti ci pensano fondi come la Cordiant, che dal 2001 ha fatto credito a quasi duecento imprese in cinquanta paesi. All'inizio lavorava solo con istituzioni finanziarie internazionali come la Banca mondiale. Ora, però, sta sviluppando dei metodi per tutelare i creditori e quindi attirare capitali più facilmente. Prestiti peer-to- peer La ritirata delle banche dopo la crisi finanziaria del 2008 ha dato impulso anche a una serie di piccoli operatori come i prestatori a breve termine o su pegno. Dal 2010 al 2012, per esempio, il valore dei prestiti a breve termine nel Regno Unito è più che raddoppiato, arrivando a sfiorare gli ottocento milioni di sterline. Questa tendenza ha favorito soprattutto una nuova forma di finanza dal basso, il credito peer-to-peer , che funziona mettendo in contatto i creditori e i potenziali debitori attraverso internet. I creditori incassano un interesse più alto rispetto a quello garantito da un conto in banca, e per i clienti prendere a prestito da un sito peer-to-peer costa meno che indebitarsi da altre parti. Infine, l'azienda che gestisce il sistema online incassa una commissione, di solito una piccola percentuale della somma prestata. Insomma, è un vantaggio per tutti. La forma di credito peer-to-peer più comune è il prestito personale senza garanzie collaterali, spesso usato per rifinanziare i debiti maturati sulle carte di credito. Ma le piattaforme peer-to-peer offrono anche prestiti alle imprese, sugli immobili, prestiti a fronte di fatture non pagate, prestiti d'onore. Alcuni operatori permettono ai creditori di scegliere quali prestiti sottoscrivere, altri ofrono pacchetti di crediti. Alcuni ofrono un'assicurazione contro le insolvenze, altri fanno ricadere le perdite direttamente sugli investitori. Le dimensioni del fenomeno sono ancora modeste. I due maggiori operatori del settore negli Stati Uniti hanno erogato prestiti per cinque miliardi di dollari: una cifra molto modesta rispetto a un mercato dei prestiti personali che vale 1.800 miliardi di dollari. Ma il tasso di crescita è sorprendente. Alla Prosper, l'operatore più piccolo dei due, il valore dei nuovi prestiti erogati a marzo ( 77 milioni di dollari) è stato quattro volte più grande rispetto a un anno fa. Il credito è cresciuto del tremila per cento in otto anni. Questa espansione galoppante è la regola nel settore. I fallimenti, per ora, sono pochi. Nonostante questo, il settore bancario è scettico sulla solidità del sistema peer-topeer. Man mano che i volumi cresceranno, dicono gli esperti, i criteri per la concessione dei crediti diventeranno meno rigidi. Gli investitori non avranno un'idea reale dei rischi che corrono fino all'arrivo di una nuova crisi. Il modello, inoltre, funziona grazie al bassissimo livello dei tassi d'interesse in tutto il mondo, che rende i rendimenti dei crediti peer-to-peer particolarmente attraenti per gli investitori. Quando i tassi ricominceranno a salire, questo vantaggio sparirà. Gli operatori peer-to-peer ribattono che il primato delle banche avrà vita breve. Le grandi reti di filiali e l'arretratezza delle infrastrutture tecnologiche costringono gli operatori tradizionali a sobbarcarsi costi molto più alti rispetto al peer-to-peer. I sostenitori del nuovo modello sottolineano inoltre che i criteri per la concessione di prestiti peer-to-peer sono allo stesso livello di quelli delle banche, se non superiori, anche grazie a sistemi più agili e a un uso più creativo dei dati. Tutto questo in teoria consente al peer-to-peer di fare oferte migliori senza intaccare i margini di guadagno, a prescindere dal livello dei tassi d'interesse. Questi vantaggi, sostiene Partel Tomberg di isePankur, un'azienda peer-topeer

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 29 27/06/2014 Internazionale - N.1057 - 3 luglio 2014 Pag. 38 (tiratura:130000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

estone, permetteranno al peer-topeer di strappare alle banche il mercato del credito al consumo. "Pezzo per pezzo", dice Tomberg, "il modello bancario universale tradizionale sarà sbranato da tanti concorrenti". I convertiti alla nuova causa sono tanti. L'anno scorso Google è stato il principale finanziatore di un investimento complessivo di 125 milioni di dollari nel Lending Club, la più grande piattaforma peer-topeer statunitense. I due terzi dei prestiti erogati dalla Lending provengono da grandi investitori. "C'è il rischio reale che le banche cessino di essere la principale fonte di credito alle persone e alle piccole imprese", hanno scritto l'anno scorso gli analisti della banca spagnola Bbva. Il dibattito si estende a tutti gli intermediari finanziari non bancari che forniscono servizi simili alle banche commerciali tradizionali, le cosiddette banche ombra. Gli operatori finanziari che operano fuori dal sistema bancario considerano un bene questa invasione di campo. Le banche ombra, dicono, non accettano depositi - nel senso di soldi tenuti in cassa ai soli fini della custodia e del risparmio - e quindi non possono dilapidarli in operazioni avventate. La possibilità di aumentare la leva finanziaria attraverso l'indebitamento è molto limitata, quindi il rischio di fallimenti a catena si riduce (la leva è il rapporto tra il capitale di un istituto e i suoi investimenti: più è alta la leva e più l'istituto usa capitali non suoi). Negli Stati Uniti, per esempio, l'indebitamento degli operatori che finanziano progetti di sviluppo di nuove imprese non può superare il capitale. Prima della crisi, invece, le grandi banche avevano impegni finanziari per un valore pari a cinquanta volte il loro capitale. Gli investitori che rappresentano la grande maggioranza del settore bancario ombra sono operatori finanziari complessi, con portafogli diversificati. Se un investimento va male, le perdite passano direttamente ai creditori interessati senza infettare altre transazioni. I prestiti peer-to-peer, i fondi d'investimento e lo stesso mercato obbligazionario devono fare ancora parecchia strada prima di avvicinarsi ai numeri del sistema bancario mondiale. "Non siamo paragonabili neanche alla più piccola divisione della JpMorgan o della Barclays", dice Marchick della Carlyle. O, come osserva un altro operatore delle banche ombra "non siamo neanche un foruncolo sul culo delle grandi banche". Ma proprio le dimensioni ridotte lasciano immaginare enormi margini di crescita. Quel che è certo è che le imprese e i privati sono felici di avere altre fonti di finanziamento. Yu Wei, dei cantieri Taizhou Kouan, dove si sta costruendo la Fidelity, ha solo buone parole per i fondi di private equity, perché hanno salvato i cantieri nel momento peggiore. Robert Hartshorne, che compone musica per programmi televisivi, è altrettanto entusiasta della sua esperienza con la Funding Circle, un operatore peer-to-peer britannico. Hartshorne sta lavorando a una serie animata per bambini basata sugli animali dello zodiaco cinese. C'è un compratore cinese interessato, e il ministero della cultura di Pechino ha dato la sua benedizione. Prima, però, Hartshorne deve presentare una puntata pilota. All'inizio, con l'aiuto del suo socio, ha finanziato la produzione con trecentomila sterline prese dai suoi risparmi, ma quando i fondi hanno cominciato a scarseggiare ha fatto il giro delle principali banche britanniche chiedendo un prestito di sessantamila sterline. Nonostante un curriculum di tutto rispetto nel suo campo e un lusso regolare di entrate garantite dai diritti d'autore, nessuna banca era disposta a fargli credito. "Era come sedersi davanti a un robot in corto circuito", dice. Gli impiegati dell'uficio prestiti restavano sconcertati dalla sua richiesta, e la somma non era abbastanza alta per giustificare un colloquio con i superiori. Con la Funding Circle, Hartshorne è riuscito ad avere i soldi in tre settimane. Non si prenderà più il disturbo di chiedere un prestito a una banca, dice. I limiti Esistono però dei limiti naturali alla crescita delle banche ombra. Innanzitutto, i grandi investitori istituzionali sono prudenti per natura. All'interno dei loro portafogli, gli "investimenti alternativi" - la categoria in cui rientra il credito ombra - restano a un livello minimo. In teoria, c'è una sovrapposizione naturale tra gli investitori a lungo termine come i fondi pensione o le compagnie di assicurazione e il credito a lungo termine che le imprese e i privati cercano sempre di più dalle banche ombra. Gli interessi riscossi da questi prestiti sono aumentati da quando le banche si sono tirate indietro, dice Goodman della Gso. Ma la maggior parte dei manager competenti in materia di credito lavora ancora per le banche tradizionali, osserva John Fitzpatrick, della Geneva association, una commissione di esperti del settore assicurativo. Istituti come i fondi sovrani e i grandi fondi pensione, invece, non hanno la capacità di valutare la solvibilità delle aziende. Con il tempo le cose possono cambiare, ma fino a quel momento i manager delle banche ombra probabilmente dovranno continuare ad

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 30 27/06/2014 Internazionale - N.1057 - 3 luglio 2014 Pag. 38 (tiratura:130000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

assicurare finanziamenti affidandosi ai crediti cartolarizzati (cioè convertiti in prodotti finanziari rappresentati da titoli negoziabili) dagli istituti di credito tradizionali. Purtroppo questa non è sempre una soluzione ideale: la crisi del 2008 è stata provocata dai prestiti cartolarizzati e venduti dalle banche, che si sono rivelati tossici. Da allora le cartolarizzazioni sono diminuite, e molte di quelle superstiti sono create unicamente per essere girate in forma di prestiti alle banche centrali. Le autorità vorrebbero far ripartire le cartolarizzazioni, anche se richiederanno all'istituto che le emette di mantenere una parte dell'esposizione sul prestito venduto per evitare un abuso dello strumento. Le banche dovranno coordinarsi con gli altri operatori e trovare il modo di ofrirgli prestiti che giustifichino l'investimento, invece di tentare di sbalordirli con furbe operazioni di ingegneria finanziaria. La partnership tra la banca Société Générale e la compagnia assicurativa Axa indica una possibile strada. Le due aziende stanno erogando congiuntamente prestiti alle medie imprese francesi. S ociété Générale trova i clienti, molti dei quali sono già nel suo portafoglio, e valuta il rischio di credito, mentre Axa mette a disposizione i fondi. L'accordo conviene a Société Générale, che mantiene il rapporto con il cliente senza sborsare un capitale eccessivo per il prestito. Axa può sfruttare il portafoglio clienti di Société Générale. Ma per questo tipo di collaborazione è necessario che le banche mantengano i contatti con gli altri operatori finanziari, e questo non è scontato. REINHARD HUNGRR, JON BOYES (Getty IMAGES) Da sapere Quote crescenti Valore dei prestiti delle banche ombra, miliardi di dollari Debito privato* (a livello mondiale) Prestiti a nuove imprese (Stati Uniti) Prestiti peer-to-peer* (Stati Uniti) Foto: I fondi pensione non hanno la capacità di valutare la solvibilità delle aziende

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 31 27/06/2014 Prima Comunicazione - N.451 - giu/lug 2014 Pag. 60 (diffusione:15000, tiratura:20000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato intervista Copertina La scommessa del 'Secolo' Con uno scatto d'orgoglio, Carlo Perrone, erede di una dinastia imprenditoriale che possiede Il Secolo XIX di Genova dal 1897, decide di portare il quotidiano fuori dalle secche e ricapitalizza la società editrice per giocare fino in fondo la partita dell'evoluzione digitale. Con un cambio radicale del giornale e sviluppando un nuovo protagonismo a favore dell'interesse pubblico. L'invenzione della sentinella di quartiere

1) Carlo Perrone, 58 anni, editore del Secolo XIX di Genova, alla presentazione della nuova redazione multimediale, lo scorso 13 giugno, mentre illustra agli invitati il lavoro di ricerca che ha portato alla nuova organizzazione del quotidiano. 2) Il cardinale di Genova, Angelo Bagnasco, in prima fila alla presentazione del 13 giugno. 3) Il sindaco di Genova, Marco Doria (a sinistra) con il direttore del Secolo XIX , Umberto La Rocca. 4) Maurizio Scanavino, amministratore delegato della Sep. Perrone è l'erede di una delle maggiori dinastie imprenditoriali liguri: è il bisnonno Ferdinando Maria, proprietario dei cantieri Ansaldo, ad acquistare Il Secolo XIX dal marchese Marcello Durazzo Adorno nel 1897 e a scegliere come direttore il genovese Luigi Arnaldo Vassallo che ne fa il giornale egemone della Liguria. I figli Pio e Mario affiancano al Secolo XIX anche Il Messaggero di Roma, e mantengono la proprietà dei due quotidiani anche dopo essere stati costretti a rinunciare ai cantieri Ansaldo in seguito al fallimento della Banca di Sconto. Nel 1952 Alessandro Perrone, figlio di Mario, prende anche la direzione del Messaggero, ma nel 1973 uno scontro con il cugino Ferdinando, comproprietario al 50%, porta alla cessione del quotidiano alla Montedison. Nel 1980 a causa della prematura morte del padre tocca a un giovanissimo Carlo, appena 24enne, farsi carico dell'azienda di famiglia di cui è azionista anche il cugino Cesare Brivio Sforza. Nel 2002, grazie all'acquisto del 40% del socio tedesco Passau Verlag, Carlo Perrone diventa azionista di maggioranza della casa editrice, la Società Edizioni e Pubblicazioni spa, suscitando le ire di Cesare Brivio che ricorre in tribunale perdendo però la partita. È solo nel dicembre del 2010 che Carlo Perrone diventa il dominus incontrastato acquisendo dai cugini il restante 25% della Sep. Perrone prosegue nello sviluppo multimediale del quotidiano e della casa editrice, ma lo scorso anno sembra quasi voler gettare la spugna di fronte all'aumento dei costi e dell'indebitamento. Invece, con uno scatto d'orgoglio, Carlo Perrone decide di giocare fino in fondo la partita investendo sulla nuova organizzazione 'digital first', decisione favorita anche dalla riconquistata centralità politica e informativa data al Secolo XIX dal direttore Umberto La Rocca, e mossa destinata a rinsaldare i suoi personali rapporti, finora tiepidi, con il mondo imprenditoriale e le istituzioni genovesi. Madre francese (lui stesso è nato Oltralpe, a Neuilly-sur-Seine), Carlo Perrone ha avuto come mentore e amico Carlo Caracciolo, che nel 2006 lo convinse a entrare nell'azionariato del quotidiano francese Libération . Sposato con Polissena Di Bagno e padre di quattro figli, Perrone, oltre a presiedere la Sep, è vice presidente della Federazione italiana editori giornali, presidente dei Quotidiani Regionali, vice presidente dell'European Newspaper Publishers' Association e membro dell'International advisory board di Sotheby's. Il battesimo della nuova sede - o meglio, del nuovo layout della solita sede di piazza Piccapietra - ha segnato il 13 giugno la tappa simbolica di un cambiamento di pelle iniziato un anno fa. Il Secolo XIX , voce di Genova da 128 anni, prova a uscire dalle secche dell'emorragia di copie e pubblicità e scommette sul 'turnaround' digitale. Ci prova l'editore Carlo Perrone, che mette mano al portafogli ricapitalizzando con 2 milioni e mezzo la Sep, editrice del giornale e rinnovando un impegno che, per la famiglia Perrone, data dal lontanissimo 1897. Ci credono le banche creditrici, che accettano un piano di rientro dai 20 milioni di debito, che dà ossigeno alla testata fino al 2017. Ci provano e ci credono il direttore Umberto La Rocca, timoniere della svolta digitale, e una redazione che, accettando i contratti di solidarietà, si allinea a una nuova organizzazione del lavoro e a un organico smagrito che dovrà garantire una produttività maggiore. Il 13 giugno, per il battesimo della sede rivista e riorganizzata, c'era 'quasi' tutta la Genova che conta: dal cardinale Angelo Bagnasco al sindaco in carica Marco Doria, il suo predecessore Giuseppe Pericu, il rettore dell'università Giacomo Deferrari, oltre a una fitta rappresentanza della Genova imprenditoriale, autorità e operatori del porto in primis. Ospiti mancanti, i vertici della Banca

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 32 27/06/2014 Prima Comunicazione - N.451 - giu/lug 2014 Pag. 60 (diffusione:15000, tiratura:20000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Carige (assenza prevedibile quanto gradita: il dominus Giovanni Berneschi, come si sa, è in custodia cautelare) e il presidente della Regione Claudio Burlando, cui il Decimonono attribuisce la principale responsabilità politica del declino della città e della regione. "Vi ricorderete che più o meno un anno fa c'erano in giro un po' di voci, preoccupate quelle degli amici, altre meno, che dicevano: ' Il Secolo non ce la fa, l'editore vende', ' Il Secolo sta chiudendo'. Invece la giornata di oggi vuol dire non solo che ce la facciamo, ma che cambiamo e proviamo. E che siamo vivi e vegeti e stiamo qui per restarci", ha scandito, visibilmente soddisfatto, il direttore Umberto La Rocca nel saluto agli invitati. Nuova organizzazione redazionale ispirata al principio del 'digital first', rafforzamento della redazione web, impiego di tutte le forze redazionali sull'on line, più sinergia con Radio 19, l'emittente del gruppo, varo di una web tv, nuova impostazione della cronaca con i video corrispondenti di quartiere, un portale 'verticale', TheMediTelegraph.com , dedicato allo shipping e alla portualità. Il Decimonono è il primo quotidiano regionale italiano ad accettare in toto la sfida della rivoluzione digitale. L'editore Carlo Perrone ha deciso di farlo un anno fa, quando si è trovato in mano il rapportone della società di consulenza Innovation e, soprattutto, una sorta di ultimatum da parte del direttore Umberto La Rocca. "Abbiamo chiesto sacrifici a tutti quanti", dice Carlo Perrone, "alle banche, all'azionista che ha dovuto sostenere l'aumento di capitale, alla redazione che ha subito una riorganizzazione molto forte con prepensionamenti e solidarietà". A fronte di conti assai pesanti, con un indebitamento da 20 milioni di euro di cui 12 a breve, e di prospettive di sopravvivenza negli stenti, Perrone si è trovato per le mani un documento che suggeriva come unica strada un cambiamento radicale di gestione e di prodotto, e un direttore pronto a sostenerlo con forza ed entusiasmo, ma non disposto a fare da certificatore del declino. E ha deciso che valeva ancora la pena di giocarsi una scommessa editoriale. "Il ruolo dei consulenti di Innovation è stato importante", racconta l'editore. "Ci hanno aiutato a fare il business plan economico ma, prima di tutto, ci hanno aiutato sul prodotto, lavorando insieme al direttore. Avremo un giornale sempre meno legato all'ora per l'ora, perché il flusso di news è coperto dall'on line, e sempre più orientato a valorizzare quella che Innovation chiama l'informazione caviale, quella che abbiamo solo noi, per esempio i retroscena sulle nuove nomine alla Fondazione Carige". Cruciale, secondo Perrone, è stata la presenza nel team di consulenza di ex giornalisti: "Questo aspetto è stato decisivo quando si è trattato di affrontare con il direttore il tema dell'organizzazione del lavoro e del nuovo layout della redazione. Tutto è stato modulato per ottenere un'efficienza maggiore, ma nel rispetto di ruoli e competenze. Questa nostra redazione ha potuto godere dell'esperienza fatta da Innovation in altri cento quotidiani. E si è visto quanto conta". Col piano strategico in mano, e la sicurezza di avere dalla sua un timoniere motivato e molto apprezzato dalla redazione come La Rocca, Carlo Perrone prima ha portato da Torino a Genova un giovane manager 'enthusiast' come Maurizio Scanavino (era ad e dg di Publikompass e direttore marketing e commerciale dell'Editrice La Stampa), nominandolo amministratore delegato della Sep. Poi ha iniziato una snervante e complicatissima negoziazione con le sette banche creditrici, arrivando un mese e mezzo fa a una rinegoziazione che dà ossigeno all'editrice fino al 2017. "L'aspetto decisivo è la soluzione per il debito a breve di 12 milioni", spiega Scanavino, "che è stato, per così dire, congelato fino al 2017, quando cominceremo a rimborsarlo. Il piano che abbiamo presentato è stato convincente non solo per gli aspetti di contenimento dei costi, ma soprattutto per le prospettive. Stiamo recuperando redditività già da quest'anno, ad esempio con la micro pubblicità locale, e poi pensiamo a uno sviluppo su aree finora inesplorate. Ad esempio sullo sport locale, pensando che in Liguria, oltre a e Sampdoria, si stanno affacciando in serie B squadre come l'Entella di Chiavari e lo Spezia, o in Lega Pro il Savona". L'altra area di sviluppo su cui la Sep punta forte è l'informazione specializzata sulla portualistica e lo shipping. "Il nuovo portale MediTelegraph ci sta dando notevoli soddisfazioni", dice Perrone, "siamo i secondi in Europa in questo settore". Oltre allo storico quotidiano L'Avvisatore Marittim o, accanto al portale è nato il magazine virtuale MediTelegraph , con inchieste e approfondimenti, e il periodico ultra specializzato in logistica Ttm , ovvero 'Tecnologia, trasporti, mare'. Dalla fine del 2013 Il Secolo XIX è un cantiere. Lo è fisicamente, perché il nuovo layout ha riorganizzato il lavoro in un solo grande ambiente open space, su un solo piano (prima erano due), mettendo accanto alla redazione l'area amministrativa, i servizi tecnici e il

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 33 27/06/2014 Prima Comunicazione - N.451 - giu/lug 2014 Pag. 60 (diffusione:15000, tiratura:20000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

marketing. Addensati sul medesimo piano ci sono anche gli studi di Radio 19 e il nuovo tivù set per la nascitura web tv del gruppo genovese, che prevede incontri in diretta con i protagonisti della vita politica, economica e imprenditoriale di Genova e della Liguria e una, ovvia, sinergia anche con la programmazione della radio. Ma è anche un cantiere per la sperimentazione del nuovo 'workflow' della testata, riordinato sulle tempistiche dell'informazione on line. All'appuntamento con la svolta la redazione del Secolo arriva smagrita nei ranghi - gli articoli 1 sono 76 - e con la consapevolezza che consuetudini, guarentigie e antichi privilegi non reggono più, come testimoniano i contratti di solidarietà adottati senza una sola protesta da parte del Cdr. L'umore, comunque, è incline all'ottimismo. In edicola, e sul web, Il Secolo sta vivendo una stagione di grande vivacità: vuoi per la spinta al rilancio editoriale della testata, vuoi perché Genova è al centro di una serie di scandali e inchieste di primissimo piano (dalla vicenda Carige-Berneschi all'arresto del ex ras del Ponente ligure Claudio Scajola, con annessa saga legata a Chiara Rizzo, moglie del latitante Amedeo Matacena), il quotidiano ligure sta sugli scudi e copre fatti e fattacci con grande scrupolo e precisione. La scommessa del Secolo XIX ha un uomo chiave: Umberto La Rocca, 55 anni, direttore dall'estate del 2009. Professionista cresciuto alla scuola di Giulio Anselmi - gli è stato al fianco durante le direzione del Messaggero e della Stampa , di cui è stato vice direttore - La Rocca è un romano che professa il sacro culto dell'indipendenza da circoli, politici, clan, gruppi di interesse. "Sono qui da cinque anni e penso di aver fatto qualcosa di buono", dice, "ma per questo devo ringraziare un editore che si è impegnato a tutelare il direttore da qualsiasi pressione esterna". L'impegno di portare il vecchio Secolo in una nuova dimensione, più profittevole e meno ancorata ai conservatorismi di una città riottosa al cambiamento come Genova, tocca soprattutto a lui. Prima - Pensavamo che questo digital first fosse roba da ragazzacci come quelli di Wired , o da testate superglobali come il Guardian . Invece eccoci a Genova, al Decimonono , vecchio foglio del fu triangolo industriale. Umberto La Rocca - Guardi, c'è poco da stupirsi. Il nuovo Secolo XIX nasce sul principio del digital first perché questo è il futuro. E riguarda tutti. Non è una novità assoluta, certo. C'è chi la sta già sperimentando anche in Italia. Penso, però, che sia la prima volta che in Italia un quotidiano regionale mette in campo una rivoluzione come questa. Abbiamo messo al centro la produzione digitale in tutte le sue forme. È un processo che comporta la revisione del workflow, delle priorità e, di conseguenza, la redistribuzione degli obiettivi. In gioco non c'è soltanto l'integrazione piena delle redazioni del cartaceo e dell'on line, ma anche una maggiore sinergia con Radio 19, la radio del Secolo , e nei prossimi mesi l'avvio di una produzione di contenuti tivù per il web. Tutto nell'idea che, prima o poi, avverrà uno shift sul digitale di parte del carico pubblicitario che il cartaceo sta perdendo. L'obiettivo è che, in prospettiva, si arrivino a offrire contenuti a pagamento, come conseguenza di un deciso innalzamento della qualità di questi stessi contenuti. Prima - Cosa vi fa pensare che un cambiamento di questo genere riesca a invertire un declino che, in cinque anni, ha portato alla perdita di 40mila copie sulle 100mila diffuse dal Secolo XIX nel 2009? U. La Rocca - Cambiare è un dovere, altrimenti tanto vale rassegnarsi all'agonia. Nei fatti il giornale cartaceo è un prodotto di élite, ma questo non significa affatto che l'informazione locale abbia esaurito il suo ruolo o sia diventata superflua. Certo, per i giornali locali arginare il calo di copie è particolarmente difficile. Oltre al calo della pubblicità pesano i costi fissi e la crisi dei punti di distribuzione. Prima - Vendete di meno perché ci sono meno edicole? Ma se in Italia sono decenni che si discute sul fatto che di edicole ce ne sono troppe. U. La Rocca - Noi abbiamo un lettorato piuttosto anziano, anche se stiamo ringiovanendo. La chiusura di molte edicole sta pesando perché se per una vita hai preso il giornale sotto casa, e ora non lo trovi più, è difficile a 80 anni decidere di fare 800 metri per comprarlo in un altro chiosco. In più soffriamo per l'area di cosiddetta lettura pubblica, quella nei bar, nei circoli, nelle sale d'aspetto che per noi ha un'incidenza pesante. Gli effetti della crisi si combinano. Detto questo, in questi anni abbiamo contenuto le perdite e, da un anno a questa parte, il vento è cambiato. Prima - In che senso è cambiato? U. La Rocca - Abbiamo messo in sicurezza il giornale rinegoziando il debito con le banche, pagando con la presentazione di un piano industriale rigoroso su più livelli e che identifica nuove fonti di utile. Dico pagato, perché il risultato l'abbiamo raggiunto con i contratti di solidarietà, con una riduzione della foliazione del 15% e con l'aumento del prezzo di vendita dall'agosto 2013.

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 34 27/06/2014 Prima Comunicazione - N.451 - giu/lug 2014 Pag. 60 (diffusione:15000, tiratura:20000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

A quel punto le perdite sul mercato ligure si sono adeguate a quelle degli altri, intorno all'11%. Quindi, facendo al volo un bilancio di questi cinque anni, abbiamo retto finché non siamo stati costretti al taglio del prodotto e a qualche sacrificio da parte della redazione. A questo punto la carta da giocare è quella del rilancio, con un cambio radicale del giornale. Prima - Ma al di là della riorganizzazione verso il digital first, come può cambiare una testata storica come il Decimonono che ha come principale patrimonio una consuetudine coi suoi lettori che dura da quasi 130 anni? U. La Rocca - Se la domanda sottintende che i quotidiani locali sono morenti, per definizione, allora le dico che non sono per niente d'accordo. I giornali locali e regionali hanno invece una forte possibilità di resistenza sul mercato. Ce l'hanno se capiscono che finché la carta sopravvive, dev'essere la sede delle esclusive, dei contenuti giornalisticamente più pregiati e non condivisibili. Il luogo delle inchieste e delle campagne giornalistiche, per le quali l'edizione cartacea è ancora fondamentale e più efficace dell'on line. Dirò una cosa blasfema: io credo che i giornali locali debbano cambiare la loro vocazione. Devono continuare a essere testimoni credibili e originali di quel che succede nel territorio, ma nel vuoto della crisi della politica, dell'economia, delle classi dirigenti, possono sviluppare un nuovo protagonismo. Non intendo uno schieramento partitico. Dico che un giornale autorevole crea la propria agenda e su questa giudica la politica, le istituzioni, le forze sociali. Ad esempio, tutti a Genova si dicono favorevoli alla privatizzazione dell'aeroporto, ma nessuno se ne fa promotore sul serio. Su questo il Secolo chiama alla responsabilità tutti, con nome e cognome, senza sconti. E ancora: è possibile che questa sia la città più lontana del mondo? Per andare a Milano in treno si impiega lo stesso tempo di 50 anni fa: un'ora e cinquanta. Per Roma sono cinque ore e mezza. Qui non è stata fatta l'alta velocità in nome della priorità dell'alta capacità per le merci. Ma il risultato di questa miopia è sotto gli occhi di tutti: il turismo, così, non si può sviluppare e abbiamo una mobilità ingessata con Milano, che penalizza imprese, giovani e famiglie. Ecco, su queste battaglie ci stiamo impegnando a fondo, prendendo un ruolo molto attivo. La nostra bussola è l'interesse pubblico. Agli azionisti della società di gestione dell'aeroporto abbiamo detto chiaramente basta con lo scaricabarile. Pena il fatto di essere denunciati, tutti i giorni, in prima pagina, come inadeguati e incapaci. Su queste cose il cartaceo ha ancora un peso importante. E andremo avanti: dalle buche per le strade in su. Altro esempio, la vicenda delle spese pazze dei consiglieri regionali. Qui alcuni consiglieri e capigruppo non volevano mostrare gli scontrini invocando la violazione della privacy. Bene, abbiamo messo in prima pagina le foto dei capigruppo che si rifiutavano di mostrarli. Il giorno dopo avevano cambiato idea. Prima - Torniamo al digital first: cosa cambia nell'organizzazione redazionale? U. La Rocca - Intanto abbiamo completamente ridisegnato il layout della redazione. Tranne due piccole stanzette per il direttore e il vice direttore - ma io la frequento davvero poco - siamo tutti raccolti in un grande open space dominato dal bancone centrale del superdesk, il motore e il cervello del giornale. Facciamo le pagine, compresa la prima, distribuiamo il lavoro e seguiamo il timing di lavorazione. È vero che somiglia un po', almeno in altezza, al banco della reception di un albergo, ma ha lo straordinario vantaggio di centralizzare e rendere visibile il lavoro che si sta facendo e i tempi della fattura del giornale e dell'on line. Abbiamo avviato, per il web, il sistema delle chiusure plurime: ogni due ore abbiamo, in sostanza, una home page quasi tutta nuova, dalle 8 del mattino alle 22. I capiredattori centrali adesso sono due, per coprire l'orario esteso, affiancati dal digital editor e dall'art director. La redazione web, non a caso, l'abbiamo collocata esattamente a ridosso del banco del superdesk. Prima - Quanti giornalisti lavorano alla redazione web? U. La Rocca - Sono sette più il digital editor, ma la redazione web è rinforzata dai redattori dei singoli servizi: sport, cronaca di Genova, cronache nazionali. In più c'è un collega che, a turno, si occupa del rilancio dei contenuti sui social network. Dal 23 giugno, poi, abbiamo anche un developer per lo sviluppo grafico del sito, in modo da garantire un upgrade progressivo. La redazione web è sveglia dalle sei del mattino, perché la gente si informa nelle prime ore del giorno e non si può riproporre il menù del giorno precedente. I vecchi orari di redazione del cartaceo non funzionano più. Tutti i giornalisti del Secolo XIX scriveranno per il web. Prima - Com'è andata col sindacato? U. La Rocca - Bene. Da quando sono arrivato a Genova, non ho avuto una sola ora di sciopero. Non ci sono state resistenze da parte del Cdr: c'è stato un atteggiamento consapevole e aperto. La vera resistenza è la

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 35 27/06/2014 Prima Comunicazione - N.451 - giu/lug 2014 Pag. 60 (diffusione:15000, tiratura:20000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

mentalità dei giornalisti di fronte ai nuovi mezzi. Prima - Che interventi avete in programma sul prodotto? U. La Rocca - Intanto abbiamo appena rifatto la home page ed entro l'anno abbiamo previsto una nuova release del sito. Poi abbiamo lanciato i canali di quartiere: sono cinque zone del sito dedicate ciascuna a un grande quartiere della città: Centro, Val Bisagno, Val Polcevera, Ponente e Levante. Sono pagine di microinformazione di quartiere, con cronache e video realizzati da giovani, le nostre sentinelle di zona. Una volta alla settimana questo materiale sbarca sul giornale con un inserto speciale di otto pagine, in uscita il giovedì. Sta avendo successo e la cosa importante è che in questo modo riusciamo a recuperare pubblicità locale minuta che prima non eravamo in grado di intercettare. Prima di questa iniziativa perdevamo circa 300mila euro di potenziale pubblicitario, oggi con la nostra concessionaria Publirama ne raccogliamo già 100mila. Nell'ultimo anno abbiamo praticamente raddoppiato i contenuti disponibili sul sito e mancano ancora all'appello le redazioni locali della regione, che metteremo a regime nei prossimi mesi. I risultati ci stanno dando ragione. A dicembre avevamo 1,4 milioni di utenti unici al mese e 14 milioni di pagine viste, a maggio siamo saliti a 2,7 milioni di utenti unici e a 17 milioni di pagine. Questo anche grazie all'avvio, a marzo, della versione mobile. Prima - Con questa iniziativa delle microcronache di quartiere non correte il rischio di abbassare troppo il target? U. La Rocca - Non è così. Il Secolo XIX rimane un giornale locale di prima lettura, che offre un'informazione il più possibile completa ai suoi lettori. In Liguria, ci dice l'ultima indagine Audipress, la metà dei lettori di quotidiani legge il Decimonono , che ha 388mila lettori mentre il giornale al secondo posto, La Stampa , è molto distanziato con 118mila. Però, come tutti, abbiamo il problema di mantenere saldo e vivo il rapporto con i nostri lettori e con il territorio. Di essere ricettivi dei problemi dei cittadini. Stiamo costruendo un sistema per cui se il cittadino ha un problema sa di potersi rivolgere alla sua sentinella di quartiere, ovvero un riferimento locale del giornale, radicato in quella situazione. Questo costruisce credibilità attraverso la prossimità. E non penso proprio che danneggi la credibilità generale di testata. Oggi il Secolo è un giornale letto e ascoltato anche fuori dalla Liguria, perché cerca di fare al meglio il suo mestiere di informare. In questo, devo dire, ci ha anche aiutato la riforma grafica. Facciamo un giornale che in edicola si distingue per un segno deciso, più forte degli altri. Poi c'è il lavoro giornalistico: l'inchiesta sulla Lega che ha portato alla caduta di Bossi, condotta da Matteo Indice e Giovanni Mari, è partita dalla malefatte del tesoriere Belsito a Chiavari. Ci ha portato lustro. Dopodiché, in prospettiva, io credo che il futuro dei quotidiani cartacei stia nella joint venture fra testate locali e testate nazionali. La scomoda verità è che in Italia ci sono troppi quotidiani. Ci vogliono alleanze fra testate con target diversi, nazionali, regionali e cittadini. Non credo proprio che ci vada di mezzo il pluralismo se si scende da 60 a 40 testate. Prima - Ecco che sbuca l'idea di fondere il Secolo XIX con La Stampa. U. La Rocca - Non sto alludendo a questo, né ho in mente altre fantasmatiche fusioni. Sto facendo un ragionamento che parte dalla realtà. Per quale ragione si deve pensare che sia meglio che ci siano, per esempio, dieci giornali che seguono la vicenda Carige-Berneschi con le agenzie o con i comunicati stampa piuttosto che due o tre quotidiani che riescono a seguire l'inchiesta dedicandoci uno o più inviati? Cosa fa più bene al diritto dei cittadini di essere informati? Prima - Ecco, già che ci siamo, cosa significa per Genova l'esplosione dello scandalo Carige-Berneschi? U. La Rocca - Lo scandalo Carige ha accelerato lo squagliamento del consociativismo in salsa ligure. O del 'burlandismo', per dirla in certi termini. Ovvero di quella politica praticata dal presidente Pd della Regione, Claudio Burlando, che ha cercato l'allargamento al centro e dintorni, coinvolgendo dall'Italia dei Valori all'Udc, e che sul piano sociale si è tradotto in una specie di vivi e lascia vivere. Qui per anni si è andati avanti con una specie di presepe immutabile: il Pd al potere in Regione e a Genova, Scajola e il Pdl che controllavano il Ponente, e poi le Coop, Banca e Fondazione Carige per la finanza e la Curia, rappresentata prima da Bertone e poi da Bagnasco. Oggi questo assetto non tiene più. Ha cominciato a saltare nelle elezioni per il sindaco di Genova, con la clamorosa guerra alle primarie del Pd fra l'uscente Vincenzi e l'emergente Pinotti, poi per via della magistratura. Certo, se ripenso a quando sono arrivato qui... Prima - Si tolga il peso, dottor La Rocca. U. La Rocca - Era metà luglio del 2009, con l'editore avevamo concordato che il giorno successivo si sarebbe data la notizia del mio incarico e, a sorpresa, mi arriva una chiamata sul cellulare. "Complimenti", mi fa il tipo.

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 36 27/06/2014 Prima Comunicazione - N.451 - giu/lug 2014 Pag. 60 (diffusione:15000, tiratura:20000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Chiedo chi è. Era un banchiere che avevo conosciuto anni prima alla Stampa . "Ma come fai a sapere che vado a Genova?", chiedo. E lui "Figurati se non lo so! Guarda, farai un bellissimo giornale, ma fatti amiche cinque persone: Burlando, Scajola, Flavio Repetto (industriale dolciario, allora presidente di Fondazione Carige: ndr.), il cardinal Bagnasco e Giovanni Berneschi". Quanto abbia seguito quel consiglio è sotto gli occhi dei lettori del Secolo . Di quei cinque nessuno se la passa granché bene. Due sono in carcere, Burlando ha deciso di non ricandidarsi in Regione, Repetto è stato dimesso da Fondazione Carige e anche per Bagnasco non mi pare che le cose vadano benissimo, dopo l'elezione di papa Francesco. È un sistema di potere che si sta completamente smontando anche perché, nel tempo, ha prodotto soltanto immobilismo. Oggi, quanto a produzione industriale, la Liguria è a livelli più bassi di alcune regioni del Sud, mentre abbiamo una disoccupazione pazzesca: 650mila occupati su una popolazione di 1 milione e mezzo. Sono dati che fanno impressione e che mostrano quanto sia difficile anche la nostra sfida. Al rilancio non c'è alternativa: vale per il Secolo come per Genova e per la Liguria. Intervista di Ivan Berni PRIMA/GIUGNO- LUGLIO 2014 65 Foto: La prima pagina del Secolo XIX del 16 maggio con lo scoop dell'intervista a Chiara Rizzo Matacena sul volo che la riportava in Italia dopo l'arresto avvenuto pochi giorni prima in Francia. Foto: 1) Alberto Maria Vedova e Diana Letizia, digital editor insieme al cardinale Bagnasco. 2) Luca Ascani presidente di Populis e consigliere della Sep con la fidanzata Camilla. 3) Domenico Ciancio Sanfilippo, direttore editoriale della Sicilia , e Maurizio Scanavino. 4) Il colonnello dei carabinieri Paolo Aceto, il generale della Guardia di Finanza Michele Dell'Agli e il questore Vincenzo Montemagno. 5) L'ex sindaco Giuseppe Pericu, Paolo Odone, presidente Camera di commercio e Luca Borzani, presidente Fondazione per la cultura. 6) Il costruttore Davide Viziano, Carla Sibilla, assessore alla Cultura e Beppe Costa, ad di Costa Edutainment. 7) Carlo Rognoni, ex direttore del Secolo. Foto: Umberto La Rocca, direttore del Secolo XIX dal 24 agosto 2009. Romano, 55 anni, ha lavorato a lungo al Messaggero con Pietro Calabrese e Giulio Anselmi, di cui poi è diventato direttore vicario alla Stampa . Foto: 1) Il superdesk, ponte di comando dove lavorano Nicola Stella, caporedattore staff centrale e web (primo piano), Alessandro Cassinis, vice direttore (chino sul desk) e (sullo sfondo) Andrea Castanini, caporedattore staff centrale. 2) Andrea Castanini legge una bozza, Marco Peschiera (di spalle) e Roberto Onofrio (capiredattori staff centrale) chiacchierano. 3) Alessandro Palmesino (in piedi), Pamela Vanacore e Stefano Fantino, redattori web. 4) Elena Nieddu, redattore Xte (Per te, la redazione Cultura e Spettacoli). 5) Da sinistra: Elena Nieddu (redazione Xte), Rosamaria Morchella (ufficio dell'art director), Giovanni Mari (caposervizio Politica) appoggiato sul bancone, Guido Filippi (vice caposervizio Cronaca) sullo sfondo in piedi, Andrea Castanini (caporedattore centrale) con la testa reclinata, Roberto Onofrio (caporedattore staff centrale) semicoperto, Mauro Giudici (proto), Riccardo Ortibaldi (poligrafico). 6) In piedi, a sinistra: Damiano Basso (redattore Sport) con Paolo Giampieri (caposervizio Sport). Alla loro destra: Stefano Fantino (redattore web), Daniela Altimani (redattore Xte), Elena Nieddu, Pamela Vanacore (redattore web), Andrea Ovcinnicoff (poligrafico). 7) Da sinistra: Elena Nieddu, Roberto Scarcella di spalle (caposervizio Interni ed Esteri), Simone Gallotti (redattore MediTelegraph ) e Matteo Dell'Antico ( MediTelegraph ). 8) Da sinistra: Andrea Schiappapietra (redattore Sport), Roberto Sangalli (caporedattore Sport). Foto: Con questa slide la società di consulenza Innovation ha illustrato come cambierà il lavoro della nuova redazione integrata del Secolo XIX da qui al 2017. Partendo da una situazione che nel dicembre 2013 vedeva il 95% del lavoro di giornalisti e poligrafici della redazione sulla carta, entro quattro anni si dovrebbe arrivare a queste percentuali: 30% carta, 40% web, 15% mobile e 15% tablet.

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 37 27/06/2014 Prima Comunicazione - N.451 - giu/lug 2014 Pag. 90 (diffusione:15000, tiratura:20000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Business e cultura Il collezionista Valter Mainetti, uomo che ama il bello, è amministratore delegato di Sorgente Group, specializzato nel settore degli investimenti e della finanza immobiliare con il patrimonio fatto di edifici iconici come il Flatiron a New York, Fine Arts di Los Angeles o la Galleria Colonna a Roma. Del gruppo fa parte anche la Fondazione Sorgente con una ricca raccolta di antichità greche e romane, una pinacoteca con opere dal 1400 al 1700 e un assortimento di arte Liberty Intervista di Daniele Scalise

Valter Mainetti, erede di costruttori in Italia e negli Stati Uniti, è il fondatore e amministratore delegato di Sorgente Group, presente nel settore finanziario immobiliare in molti mercati internazionali, attraverso tre holding: Sorgente Group Spa (Italia), Sorgente Group of America Corp. (Usa) e Sorgente Group International Holding Ltd. (Regno Unito). Le società immobiliari, finanziarie e di servizi immobiliari sono una sessantina situate nel nostro Paese, in Francia, Svizzera, Gran Bretagna, Lussemburgo, Emirati Arabi, Stati Uniti e Brasile. Il gruppo ha lanciato dal 2001 una trentina di fondi di investimento immobiliari, raggiungendo un patrimonio del valore di 4,4 miliardi di euro con un rendimento medio del 5,5% e una superficie di circa 2 milioni di metri quadrati. Fra poco Sorgente RES Spa (Real Estate System), società immobiliare a cui verranno conferiti circa 800 milioni di immobili, si presenta a Piazza Affari con un patrimonio complessivo di circa due miliardi di euro (incluso il debito). A Roma sono conosciuti come 'palazzinari', a Milano come 'immobiliaristi'. Nelle peripezie lessicali non c'è però posto per Valter Mainetti, uomo che dalle ampie vetrate del suo studio all'ultimo piano del romano Palazzo del Tritone mi mostra lo splendore deformato di questa città senza fede che è Roma: "Guardi lì, più in giù. La vede? Quella è via Rasella, dove fecero l'attentato. Vede quel muro grigio? Riesce a scorgere quei buchi? Sono quelli dell'esplosione del '44". Si ferma, mi fissa con i suoi occhi di zaffiro tagliente come se fossi io ad averli lasciati così. Scrolla appena il capo incoronato dalla canizie e aggiunge: "Ma le pare possibile?". Poco oltre mi indica il Quirinale mentre sotto alla finestra si stende un terrazzo condominiale in totale abbandono: lenzuola che svolazzano al sole, cavi televisivi che pendono tra la ruggine di vecchie antenne, attrezzi dimenticati da chissà quanti anni. "Vorremmo comprarlo, o almeno affittarlo ma non riusciamo nemmeno a parlare con l'amministratore del palazzo". Scuote di nuovo la testa il professor Mainetti (titolo che gli spetta visto che insegna Finanza immobiliare alla facoltà di Economia dell'università di Parma). Dietro la sconsolatezza pare nascondersi una furia appena trattenuta. Si capisce subito che per lui la bellezza non è fatuo decoro e men che mai simbolo di stato sociale, ma semmai ciò che rende la vita accettabile e preziosa. Valter Mainetti, che non ha raggiunto i settant'anni, è padrone d'una compostezza nient'affatto algida, estraneo a ogni snobismo pur mantenendo una severità antica che non permette improvvisazioni, cialtronate, chiacchiere fatue. Gli dev'essere duro vivere a Roma. "Invecchierò in America, mica qui", promette nemmeno mi avesse letto nel pensiero. Mainetti è amministratore delegato di Sorgente Group, società specializzata nel settore degli investimenti e della finanza immobiliare, che opera oggi con tre holding: Sorgente Group Spa (Italia), Sorgente Group of America Corp. (Usa) e Sorgente Group International Holding Ltd. (Regno Unito). Le società immobiliari, finanziarie e di servizi immobiliari sono una sessantina situate nel nostro Paese, in Francia, Svizzera, Gran Bretagna, Lussemburgo, Emirati Arabi, Stati Uniti e Brasile. Il gruppo ha lanciato dal 2001 una trentina di fondi di investimento immobiliari, raggiungendo un patrimonio del valore di 4,4 miliardi di euro con un rendimento medio del 5,5% e una superficie di circa 2 milioni di metri quadrati. Fra poco Sorgente RES Spa (Real Estate System), società immobiliare a cui verranno conferiti circa 800 milioni di immobili, si presenta a Piazza Affari con un patrimonio complessivo di circa due miliardi di euro (incluso il debito). L'obiettivo, spiegano i suoi uomini, è quello di proporre un titolo azionario liquido legato al real estate di prestigio, prevalentemente in Italia. Mainetti è anche un appassionato e colto collezionista e insieme alla moglie Paola guida la Fondazione Sorgente Group posta sotto la direzione artistica di Claudio Strinati. Fondazione che possiede una ricca raccolta di antichità greche e romane, una pinacoteca con opere dal 1400 al 1700 e uno spettacolare assortimento di arte Liberty. Tra le altre cose

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 38 27/06/2014 Prima Comunicazione - N.451 - giu/lug 2014 Pag. 90 (diffusione:15000, tiratura:20000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

promuove la pubblicazione di libri di prestigio come quello dedicato al Flatiron Building di New York, il primo grattacielo al mondo costruito in acciaio e oggi di proprietà di uno dei fondi di Sorgente Group (che, nel suo stupefacente patrimonio, conta tra l'altro la romana Galleria Colonna, immobili di pregio a piazza Cordusio e via Senato a Milano e molto altro ancora). Questo per farsi un'idea - sia pur vaga - di cosa sia la potenza che quest'uomo gestisce con mano decisa e gesti misurati. Ma torniamo ai palazzinari o agli immobiliaristi che dir si voglia. La fama di cui godono in questo Paese non è proprio tra le migliori. La storia della famiglia di Valter Mainetti è al contrario una lunga vicenda piena di fascino e non solo e non tanto perché lussuosa e brillante, ma soprattutto perché forte di intelligenza ed energia, di buon gusto e coraggio. Qualità che, appunto, raramente distinguono il mondo dei palazzinari o immobiliaristi che dir si voglia. Prima - Professor Mainetti, ho letto molte cose su di lei e sulla sua saga famigliare. Mi faccia sentire dalla sua voce come è andata. Valter Mainetti - Gli artefici sono stati due avi, uno paterno a Roma, l'altro materno negli Stati Uniti. Si trattava di due pionieri in un momento in cui l'agricoltura e l'artigianato si stavano trasformando in industria. Nel 1910 il mio bisnonno paterno avviò un'impresa per la lavorazione del ferro, comprò delle macchine in , realizzò opere per conto dell'architetto Manfredo Manfredi come la cancellata per il Vittoriano di piazza Venezia e parti del Palazzo del Viminale. L'azienda andava bene, prosperava. Poi nel '43 tutta l'attrezzatura fu sequestrata dalle SS e portata in Germania. Lui ne morì di crepacuore. Nel dopoguerra, mio padre Sergio, quello che tra i nipoti gli era il più af1 2 fine, si dedicò più all'impiantistica industriale che alla carpenteria e realizzò il sincrotrone di Frascati e le acciaierie di Terni. Negli anni Settanta, dopo aver studiato all'università con Aldo Moro, ho iniziato a lavorare a fianco di mio padre. In quegli anni, a Roma, c'era un grande sviluppo edilizio, ma mio padre si rifiutò di mettersi a costruire palazzine. La sua era una scelta ideologica che gli impediva di partecipare a quello che L'Espresso chiamò "il sacco di Roma". Era un esteta. E se vuole saperla tutta, secondo me fece male... Prima - Non credo che lei lo pensi veramente, ma andiamo avanti. Che rapporto aveva con suo padre che mi risulta fosse anche lui un collezionista? V. Mainetti - Avevo un rapporto costruttivo. Sa, un padre e un figlio devono ognuno per sé concedere qualcosa all'altro, essere reciprocamente tolleranti. Lui era un collezionista fin dagli anni Trenta e mi contagiò la sua passione. Prima - Qual è stato il suo punto di partenza nel campo immobiliare? V. Mainetti - Ho iniziato dedicandomi all'edilizia sociale. Prima - Partenza piuttosto insolita. V. Mainetti - Successe che un giorno Aldo Moro mi chiese a cosa mi sarei dedicato dopo gli studi. Gli risposi che ero attratto dall'edilizia e lui commentò: "Cerca solo che abbia un risvolto sociale". Fu così che mi avvicinai a quel mondo. Prima - Mi parli del suo côté americano. V. Mainetti - È da parte di mia madre. Mio nonno, dopo la Grande Guerra, aveva venduto l'azienda agricola che aveva sul Lago Maggiore e si era trasferito in America, dove per altro c'era già un nostro zio dal 1890. Per un fatto del tutto casuale, anche mio nonno materno si occupava di carpenteria metallica e aveva fondato un'impresa a New York con manodopera indiana - preziosa per la propria capacità di equilibrio - e capomastri lombardi. Prima - Una macchina da guerra. V. Mainetti - Ha detto bene. Tanto che riuscì ad assicurarsi alcuni appalti di costruzioni delle strutture metalliche che si completavano in un batter d'occhio: ogni due giorni un piano, tanto che in un mese riuscivano a raggiungerne quaranta. I pagamenti erano rapidi e New York viveva una stagione di grande sviluppo. Prima - Anni d'oro, gli anni dell'Art déco. V. Mainetti - Nacquero grattacieli rimasti famosi come il Chrysler, il French Building, il Telegraph Building. Prima - Questa storia del Chrysler ormai è diventata una leggenda. Tutti dicono che lei se lo comprò ma poi lo rivendette. Come è andata? V. Mainetti - È vero, il palazzo del Chrysler lo abbiamo sempre sentito come nostro e ai nostri occhi il nonno ci sembrava una specie di Superman. Stiamo parlando dei primi anni Cinquanta e io studiavo a Roma, in una scuola pubblica perché così voleva mia madre che era un'americana molto pratica. Un giorno la maestra ci diede un tema: 'Raccontate la vostra estate' e io descrissi il mio viaggio a New York. Nessuno ci voleva credere. Andare in America era come andare sulla Luna a quei tempi. Prima - Gli italiani non hanno mai goduto di una grande reputazione negli Stati Uniti, essendo stati sempre considerati dei mafiosi con un piatto di spaghetti fumanti sulla tavola. V. Mainetti - Ricordo una manifestazione di italiani per le strade di New York che portavano un cartello con su scritto " are not gangsters". La cosa mi ferì molto, ma questo non

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 39 27/06/2014 Prima Comunicazione - N.451 - giu/lug 2014 Pag. 90 (diffusione:15000, tiratura:20000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

toglie che sia rimasto sempre legato alla comunità immobiliare newyorchese. Quando nel 1999 abbiamo creato il primo fondo istituzionale italiano sono riuscito a persuadere i sottoscrittori a dedicare una parte dell'investimento negli Stati Uniti. Prima - E qui continua la leggenda del Chrysler, giusto? V. Mainetti - In effetti comprammo la maggioranza del Chrysler che era stato progettato da William van Alen. Se ci pensa è una cattedrale gotica rivisitata secondo il gusto déco. In cima, sulla guglia, creò un osservatorio e un piccolo museo delle attrezzature di Walter Chrysler. Quando conquistai la maggioranza del Chrysler dissi a Jerry Speyer che era l'amministratore (e anche il proprietario del Rockefeller Center) che volevo riprendere il 71esimo piano e restaurare il progetto originale, ma Speyer era gelosissimo anche perché quel grattacielo l'aveva costruito mio nonno, e fece di tutto per ostacolarmi. Fatto sta che convinse la Landmarks Commission, che poi è come la nostra Sopraintendenza, a dividere le finestre con un interpiano. Una cosa orrenda! Un giorno dissi al mio avvocato: "Ora basta! Siamo noi che l'abbiamo costruito. Speyer si occupi delle pulizie e del funzionamento delle funi dell'ascensore e la finisca lì". Il mio avvocato ebbe la poco brillante idea di riferirglielo e così scoppiò una bomba. Nel 2008 arrivarono degli arabi di Abu Dhabi e, in piena crisi, ci offrirono una cifra spropositata: il doppio di quello che avevamo pagato. Io provai a tenere un 5% ma Speyer, memore delle funi dell'ascensore, si mise di traverso. Un esempio di alleanza ebraico- musulmana contro un cristiano: una crociata al contrario. Prima - Mi parli del Flatiron che è una delle costruzioni più spettacolari di Manhattan. V. Mainetti - Con i soldi ricavati dalla vendita del Chrysler Building e traendo vantaggio dalla crisi che aveva fatto scendere tutti i prezzi, mia figlia, che è bravissima in materia, riuscì a portare a casa il Flatiron. Prima - La fama di chi lavora nell'immobiliare non è proprio tra le migliori in Italia. Come se lo spiega? V. Mainetti - Fama non del tutto ingiustificata tanto che noi viviamo in una specie di isolamento e diamo poca confidenza ai colleghi. Prima - Resta il fatto che avete bisogno di creare una buona reputazione per via degli investimenti. V. Mainetti - Anche noi, in America, quando si affacciano operatori italiani siamo sempre sul chi va là. E un motivo c'è: per fare il broker immobiliare basta un ufficetto, una scrivania, un indirizzo e-mail e la gente si esalta presto con le cifre che girano. Per quel che riguarda i costruttori, poi, le ho già detto che mio padre si rifiutò di partecipare alla trasformazione di intere aree. Però vorrei dirla tutta. Prima - Sono qui per ascoltarla. V. Mainetti - Oltre a parlar male dei palazzinari dovremmo anche ricordarci di quante schifezze hanno fatto gli architetti. La Commissione edilizia è sempre esistita anche se non si capisce cosa faccia. E poi, alla fine, queste palazzine non sono nemmeno così brutte. È che l'area urbana è intensiva, con troppo traffico e nessun parcheggio. Insomma, non c'è un concetto urbanistico che meriti questo nome. Prima - Che cosa ispira Sorgente Group? Già i nomi dei fondi - Michelangelo, Donatello, Caravaggio eccetera - sono piuttosto bizzarri. V. Mainetti - Se è vero quel che dicevamo prima, e cioè che gli italiani hanno goduto in America di una fama pessima per via della criminalità organizzata, dobbiamo anche aggiungere che nelle conversazioni private tutti gli americani ricordano e invidiano l'antica Roma, il nostro Rinascimento, Leonardo, Michelangelo. Il messaggio è: certo, è vero, siamo italiani e possiamo vantare una tradizione che non ha confronti. È per questo che al Grand Palais di Parigi abbiamo esposto tre teste marmoree del periodo giulio-claudeo e in questo momento al Metropolitan Museum abbiamo una mostra di gioielli greco-romani. Questo ci consente di incontrare gli investitori in posti di privilegio e distinguerci dagli altri operatori. Un conto è battezzare un fondo Michelangelo, un altro è chiamarlo - chessò - Globale! L'impatto, se mi permette, è ben diverso. Va da sé che dietro al nome, per suggestivo che sia, deve esserci la sostanza, che poi sono gli immobili di architettura importanti. Noi ci siamo collocati in questa nicchia costituita dagli immobili iconici come il Fine Arts di Los Angeles o a Roma la Galleria Colonna e il palazzo della Rinascente. Prima - So che vi fa gola anche la Torre Velasca a Milano. V. Mainetti - Non so se riuscirò a farcela. Prima - Il Chrysler le è rimasto, come si dice, sul gozzo. V. Mainetti - Diciamo che non è detta l'ultima parola. Prima - Se ho capito bene, lei sostiene che vi sia coerenza tra il suo lavoro e le sue passioni, un filo rosso che lega entrambe: la bellezza. V. Mainetti - Io piuttosto direi che il filo rosso è riconducibile al collezionismo. Lì sì che conta la bellezza legata alla rarità. Un principio base dell'economia dice che le cose più son rare e più valgono. Il metterle insieme fa sì che il valore complessivo

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 40 27/06/2014 Prima Comunicazione - N.451 - giu/lug 2014 Pag. 90 (diffusione:15000, tiratura:20000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

sia però superiore alla somma degli oggetti. È come una collana di perle della stessa dimensione e colore. La collana vale più della somma aritmetica di ogni perla. Prima - Che relazione c'è tra Sorgente Group e l'omonima Fondazione che sua moglie Paola segue con molta dedizione? V. Mainetti - La relazione è quella che le descrivevo prima: l'arte come modo di comunicare. Noi possediamo due tipi di collezioni, una personale che viene dagli anni Trenta e che si chiama 'Collezione M', che sta per Mainetti. Prima - Quella avviata da suo padre? V. Mainetti - E che le SS depredarono insieme ai macchinari. La Fondazione è legata al gruppo e viene utilizzata per convegni, mostre ed eventi, utili per incontrare e interloquire con il mondo finanziario che percepisce immediatamente che ciò che è raro vale di più. Prima - Se ho capito bene, voi avete dato vita a due fondazioni. V. Mainetti - La prima è per la charity ed è americana e sostiene la ricerca sull'epilessia, mentre la seconda, italiana, si dedica all'arte. Prima - Lei è anche conosciuto come mecenate. Ma un conto è esserlo negli Stati Uniti, dove si viene invogliati e sostenuti, altra storia è esserlo da noi dove persino Diego Della Valle non riesce a donare 25 milioni al restauro del Colosseo senza chiedere un grammo di pubblicità in cambio. V. Mainetti - Diciamo la verità: anche da noi ci sono norme che già favoriscono il mecenatismo. Il che non mi ha impedito di apprezzare pubblicamente le recenti iniziative del ministro della Cultura Dario Franceschini. Coloro che sarebbero in grado di fare mecenatismo mostrano una certa riluttanza che nasce dal timore di apparire. Io stesso all'inizio, e sto parlando di dodici anni fa, ho dovuto un po' violentarmi. La nostra fondazione è stata riconosciuta dalla Prefettura, ma abbiamo dovuto comunicare tutti gli importi, i fatturati, parlare con gli investitori. Per gli americani vale il contrario: loro amano esibirsi e lo fanno senza nessun problema. Spesso alcuni amici d'oltreoceano mi hanno detto: "ma tu temi che la gente veda quel che possiedi?". Prima - E lei cosa ha risposto? V. Mainetti - Che era una cosa a cui non avevo mai pensato. Prima - Eppure lei dovrebbe sapere quanto sia forte l'invidia sociale, quanto il denaro venga considerato sospetto e i guadagni mai davvero meritati. V. Mainetti - In effetti anche molti imprenditori dimostrano di condividere l'idea che la proprietà è un furto. Per non parlare dello spettro delle tasse. Prima - Non le sembra paradossale che da noi anche gli industriali partecipino di una cultura che colpevolizza il denaro e la ricchezza? V. Mainetti - È un problema che hanno i popoli latini divisi tra cattolicesimo e comunismo, una combinazione... Prima - Nefasta, me lo lasci dire. Ma visto che state per presentarvi in Borsa, quali sono gli obiettivi a breve e medio termine che vi siete fissati? V. Mainetti - L'obiettivo è ciò che abbiamo sempre fatto: creare valore attraverso i fondi. Ora però direi che i fondi sono un poco superati per via di una normativa che li ha penalizzati e quindi ritengo che lo strumento della quotazione sia più agile per continuare a fare quello che abbiamo sempre fatto: comprare immobili di pregio, comprare bellezza, valorizzarla. Prima - C'è così grande differenza tra fondi e quote azionarie? V. Mainetti - In fondo non c'è una grande differenza. Noi non siamo un gruppo, una azienda famigliare che ha comprato per sé e che adesso ha deciso di andare in Borsa. Da una decina d'anni abbiamo comprato e comprato e ora abbiamo quattro miliardi e mezzo di immobili che non sono tutti nostri, ma dei fondi e quindi vogliamo andare in Borsa perché il titolo dell'azione è più liquido del titolo del fondo. Alla fine, ripeto, non mi pare una grande differenza e infatti i sottoscrittori saranno soprattutto investitori istituzionali. Prima - E il passo successivo? V. Mainetti - Se riesce bene la quotazione in Borsa prevedo un aumento di capitale entro il 2015 e poi - verso il 2016, 2017 - una quotazione allo Stock Exchange di New York. Prima - Come si sentirà nel listino italiano che, se posso dire, non eccelle in qualità? V. Mainetti - Mi viene da dire: beato l'orbo nella terra dei ciechi. Foto: Il Flatiron Building, progettato agli inizi del Novecento da Daniel Burnham su un lotto triangolare tra la 23esima strada, la Quinta Avenue e Broadway, è tra i gioielli di Sorgente Group. Foto: 1) Il Chrysler Building, costruito nel 1930, è uno dei simboli di New York, un tempo di proprietà di Sorgente Group e poi venduto a due società immobiliari, la Abu Dhabi Investment Council e la Tishman Speyer Properties. Sulla possibilità di riacquistarlo Mainetti sostiene che "non è detta l'ultima parola". 2) La prestigiosa Galleria Alberto Sordi (già Galleria Colonna) in pieno centro a Roma è stata acquistata nel 2009 dal Fondo Donatello, Comparto David, di Sorgente Group.

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 41 27/06/2014 Prima Comunicazione - N.451 - giu/lug 2014 Pag. 90 (diffusione:15000, tiratura:20000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Foto: Paola Mainetti con Valerio Massimo Manfredi. Mainetti - che con il marito Valter presiede la Fondazione Sorgente Group per la tutela del patrimonio artistico e culturale italiano - all'inaugurazione della mostra sull'Art Nouveau, il 7 giugno 2012, presso lo Spazio Espositivo Tritone della Fondazione.

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 42 27/06/2014 Nuova Finestra - N.403 - giugno 2014 Pag. 34 (diffusione:6362, tiratura:6600) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Speciale Case Passive/ ift detta i requisiti per i componenti Il ruolo di finestre e facciate Requisiti e principi di fabbricazione di componenti per l'edilizia e facciate ad alta efficienza energetica per edifici passivi. Lo speciale prosegue sul prossimo numero/ Centro collaudi, Protezione termica, ift Rosenheim e Manuel Demel, responsabile produzione, Fisica delle costruzioni, ift Rosenheim

L'edilizia orientata al futuro è inevitabilmente ispirata dai criteri di conservazione e sostenibilità energetica. Dal punto di vista pratico, sono stati stabiliti dei criteri che vanno oltre lo standard minimo definito dalla Direttiva sul risparmio energetico. Essi includono, tra le altre, le specifiche previste per gli edifici passivi, le abitazioni con certificazione Minergie e i programmi di finanziamento promossi dall'istituto tedesco KfW (la nostra Cassa Depositi e Prestiti) per incrementare l'efficienza degli edifici. In futuro, tali norme dovranno essere integrate con i requisiti specifici in materia di edifici a surplus energetico (ovvero a saldo energetico attivo), i quali producono più energia di quella necessaria per il riscaldamento dell'acqua e l'erogazione di energia elettrica in tutta la casa. Le suddette norme rappresentano uno strumento di orientamento e confronto tra i prodotti, e presto saranno affiancate da una etichetta energetica. Tuttavia, un involucro edilizio ad alta efficienza energetica, inclusa la climatizzazione nei mesi estivi, è un requisito imprescindibile per tutte le abitazioni a risparmio energetico. I componenti trasparenti per l'edilizia come finestre, facciate, vetrate e porte esterne svolgono un ruolo importante in questo processo, dal momento che è possibile ricavare guadagni netti legati all'esposizione a est, ovest e sud degli edifici. Inoltre, occorre tenere conto anche degli aspetti legati al comfort (fattore di temperatura f durante l'inverno e temperatura ambiente media in estate), nonché dell'idoneità all'uso (impermeabilità, resistenza al carico del vento, ermeticità e resistenza all'impatto). Per questo motivo, ift Rosenheim ha definito le Linee guida ift WA-15/2 "Idoneità di finestre, porte pedonali esterne e facciate continue per edifici passivi", che contengono le procedure di definizione e verifica dei requisiti specifici in conformità con le norme EN e ISO. Le facciate ad alta efficienza energetica devono essere considerate un prodotto complesso, frutto dell'interazione tra tutti i componenti, quali vetrate, pannelli, vetro/telaio, profili del telaio, elementi strutturali di assemblaggio alla struttura dell'edificio e persino la protezione solare. Ciononostante, ogni singolo fattore (incluse le caratteristiche radiometriche) deve essere adattato e valutato accuratamente alla luce delle proprietà specifiche. in un modo specifico di proprietà. Tuttavia, è impossibile prescindere dalle caratteristiche fondamentali e dai valori di riferimento che caratterizzano i componenti per l'edilizia e le facciate ad alta efficienza energetica. Vetrazioni Le vetrate destinate agli edifici passivi devono avere un coefficiente di trasmissione termica pari a U sito, il triplo vetro attualmente in commercio con intercapedine maggiore o uguale a 12 mm (riempiti con argon) e due rivestimenti bassoemissivi viene utilizzato nelle posizioni 2 e 5. Per poter sfruttare il calore solare recuperato e scongiurare perdite significative, il requisito minimo per il valore g deve essere soddisfatto to come il rapporto tra il coefficiente U e il valore g (vedi tabella 1), dal momento che i due parametri dipendono uno dall'altro dal punto di vista tecnico. Si ottiene così un valore g minimo pari a 0,44 per U m²K per il triplo vetro. Tuttavia, il triplo vetro di ultima generazione ha già raggiunto un valore g pari a 0,6. Per soddisfare i requisiti imposti al valore U dell'intero edificio e alla temperatura superficiale lungo i bordi del vetro, si opta generalmente per un distanziatore warm edge, in modo tale da ottenere una trasmittanza termica lineare di 0,06 W/K m. In corrispondenza dei bordi e dei traversi, invece, viene indicato un fattore di temperatura ƒ Facciate Le facciate progettate per gli edifici passivi possono essere realizzate sotto forma di pareti vetrate/finestre a battente combinate con pannelli collegati, come ad esempio le strutture a montante e traverso con profili in alluminio, acciaio o legno, o addirittura facciate con vetrate strutturali. In confronto alle finestre, le superfici delle vetrate e dei pannelli tendono a essere significativamente superiori rispetto a quelle dei profili. Tuttavia, i profili e gli elementi di assemblaggio alla struttura dell'edificio svolgono un ruolo fondamentale, poiché esercitano un impatto diretto sul confort termico e sulla formazione di condensa. Un adeguato isolamento in corrispondenza della battuta delle vetrate, nonché eventuali modifiche alle

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 43 27/06/2014 Nuova Finestra - N.403 - giugno 2014 Pag. 34 (diffusione:6362, tiratura:6600) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

caratteristiche dell'isolamento costituiscono ulteriori misure applicabili. Per quanto riguarda i pannelli, i ponti termici nei pressi dei bordi devono essere oggetto di analisi più approfondite, in particolare in presenza di piccole superfici. Per questo motivo, le Linee guida ift WA15/2 definiscono altresì i criteri e le condizioni limite per vetrate e pannelli sulla base di formati (1200 mm x 3500 mm) e superfici standard, agevolando così il confronto tra i prodotti. Le caratteristiche termiche (coefficiente U di trasmittanza termica, trasmittanza termica lineare e fattore di temperatura ƒ ) vengono definiti qui di seguito: • Facciate U elementi di assemblaggio alla struttura dell'edificio • U ,installazione 0,85 W/(m²K) • Vetrate U • Sigillatura bordi vetrate (mK) • Sigillatura bordi pannello di tamponamen to opaco 0,040 W/(mK). • Fattore di temperatura ƒ profili/vetrate o profili/pannelli di facciate • Fattore di temperature per gli elementi di assemblaggio alla struttura dell'edificio ƒ 0,73. Per soddisfare questo requisito, devono es sere impiegati appositi profili del telaio e di stanziatori adeguati. Per la determinazione dei coefficienti Ut e Um, occorre prendere in considerazione l'impatto esercitato dal le viti di assemblaggio in conformità con EN 13947. A titolo indicativo, il valore U dei profili si aggira intorno a 0,3 W/m²K, mentre i rilievi eseguiti sugli edifici di buona quali tà hanno dato come risultato 0,11 W/m²K. Non è stato preso in considerazione il ruo lo svolto dai supporti del vetro in relazio ne al coefficiente di scambio termico delle facciate. Oltre ai parametri termici, la certificazione di idoneità all'uso di un edificio passivo deve comprendere anche la verifica di idoneità, dal momento che un isolamento termico ot timale non è di alcuna utilità qualora i requi siti relativi alle altre prestazioni (EN 14351-1 per le finestre, EN 1383 per le facciate) non siano soddisfatti. Pertanto, una facciata de ve rispondere almeno ai requisiti di permea bilità all'aria e relativa classificazione (clas se minima AE/750 Pa in conformità con EN 12152), ermeticità e relativa classificazione (classe minima R7/600 Pa ai sensi di EN 12154), resistenza al carico del vento e re sistenza all'impatto (classe minima E3/I3 in conformità con EN 14019). Nel corso delle prove condotte presso il centro ift Rosen heim è stato possibile notare come, durante la fase di ottimizzazione termica, non fosse stata rivolta una sufficiente attenzione agli aspetti fondamentali dell'edilizia, ossia la si gillatura con schiuma isolante o altri mate riali simili dei fori di drenaggio praticati nelle cavità dei profili. La riduzione delle perdite di trasmittan za termica comporta un abbattimento del le dissipazioni termiche. La realizzazione di impianti di ventilazione centrali e decentra lizzati (dotati di sistema di recupero del ca lore laddove possibile) all'interno di finestre, facciate e finestre automatiche si rivela par ticolarmente vantaggiosa, dal momento che essi provvedono inoltre al raffreddamento dell'abitazione durante le ore notturne nei mesi estivi in maniera del tutto indipenden te. I sistemi di protezione solare e controllo dell'illuminazione ad alte prestazioni vengo no impiegati in particolare nell'edilizia indu striale per evitare o limitare l'utilizzo delle apposite attrezzature per il raffreddamento, riducendo inoltre il consumo di energia per l'illuminazione artificiale. A tal scopo, l'implementazione di schermi solari, protezioni anti-abbagliamento e sistemi di controllo dell'illuminazione deve essere pianificata separatamente. Tra le soluzioni alternative, i dispositivi oscuranti segmentati e perforati con geometrie diverse oppure il vetro elettrocromico rivestito di ossido trasparente conduttivo (TCO) rappresentano un'alternativa interessante alle tradizionali tende interne. Finestre Le specifiche di riferimento per l'isolamento termico delle finestre degli edifici passivi corrispondono a U l'intera finestra e U profili (a seconda del distanziatore e delle lastre di vetro). In confronto ai requisiti di riferimento stabiliti dalla normativa EnEV 2014 (U mento dei requisiti di isolamento termico, che possono essere soddisfatti mediante l'implementazione di ulteriori misure riguardanti il telaio rispetto ai modelli attuali. Al fine di semplificare la movimentazione per scopi commerciali, la marcatura dei prodotti e le procedure d'appalto, i coefficienti U vengono determinati sulla base di formati standard (1,23 x 1,48 m per finestre dalla superficie inferiore a 2,3 m²), con la possibilità di trasferire tali risultati anche ad altre dimensioni. Pertanto, i valori effettivi possono discostarsi dai valori standard. Per calcolare i valori delle proprietà specifiche, occorre effettuare una stima dei coefficienti U legati alle dimensioni. Il risultato consisterà in coefficienti U più bassi per finestre di grandi dimensioni, qualora il coefficiente U relativo alla vetrata sia migliore rispetto a quello del telaio. Finestre in Pvc Le finestre in Pvc sono generalmente caratterizzate dalla presenza di 4-5 camere, oltre a un coefficiente U per il telaio. E' possibile ottenere profili con coefficiente U go di 6 (o più) camere all'interno

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 44 27/06/2014 Nuova Finestra - N.403 - giugno 2014 Pag. 34 (diffusione:6362, tiratura:6600) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

dei profili e mediante l'adozione delle seguenti misure supplementari: • modifica dei rinforzi in acciaio all'interno dei profili: assenza del rinforzo in accia io (con e senza isolamento nella relativa camera, vetri incollati), oppure, rispettiva mente, con rinforzo in acciaio isolato ter micamente, • applicazione di ulteriori materiali da co struzione isolanti (espansi rigidi) all'inter no delle camere dei profili o della scana latura del vetro, • incremento dello spessore del vetro/rego lazione dello spessore del materiale isolante. Finestre in metallo a taglio termico I profili compositi in metallo sono caratteriz zati dal rapporto tra la larghezza della barriera termica rispetto alla larghezza com plessiva della vetrata, nonché dallo spazio presente tra gli involucri in alluminio. I tipici coefficienti U del telaio spaziano da circa 3,5 W/m²K per i sistemi semplici utilizzati nell'Europa meridionale a circa 1,4 W/m²K) per l'Europa centrale. Per questo motivo, è necessario adottare in modo combinato alcune misure aggiuntive relative ai profili: • ottimizzazione mediante l'impiego di ulte riori materiali isolanti all'interno delle ca mere della barriera termica e nella battuta • utilizzo di una struttura realizzata con ma teriali isolanti che ricopra la parte esterna del telaio, • ottimizzazione del sistema di sigillatura della battuta (sigillatura intermedia), • incremento dello spessore del vetro/re golazione dello spessore di riempimento con il gas. Finestre in legno L'isolamento termico dei profili di legno può essere migliorato con l'ausilio di una mag giore profondità di installazione. Pertanto, per i profili in legno (tenero) che presentano un coefficiente U sezione tradizionale, è possibile ottenere un miglioramento fino a circa 0,9-1,1 W/m²K grazie a una profondità di installazione pari a 90-100 mm. Inoltre, per incrementare ul teriormente l'isolamento termico, possono essere applicati degli strati di materiale iso lante (espansi rigidi) in corrispondenza dei profili lamellari oppure sotto forma di iso lante esterno miglioramento del coefficiente U 0,8 W/m²K. Elementi strutturali di assemblaggio Durante la progettazione e la realizzazione di edifici passivi e a surplus energetico, oc corre tenere conto del collegamento di fine stre e facciate alla struttura di sostegno. Al fine di garantire l'idoneità di un edificio passivo, i coefficienti U dei singoli componenti vengono verificati subito dopo l'installazione. A tal scopo, il ponte termico dovrebbe corrispondere a 0,08 W/mK. Nell'ambito del programma di finanziamento della KfW si specifica che l'impatto esercitato dai ponti termici sul fabbisogno annuale per il riscaldamento in conformità con i regolamenti tecnici e le misure economicamente accettabili in ogni singolo caso deve essere mantenuto il più basso possibile. Eventuali carichi aggiuntivi dei ponti termici devono essere calcolati e verificati in conformità con i suddetti regolamenti. Conclusione Rispetto ai modelli tradizionali, le finestre e le facciate utilizzate negli edifici a risparmio energetico devono garantire proprietà di isolamento termico significativamente migliori. A tal fine, sono necessarie ulteriori misure volte al miglioramento, le quali, in alcuni casi, richiedono un intervento massiccio sull'edificio. Inoltre, il calcolo del coefficiente g relativo alle vetrate consente di sfruttare il recupero del calore solare. Infine, per effettuare una stima delle specifiche proprietà, occorre prendere in esame la situazione complessiva, compresi gli elementi strutturali di assemblaggio. Autori Konrad Huber, responsabile del Centro collaudi per la protezione termica presso ift Rosenheim, partecipa per conto di ift Rosenheim a numerosi enti di normalizzazione, comitati di esperti e seminari. Manuel Demel, responsabile produzione della divisione "Finestre e facciate" di ift Rosenheim con particolare attenzione alle questioni strutturali, partecipa per conto di ift Rosenheim a numerosi enti di normalizzazione, comitati di esperti e seminari. Un involucro edilizio ad alta efficienza energetica, inclusa la climatizzazione nei mesi estivi, è un requisito imprescindibile per tutte le abitazioni a risparmio energetico Oltre ai parametri termici, la certificazione di idoneità all'uso di un edificio passivo deve comprendere anche la verifica di idoneità dei requisiti relativi alle altre prestazioni Etichetta energetica L'analisi dei componenti edilizi trasparenti sotto il profilo energetico si fonda sulla descrizione ragionevole e realistica dei prodotti, che deve necessariamente includere la perdita e il guadagno di energia. L'etichetta energetica basata sulla norma ISO 18292 "Prestazioni energetiche dei sistemi finestrati per gli edifici residenziali - Metodo di calcolo" aiuta i costr uttori, i progettisti e il settore immobiliare a selezionare e offrire i componenti edili più idonei. La procedura individua due parametri per quanto concerne

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 45 27/06/2014 Nuova Finestra - N.403 - giugno 2014 Pag. 34 (diffusione:6362, tiratura:6600) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

le prestazioni energetiche (EP) - EP-H: Prestazioni energetiche nel periodo di riscaldamento e - EP-C: Prestazioni energetiche nel periodo di raffrescamento Il risultato vede coefficienti U più bassi per finestre di grandi dimensioni, qualora il coefficiente U relativo alla vetrata sia migliore rispetto a quello del telaio Letteratura e normative Fogli informativi dell'istituto bancario KfW per il programma n. 153 e 430 Linee guida ift WA-15/2, "Idoneità di finestre, porte pedonali esterne e facciate continue per edifici passivi", ift Rosenheim, febbraio 2011 Relazione sulla ricerca "Ottimizzazione sostenibile dei profili per finestre in legno per soddisfare i requisiti stabiliti da EnEV 2014", ift Rosenheim, giugno 2011 EN 673 ed EN 674, " Vetro per edilizia - Determinazione della trasmittanza termica (valore U) Metodo di calcolo" EN ISO 10077 ed EN ISO 12567, " Prestazione termica di finestre e porte - Calcolo della trasmittanza termica con il metodo della camera calda". Nelle case passive per effettuare una stima delle specifiche proprietà di finestre e facciate, occorre prendere in esame la situazione complessiva, compresi gli elementi strutturali di assemblaggio usati nella giunzione alla muratura e al cappotto Foto: www.guidafinestra.it Foto: In apertura, ampie aree della vetrata sfruttano l'energia solare per assicurare un surplus energetico (Foto: BMVBS) Nella tabella, valori di riferimento per finestre, facciate e vetrazioni destinate agli edifici passivi A sinistra , limiti dei parametri tecnici del triplo vetro. Foto: Sotto a sinsitra, parametri e riferimenti per le facciate (Linee guida ift WA 15/02) // Suddivisione dei tipici componenti delle facciate per il calcolo del coefficiente U A sinistra, potenziale di ottimizzazione mediante il miglioramento dei singoli componenti. Foto: A sinistra, potenziale di ottimizzazione delle finestre in Pvc. Foto: A sinistra, Potenziale di ottimizzazione delle finestre in metallo. Foto: In alto a sinistra, potenziale di ottimizzazione delle finestre in legno. A sinistra, potenziale di ottimizzazione degli elementi di assemblaggio.

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 46 27/06/2014 Nuova Finestra - N.403 - giugno 2014 Pag. 64 (diffusione:6362, tiratura:6600) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Professione serramentista/ Masi Vito - Officina Serramenti Alluminio L'officina nel DNA Accuratezza del lavoro artigianale, attento alle richieste personalizzate del cliente, e organizzazione del ciclo produttivo a livello industriale/ by Franco Ligabò

"L'officina - ci dice Vito Masi, titolare e 'regista' della omonima ditta individuale di Polignano a Mare (BA) - è stata la mia scuola, avendo iniziato nel 1968 a lavorare come dipendente in piccole aziende artigianali di carpenteria metallica. In vari ruoli: da apprendista a capo-officina, facendo anche il saldatore. Ed è lì che ho imparato a conoscere il metallo - il ferro e poi l'alluminio - nelle sue varie sfumature, trasformandolo in manufatti rispondenti alle richieste più particolari del cliente. Poi, il 'salto' datato 1980, frutto della passione progressivamente maturata per il serramento in alluminio, con la creazione di una mia azienda: una storia che ha portato a non pochi cambiamenti, a cominciare dagli spazi, passati dagli originari 170 metri quadrati agli attuali 300, parallelamente alla crescita dei volumi produttivi, così che dalla esecuzione di piccoli lavori con i privati siamo arrivati a collaborare con alcune grandi imprese edili della zona". Quindi - gli chiediamo - addio ai tempi del mitico artigianato? "Per niente - ci risponde -. Nel tempo, ci siamo dotati delle moderne macchine, che hanno sostituito i 'vecchi' banchi d'officina, aumentando sì la produttività, ma restando nei limiti della piccola impresa ad alto contenuto di specializzazione, imbevuta del 'sapere artigianale' delle origini. Insomma, non abbiamo cambiato idea. Ed è questa la nostra carta vincente". Una dimensione imprenditoriale che ben si sposa, del resto, con la natura del territorio stesso di Polignano a Mare: quasi 18 mila abitanti, un suggestivo centro storico a picco sul mare trasparente (dal 2008 Bandiera Blu), agricoltura pesca e turismo "fiori all'occhiello"; scenario scelto per non pochi film, anche d'autore, tra cui: "La ragazza con la pistola" di Mario Monicelli, con Monica Vitti; "Sabato, domenica e lunedì" di Lina Wertmüller, con Sophia Loren; "Turné" di Gabriele Salvatores, con Diego Abatantuono; oltre che paese natale di Domenico Modugno. Gamma prodotti Oggi l'azienda occupa, come detto, 300 metri quadrati, di cui 160 dedicati ad area produttiva, 130 a magazzino e 10 a uffici. Cinque gli addetti: due in produzione, uno in amministrazione e vendita, due posatori interni. La produzione è così articolata: 70% serramenti, di cui 60% alluminio, 5% alluminio-legno e 5% ferro; 10% persiane; 20% ringhiere, recinzioni e cancelli. Sul fronte dei serramenti in alluminio e misti, il 70% è realizzato con profili ALsistem: Planet 62TT e Slide 106, alluminio battente e scorrevole; Nathura 70 e Slide Wood 160, alluminio-legno battente e scorrevole; Venere, sistema per persiane in alluminio. Il restante 30% è riferito ad Alcoa: R60 TT ed R40, infissi in alluminio a taglio termico e giunto aperto. 2,0 con U 1,6 con U 0,6 (U 1,0 (U Relativamente ad ALsistem, questi i valori medi di trasmittanza termica (W/m I profilati in ferro tubolare per serramenti sono formiti da Adriatica Sider (vendita prodotti siderurgici) di Polignano a Mare (BA). Quanto ai vetri, varie le tipologie usate (ad alte prestazioni), tra cui i pirolitici a controllo solare Stopsol di AGC Glass e gli stratificati di sicurezza Stadip (ex Visarm) di Saint-Gobain Glass. Due le vetrerie fornitrici: Vetreria Calasso Luigi Srl di Copertino (LE) e Vetreria Industriale Srl di Monopoli (BA). Per quanto riguarda gli accessori - maniglie, serrature, cerniere, kit ribalta, kit scorrevoli ecc. - l'80% è "targato" Master (distributore locale Teo Accessori), mentre il restante 20% è riferito a Savio e Giesse. Il parco macchine d'officina, poi, è composto da punzonatrice Comall, intestatrice Fom Industrie, pantografo Faim, troncatrice Pedrazzoli IBP. Altri prodotti utilizzati: tapparelle avvolgibili Di Cosola, sistemi per ringhiere e balaustre in vetro Q-Railing Italia. Cliente e mercato Treantadue anni, diploma di geometra in tasca, in azienda dal 2005, Giovanni Masi, figlio di Vito, segue la parte tecnico-progettistica dell'azienda di famiglia. Ed è a lui che abbiamo posto alcune domande sulla realtà del mercato che qui ci interessa. Quali le aree toccate e quale la tipologia dei clienti? "L'area territoriale da noi toccata è riferita prevalentemente a Bari e provincia, con qualche commessa spot effettuata anche fuori regione. Quanto alla tipologia dei clienti, 50% privati e 50% imprese. Relativamente, poi, alla destinazione finale, due terzi del prodotto sono posati nell'edilizia abitativa, dalle villette singole ai condomini residenziali, mentre l'altro terzo trova sbocco in alberghi, residence, ristoranti e locali commerciali".

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 47 27/06/2014 Nuova Finestra - N.403 - giugno 2014 Pag. 64 (diffusione:6362, tiratura:6600) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Nuovo e rinnovo: quale la fetta maggiore? "Direi 40% in edifici di nuova costruzione, 60% in interventi di ristrutturazione di edifici esistenti". Un buon risultato, il 40% del nuovo, dati i tempi di crisi... "In effetti, potrebbe sembrare una mosca bianca. Ma questo trend è legato al fatto che moti interventi in edifici di nuova costruzione sono legati a commesse acquisite anni fa con importanti imprese di costruzione della zona. Imprese che, nonostante la crisi dell'edilizia, sono ancora sul mercato. Quanto alle destinazioni verso strutture ricettive e commerciali, sfruttiamo le opportunità offerte dal mercato turistico-alberghiero del nostro territorio. Ed è grazie anche a questa 'voce', oltre alla spinta decisiva data dal bonus fiscale del 65% sulle ristrutturazioni energetiche, che registriamo un giro d'affari in leggera crescita, nonostante la difficile congiuntura economica". Quale il rapporto con l'architetto progettista? "Ottimo, sia in quanto consulente del cliente privato sia in quanto professionista legato all'impresa, dalla progettazione in studio alla direzione lavori in cantiere. Un rapporto positivo, data la nostra massima disponibilità e totale apertura alle sue richieste, con soluzioni tecnico-esecutive che danno risposte puntuali ai concept di progetto". E la concorrenza del pvc? "Non influisce più di tanto, in quanto bassa è la richiesta in zona di tale materiale. C'è qualche serramentista in alluminio che cerca di imporlo, avendo acquistato attrezzature d'officina per lavorarne i profilati, ma con una risposta, a mio giudizio, debole". Carta vincente e servizio Tra i fornitori di sistemi e accessori, due i marchi dominanti. Quale il motivo? "Relativamente ad ALsistem, oltre alle prestazioni di isolamento termico e abbattimento acustico, gioca il fattore design, interpretato in linee pulite ed essenziali. Aspetto ricercato dagli architetti con cui lavoriamo. Motivazione analoga per gli accessori Master, unanimemente ritenuti, da noi serramentisti e dai nostri clienti, di ottima finitura a proposti a prezzi competitivi. Ottimo, poi, il nostro rapporto con Master, sempre disponibile per consulenze tecniche e assistenza in fatto di montaggi e manutenzione/ricambi dei loro accessori, il cui 'plus' è per noi rappresentato dalla nuova Linea Italia". Quale la carta vincente della sua azienda? "Coniugare la accuratezza del lavoro artigianale, rispettoso del design e delle più personalizzate varianti estetiche, con la organizzazione del ciclo produttivo a livello industriale: in tre mesi, ad esempio, siamo riusciti a consegnare 200 infissi per vetrate di 2,30 metri in altezza per 2,80 in larghezza". Quale il servizio offerto? "Consulenza pre vendita e assistenza post vendita, con garanzia di una continua manutenzione". Tempi di consegna? "Per piccoli lavori, tipo dieci infissi, una quindicina di giorni. Per ordini più complessi, magari completi di ringhiere, recinzioni e cancelli, massimo quaranta, cinquanta giorni". Identikit Azienda: Masi Vito - Officina Serramenti Alluminio Luogo: Polignano a Mare (BA) Anno di costituzione: 1980 su iniziativa di Vito Masi Superficie: 300 m produzione, 130 magazzino, 10 a uffici Dipendenti: 5, di cui 2 in produzione, 1 in amministrazione e vendita, 2 posatori interni Gamma prodotti: 70% serramenti (60% alluminio, 5% alluminio-legno, 5% ferro); 10% persiane (alluminio); 20% ringhiere, recinzioni e cancelli Serramenti e persiane: ALsistem e Alcoa (alluminio e al-legno); Adriatica Sider, Polignano a Mare/BA (fornitore di profilati in ferro) Vetri: AGC Glass, Saint-Gobain Glass Vetrerie: Vetreria Calasso Luigi, Copertino (LE); Vetreria Industriale, Monopoli (BA) Accessori: Master, Savio, Giesse Altri prodotti utilizzati: Di Cosola (tapparelle avvolgibili), Q-Railing Italia (sistemi per ringhiere e balaustre in vetro) Attrezzature d'officina: Comall, Fom Industrie, Faim, Pedrazzoli IBP Mercato: 60% rinnovo, 40% nuovo Cliente: 50% privato, 50% imprese Destinazione prodotti: 2/3 (66,6%) edilizia abitativa; 1/3 (33,4%) alberghi, residence, ristoranti e locali commerciali Gamma prodotti Ringhiere, recinzioni, cancelli 20% Persiane alluminio 10% Serramenti al/legno 5% Serramenti alluminio

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 48 27/06/2014 Nuova Finestra - N.403 - giugno 2014 Pag. 64 (diffusione:6362, tiratura:6600) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

60% Serramenti ferro 5% Nota - Altri prodotti utilizzati: tapparelle avvolgibili, sistemi per ringhiere e balaustre in vetro Chiar di Luna. Polignano a Mare (BA), Residence "Chiar di Luna", impresa costruttrice Serim Srl: veduta d'assieme e "dettagli" costruttivi. Scorrevoli in alluminio anodizzato argento Slide 106 di ALsistem; tapparelle avvolgibili in alluminio coibentato colore bianco della Di Cosola; balaustra in alluminio anodizzato argento e cristallo trasparente e opaco Easy-Glass Slim Top Mount di Q-Railing; recinzioni verniciate bianche; cancelli in ferro zincato e verniciato a caldo color ferro micaceo e cristallo trasparente; struttura pergolato a parete, per piante rampicanti, in alluminio scatolare anodizzato argento. Clienti Imprese 50% Privati 50% Destinazione prodotti Alberghi, residence, ristoranti, locali commerciali 33,4% Edilizia abitativa 66,6% Foto: Sopra, veduta dell'officina: sulla destra, Vito Masi, fondatore dell'azienda. Foto: A sinistra, Giovanni Masi , collaboratore tecnicoprogettista. Foto: Covo dei Saraceni. Polignano a Mare (BA). Hotel "Covo dei Saraceni". Ingresso in alluminio R60 TT di Alcoa colore grigio marmo antico; zona pranzo con infissi in alluminio R60 TT di Alcoa, grigio marmo antico esterno e bianco Ral 9013 interno.

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 49 27/06/2014 Nuova Finestra - N.403 - giugno 2014 Pag. 84 (diffusione:6362, tiratura:6600) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Normativa & Tecnologia/ Dalla Germania le implicazioni della EN 1090 sui trattamenti superficiali La normativa EN 1090 Dal 1° luglio entra in vigore la EN 1090. Problematiche specifiche relative alle finestre e facciate in metallo con riferimento alla resistenza alla corrosione. Cosa succede in Germania/ Müller, ifo - Institut für Oberflächentechnik (Istituto per la tecnologia delle superfici) GmbH, Schwäbisch-Gmünd Secondo l'associazione tedesca dei costruttori di strutture metalliche, sono oltre 20.000 le aziende tedesche che devono ancora ottenere la certificazione by Michael

Il nuovo Regolamento sui prodotti da costruzione è in vigore, nei paesi dell'Unione Europea, dal 1° luglio 2013. A partire da tale data, gli elementi strutturali in acciaio e alluminio possono essere messi sul mercato soltanto se il costruttore possiede una certificazione a norme EN 1090-1. La Germania (come tutti i Paesi Europei, Italia compresa) ha a disposizione, per l'adeguamento, un periodo di transizione che si concluderà il 1° luglio 2014. Il presente articolo si propone di offrire una breve panoramica delle situazioni in cui viene richiesta una certificazione EN 1090 e delle modalità per ottenerla. Il Regolamento e la normativa EN 1090 Il Regolamento sui prodotti da costruzione armonizza una serie di standard nazionali precedenti, divergenti fra loro, riguardanti i prodotti da costruzione. D'ora in avanti, chiunque fabbrichi un prodotto da costruzione soggetto al Regolamento sui prodotti da costruzione e alle norme alle quali esso fa riferimento, potrà proporre il proprio prodotto sul mercato della UE soltanto se provvisto di una dichiarazione di prestazione (conformità del prodotto da costruzione allo standard) e del marchio CE. Gli standard armonizzati sono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea (e in Germania sul Bundesanzeiger, la Gazzetta Ufficiale), e generalmente forniscono le informazioni necessarie sulle modalità di dichiarazione delle prestazioni (conformità). La normativa EN 1090 è suddivisa in tre parti: la parte EN 10901 stabilisce i requisiti per la valutazione della conformità, mentre le parti EN 1090-2 e EN 1090-3 contengono i requisiti tecnici richiesti, rispettivamente, per le strutture in acciaio e in alluminio. Dichiarazione di prestazione a norme EN 1090 Al fine di compilare una dichiarazione di conformità a norme EN 1090-1, il costruttore di strutture metalliche deve ottenere un certificato di conformità "System 2+". A tale scopo, il costruttore deve sottoporre a certificazione il proprio sistema di controllo della produzione in fabbrica, i cui requisiti variano a seconda della classe di esecuzione (EXC 1-4) alla quale appartengono le strutture fabbricate. La classe EXC 1 comprende ad esempio scale, abitazioni indipendenti con un massimo di 4 piani, balconi ecc.; alla classe EXC 2 appartengono le strutture con un massimo di 15 piani; nella classe EXC 3 rientrano, fra le altre, le strutture con più di 15 piani, le coperture di grandi dimensioni, gli stadi, i ponti e le torri; la classe EXC 4, infine, si applica laddove il cedimento di una delle strutture incluse nella classe EXC 3 potrebbe comportare gravi conseguenze per le persone o l'ambiente, ad esempio nel caso di un ponte stradale o ferroviario situato sopra a un'area densamente popolata. Secondo l'associazione tedesca dei costruttori di strutture metalliche, sono oltre 20.000 le aziende sul territorio nazionale che devono ancora ottenere la certificazione. Finestre e le facciate in metallo Per il momento, le finestre e le facciate in metallo non rientrano nell'ambito di applicazione della normativa EN 1090, poiché le facciate continue sono già soggette alle norme EN 13830; lo stesso dicasi per le finestre, porte e cancelli industriali, commerciali e di garage, e per gli ingressi pedonali esterni (cui si riferiscono le norme EN 13241-1 e EN 14351-1). In questi casi, pertanto, la dichiarazione di prestazione può ancora essere com pilata sulla base di tali standard di prodotto. Va tenuto presente, tuttavia, che è possibile applicare alcuni criteri di esclusione che impongono una certificazione a norme EN 1090-1 anche per questo tipo di prodotti. È il caso, ad esempio, delle strutture che prevedono balaustre aggiuntive, dispositivi anti-caduta o barriere di sicurezza. Tale situazione potrebbe interessare, inoltre, anche le strutture dotate di tettoie o pensiline, o che comunque sporgono in maniera significativa dalla linea verticale dell'edificio. L'ambito di applicazione della normativa EN 1090-1, infine, potrebbe estendersi anche ad alcune tipologie personalizzate di ancoraggi portanti. Nel dubbio, i costruttori dovrebbero verificare se i loro prodotti rientrano nell'ambito di applicazione della normativa, ad esempio, in Germania contattando il Deutsche

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 50 27/06/2014 Nuova Finestra - N.403 - giugno 2014 Pag. 84 (diffusione:6362, tiratura:6600) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Institut für Bautechnik (DIBt). I serramentisti e facciatisti del metallo dovrebbero ricordare che prodotti quali le scale, le balaustre, le pensiline, i giardini d'inverno e i box auto rientrano sempre nell'ambito di applicazione della normativa EN 1090. Se un costruttore di finestre e facciate in metallo ritiene che i propri prodotti non rientrino, o rientrino solo in determinati casi, nell'ambito di applicazione della normativa EN 1090, potrà evitare gli sforzi e le spese connessi alla certificazione subappaltando la fabbricazione dei prodotti interessati dalla normativa a un costruttore certificato. Procedura per la certificazione a norme EN 1090 I costruttori dovrebbero innanzitutto esaminare i propri prodotti e determinare in quale classe di esecuzione (EXC 1-4) rientrano. Le piccole e medie imprese, generalmente, si affidano ai servizi o alla consulenza di terzi al fine di ottenere la certificazione. Alcune associazioni industriali offrono l'assistenza di esperti e corsi di formazione in materia, e sono in grado di fornire ai propri membri modelli di documenti e informazioni pratiche sulla procedura da seguire. È inoltre opportuno contattare tempestivamente un ente certificatore riconosciuto. Questi enti non sono autorizzati a fornire consulenze, ma possono offrire informazioni affidabili riguardo alla procedura di certificazione. Prima di concludere un contratto di certificazione, è opportuno richiedere all'ente certificatore le relative liste di controllo, contenenti utili informazioni sui requisiti da soddisfare e sulla documentazione richiesta. Gli enti certificatori offrono inoltre la possibilità di eseguire utili "ispezioni preventive" opzionali, che possono aiutare il costruttore a superare l'ispezione vera e propria senza grandi difficoltà. La EN 1090 e la resistenza alla corrosione Molti costruttori non sono consapevoli del fatto che la parte della normativa EN 1090 riguardante la durata include anche alcuni requisiti specifici relativi alla resistenza alla corrosione. A tale proposito, i costruttori devono fornire una prova documentaria che testimoni che i loro prodotti assicurano una resistenza alla corrosione conforme agli standard. Tale prova può essere ottenuta, per ogni singolo ordine, mediante un controllo adeguato da parte di terzi, che dovranno eseguire una serie di verifiche sia sui prodotti che sulle relative documentazioni. La procedura di verifica è semplificata dal sistema dei "marchi di qualità", riconosciuto a livello europeo. La verifica di applicabilità necessaria può essere effettuata eseguendo i controlli di produzione costanti richiesti e sottoponendo i prodotti a verifiche da parte di istituti indipendenti. Conclusione Sono numerosissimi i costruttori di strutture portanti in metallo che non hanno ancora applicato i provvedimenti imposti per il periodo di transizione, che si concluderà il 1° luglio 2014. Molti stanno adottando una strategia attendista nonostante le associazioni di settore continuino a sottolineare la necessità di ottenere la certificazione. La conformità alla norma EN 1090 non rappresenterà un ostacolo insormontabile, se i costruttori inizieranno ad affrontare la questione con un adeguato anticipo. Foto: Sopra: l'autore, Michael Müller, ifo (Institut für Oberflächentechnik GmbH, Schwäbisch-Gmünd.

SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 51

SCENARIO ECONOMIA

23 articoli 27/06/2014 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 13 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

L'intervista Campo Dall'Orto: la svolta di Poste Italiane e quella tutta da inventare della Rai «Nuovi modelli per il business, bisogna cambiare» Poste non può abdicare al suo ruolo tradizionale Paolo Conti

ROMA - Antonio Campo Dall'Orto, uomo di comunicazione e di media in campo internazionale (Sud Europa, Africa, Medio Oriente, Turchia), per anni innovatore della tv italiana com Mtv e La7, ora è anche consigliere di amministrazione di Poste italiane. Il primo bilancio di questa nuova esperienza? «Vedo un'azienda che, come l'Italia, ha grandi potenzialità ma si ritrova a un crocevia tra un passato anche positivo e il futuro che si ritroverà di fronte. La parte più affascinante del mio lavoro passa attraverso la privatizzazione per condurre Poste in sintonia con i temi di domani. In più parliamo di un'azienda complessa: la parte finanziaria, la telefonia mobile e i servizi tradizionali». Proprio questo settore sembra più in crisi. La consegna della posta cartacea, dei pacchi, delle raccomandate... «Lo slogan del nostro amministratore delegato, Francesco Caio, è giustamente 'Non c'è Poste senza Poste'. Parliamo dell'azienda con il maggior numero di dipendenti in Italia, 144 mila persone, con una forte cultura interna. Ma nell'area tradizionale sono stati persi 500 milioni di margine, la quota della consegna dei pacchi in Italia è scesa all'8%. Per Caio vuol dire che qualcosa non ha funzionato e il comparto va rivisto. Ci riusciremo. Poste è davvero l'azienda degli italiani: 25 milioni di soggetti hanno un rapporto legato al risparmio tra conti correnti e libretti. Il ruolo legato alla quotidianità del cittadino è fondamentale, Poste non può e non deve abdicare. Siamo tutti impegnati in un lavoro di squadra per raggiungere l' obiettivo, anche se sappiamo che il settore tradizionale è fatalmente in contrazione in tutto il mondo». E invece, per quanto riguarda il futuro? «Non possiamo non pensare alle opportunità che ci si aprono per entrare in mondi nuovi e seguire i nuovi comportamenti. Amazon ha appena lanciato Fire Phone, conquistandosi la copertina di «The Economist». L'e-commerce vale ormai un trilione e mezzo di dollari. Certe valutazioni devono spingere grandi aziende come Poste a ripensarsi con sfide più coerenti con i tempi e le stesse aspettative degli utenti». Domani, sabato 28, lei verrà intervistato al Festival di Spoleto da Paolo Mieli per le conversazioni «Visioni» di Aleteia. Fatale che si parlerà di Rai. Il suo nome viene spesso citato come futuro uomo di viale Mazzini... «In realtà so ben poco di quanto sta avvenendo alla Rai, sono molto concentrato su Poste e sto in giro per il mondo. Ma ho letto con interesse una dichiarazione del premier Matteo Renzi su una Rai che contribuisca alla rinascita del Paese attraverso un nuovo sforzo legato alla sua missione educativa e culturale. Per me, che mi occupo da sempre di comunicazione e media, si tratta di una scelta fondamentale. Tutto questo passa attraverso l'adeguamento allo spirito del nostro tempo, alla contemporaneità, quindi ai suoi linguaggi. Rai e Poste si somigliano molto, alla fine, perché entrambe sono in questo momento metafora di un Paese che deve confrontarsi con nuovi modelli di business, nuove modalità di lavoro mantenendo forte la coesione interna». Renzi sarebbe favorevole a una rete Rai priva di pubblicità e sganciata dalla schiavitù dell'ascolto, dell'Auditel... «So poco nel dettaglio. Ma se si pone la domanda sull'utilità di un Servizio pubblico televisivo in questi nostri anni e nel contesto europeo, io rispondo che l'utilità c'è perché è essenziale un soggetto che tenga insieme la cultura del Paese». © RIPRODUZIONE RISERVATA Foto: Chi è Antonio Campo Dall'Orto, 49 anni, è consigliere di amministrazione di Poste. Ha guidato Mtv e La7

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 53 27/06/2014 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 43 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato La lente Capitali all'Estero Una «Disclosure» anche per i Beni già in Italia Giovanni Stringa

Continua ad arricchirsi di nuovi elementi la strada della «voluntary disclosure» per il rientro dei capitali in Italia. La prossima settimana, secondo alcuni operatori, potrebbe essere decisiva per arrivare a una definizione del provvedimento. A cominciare già da lunedì: alle 10 di mattina scadrà il termine per presentare subemendamenti alla nuova proposta di Giovanni Sanga (Pd), relatore al Ddl sul rientro dei capitali. Le procedure per l'emersione di beni e capitali detenuti in Italia - così è stato riscritto il «ravvedimento speciale» - saranno uguali a quelle che si dovranno seguire per far rientrare i patrimoni dall'estero. L'Agenzia delle entrate avrà inoltre 90 giorni di tempo per esaminare le domande di ravvedimento dei contribuenti. E una terza innovazione allenta la presa del fisco verso i contribuenti che faranno rientrare i capitali dai Paesi che entro il prossimo primo settembre avranno sottoscritto accordi di scambi informativi con l'Italia. Non scatterà in particolare il raddoppio dei termini di accertamento previsto nel quadro del contrasto all'evasione. Quanto al corpo principale del provvedimento, per come stanno oggi le cose, l'emersione non sarà anonima (come fu per i capitali «scudati») e si pagherà l'intera imposta, mentre sanzioni e interessi saranno ridotti con un sistema «graduato». Tutto deve naturalmente proseguire il suo iter nelle istituzioni prima di diventare legge. E non possono escludersi nuovi «colpi di scena» . © RIPRODUZIONE RISERVATA 90 i giorni di tempo che avrà il Fisco per esaminare le domande di ravvedimento, in base alla proposta attuale

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 54 27/06/2014 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 43 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato La holding del Biscione I ricavi a 4,7 miliardi. Sui conti oneri straordinari per 723,8 milioni Fininvest sconta il lodo Mondadori Pier Silvio torna nel consiglio La perdita sale a 428 milioni. Berlusconi jr lascia Mediobanca Sergio Bocconi

Il gruppo Fininvest ha chiuso il 2013 con una perdita consolidata di 428,4 milioni, alla quale hanno contribuito in modo rilevante gli effetti della sentenza definitiva sul lodo Mondadori. Ieri l'assemblea della holding della famiglia Berlusconi ha approvato il bilancio e nominato in consiglio Pier , che per la normativa sui doppi incarichi lascia il board di Mediobanca. Ha poi confermato le dimissioni dal consiglio il vicepresidente Maurizio Costa, dopo la designazione al vertice della Fieg, la federazione degli editori. I conti del gruppo, che controlla Mondadori e Mediaset, riflettono ovviamente (come viene sottolineato nella nota) anche la crisi del settore e in particolare della pubblicità. I ricavi consolidati sono dunque diminuiti dell'8,5% a 4,7 miliardi. Se registra una flessione più limitata il margine operativo lordo, che cala dell'1,6% a a 1,2 miliardi, gli oneri non ricorrenti per 723,8 milioni portano il risultato netto in rosso per 428,4 milioni, rispetto alla perdita di 284,5 milioni del 2012. Degli oneri straordinari 491,3 milioni sono riferibili alla sentenza definitiva sul lodo Mondadori: la Cassazione nel settembre 2013 ha respinto il ricorso di Fininvest e confermato la condanna a risarcire 494 milioni alla Cir di Carlo De Benedetti. Il gruppo della famiglia Berlusconi, che aveva effettuato un accantonamento dopo la sentenza d'Appello del 2011, l'anno scorso ha dunque pagato definitivamente il maxi assegno con i relativi riflessi sul conto economico 2013. Svalutazioni su asset e oneri di ristrutturazione hanno poi fatto salire di altri 230 milioni circa il conto delle partite negative straordinarie. Senza tali oneri i conti si sarebbero chiusi in utile per 91,7 milioni. L'assemblea ha poi deliberato il ritorno di Pier Silvio Berlusconi nel board della capogruppo, dal quale era uscito nel 2012 per sostituire in Mediobanca la sorella Marina, che aveva dovuto lasciare Piazzetta Cuccia proprio per l'intervento dell'articolo 36 che ha vietato i doppi incarichi in società concorrenti nei settori bancario, assicurativo e finanziario. Fininvest rientra in questa fattispecie poiché controlla Mediolanum in patto con Ennio Doris. La decisione appare dettata dalla volontà della famiglia di aumentare la «presa» operativa sul gruppo. Non si tratterebbe dunque di un disimpegno da Mediobanca, alla quale Fininvest partecipa con una quota pari all'1% vincolata al patto di sindacato e con un'altra equivalente fuori accordo parasociale. Per la sostituzione di Pier Silvio Berlusconi, che avrà luogo con l'assemblea di ottobre della banca d'affari, secondo quanto si apprende verrà scelta una figura «tecnica» di «consolidata esperienza e autorevolezza», a conferma appunto della considerazione «strategica» attribuita alla partecipazione in Piazzetta Cuccia. © RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 55 27/06/2014 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 45 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

La storia La società del Tesoro realizzerà un'operazione da 3 miliardi per gestire le crisi di offerta. L'ultima con l'uragano Katrina Torna il petrolio di Stato Con riserve per un mese L'Acquirente Unico: via alle prime 100 mila tonnellate Vigevano Acquistiamo riserve per rispondere alle crisi Massimo Sideri

Da oggi torna il «petrolio di Stato». Le prime centomila tonnellate di greggio sono già state acquistate anche se il finanziamento con Société Générale per chiudere definitivamente l'operazione verrà siglato oggi: si tratta di poco più di 714 mila barili che corrispondono alla quantità di oro nero necessario per far girare l'Italia - industrie comprese - per 24 ore. Ma a regime le scorte statali copriranno il fabbisogno di un mese intero, un'operazione del valore di circa 3 miliardi di euro anche se serviranno anni per centrare l'obiettivo. Certo, non sfuggirà che l'Eni è ancora per il 30% del Tesoro anche se è stata privatizzata a partire dal '95. Ma la novità in questo caso è che si tratta di acquisti fatti direttamente attraverso l'Ocsit, l'Organismo centrale di stoccaggio italiano che opera quale divisione dell'Acquirente Unico, a sua volta una società del Tesoro. Sono in questo caso barili pubblici, formalmente e sostanzialmente. Si tratta di riserve petrolifere - da usare per eventuali crisi - che esistevano già: sono state istituite dall'Aie dopo l'Oil shock dei primi anni Settanta, quando gli italiani dovettero rispolverare le biciclette per affrontare il caro-benzina fuori controllo. Il clima oggi è diverso ma il problema di fondo rimane: siamo importatori netti di petrolio, come l'Europa nel suo complesso. E ogni tanto succede che qualche fatto grave metta in crisi temporanea l'oliato meccanismo di approvvigionamento. Per intendersi, l'ultimo risale al 2005 quando l'uragano Katrina mise in ginocchio gli Stati Uniti facendo tremare l'intero mercato del petrolio mondiale. Nel 2009 una direttiva europea introdusse l'obbligo di avere un organismo di stoccaggio e, in effetti, l'Italia era rimasto l'ultimo Paese a non averlo. Per intendersi, la Francia lo ha addirittura da 25 anni. Dunque, niente paura: il petrolio di Stato non è un atto nostalgico e, anzi, per il pubblico è a costo zero visto che le spese sono a carico delle società petrolifere ben contente di dover stoccare meno dei 90 giorni previsti dagli anni Settanta (a regime, dunque, un mese sarà detenuto dall'Ocsit e due mesi dagli operatori privati). A livello politico fu Mario Monti a recepire quella direttiva come uno degli ultimi atti del proprio governo. E oggi ci siamo. «L'avvio dell'Ocsit - spiega Paolo Vigevano, presidente e amministratore delegato di Acquirente Unico - che opera in maniera non discriminatoria e pro-concorrenziale riguarda il ruolo che lo Stato deve avere sul mercato. In questo caso interveniamo laddove i privati avevano mostrato di non sapere intervenire. Anche se il nostro profilo è per quanto possibile vicino a quello di mercato. Operiamo come negli altri Paesi come la Germania, la Spagna, la Danimarca, richiedendo dei finanziamenti sul mercato per acquistare il prodotto con la garanzia dello stesso. Si tratta di un meccanismo che viene usato per la prima volta in Italia. La gara per il finanziamento per comprare le prime scorte è stata anche una delle prime concluse con il nuovo codice degli appalti». Il contratto per l'avvio dell'attività dell'Organismo Centrale di Stoccaggio Italiano sarà siglato oggi. Alla gara per il finanziamento hanno partecipato otto banche tra italiane e estere. Société Générale, aggiudicataria della gara, erogherà un finanziamento di 300 milioni di euro a cinque anni ad un tasso d'interesse variabile equivalente a 30 punti sopra il Btp di uguale durata. Sono stati offerti complessivamente 1,3 miliardi, valore quattro volte superiore rispetto a quanto richiesto. «L'ammontare delle proposte ricevute - ha concluso Vigevano - è un dato davvero importante, in quanto testimonia l'elevato interesse che il debutto di Ocsit ha suscitato all'interno del panorama finanziario europeo». Contemporaneamente alla provvista finanziaria, l'Ocsit ha dato corso alle gare per l'acquisto dei prodotti petroliferi e il relativo stoccaggio. Entro un anno è previsto l'acquisto di scorte per altri due giorni (sostanzialmente sono previsti 100 milioni per ogni giorno di riserve capaci di mandare avanti completamente l'Italia). Poi partiranno le altre gare per i finanziamenti successivi, in maniera da arrivare lentamente alle scorte pari a un mese intero. Tre miliardi di euro in petrolio

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 56 27/06/2014 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 45 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

di Stato. [email protected] © RIPRODUZIONE RISERVATA Energia L'Acquirente Unico è la società pubblica alla quale, nell'ambito del processo di liberalizzazi-one del mercato elettrico, per legge è affidato il compito di acquistare elettricità per le famiglie e le piccole-medie imprese rimaste nel mercato tutelato (oltre 25 milioni di utenti). L'Acquirente Unico ha ora anche la gestione dell'Ocsit, l'organismo delle scorte petrolifere

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 57 27/06/2014 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 45 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Il progetto Intesa, una banca in Brasile per il Made in Italy Ora rotta su Abu Dhabi Fabio Savelli

SAN PAOLO - Una struttura snella composta da 40 persone. Una capitalizzazione iniziale di circa 100 milioni di euro. Circa due miliardi di euro di raccolta l'asticella dopo i primi tre anni di attività. Definito il perimetro l'ultimo tassello per completare il mosaico è l'autorizzazione del Banco Central do Brasil prevista per l'autunno. Poi calerà il sipario sulla prima banca italiana ad operare in real e nel mercato dei cambi, in Brasile. A concedere finanziamenti alle imprese. «Banco Multiplo», secondo la definizione dell'authority bancaria locale, perché Intesa Sanpaolo potrà offrire anche prodotti di finanza strutturata e opererà nel mercato dei capitali utilizzando il know-how di Banca Imi, la banca d'affari di Ca' de Sass. Ieri il metaforico taglio del nastro davanti alla comunità finanziaria e imprenditoriale di San Paolo. Dice Gaetano Miccichè, direttore generale di Intesa Sanpaolo e responsabile della divisione corporate del gruppo, che la sussidiaria brasiliana, dedicata esclusivamente alla clientela corporate, servirà anche per accompagnare le nostre imprese in un mercato infinito ma ancora parzialmente inesplorato. Ora tra le prossime tappe di intesa c'è Abu Dhabi, dove è in cantiere un progetto analogo a quello brasiliano . © RIPRODUZIONE RISERVATA Foto: Gaetano Micciché

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 58 27/06/2014 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 47 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Sussurri & Grida Cattaneo non lascia l'energia, due start up in autunno

(an. duc.) Nel nome delle due società costituite nelle scorse settimane ci sono le sue iniziali. E poi anche la lettera esse. L'azionista al 100% di Essecieffe Investment e Essecieffe Services è l'ex amministratore delegato di Terna, Flavio Cattaneo. Passato il testimone al suo successore, Matteo Del Fante, l'ex direttore generale della Rai si è messo subito al lavoro per impostare una nuova attività nel settore dell'energia. Un mercato che conosce bene e dove confida di intercettare l'interesse di una serie di investitori esteri per puntare nel business delle infrastrutture e delle reti. Per ora Cattaneo preferisce tenere le carte coperte e dire che «sta lavorando dalla mattina alla sera per trovare gli uffici, i dipendenti e tutto quanto necessario all'avvio di una start up». Nei fatti l'ex numero uno di Terna, forte di una sontuosa buonuscita corredata dell'indennità sostitutiva per il mancato rinnovo, vorrebbe raccogliere munizioni per qualche centinaio di milioni e costituire un fondo specializzato nel settore delle reti. Il capitale sociale di 10 mila euro è, insomma, una piccola dotazione per avviare i motori di Essecieffe Investment e Essecieffe Services, quest'ultima è controllata interamente dalla prima che ha un ruolo di holding. Lo schema operativo è già definito. Nel lungo elenco delle possibili attività in campo elettrico si segnalano «la progettazione, lo sviluppo e la costruzione in proprio e per conto terzi di nuovi impianti nonché l'adeguamento e il potenziamento di impianti esistenti», aggiungendo la possibilità di produrre «energia elettrica da qualsiasi fonte e l'immissione della stessa nella rete elettrica nazionale italiana». Nelle prossime settimane Cattaneo avvierà i primi incontri con potenziali investitori e partner finanziari. «L'obiettivo è essere pronti alla vigilia dell'autunno» . © RIPRODUZIONE RISERVATA Hera e la prima obbligazione «verde» (fr.bas.) Sostenibilità e «green» sono un business che piace all'estero: la multiutility Hera, attiva in Emilia Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Marche, ha lanciato il primo «green bond» italiano, che ha raccolto il successo maggiore tra investitori francesi, tedeschi e britannici. L'obbligazione è destinata a finanziare o rifinanziare investimenti già effettuati o previsti nel piano industriale al 2017 negli ambiti della lotta al cambiamento climatico, riduzione emissioni, qualità nella depurazione acque e ciclo dei rifiuti. L'emissione è stata di 500 milioni, rimborsabili in 10 anni a una cedola del 2,375% e un rendimento del 2,436%. Gli ordini, pari a 1,7 miliardi di euro (più di 3 volte l'ammontare emesso), sono stati raccolti principalmente da investitori stranieri (75% Francia, Germania e Gran Bretagna che hanno registrato le percentuali maggiori), con una prevalenza di asset manager . © RIPRODUZIONE RISERVATA Tangobond, le conseguenze della sentenza (giu.fer.) «L'Argentina paga» ha scritto ieri il presidente del Paese sudamericano Cristina Fernandez de Kirchner in un tweet, a cui ha allegato il documento che conferma il deposito dei fondi per il pagamento dei creditori che hanno aderito al concambio del debito. E questo ha mandato su tutte le furie NML Capital, l'hedge fund che fa capo di Elliot Management, e alla guida del gruppo dei fondi che, non avendo aderito alla ristrutturazione, ha ottenuto dalla Corte suprema Americana di essere pagato per intero dall'Argentina. Ma se il braccio di ferro tra i fondi avvoltoi e Buenos Aires continua, la sentenza della Corte ha delle conseguenze imprevedibili, a prescindere dal tema Argentina. L'aspetto più interessante è che la Corte ha deciso che nulla osta a che un tribunale americano ordini la «discovery» sugli asset, cioè la ricerca di beni, di Stati stranieri non solo negli Stati Uniti ma anche al di fuori dei suoi confini. Questo non viola l'immunità dello Stato estero, perché destinatario dell'ordine di discovery non è direttamente lo Stato ma soggetti terzi come le banche, che detengono i beni e le informazioni relative. «NML Capital, così come qualunque soggetto creditore di Stato sovrano, può dunque pretendere di sapere quali sono i beni di proprietà di tale Stato e dove si trovano, così da poterli aggredire mediante un'azione esecutiva in qualsiasi parte del mondo», spiega Federico Sutti,

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 59 27/06/2014 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 47 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

managing director Europa e Africa dello studio legale DLA Piper. Adesso toccherà al legislatore intervenire, indica la stessa Corte suprema, per risolvere il fatto che al giudice americano sia consentito di invadere la sovranità di altri Stati (non per niente gli Usa sono intervenuti in giudizio a favore dell'Argentina) . © RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 60 27/06/2014 Il Sole 24 Ore Pag. 4 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato INTERVISTA Alessandro Laterza Vicepresidente Confindustria «Liberare i cofinanziamenti dal patto di stabilità» PROGRAMMI COORDINATI «Bisogna svincolare almeno 12,6 miliardi per i soli piani 2007-2013. Un quadro unitario per tutte le risorse» Giorgio Santilli

ROMA «Dai nostri calcoli servono almeno 12,6 miliardi di cofinanziamenti nazionali e regionali 2007-2013 che andrebbero liberati dal patto di stabilità per garantire un'effettiva accelerazione della spesa e ridurre così il rischio di perdere fondi europei. Se non si risolve la questione del patto di stabilità, è impossibile una attuazione piena ed efficace degli interventi». Alessandro Laterza, vicepresidente di Confindustria per il Mezzogiorno e le politiche regionali, rilancia l'urgenza di completare il ciclo 2007-2013 e al tempo stesso partire bene con la nuova fase di programmazione 2014-2020. «Abbiamo 170 miliardi fra vecchi e nuovi fondi, europei e nazionali, ed è giusto mettere tutto sullo stesso tavolo perché da questa massa può venire un impatto importante in termini di rilancio degli investimenti. Si tratta di risorse destinate a obiettivi strutturali, ma non dobbiamo aver paura di dire che possono favorire una ripresa anche in chiave congiunturale, soprattutto nel Sud». Lei ha battuto sulla «programmazione unitaria e coordinata» di tutte le risorse. Perché? Ho poco interesse per gli strumenti specifici che spetta alla politica definire, per esempio se gli investimenti debbano essere esclusi dal patto di stabilità interno o debbano essere conteggiati fuori del deficit. Se ne sta parlando in Europa anche in queste ore, poco importa lo strumento che si contratta o si riesce a spuntare, è importante che si faciliti la spesa e che sia unitaria la programmazione di risorse che spesso presentano tempistiche e caratteri differenti: fondi Ue, cofinanziamenti e risorse nazionali aggiuntive del Fondo sviluppo coesione (Fsc). Il quadro deve essere unitario. Mi ha fatto piacere vedere una sintonia, su questo punto, con il sottosegretario Delrio: l'importante è raggiungere il risultato senza irrigidirsi troppo in questo o in quello strumento. Resta alto il rischio di perdere risorse del ciclo 2007-2013 per cui dobbiamo spendere ancora 21 miliardi entro fine 2015. Che azione si aspetta? Penso che il mese di luglio sarà dedicato dal governo alla consegna a Bruxelles dei programmi 2014-2020. Una volta rispettata questa scadenza, a settembre immagino che si potrà rimettere mano ai programmi 2007- 2013. Il sottosegretario Delrio ha annunciato che partirà nei prossimi giorni la nuova Agenzia per la spesa dei fondi europei. Che valutazione date? Abbiamo sempre dato una valutazione positiva. Non perché pensiamo a poliziotti che sul territorio controllano chi fa e chi non fa, ma nello stesso spirito di tenere un quadro unitario, anche in termini di ausilio alle amministrazioni e di monitoraggio. C'è ora una posizione forte di Confindustria sulla necessità di far ripartire gli investimenti ancora più dei consumi, aumentare la spesa pubblica in conto capitale tagliando la spesa pubblica corrente. E individuate anche i fondi Ue come strumento per favorire questa inversione di rotta. La spesa pubblica corrente è tornata a crescere nel 2012, mentre gli investimenti pubblici si sono ancora ridotti. La spesa in conto capitale nel Sud è tornata ai livelli del 1996 e dal 2009 abbiamo avuto un rallentamento inaccettabile della spesa dei fondi europei. Non possiamo perdere l'occasione che oggi è data dai fondi europei per invertire questa tendenza. Il momento di farlo è adesso. La spesa dei programmi 2014- 2020 deve cominciare dal 1° gennaio 2015, non si può perdere tempo. E non possiamo permetterci di perdere neanche un euro dei fondi 2007-2013. Dobbiamo usare queste risorse per accrescere la competitività delle imprese e l'efficienza della pubblica amministrazione, due sfide strutturali decisive soprattutto per il Sud.

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 61 27/06/2014 Il Sole 24 Ore Pag. 4 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

© RIPRODUZIONE RISERVATA RISORSE BLOCCATE 12.651 milioni I cofinanziamenti da liberare Le risorse da svincolare dal patto di stabilità per accelerare la spesa dei fondi Ue 7.081 milioni Per il Por 2007-2013 La copertura necessaria per i programmi operativi regionali 770 milioni Per il Pac Risorse del Piano di azione e coesione senza spazio di patto 4.800 milioni Per il Fsc Le risorse del Fondo sviluppo e coesione da «liberare» Foto: LAPRESSE Foto: Vicepresidente Confindustria. Alessandro Laterza

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 62 27/06/2014 Il Sole 24 Ore Pag. 5 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Le azioni per lo sviluppo. Il ministro: «La riforma della Pa è quella che serve a far funzionare tutte le altre» Padoan: non ancora usciti dalla crisi TADDEI (PD) «All'orizzonte non c'è alcuna manovra correttiva ma una legge di stabilità coraggiosa e che renderà operativi gli impegni presi dal governo» Marco Rogari

ROMA «Uscire da due anni di recessione profondissima e uscire dagli impedimenti della crescita che c'erano da almeno due decenni». Per il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, è questa la doppia sfida che «l'Italia ha davanti». Una doppia sfida che è assolutamente possibile vincere. Anche se il responsabile di via XX settembre tiene a far notare che l'Italia e l'Europa hanno affrontato «una crisi profonda da cui non siamo ancora definitivamente usciti». E che il nostro Paese ha «problemi un po' più seri del solo uscire dalla crisi. La crescita in un Paese fermo da tempo - aggiunge - viene da mutamenti strutturali». A cominciare dalle «riforme economiche e istituzionali». La crescita prima di tutto, insomma. «Abbiamo la necessità di rimettere la crescita al centro della politica economica europea, e lo dico a pochi giorni dall'avvio del semestre di presidenza italiana», ribadisce il ministro dell'Economia. Che evidenzia: «La politica economica deve prevedere azioni non solo quantitative ma anche qualitative». Intervenendo alla presentazione del secondo Rapporto Istat-Cnel sul Benessere equo e solidale (Bes), a Padoan viene chiesto se ritiene ancora credibile la stima governativa di crescita del Pil nel 2014 dopo il taglio delle previsioni da parte del Centro studi di Confindustria allo 0,2% ma il ministro si limita a rispondere con un «no comment». A definire troppo pessimista la previsione del CsC è il responsabile economico del Pd, perché «non si tiene conto degli effetti della politica di redistribuzione fiscale permanente intrapresa dal Governo, che ad esempio «nella prossima legge di stabilità si tradurrà nella trasformazione in via strutturale del bonus di 80 euro, e dell'effetto della manovra espansiva di politica monetaria decisa dalla Bce». Taddei conferma che all'orizzonte «non c'è alcuna manovra correttiva ma una legge di stabilità che sarà coraggiosa e che renderà operativi gli impegni presi dal Governo, anche in termini di riduzione di spesa, nell'ottica di favorire la crescita e di spianare la strada ai segnali gli attuali segnali di fiducia». A mostrarsi fiducioso sul futuro è Padoan. Che sottolinea che «compito primario della politica economica, quando ci sono segnali di profonda crisi ma anche di enormi potenzialità che ci sono ancora nel Paese è quello di resuscitare e rafforzare queste potenzialità dando incentivi giusti». E aggiunge: «Per questo è fondamentale che le riforme strutturali, economiche e istituzionali siano in cima all'agenda». A questo proposito il ministro afferma la riforma della pubblica amministrazione, appena varata dal Governo «è quella che serve per far funzionare tutte le altre perché se non c'è una macchina pubblica che funziona non serve fare bellissime leggi in Parlamento». © RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 63 27/06/2014 Il Sole 24 Ore Pag. 5 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Le previsioni del CsC CRESCITA E RIFORME «Ripresa lenta, ma fuori dal baratro» Squinzi: numeri ancora difficili da accettare, ma le prospettive sono in miglioramento OTTIMISMO NECESSARIO Secondo il vicepresidente per il Centro studi Carlo Pesenti «gli imprenditori e il Paese hanno bisogno di una materia prima importante, la fiducia» Nicoletta Picchio

ROMA L'Italia «non è più sull'orlo del baratro». Potrebbe sembrare una contraddizione, dal momento che il Centro studi di Confindustria, ieri, ha rivisto i dati del Pil al ribasso. Un «realismo» sottolineato da Giorgio Squinzi, che guarda avanti: «I numeri sono ancora difficili da accettare, ma le prospettive sono in miglioramento», anche se «il vero punto di svolta non è ancora vicino» e «la ripresa è rinviata verso fine anno». Ma «l'Italia ha le potenzialità, le persone e le risorse per superare le difficoltà che stiamo vivendo». Squinzi si è soffermato ad analizzare una serie di elementi che giocano a favore: «L'ossessione dello spread si è diradata, l'euro - e con la moneta, l'Europa - non è più in pericolo di vita, si è avviato un ciclo politico di riforme che sembra avere finalmente stabilità». È sulle riforme che ha insistito il presidente di Confindustria, perché «per avere più crescita» bisogna «ripristinare appieno la competitività del Paese». Occorrono più flessibilità, più concorrenza, meno burocrazia, più merito, più efficienza. Azioni che non solo non costano, ha detto Squinzi, ma fanno risparmiare soldi alla Pa, ai cittadini e alle imprese. Ed ha dato atto al governo dell'impegno a cambiare le cose: «Mi sembra che il governo, nonostante il poco tempo trascorso dall'insediamento, si stia seriamente cimentando con questa difficile sfida». Bisogna anche avere il coraggio di realizzare interventi che costano, come gli investimenti in infrastrutture, l'Agenda digitale, il credito di imposta per la ricerca per lo meno per dieci anni. «Scegliere è difficile, ma il coraggio e la volontà di decidere non sembrano mancare al nostro presidente del Consiglio». C'è il fattore fiducia che è importante, come hanno sottolineato sia Squinzi, sia Carlo Pesenti, vice presidente di Confindustria per il Centro studi. «Ritengo positivo che stia crescendo decisamente la fiducia tra gli imprenditori e mi auguro che noi, con il fiuto che ci contraddistingue, riusciamo a vedere un'uscita da questa crisi ormai diventata sanguinosa», ha detto Squinzi all'assemblea degli industriali di Lecco. «Gli imprenditori e il Paese hanno bisogno di una materia prima importante che è la fiducia. Sono convinto che in questo modo le imprese e il paese saranno capaci di uscire dalla crisi», sono state le parole di Pesenti aprendo il seminario CsC. Per crescere serve un'alleanza tra pubblico e privato, con l'obiettivo di creare lavoro, ognuno con il proprio ruolo. «Noi ci siamo», ha detto Squinzi, sottolineando che i «punti fermi importanti» su cui ricostruire la fiducia e «rimuovere la cappa di incertezza» sono frutto non di un singolo ma dell'opera di riforma e fiducia innescata dal governo, dal presidente della Bce e «dagli sforzi che tutti noi imprenditori stiamo facendo, dimostrando che siamo un Paese capace di combattere». C'è bisogno di una macchina pubblica più efficiente, che «costerà meno e permetterà di ridurre la pressione fiscale»; serve ridurre il cuneo fiscale per lavoratori e imprese. «Lavoriamoci, noi lo faremo sul versante della produttività, il governo cerchi margini di riduzione della pressione fiscale». Meno imposte sui redditi di lavoro e impresa porterebbero più investimenti: «Le nostre proposte sono nell'interesse del Paese, sono le imprese a creare lavoro e benessere». Il riposizionamento di molte imprese «non è caduto come una manna dal cielo, ma è stato il risultato degli sforzi degli imprenditori e dei lavoratori». Non vedere questi successi, ha aggiunto Squinzi «serve a perpetuare una cultura anti impresa, diffusa e cristallizzata che non possiamo più permetterci». Non è mancata una battuta sulla Nazionale: «Da quando la Mapei non è più sponsor, non vince più». Sul futuro governo europeo secondo Squinzi la scelta più logica «sarebbe ottenere la delega per il Commercio internazionale».

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 64 27/06/2014 Il Sole 24 Ore Pag. 5 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

© RIPRODUZIONE RISERVATA Impatti sul Pil dalla chiusura di metà dei gap strutturali rispetto ai 3 migliori Paesi Ue. Var. % Germania Francia Italia Spagna Irlanda Portogallo Grecia 1,3 2,4 - 4,0 1,9 4,6 4,4 6,7 - 4,5 3,0 5,0 6,0 15,0 Dopo 5 anni Dopo 10 anni Italia, var. % congiunturali, dati trimestrali destagionalizzati L'indice anticipatore Ocse è spostato avanti di due trimestri Fonte: elaborazioni Csc su dati Istat e Ocse 2 0 - 2 -4 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 14 Indicatore anticipazione Ocse Pil a prezzi costanti LO SCENARIO E LE PROPOSTE Lo spread fa meno paura Per il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, «l'Italia ha le potenzialità, le persone e le risorse per superare le difficoltà che stiamo vivendo». Una serie di elementi giocano a favore: «L'ossessione dello spread si è diradata, l'euro - e con la moneta, l'Europa - non è più in pericolo di vita, si è avviato un ciclo politico di riforme che sembra avere finalmente stabilità» Ripristinare la competitività Sulle riforme ha insistito il presidente di Confindustria, perché «per avere più crescita» - ha sottolineato - bisogna «ripristinare appieno la competitività del Paese». Occorrono più flessibilità, più concorrenza, meno burocrazia, più merito, più efficienza. Azioni che non solo non costano, ha detto Squinzi, ma fanno risparmiare soldi alla Pa, ai cittadini e alle imprese La fiducia delle imprese «I numeri sono ancora difficili da accettare, ma le prospettive sono in miglioramento», ha detto Squinzi, anche se «il vero punto di svolta non è ancora vicino» e «la ripresa è rinviata verso fine anno. Ritengo positivo che stia crescendo decisamente la fiducia tra gli imprenditori e mi auguro che noi, con il fiuto che ci contraddistingue, riusciamo a vedere un'uscita da questa crisi ormai diventata sanguinosa» IMPATTO FORTE DELLE RIFORME SUL RILANCIO Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ha una volta di più ribadito l'impatto positivo che le riforme potrebbero avere sull'economia, cosa che è dimostrata anche dalle valutazioni fatte dal CsC. Ha quindi nuovamente esortato il governo ad accelerare sulla strada del cambiamento che è stata intrapresa IL CAMBIAMENTO FA AUMENTARE IL PIL Il Centro studi Confindustria, riprendendo alcune stime della Commissione Ue, fa vedere come interventi per ridurre il gap con gli altri Paesi in ambiti come concorrenza, fisco, risorse umane, mercato del lavoro ed R&S hanno impatti diretti sulla crescita L'INDICE OCSE ANTICIPA UN RECUPERO CHE NON C'È Il leading indicator dell'Ocse da sempre traccia con buona approssimazione l'andamento del Pil con un anticipo di sei mesi. Recentemente, però, la capacità previsiva si è appannata, perché è stato sovrastimato l'andamento effettivo delle variabili Foto: Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi (a destra) con Graziano Delrio, sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri ieri alla presentazione delle previsioni CsC

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 65 27/06/2014 Il Sole 24 Ore Pag. 25 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Finanza globale LA SVOLTA VERSO IL REAL ESTATE I Fondi sovrani puntano a Ovest Stati Uniti, Europa e Australia diventano ora i target più ambiti Marco Ferrando

Addio agli investimenti più o meno spericolati sui mercati (ex) emergenti, o sui settori dalle prospettive incerte: i fondi sovrani ora fanno rotta sui porti sicuri. E guardano a Occidente: l'Europa, gli Stati Uniti, l'Australia. Un grande ritorno. Meglio, una «grande riallocazione», per usare l'espressione che campeggia sull'ultimo rapporto del Sovereign Investment Lab del Centro Baffi della Bocconi, che si presenta oggi a Firenze. La fotografia, aggiornata a fine 2013, segnala che l'ammontare complessivo delle risorse a disposizione dei Fondi sovrani, patrimoni giganteschi costruiti per lo più grazie alle esportazioni di petrolio e gas, ormai ha ampiamente superato i 4,15 trilioni di dollari (oltre 3mila miliardi di euro), quasi il 30% in più di fine 2012. Il merito, però, è soprattutto dei mercati, e in particolare del rally delle borse mondiali del 2013, che ha gonfiato patrimoni da sempre pieni zeppi di azioni; in calo, invece, i contributi derivanti dalle attività sottostanti ai fondi: il calo del petrolio, l'effetto-shale gas, il rallentamento delle vendite estere di alcuni grandi paesi esportatori (Cina in testa) hanno iniziato a contrarre la crescita "naturale" dei veicoli d'investimento di Paesi abituati fino a ieri a un flusso continuo e cospicuo di risorse fresche. Proprio per questo, passata l'euforia che aveva spinto i fondi a scegliere investimenti spesso ad alto rischio, «ora si privilegiano scelte più prudenti, sia sul fronte delle aree di destinazione dei fondi che dei settori d'intervento», riportano i ricercatori del Sil. I flussi del 2013 Così si spiega la progressiva ritirata dai Paesi emergenti. Con il Brasile che è sceso dai 2,98 miliardi di dollari di investimenti attratti nel 2012 agli 1,37 dello scorso anno, e la Cina che si è dovuta accontentare di di 1,13 miliardi dopo un'alluvione da oltre 9 miliardi un anno prima; segno opposto per la maggior parte dei paesi europei, ma anche per l'Australia (da 1,19 a 4,02 miliardi) e soprattutto gli Stati Uniti, che dai 2,12 miliardi investiti nel 2012 l'anno scorso sono riusciti ad attrarre quasi 8 miliardi di fondi per lo più mediorientali, cinesi e ora anche scandinavi, visto che anche il Fondo pensione norvegese - il più grande tra i fondi sovrani con i suoi 840,8 miliardi di dollari a fine 2013 - per la prima volta nel 2013 ha vinto il tabù degli Stati Uniti. Discorso analogo per i settori: dopo aver per anni fatto la corte alla finanza, alle materie prime, ai metalli preziosi, ora si cercano approdi meno tempestosi nel real estate, nelle infrastrutture, nelle utility. In pratica, tutto ciò che offre un po' meno ma garantisce di più. I grandi deal Nel 2013 si sono investiti 50,1 miliardi, in calo dai 58,4 del 2012 - altro segno di maggior prudenza. E tra i 175 deal spicca ad esempio l'acquisizione da parte del Fondo sovrano di Singapore del maxi complesso immobiliare londinese di Brodagate per 2,78 miliardi di dollari, una cifra che ne fa la più grande operazione del real estate in Europa dopo la crisi finanziaria. E nella top20 dell'anno compare anche l'Italia, con la cessione dell'area milanese di Porta Nuova alla Qatar Investment Authority; l'esborso in quel caso è stato di poco superiore al miliardo di dollari, che - sommato al rafforzamento di Mubadala nel capitale di Piaggio Aero e all'acquisto dello storico hotel Eden di Roma da parte di Dorchester, a sua volta riconducibile alla Brunei investment agency - porta il "bottino" italiano a un miliardo e mezzo, sui livelli dello scorso anno. Il report La presentazione del rapporto, si diceva, è in programma per oggi a Firenze. L'evento, realizzato in collaborazione con lo Studio legale Scala, si apre alle 10 al Four Seasons hotel: tra gli altri, sono attesi il generale americano Davide Petraeus, ora presidente del Kkr Global institute, il direttore del Russian direct investment fund, Sean Glodek, Mohammad Mazraati del National development fund of Iran, Stefan Frank, capo strategie della Qatar investment authority e Franco Bassanini, presidente della Cdp.

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 66 27/06/2014 Il Sole 24 Ore Pag. 25 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

@marcoferrando77 © RIPRODUZIONE RISERVATA L'attività Fonte: Sovereign Investment Lab IL TREND DEGLI INVESTIMENTI Per operazioni e ammontare In miliardi di dollari LE AREE PIÙ ATTRATTIVE In miliardi di dollari I PAESI TARGET Per ammontare degli investimenti In miliardi di dollari Valore Numero 0 50 100 150 200 250 300 0 50 100 150 200 250 300 92 137 173 158 210 250 270 175 25,2 77,7 111,7 88,2 47,6 82,6 58,4 50,1 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 Europa Nord America America latina Sub-Saharan Africa Asia Pacifico Mena Asia non Pacifico Stati Uniti 2012 2013 7,97 Francia 2012 2013 7,70 Regno Unito 2012 2013 6,61 Russia 2012 2013 5,37 Australia 2012 2013 4,02 Qatar 2012 2013 3,64 India 2012 2013 2,84 Spagna 2012 2013 1,65 Italia 2012 2013 1,50 Brasile 2012 2013 1,37 Cina 2012 2013 1,13 Germania 2012 2013 0,78 Altri 2012 2013 2,31 2,12 10,11 11,82 0,33 1,19 0,26 2,64 n.d. 1,50 2,98 9,38 1,05 0 14,71 20 40 60 80 100 120 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 25,2 77,7 111,7 88,2 47,6 82,6 58,4 50,1 Foto: - Fonte: Sovereign Investment Lab

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 67 27/06/2014 Il Sole 24 Ore Pag. 29 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Tlc. La holding delibera la scissione ma i tempi dipendono dall'ok del Brasile Telco «chiude» con perdite per 7 miliardi in sette anni Recchi diventa esecutivo ma cede il ruolo sull'audit Antonella Olivieri

Telco si fa in quattro. Il consiglio della holding che custodisce il 22,4% di Telecom Italia ha deciso di mettere la parola fine all'infelice avventura, prendendo atto delle disdette arrivate da tutti e tre i soci italiani, Generali, Mediobanca e Intesa Sanpaolo. Con la scissione ci sarà l'assegnazione a quattro società di nuova costituzione, interamente controllate da ciascun azionista, della quota di propria competenza in Telecom: il 14,77% a Telefonica, il 4,32% a Generali, l'1,64% a Mediobanca e l'1,64% a Intesa, con l'attribuzione del debito pro-quota della holding. Poi, ottenute le necessarie autorizzazioni, ciascuno per la propria strada. Senza rimpianti: Telco non è mai riuscita a scrivere un bilancio in utile, se si eccettua quello di solo quattro mesi del 2008, quando - incassati i dividendi ma non contabilizzati per intero gli oneri sul debito - aveva riportato un saldo positivo di 194,35 milioni. E in sette anni di vacche magre la holding ha cumulato perdite per 7 miliardi. Anche nell'esercizio chiuso al 30 aprile 2014 ha riportato un passivo di 952,5 milioni, dopo oneri finanziari per 120,3 milioni e rettifiche di valore sulle azioni Telecom per 830,5 milioni, per 331,6 milioni derivanti da una svalutazione operata in corso d'esercizio e per 498,9 milioni dovuta all'allineamento del valore di carico ai 92 centesimi per azione, corrispondenti al prezzo di Borsa dello scorso 30 aprile, con ciò annullando il residuo "premio di controllo". Telefonica, che aveva pagato 2,85 euro ad azione, e gli altri soci italiani che avevano apportato il loro pacchetto a 2,5 euro, escono quindi con uno stop loss a 0,92 euro per azione. Ma restano i debiti da ripianare. Nel contesto della scissione è previsto l'integrale rimborso da parte di Telco del finanziamento bancario per 660 milioni e del prestito soci da 1750 milioni più 70 milioni di intereressi maturati fino al 30 aprile, oltre agli interessi che matureranno fino alla data del rimborso. Il ripianamento sarà effettuato in proporzione alle rispettive quote azionarie dai soci di Telco che trasferiranno quindi i debiti di competenza nelle quattro newco. Il prossimo 9 luglio, intanto, l'assemblea è chiamata ad abbattere il capitale per perdite della società che resterà in vita come scatola vuota fino alla liquidazione finale. Alla data di efficacia della scissione cadranno anche tutti gli accordi che oggi legano i quattro soci. Una matassa da sbrogliare soprattutto per Telefonica, perchè il progetto di scissione dovrà passare al vaglio delle autorità di Brasile e Argentina (il Cade e l'Anatel, l'antitrust e l'authority delle tlc in Brasile; la Cndc, l'Antitrust argentino), dove il gruppo spagnolo opera in concorrenza con Telecom Italia. Per questo nessuna previsione è stata fornita sui tempi. Un ulteriore passaggio autorizzativo all'Ivass riguarda Generali. Mentre a Milano Telco decideva di sciogliersi, a Roma si è tenuto il cda Telecom, preceduto la sera prima da una cena tra i consiglieri alla Casina Valadier e ieri da un pranzo presso la sede di Corso d'Italia. Ne è uscita una nuova puntualizzazione di governance, con il presidente Giuseppe Recchi che diventa esecutivo, logica conseguenza del venir meno del requisito di indipendenza rilevato nella precedente riunione del board in particolare per la delega ottenuta di supervisione sulle strategie aziendali. La ricaduta del riconoscimento del ruolo esecutivo - che è in contrasto con le indicazioni, pur non vincolanti, del vecchio consiglio Telecom - è che Recchi ha rinunciato alla supervisione sulla compliance e l'audit, che gli era stata inizialmente assegnata. Dal ruolo esecutivo del presidente - che godrà di un compenso annuo fisso di 900mila euro - dovrebbe discendere anche il diritto a partecipare al piano di stock-option. Quello in essere, approvato dall'assemblea a favore dell'ad e del top management, è però legato al piano industriale 2014-2016 al quale Recchi non ha contribuito. E dunque sul tema, per ora, si è deciso di soprassedere. Nel frattempo il cda ha anche deciso di cancellare dallo statuto societario l'articolo riferito alla golden share, che nella legislazione italiana è stata sostituita dal golden power in mano allo Stato.

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 68 27/06/2014 Il Sole 24 Ore Pag. 29 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

© RIPRODUZIONE RISERVATA La governance e i soci IL CONSIGLIO LISTA TELCO L'AZIONARIATO LISTA ASSOGESTIONI In percentuale PRESIDENTE GIUSEPPE RECCHI Francesca Cornelli Tarak Ben Ammar Laura Cioli Giorgina Gallo Giorgio Valerio Jean Paul Fitoussi Luca Marzotto Denise Kingsmill Flavio Cattaneo Lucia Calvosa Davide Benello Marco Patuano LISTA ASSOGESTIONI LISTA TELCO 4,99 Findim Group Sa (Fossati) 4,8 Blackrock 67,77 Mercato 22,44 Telco

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 69 27/06/2014 Il Sole 24 Ore Pag. 29 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Credito. L'agenzia: l'aumento di capitale è stato sottoscritto interamente Mps, Moody's alza rating da «B2» a «B1» R. Fi.

Moody's migliora il giudizio su Mps. Moody's ha alzato il rating della banca italiana da B2 a B1. Le prospettive (outlook) restano negative. Lo si legge in una nota dell'agenzia di rating che ha motivato la promozione con la «completa sottoscrizione dell'aumento di capitale da 5 miliardi», garantita dal consorzio capitanato da Ubs. La ricapitalizzazione, spiega Moody's, «ha rafforzato il cuscinetto di capitale della banca contro le pressioni» derivanti da «una qualità degli asset molto mediocre» e dalle «perdite attese per il 2014 e potenzialmente per il 2015». Moody's si attende infatti che il volume dei crediti problematici (saliti dal 16% al 20% del portafoglio crediti nel 2013) raggiungerà «un picco nel 2015» e resterà «elevato nei prossimi due-tre anni». A livello di conto economico l'agenzia americana si «aspetta che Mps vada incontro a ulteriori perdite nel 2014 a causa dei costi degli accantonamenti sui crediti» mentre l'obiettivo di 200 milioni di utile nel 2015 viene giudicato «impegnativo da raggiungere, in quanto incorpora ricavi in significativo aumento e un costo del credito in significativa diminuzione» (106 punti base contro i 210 del 2013). Questa sera Mps annuncerà i risultati dell'aumento, ma la ricapitalizzazione da cinque miliardi è garantita dal consorzio e dal mercato e, guardando l'andamento del titolo, non si aspettano sorprese negative. Il valore del titolo ampiamente sopra l'euro, ossia il valore delle azioni di nuova emissione, rende nella maggior parte dei casi conveniente esercitare i diritti e sottoscrivere le azioni offerte in aumento (ieri Mps ha chiuso a 1,495 euro, in calo dello 0,33%). Intanto, il cda di Mps ieri ha approvato il progetto di fusione per incorporazione della controllata totalitaria Mps Immobiliare in Banca Mps. © RIPRODUZIONE RISERVATA 2,6 240 26/05 26/06 Prezzo Volumi in milioni Mps Andamento del titolo a Milano

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 70 27/06/2014 La Repubblica - Ed. nazionale Pag. 26 (diffusione:556325, tiratura:710716) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Le tutele degli esodati prolungate di un anno ed estese ad altri 32 mila Poletti presenta alla Camera l'emendamento del governo Ora il totale dei lavoratori salvaguardati arriva a 170 mila LA GIORNATA BARBARA ARDÙ

ROMA. Sbarca mercoledì 2 luglio alla Camera l'annunciato provvedimento del governo sugli esodati, che avranno un anno di tempo in più per accedere alle tutele, e non restare senza stipendio e pensione. E' il ministro del ministro Giuliano Poletti a presentare l'emendamento in Commissione Lavoro. Un provvedimento che, spostando la scadenza dal gennaio del 2015 allo stesso mese del 2016, consentirà anche di ampliare la platea dei beneficiari a 32 mila e 100 persone. Circa 24 mila posizioni sono recuperate dai vecchi interventi, per cui non è giunta domanda, mentre 8 mila sono nuove. Questi i calcoli del ministero che farebbero salire a quota 170 mila i tutelati, contro i 162 mila 130 previsti dai 5 interventi già fatti. Il problema però torneràa disturbare il sonno di molti in autunno. Tanto che lo stesso ministro annuncia «interventi strutturali» da inserire nella Legge di Stabilità per dare risposta «alle tante diverse situazioni, non definibili tecnicamente come esodati, ma comunque di persone che si trovano senza stipendio, ammortizzatori, pensione». La proposta del governo sbarcherà alla Camera sotto forma di emendamento al testo unitario messo a punto dalla Commissione Lavoro guidata da Cesare Damiano. Un provvedimento che «va nella giusta direzione, è un altro passo avanti», nota l'ex ministro (Pd). Che conferma, poi: «Nella Legge di Stabilità bisognerà trovare la soluzione definitiva». Quella che chiede a gran voce e da tempo Giorgio Airauldo, ex sindacalista e oggi deputato di Sel. Bocciatura piena invece dal M5S che parla di «un'ennesima presa in giro». Più generosi i sindacati. Siamo di fronte ad un'azione importante per la Uil, «positiva» per Cgil, anche se entrambe le sigle reclamano - una volta e per tutte - risposte strutturali.

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 71 27/06/2014 La Repubblica - Ed. nazionale Pag. 26 (diffusione:556325, tiratura:710716) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Prestito previdenziale ecco la soluzione che si sta preparando per chiudere il caso IL RETROSCENA ROBERTO MANIA

ROMA. Un "prestito previdenziale" per chiudere definitivamente la tormentata vicenda dei lavoratori esodati. È questo il progetto sul quale stanno lavorando i ministeri del Lavoro e dell'Economia, l'Inps con l'appoggio di Palazzo Chigi. Un'operazione che dovrebbe costare allo Stato intorno ai 3-400 milioni l'anno e che potrebbe essere coperta con il blocco della perequazione al costo della vita delle pensioni più altee introducendo un tetto ai trattamenti pensionistici delle categorie che oggi possono andare in quiescenza con oltre 70 anni di età, dai professori universitari ai magistrati. Secondo stime dell'Inps al prestito potrebbero essere interessate dalle 20 alle 30 mila persone l'anno. L'ipotesi del prestito previdenziale è stata ereditata dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, dal momento che era già stata analizzata dal suo predecessore Enrico Giovanni. È una soluzione che non dispiacerebbe al premier Matteo Renzi e che, dunque, potrebbe essere inserita in autunno nella prossima legge di Stabilità. Resistenze, però, potrebbe arrivare da alcuni settori parlamentari dove alla proposta del presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, per reintrodurre forme di flessibilità in uscita dal lavoro (costo ipotizzato dai 6 ai 7 miliardi) si salda l'opposizione radicale del centro destra (Forza Italia e Lega Nord) alla legge Fornero. La Lega ha già depositato le firme per un referendum abrogativo della legge. Ieri è stato lo stesso Poletti a confermare che nella legge di Stabilità si cercherà di inserire «interventi strutturali». Il ministro ha spiegato che andranno innanzitutto affrontate le situazione di maggiore emergenza sociale. «Situazioni - ha aggiunto - tecnicamente non definibili come esodati, ma che rappresentano persone che perdono il lavoro o hanno perso il lavoro e che con gli ammortizzatori sociali non arrivano a raggiungere la pensione». Serve dunque una soluzione ponte che permetta a quelle categorie di ricevere un sostegno al reddito prima di aver maturato i requisiti per andare in pensione. L'idea è, appunto, quella del prestito previdenziale: al lavoratore verrà anticipata una parte minima della sua pensione, nello stesso tempo il lavoratore si impegnerà a restituire, senza interessi, l'importo a rate. L'ipotesi su cui stanno ragionando i tecniciè quella di un assegno di 750 euro al mese. In sostanza uno scivolo pensionistico di alcuni anni, accompagno da un sostegno minimo al reddito in attesa delle pensione piena. Comunque una soluzione strutturale. Per la copertura finanziaria si ragiona, tra l'altro, sulla conferma del blocco della perequazione sui trattamenti più alti (dai seimila euro lordi al mese, per esempio) all'introduzione di un tetto all'assegno pensionistico di docenti universitari, magistrati e militari, che ancora possano andare in pensione con oltre 70 anni. Questa possibilità permette, in molti casi, di cumulare i vantaggi del sistema retributivo (si va in pensione con circa l'80 per cento della retribuzione media degli ultimi anni di attività) e di quello contributivo (si va in pensione in base all'ammontare dei contributi versati). L'effetto perverso è che vi sono casi in cui - secondo simulazione dell'Inps - l'assegno pensionistico, dopo la riforma Fornero che introduce per tutti il calcolo della pensione con il metodo contributivo pro quota, può arrivare se non addirittura superare il 100 per cento dell'ultima retribuzione. Un tetto permetterebbe all'Inps di risparmiare risorse e dirottarle eventualmente a copertura del prestito per gli esodati. L'obiettivo è chiudere definitivamente con lo scandalo dei lavoratori esodati, rimasti senza stipendioe senza pensione dopo il brusco innalzamento dell'età pensionabile deciso con la riforma Fornero. L'intervento annunciato ieri da Poletti porta a sei le operazioni di salvaguardia messe in campo dai vari governi succedutisi dal 2011 (si è cominciato con il decreto "Salva Italia") a oggi. Al 14 giugno del 2014 la platea dei salvaguardati - secondo le tabelle dell'Inps - ha raggiunto le 162.130 unità.E circa 46 mila sono le pensioni finora liquidate.

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 72 27/06/2014 La Repubblica - Ed. nazionale Pag. 26 (diffusione:556325, tiratura:710716) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Foto: IL MINISTRO Giuliano Poletti è il ministro del Lavoro da febbraio del 2014

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 73 27/06/2014 La Stampa - Ed. nazionale Pag. 1 (diffusione:309253, tiratura:418328) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

LE REGOLE PER SUPERARE L'AUSTERITY STEFANO LEPRI

Giustissimo, che una svolta oltre l'austerità sia espressa in termini chiari. Paradossale, diranno in altri Paesi, che a chiederlo siano gli italiani, la cui fama è di essere intriganti e subdoli. Ma non sarà facile, per nulla. Da anni l'Europa va avanti a forza di intese a bella posta oscure, in modo che ciascun governo possa presentarle ai cittadini in una luce accettabile. Angela Merkel e altri capi di governo nordici desiderano poter raccontare ai propri elettori che nulla di sostanziale è cambiato nelle regole di bilancio nell'area euro. Matteo Renzi vuole l'opposto. Una novità, dato che fin qui la controparte principale della Germania, la Francia, si era accontentata del permesso di fare eccezione in proprio a regole sulla carta dure per tutti. Ovverosia, un modo di procedere molto italico - leggi severe sulle quali poi si chiude un occhio in alcuni casi - in Europa risultava finora dalla guida a due francotedesca. Quell'assetto si disgrega a causa della crescente debolezza della Francia; ma non si sa ancora come sostituirlo. L'Italia non può prevalere se chiede solo per sé: deve cercare di presentare un progetto per tutti. Il fronte anti-austerità del resto è diviso: in nome di che rivendicare la svolta? Renzi non ha avuto ancora il tempo di attuare le sue promesse. Il premier spagnolo Mariano Rajoy in tre anni ha realizzato misure dolorose e anche molto controverse, è peraltro un alleato politico dei c r i s t i a n o - d e m o c r a t i c i t e d e s c h i . François Hollande guida un Paese già in crisi di rigetto quando l'azione di riforma è appena agli inizi. Un cambiamento sta maturando, lo si avverte da molti segni. Cominciano a mutare il loro linguaggio anche personaggi simbolo dell'austerità, come il commissario uscente agli Affari monetari Olli Rehn. Non si può evitarlo: la ripresa economica sperata è talmente fioca che quasi non si vede; nemmeno in Germania è esaltante. Però, se si vuole chiarezza, occorre rendersi conto fino in fondo di quali sono i problemi. Non si può far finta che nel 2010-2011 non sia accaduto nulla, pur se ovunque sono cambiati i governi e nei nostri palazzi non si pratica più il «bunga bunga». I troppi debiti restano pericolosi. Né contrarne in quantità (da ultimo negli anni 2001-2004) ci ha salvati dal declino. La finanza globale sembra oggi più stabile. Ma proprio la presenza di risparmio in eccesso, facile a spostarsi in cerca di rendimenti più alti, rende necessario spendere bene, essere debitori credibili. L'Italia non ha buona fama; le crepe dell'area euro su cui potrebbero far leva gli speculatori sono state sanate solo in parte. Finanziare i deficit è tornato possibile, sostengono gli economisti anche bravi promotori del referendum contro il « fiscal compact» europeo; trascurano che non è l'Italia a poterlo fare, e non perché i tedeschi sono razzisti contro i popoli meridionali. Non può, con l'eccesso di debito che si ritrova, frutto di ben noto malgoverno. Per la ripresa, contro il rischio di deflazione si può, si deve investire di più; ma in progetti comuni sui quali governi e nazioni si controllino a vicenda, non con il ritorno all'arbitrio delle classi politiche nazionali (anche quella tedesca, che - come notava Mario Draghi giorni fa - ha speso moltissimo per salvare le banche, poco per tutto il resto). Né si può sperare di giostrare a scopo tattico sui no britannici. Se Londra chiede per sue esigenze di annacquare un po' l'Unione europea, darle retta potrebbe aiutare un suo ulteriore allargamento verso Est; ma nello stesso tempo, l'area euro ha bisogno di stringersi di più, creando o rafforzando istituzioni proprie capaci di accrescere la fiducia tra chi ne fa parte. Foto: Illustrazione di Gianni Chiostri

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 74 27/06/2014 La Stampa - Ed. nazionale Pag. 21 (diffusione:309253, tiratura:418328) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Panorama Per chi ha aderito al concambio L'Argentina: pagheremo i tango­bond ai creditori Usa [R.E.]

L'Argentina pagherà i creditori americani e non farà default. Il governo di Buenos Aires ha annunciato ieri di aver dato mandato alla Bank of New York di pagare 539 milioni di dollari dovuti ai sottoscrittori americani del concambio dei "tango bond" del default del 2001. Il ministro argentino dell'Economia Axel Kicillof, appena rientrato da New York, ha annunciato ieri lo sblocco di pagamenti (in scadenza entro il 30 giugno) per un totale di 832 milioni di dollari. Il ministro ha spiegato che «la legge argentina non prevede un default volontario, ovvero un mancato pagamento in presenza delle risorse». Kicillof ha denunciato poi l'atteggiamento del giudice americano Thomas Griesa, «senza dubbio parziale a favore dei fondi avvoltoio», cioè i fondi hedge che hanno acquistato sul mercato i bond del default di tredici anni fa e ne chiedono il rimborso integrale per un valore di 1,5 miliardi di dollari.

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 75 27/06/2014 MF - Ed. nazionale Pag. 1 (diffusione:104189, tiratura:173386) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

VOLUNTARY DISCLOSURE DEPOSITATA LA PROPOSTA CHE PREVEDE COPERTURA PENALE COME PER I BENI ALL'ESTERO Ci si può pentire sui capitali nascosti in Italia Luisa Leone

Ci si può pentire sui capitali nascosti in Italia (a pag. 7) Collaborazione volontaria a 360 gradi. Nella nuova versione della voluntary disclosure, depositata ieri mattina alla commissione Finanze della Camera, non si prevede più un doppio binario per l'emersione dei capitali occultati al fisco, uno per i beni portati all'estero e uno per quelli rimasti in Italia, ma un unica strada per sanare le posizioni irregolari in entrambi i casi. Come anticipato da MF-Milano Finanza, nel nuovo testo scompare infatti il «ravvedimento speciale», che era la strada inizialmente scelta per far emergere i capitali celati in Italia, attraverso un'integrazione delle precedenti dichiarazioni dei redditi o tramite la loro ripresentazione ex novo. Con le ultime modifiche apportate dal relatore la strada della collaborazione volontaria vera e propria, ricalcata sulle norme Ocse, diventa ora l'unica possibile sia per chi ha occultato capitali all'estero che per chi li ha nascosti al fisco lasciandoli in patria. Infatti il nuovo articolo 1 ter del provvedimento, a firma del relatore Giovanni Sanga (Pd), prevede che per accedere alla regolarizzazione i contribuenti debbano «presentare con le modalità previste dall'apposito provvedimento del direttore dell'Agenzia delle Entrate» una «richiesta di accesso alla procedura di collaborazione volontaria, fornendo spontaneamente all'amministrazione finanziaria i documenti e le informazioni per la determinazione dei maggiori imponibili agli effetti delle imposte sui redditi, imposta regionale sulle attività produttive, contributi previdenziali, dell'imposta sul valore aggiunto e delle ritenute». Insomma, come ha più volte ribadito il governo, che ha seguito i lavori parlamentari con il viceministro Luigi Casero, la voluntary non sarà un condono, perché le tasse andranno pagate integralmente, mentre solo sulle sanzioni sono previsti alcuni sconti, del tutto identici per i capitali occultati in Italia che per quelli all'estero. Un altro vantaggio, valido in entrambi i casi, è la copertura penale per reati come l'omesso versamento a titolo di sostituto d'imposta e l'omesso versamento Iva, ma non anche per reati societari come la frode fiscale o il falso in bilancio. La data ultima per aderire alla collaborazione volontariaè il 30 settembre 2015, per violazioni commesse fino a fine 2013 (prima per l'Italia si preveda di fermarsi alla fine del 2012). Per quanto riguarda gli altri punti della nuova voluntary, che va ricordato è una riscrittura del primo testo stralciato dal decreto legge che ne portava il nome, restano tutti fermi, dalla forfetizzazione nel calcolo dei rendimenti delle attività fino a 2 milioni di euro, alla norma che mira a favorire la chiusura di un accordo con la Svizzera sullo scambio automatico d'informazioni. Su quest'ultimo punto è prevista però una piccola novità: la data ultima per siglare l'accordo con Roma non è più indicata al 1 settembre 2014 ma entro «sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge». Adesso l'appuntamento è per martedì prossimo in commissione Finanze, quando si cominceranno a votare gli emendamenti alla proposta, modificata, del relatore. Tra i subemendamenti che hanno buona possibilità di passare c'è quello, a firma di una decina di deputati Pd, che introduce in Italia il reato di autoriciclaggio (vedere MF-Milano Finanza di ieri), modificando l'articolo 648 bis del codice penale. Se non ci saranno altri intoppi, la commissione dovrebbe licenziare la nuova voluntary entro la fine della prossima settimana.A quel punto inizierà la prova del fuoco dell'Aula. (riproduzione riservata) Foto: Luigi Casero

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 76 27/06/2014 MF - Ed. nazionale Pag. 2 (diffusione:104189, tiratura:173386) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Altro che via Argentina, va stanata la Germania Angelo De Mattia

Il caso ha voluto che proprio quando si sta riflettendo sulla sentenza di una Corte statunitense che ha parificato la condizione degli attuali portatori di tango bond che non aderirono all'accordo con il governo argentino a quelli che, invece, lo sottoscrissero, sia tornata in discussione, tra osservatori ed esperti, l'ipotesi di una grande operazione sul debito sovrano italiano di riscadenzamento o di vero e proprio consolidamento, considerato da alcuni come l'unica via per risolvere definitivamente il problema della sua rilevanza. Proprio la vicenda argentina dovrebbe, invece, suggerire cautela e fare ancor più risaltare l'irresponsabilità di chi, qualche anno addietro, consigliava l'Italia di fare «come l'Argentina» dichiarando il default. Certo, con un certo azzardo e una visione tutta concentrata sui soli profili finanziari, all'interno del Fondo Monetario Internazionale si sosterrebbe, in generale, che la via dei fallimento di uno Stato non sarebbe poi così drammatica. Ma una cosa è un programma di dismissioni pubbliche che faccia appello al risparmio dei cittadini, altra cosa sarebbero le operazioni sopra indicate: ancora peggio, se si volesse risolvere il problema del debito attraverso l'istituzione di una imposta patrimoniale, ricordando quella, macroscopica, sul risparmio irresponsabilmente prospettata in studi sempre all'interno del Fondo. Una possibilità, meno lontana dal fattibile, di incidere sui debiti sovrani andrebbe coltivata, a livello europeo, riprendendo i progetti di parziale collettivizzazione fondati sugli eurobond o sulle modalità a suo tempo individuate in Germania con il progetto del fondo per la redenzione del debito e, a livello interno, con le operazioni di dismissione sopra accennate, a proposito delle quali esistono studi e ricerche, fra cui quello di Class Editori e di questo giornale. Soluzioni miracolistiche e da colpo secco e finale non esistono. Ipotesi solo vagamente di consolidamento arrecherebbero danni immensi. Naturalmente, ciò non significa affatto abbandonare la via delle riforme di struttura; tanto meno, disinteressarsi della crescita, che è, invece, cruciale ed esige incisive misure ad hoc. Tuttavia, mentre si diffonde il tema della flessibilità con la quale interpretare e applicare le regole europee, concentrarsi, senza alcun danno per i risparmiatori, su ipotesi meno irrealistiche di ristrutturazione del debito, che negli ultimi tempi sembrano abbandonate, potrebbe essere anche un modo per saggiare le disponibilità dei partner europei, e in specie della Germania, al di là delle espressioni general-generiche sulle quali è facile concordare, ma senza che siano seguite poi da apprezzabili risultati.A maggior ragione ora che, secondo le previsioni della Confindustria, la crescita del Pil nell'anno si abbasserebbe al +0,2%: un dato veramente drammatico, dopo aver tanto parlato della necessità d'intensificare le azioni per la crescita e il lavoro. (riproduzione riservata)

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 77 27/06/2014 MF - Ed. nazionale Pag. 7 (diffusione:104189, tiratura:173386) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

La legge sul rientro dei capitali non sia un condono né un'amnistia Angelo De Mattia

Sta per essere segnata una svolta nell'iter del disegno di legge sulla voluntary disclosure dei capitali occultati all'estero. A parità di condizioni, l'autodenuncia potrà essere resa anche per le somme nascoste al Fisco in Italia. Si tratterà di una forma di «ravvedimento speciale». È opportuno, a questo propositi, ricordare che il punto di partenza del disegno di legge è la distinzione che deve esistere tra la volontaria autodichiarazione, la quale dunque consente il rientro in forma nominativa, e il condono, che nelle ultime tre versioni italiane è stato un provvedimento generalizzato del quale avvalersi in forma anonima. La distinzione è fondamentale, posto che dovrebbe essere chiaro che ripercorrere la strada delle simonie e delle sanatorie significherebbe, per diverse forze politiche, contraddirsi con le tesi a suo tempo sostenute sulla nocività etica, giuridica ed economica di questi provvedimenti. In effetti, la ripetizione dei condoni mina la certezza del diritto, induce a persistere nell'evasione nella fondata speranza che poi sopravverrà un nuovo condono e, perciò, incide negativamente sul gettito degli anni successivi. Se la voluntary disclosure si estende anche alle somme sottratte al Fisco in Italia e qui occultate o impiegate, allora è necessario un di più di rigore nel definire la emananda legge, anche perché essa non si approssimi all'amnistia, creando così problemi di costituzionalità. Sia per le somme trasferite all'estero, sia per quelle mantenute nel nostro Paese sarà necessario che siano pagate tutte le imposte evase e che le sanzioni pecuniarie da comminare siano stiano in un qualche rapporto di proporzionalità con l'ammontare delle imposte non assolte. Quanto ai reati da dichiarare non punibili, è accettabile che essi riguardino la omessa o infedele dichiarazione dei redditi, mentre oggetto di una ulteriore riflessione dovrebbe essere l'ipotesi di includere negli esoneri anche alcuni illeciti compiuti con intento fraudolento, ivi compresi determinati reati societari, fra i quali il falso in bilancio. Una estensione del genere sarebbe grave e farebbe superare i confini del volontario atto di trasparenza per riportare la scelta sotto il titolo di un'amnistia surrettizia. Non si può compromettere il principio di legalità. Andrà poi attentamente definita la pur prevista non punibilità per chi abbia concorso nell'occultamento dei fondi (consulenti, commercialisti eccetera). L'altro punto fondamentale è dato dall'introduzione contestuale del reato di autoriciclaggio che dovrebbe essere inserito nella stesso disegno di legge sull'emersione dei capitali, non in un disegno a parte. La previsione dell'assoggettamento a sanzione penale di colui che impiega le risorse che si è procurato commettendo un reato, che quindi verrebbe sottoposto a giudizio non solo per l'illecito-base, ma anche e in forma autonoma per questo auto-impiego, è di grande importanza nella lotta contro le diverse forme di criminalità, a cominciare da quella delle mafie. Insomma, è uno strumento normativo insostituibile nell'azione di contrasto del crimine che in molti casi ha degli sviluppi finanziari. Bisognerà, comunque, prestare attenzione al modo in cui raccordare questa necessaria introduzione con la voluntary disclosure. Se Tizio, avvalendosi della nuova possibilità, fa rientrare i capitali illecitamente esportati, autodichiarandosi, e questi siano il frutto di una evasione, quale delle due norme scatterà: quella che agevola la riemersione o quella introduttiva dell'autoriciclaggio? Quanto alla convenienza, è chiaro che per invogliare un'adesione di massa all'emersione, bisognerebbe concedere rilevanti benefici. Ma questi scardinerebbero l'ordinamento e le conseguenze deleterie si estenderebbero al futuro. La progettata disciplina deve far leva, per il superamento dell'occultamento, su calibrati, non eccessivi vantaggi per il titolare dei capitali e sulla minaccia pendente a seguito dell'estensione anche alla Svizzera del regime di automatico scambio di informazioni a fini fiscali. La messa in opera di tale scambio, in specie con la Confederazione elvetica, dove il segreto bancario sarà ampiamente sgretolato, e dove è allocata la maggior parte dei capitali illegalmente esportati, rappresenta sicuramente un monito per gli esportatori in forme illegittime di capitali. Insomma, si tratterà di ottenere l'uovo oggi, non certo rinunciando alla gallina domani, ma sottraendosi alle possibili dure penalità del domani. E, fatte le dovute distinzioni, lo stesso si dica per le emersioni interne, a fronte dell'intensificazione della lotta all'evasione. Insomma, una linea mediana, ma tale da portare a regolarizzare la condizione dei

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 78 27/06/2014 MF - Ed. nazionale Pag. 7 (diffusione:104189, tiratura:173386) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

capitali e a determinare un non sottovalutabile introito per lo Stato, senza tuttavia intaccare il principio di legalità. (riproduzione riservata)

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 79 27/06/2014 L'Espresso - N.26 - 3 luglio 2014 Pag. 104 (diffusione:369755, tiratura:500452) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Economia fisco TASI quanto ci costi L'imposta sulla prima casa doveva valere circa 1,7 miliardi. Invece la spesa per le famiglie sarà oltre il doppio. Un bene per i conti pubblici. Ma un rischio per Renzi, che aveva promesso meno tasse paola pilati

La reggia di Arcore, residenza del Cavaliere, paga: per le ville, categoria catastale A8, il Comune ha stabilito che, oltre all'Imu (4 per mille, con una detrazione di 200 euro), c'è da versare anche la Tasi del 2,8, per un totale del 6,8 per mille. A Capalbio, il buen retiro di tanta gauche, zero Tasi sia per le prime che per le seconde case, le quali però sono colpite da un'Imu ben più salata del 10 per mille. In due topos dei ricchi e famosi come la Costa Smeralda (Comune di Arzachena) e Capri, pericolo scampato: nella località sarda niente Tasi, e Imu ferma; in quella campana non si è deciso, mentre ad Anacapri sì alla Tasi, pagata non sulle prime case dei residenti, bensì solo su quelle di villeggiatura. E che sarà successo alla tenuta di Massimo D'Alema nelle campagne di Terni? Anche lì, niente Tasi, e solo l'Imu, che è al 9 per mille se "La Madeleine" (che formalmente appartiene ai fgli) viene intesa come seconda casa, ma scende a zero se intesa come attività agricola. Stranezze della nuova tassa sui servizi "indivisibili" dei Comuni, che al suo primo anno di applicazione sta già dipingendo il territorio nazionale con i mille colori del vestito di Arlecchino e scivolando nella commedia dell'arte. Perché le differenze non sono soltanto tra chi l'ha deliberata (circa un quarto dei Comuni) e chi no in tempo per il primo appuntamento di giugno, ma anche tra i sindaci che la applicano e quelli che vi hanno rinunciato, tra chi la mette solo sulla prima casa (la Tasi è nata per rimpiazzare l'Imu cancellata) e chi la spalma sulla prima ma anche sulla seconda casa, oppure la carica tutta sui non residenti. C'è poi chi ha deciso di farne uno strumento di welfare, a volte con l'effetto di accentuare enormi disparità di trattamento tra famiglie a pochi metri di distanza l'una dall'altra, divise dal confne esile del territorio comunale. Qualche esempio? Sesto San Giovanni mette l'aliquota Tasi al 3,3, ma per i suoi disoccupati la sconta del 70 per cento. San Canzian d'Isonzo promette la riduzione del 98 per cento a chi ha meno di 8.931 euro di reddito. Sasso Marconi concede le detrazioni solo ai cittadini in grado di risolvere il seguente rompicapo: «Sconto di 20 euro per ogni fglio minorenne dopo il primo inserito in nuclei famigliari formati da minimo tre persone con almeno due fgli minori». A Isili, in Sardegna, è prevista una tabella con 70 detrazioni diverse a seconda del reddito. Livorno decide per una Tasi secca al 2,5 per mille per tutti, con il risultato che pagherà anche chi l'anno scorso non pagava l'Imu. A Firenze nessun versamento per la seconda casa fno a ottobre, e per la prima rinvio a fne anno. A Venezia, con un bel 3,3 per mille di Tasi, si paga a luglio, come a Roma (al 2,5 per mille). Milano (2,5 per mille sulla prima casa e lo 0,8 sulla seconda) ha scelto di venire incontro a chi dà in afftto: abbuona la quota Tasi dell'inquilino se è inferiore ai 12 euro e di fatto riduce del 10 per cento la Tasi ai proprietari nel 60 per cento dei casi. Insomma, una babele. Che ha messo a dura prova i cittadini, costretti a chiedere soccorso a Caf e commercialisti per dipanare istruzioni complicate come mai, storditi da detrazioni variabili in base a rendita catastale, reddito, numero dei fgli in un mix da settimana enigmistica. «Semplifcate, standardizzate, evitate delibere chilometriche piene di "visto che..."», implora Franco Galvanini della Consulta dei Caf, in preallarme per la mole di delibere pazze che deve ancora arrivare. La rabbia potrebbe defagrare a ottobre, quando scadrà il turno per le amministrazioni ritardatarie, cioè per la maggioranza dei cittadini, e sarà la prima stazione di una dolorosa via crucis tributaria: Tasi (prima rata per seimila Comuni) appunto a ottobre, poi tassa sui rifuti a novembre (secondo acconto per tutti), infne a dicembre ancora Tasi (seconda rata per tutti), più Imu (seconda rata). Un flotto che renderà nero l'autunno delle famiglie, ma che potrebbe guastarlo anche al governo. Per Matteo Renzi sarà il primo esame sul terreno minato delle tasse sulla casa. Certo, ha dalla sua l'Europa, che benedice la stretta del fsco sul mattone, ma deve guardarsi da un potenziale effetto boomerang: il bonus degli 80 euro, che politicamente gli è valso l'ondata montante di consenso, potrebbe essere divorato dagli appuntamenti con l'erario, e rovesciare l'umore del Paese, così come degli alleati. «Un pasticcio, un errore, un favore fatto a Forza Italia», all'ex ministro delle

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 80 27/06/2014 L'Espresso - N.26 - 3 luglio 2014 Pag. 104 (diffusione:369755, tiratura:500452) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Finanze Vincenzo Visco ancora non va giù la decisione di cancellare l'Imu sulla prima casa, presa dal governo Letta. Un pedaggio reso al centro-destra, con l'obiettivo politico di rendere più agevole la gestazione dell'Ncd di Angelino Alfano. «La Tasi è stata presentata come una service tax per fnanziare i servizi indivisibili forniti dai comuni», dice l'economista Alberto Zanardi, «ma di fatto è proprio una patrimoniale». In effetti l'illusione ha giocato in pieno: esentati dall'Imu, ritassati con la Tasi, che ha la stessa base imponibile, cioè il valore della casa. Ma sull'effetto fnale della nuova tassa le sorprese non sono poche. Secondo la fotografa d'insieme scattata dal Tesoro, i proprietari di prima casa che - al netto della quota trasferita allo Stato centrale - fnanziavano la propria amministrazione con un'Imu di 3,8 miliardi, pagheranno ora ai Comuni una Tasi di 1,7 miliardi; i proprietari di seconde case su cui gravavano 12 miliardi di Imu, ora ne pagheranno più o meno lo stesso, 11,9, a cui si aggiunge però un assegno di 2 miliardi di nuova Tasi. Se quest'ultima categoria di proprietari immobiliari viene dunque penalizzata, non è detto che tutti i proprietari della sola casa di abitazione pagheranno di meno. Anzi. Perché la previsione del Tesoro si basa sull'assunto che tutti utilizzeranno l'aliquota standard dell'1 per mille, mentre nella realtà questo non sta accadendo. Nei duemila Comuni che hanno già deliberato, le aliquote si assestano piuttosto sui valori massimi del 2,5 per mille o addirittura del 3,3, consentito per quest'anno grazie all'addizionale dello 0,8 aggiunta in corsa dal governo (sempre Letta) dopo essersi accorto che i conti non tornavano. L'Anci, che associa i Comuni, fa infatti tutt'altro calcolo: la prima casa produrrà una Tasi di 4, 2 miliardi, altro che gli 1,7 stimati dal Tesoro, e addirittura più dell'Imu orginale. Come è possibile questo risultato? Intanto non ci sono più isole felici: la no tax area, che prima riguardava le rendite catastali sotto i 370 euro e le famiglie con un fglio (grazie alla detrazione fssa di 200 euro e 50 per fglio), e salvava dall'Imu il 30 percento delle prime case, ora non esiste più. Le detrazioni c'è chi le accorda - e con criteri assai diversi - e chi no. Il fatto è che oggi i Comuni si trovano di fronte a una doppia tagliola: primo, la Tasi ha aliquote inferiori a quelle per l'Imu prima casa, e quindi se si vuole incassare lo stesso bisogna andarci piano con gli sconti; secondo, scaricare tutto il gettito sulle seconde case spesso non è possibile, perché il livello di tassazione esistente è già quasi al massimo. Stando ai dati dell'Anci, per circa 6.200 comuni (dove vive la metà della popolazione) non sarà necessario spremere i propri cittadini: con un'aggiunta dell'un per mille sia sulle prime case che sulle seconde, sarà possibile recuperare l'introito dell'Imu cancellata. Ma è tutt'altra musica per un'altra fetta consistente di comuni, tra i quali ci sono tutte le grandi città. Per circa 1.600 municipi, stima l'Anci, impresa sarà più complicata perché hanno già spinto al massimo l'aliquota Imu sulle seconde case, e per questo non possono caricarle più di tanto, ma devono invece utilizzare la Tasi massima sulla prima casa, evitando di largheggiare con le detrazioni. E in questo gruppo c'è un sottogruppo di circa 300 comuni davvero nei guai. Il motivo è semplice: con l'Imu ci sono andati giù pesanti, applicando le aliquote top (oltre il 5 e oltre il 10 per mille per prima e seconda casa) e ora non riusciranno a replicare lo stesso gettito. Chi sono? Tutte le città capoluogo oltre i 250 mila abitanti: Roma e Milano, ma anche Torino, Genova, Catania, Napoli, Torino, , Verona, Brescia, Parma, Perugia, Ravenna, Reggio Emilia. Infne c'è un gruppo di circa 300 comuni (sotto i 156 mila abitanti), che si erano abituati ad un gettito elevato dell'Imu prima casa (oltre il 5 per mille), e che avrebbero la possibilità di torchiare le seconde case (perché sono sotto il 9,6 per mille), ma non hanno abbastanza seconde residenze nel proprio territorio per rifarsi. Tra loro ci sono Andria, Avellino, Caltanissetta, Livorno, Terni, Vigevano, Gallarate. Per chi non riesce a incassare quanto prendeva con l'Imu, quest'anno c'è il salvagente del Fondo da 625 milioni messo a disposizione dal Tesoro per tappare i buchi. Ma nel 2015? «Abbiamo ridotto la pressione fscale sulla casa riportandola al livello del 2012», spiega l'assessore al Bilancio di Milano, Francesca Balzani, «e ciò ha prodotto una perdita di gettito di 100 milioni. Quest'anno attingeremo al Fondo, ma in futuro porremo il tema di trattenere anche la quota Imu che trasferiamo allo Stato: è una questione di trasparenza con i cittadini». Si profla dunque una nuova partita, nell'eterno cantiere delle tasse sulla casa. In cui non mancano i costruttori: per le case invendute erano riusciti a farsi cancellare l'Imu, ma ora vengono colpiti dalla Tasi. E non ci vogliono stare. Foto: Massimo Siragusa/Contrasto

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 81 27/06/2014 L'Espresso - N.26 - 3 luglio 2014 Pag. 104 (diffusione:369755, tiratura:500452) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

A Venezia si premiano i figli, a Napoli no Ecco come dieci città hanno determinato la Tasi per il 2014 e confronto con l'Imu sulla prima casa per l'anno 2012 Aliquota Imposta Detrazioni Detrazione Tasi Differenza in euro base per figlio da Imu 2012 Torino 3,3 277,20 110 30 107,20 -75,80 Brescia 2,5 210 100 0 110 +74 Venezia 3,3 277,20 120 50 57,20 +21,20 Genova 3,3 277,20 114 25 113,20 -6,80 Livorno 2,5 210 0 0 210 +22,80 Siena 3,1 260,40 50 25 160,40 -1,60 Ancona 3,3 277,20 0 0 277,20 +115,20 Napoli 3,3 277,20 100 0 177,20 +57,20 Salerno 3,3 277,20 100 30 117,20 +22,40 Cagliari 2,8 235,20 93 40 62,20 -15,80 Questi calcoli, elaborati dall'Associazione dei Geometri Fiscalisti (Agefs), si riferiscono a una famiglia bi-reddito con due fgli conviventi di età inferiore ai 26 anni (o 28 nel caso di Venezia), che vive in un'abitazione non di lusso di 80 metri quadrati, con una rendita catastale di 500 euro.2011 2012 2013 2014 Tasi+Imu Imu (con prima casa) Ici (prima casa esclusa) Imu (prima casa esclusa) Cinque miliardi di tasse in più imposta gettito in miliardi di euro 9,2 24 21 26 (stima) Dall'Ici alla Tasi, le entrate per lo Stato si triplicano. L'Agefs ha calcolato le entrate fscali legate alla tassazione della casa e stimato - con la neonata Tasi un introito complessivo di circa 26 miliardi, ben più di quanto ha stimato il Tesoro (circa 19 miliardi di entrate) applicando ai Comuni l'aliquota minima dell'uno per mille.Piemonte 30% Da 0 a 19% Valle d'Aosta 91,8% Sardegna 29,7% Toscana 38,9% Umbria 18,4% Da 20% a 39% Liguria 31% Da 40% a 59% Lombardia 31,9% Oltre 60% Basilicata zero in condotta Lazio 20,1% Sicilia 6,6% Campania 14% Calabria 9,5% Fonte: ITWorking Srl Italia Veneto 42,4% Marche 25,8% Il 28% dei Comuni ha deliberato entro il 23 maggio 2014 e ha pubblicato almeno una aliquota Tasi sul sito del Ministero delle Finanze entro il 31 maggio 2014 Emilia Romagna 66,1% Molise 17,6% Abruzzo 13,1% Trentino Alto Adige 43,8% Friuli Venezia Giulia 12,9% Puglia 10% Basilicata 5,3% Foto: moltI comunI hanno scelto l'alIquota massIma. ma fra esenzIonI, rItardI e detrazIonI Il caos è totale

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 82 27/06/2014 L'Espresso - N.26 - 3 luglio 2014 Pag. 110 (diffusione:369755, tiratura:500452) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Economia risparmio In banca si viaggia offshore Da Fideuram a Mediolanum, i big della finanza gestiscono i soldi degli italiani all'estero. Con poche tasse e grandi profitti vittorio malagutti

Eccoli qui, gli emigranti del fsco. Emigranti miliardari, addirittura. Questa volta però niente spalloni e neppure acrobazie societarie sul flo del rasoio. Tutto legale. Tutto uffciale. Ogni anno i giganti della finanza nostrana, grandi banche e assicurazioni, risparmiano decine di milioni in tasse grazie a un gioco semplicissimo. I soldi dei clienti, raccolti in Italia, vengono gestiti da società con base a Dublino, oppure in Lussemburgo. Già, perché sotto il cielo d'Irlanda, ma anche nel Granducato, le imposte sui proftti societari sono irrisorie. La giostra gira da anni, con guadagni colossali per gruppi come Mediolanum, Fideuram, Banca Generali, Azimut. Di recente però, l'Agenzia delle Entrate ha stretto le maglie dei controlli, con alcune verifche mirate, per frenare eventuali abusi. Di certo, almeno per adesso, il viaggio oltre frontiera resta molto conveniente per i banchieri. Basta un uffcio offshore, poche decine di dipendenti, e il gioco è fatto. Conti alla mano, si scopre che i grandi marchi del risparmio gestito hanno i piedi ben piantati nella Penisola, ma il portafoglio è al sicuro molto più a Nord, nei paradisi fscali dell'Unione Europea. Qualche esempio? Eccolo. Mediolanum, la banca costruita attorno a te, quella di Ennio Doris, amministra da Dublino un tesoro da 25 miliardi. Azimut, un altro gigante (quotato in Borsa) dei fondi d'investimento, ha parcheggiato in Lussemburgo qualcosa come 16 miliardi. Poco distante c'è Banca Generali, che nel Granducato ha un patrimonio in gestione di oltre 14 miliardi. Ma a guidare il gruppo c'è Banca Fideuram del gruppo Intesa, con oltre 35 miliardi raccolti in Italia e spediti in Irlanda. La gestione del risparmio frutta ricche commissioni, ovviamente a carico dei clienti, e questi proventi vanno ad ingrassare il bilancio delle filiali irlandesi e lussemburghesi. Solo che a Dublino, come pure in Lussemburgo, il fsco è molto più leggero rispetto all'Italia. Proftti alti, prelievi bassi: l'ideale. Ecco perché il trasloco conviene. E a ben guardare non è solo questione di tasse. In Irlanda e in Lussemburgo le norme che regolano la gestione dei fondi, per esempio in tema di commissioni, sono meno severe rispetto a quelle in vigore in Italia. Di conseguenza, aumentano le possibilità di guadagno per i gestori. Analizzando i bilanci si fanno scoperte sorprendenti. Azimut, per esempio, l'anno scorso ha pagato tasse solo per il 15 per cento dei propri guadagni. Possibile? Certo, basta passare dal Lussemburgo. Az Fund management, la fliale con base nel Granducato, amministra decine di fondi comuni distribuiti dal gruppo guidato da Pietro Giuliani. La gestione rende, eccome. A bilancio risultano commissioni per quasi 380 milioni di euro. Dedotti i costi per circa 200 milioni, restano proftti per oltre 180 milioni, circa 156 milioni al netto delle tasse. Come dire che i guadagni di Azimut vengono di fatto realizzati per intero in Lussemburgo. Grazie al fsco leggero del Granducato, il bilancio del gruppo viaggia a tutta velocità. I conti del 2013 si sono chiusi con 156 milioni di proftti su un giro d'affari complessivo di 472 milioni. A conti fatti sono 30 euro di utile ogni 100 di ricavi. A , sede del gruppo Generali, la musica non cambia. Al riparo dell'ombrello fscale lussemburghese, la controllata Banca Generali ha fatto il lifting ai propri bilanci. Del resto, la gestione dei fondi è un ottimo affare. La ripresa dei mercati fnanziari, insieme ai bassi rendimenti offerti dai titoli di Stato, ha spinto molti investitori a puntare sul risparmio gestito. E così la raccolta aumenta e con la raccolta crescono anche le commissioni per le banche. Non c'è da sorprendersi, allora, se Generali fund management, sede in Lussemburgo, nel 2013 ha fatto il pieno di ricavi: 247 milioni contro i 200 milioni dell'esercizio precedente. Gli utili sono aumentati di conseguenza. Dai 100 milioni del 2012, l'anno scorso i proftti hanno toccato i 106 milioni. E le tasse? Spiccioli, solo 13 milioni, che corrispondono a un prelievo del 10,7 per cento sui guadagni lordi (120 milioni). Dal Lussemburgo all'Irlanda il panorama non cambia. Da anni ormai Dublino è diventata una sorta di hard discount del fsco e le pressioni di Bruxelles per frenare quella che appare come una concorrenza sleale contro gli altri Paesi dell'Unione Europea hanno fn qui prodotto risultati modesti. Anche Mediolanum e Banca Fideuram hanno fatto rotta verso la terra dello scrittore James Joyce, dove entrambe hanno trasferito le

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 83 27/06/2014 L'Espresso - N.26 - 3 luglio 2014 Pag. 110 (diffusione:369755, tiratura:500452) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

proprie attività di gestione di fondi. Una scelta che ha fruttato decine di milioni di euro in termini di minori tasse. Nel 2013 il gruppo fondato da Doris ha versato al fsco di Dublino un obolo (si fa per dire) di 43 milioni. Poca cosa, se si considera che la controllata Mediolanum international fund ha chiuso l'anno con poco più di 346 milioni di proftti. A conti fatti, il prelievo fscale si aggira intorno al 12,5 per cento. Vale un discorso simile per Banca Fideuram, che nel 2013 ha guadagnato circa 177 milioni sui 260 milioni di giro d'affari realizzato in Irlanda. L'ammontare delle imposte pagate l'anno scorso dalla fliale di Dublino non è stato ancora reso noto. Nel 2012, però, l'imposta aveva superato di poco i 23 milioni su 184 milioni di proftti lordi. In Italia, lo stesso bilancio avrebbe subito un prelievo non inferiore ai 50 milioni. Insomma, un affarone per la banca. Tutto regolare? Da qualche anno i controlli della Guardia di Finanza si sono fatti più stringenti. Per prima è fnita nel mirino Mediolanum che si è vista contestare una parte del gran fusso di commissioni che dalle società italiane fnisce nelle casse di quelle irlandesi. Uno schema studiato apposta, questa l'accusa, per trasferire quanto più denaro possibile in un Paese a bassa fscalità. Tra verdetti e ricorsi, la controversia si trascina da più di tre anni. Nell'ultimo bilancio, però, Medio lanum ha accantonato 53 milioni per far fronte ad eventuali sanzioni ritenute «probabili». Azimut invece non rinuncia ad alzare le barricate. Il fsco nostrano l'anno scorso ha chiesto la restituzione (con gli interessi e le sanzioni del caso) di quasi 160 milioni di imposte non pagate dalla controllata lussemburghese Az fund management. «Niente da fare», è stata la risposta. Quelle pretese sono «illegittime e infondate». La battaglia è solo agli inizi. E andrà di sicuro per le lunghe. Alla fne si vedrà se il Granducato è ancora un rifugio sicuro per i colossi italiani del risparmio gestito. Foto: Gallerystock/Contrasto, Imagoeconomica350 300 250 200 150 100 50 0 Proftti di gruppo 156 156 218 Proftti in Lussemburgo 177 Proftti in Irlanda 141 107 Rotta su Dublino e Lussemburgo 336 303 Quota dei proftti di gruppo realizzata in Paesi a tassazione ridotta dalle principali società italiane di gestione del risparmio (dati in milioni di euro) Foto: ennIo dorIs (banCa medIolanum). a sInIstra: dublIno

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 84 27/06/2014 L'Espresso - N.26 - 3 luglio 2014 Pag. 32 (diffusione:369755, tiratura:500452) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Inchiesta /fisco / un'altra guerra Scommetto che evadi Per i Mondiali di calcio è boom di puntate. Ma a fare affari sono solo 5 mila agenzie fantasma. Senza licenza. E che non pagano tasse. Sottraendo all'erario 500 milioni l'anno tommaso cerno

Una scommessa su Brasile 2014 al Fisco l'hanno fatta. E sono sicuri di vincere: «Milioni di euro andranno in fumo, un'evasione da campionato del mondo». Ma stavolta non ci sono da immaginare mega-truffe, né giri di soldi illeciti o valigette che varcano il confne in gran segreto. No, qui tutto avviene alla luce del sole. Lo sa la polizia, lo sa l'Agenzia delle Entrate, lo sanno i Monopoli di Stato e lo sa il Parlamento. L'ambientazione, infatti, non è un grattacielo a sette stelle di Dubai, bensì una ricevitoria, sistemata in una strada secondaria di qualsiasi città italiana, fra una lavanderia e il foraio. Un bancone, un paio di addetti gentili e, tutt'attorno, gli strilli con le quotazioni delle scomesse: a quanto danno il Brasile? E l'Uruguay? La Francia paga doppio! E via elencando. Un cliente si presenta allo sportello: «Buongiorno, vorrei puntare 20 euro sulla partita di stasera». Un paio di clic e il gioco è fatto. Se poi hai vinto, basta ripassare per incassare il malloppo. Tutto normale, insomma, se davvero quell'uffcio fosse un'agenzia di scommesse. Con licenza, concessioni, permessi del Viminale. E se quell'addetto fosse un bookmaker autorizzato. Ma non è così. Quella ricevitoria, in tutto simile a quelle della Sisal o dei privati con le carte in regola e i permessi appesi alla parete, in gergo tecnico si chiama "Ctd", ovvero "Centro di trasmissione dati". Signifca che lì non si fanno materialmente scommesse. Ma che quel signore gentile che ha annotato la puntata è solo un "trasmettitore di dati". In pratica spedisce la scommessa all'estero. E il vero affare, il giro dei soldi a sei zeri, avviene fuori dai confni nazionali. Di solito in un paradiso fscale della Ue: Malta, ma anche l'Irlanda. Ecco che l'allarme è rosso. Perché, agenzia dopo agenzia, il circuito fantasma è ormai diffuso su tutta la penisola. E, proprio a giugno, a pochi giorni dal Mondiale di calcio, ha superato quota 5 mila punti scommessa, contro i 7.400 autorizzati. Con medie di 3 milioni di euro a partita di scommesse. Se non sarà fermato in fretta, insomma, nel 2016 potrebbe avvenire il sorpasso. AGENZIE FANTASMA La cifra non rende bene l'idea. Cinquemila agenzie di scommesse che per lo Stato non esistono significa decine di punti in ogni città. Signifca un'area di 500 mila metri quadrati senza licenze e senza concessioni. In pratica è un'isola esentasse che galleggia in mezzo al Paese. Niente imposte per lorsignori. Niente concessioni. Niente licenze della Questura. In più, siccome di fatto non esistono, non sono nemmeno tenuti a rispettare i regolamenti e i diktat che regolano il mercato del gioco. Già, per aprire una di queste agenzie di scommesse basta procurarsi una licenza da Internet point. In alcuni casi quella da copisteria, solo che anziché fotocopiare manoscritti e appunti dell'università, qui si incassano milioni di euro cash in puntate e lotterie. Il meccanismo ormai è oliato. Tanto che i punti vendita spuntano come funghi. Aprono nelle città, in centro e in periferia. Aprono nei piccoli paesi. Scelgono le strade più battute. Si piazzano vicino alle scuole superiori, dove i colleghi del circuito legali hanno il divieto di insediarsi. Confndustria ha una sezione dedicata proprio al gioco legale. E da anni denuncia il fenomeno: «Si tratta nella stragrande maggioranza dei casi di corner o negozi, aperti con le più diverse forme di autorizzazione (call center, Internet point), non controllati, senza nessuna garanzia per i giocatori e, senza nessun gettito erariale per la comunità», denuncia il presidente Massimo Passamonti. Alla gente comune piacciono. La maggioranza nemmeno lo sa che quei centri di scommessa non sono autorizzati. Quel che interessa al cliente, specialmente in periodo di crisi economica, sono i prezzi bassi e la possibilità di mettere via un gruzzolo. «E questi punti di gioco promettono vincite più alte, perché non sono gravati da imposte come gli esercizi autorizzati», continua Passamonti. E così mentre l'aria da Mundial moltiplica scommettitori e poste in palio, chi perde di sicuro è lo Stato. Tanto che ai Monopoli il dossier sul fenomeno è ormai alto un metro. E i tavoli con Viminale e Guardia di Finanza hanno cadenza settimanale. Se il giro d'affari complessivo del circuito legale sfora i 3,7 miliardi di euro, secondo l'Agenzia Agimeg, specializzata nel mondo del gioco, gli operatori privi di concessione nel 2013 avevano raccolto 2,4 miliardi. Un testa a testa che non ha precedenti.

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 85 27/06/2014 L'Espresso - N.26 - 3 luglio 2014 Pag. 32 (diffusione:369755, tiratura:500452) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Grazie a una rete che si espande a macchia di leopardo da Nord a Sud. Con qualche sorpresa, rispetto ai luoghi comuni: la regione con il maggior numero di punti vendita regolari è la Campania (1.618), seguita dalla Lombardia (oltre 900), poi dalla Puglia (700) e dal Lazio (750). Fanalino di coda, la Sardegna, con soli 61 punti scommesse autorizzati, uno ogni 23 mila abitanti. Ma ecco che, in parallelo, cresce il fenomeno dei Ctd. Cifre ormai paragonabili a quelle del circuito regolare. La più diffusa in Italia è la "Stanleybet", con 900 punti. Seguono "Planetwin" con 750, Goldbet con 650, Bet1128 con 600 e via via fno a BetUnique, BetPassion, BetaLand, Leaderbet e Cmb. «Si tratta di numeri impressionanti, probabilmente arrotondati per difetto», spiegano ai monopoli. «È un fenomeno unico in Europa, le cui dimensioni hanno stupito anche noi». REGIONI A RISCHIO E così ci sono delle Regioni, come la Sardegna o la Puglia, che sono praticamente in mano alla rete parallela dei Ctd. In Puglia i Monopoli di Stato hanno calcolato che ormai i punti autorizzati sono scesi a 723, contro i 900 non autorizzati. Con un danno per le casse dello Stato milionario. Un dato che diventa ancora più grave se si compara con il calo della raccolta di gioco regolare negli ultimi due anni, attestato al 2,6 per cento, a scapito di quello regolare: «Ci troviamo di fronte a un fatto gravissimo, una costante perdita di attrattività dell'offerta legale di gioco ed una signifcativa crescita di quella illegale», spiega la Guardia di Finanza. Con un conseguente impatto sui conti pubblici: «Tutto questo si traduce in minor gettito per le casse dello Stato, stimabile, per il solo 2013, per la sola Regione Puglia, in circa 16,5 milioni di euro», aggiungono. Ma se si continua il tour fra le regioni, la situazione cambia di poco. In Sicilia i punti scommesse non autorizzati sono ormai più di 1.100 mentre nel Lazio sono oltre 600, senza contare la Sardegna, dove i non autorizzati sono più del doppio (183) degli autorizzati (73). «In questa regione, quindi, il gioco illegale ha ormai soppiantato quello dello Stato, a cui sono sottratti i proventi, a vantaggio di persone sconosciute al Fisco», spiegano ai Monopoli. È vero, la polizia interviene. Vengono chiesti i sequestri, le chiusure. Ma i tribunali, spesso, nicchiano riscontrando difformità fra il diritto italiano e quello comunitario. Così a sequestro segue dissequestro, a denuncia una controdenuncia, a maggior ragione dopo l'ultima sentenza della Cassazione, nel 2012, che dava ragione di nuovo alla Stanleybet. UN LIMBO SOPRA LA LEGGE L'ultimo che ci sta provando è proprio il questore di Cagliari, Filippo Dispenza. Non si capacita che nella sua provincia, dove c'è il mare più bello del mondo, ripete sempre, «qualche brocker straniero possa pensare che l'Italia sia una terra di conquista per chiunque. Dove c'è più depressione, c'è più gioco. In quelle sale ci vanno studenti, disoccupati, madri di famiglia. Abbiamo visto gente simulare rapine di stipendi e pensioni per giustifcare scommesse e perdite al gioco», denuncia. Per quanto riguarda lui, non ha dubbi. «Tutto questo non si chiama "limbo", ma si chiama "illegale"». E infatti nel cagliaritano sale scommesse e sale da gioco non autorizzate si sono moltiplicate. «Ne abbiamo più di cento, una cosa che non ha senso», spiega il questore. E così, una settimana fa, ha disposto l'ultimo sopralluogo. Meta dei suoi uomini sono state otto di quelle sale. Tutte aperte con il meccanismo del Ctd: uffci in Sardegna, tasse chissà dove. «L'ho fatto perché c'è un proflo di sicurezza che lo Stato ha il compito di garantire e siccome questi signori non chiedono la licenza al Questore, noi abbiamo disposto il sequestro preventivo dei personal computer e delle attrezzature informatiche con cui effettuano le giocate», continua Dispenza. Martedì mattina la buona notizia. Il Gip di Cagliari ha convalidato i provvedimenti, che potrebbero diventare una testa d'ariete e modifcare la percezione del fenomeno anche in altre province italiane, dove fnora era stato diffcile intervenire con strumenti repressivi. «Quando ero in servizio ad Alessandria», spiega ancora il questore,«avevo tentato la strada del sequestro, ma il magistrato l'aveva stoppata. La decisione del Gip di Cagliari, invece, per noi è fondamentale perché afferma che stiamo operando all'interno del diritto e della legge». TASSE, QUESTE SCONOSCIUTE Intanto a rimetterci sono le casse dello Stato. E se a giugno 2013 proprio gli inglesi di Stanleybet, pionieri del mercato non autorizzato in Italia, avevano annunciato di voler versare l'imposta unica - come tutti i concessionari autorizzati - all'Agenzia la pratica è classifcata sotto l'etichetta "non pervenuto". Parole, parole, parole, ripetono a piazza Mastai. Annunci, quando invece il vulnus resta aperto. Anzi, spalancato: pochi mesi fa, infatti, era stato siglato un accordo di conciliazione proprio tra Monopoli e società inglese dopo le verifche fscali dello scorso anno. Ma, nemmeno in questo caso, «alla frma è per ora seguito

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 86 27/06/2014 L'Espresso - N.26 - 3 luglio 2014 Pag. 32 (diffusione:369755, tiratura:500452) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

alcun versamento». Per capire di quanti soldi parliamo, basta fare un calcolo a spanne. Se si raffronta il giro d'affari delle agenzie autorizzate - di cui si conoscono le cifre esatte - a quello dei Ctd, il conto è presto fatto: «La rete legale delle scommesse, nel solo 2013, ha restituito in vincite mediamente l'80 per cento della raccolta, lasciando quindi in mano ai bookmaker esteri, secondo una stima per difetto, circa 500-600 milioni di euro, cioè un fume di soldi che non paga tasse, non è censito, non è controllato», proseguono ai Monopoli. Non solo, c'è pure la concorrenza sleale. I Ctd, infatti, non essendo formalmente agenzie di scommesse e non pagando quindi le concessioni, hanno meno spese per fare lo stesso lavoro, e possono quindi offrire ai giocatori condizioni migliori rispetto ai concessionari regolari, con offerte più vantaggiose, puntate più basse, moltiplicatori più appetibili per lo scommettitore: «Un elemento che rende probabile che l'introito fnale della rete dei Ctd sia addirittura superiore alle stime», concludono ai Monopoli. TASK FORCE TRA MINISTERI E così Polizia, Monopoli e Guardia di Finanza cercano di affnare un sistema coordinato per fermare l'espansione dei Ctd. E per aprirsi un varco nel complicato puzzle giuridico che fnora ha difeso le strutture parallele delle scommesse. Fino all'ultima sentenza chiave, datata 2012, che ha visto la Stanlaybet vincere in Cassazione dopo avere impugnato un provvedimento che voleva fermarne l'attività. Una sentenza dai contorni ambigui, secondo la task force interministeriale. È vero che assolve il Ctd, ma afferma anche che «essi godono di una situazione di ingiustifcato privilegio commerciale e giuridico rispetto alla rete autorizzata». E, in più, possono «stipulare contratti con persone non sottoposte a controlli». Cioè gente sconosciuta alle forze dell'ordine, che schiva la radiografa imposta a chi opera nel settore del gioco. Perché degli operatori dei Ctd, in realtà, lo Stato non sa nulla. Schivano le norme, sono esclusi dalle verifche. Sia da quelle antimafa, secondo cui per aprire un'agenzia di scommesse è obbligo dichiarare le persone che detengono una partecipazione nella società concessionaria. Sia da quelle sulle condanne: «La società non può ottenere o mantenere la concessione se uno di questi soci assume la qualifca di imputato o condannato per una serie di reati che vanno dalla corruzione, concussione, abuso d'uffcio, peculato, associazione a delinquere, anche semplice, frode fscale», elencano al ministero dell'Interno, titolare delle licenze. Ma tutto questo non vale per i gestori dei Ctd. I bookmaker esteri lavorano per società che potrebbero essere controllate da chiunque, anche da italiani, schermati dietro le solite scatole cinesi. BATTAGLIA IN PARLAMENTO E così il caso dei Ctd è approdato in Parlamento. A sollevarlo un'interrogazione del Movimento 5 stelle che, per la prima volta, mette il dito nella piaga, chiedendo al governo Renzi se sia vero che «gli esercizi irregolari in Italia per l'attività di gestione e di raccolta delle scommesse, fra cui molti Ctd, siano circa seimila», ancora più del censimento uffciale, e secondo i pentastellati «un numero superiore a quello dei punti legali, con un'evasione che si aggira attorno ai 400 milioni di euro, un'immensa cifra sottratta al Paese». Con un monito all'esecutivo perché intervenga presto anche contro l'uso del contante. Denuncia che sale anche dal mondo del gioco autorizzato, in prima fla la Snai, il concessionario storico delle scommesse. Fra i privati, invece, il leader in Italia si chiama "Intralot", che opera nel nostro Paese dal 2006, con un investimento di circa 90 milioni di euro e l'apertura di 500 punti vendita. La guida Emilio Iaia, che mette al lavoro circa 2.500 addetti (fra diretti ed indiretti) e fattura oltre 300 milioni: «Malgrado la concorrenza dei Ctd, anomalia esclusivamente italiana nell'intera Unione europea, il panorama del gioco legale sta maturando», dice Iaia. «C'è sempre una maggiore attenzione e responsabilità contro tutti i fenomeni compulsivi e vi è il rigido rispetto delle regole per la tutela dei minori e delle fasce di soggetti considerati più deboli». Come a dire che la guerra contro il gioco legale, alla fne, ha portato al proliferare di quello senza controlli. Con maggiori rischi per il giocatore. «Il panorama futuro del gioco legale passa proprio per un maggior livello qualitativo dell'offerta ma anche per l'ampliamento di tutte le necessarie tutele per i più deboli». Con investimenti anche nella prevenzione delle dipendenze. Anello debole. Ancora più debole quando la catena dei controlli si spezza. All'insaputa del legislatore. Giaccomo De Panfilis,Camerapress/Contrasto, Olycom 600

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 87 27/06/2014 L'Espresso - N.26 - 3 luglio 2014 Pag. 32 (diffusione:369755, tiratura:500452) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

CIRCA MILIONI DI EURO ALL'ANNO I guadagni dei bookmakers esteri che operano senza concessioni in ItaliaConfronto tra agenzie regolari e agenzie non autorizzate CIRCA 2, MILIARDI DI EURO ALL'ANNO La raccolta delle scommesse che sfugge ai controlli E spunta pure il Lotto taroccato Ci sono le ruote come nel lotto vero. Ci sono le estrazioni. Ci sono le ricevute delle giocate. Solo che lo Stato non ne sa nulla. E i Monopoli non hanno mai autorizzato quelle lotterie. È un fenomeno che dilaga. E che si collega al caso dei Ctd, i centri di trasmissione dati, ovvero le agenzie di scommesse non autorizzate. La Procura di Roma, a maggio, ha aperto un'inchiesta su segnalazione di Lottomatica e disposto le prime perquisizioni. A caccia di fac simili di schede, materiale informatico, documenti bancari e fscali. Sì perché l'ultima moda sono le false lotterie in vendita nei Ctd. Agli occhi del cliente sembrano concorsi regolari. Ma non agli occhi dei magistrati romani, che contestano «l'attività illegale di raccolta giochi e scommesse» e la «totale evasione di imposta». Giocati 105 milioni, ma ora si teme l'effetto ?op azzurro Più di 105 milioni puntati nei primi dieci giorni del Mondiale, ma ora i bookmaker sono alle prese con l'eliminazione degli Azzurri e con il rischio che gli incassi scendano. Con una doppia beffa. E cioè che di quegli introiti scommessi, l'Agenzia delle Entrate vedrà solo in parte versate le tasse. Fino alla partitaccia contro l'Uruguay, gli italiani avevano creduto nella squadra. E l'effetto si era visto anche in ricevitoria. Sulla partita con la Costa Rica, ad esempio, sono andati 7,1 milioni, che si aggiungono a 5,5 puntati su Inghilterra- Italia. In più, scaramantici nonostante l'andamento altalenante nel girone, gli scommettitori tricolore avevano attestato ancora l'Italia come seconda probabile vincitrice dei mondiali con il 27,46 per cento delle puntate, dopo il Brasile, anche se la tendenza degli scommettitori si sta lentamente modifcando. Tutto da rifare dopo la fguraccia con l'Uruguay. Ma le scommesse continueranno. Il morso di Suarez era dato dai bookmaker 175 a 1. Ora la sua squalifca fno alla fne del torneo è a 1,20. E non si punta solo sul risultato fnale. Si può scegliere il marcatore preferito, il primo giocatore che metterà la palla in rete, oppure l'ultimo marcatore. Per i capocannonieri l'azzurro più gettonato era Immobile, mentre fra i goleador stranieri spiccano Cavani, Benzema e Messi, anche se i pronosticatori di Intralot, una delle società private che operano nel circuito legale delle scommesse in Italia, individuano in Fred (13,41 per cento) il vincente della classifca capocannonieri, seguito da Leo Messi (11,54 per cento) e da Neymar (10,62 per cento). Seguono Immobile (8,19 per cento), Cavani (6,32 per cento), Higuain (6,26 per cento), Balotelli (6,20 per cento). Ma già i risultati dei primi match nei gironi hanno stravolto alcuni pronostici cari agli scommettitori azzurri. Primo fra tutti il destino della Spagna campione del mondo uscente e già uscita dal mondiale carioca, cui è seguita a ruota l'Inghilterra e poi, sogno fnito, l'Italia. L'Olanda ha infatti sovvertito tutte le previsioni e la vittoria degli iberici che era stata pronosticata dal 76 per cento dei giocatori, ha fatto incassare belle vincite a quel 5 per cento che aveva scelto invece di puntare sugli olandesi. Meno drastica, ma altrettanto inattesa l'eliminazione dell'Italia. Per quanto riguarda il debutto degli Azzurri, invece, il primo successo era stato pronosticato dal 58 per cento degli scommettitori Intralot, il 18 per cento aveva invece puntato sulla vittoria degli inglesi. Sempre per Italia - Inghilterra il 12 per cento degli scommettitori aveva centrato Marchisio come primo marcatore ed il 9 per cento Balotelli come ultimo marcatore. Previsioni sovvertite contro la Costa Rica, dove il 95 per cento degli scommettitori Intralot aveva pronosticato la vittoria degli azzurri e solo il 2 per cento quella dei Ticos. Per quanto riguarda la vincente del Mondiale i pronostici degli scommettitori dicono Brasile (34,8 per cento), Argentina (10,74), Germania (7,37), Uruguay (3,95), Belgio (2,71).

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 88 27/06/2014 L'Espresso - N.26 - 3 luglio 2014 Pag. 32 (diffusione:369755, tiratura:500452) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Foto: Lombardia Foto: Liguria Foto: Lazio Foto: Fiuli Venezia Giulia Foto: Emilia Romagna Foto: Campania Foto: Basilicata Foto: Abruzzo Foto: ALCUNI SCOMMETTITORI IN UN'AGENZIA E, A SINISTRA, EMILIO IAIA. IN BASSO: GLI SPALTI DEL MARACANà AL MONDIALE IN SARDEGNA LA RETE NON AUTORIZZATA SUPERA LA LEGALE. E IL QUESTORE DI CAGLIARI SEQUESTRA PC E TERmINALI

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 89 27/06/2014 L'Espresso - N.26 - 3 luglio 2014 Pag. 38 (diffusione:369755, tiratura:500452) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Esclusivo dentro le finanze vaticane Ior contro IOR Le consulenze d'oro. Gli affari dei finanzieri voluti dal papa. Un buco da 800 milioni. Riesplode la guerra nella banca di Dio e il presidente è in bilico. Mentre i politici spostano i loro conti... EMILIANO FITTIPALDI

La prima prova della carità nel prete, e soprattutto nel vescovo, è la povertà», ragionava Victor Hugo ne "I Miserabili", anno domini 1862. Chissà che avrebbe detto lo scrittore francese che scudisciava il clero ricco e avido, se avesse potuto sbirciare nei conti segreti dello Ior di oggi. Chissà cosa penserebbe di fronte ai buchi milionari della finanza vaticana e agli strani affari immobiliari della banca di Dio in mezzo mondo, da Budapest agli Stati Uniti. Analizzando alcune carte riservate fnite sulla scrivania di papa Francesco, "L'Espresso" ha scoperto che Oltretevere non tutto sta flando liscio come la propaganda bergogliana vorrebbe far credere. La lotta alla corruzione e ai crimini fnanziari è senza quartiere, ma dietro le mura leonine è scoppiata una nuova guerra per il controllo del tesoro vaticano. Che ha come protagonisti, oltre a porporati americani e cardinali italiani l'un contro l'altro armati, avvocati siciliani, banchieri francesi e business men con qualche confitto d'interessi che hanno preso di mira i miliardi in pancia agli enti fnanziari, Ior e Apsa su tutti. STERCO DEL DIAVOLO Il tempo di "Vatileaks" è alle spalle. Mentre il proscenio è occupato da Francesco e dalla sua maestrìa comunicativa, la partita per il denaro si torna a giocare - come vuole la secolare tradizione - dietro le quinte. È diffcile schematizzare in poche righe quali sono le fazioni in campo. È un fatto, però, che gli italiani siano stati tagliati fuori dai nuovi organismi che gestiranno i soldi, ossia dall'Aif (l'Autorità di informazione fnanziaria), dalla commissione cardinalizia dello Ior, e soprattutto dalla neonata Segreteria per l'Economia (sorta di superministero delle Finanze guidato dal cardinale australiano George Pell) e dal Consiglio dell'Economia, potente organo di indirizzo e vigilanza guidato dal cardinale tedesco Reinhard Marx. Dopo aver fatto a pezzi la vecchia catena di controllo legata al cardinale Tarcisio Bertone (usciti il direttore dello Ior Paolo Cipriani e il suo vice Massimo Tulli, entrambi indagati dai pm di Roma per violazione delle norme anti-riciclaggio, l'unico che ha ancora voce in capitolo sul patrimonio è il prefetto degli Affari economici Giuseppe Versaldi), sembra che gli uomini vicini a Bergoglio abbiano deciso di dare il benservito anche al presidente dello Ior, il tedesco Ernst von Freyberg. La cui poltrona scotta, tanto che i bene informati sussuirrano che entro poche settimane verrà sostituito. Il banchiere è stato chiamato a Roma qualche giorno prima dell'elezione del nuovo pontefce e da poco più di un anno sta lavorando assieme alla società di consulenza americana Promontory per riformare l'istituto. Bergoglio ha chiesto di chiudere i conti dei laici - circa 1400 tra cui una ventina di politici alcuni dei quali, risulta a "L'Espresso", hanno già spostato i soldi in una banca tedesca - e individuare le operazioni sospette, in modo da trasformare l'istituto in un tempio della trasparenza e far entrare il Vaticano nei paesi della "white list" dell'Ocse. Anche se il papa non ha mai voluto incontrarlo di persona, von Freyberg ha tentato di rispettare i suoi comandamenti. Per far bella fgura sui giornali ha pure assunto due consulenti in forze alla società Cnc di Monaco, che da qualche mese hanno il compito di curare la sua immagine. Se dalla stampa von Freyberg è trattato con i guanti, in Vaticano la sua posizione traballa: a inizio giugno il prelato del papa allo Ior, monsignor Battista Ricca (di cui il Papa si fda ciecamente e che ha voluto accanto a sé senza dare alcun peso ai dossier che un anno fa giravano su di lui) gli ha infatti spedito una dura lettera di contestazioni. Von Freyberg non avrebbe dato a Ricca, dunque a Francesco, tutti i dettagli del prestito da 15 milioni di euro che nel 2011 lo Ior concesse alla Lux Vide di Ettore Bernabei. Non solo. Il tedesco avrebbe gestito male la coda di un'operazione immobiliare a Budapest: il Vaticano qualche anno fa ha comprato da un private equity, un fondo proprietario dell'ex palazzo della Borsa, un grande immobile al centro della capitale ungherese che - secondo il progetto iniziale - doveva essere ristrutturato per realizzare mini appartamenti da vendere sul mercato. Secondo Promontory l'operazione è stata economicamente sballata, tanto che nel prossimo bilancio della banca, oltre ai 15 milioni del bond della Lux Vide che gli americani considerano un favore di Bertone al produttore di "Don Matteo", potrebbe essere

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 90 27/06/2014 L'Espresso - N.26 - 3 luglio 2014 Pag. 38 (diffusione:369755, tiratura:500452) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

svalutato anche il valore della speculazione sulle rive del Danubio. VATICANO IN ROSSO Ma ci sono altri titoli in capo allo Ior che Promontory ha messo nel suo mirino. Si tratta di investimenti da decine di milioni di euro effettuati negli scorsi anni per acquistare fondi fnanziari e immobili (soprattutto negli Stati Uniti) che, secondo la società di consulenza, nasconderebbero operazioni inesistenti per riciclare denaro. «Si tratta di 130 milioni totali che, secondo Promontory, esistono solo sulla carta. Non è così, è un attacco politico, abbiamo comprato titoli che danno rendite e palazzi di mattone e cemento armato», ragiona un dirigente della banca, preoccupato che gli utili quest'anno possano crollare rispetto agli 86 milioni di euro registrati dodici mesi fa. Di certo, nella lettera Ricca ha contestato al numero uno dello Ior anche i risultati di gestione dell'asset management, che non sarebbero affatto soddisfacenti. Von Freyberg infne, non si sarebbe mosso con la dovuta riservatezza: il banchiere, dopo aver licenziato due alti dirigenti, avrebbe spiegato agli impiegati che sarebbe stato lo stesso Ricca a imporgli il siluramento dei due collaboratori. «Diffcile che sia stato il prelato a scrivere di suo pugno la lettera di contestazioni», chiosano dallo Ior: così dura e ben scritta che qualche malpensante ci vede la penna e i consigli del californiano Jeffrey Lena, il legale che dal 2000 difende la Santa Sede in cause delicate come quelle sugli abusi sessuali dei preti pedofli su migliaia di minori. E che con Ricca ha ottimi rapporti. «Che cos'è rapinare una banca in confronto al fondarla?», diceva Bertolt Brecht nell' "Opera da tre soldi". Forse se lo è chiesto anche Francesco, quando qualche mese fa lo Ior è prima fnito nella polvere in seguito allo scandalo di monsignor Nunzio Scarano, poi quando ha dovuto ripianare il buco provocato da speculazioni spericolate della diocesi di Terni con un prestito da 12 milioni di euro. Ma c'è un altra questione che preoccupa il Santo Padre: in un documento riservato che "l'Espresso" ha visionato si parla infatti di un maxi buco «da 800 milioni di euro nel fondo pensioni dei dipendenti del Vaticano». Una voragine che si è ampliata a dismisura nell'ultimo lustro, in concomitanza con la crisi fnanziaria internazionale. Per mettere i conti in sicurezza gli esperti del papa chiedono che il Vaticano versi nel fondo 100 milioni cash, e che i lavoratori laici vadano in pensione più tardi, a 68 anni. Bisognerebbe, spiega la nota, anche «incrementare i contributi dei dipendenti al 9 per cento del salario lordo», misura dalle quale verrebbero escluse solo le guardie svizzere. La manovra consentirebbe di ridurre il defcit, dice il documento, «di circa 110 milioni». OPERAZIONE "AD MAIORA" C'è dell'altro. Un carteggio riservato, fnito a Santa Marta, svela l'operazione "Ad Maiora", dal nome di uno dei fondi con cui il Vaticano, attraverso lo Ior, è arrivato a investire fno a 230 milioni di euro. Un'iniziativa «proposta dal direttore Cipriani», si legge, «e approvata nell'aprile 2012 dal consiglio di sovrintendenza per allocare una parte del capitale nel settore della fnanza etica e degli investimenti alternativi». L'operazione prevedeva la costituzione e la sottoscrizione da parte dello Ior di fondi d'investimento esteri (in Lussemburgo e a Malta) «sotto la guida di una società di consulenza nel campo dell'investimento etico, l'Ecpi di Milano». Una srl fondata da alcuni professori della Bocconi (come Michele Calcaterra e Francesco Silva) e partecipato anche da una società inglese, la Blue Capital di Londra. Il documento degli esperti che hanno spulciato le scelte del vecchio management prende di mira le clausole del contratto con la milanese Ecpi che prevede impegni a investire di importo rilevante, l'impossibilità di uscire dai fondi senza un preavviso molto lungo e commissioni alte. Già, in 14 mesi la consulenza della società meneghina è costata la bellezza di 1,4 milioni di euro, in pratica 100 mila euro al mese. Mentre «per il fondo "Ad Maiora" le consulenze pagate e presumibilmente da pagare ammontano a 3,5 milioni di euro»: alla fne la schiera di consulenti potrebbero arrivare a incassare oltre 10 milioni di euro. «C'è un elevato rischio», conclude il documento, «di adire le vie legali per ottenere la chiusura dei fondi e di subire azioni legali da parte della Ecpi: il contratto prevede una durata illimitata e comunque non inferiore a cinque anni, ed è stato bloccato dallo Ior dopo soli 14 mesi». Il professor Calcaterra, da Milano, ammette i rapporti con lo Ior, e replica: «Le nostre commissioni sono in linea con il mercato, e sono state esplicitate nel 2012 davanti al cda dell'istituto. Escludo, inoltre, che ci saranno strascichi giudiziari con il Vaticano». ARRIVANO GLI YUPPIES! C'è da credergli: lo sanno in pochi, ma i professori della Bocconi hanno da tempo rapporti strettissimi con la fnanza bianca. Se attraverso la Fondazione Finetica hanno cominciato a collaborare con la Pontifcia Università del Laterano nel lontano 1997, Ecpi è stata anche socia di Mittel, la merchant bank rilanciata da

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 91 27/06/2014 L'Espresso - N.26 - 3 luglio 2014 Pag. 38 (diffusione:369755, tiratura:500452) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Giovanni Bazoli e presieduta da qualche anno da Franco Dalla Sega. Lo stesso manager di Ecpi Francesco Silva ha lavorato in Mittel. Proprio Dalla Sega due mesi fa è stato chiamato a Roma dal cardinale australiano Pell, capo della nuova Segreteria dell'Economia, come superconsulente dell'Apsa: dopo l'uscita di Paolo Mennini sarà il numero uno di Mittel a dover trasformare l'ente in una sorta di banca centrale. E sarà sempre lui, nell'immediato futuro, a gestire l'enorme patrimonio fnanziario dell'Apsa. Anche lo Ior verrà riformato completamente. Ma Francesco, che inizialmente sembrava volesse chiuderlo tout court, ha invece spiegato - attraverso un comunicato uffciale della Santa Sede - che la banca resterà in vita, aiuterà le missioni e «continuerà a fornire servizi fnanziari alla Chiesa cattolica in tutto il mondo». Il patrimonio gestito dalla banca è cospicuo, oltre 7 miliardi di euro nel 2012, e l'asset management fa gola a molti. Dietro le mosse di Promontory e di Ricca, secondo alcuni cardinali vicini a Bertone e al cardinale Angelo Sodano (due fazioni da sempre contrapposte che la rivoluzione in corso ha incredibilmente riavvicinato) ci sarebbero così non solo il clero statunitense che ha contribuito in modo decisivo all'elezione di Bergoglio, ma anche alcuni fnanzieri stranieri. Capeggiati dal maltese Joseph Zahra e dal francese Jean Battiste de Franssu: insieme a Dalla Sega, saranno loro a consigliare al papa i business migliori su cui scommettere. Entrambi già membri della Cosea dal luglio del 2013 (la commissione referente per gli affari economici è stata sciolta qualche giorno fa dopo aver consegnato le conclusioni del loro rapporto), sono tra i sette membri laici del nuovo Consiglio dell'Economia che - insieme a otto ecclesiastici - avranno il compito di indirizzare le scelte economiche vaticane. Qualcuno, però, storce il naso. Gli italiani parlano di gravi rischi di confitti di interessi. E, soprattutto, di un potere eccessivo consegnato nelle mani della lobby che gira intorno a Misco Malta, la società di consulenza fnanziaria fondata da Zahra, che del Consiglio è vice coordinatore. Se su Internet c'è ancora traccia di quando de Franssu era manager della controllata Misco Directors Network (ora il proflo del francese non compare più sul sito uffciale), l'unico componente italiano chiamato in Consiglio è Francesco Vermiglio. Un avvocato di Messina che è stato nel cda della Banca di Malta quando Zahra ne era direttore, è che nel 2011 ha creato con l'amico fnanziere la Misco Advisory Ltd, una joint venture tra lo studio Vermiglio e il gruppo maltese con cui si spera di portare capitali italiani sull'isola considerata fno al 2010 un paradiso fscale. A Messina i Vermiglio sono molto conosciuti: il fratello di Francesco, Carlo, è vice presidente del Consiglio nazionale forense, e il suo nome è fnito spesso sui giornali locali per presunti rapporti con la massoneria. «Verissimo. Io mi onoro di essere stato iscritto alla loggia "La Ragione" fno al 1988, poi mi sono messo in sonno, come si dice in gergo massonico, e non l'ho mai più frequentata. Mio fratello? Non è mai stato iscritto». De Franssu è anche ad della società Incipit, e manager della Tages Capital Group del fnanziere italiano Panflo Tarantelli. «Sapete dove lavora il fglio di De Franssu, Luis Victor, dallo scorso marzo? Sarà una coincidenza, ma è stato assunto da Promontory», sospirano allo Ior, dove i dipendenti sperano che i nuovi arrivati siano davvero gli uomini giusti per realizzare la rivoluzione etica voluta Bergoglio. Foto:Vatican Pool - Contrasto, D. Scudieri - Imagoeconomica,Abaca - Ansa, Ansa Foto: PAPA FRANCESCO E, A SINISTRA, IL TORRIONE DI SISTO V SEDE STORICA DELLO IOR Foto: DA SINISTRA: IL CARDINALE GEORGE PELL; ERNST VON FREYBERG, PRESIDENTE DELLO IOR IL FONDO PENSIONI DEI DIPENDENTI è A RISCHIO. E SPUNTANO PURE PARENTELE MASSONICHE NEL NUOVO CONSIGLIO DELL'ECONOMIA

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/06/2014 92

SCENARIO PMI

9 articoli 27/06/2014 Corriere della Sera - Brescia Pag. 13 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Industria Nello «sblocco» normativo si cita solo la legge 185 sui fucili da guerra Export armi, l'ok del ministero Ma è un via libera solo a metà La delusione dei produttori: «Mercato civile a rischio» Roberto Giulietti

Ops! Svista, errore, si spera solo un malinteso o un'incomprensione. Ma sta di fatto che la lettera ricevuta da Maurizio Casasco in qualità di presidente nazionale della Confapi, invece di tranquillizzare il settore armiero bresciano, fatto al 95% di piccole e medie imprese che producono armi sportive, lo ha messo ancora di più in agitazione. E il motivo è semplice. Nella precisazione del ministro degli Esteri Federica Mogherini, il riferimento è alla «normalizzazione delle attività autorizzative delle esportazioni, delle importazioni e del transito di materiali per la difesa» riferibili alla legge 185 del 1990. Quella cioè che regolamenta le armi leggere a uso bellico. Lasciando quindi di fatto fuori tutta la produzione di armi sportive e venatorie che vive gli stessi problemi ma è regolata da un'altra legge, la 110 del 1975, che definisce la natura e la funzione di tutti i prodotti armieri. Fuori dal legalese , tutt'altro che un dettaglio, visto che da mesi i produttori bresciani lamentano una situazione insostenibile, dove «per ottenere una licenza a esportare in molti paesi occorrono dai 70 ai 90 giorni e la Questura cittadina, nonostante il grande impegno - ha precisato Pierangelo Pedersoli, presidente del Consorzio armaioli - non è messa nelle condizioni di concedere i premessi». E se si considera che l'export è stato il salvagente del settore dopo la crisi che ha colpito in modo pesante il mercato italiano, è facile intuire le preoccupazioni dei produttori. «Siamo contenti se il ministro Mogherini abbia dato risposte rassicuranti a un grande problema. Quello che chiediamo al ministro - ha sottolineato Pedersoli - è che faccia la stessa cosa per le armi sportive e per attività venatoria. O almeno dia informazioni alla Questura per sapere verso quali paesi si può esportare mettendoli nella condizione di concedere le licenze senza dover passare obbligatoriamente da Roma». A preoccupare il presidente del Consorzio, infatti, «sono quelle aziende che hanno 138 pratiche ferme nei ministeri e in attesa delle autorizzazioni per poter esportare». E proprio alla vigilia dell'organizzazione di una possibile trasferta nella capitale russa dove a ottobre si svolgerà una fiera dedicata alle armi sportive. «A Mosca lo scorso anno erano presenti 22 aziende italiane, Benelli e Beretta hanno aperto un loro ufficio - ha ricordato Pedersoli - ed è un mercato dalle grandi potenzialità vista la presenza di milioni di cacciatori. Per alcune aziende, il mercato russo ha già quasi sostituito quello americano è però inutile pensare di investire decine di migliaia di euro per partecipare a una fiera se poi non si è in grado di garantire l'invio della merce richiesta». Sempre che non arrivi una nuova lettera del ministero. © RIPRODUZIONE RISERVATA Le normative Armi militari La Legge 185 del 1990 prevede che ogni anno i differenti ministeri interessati preparino una relazione da presentare al Parlamento per le operazioni relative all'anno precedente in materia di importazione ed esportazione dei sistemi di armamento da e per l'Italia. Impedisce inoltre che sistemi d'arma italiani possano essere venduti a paesi in conflitto, che violano gravemente i diritti umani e che rientrino in quelli che vengono definiti i paesi Hipc (nazioni povere pesantemente indebitate) Armi civili La definizione di armi sportive, da difesa o militari è invece affidata alla legge 110 del 1975 che ha definitivamente fatto chiarezza sulla diversa natura tecnica e sulla funzione finale

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 27/06/2014 94 27/06/2014 Corriere della Sera - Brescia Pag. 13 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

di ogni singola tipologia di prodotto armiero 95% La percentuale di armi prodotte nell'area del distretto gardonese riconducibile a usi di tipo civile, venatorio e sportivo 90% La percentuale delle armi italiane esportate. Principali partner commerciali si confermano il Nordamerica e l'Europa. Nuovo canale è la Russia 187 Le aziende italiane produttrici di armi leggere. Concentrate in Valtrompia, sono per la maggior parte Pmi legate al settore venatorio e sportivo

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 27/06/2014 95 27/06/2014 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 43 (diffusione:619980, tiratura:779916) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Assicurazioni Rossi richiama le compagnie: «Investite di più sulle imprese» Andrea Ducci

ROMA - Il nuovo ruolo delle assicurazioni nel finanziamento all'economia e un prezzo delle Rc Auto che resta sensibilmente più elevato rispetto alla media europea. Nella seconda relazione annuale dell'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (Ivass) il presidente, Salvatore Rossi, sottolinea che l'industria assicurativa occupa un posto importante nel sistema di allocazione delle risorse finanziarie. I numeri sono imponenti: le compagnie italiane hanno investimenti in essere per 560 miliardi di euro, di questi quasi la metà (270 miliardi) sono impiegati in titoli di Stato. Motivo per cui alle assicurazioni viene chiesto di assumere la veste di soggetti finanziatori dell'economia, foraggiando quella molteplicità di piccole e medie imprese che le banche non riescono a supportare. Il modello è quello adottato nei giorni scorsi dal decreto Finanza per la crescita. La relazione di Rossi, ricordando che l'Ivass non può trascurare i vincoli di Solvency II, registra che le assicurazioni «hanno l'opportunità di contribuire, con i necessari presidi di stabilità, a far evolvere la struttura finanziaria del Paese». Qualche dato sull'andamento del mercato invita, del resto, a un cauto ottimismo. Lo scorso anno la raccolta del settore è cresciuta del 13% a fronte di una media europea dell'1%. A spingere è stato il ramo vita con un balzo del 22%, mentre il ramo danni ha perso il 5%. I bilanci delle compagnie sono migliorati, tanto che gli utili dell'intera industria assicurativa hanno superato 5 miliardi, dopo i 4 miliardi di perdite dell'ultimo biennio. La nota dolente resta il comparto Rc Auto. La raccolta premi ha registrato un calo dell'8% e la relazione evidenzia che il prezzo delle polizze italiane è più caro rispetto alla media Ue. Il dato è netto: il 95% degli assicurati paga un premio superiore a quello medio europeo, pari a 250 euro. Non solo. La media semplice dei premi in Italia è inchiodata a 500 euro. Nelle sue considerazioni Rossi ribadisce che la lotta alle frodi è il presupposto per una stabile riduzione dei prezzi. Le cifre indicano pure che nel periodo 2009 -2013 il premio puro teorico si è ridotto del 16%, mentre il premio medio effettivo pagato dagli automobilisti è aumentato del 6%. © RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 27/06/2014 96 27/06/2014 Il Sole 24 Ore Pag. 11 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Made in Italy. Il piano del governo fa tappa nel capoluogo campano per sostenere le Pmi CAMPANIA Napoli riparte dalla moda Francesco Prisco

NAPOLI Il piano per il Made in Italy nasce all'insegna di una sfida lanciata alle imprese dei territori: «Vediamoci più spesso e che i nostri incontri siano soprattutto riunioni operative. Il governo è pronto a raccogliere gli spunti che ci fornirete». Lo ha detto il viceministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, alla Mostra d'Oltremare, al convegno "Napoli, è tempo di ripartire", organizzato da Sistema Moda Italia. Focus del dibattito, il decreto Guidi destinato a giungere in Consiglio dei ministri insieme con il provvedimento di riordino di Ice e Invitalia. «Intendiamo aiutare a internazionalizzare - ha spiegato Calenda - una platea di 70mila imprese per cui sarà disponibile, nella prima annualità, una dote di 60 milioni. Per sostegno all'assunzione di export manager, rafforzamento dei grandi eventi come Pitti, aiuti all'inserimento nei canali della gdo e aggressione dei mercati esteri a grande potenziale». E il tessile è tra i settori più promettenti. «Il 2014 - ha detto il presidente di Smi Claudio Marenzi - è destinato a chiudersi all'insegna di performance incoraggianti. Il fatturato crescerà del 3,6% raggiungendo i 52,5 miliardi, l'export avanzerà del 5,6%, la bilancia commerciale si attesterà sui 10 miliardi. Elementi critici saranno il numero di aziende attive, in calo dell'1,4%, e il dato degli addetti, in flessione dello 0,2%, ma in entrambi i casi parlami di inversione di trend che negli anni di crisi apparivano ben più problematici». Vincenzo De Luca, direttore centrale del ministero degli Esteri, ha esortato «le imprese tessili dei diversi territori a sfruttare la chance di Expo 2015 che dovrà essere il salone espositivo di una nazione intera». Il presidente di Ice Riccardo Monti ha posto l'accento sulla necessità di fare «promozione intelligente, l'unico strumento che si traduce in impatto immediato in termini di ordinativi». Il presidente dell'Unione industriali di Napoli Ambrogio Prezioso ha sottolineato la necessità di «ripartire dalla moda e dalle eccellenze nel manifatturiero e in particolare nel tessile. Questi settori devono costituire un unico cluster con turismo ed enogastromia ma per rilanciare il tutto abbiamo bisogno di forti sforzi nell'Ict, per una città più digitale». Presente anche Maurizio Marinella della celebre maison delle cravatte che ieri ha compiuto cento anni. @MrPriscus © RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 27/06/2014 97 27/06/2014 Il Sole 24 Ore Pag. 11 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Il caso. I cluster della componentistica si aggiudicano il 26% degli appalti del programma europeo Iter LOMBARDIA Il reattore ha il cuore lombardo Alberto Magnani

Chi ben comincia, è già in Europa. Più di 780 milioni di euro in forniture di componenti, oltre 18 per le sole attività di R&D: le aziende italiane e lombarde lasciano il segno su Iter, il programma trentennale per la costruzione di un reattore a fusione a Cadarache (Francia). Il lavoro di squadra attivato tra aziende e poli di ricerca si riassume nelle cifre illustrate ieri da Enea, Confindustria Lombardia e Energy Cleantech Cluster: le nostre imprese si sono aggiudicate il 26% dei 280 appalti gestiti dall'agenzia europea Fusion For Energy, con una percentuale di successo delle offerte pari al 46%. E la partita, da qui al giro di boa del 2020, non è neppure alla metà. Sul piatto ci sono altri 2,3 miliardi di euro in nuovi appalti, con un target ben definito su piccoli componenti, sistemi tecnologici e ausiliari. Per dirne alcuni: robotica, diagnostica, accensione e riscaldamento del plasma... Terreni più abbordabili per le medie imprese, rimaste in sordina in una prima metà di progetto riservata a grandi componenti, opere e civili e infrastruttura: se nella "fase 1" ben l'80% dei 2,9 miliardi investiti è confluito nelle commesse di grosse aziende, il valore medio dei contratti previsti dal 2014 in poi non va oltre i 5 milioni di euro. Proprio le aziende lombarde possono giocare da protagoniste la seconda tranche delle gare: «La Lombardia vanta un'eccellenza del settore, sia che si parli di materie prime, sia di componentistica complessa. Secondo dati statistici, la quota delle "nostre" società potrebbe arrivare al 50% del potenziale italiano», spiega al Sole 24 Ore Alberto Ribolla, nella doppia veste di presidente di Confidustria Lombardia e del Lombardy Energy Cleantech Cluster. Ma dove si genera il valore aggiunto? La concorrenza estera può essere spietata, anche all'interno dei confini Ue. «Le gare riguarderanno soprattutto società del settore impiantistico, sia meccanica che nel filone di componenti elettriche e magnetiche. Si tratta di prodotti sofisticati, con un alto tasso tecnologico. Qui sta il nostro valore». A proposito di tecnologie: si parla spesso del circolo virtuoso tra impresa e ricerca, tanto più decisivo in un settore che richiede qualifiche selezionatissime. La catena funziona, in Lombardia? «È noto che il rapporto tra i due mondi non è ancora fluido come potrebbe. Ora le imprese guardano con più attenzione alla value chain, le università fanno lo stesso con il mercato - osserva Ribolla -. L'unione fa la forza: e non è un caso che sugli aggregati, come i "cluster" della Lombardia, si indirizzino i soldi della Commissione Europea». © RIPRODUZIONE RISERVATA 780 milioni Le commesse Il valore delle forniture ottenute dalle aziende lombarde

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 27/06/2014 98 27/06/2014 Il Sole 24 Ore Pag. 39 (diffusione:334076, tiratura:405061) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato 5 | AGRICOLTURA/1 Bonus e-commerce e rendite rivalutate Gian Paolo Tosoni

Credito di imposta del 40% sugli investimenti finalizzati a commercio elettronico e sviluppo di nuovi prodotti e rivalutazione rendite fondiarie sono le misure del Dl 91/14 per l'agricoltura. Un primo credito d'imposta è introdotto dall'articolo 3 ed è riservato alle imprese che producono prodotti agricoli compresi nell'Allegato 1 del Trattato di funzionamento dell'Ue; inoltre l'agevolazione è estesa altresì alle piccole e medie imprese che producono prodotti agroalimentari non ricompresi nell'allegato. L'agevolazione consiste in un credito di imposta del 40% delle spese per nuovi investimenti sostenuti per la realizzazione e l'ampliamento di infrastrutture informatiche per potenziare il commercio elettronico. Per infrastrutture dovrebbe trattarsi sia di mezzi meccanici (computer) ma anche di programmi informatici e la realizzazione di siti internet. Il commercio elettronico è una delle modalità di vendita diretta dei prodotti agricoli che non richiede autorizzazioni amministrative: basta la comunicazione al sindaco del Comune in cui l'impresa agricola ha la sede di produzione (articolo 4-bis del Dlgs 228/2001). Il credito d'imposta va indicato nella dichiarazione dei redditi nella quale è concesso, si può usare solo in compensazione (articolo 17 del Dlgs 241/1997) e non concorre a formare né il reddito ai fini delle imposte dirette né il valore della produzione ai fini Irap. Occorre attendere un Dm delle Politiche Agricole che stabilirà le modalità di applicazione nel rispetto del limite di spesa; verosimilmente verrà organizzato un "click day". Un altro credito di imposta è stabilito, sempre al 40% delle spese sostenute, nell'ambito di reti di impresa, per sviluppo di nuovi prodotti, pratiche, processi e tecnologie e per la realizzazione di cooperative di filiera. In sostanza, si favorisce l'aggregazione di più imprese agricole per un miglioramento tecnologico delle strutture e la creazione di nuovi prodotti. Per il settore agricolo il contratto di rete aveva una portata più ampia nella bozza del precedente provvedimento che non è stato approvato, in quanto attribuiva alla rete il riconoscimento di conduzione associata e quindi i prodotti ottenuti si consideravano di proprietà dei vari soggetti che appartenevano alla rete. Entrambi i crediti d'imposta agevolano gli investimenti realizzati nel periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2014 e nei due successivi. © RIPRODUZIONE RISERVATA I riferimenti 01 | I PRODOTTI L'Allegato 1 del Tfue comprende pressoché tutti i prodotti agricoli (gli stessi presi a base per l'articolo 62 del Dl 1/12 sui termini di pagamento) 02 | IL CONTRATTO Il contratto di rete è stato introdotto dall'articolo 3 del Dl 10/09

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 27/06/2014 99 27/06/2014 ItaliaOggi Pag. 28 (diffusione:88538, tiratura:156000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

L'Istituto nazionale ha chiesto formalmente un incontro al premier Matteo Renzi / Pagina a cura di INRL Istituto nazionale revisori legali Semestre Ue nel segno del rigore La disponibilità dei revisori per una sana gestione contabile

Rigore e trasparenza contabile nel prossimo semestre italiano per la presidenza dell'Unione europea: è l'istanza che l'Istituto nazionale revisori legali intende perseguire rilanciando la centralità della fi gura professionale del revisore legale. Un segnale forte per il risanamento economico che è priorità per la maggior parte dei paesi-membri dell'Ue. Con questa alta motivazione i vertici dell'Istituto hanno chiesto formalmente un incontro con il premier Matteo Renzi, come spiega il presidente Inrl Virgilio Baresi «consapevoli della particolare congiuntura economica nella quale opererà il governo nel semestre italiano nella presidenza dell'Ue», sottolinea Baresi, «vogliamo ribadire al Presidente del consiglio la piena disponibilità dei revisori legali italiani nel contribuire con professionalità alla sana gestione contabile che deve caratterizzare il semestre italiano. Siamo pronti a fare la nostra parte, come abbiamo sempre fatto sia in ambito pubblico che in quello privato per garantire una serie politica di spending review che rappresenta una urgenza non soltanto per il nostro paese ma anche per l'Unione Europea, chiamata a dare il proprio apporto nel rilancio economico del vecchio continente. La gestione dei fondi strutturali all'insegna del rigore contabile e l'attenzione che va riposta nell'utilizzo virtuoso dei soldi dell'Ue rappresentano necessità che ogni paese membro deve valutare con il giusto peso». La piena sintonia dell'Inrl con i principali rappresentanti delle forze politiche italiane che nelle recenti elezioni si sono espressi per un forte impegno nel risanamento contabile, è la riprova di come l'Inrl abbia recepito lo spirito del legislatore europeo nella riforma della revisione contabile, invitando i più autorevoli rappresentanti dell'Ue, dal vicepresidente vicario del Parlamento europeo, Gianni Pittella al direttore della Commissione Ue per i servizi, Ugo Bassi, ai recenti convegni e forum italoeuropei che l'Inrl ha promosso, a Bruxelles e Matera, per ribadire la necessità di un pieno allineamento della legislazione italiana ai dettami fi ssati da quella europea in materia di revisione. Una convegnistica che caratterizzerà l'attività dell'Inrl anche nei prossimi mesi: accanto all'organizzazione di un importante forum italoeuropeo previsto entro la fi ne dell'anno, infatti, l'Istituto sta già provvedendo all'allestimento di altri convegni con la collaborazione di Equitalia e dell'Agenzia delle entrate. A tal proposito, come accaduto la scorsa settimana con i nuovi vertici dell'Agenzia, il presidente dell'Inrl rivolge un caloroso saluto anche al nuovo presidente di Equitalia, che, a meno di sorprese dell'ultima ora dovrebbe essere Luigi Magistro. «Sono sicuro che con i nuovi vertici di Equitalia si stabilirà quel cordiale clima di reciproca cooperazione che ha contraddistinto la passata gestione di questa società. Rinnoviamo pertanto la piena disponibilità dell'Istituto a collaborare con Equitalia su tutto il territorio italiano, grazie al profi cuo lavoro relazionale che verrò svolto dai vari consiglieri regionali e provinciali». In tale ottica i vertici dell'Inrl evidenziano che procedono le trattative per fi nalizzare anche in Lombardia la Convenzione Dre, frutto dell'accordo-quadro raggiunto nei mesi scorsi dall'Inrl con la Direzione centrale dell'Agenzia delle entrate. È poi in dirittura d'arrivo un importante accordo che l'Inrl stringerà con la Sdl, una prestigiosa società che opera a tutela e supporto di famiglie e aziende nei casi di anomalie bancarie quali anatocismo, usura su conti correnti, irregolarità fi scali, anomalie fi nanziarie legate ai derivati, swap, mutui e leasing e fronteggia le problematiche di gestione aziendale, contribuendo ad una assistenza professionale per le riorganizzazioni aziendali. «Nei prossimi giorni», ha puntualizzato Baresi, «saremo in grado di fornire ogni dettaglio tecnico-operativo di questo accordo che per l'Istituto rappresenta un ulteriore prova di impegno nell'attività professionale della revisione legale all'insegna della tutela socioeconomica del cittadino e delle imprese, volta a fronteggiare certe distorsioni nell'azione del sistema bancario che oggi più di ieri attanagliano le piccole e medie imprese e anche i singoli soggetti della nostra comunità. Attraverso questo accordo con la società Sdl daremo un tangibile contributo professionale destinato a ripristinare rapporti virtuosi tra le imprese, i singoli cittadini e il circuito bancario».

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 27/06/2014 100 27/06/2014 ItaliaOggi Pag. 28 (diffusione:88538, tiratura:156000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Foto: Virgilio Baresi Foto: Un gruppo di revisori Inrl Foto: Il Consiglio nazionale Inrl Foto: Matteo Renzi

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 27/06/2014 101 27/06/2014 ItaliaOggi Pag. 37 (diffusione:88538, tiratura:156000) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

Confindustria abbatte stime del pil, ma resta fi duciosa

Il Centro studi di Confi ndustria ha rivisto al ribasso le previsioni sull'economia italiana nel 2014 e nel 2015. Le nuove stime per la variazione del pil indicano un aumento dello 0,2% nel 2014 (+0,7% la stima di dicembre) e dell'1% nel 2015 (+1,2%). L'incremento del biennio, ha sottolineato il CsC, compensa solo in piccola parte la caduta nei due anni precedenti (-2,4% nel 2012 e -1,9% nel 2013; il recupero «sarà lento e soggetto a rischi al ribasso». Più ottimistico il quadro per le esportazioni. L'incremento passerà dal +0,1% del 2013 al +3,1% del 2014 e al +3,8% nel 2015. Le importazioni cresceranno invece del 2,1% nel 2014 e del 3,8% nel 2015. Secondo il Centro studi, «è necessaria una scossa politica-economica molto forte per riportare l'Italia su un più alto sentiero di sviluppo». Il nostro paese «cammina sul fi lo di un rasoio». Quanto agli altri parametri di fi nanza pubblica, il CsC ha stimato che nel 2014 il defi cit pubblico si attesterà al 2,9% del pil, per scendere al 2,5% nel 2015; nelle stime di dicembre era previsto un 2,7% del pil nel 2014 e un 2,4% nel 2015. Il debito pubblico salirà al 135,9% del pil nel 2014 per poi scendere al 131,5% nel 2015. Nel 2014, ha rilevato inoltre il Centro studi, «la riduzione del credito per le imprese italiane è proseguita nel primi mesi di quest'anno, ma c'è qualche segnale di attenuazione. Ad aprile i prestiti si sono ridotti dello 0,2%, dopo essere rimasti fermi a marzo. Nel complesso, lo stock di prestiti è calato del 10,8% in due anni e mezzo, per un totale di -99 mld». La scarsità di credito, ha ribadito il CsC, «ostacola l'operatività di molte aziende. Sono tante quelle che non ottengono i prestiti che chiedono: nel manifatturiero, a maggio, erano il 15,2%, percentuale più che doppia rispetto al 6,9% della prima metà del 2011. E non c'è alcuna evidenza di una sua riduzione. In gran parte dei casi è la banca a negare il credito (74% a maggio), ma molte imprese rinunciano, a fronte di un'offerta con costi troppo elevati (26%)». Ai crudi dati del CsC ha fatto da contraltare il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, il quale, da settimane, alterna dure critiche al governo ad attestati di fiducia all'operato di Renzi. «La situazione in cui versa il nostro paese è seria», ha detto Squinzi, ma «resto convinto che l'Italia ha le persone, le risorse e le potenzialità per superare le difficoltà che stiamo vivendo. L'Italia ha tutte le carte in regola per superare questo diffi cile momento e riprendere il cammino della crescita. Non tra qualche anno. Subito».

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 27/06/2014 102 27/06/2014 MF - Ed. nazionale Pag. 3 (diffusione:104189, tiratura:173386) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato PER IL CENTRO STUDI DI CONFINDUSTRIA LA CRESCITA ARRIVERÀ SOLO VERSO FINE ANNO In Italia la ripresa si allontana Il Csc taglia le stime sul pil: nel 2014 solo +0,2% contro il +0,8% previsto dal governo, nel 2015 +1% anziché +1,3%. In calo gli investimenti fissi. E le banche continuano a non fare credito alle imprese Marcello Bussi

Ancora una volta la ripresa in Italia si allontana. «È rinviata di altri mesi, verso la fine dell'anno», ha dichiarato il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi alla presentazione delle previsioni economiche del Centro Studi di via dell'Astronomia (Csc). «L'Italia non è più sull'orlo del baratro», ha detto. Ma Confindustria ha rivisto al ribasso le stime precedenti: nel 2014 il pil crescerà solo dello 0,2% invece dello 0,7% previsto lo scorso dicembre, e nel 2015 dell'1% e non dell'1,2%. Si tratta di livelli molto al di sotto del +0,8% e +1,3% previsti dal governo. L'incremento del biennio, ha sottolineato il Csc, compenserà solo in piccola parte la caduta nei due anni precedenti (-2,4% nel 2012 e -1,9% nel 2013) e il recupero «sarà lento e soggetto a rischi al ribasso». Secondo il Centro Studi «è necessaria una scossa politica-economica molto forte per riportare l'Italia su un più alto sentiero di sviluppo». L'Italia «cammina sul filo di un rasoio. Molti tasselli del mosaico del rilancio devono ancora essere incastonati al posto giusto e i rischi vanno sempre tenuti in alta considerazione». Secondo il Csc, il tasso di disoccupazione è destinato a salire al 12,6% nel 2014 dal 12,2% registrato nel 2013 per poi tornare leggermente a calare nel 2015 al 12,5%. Gli investimenti fissi lordi caleranno ancora nel 2014, sebbene a ritmi più contenuti: la contrazione prevista è dello 0,7% contro il -4,7% del 2013 e il -8% del 2012. Il rimbalzo è previsto nel 2015, con un incremento del 2%. L'unica nota positiva riguarda le esportazioni, viste in accelerazione dal +0,1% registrato nel 2013 al 3,1% nel 2014 e al 3,8% nel 2015. Ma continua la riduzione del credito alle imprese italiane: ad aprile i prestiti si sono ridotti dello 0,2%, dopo essere rimasti fermi a marzo. Nel complesso, lo stock di prestiti è diminuito del 10,8% in due anni e mezzo, per un totale di -99 miliardi di euro. Sono tante le imprese che non ottengono i prestiti che chiedono: «Nel manifatturiero a maggio erano il 15,2%, una percentuale più che doppia rispetto al 6,9% della prima metà del 2011. E non c'è alcuna evidenza di una sua riduzione. In gran parte dei casi è la banca a negare il credito (74% a maggio), ma molte imprese rinunciano a fronte di un'offerta con costi troppo elevati (26%)», ha sottolineato il Csc. (riproduzione riservata) STIME PIL ITALIA Stime 2014 Stime 2015 +0,2% +1% Secondo Confindustria 0 0,6% 0,4% 0,8% 1,0% 0,2%

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 27/06/2014 103 27/06/2014 L'Espresso - N.26 - 3 luglio 2014 Pag. 92 (diffusione:369755, tiratura:500452) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato Scienze farmaceutica / il caso nazionale L'Italia paga Big Pharma Scappa Università sorde. Burocrazia. Ritardi nell'approvare le novità. Così le aziende spostano la ricerca all'estero. E fuggono cervelli e terapie salvavita Antonino Michienzi e Daniela Minerva

Lo scorso 4 aprile era un tranquillamente concitato venerdì romano; cieli bigi poco romani, ma tant'è. Alle prime ore del mattino giornalisti di diverse testate arrivano alla spicciolata nella piccola piazzetta che si apre su via del Tritone dove ha sede Farmindustria. Si chiama Largo del Nazareno ed è un bell'angolo barocco, anche se non proprio ben conservato. Dal numero 3, dove abita l'associazione che riunisce le aziende farmaceutiche in Italia, sta per partire una gita fuori porta: a Borgo San Michele, nei pressi di Latina, tutti in pullman per andare a visitare lo stabilimento di Janssen, azienda del gruppo Johnson & Johnson guidata dal presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi. Lo stesso che oggi frma l'invito all'assemblea annuale dei suoi associati prevista il 3 luglio e intitolata "L'industria del farmaco in Italia: un'eccellenza europea". E allora ci siamo chiesti: sarà vero? Di certo sappiamo che noi italiani versiamo, a diverso titolo, nelle tasche degli industriali farmaceutici 25miliardi di euro l'anno. E sappiamo che ciclicamente le cronache ci informano della chiusura di laboratori e centri di produzione, di licenziamenti e dismissioni. Sappiamo che quella italiana è un'industria che non innova ma che propone, in varie formulazioni e con vari schemi commerciali, i farmaci che scoprono gli americani, gli inglesi, i francesi... Quindi, è lecito chiedersi: ma che razza di eccellenza è questa industria? Di quei due miliardi e mezzo, cosa torna al paese? Ovvio che ci tornano i farmaci, ma negli altri paesi ci sono gli investimenti in ricerca, medicine salvavita disponibili sin dalle prime fasi di sperimentazione, occupazione di cervelli. E in Italia? Per rispondere torniamo a quel venerdì bigio, lasciamoci Roma alle spalle diretti a sud, attraversiamo l'agro pontino, fno allo stabilimento modello della Janssen, tra i più moderni e innovativi in Italia, che produce più di cento milioni di confezioni di farmaci ogni anno. Nel 2010, la casa madre americana ha deciso di potenziarlo, triplicando la produzione e il numero di addetti e facendolo così diventare il centro mondiale per la produzione di capsule e compresse (i cosiddetti solidi) dell'intero gruppo. Oggi esporta oltre il 90 per cento di quel che produce. E racconta esattamente qual è il ruolo del nostro paese nello scacchiere internazionale: sempre più un manifatturiero d'eccellenza sempre meno impegnato a fare ricerca su nuovi farmaci. Sempre più braccio e sempre meno mente di un settore d'avanguardia. Un'India d'Occidente, buona per produrre principi attivi e pillole, fnché l'India, quella vera, e gli altri paesi emergenti non scaleranno qualche altro gradino nella scala della qualità. Noi iNScatoliamo, gli altri peNSaNo La strategia, per ora, sembra pagare. Nonostante la crisi, nonostante le 45 manovre economiche in 10 anni che hanno scaricato sulle industrie farmaceutiche il 36 per cento dei tagli alla sanità, l'industria ha retto l'urto. Proprio grazie alla capacità produttiva monstre che la piazza al secondo posto in Europa a un soffo dalla Germania. Più di 25 miliardi di euro di pillole, compresse e falette prodotte, il 70 per cento delle quali dirette all'estero. Numeri che signifcano occupazione: oltre 63 mila lavoratori attivi nel settore, per il 90 per cento diplomati e laureati e per un totale di 4 miliardi di euro in stipendi. Signifcano tasse per altri 4 miliardi di euro. Significano 2 miliardi e mezzo di investimenti. «Nonostante le diffcoltà produciamo Pil. Per 13 miliardi di euro l'anno», dice il presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi, convinto che l'Italia si possa candidare di diritto a diventare il polo farmaceutico europeo se solo si concedessero alle aziende «stabilità del sistema, riduzione della complessità, tempi di pagamento certi». Ma attenzione: di un polo produttivo stiamo parlando perché scienza e innovazione si fanno altrove. In paesi dove alle industrie è chiesto di contribuire allo sviluppo con la ricerca scientifca che è il motore del progresso. Che signifca brevetti e cervelli, non impianti di produzione che domani possono essere trasferiti ovunque. La linea è sottile e vale la pena di approfondire. Siamo quindi andati a chiedere agli economisti. Che, però, invitano a vedere il bicchiere mezzo pieno. «Questo è uno dei pochi settori ad alto valore aggiunto, ad alta produttività dei fattori e ad alto contenuto tecnologico rimasti nel portafoglio industriale del paese. In esso sono concentrati la

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 27/06/2014 104 27/06/2014 L'Espresso - N.26 - 3 luglio 2014 Pag. 92 (diffusione:369755, tiratura:500452) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

tradizione dell'industria chimica, di un'industria meccanica di qualità a supporto del manifatturiero e la capacità di fare innovazione di processo», dice Fabio Pammolli, professore di Economia e management Imt - Istituto di Alti Studi di Lucca. Insomma, torniamo all'eccellenza. Manifatturiera. Che si traduce in una progressiva marginalizzazione dell'Italia all'interno del business globale di Big Pharma. Se è vero che questa eccellenza produttiva ha consentito negli ultimi anni una poderosa crescita dell'export, è altrettanto vero che la produzione rappresenta la parte meno qualifcata del ciclo di sviluppo di un farmaco. Perché, e questo è il nodo scorsoio che stringe il paese, dei tanto sbandierati 1,2 miliardi investiti in ricerca, quanta è ricerca vera, quella che porta in ospedale nuovi salvavita per le grandi malattie? E quanta, invece, è piccola innovazione di prodotto, che trova nuove formulazioni per farmaci scoperti altrove, che trasforma le molecole per migliorane aspetti, magari importanti come la somministrabilità, ma certamente non risolutivi per battere le malattie? Soldi in fuga Sull'ambiguità del termine innovazione, infatti, si giocano molte delle pretese degli industriali farmacutico italiani. Clinici e farmacologi lo sanno: la vera innovazione teraputica è quella che aggiunge vita al malato. Le altre sono trasformazioni, magari utili, ma solo trasformazioni del prodotto. E di questa seconda materia è fatta la ricerca made in Italy, purtroppo. Non che sia tutta colpa di Big Pharma. la grande ricerca si fa dove ci sono le migliori condizioni. E l'Italia su questo fronte latita. «Qui, in un chilometro quadrato si sono localizzati laboratori di ricerca di tutte le principali imprese a livello mondiale sia delle compagnie biotech emergenti sia delle grandi industrie farmaceutiche, da Novartis a Pfzer a GSK», racconta Pammolli, che dalla fnestra del suo studio al Mit di Boston dove si trova in questi giorni, vede qual è il miele che attira le industrie che vogliano fare ricerca: «Perché qui c'è una capacità di interazione del sistema pubblico di ricerca universitaria e dei laboratori ospedalieri che fa sì che in questo posto si generino continuamente nuove idee e tecnologie». Niente a che fare col sistema italiano: burocrazia che rallenta gli studi clinici, università avvitate nelle loro beghe autoreferenziali, istituti di ricerca totalmente privati di fondi e lottizzati dalla politica: come ha tante volte raccontato "L'Espresso". Il risultato è che per la farmaceutica «l'Italia non è certo sede preferenziale di investimento in ricerca e sviluppo», come fa notare Cludio Jommi, ricercatore al Cergas dell'Università Bocconi e docente alla School of Management dell'università milanese: «Non è favorita la relazione tra industria e accademia né la cultura dello stimolo al trasferimento tecnologico dall'università all'industria. C'è un assetto regolatorio che non è favorevole né stabile». E calca la mano Federico Spandonaro, docente all'Università di Roma Tor Vergata e presidente del Consorzio per la Ricerca Economica Applicata in Sanità: «Questo non è un paese normale. Sta a un paese decidere la propria politica industriale e l'Italia in questo settore non ha mai deciso». Un disastro, insomma. Il Paese non si interessa della ricerca farmaceutica e non capisce che è un volano di sviluppo che non conosce crisi. E Big Pharma ci mette meno di un attimo a decidere di spostare la ricerca scientifca altrove, dove meglio la si riesce a fare. Così, le farmaceutiche italiane si sono accontentate di un ruolo residuale in cui ricerca e innovazione sono mosche bianche, come Chiesi farmaceutici che, in controtendenza, ha aperto un centro ricerca da 90 milioni a Parma. Mentre le multinazionali hanno delocalizzato i loro cervelloni, spegnendo uno dopo l'altra le luci dei centri italiani. O, tutt'al più cedendoli a società minori. chiudete i laboratori Negli ultimi 15 anni è stata una Spoon River: la più nota, e forse anche la più drammatica, è la storia di Nerviano, il più grande centro ricerche oncologiche d'Europa, buttato dal colosso americano Pfizer nelle mani dei frati romani dell'Idi con le note conseguenze giudiziarie, e l'apoteosi di fratel Decaminada, capo della congregazione e interlocutore vaticano degli americani, in galera. Oggi un manipolo di ricercatori continua, con pochi soldi della Regione Lombardia, a lavorare, ma non c'è dubbio che la loro sia la storia più penosa. Sempre Pfzer ha ucciso il centro Wyeth a Catania dopo l'acquisizione del 2009: nel riorganizzare la sua rete della ricerca, la numero uno del mondo non vede più strategico il sito siciliano. Nonostante siano ancora in piedi progetti di ricerca in collaborazione con il Cnr e l'Istituto superiore di Sanità e arrivino ancora soldi dal ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, il laboratorio non inventa nulla e nel 2011 passa di mano: viene ceduto a un'azienda che fno al giorno prima aveva nelle protesi ortopediche il suo core business. Il 2009 è l'annus horribilis: a Pomezia gli americani della Merck si liberano dell'Irbm dove era nato il più importante farmaco

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 27/06/2014 105 27/06/2014 L'Espresso - N.26 - 3 luglio 2014 Pag. 92 (diffusione:369755, tiratura:500452) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa pagina. Il ritaglio stampa da intendersi per uso privato

anti-Aids mai ideato, lo stesso che oggi è considerato dall'Oms terapia di prima scelta. I laboratori a oggi sopravvivono granzie a commesse esterne (molte alimentate da dollari Merck), e c'è da esserne contenti: ma la ricerca dei nuovi farmaci non si fa più qui. Va peggio a Verona, dove l'inglese GlaxoSmithKline ha impiantato da decenni uno dei centri di eccellenza per la ricerca sulle neuroscienze. Nel 2010 la ristrutturazione aziendale porta alla dismissione dei laboratori ceduti all'americana Aptuit che, dopo tre anni, sbaracca: un piano con 65 esuberi (poi ridotti a una cinquantina) su circa 400 dipendenti che non fa presagire un futuro roseo per i laboratori. «Non penso che questi centri torneranno. Noi oggi abbiamo una grande potenza che sono le 174 fabbriche», ammette Scaccabarozzi nel prendere atto del nuovo status quo. Che ci vede sempre più deflati anche nella ricerca clinica, quella in cui, dopo la messa a punto di un nuovo farmaco, se ne verifcano la sicurezza e l'effcacia sui pazienti. ci rimettono i malati Perché, attenzione: gli studi clinici non sono soltanto una medaglia al valore scientifco del paese. Ma anche un'opportunità di cura con terapie avanzate per i pazienti e uno strumento per migliorare la qualità dell'assistenza sanitaria. Nel 2008 (anno del record) l'Italia era coinvolta in ben 880 studi clinici. Nel 2012, però, il loro numero era crollato a 697, il 20 per cento in meno. E il trend non sembra essere destinato a invertirsi. «La ricerca è diventata mondiale e anche l'arruolamento dei pazienti è competitivo», si giustifica Farmindustria che sottolinea come anche in questo caso l'Italia non sia il posto ideale per operare. Per esempio, «abbiamo un'infnità di comitati etici. Così accade che in un progetto internazionale per lo studio di un farmaco, quando dall'Italia arriva l'ultimo via libera dei comitati etici, gli altri hanno già fnito l'arruolamento dei pazienti», dice Scaccabarozzi. Un dettaglio non da poco in un settore dove ogni giorno in più nei tempi per l'immissione in commercio di un farmaco signifca un giorno di copertura brevettuale in meno. Anche quel poco di ricerca clinica rimasto in Italia poi non è l'eccellenza, fa notare il farmacologo Silvio Garattini che da mezzo secolo dirige l'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri. «Non è che si facciano da noi studi fondamentali di ricerca clinica per stabilire l'effcacia di un farmaco. Si fanno cose secondarie, spesso funzionali alla promozione più che alla reale produzione dei dati sui medicinali». Perché, conclude il farmacologo, per la farmaceutica «siamo diventati sostanzialmente soltanto un buon mercato». Infografica Caterina Cuzzola Fonti: nostra elaborazione su dati Farmindustria. Farmindustria. Aifa, Rapporto Osmed 2012 Foto: FotoA3, Imagoeconomicachi fa ricerca in italia Investimento complessivo in ricerca e sviluppo 3% NO PROFIT 43% 46% ALTRE INDUSTRIE ** valore assoluto: 1.230 milioni di euro ch lavora nelle fabriche PIEMONTE 1.600 5.500 LOMBARDIA 30.000 15.800 FRIULI VG E TRENTINO AA 400 2.700 SICILIA 800 2.200 LIGURIA 400 1.000 VENETO 2.600 6.500 TOSCANA 6.500 3.900 EMILIA ROMAGNA 3.300 6.100 CAMPANIA 700 2.800 LAZIO 14.500 5.300 8% MARCHE 900 1.600 ABRUZZO 1.100 1.200 INDUSTRIA FARMACEUTICA INDOTTO quanto ci costano le medicine (in milioni di Euro) 7.566 UNIVERSITfi E ISTITUTI PUBBLICI SPESA PRIVATA PUGLIA E BASILICATA 500 2.300 18.317 INDUSTRIA FARMACEUTICA** TOTALE 25.883 quanto restituiscono le imprese (in milioni di Euro) INDUSTRIA FARMACEUTICA INDOTTO Imposte dirette, specifche e IVA Stipendi e contributi Investimenti, produzione e ricerca & sviluppo sempre meno studi clinici 560 568 SPESA PUBBLICA Laboratori e sedi produttive chiuse o dismesse Anno Sede AziendA Attività Sorte 1998 Milano Novartis produzione Ceduto a Mipharm 2004 Nerviano Pfzer centro di Ricerca Cessione alla Congregazione dei Figli dell'Immacolata, Idi 2009 Borgo San Michele (Latina) Pfzer produzione Ceduto a Haupt-Pharma 2009 Rosia (Siena) Bayer produzione Chiuso 2009 Pisticci Scalo (Matera) Pfzer produzione Ceduto a Gnosis Spa 2009 Caponago (Monza e Brianza) Astrazeneca produzione Ceduto a Corden Pharma 2010 Verona Glaxo Smith Kline centro di ricerca Ceduto a Aptuit 2010 Comazzo (Lodi) Merck Sharp & Dohme produzione Ceduto a Mediolanum Farmaceutici 2010 Sermoneta (Latina) Bristol Myers Squibb produzione Ceduto a Corden Pharma 2011 Milano Sanof Aventis centro di ricerca Chiuso 2011 Catania Pfzer centro di ricerca Ceduto a Myrmex 2013 Mussolente (Vicenza) Bayer produzione Chiuso 2014 Pavia Merck Sharp & Dohme produzione Negoziazione per una cessione che salvaguardi sito e occupazione

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l'industria È manifattura di cure pensate altrove. finché india o cina non impareranno a farlo con i giusti standard di qualità Foto: ricerca biomolecolare. in basso a destra: massimo scaccabarozzi

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