Bandello Matteo (1554-1573)
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Collana DI Facezie e novelle del Rinascimento A cura di Edoardo Mori Testi originali trascritti o trascrizioni del 1800 restaurate www.mori.bz.it MATTEO BANDELLO Novelle Nove volumi Vol. IV Testo restaurato Bolzano - 2017 Ho creato questa collana di libri per il mio interesse per la sto- ria della facezia e per riproporre il tesoro novellistico del Ri- nascimento italiano. Molte opere sono note e reperibili, altre sono note solo agli specialisti e difficilmente accessibili in te- sti non maltrattati dal tempo. Inoltre mi hanno sempre di- sturbato le edizioni ad usum Delphini, adattate a gusti bigotti, o le antologie in cui il raccoglitore offre un florilegio di ciò che piace a lui, più attento all'aspetto letterario che a quello umoristico. Un libro va sempre affrontato nella sua interezza se si vuole comprendere appieno l'autore. Perciò le opere pro- poste sono sempre complete; se non le ho trascritte, stante la difficoltà di fa comprendere ai programmi di OCR il lessico e l'ortografia di un tempo, ho sempre provveduto a restaurare il testo originario per aumentarne la leggibilità. Edoardo Mori Matteo Bandello, (1485 – 1561), frate domenicano che amava la vita cortigiana presso i potenti del suo tempo e quindi uomo di modo esperto. Scrisse 214 novelle pubblicate fra il 1554 e il 1573. Esse spesso sono basate su fatti storici o leggendari già noti al suo tempo. Ebbe molto successo anche all'estero e ispirò trame ad autori come Lope de Vega, Shakespeare e Stendhal. Sono interessanti le presentazioni xhe precedono ogni novella, ricche di indicazioni sui personaggi e sull'am- biente politico e sociale in cui vivevano. Vennero tradotte, almeno in parte, in inglese e francese entro il 1500 Ho riprodotto la pregevole edizione del 1813. NOVELLE DI MATTEO BANDELLO PARTE SECONDA TO IiVM E QUARTO MILANO *»ER GIOVATICI SI I>Y ESTRI I o I 5 LUCA GRILLI VINCENZO BUSD RÀGO M i parrebbe, magnifico sig* Buca, mancar a me stesso e alV obbligo eh’ io tengo con V, S. s‘ io non la facessi talor dei frutti delle fatiche mìe, quali elle si sìeno, partecipe , come gene rati dalle feconde radici della cortesia sua ; perche in un medesimo tempo, a me V occasione di conlinovar nella serviiù mia con quella, e a lei si torrebbe il possesso delle cose sue♦ D al- 1‘ uno e V altro de* quali errori tanto sono alie no , quanto alla S. meno si converrebbe e a. me più si disdirebbe. Per assicurarla adunque delle ragioni sue e dell* intero animo mio, ha giudicato esser le parti ^mic a non mancare che questa seconda parte delle Novelle , o vero casi occorsi , raccolti dal Bandello , per le mie stam pe data fuori, sotto il felice nome del mio sig. Buca Grilli si veda ; fi perche imparino i vir tuosi spiriii par suoi a procacciarsi col metzo dell* opere illustri V eternità del nome , come an cora per mostrar al mondo che la nobiltà dcll*a- nimo, la cortesìa, la io/ita e / ’ altre virtuose azion i sue sforzano quegli che li sono debitori a maggiormente rendersegli obbligati , ed indi a cercar tuttavia nuovo modo di soddisfargli come faccio io. prostra S. adunque con quell’ animo V accetti eh* io gliela porgo , e mi conservi nella memoria d i se stessa j, non meno eli io faccio nella servitù mia con lei $ e le bacio le mani • Di Lucca il dì primo d'Aprile JflD LlV . I L BANDELLO A I L E T T O AI» E ccovi , Lettori miei umanissimi, la se conda parte delle mie Novelle , ridotta alla meglio che ho potuto insieme » essendomi stato necessario da diversi luoghi molte d’es se Novelle raccogliere » secondo. che erano state disperse. Seguirà in breve la terza parte, che quasi per il più è insieme adu nata. Pigliatevi piacere, se tali le mie cian- ce sono, che possano piacervi. Io vi con fesso bene che a co tal fine furono da me scritte . Accettate dunque il mio buon vo lére e la sincerità dell' animo mio ; e se l’opera o il suo effetto non corrisponde al desiderio eh’ io aveva, incolpatene il mio poco sapere e la debole capacità del mio ingegno, e state sani. s IL BANDELLO AL MO.LTO ABVSSSN* SIGNORE MONS. FILIPPO SAULO, Vescovo Brucilatcnse. l i avarizia è cosi pestifero e vituperoso morbo, che ancor che t uomo si ritrovi carco di figliuoli e figliuole ed abbia pochi beni di fortuna , se- condo che viene lodalo » spendendo discretamen te ed astenendosi da molte cose che forse paio no necessarie, sempre che si conoscerà che egli sìa avaro , sarà senza dubbio da tutti i buoni biasimato e morso ; perciocché V avarìzia mai non sta bene in qual sì voglia grado nè età d* uomini o donne •• E perchè crediamo noi che g fi usurai, i ratlori, i ladroni e quei mercanti che con inganno fanno la mercanzìa, siano chia mati avari, se non perchè per la lor volontà di pigliare e ritener le cose altrui e non proveder aì bisogni necessarj , $' oppongono alla giustiziai opera giudicata di grandissimo peccato ; che que sti beni che Iddo ridona, devono da noi esser con quella misura presi e dispensati che il grado nostro richiede ; altrimenti avendovi inordinato appetito, facciamo un* opera contraria alla Ube- NOVELLA X. 9 r a lità , che è viriti, m oralissim a, tanto da *tutli g li scrittori così infedeli come cristiani celebrata. Orsi se V avarizia , che mai non può esser buo n a , a tutti sta male » che certamente sta ma lissim o , rendendo ciascuno in cui regna infame ed al pubblico odioso, penso io che non possa star peggio in nessuno, di quello cke ella sta n e i p re ti• E chi dubita, se ogni cristiano che voglia esser degno di questo nome, deve esser pieno di carità, la quale rende V uomo amore vo le , cortese, liberale, benigno, paziente e com passionevole ai bisogni del prossimo, cft* molto più non debba esser ogni persona religiosa ì Quei religiosi che vivono in comune devono più degli altri esser pieni di carità e compassione, avendo questo obbligo dalle loro instituzioni. I p reti poi cke hanno beneficj, e particolarmente atten dono alle cose loro temporali, dovriano tutti ardere di carità , ed esser i più liberali e corr tesi che si trovassero , perciocché sono quelli che meno hanno a considerare alla roba che nes sun* altra sorte d’ uomini, sapendo cke dopo la morte loro i beneficj che tengono e godono non vanno per eredità, non gli potendo lasciar a lor volontà. È nondimeno a ahi vituperio del guasto mondo ! pare che oggidì, come si vuol dire un avaro , si dica un prete. E certo chi lo dice ha gran torto ; perciocché la mala vita di tre o quattro non dovria macchiar V onesto vivere degli altri, essendoci molti in questa no- stra étà preti da bene, che santìssimamente vi vono , e liberalmente dispensano i beni loro • Io direi che tra gli altri voi siete uno di quelli , che sino dalla fanciullezza sempre siete stato ne micissimo degli avari, e che dopo che siete be neficiato vìvete splendidamente t e largamente a* poderi e virtuosi donate i ma io non vo‘ sulla faccia vostra lodarvi, tanto piu essendo la libe ralità vostra chiarissima ■. Ora tornando a questi preti avari, i quali vorrebbero per loro soli tran gugiare quanto hanno al mondo, e non darebbero un pane per amor di Dio , dico c h e , se talora vien loro fatta qualche beffa e se sono biasima t i , a me pare che lo meritano e che poca com passione si deve lor avere* Onde avendo questi di il vostro e mio anzi pur nostro I,. Scipione Stellano fatto un solenne e sontuoso banchetto alla sig* Bianca da Este e Sanseverina, ove in tervennero motti gentiluomini a gentildonne, ra gionandosi dopo il desinare di varie cose, il nostro dottor di leggi, che era uno degl* invitati* 4 m* Girolamo Archiate , e che conoscete come è piacevole, narrò una bella beffa fatta a un ava rissimo parrocchiano ; la quale, parendomi molto festevo le, io scrissi, e quella ho voluto mandar vi, acciò che dopo gli studj vostri delle civili e HOVBLIA t. rfi canoniche leggi, nelle quali siete eminentissimo ; come V opere vostre stampate fanno ferma fede , possiate , quella leggendo, gli spiriti vostri ri creare , se quella degna stimerete doversi da voi leggere j il che, la vostra mercè , mi persuado che per V amor che mi portate , voi ‘ farete . State sano. tnr p r e t e a varo è gentilmente beffato da al cuni buon compagni, che gl*involarono un grasso castrone. NOVELLA I. Io vorrei, signore mie umanissime e voi cortesi signori, che il nostro m. Andrea da Melzi non fosse stato astretto dopo il desina le a partirsi, a fine ch’egli, quello che io ora intendo di narrarvi, avesse narrato , come colui che è si bei-dicitore, e tanto, quanto nessun altro gentiluomo di Milano , pieno di bei motti , e di questa istoria che io dirò, meglio di me consapevole ; rna poi ché egli non ci è, e volete che io parli del le beffe che talora si fanno a questi preti avari, io ubbidirò con speme di soddisfarvi. Dico adunque che nella villa di Magenta, non è guari di tempo* fu un don Pietro prete, parrocchiano della villa, uomo assai attempato, e tanto avaro , che non si potria dir piu; il quale, avendo buona prebenda, ed oltra questo ogni dì guadagnando quasi il vivere delle elemosine ed offerte che per i morti si facevano, aveva sempre paura dì morir di fame , e non avrebbe invitato nè prete nè secolare a casa sua a bere un bic chier di vino ; ed egli mai non ricusando invito che fatto gli fosse, francava al man giar il suo carlino.