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Sono solo fantasmi - Il Film

Sono solo fantasmi di Christian e Brando De Sica, è una curiosa contaminazione tra horror e commedia brillante, un po’ sulla falsariga di alcuni esempi ibridi tipo Tempi duri per i vampiri (1959), dove il comico nostrano era inserito in una bizzarra parodia degli horror movies della Hammers con Christopher Lee nel ruolo di Dracula. Ma ancora di più Sono solo fantasmi guarda a Ghostbusters (1983) di Ivan Reitman, per gli effetti speciali e agli zoombie movies. Ma ancora di più è debitore, nella leggerezza e nello stile, allo splendido Fantasmi a Roma (1961), di Antonio Pietrangeli. Ma è ancora di più un omaggio di Christian De Sica alla figura del padre Vittorio; ma non passi inosservato neanche che il personaggio interpretato da Gianmarco Tognazzi si chiami Ugo.

La sequenza finale, in bianco e nero, con Christian De Sica che assume le sembianze del padre, è da pelle d’oca, mentre sulla discesa del palazzo del Giudizio Universale, saluta il pubblico nella classica posa del padre. Scopri il nuovo numero > Il Natale che verrà La trama è presto detta. E’ la storia di tre fratelli: Thomas (Christian De Sica), Carlo (Carlo Buccirosso) e Ugo (Gianmarco Tognazzi), i quali alla morte del padre, Vittorio De Paola (!!! neanche questo un caso), scoprono che lui aveva sperperato al gioco tutte le sue ricchezze. Per salvare l’antico palazzo di famiglia, scelgono quindi di sfruttare la superstizione popolare degli abitanti di Napoli per mettere in piedi una redditizia attività di acchiappafantasmi.

Molto scettici in principio, strane apparizioni e voci convincono presto i fratelli a prendere molto più sul serio l’intera faccenda, arrivando a intuire che la profezia del risveglio di una terribile strega – la janara del folklore locale – arsa viva secoli prima e pronta a scatenare la sua furia su Napoli, sia tutt’altro che da prendere sotto gamba. Saranno aiutati dal fantasma del loro padre (sempre Christian De Sica), sconfiggeranno la maledizione e salveranno la città partenopea dalla distruzione. Un film insolitamente serio: potrebbe essere definito un black-umor, che in alcuni casi addirittura sorprende, sia per l’ambientazione, sia quando il film si fa serio. Ma anche quando il film verte sul più classico lato “comedy”, sembra azzeccato, soprattutto nel connubio dell’insolito trio composto dallo stesso Christian De Sica nei suo soliti ruoli da fanfarone; da Carlo Buccirosso, il fratello trapiantato a Milano, che vive all’ombra del ricco suocero; e da Gianmarco Tognazzi, il fratello “ritrovato”, tontolotto e perennemente in bilico tra il grottesco e il tragicomico.

Per tutte queste ragioni il film è da vedere, impreziosito dallo squarcio di poesia finale, che dà davvero l’impressione che quello sullo schermo sia Vittorio, cui De Sica-figlio dà il corpo, la somiglianza, le movenze e la voce, quasi come se fossimo di fronte ad un Ghost di casa nostra. A chi ha amato e ama De Sica-padre, forse una lacrimuccia ci scapperà, riscattando magari il giudizio sul film, che, per la verità, anche avulso da questo commovente omaggio, non è affatto deprecabile. Ti è piaciuto? Hai qualche considerazione in merito? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre.

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I film italiani in sala nel Natale 2018: commedie, film d’azione e graditi ritorni

Come da tradizione, il periodo di Natale, quello che cinematograficamente va dal 15 novembre al 15 gennaio, è il periodo in cui escono in sala i film potenzialmente di maggior incasso: una vera boccata di ossigeno sia per gli esercenti che per i produttori cinematografici. Storicamente questi 60 giorni sono i più prolifici in termini di presenze a meno di qualche exploit particolare di singoli e specifici film in altri periodi dell’anno. Un Natale che sarà dominato dagli innumerevoli film hollywoodiani, citiamo su tutti “Il ritorno di Mary Poppins”, una rivisitazione dell’originale film della supertata, con Emily Blunt e Meryl Streep. Ma anche il nostro cinema ha un po’ di frecce al suo arco, con gustose commedie, film d’azione e anche alcuni graditi ritorni.

Quest’anno ad aprire la sfida natalizia ci ha pensato il redivivo , che dopo tre anni dalla sua ultima fatica (il mediocre Il professor Cenerentolo), torna in sala con un film, “Se son rose…”, che lo riporta quasi alla felice vervè di un tempo. Se son rose… è un film azzeccato, poetico e inusualmente anche un po’ amaro, un punto di nuovo inizio nella carriera pluriventennale dell’attore toscano. Non più giovane, scanzonato donnaiolo, un po’ bambino; ma cinquantenne che si trova a fare i conti con il proprio passato e in fondo anche con il proprio presente. Leonardo è un uomo di mezz’età ostinatamente single che fa il giornalista di successo sul web occupandosi di alte tecnologie e ha una figlia di 15 anni, Yolanda, lascito di un matrimonio naufragato. Yolanda è stanca di vedere il padre nutrirsi di involtini primavera surgelati e crogiolarsi nel suo infantilismo regressivo, e pensa che la chiave di volta possa essere una relazione stabile. Per metterlo di fronte ai suoi innumerevoli fallimenti in materia sentimentale Yolanda decide di mandare a tutte le ex di Leonardo un sms che dice: “Sono cambiato. Riproviamoci!”. E le sue ex rispondono, ognuna secondo la propria modalità. Come premessa comica è curiosa, e ha il potenziale per una di quelle farse alla francese cui il cinema d’oltralpe ci ha abituati negli ultimi anni; eppure Pieraccioni sceglie la strada malinconica unita alla crescita interiore di un personaggio, che forse alla fine sceglie l’amore, quello nuovo, perché tornare indietro “è soltanto una minestra riscaldata”. Tra i punti di forza del film, oltre ad una serie di belle e brave attrici (Claudia Pandolfi, Micaela Andreozzi, Gabriella Pession), la ritrovata vervè vernacolare di Pieraccioni, vero punto di forza del comico. E apre a quella vena malinconica che, in un paio di occasioni (l’incontro con la fidanzatina del liceo, il dialogo finale con l’ex moglie), lascia intravedere qualche sprazzo di autenticità autobiografica e un principio di vera autocritica. La domanda centrale della storia, ovvero “Quando e perché finiscono gli amori?”, nasconde uno strazio sincero, soprattutto nei confronti di un’unione matrimoniale terminata nonostante una figlia molto amata. Considerato che il suo nume tutelare dichiarato è Monicelli, Pieraccioni fa bene ad esplorare il lato amaro del proprio personaggio, smarcandosi dalla melassa, tipica del suo cinema. Se son rose è la riflessione di un Peter Pan sulle proprie responsabilità nei fallimenti sentimentali collezionati nel tempo, ma anche sulla fragilità strutturale di una generazione maschile autocompiaciuta e programmaticamente immatura. Con un po’ di coraggio in più Pieraccioni potrebbe uscire dalla dimensione fintamente fanciullesca ed entrare con successo in quella cinico-romantica alla Bill Murray, versione toscana. La strada è tracciata, e non solo la critica, ma anche il pubblico, dopo anni di mugugni, ha dimostrato gradire questa deriva malinconica e amara del “nuovo” e cinquantenne Pieraccioni, che piaccia o no, uno dei mostri cinematografici italiani più importanti degli ultimi trent’anni.

E in tema di ritorni, questo sembra un Natale cinematografico vecchio stile, come se si tornasse indietro di 13 anni diciamo, a quel 2005 quando la sfida cinematografica natalizia era tra Ti amo in tutte le lingue del mondo (Pieraccioni) e (ultimo film insieme della coppia De Sica- Boldi, prima della chiacchierata rottura). Già perché la notizia cinematograficamente più rilevante dell’annata venne data a metà giugno: il Corriere della Sera titolò “a dicembre tornano insieme Boldi e De Sica, dopo 13 anni di lontananza”. Un colpo ad effetto e nostalgico della Medusa del Cavalier Berlusconi, di sicuro e prevedibile successo. Il ritorno del “vero” si parlò. E invece il film “”, non è un cinepanettone, sembra più una pochade alla francese, con De Sica quasi sempre travestito da donna, che deve accudire il suo vecchio amico (Boldi) e proprietario dell’hotel di cui era direttore, e lo aiuterà a salvare il patrimonio di famiglia. Che l’intenzione di Amici come prima sia metacinematografica è esplicitamente dichiarato dall’inquadratura finale, una carrellata all’indietro che denuncia la finzione filmica, con tanto di blooper finali. E non è un caso che quei blooper documentino il rapporto di amicizia ritrovata fra e Christian De Sica che dà il titolo a questa commedia. Amici come prima porta infatti in dote il loro sodalizio ventennale e il consolidato contrasto fra la milanesità dell’uno e la romanità dell’altro. Dentro a questa storia c’è l’affetto che il pubblico ha tributato per decenni al duo, ci sono l’aspettativa per le linguacce di Boldi e le reazioni fulminee di De Sica (due o tre qui da antologia), c’è la trivialità scatologica e infantile cui ci hanno abituati decine di cinepanettoni, ci sono i botta-e-risposta dal ritmo comico ben rodato. E c’è anche una riflessione autobiografica e dolorosa sulla vecchiaia e la paura di essere rottamati. Non chiamatelo però cinepanettone. Christian De Sica, qui nelle vesti anche di regista e sceneggiatore, ci tiene infatti a precisare che il film non sarà una serie di gag giustapposte l’una all’altra, ma le risate saranno al servizio di una trama ben solida, ispirata alla lunga tradizione della commedia all’italiana. All’inizio il soggetto sarebbe dovuto essere al contrario un film drammatico ma, un po’ per le richieste della produzione, un po’ per il volere dell’attore di lavorare ancora con l’amico, il progetto è virato verso un prodotto leggero natalizio.

Il 10 gennaio, infine, prodotto dal vecchio e leggendario Fulvio Lucisano, uscirà l’attesissimo “Non ci resta che il crimine”, un mix davvero strepitoso, tra Non ci resta che piangere e Smetto quando voglio. Il titolo è un omaggio all’ironia di Non ci resta che piangere, il crimine invece fa parte del plot. Alla sua sesta prova dietro la macchina da presa, a due anni da Beata Ignoranza e quattro da Gli ultimi saranno ultimi, ritroviamo il regista romano Massimiliano Bruno, classe 1970, che negli anni ci ha abituato a commedie ridanciane con un bel graffio sull’attualità. Come da usanza, nei grandi film italiani degli ultimi anni, anche Non ci resta che il crimine, si serve di un cast corale di mattatori di altissimo livello: dal trio Marco Giallini, Alessandro Gassman e Gianmarco Tognazzi, a Edoardo Leo e Ilenia Pastorelli. “Ci siamo avvicinati modestamente a un capolavoro come Non ci resta che piangere, ma lo abbiamo ambientato negli anni 70 anziché nel Medioevo” racconta Giallini, ospite dell’Ortigia Film Festival. “Nel film ci vedrete nei panni di guide che mostrano ai turisti i luoghi dove aveva operato la Banda della Magliana, vestiti proprio come negli anni 70. Un giorno usciamo da un bar gestito da cinesi e ci ritroviamo catapultati in mezzo alla banda vera, esattamente nel 1982 (Edoardo Leo interpreterà De Pedis, ndr) in un salto temporale curioso da oggi a quegli anni lì. Ci sarà parecchio da ridere, ma anche da riflettere”. Un film, insomma, che promette risate e azione stile Smetto quando voglio, ma anche il fascino misterioso dei viaggi nel tempo in grado di attirare l’attenzione del pubblico. Un film destinato a rimanere negli annali: c’è da scommetterci!

Addio a Carlo Vanzina, il “cineasta” della moderna commedia all'italiana

Se il cinema rappresenta, come dice Edgar Morin, ‘lo spirito del tempo’, nel panorama italiano non esiste regista che quello spirito lo abbia rappresentato meglio di Carlo Vanzina.

Già, perché il cinema di Carlo Vanzina, è molto più complesso di quel che si possa pensare. Un cinema che acquista linfa e vitalità dalla quotidianità, dall’attuale, rispecchiando fedelmente la società italiana degli anni ’80 e degli anni ’90. D’altronde Carlo era figlio di Steno, genio della commedia all’italiana degli anni d’oro, quelli dei ’50 e dei ’60, ed è cresciuto imparando da Monicelli e dallo stesso padre: il gotha della commedia all’italiana. Il cinema di Carlo Vanzina, e del fratello Enrico, beninteso, splendido sceneggiatore di tanti film cult, è commedia all’italiana pura, che ha rappresentato la decadenza degli ultimi decenni del XX secolo, quelli delle televisioni commerciali, delle volgarità gratuite e scurrili, quelli della censura ormai inesistente. E analizzata da questo punto di vista, allora il cinema dei fratelli Vanzina, acquista spessore, prestigio e si erge come narratore di un pezzo storico nazionale, intrinsecamente molto più esaustivo di un trattato sociologico. I fratelli Vanzina, sono stati veri scopritori di talenti (, Jerry Calà, Christian De Sica, Massimo Boldi, Maurizio Micheli), così come i loro padri cinematografici (n.d.r. Monicelli, Comencini, Risi, Scola, Steno, Salce) avevano scoperto e portato al successo i vari Sordi, Gassman, Tognazzi, Manfredi. Certo, quella generazione era una di quelle d’oro, di quelle irripetibili, di quelle che accadono una volta ogni 1000 anni; però quella scoperta dai Vanzina, se non è d’oro, almeno è d’argento, e nel panorama comico nazionale è comunque tanta roba.

Sotto l’ala protettiva dei Vanzina, ad esempio, arrivò al successo Diego Abatantuono con Eccezzziunale…veramente e Il ras del quartiere, attore dal grande talento poliedrico, futuro protagonista dei capolavori di Salvatores. Ma il primo vero grande successo epocale dei Vanzina, è Sapore di Mare, seguito immediatamente dopo da . Siamo nel 1982, anno epocale anche per altri fatti extra-cinematografici, quando i registi Carlo ed Enrico Vanzina, rispolverarono la morente commedia all’italiana, creandone una nuova, con altri volti e altre storie. Dopo il successo commerciale del loro Sapore di mare, il produttore Aurelio De Laurentiis commissionò un’opera simile per l’anno successivo, ma ambientata stavolta in una località sciistica, da mettere in programmazione nei cinema nel periodo natalizio. I due fratelli pensarono quindi a una rilettura contemporanea di un film del 1959 interpretato da e (padre di Christian), Vacanze d’inverno, in cui il regista Camillo Mastrocinque aveva tratteggiato, sullo sfondo di Cortina d’Ampezzo, i costumi italici del tempo. Nacque così nel 1983 il primo Vacanze di Natale girato anch’esso tra la regina delle Dolomiti. Ma la pellicola più rilevante, proprio perché apre la strada a tutto il resto, è proprio Sapore di mare.

I fratelli Vanzina ebbero l’intuizione di rinfrescare una vecchia formula – la commedia balneare anni ’50 – con tocchi goliardici e dialoghi parolacciari al passo con i tempi (Calà, il vero mattatore della pellicola, entra in scena cantando “Per quest’anno, non cambiare, vengo in spiaggia per ciurlare”): e infilano una serie di episodi e di caratterizzazioni semplici, ma destinati a rimanere nelle menti del pubblico, con un’accorta e accurata “operazione nostalgia” delle atmosfere spensierate della commedia anni ’50-60, che contribuirà ad aprire il “filone nostalgico”, elemento tipico del cinema dei Vanzina. Attraverso una specie di ironico “amarcord” di quei mitici anni – dai successi di Cassius Clay sul ring, alla vittoria di Felice Gimondi al Tour de France, alle serate del “bandiera gialla” sulla riviera adriatica, alla moltitudine di canzoni anni ’60 nella colonna sonora – i fratelli Vanzina riescono nell’intento di riunificare una serie di episodi legati agli amori vacanzieri di un gruppo di personaggi fortemente caratterizzati, con una colonna sonora che riecheggia i maggiori successi commerciali del periodo, riscuotendo in questo modo un successo senza precedenti: 10 miliardi di lire di incassi nel 1982.

Girato sulle spiagge della Versilia, e più precisamente di Forte dei Marmi, il film contribuì a lanciare le stelle di Jerry Calà e di Christian De Sica verso la grande popolarità, dopo anni di dura gavetta. Il malinconico finale, immortalato dal primo piano di Jerry Calà, sulle note di “Celeste nostalgia” di Riccardo Cocciante, vale il prezzo del biglietto e simboleggia la nostalgia dei bei tempi andati e della propria gioventù. Un classico come potrebbe esserlo “Questo piccolo grande amore” di Claudio Baglioni, un riuscito mix di romanticismo a sfondo balneare, goliardia di stampo giovanilistico e furbissima colonna sonora che rimane tra i migliori film dei fratelli Vanzina.

Da allora sono seguiti altri 55 film in 35 anni di carriera, tra cui alcune perle come Io no spik english”(1995), con il grande ; o Il pranzo della domenica(2003), con Giovanna Ralli. Tra gli ultimi Caccia al tesoro(2017) e Non si ruba a casa dei ladri(2016), entrambi con Vincenzo Salemme come mattatore, l’attore più impiegato dai fratelli Vanzina nei loro ultimi lavori sul set.

Ad oggi, anche mentre Carlo era in vita e si affannava nei suoi ultimi dignitosi e divertenti lavori, i suoi film sono oggetto non solo di studio, ma di revisione e rivalutazione, così come accadde a Totò, a Franchi & Ingrassia, a Peppino De Filippo, vittime predestinate di critici sciagurati, di intellettuali di retroguardia e di falsi moralismi. In fondo, e questo è un dato che può far intuire il talento dei Vanzina, i migliori prodotti dei bistrattati “cinepanettoni”, sono proprio quelli diretti da Carlo: S.P.Q.R. 2000 e mezzo anni fa, , con la coppia storica Boldi-De Sica.

Poveri ma ricchi - il Film

Domenico Palattella (122)

La classica sfida del Natale italiano quest’anno ha un netto vincitore il quale risponde al nome di De Sica. Sì, proprio lui, ancora e sempre Christian, da 30 anni uomo e attore del Natale italico per eccellenza. “Poveri ma ricchi” è la dimostrazione, oseremmo dire finalmente, che Christian De Sica quando è utilizzato al meglio delle proprie potenzialità, è sempre il comico italiano più grande degli ultimi 20/30 anni. Non ce n’è per nessuno, ma deve avere un buon soggetto dietro di sé. E quest’anno il solido soggetto dietro, c’è tutto. Il merito di questa efficace struttura narrativa è dato dal film francese cui è tratta la pellicola italiana, ovvero “Les touche”, enorme successo in terra di Francia.

Ricorrendo agli estremi patrimoniali, Fausto Brizzi, il regista, mette in scena una commedia in cui i poveri diventano ricchi, conoscono i ricchi veri e, anche se i soldi proprio schifo non fanno, forse era meglio quando si stava peggio. L’adattamento italiano di Poveri ma ricchi mantiene il cognome dei protagonisti italianizzato in Tucci e il look del capofamiglia interpretato da Christian De Sica. Al fondo c’è la spocchia contro i provinciali della cintura romana, ma è una spocchia ben indirizzata a scopo comico e molto meno greve del solito, ed è controbilanciata da una grande tenerezza nei confronti di questi scombinati animati da buone intenzioni e da un affetto palpabile. Quel che più conta, si ride tanto, a pioggia, ritrovando l’umorismo “etnico” della commedia all’italiana e trapiantandolo in una contemporaneità di cui si raccontano i limiti più che le lusinghe. Forse perché siamo tutti un po’ diventati come i Tucci, cioè privi di benessere ma desiderosi della nostra fetta di felicità, possiamo riconoscerci in loro e allo stesso tempo sorridere della loro cafonaggine.

Più di tutto funziona la squadra di attori comici italiani finalmente serviti da una trama degna di questo nome e da dialoghi veramente spiritosi e non del tutto scollati dalla realtà: dai cognati Christian De Sica ed Enrico Brignano all’ottima Lucia Ocone e la divina Anna Mazzamauro, dal mitico Bebo Storti allo spassoso Giobbe Covatta al commovente Ubaldo Pantani, maggiordomo che rimanda all’adorabile Coleman di Una poltrona per due. Anche Poveri ma ricchi rischia di diventare un cult natalizio, ma all’italiana e in quota cinepanettone: un panettone ben lievitato e zeppo di canditi che lascia un buon sapore in bocca. Un sapore da commedia all’italiana, quasi d’altri tempi. Infatti Brizzi parla di un’Italia in cui la ricchezza si tende a nasconderla perché in generale attira sospetto, malevolenza e invidia. La denuncia sociale di quello che siamo, è questa la commedia all’italiana che ritorna, dopo anni, forse decenni di oblìo. Il motivo principale della fuga dei Tucci, che dalla provincia di Roma traslocano nella ricca Milano pensando di trovare il loro nuovo habitat, è proprio la maldicenza e l’invidia della gente. L’anonimato non dura perché chi si arricchisce di sdegno perisce. I veri ricchi guardano la cafonaggine di questi zoticoni con disgusto, anche perché secondo il regista la moda attuale di chi può permettersi la bella vita è basso profilo e salutismo.

Poveri ma ricchi omaggia i tanti Vacanze di Natale degli anni 80 e 90, di cui negli anni 2000 lo stesso Brizzi e il co-sceneggiatore Marco Martani presero in eredità scrivendone i copioni. Il film riprende quella comicità fatta di situazioni, cliché e bravi interpreti. De Sica è sempre esilarante e finalmente è un capo-famiglia con la testa sulle spalle, come lo è Brignano, ma a strappare applausi è soprattutto Lucia Ocone la cui cafoneria è davvero di lusso. Netto vincitore del Natale 2016, surclassata la concorrenza, con un prodotto meglio del solito, che Cinepanettone non è, bensì commedia all’italiana a tutti gli effetti. Proprio come ha voluto sottolineare Christian De Sica, non a torto, durante la conferenza stampa di presentazione del film.