UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN BIODIVERSITÀ ED EVOLUZIONE BIOLOGICA

ANALISI DELLA CONSISTENZA NUMERICA E DELLA DISTRIBUZIONE SPAZIALE DEI BRANCHI DI LUPO (Canis lupus) NELLA PROVINCIA DI

presso: Centro Studi “I Stabbi”, Alpe di Catenaia

Relatore: Prof. GIOVANNI VAILATI Correlatore: Prof. MARCO APOLLONIO Correlatore: Dott. ANDREA GAZZOLA Tesi di Laurea di: SARA OCCHIPINTI Matricola 702807

Anno Accademico 2007-2008

All’ombra dell’arcobaleno.

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Ringraziamenti

Ringrazio il Professor Vailati e il Professor Apollonio per la disponibilità mostrata nei miei confronti e la pazienza, oltre che per la possibilità che mi hanno offerto di avvicinarmi al mondo dei selvatici che tanto mi incuriosiva fin da bambina.

Un grazie particolare va alla Provincia di Arezzo per il sostegno e la collaborazione costante offerta durante il mio anno di tesi: Dott. Chianucci, Dott. Pedone, Dott. Mattioli,

Nicola Vignoli e Antonella Bosi.

Ringrazio tutti i cacciatori, in special modo Mirco Geri, e le guardie forestali per le preziose segnalazioni.

Ringrazio tanto Claudia Capitani, Alessia Viviani, Marco Alboni e quanti altri hanno raccolto tutti i dati sul lupo dal 1998 al 2005, senza non avrei potuto scrivere la mia tesi.

Ringrazio Alessia perché mi è stata vicina con affetto i primi periodi in cui mi sentivo un po’ sola e mi ha fatto vedere i fenomeni sotto un’altra luce, quella della sua esperienza.

Ringrazio Andrea Gazzola, il mio correlatore, che è riuscito a farmi perdere la pazienza nonostante la pietra dell’equilibrio, che mi ha insegnato che la fretta fa i gattini ciechi e che la tenacia la vince su tutte (“bisogna fare una cosa per volta, farla morto di morto bene, col tempo che ci vo’”). Inoltre, lo ringrazio per le fagiolate, la fontina a quintalate e gli ai quattro formaggi.

Ringrazio Paolo Bongi per l’aiuto che mi ha dato nella stesura dei risultati e il supporto morale.

Ringrazio Manuela Donaggio ed Elisa Bertolotto per avermi sostenuto in svariati momenti di tensione e per avermi portata al karaoke, Nadia Cappai perché ama e cura gli

“animalini”, cucina il cinghiale più buono del mondo e mi fa ridere.

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Ringrazio le mie “cipi-cipi”, Barbara e la Passi, e ricordo loro che il castoro è un animale monogamo, famiglia, lavoro e si svaga con l’hobby del trapano, che “chiudi quella porta o sei fuori” e che senza di loro non sarebbe stato lo stesso.

Ringrazio la Rappona, Elisa Rappucci, che è stata al mio fianco dall’inizio alla fine di questa avventura (DONNAVVENTURA), con cui ho condiviso gioie e dolori, mi sono fatta le peggio cadute e le peggio risate, con cui ho imparato a vivere la notte, la solitudine e a gestire i timori senza mai abbandonare l’obbiettivo.

Ringrazio il Gandelli, che nonostante tutto è stata una presenza costante e rassicurante nel mio periodo di tesi e mi ha soccorso diverse volte.

Ringrazio Rachele Bernasconi che è unica per sensibilità e dolcezza.

Ringrazio tutto il gruppo del Professor Apollonio perché è unito e costituito da persone molto in gamba che lavorano duro ma sono comunque capaci di divertirsi.

Ringrazio di cuore tutti i Professori del mio corso di laurea perché sono stati sempre molto disponibili e mi hanno fatto appassionare ai temi che trattavano.

Ringrazio i miei amici DELLUNIMI (Edu, Nau, Torte, Bru, Tilde, Claudia, Dimi, David,

Vero, Lauretta, Peter, Silva, Sara, Pepe, Salvo, Paolino, Ros…) che hanno costituito la mia vita degli ultimi sei anni e grazie ai quali sono scesa dalle nuvole ed ho cominciato a vivere per davvero, in primo luogo Milano. Siete, grazie al cielo, mille e non riesco a scrivervi tutti ma sappiate che siete per gran parte artefici di quello che sono ora.

Ringrazio le mie storiche migliori amiche, che dopo più di dieci anni sono ancora qui:

Camilla e Serena, con le quali sono giunta alle stesse conclusioni seppur a partire da esperienze completamente diverse; Cecilia Granata con la quale ho condiviso momenti forti e bellissimi; la Vero, perché con il suo esempio di forza, con sei f maiuscole, mi impedisce di non percepire la vita come bella.

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Ringrazio Luigi, che seppur presente da pochi mesi, è riuscito a pescarmi dall’apatia in cui galleggiavo noncurante e a farmi rivivere la felicità dei bimbi. Non ci credevo proprio, ora sì.

Ringrazio mia sorella, che è una delle perle presenti nella mia esistenza che risulterebbe impoverita all’osso senza di lei.

Ringrazio i miei genitori perché ci sono sempre nel bene e nel male, perché mi hanno insegnato non solo a vivere ma anche a stare al mondo e che nonostante la loro esperienza mi hanno lasciata libera di intraprendere quello che mi piaceva, sempre, anche se talvolta poteva sembrare sconveniente.

Ringrazio tutta la mia famiglia che è unita e numerosa: Zio Rino e Zia Gabriella, con i loro gatti e la loro simpatica litigiosità, Zio Filippo e zia Concetta (la mia adorata CONCEPU, senza la quale manco sta volta ce l’avrei fatta), le mie cugine Silvia e Francesca che, ormai in fase “muliebre”, comunque continuano a starmi vicine.

Ringrazio i miei nonni perché senza di loro niente di tutto questo sarebbe stato possibile.

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Riassunto

Il presente studio analizza alcuni aspetti della biologia del lupo (Canis lupus), quali la determinazione della consistenza numerica e della distribuzione spaziale della specie nella provincia di Arezzo, dal 1998 al 2007.

Tale indagine è frutto della collaborazione tra l’Università di Sassari e la Provincia di

Arezzo, che hanno avviato un progetto di ricerca volto al monitoraggio dello stato di conservazione del lupo, individuato come obiettivo prioritario dalla Direttiva CEE 92/43

“Habitat”.

Tale studio è stato condotto con metodi non invasivi quali: la percorrenza mensile, a piedi, di una rete di percorsi distribuiti uniformemente sul territorio provinciale; la rilevazione su neve di piste di impronte (snow-tracking), per valutare il numero degli individui presenti e raccogliere segni di presenza (escrementi, urine, raspate e campioni biologici) e il monitoraggio mediante la tecnica dell’ululato indotto (wolf-howling), per l’individuazione dei siti di allevamento dei cuccioli (rendez-vous sites) e per accertare l’avvenuta riproduzione nei branchi. Infine, sono state raccolte le localizzazioni degli avvistamenti di lupo e dei ritrovamenti degli esemplari morti.

Le localizzazioni di tutti i segni di presenza sono state effettuate con GPS e registrate su supporto informatico, attraverso l’utilizzo di GIS.

Dallo studio è emerso che il numero di branchi monitorati in provincia varia da 8 a 14 e che la densità media dei branchi di lupo è di 0,50,03 branchi/100 kmq.

Sebbene siano stati osservati branchi costituiti da 8 individui, la dimensione media del branco è di 4 lupi. Il numero di lupi presenti annualmente sul territorio provinciale varia da

38 a 56 individui (462,5). Nel corso del periodo d’indagine, sia il numero di branchi che il numero di lupi mostrano una tendenza positiva.

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La tecnica dell’ululato indotto ha evidenziato un successo riproduttivo annuale dei branchi che oscilla tra il 57% e l’83%.

Durante il periodo di studio sono stati rinvenuti 36 lupi morti, annualmente il numero di esemplari recuperati varia da 2 a 6.

Analizzando le cause di mortalità degli individui rinvenuti, si è osservato che il bracconaggio rappresenta il fattore più importante (39%), seguito dagli investimenti stradali (36%). Nel 25% dei casi non è stato possibile risalire alle cause di morte. Le differenti cause di mortalità non incidono diversamente su individui di sesso maschile e femminile, al contrario i giovani sono soggetti in maggior misura agli investimenti stradali, mentre gli individui adulti sono più soggetti ad episodi di bracconaggio.

L’analisi della distribuzione spaziale dei siti di allevamento dei cuccioli (rendez-vous sites) ha evidenziato una distanza media tra branchi limitrofi pari a 111651046 m. Le distanze tra i rendez-vous sites di branchi contigui non sono variate significativamente durante l’intero periodo d’indagine.

La dispersione dei siti di allevamento di ciascun branco è stata valutata misurando la superficie del minimo poligono convesso (MPC) che inscrive le localizzazioni dei rendez- vous sites. Tale superficie varia notevolmente da branco a branco ed in media è risultata pari a 1269250 mq.

Da questo quadro emerge che la provincia di Arezzo ha una grande importanza per la conservazione del lupo ed ospita una consistente popolazione vitale. Inoltre, la presenza di alcuni settori idonei disponibili permette di ipotizzare un’ulteriore crescita demografica.

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Sommario Introduzione 10

1 Biologia della Specie ...... 14 1.1 Origini ...... 14 1.2 Classificazione e Tassonomia ...... 15 1.3 Distribuzione mondiale ...... 17 1.4 Situazione italiana ...... 19 1.5 Morfologia...... 22 1.5.1 Peso e dimensioni ...... 23 1.5.2 Cranio ...... 24 1.5.3 Colorazione ...... 26 1.6 Habitat ...... 27 1.7 Socialità ...... 28 1.8 Riproduzione, svezzamento e sviluppo dei piccoli ...... 32 1.9 Territorialità ...... 35 1.10 Dispersione ...... 38 1.11 Comunicazione ...... 40 1.11.1 Marcatura odorosa ...... 40 1.11.2 Comunicazione vocale ...... 43 1.11.3 Ecologia alimentare ...... 46 2 Area di Studio ...... 50 2.1 Inquadramento geografico e morfologico ...... 50 2.2 Uso del suolo ...... 53 2.3 Popolazione umana e aree urbanizzate ...... 54 2.4 Aree destinate alla protezione della fauna ...... 55 2.5 Distribuzione e consistenza degli ungulati selvatici ...... 59 2.6 Clima ...... 63 3 Materiali e Metodi ...... 66 3.1 Transetti campione ...... 67 3.1.1 Metodologia di campionamento ...... 67 3.1.2 Archiviazione dei dati ...... 69 3.2 Rilevazione di piste su neve (snow-tracking) ...... 70 3.2.1 La tecnica ...... 70 3.2.2 Metodologie di campionamento ...... 72 3.2.3 Archiviazione dei dati ...... 73 3.3 Ululato indotto (wolf-howling) ...... 75 3.3.1 La tecnica ...... 75 3.3.2 Metodologie di campionamento ...... 77 3.3.3 Archiviazione dei dati ...... 79 3.4 Efficienza delle tecniche utilizzate ...... 80 3.5 Analisi della consistenza numerica e della distribuzione dei branchi in provincia di Arezzo dal 1998 al 2007 ...... 81 3.5.1 Numero e densità dei branchi ...... 81 3.5.2 Numero di lupi e densità media dei branchi ...... 81 3.5.3 Successo riproduttivo dei branchi ...... 82 3.5.4 Ritrovamento di lupi morti ...... 82

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3.5.5 Distribuzione annuale dei siti di allevamento dei cuccioli (rendez-vous sites) 82 3.6 Test statistici...... 83 4 Risultati ...... 86 4.1 Efficienza delle tecniche utilizzate ...... 86 4.1.1 Segni di presenza lungo serie di transetti campione ...... 86 4.1.2 Tracciatura su neve (snow-tracking) ...... 88 4.1.3 Tecnica di monitoraggio dell’ululato indotto (wolf-howling) ...... 91 4.2 Analisi della consistenza numerica e della distribuzione dei branchi in provincia di Arezzo dal 1998 al 2007 ...... 92 4.2.1 Numero e densità dei branchi ...... 92 4.2.2 Numero dei lupi e dimensione media dei branchi ...... 94 4.2.3 Successo riproduttivo dei branchi ...... 99 4.2.4 Ritrovamento lupi morti ...... 101 4.2.5 Distribuzione annuale dei siti di allevamento dei cuccioli (rendez-vous sites) 105 5 Discussione ...... 116

Bibliografia 125

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Introduzione

Il lupo (Canis lupus) rappresenta, in tutto il mondo, una specie di indiscutibile importanza naturalistica e di notevole interesse sociale. Dal punto di vista conservazionistico sono numerosi i motivi che avvalorano la scelta di concentrare su questa specie studi di ricerca e azioni di tutela.

Il lupo è definito come una “specie ombrello”, cioè una specie che, necessitando di ampi spazi per sopravvivere, può garantire la conservazione di altre forme di vita che vivono

“accolte” sotto il suo ombrello protettivo. Inoltre, questo grande carnivoro è parte della cultura e delle tradizioni di molte popolazioni. La conservazione del lupo, infatti, riveste una notevole importanza culturale ed educativa; è una delle specie selvatiche di maggior impatto emotivo sull’uomo, è fortemente presente nell’immaginario collettivo ed è stato oggetto di attenzione in letteratura e nelle arti figurative. Il lupo rappresenta quindi un simbolo, una “specie bandiera”, attorno al quale è possibile creare consenso e sensibilizzazione nell’opinione pubblica, nei confronti della tematica ambientale.

La conservazione del lupo rappresenta una priorità in molti Stati europei dove la sopravvivenza della specie è ancora minacciata (Promberger and Schröder, 1993).

In Italia, fino a metà del 1800, questo predatore era ampiamente diffuso sull’intera penisola. Intorno al 1920 si è assistito alla scomparsa della specie sull’arco alpino

(Brunetti, 1984) e negli ’40 sul territorio siciliano. Dopo la seconda Guerra Mondiale, nel periodo compreso fra gli anni ’50 e ’70, la popolazione di lupi arrivò alla soglia dell’estinzione: erano sopravvissuti solo un centinaio di lupi nelle zone più inaccessibili dell’Appennino e dell'area tirrenica (Cagnolaro et al., 1974).

Negli anni seguenti si è assistito all’aumento demografico del lupo in Italia, in particolar modo sulla catena appenninica (Boitani e Fabbri, 1983; Pandolfi, 1983; Boitani e Ciucci,

1993; Francisci e Guberti, 1993).

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Tale ripresa è in parte legata all’estrema plasticità comportamentale della specie che è riuscita a sopravvivere alle nuove condizioni ambientali. La sua elevata adattabilità è anche dovuta ad un’ecologia alimentare di tipo opportunistico e generalista. Il comportamento di dispersione è un altro elemento che ha favorito il processo di ricolonizzazione. Inoltre, a partire dagli anni ’70, il graduale abbandono da parte dell’uomo delle zone montane ed il conseguente cambiamento degli indirizzi gestionali dell’ambiente e della fauna selvatica hanno contribuito alla ripresa demografica e all’espansione dell’areale di presenza del lupo.

Fino agli anni ’70 il lupo era definito “specie nociva”, pertanto ne veniva consentita l’uccisone con qualsiasi mezzo. All’inizio degli anni ’70, il dibattito sulla conservazione della specie portò all’emanazione, nel 1971, di un Decreto Ministeriale per la sospensione della caccia al lupo per i due anni successivi, finiti i quali, un successivo D.M. del 1973 prolungava la sospensione per altri tre. Nel 1976 un nuovo Decreto Ministeriale ne promulgò la protezione integrale, mettendo al bando anche l’uso delle esche avvelenate.

Con l’approvazione della Legge 968 del 27 dicembre 1977, il lupo non venne più considerato come “specie nociva”, inoltre tale legge trasformò tutta la fauna selvatica da

“res nullius” a “res communitatis”, cioè “patrimonio indisponibile dello Stato”.

L’art. 2 della Legge 157 del 1992 colloca il lupo tra le specie sottoposte a particolare tutela. Tale protezione è ribadita nella Convenzione di Berna (19 settembre 1979, approvata in Italia con L. 503 del 1981); nella Direttiva Habitat (92/43/CEE, ratificata dall’Italia nel 1997 con D.P.R. 357); nella convenzione di Washington (c.d. CITES, 1973, recepita dall’Italia nel 1975 con L. 874, e poi con L. 150 nel 1992. Regolamento della CEE n. 338/97)

Attualmente il lupo è incluso nella Lista Rossa delle specie minacciate dell’Unione

Internazionale per la Conservazione della Natura e delle Risorse Naturali (I.U.C.N.) come specie vulnerabile. 11

Nonostante il lupo sia una specie protetta, la mortalità provocata dall’uomo risulta piuttosto elevata e rappresenta in Italia il fattore principale che regola la consistenza delle popolazioni locali (Ciucci e Boitani, 1998).

La predazione sul bestiame domestico crea posizioni di forte opposizione da parte del mondo rurale, mentre il mondo venatorio vede nel lupo un pericoloso competitore.

La causa principale che provoca continui episodi di persecuzione nei confronti della specie

è sicuramente rappresentata dal conflitto che si viene a creare fra questo predatore e l’attività zootecnica. Infatti, dall’analisi della distribuzione degli esemplari ritrovati uccisi negli ultimi venti anni su tutto il territorio nazionale, Duprè (1996) ha riscontrato che la maggior parte delle uccisioni di lupo è avvenuta nei luoghi in cui è più elevata la densità di ovini.

Oggigiorno il lupo rappresenta una delle priorità conservazionistiche e gestionali del nostro

Paese. È necessario quindi avere una corretta visione del fenomeno affinché si trovino soluzioni tali da ridurre le forti tensioni esistenti e quindi raggiungere una possibile convivenza tra lupo e attività umane.

Una percezione del fenomeno può avvenire solo grazie ad un costante monitoraggio delle aree. In tale contesto si inserisce l’attività del Centro Studi Casa Stabbi, che è il frutto di un impegno “antico” della Provincia di Arezzo nel settore della tutela e corretta gestione della fauna. La Provincia di Arezzo ha ricoperto un ruolo importante nel processo di conservazione del lupo e dal 1998, con due anni di anticipo rispetto alla L.R. 56/2000, la quale prevede il monitoraggio obbligatorio delle specie di interesse prioritario da parte delle Province competenti per territorio, ha avviato una serie di indagini, in collaborazione con dipartimenti universitari, con lo scopo di studiare la consistenza, la dinamica e la struttura di popolazione del lupo nelle oasi di protezione della Provincia.

Il monitoraggio (definito come la misurazione ripetuta di una variabile nel tempo, dove le variabili d’interesse sono rappresentate dai parametri critici relativi alla presenza e/o allo 12

status della specie nell’area di studio) del lupo è stato possibile grazie all’applicazione di tecniche di ricerca non invasive quali: i percorsi per la ricerca di segni di presenza, l’ululato indotto (wolf-howling), la rilevazione di piste su neve (snow-tracking), le analisi genetiche su campioni biologici.

La presente ricerca ha come obiettivo quello di fornire lo stato delle conoscenze sulla presenza del lupo nella provincia di Arezzo dal 1998 ad oggi, valutando la presenza e la consistenza numerica della specie nelle differenti aree del comprensorio provinciale, il successo riproduttivo dei branchi censiti, le cause di mortalità degli esemplari ritrovati morti e le relazioni spaziali dei branchi monitorati.

I risultati ottenuti hanno consentito di delineare un quadro molto interessante che ha confermato la grande importanza della provincia di Arezzo per il mantenimento di una popolazione vitale di lupo.

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1 Biologia della Specie

1.1 Origini Matthew (1930) ha ipotizzato l’esistenza nel Terziario di un antenato comune per il lupo e le sue specie preda (ungulati). Probabilmente entrambi si sono evoluti da un animale con dieta generalista, caratterizzato da un alto grado di intelligenza e dalla capacità di percorrere lunghe distanze con una corsa rapida. Successivamente si sono separate le due grandi linee evolutive riferite a mammiferi a dieta carnivora e mammiferi a dieta erbivora.

Le prime testimonianze della presenza del gruppo dei carnivori si hanno in Nord America circa 60 milioni di anni fa, con i Creodonti. Lo sviluppo di dentatura specializzata nel tranciare carne (denti carnassiali) risale a 55 milioni di anni fa. Nel corso dei successivi milioni di anni si evolse una grande quantità e varietà di carnivori, tra questi Miacis, appartenente alla famiglia dei Miacidae, che aveva una morfologia simile agli attuali membri dell’ordine dei carnivori.

La linea evolutiva degli Ursidi e dei Canidi si è separata tra i 30 e i 40 milioni di anni fa.

L’antenato dei Canidi, Cynodictis, presentava lo stesso numero di denti del lupo, successivamente con Cynodesmus e Tomarctus, si affermarono le caratteristiche del lupo attuale: arti più lunghi, zampa compatta e allungata, dito interno vestigiale nella zampa posteriore e dito ridotto nella zampa anteriore. Cynodesmus aveva aspetto e proporzioni tra quelle di un lupo e quelle di una volpe, con Tomarctus, evolutosi a posteriori (15 milioni di anni fa), si affermarono le caratteristiche del lupo, la mole dell’animale era aumentata rispetto a quella della volpe.

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1.2 Classificazione e Tassonomia

Classe: Mammiferi

Sottoclasse: Placentati

Ordine: Carnivori

Famiglia: Canidi

Genere: Canis

Specie: Canis lupus Linnaeus, 1758

Figura 1.1 Lupo appenninico (foto Graziano Capaccioli).

Il lupo (Canis lupus L., 1758) appartiene all’ordine dei Carnivori, famiglia dei Canidi, genere Canis (Figura 1.1). Appartengono all’ordine dei Carnivori gli animali che si sono adattati in modo più o meno specifico ad una dieta ricca di proteine animali. I carnivori hanno una dentatura specializzata con lunghi canini e denti carnassiali trancianti, un sistema digerente semplice e gli artigli solitamente affilati.

E’ considerato uno dei gruppi che presenta uno dei più alti gradi d’intelligenza e capacità associative elevate (Matthew, 1930).

I caratteri morfologici principali che distinguono la famiglia dei Canidi dalle altre famiglie dell’ordine sono: la fila dentale più lunga della metà della lunghezza condilo basale del cranio, il numero elevato di denti (42), le lunghe code, gli arti digitigradi e le quattro dita nell’arto posteriore (Toschi, 1965) .

Il genere Canis, oltre al lupo, include altre 6 specie selvatiche viventi, tra cui il coyote (C. latrans Say, 1832), lo sciacallo dorato (C. aureus L., 1758), lo sciacallo della gualdrappa

(C. mesomelas Schreber, 1755), lo sciacallo striato (C. adustus Sundeval, 1847), lo sciacallo del Siemen o lupo abissino (C. siemensis Ruppel, 1869) e il lupo rosso degli Stati

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Uniti sud-orientali (C. rufus Bailey, 1905), sebbene la classificazione a livello di specie di quest’ultima forma sia stata più volte messa in discussione. Il lupo è anche riconosciuto come progenitore selvatico del cane domestico (C. familiaris L., 1758); fino a pochi anni fa, il cane domestico era classificato come specie, ma, alla luce dei risultati attuali, si considera una sottospecie domesticata di lupo (C.l. familiaris) (Wilson e Reeder, 1993).

Data la vastità geografica dell’areale di distribuzione originario del lupo, non deve sorprendere la variabilità fenotipica del lupo (colorazione del pelo, peso, dimensioni) che si riscontra tra i lupi che vivono in zone geograficamente ed ecologicamente differenti. Di fatto, tale variabilità ha reso complessa e controversa la sistematica del lupo, soprattutto a livello sottospecifico.

Furono riconosciute inizialmente circa 24 sottospecie di Canis lupus nel continente nord americano e 8 in quello eurasiatico, sulla base di caratteristiche morfologiche, soprattutto del cranio, e della distribuzione geografica (Mech, 1970). Negli ultimi anni, i risultati delle ricerche sulla genetica molecolare e sulla morfometria, hanno consentito una revisione della tassonomia. Novak (1983 e 1995) riconosce al massimo 5 sottospecie in Nord

America e non più di 6 nel continente eurasiatico. L’autore identifica le seguenti sottospecie eurasiatiche: C.l. albus, nelle terre artiche, C.l. communis, nella tundra siberiana, C.l. lupus, nell’Europa e nell’Asia centrale, C.l. cubanensis, nella regione caucasica, C.l. pallipes, dell’Asia sud occidentale, C.l. arabs, nella penisola arabica.

Ad inizio secolo, era stata descritta la sottospecie Canis lupus italicus, sulla base di alcune caratteristiche che lo differenziavano dalle altre sottospecie europee (Altobello, 1921): la colorazione del mantello, la dentatura meno tranciante e la taglia più piccola. Tuttavia la legittimità di tale assegnazione è stata in seguito dibattuta sulla base sia delle metodologie utilizzate dall’autore, considerate essenzialmente descrittive ed inadeguate alla luce degli attuali criteri tassonomici, sia del ridotto numero di esemplari analizzati (Boitani, 1981;

Boitani e Fabbri, 1983; Ciucci e Boitani, 1998). Attualmente la validità della specie 16

italicus non viene generalmente riconosciuta. A supporto di ciò, analisi su DNA mitocondriale di lupi appartenenti a popolazioni eurasiatiche, compresa quella italiana, non consentono di giustificare l’esistenza della sottospecie italicus (Randi et al., 2000).

1.3 Distribuzione mondiale Secondo solo al leone (Panthera leo) del Pleistocene, il lupo rappresenta il carnivoro terrestre selvatico che ha raggiunto, per lo meno in tempi storici, la distribuzione geografica più estesa (Novak, 1983). L’areale pregresso della specie, infatti, si estendeva dal 20N al 80N parallelo di latitudine, comprendendo l’intero continente nordamericano,

Messico incluso, e il continente eurasiatico con il Giappone. Tale distribuzione è definita

“oloartica circumpolare” (Figura 1.2).

In epoca recente la distribuzione del lupo si è drasticamente ridotta a causa della persecuzione persistente dell’uomo. In Europa, alla fine del XVIII secolo, la specie era presente ancora in tutti i Paesi fuorché Gran Bretagna e Irlanda. Durante il XIX secolo e in particolare negli anni che seguirono il secondo conflitto mondiale, la persecuzione della specie fu così intensa che il lupo si estinse in tutti i Paesi dell’Europa settentrionale e centrale. Sebbene in alcune zone dell’areale di distribuzione il lupo continui a subire gli effetti di una continua persecuzione antropica, in Nord America e in Europa, negli ultimi venti anni, si è assistito ad una lenta ripresa della specie; si sono registrati, infatti, tentativi di espansione e ricolonizzazione spontanea dell’areale pregresso tutt’ora in atto (Carbyn et al.,1995).

Attualmente le aree continentali di distribuzione che ospitano il maggior numero di lupi sono quelle settentrionali. Si osserva una progressiva riduzione e frazionamento scendendo nelle fasce temperate.

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In Nord America (Canada e Alaska), il lupo ha una distribuzione praticamente continua.

Negli USA settentrionali, il lupo è attualmente presente in alcune località grazie ad un processo di ricolonizzazione spontanea (Wisconsin, Minnesota, Montana, Wyoming,

Michigan, Stato di Washington) e in seguito a reintroduzioni (Parco Nazionale di

Yellowstone e Idaho). E’ completamente assente nel resto degli Stati Uniti.

Attualmente il lupo è presente, con popolazioni più o meno ridotte, in Portogallo, Spagna,

Francia, Italia, Grecia, Paesi della ex Jugoslavia e Paesi Scandinavi, con una distribuzione continua, invece, nell’Europa orientale. Nella Penisola Iberica vive la principale popolazione di lupo dell’Europa occidentale (Ciucci & Boitani, 1998). In Germania si registrano presenze di tipo erratico che stanno diventando stanziali al confine con la

Polonia.

Inizialmente, in Francia, il lupo si è stanziato nel Parco del Mercantour intorno agli anni novanta e analisi di genetica hanno confermato che si è trattato di una ricolonizzazione ad opera di esemplari della popolazione italiana (Taberlet et al., 1996; Scandura et al., 2001).

Attualmente sono presenti 11 aree in cui è confermata la presenza di un branco o di individui indipendenti da almeno due anni consecutivi; la distribuzione di lupi in Francia include ampiamente l’arco alpino francese al confine con il territorio Italiano (A.A.V.V.,

2001). In Svizzera, la popolazione di lupi è limitata a presenze occasionali e non è mai stata confermata la presenza di un branco stabile (Weber, 2004). Per quanto riguarda la gestione della specie, il lupo è considerato come specie protetta (convenzione di Berna

1979) ma sia la Francia che la Svizzera si sono dotate di piani di gestione che prevedono la possibilità di abbattimento di individui particolarmente problematici. In Francia, per l’anno

2004, è stato previsto l’abbattimento di 4 lupi (Plan d’action sur le loup 2004). In Svizzera nel biennio 2000-2001 sono stati abbattuti 3 lupi (Weber, 2004).

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Fonte: Ciucci e Boitani 1998.

Figura 1.2 Areale originario (chiaro) e attuale (scuro) del lupo nel mondo.

1.4 Situazione italiana Ampiamente diffuso sull’intera penisola fino alla metà del secolo scorso, il lupo venne sterminato sulle alpi negli anni ’20 (Brunetti, 1984) e in Sicilia negli anni ’40, mentre in

Sardegna non è mai stato presente (Cagnolaro et al., 1974).

La distribuzione della specie, che appariva continua lungo la catena appenninica fino agli anni ’50, subì un’ulteriore drastica riduzione durante il ventennio che seguì il secondo conflitto mondiale (Cagnolaro et al., 1974).

A partire dagli anni ’70 si assiste, al contrario, ad una graduale espansione dell’area di presenza osservatasi fino a quel momento, soprattutto lungo la catena appenninica (Boitani

& Fabbri, 1983; Pandolfi, 1983; Boscagli, 1985a; Boitani & Ciucci, 1993; Francisci &

Guberti, 1993).

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Attualmente il lupo è distribuito lungo l’intera catena appenninica, dall’Aspromonte fino alle Alpi Marittime, con ramificazioni nelle zone collinari tirreniche di bassa quota tra il

Lazio settentrionale e la Toscana centro-meridionale. Nella Figura 1.3 a) e b) sono riportate le distribuzioni della specie in Italia nel 1974 (Cagnolaro et al., 1974) e nel 2001

(Scandura et al., 2001).

L’espansione della popolazione appenninica ha permesso il ritorno del lupo sull’arco alpino. Il primo avvistamento confermato sulle Alpi è del 1987 nell’area del Col di Tenda

(nei pressi di Fontan); negli anni successivi la presenza si è consolidata sia in Francia che in Italia. Sul versante italiano le prime segnalazioni della specie sono riconducibili all’area della Valle Pesio e della Valle Stura, in provincia di Cuneo, nei primi anni ’90. In provincia di Torino ed in Valle Po, le prime segnalazioni risalgono al 1994 ma la presenza stabile di un branco di lupi è stata accertata nel 1997, documentata dalla riproduzione di una coppia all’interno del Parco Naturale del Gran Bosco di Salbertrand (A.A.V.V., 2001).

a) b)

Figura 1.3 Distribuzione della specie nel 1974 a) e nel 2001 b).

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Le analisi genetiche condotte su 604 campioni fecali e 6 tessuti raccolti su tutto il territorio regionale attestano che i lupi campionati in Piemonte appartengono alla popolazione italiana di lupo (A.A.V.V., 2001). Il totale della popolazione di lupi insediata sulle Alpi occidentali è oggi stimato in circa 40-50 esemplari, con circa una decina di unità riproduttive. Di queste unità almeno 3-4 (forse 5) sono insediate sul versante italiano, dalla valle Pesio fino al Parco del Gran Paradiso (A.A.V.V., 2001). In provincia del Verbano-

Cusio-Ossola, le analisi genetiche, condotte su alcuni campioni di escrementi raccolti tra

Novembre 2002 e Luglio 2003, hanno dimostrato la presenza di due individui distinti di lupo. Uno di questi individui risulta provenire da un branco dell’area cuneese (A.A.V.V.,

2003). Nell’ arco alpino orientale non si hanno segnalazioni sicure di avvistamenti di lupi in territorio italiano, anche se è possibile, alla luce delle tendenze demografiche attuali, una colonizzazione in un prossimo futuro (Ciucci e Boitani, 1998). La tendenza demografica positiva del lupo in Italia è la conseguenza di più fattori: da una parte, l’estrema plasticità del lupo che è riuscito, nonostante la pressione umana, a sopravvivere e ad adattarsi alle nuove condizioni ambientali, dall’altra, il graduale abbandono da parte dell’uomo delle zone montane ed il conseguente cambiamento della linea di gestione dell’ambiente e della fauna selvatica, avvenuto dopo gli anni ’70. L’attuazione di una serie di programmi rivolti alla tutela ambientale, come l’istituzione delle aree protette, la reintroduzione ed il popolamento di ungulati selvatici, hanno consentito al lupo di riappropriarsi, almeno in parte, del proprio ambiente naturale. La definizione della legislazione specifica, finalizzata alla conservazione della specie, ha le sue origini nel 1971, quando fu approvato un D.M., a validità biennale, che prevedeva il divieto dell’esercizio venatorio a carico del lupo su tutto il territorio italiano. Tale decreto è stato poi rinnovato nel 1973 con un D.M. a validità triennale. Nel 1976, un nuovo D.M. accorda la protezione totale e vieta l’utilizzo di bocconi avvelenati. La legge nazionale 968/77 e la successiva 157/92 hanno

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definitivamente dichiarato il lupo specie pienamente e particolarmente protetta, condizione ribadita ultimamente dal D.P.R. 357/97 (attuazione della direttiva 92/43/ CEE).

Pur essendo evidente la tendenza positiva della specie in Italia e pur essendo definito lo status legale della specie, purtroppo si riscontra una continua persecuzione antropica a livello locale, retaggio di tradizioni e convinzioni errate delle popolazioni rurali.

Nonostante vi siano leggi regionali che prevedono l’indennizzo totale o parziale dei danni provocati dal lupo al patrimonio zootecnico, le uccisioni illegali continuano ad essere alcune delle maggiori cause di mortalità del lupo.

1.5 Morfologia

Figura 1.4 Lupo appenninico.

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1.5.1 Peso e dimensioni Il lupo è uno dei membri di maggiori dimensioni della famiglia dei canidi.

Il peso di un individuo adulto varia secondo un gradiente latitudinale all’interno dell’areale di distribuzione (regola di Bergman): i lupi che vivono in regioni settentrionali (Canada,

Siberia) hanno una mole maggiore (60-80 Kg), rispetto a quelli di latitudini inferiori. In

Italia, per esempio, il peso di un maschio adulto raggiunge in media i 25-35 Kg e non si sono mai registrati casi superiori ai 45 Kg.

La femmina è inferiore (circa del 20%) rispetto al peso ed alla taglia del maschio.

In generale, considerando entrambi i sessi, un individuo in media è lungo 110-148 cm, dalla testa alla base della coda, la quale misura 30-35 cm (meno di un terzo della lunghezza del corpo), l’altezza al garrese varia tra i 50-70 cm (Ciucci & Boitani, 1998).

La corporatura è slanciata ma robusta: gli arti sono più lunghi rispetto a quelli degli altri

Canidi (Hildebrand, 1952), il torace è possente, i fianchi stretti, la testa ampia, il muso ampio ed appuntito, il collo corto e robusto. Gli arti anteriori sembrano compressi nel torace, hanno il gomito ruotato all’interno e le zampe all’esterno, ciò permette sia alla zampa anteriore che a quella posteriore dello stesso lato di muoversi lungo la stessa linea.

Nell’insieme, questa conformazione consente un’andatura al trotto e, in generale, permette l’acquisizione di movimenti agili e veloci. La postura del lupo è digitigrada, con cinque dita negli arti anteriori, di cui uno non tocca terra, e quattro negli arti posteriori. Ogni dito ha un polpastrello calloso e un’unghia robusta non retrattile e posteriormente è presente un grosso cuscinetto plantare a forma lobata (Figura 1.5).

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Figura 1.5 Zampa di lupo.

1.5.2 Cranio La testa è ampia, con muso allungato terminante in un callo nasale nudo, occhi frontali e pupilla rotonda. Le orecchie sono a forma triangolare, a base larga e misurano circa 10-11 cm. Il cranio è largo e massiccio caratterizzato da un lungo rostro, dalla scatola cranica fortemente ossificata con ampie e robuste arcate zigomatiche e cresta sagittale particolarmente sviluppata, in cui si inserisce la muscolatura dei massenteri e dei temporali, particolarmente robusta. L’angolo orbitale (angolo acuto formato dalla intersezione tra la retta tangente la sommità del cranio e quella tangente l’arcata zigomatica) è un parametro di distinzione tra cranio del lupo e del cane (Figura 1.6).

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Figura 1.6 Cranio di lupo a) e di cane b).

Nella maggioranza delle razze canine, l’angolo misura tra i 53° e i 60°, ad eccezione delle razze più primitive (es. pastore tedesco) che possiedono un angolo orbitale di 50°-52°. Nel lupo, l’angolo misura dai 40° ai 45° conferendo al cranio un aspetto più schiacciato e affusolato (Iljin, 1941).

La bulla timpanica è larga, convessa e sferica, a differenza di quella del cane che appare più atrofizzata, piccola e compressa. La formula dentaria per un individuo adulto è I 3/3, C

1/1, P 4/4 e M 2/3, per un totale di 42 denti, la dentizione definitiva rimpiazza quella da latte tra la 16a e la 26a settimana. I denti ferini (P4 e M1) sono particolarmente taglienti e consentono la lacerazione di tendini e grossi pezzi di carne. La combinazione di un cranio massiccio, muscoli potenti e dentizione forte sono prerogative fondamentali per un predatore, come il lupo, che si nutre di prede di grandi dimensioni (Figura 1.7).

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Figura 1.7 Dentizione di un esemplare di lupo.

1.5.3 Colorazione All’interno dell’areale di distribuzione della specie, la colorazione del mantello è estremamente variabile. La colorazione del mantello varia non solo tra le diverse popolazioni ma anche all’interno delle stesse. Le tonalità predominanti sono il grigio- fulvo, il nero, il bianco, il color crema, il marrone e l’argento.

Alcune colorazioni sono esclusive di determinate aree geografiche, con fasi monocromatiche bianche e nere più frequenti alle latitudini più elevate. In Italia la colorazione tipica è grigio-fulva, con tonalità tendenti al marrone-rossiccio nel periodo estivo. Sono comunque presenti anche i lupi neri (Figura 1.8).

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Figura 1.8 Lupo con mantello nero fotografato nell’area delle Foreste Casentinesi (foto Graziano Tortelli).

In Italia e in generale nelle regioni dell’Europa meridionale, il lupo presenta evidenti bandeggi scuri, tendenti al nero, nella regione dorsale, sulla punta della coda, delle orecchie e lungo gli arti anteriori. La regione ventrale e addominale è più chiara, tendente al color crema. E’ caratteristica la mascherina facciale bianca.

Le caratteristiche e l’aspetto del mantello (lunghezza, spessore e lucentezza) possono dipendere dallo stato di nutrizione e di salute dell’animale ma anche dalle condizioni di muta. Il ricambio del pelo si verifica una volta l’anno, con caduta in primavera e ricrescita del pelo invernale in autunno. Il mantello invernale appare più folto ed è caratterizzato da una maggiore percentuale di “borra”, che consente l’isolamento termico e di “giarra”, che copre quasi interamente la “borra” sottostante. Tale composizione consente al lupo di sopportare le rigide temperature invernali, anche quelle delle regioni più settentrionali.

1.6 Habitat Il lupo non ricerca habitat particolari come si può intuire dall’ampiezza geografica dell’areale di distribuzione originario della specie: al suo interno, infatti, sono rappresentati la maggior parte degli habitat presenti nell’emisfero settentrionale (Mech, 1970; Carbyn,

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1987). I maggiori fattori che limitano la sua distribuzione sono le persecuzioni dirette ed indirette da parte dell’uomo, la disponibilità di prede, la distribuzione e la frammentazione degli habitat naturali (Fuller, 1995).

In Italia, la specie è stata storicamente riscontrata in differenti tipi di habitat: dall’altezza del mare alle più alte catene montuose (Cagnolaro et al., 1974). Attualmente si riscontra ancora tale tendenza, benché in misura più ristretta (Ciucci e Boitani, 1998). Inoltre la recente espansione lungo l’arco alpino ha incluso, nell’areale della specie, habitat presenti ad altitudini maggiori rispetto a quelle appenniniche.

Sebbene, in Italia, la specie sia presente in una grande varietà di habitat, le zone montane, ricche di foreste, relativamente intatte e immuni da interferenze umane, rappresentano i capisaldi della distribuzione della specie nel territorio nazionale (Zimen e Boitani, 1975).

Sono proprio queste stesse zone, attraverso l’interazione di una serie di fattori ambientali ed ecologici (Apollonio, 1996), che svolgono un ruolo critico nel facilitare ulteriori processi di espansione dell’areale della specie e nel favorire la stabilizzazione del lupo in aree nuove (Ciucci e Boitani, 1998; Corsi et al., 1999).

Tali ambienti vengono quindi definiti habitat ottimali e sono caratterizzati da uno scarso impatto antropico.

Le uccisioni dirette, la distruzione e l’alterazione dell’habitat, la scarsità di specie preda e la scarsità di spazi disponibili sono alcuni dei fattori, conseguenti ad elevata interferenza antropica, che possono rendere l’habitat inospitale o determinare tassi di mortalità insostenibili per le popolazioni di lupo locali.

1.7 Socialità L’ organizzazione sociale del lupo si basa sul branco: un gruppo di individui che si spostano, cacciano, si nutrono e si riposano assieme, in una libera associazione ma uniti,

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l’uno con l’altro, da vincoli sociali (Mech, 1970). Il branco corrisponde essenzialmente ad un’unità familiare che prende origine quando due individui di sesso opposto si incontrano su un territorio idoneo e si riproducono (Rothman e Mech, 1979; Fritts e Mech, 1981) e la sua coesione viene assicurata dai legami sociali esistenti tra i componenti del gruppo.

La tendenza all’aggregazione è stata interpretata, nel lupo ed in altri carnivori sociali, come adattamento specifico al ruolo di predatori di grandi mammiferi (Bekoff e Well, 1980;

Zimen, 1976), anche se esistono testimonianze di predazioni su grossi ungulati da parte di animali solitari (Cowan, 1974; Thurber e Peterson, 1993).

Secondo Mech (1970) esistono quattro fattori principali che influenzano la dimensione del gruppo: (1) il numero minimo di lupi richiesto per localizzare e uccidere la preda, (2) il numero massimo di lupi che la preda cacciata può sfamare, (3) il numero di altri membri del branco con cui ogni individuo può stabilire legami sociali, (4) il grado di competizione sociale che ogni individuo può sopportare.

Schmidt e Mech (1997) successivamente hanno proposto l’ipotesi della kin selection, per interpretare la tendenza dei lupi a vivere nel branco: gli adulti investono sui figli attraverso la condivisione del cibo in surplus e attraverso l’insegnamento, in modo da massimizzare l’efficienza energetica nell’ereditarietà genetica. Questi autori basano la loro ipotesi su tre considerazioni: (1) solitamente un branco è composto dalla coppia parentale con i figli del

1°-3° anno (Murie, 1944; Mech, 1970, Mech et al., 1998), (2) due individui dimostrano maggior efficienza di caccia anche su grandi mammiferi, (3) i membri della coppia acquisiscono più cibo per lupo rispetto ad un branco di 3-4 individui.

La disponibilità delle prede è un ulteriore fattore che interviene nella regolazione del branco: influenza direttamente il tasso di sopravvivenza e di produttività e indirettamente l’intensità della competizione tra i membri del gruppo (Zimen, 1976).

La dimensione del branco è in funzione della mortalità, della produttività e dell’età media in cui gli individui entrano in dispersione. 29

Centinaia di osservazioni in natura in aree diverse hanno confermato la struttura sociale del lupo: dei 5000 lupi segnalati in Alaska, circa il 91% era in compagnia di almeno un altro lupo, in Minnesota, l’ 85% degli avvistamenti riguardava gruppi di due o tre animali, in

Finlandia e in Lapponia, il 72% e l’86% rispettivamente dei 311 e dei 984 lupi erano avvistati non da soli.

La composizione media di ciascun branco è di circa 7 individui (Mech, 1970) e può variare dai 2 ai 21 individui, anche se gruppi composti da più di 13 esemplari sono rari (Zimen,

1976). Sono riportati, comunque, casi eccezionali come quello di un branco segnalato in

Alaska che era composto da 36 individui (Rausch, 1967), mentre gruppi di 20-22 lupi erano presenti sull’ Isle Royale nel Lago Superiore (Jordan et al., 1967). Si tratta ad ogni modo di eventi eccezionali, lo stesso Rausch (1967) riporta che il 28% di 1357 avvistamenti erano branchi con al massimo 7 individui. In Italia, secondo le stime disponibili, le dimensioni dei gruppi variano tra i 2 e i 9 individui (Apollonio e Mattioli,

2006; Gazzola et al., 2007).

I legami sociali sono fondamentali per la coesione del branco e si verificano durante il corteggiamento e l’accoppiamento della coppia dominante, durante l’allevamento dei piccoli da parte degli adulti e tra gli stessi cuccioli nelle prime settimane di vita (Figura

1.9).

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Figura 1.9 Coppia di lupi appenninici.

Spesso il branco include, oltre alla coppia parentale, i giovani dei precedenti 1-3 anni

(Murie, 1944; Mech, 1970; Mech et al., 1998). Raramente si formano associazioni di più famiglie (Murie, 1944; Mech et al., 1998). Eccezionalmente il branco accetta un lupo non imparentato o parente di uno dei due riproduttori (Van Ballenberge, 1983; Mech et al.,1998); talvolta un genitore può essere rimpiazzato da un lupo estraneo (Rothman e

Mech, 1979; Fritts e Mech, 1981). Il branco è un’unità stabile durante tutto il corso dell’anno (Mech, 1970).

Studi condotti in cattività hanno descritto la struttura sociale del branco come una gerarchia lineare di dominanza che interessa i componenti di entrambi i sessi (Rabb et al.,

1967; Zimen, 1976; Van Hoff et al., 1987), nella quale le relazioni individuali sono regolate da una serie di comportamenti ritualizzati (Mech, 1970; Zimen, 1976). La gerarchia sociale si traduce in differenze di ruoli all’interno del branco che si possono manifestare in termini di iniziativa (spostamenti, caccia, difesa del territorio, etc.) e 31

privilegio (accesso al cibo, riproduzione, etc.). Attraverso la gerarchia di dominanza ed i suoi meccanismi di mantenimento, l’aggressività dei singoli individui viene ritualizzata e inibita e vengono invece assicurate l’intesa e l’integrazione funzionale tra i componenti del gruppo. Il rango superiore è occupato da due individui di sesso opposto (coppia alfa), ai quali gli altri individui di rango inferiore sono sottomessi.

Secondo Mech (1970 e 1999), il ruolo sociale degli individui non è permanente, anche un subordinato può essere un potenziale riproduttore: nel momento in cui si riproduce diventa automaticamente un individuo alfa. Tale ipotesi si contrappone all’idea della posizione sociale innata, o definita precocemente, affermata da Fox (1975).

Frequentemente alcuni lupi vivono per un periodo una condizione solitaria: spesso si tratta di vecchi individui che hanno perso il compagno, di lupi cacciati dal branco o di giovani maturi sessualmente che si sono distaccati volontariamente dall’unità familiare alla ricerca di un nuovo territorio e di un compagno per riprodursi (Messier, 1985a; Gese e Mech,

1991; Mech et al., 1998). I lupi solitari tendono a seguire a distanza il branco, cibandosi di carcasse abbandonate (Harrington e Mech,1979).

1.8 Riproduzione, svezzamento e sviluppo dei piccoli Il lupo raggiunge la maturità sessuale non prima del secondo anno di età, sebbene in cattività siano stati riportati casi di femmine in grado di riprodursi all’età di 10 mesi.

Nel lupo esiste un solo ciclo riproduttivo (conseguenza dell’unico estro annuale femminile), strettamente legato ai fattori climatico-ambientali e di latitudine. La latitudine alla quale vivono le popolazioni di lupo condiziona il decorso della stagione degli accoppiamenti, che si colloca in un periodo compreso tra la fine di gennaio e di aprile.

Secondo Mech (1970) esiste una correlazione marcata tra le alte altitudini e il ritardo del

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periodo degli accoppiamenti. In Italia gli accoppiamenti hanno luogo nel periodo tra febbraio e marzo.

Le potenzialità riproduttive dipendono dallo stato nutrizionale dell’animale (Bjoertje e

Stephenson, 1992).

L’estro della femmina dura in media dai 3 ai 5 giorni (Mech, 1974). Nel periodo invernale

è frequente trovare tracce su neve con le perdite della femmina che precedono di qualche settimana la fase di estro.

Almeno tre settimane prima della nascita dei piccoli (Jordan et al., 1967; Fuller, 1989), la femmina ricerca il luogo adatto dove partorire e realizza la tana (Jordan et al., 1967), dove generalmente vi attende il parto (Young, 1944). Molte tane di lupo sono cavità naturali ricavate da tronchi o anfratti di rocce, oppure possono essere utilizzate tane di altri mammiferi abbandonate (volpe, istrice e tasso) (Figura 1.10).

Figura 1.10 Cuccioli in tana.

Uno studio condotto in Minnesota da Ciucci e Mech (1992) ha rivelato che la scelta della localizzazione della tana, all’interno del territorio, può dipendere dall’interazione di molti

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fattori: (1) dalla tradizione (una tana può essere utilizzata più volte dalla stessa femmina o da femmine diverse) (Murie, 1944; Mech, 1970; Harrington e Mech, 1983), (2) dalla disponibilità e distribuzione delle risorse di cibo, (3) dall’influenza dei branchi vicini e (4) dalla dimensione del territorio. La loro ricerca suggerisce una correlazione positiva tra la posizione della tana e la dimensione del territorio: in territori vasti, essa tende ad essere centrale in modo da minimizzare le distanze da e per la tana, in territori relativamente piccoli, la sua localizzazione rispetto al centro è casuale. Spesso le tane sono situate in zone isolate e prossime ai corsi d’acqua.

La gestazione dura circa 63 giorni e la femmina partorisce in media 6 cuccioli, con variazione da 1 a 11 (Mech, 1974). La dimensione delle cucciolate, così come la sopravvivenza dei cuccioli entro il primo anno di vita, sono direttamente proporzionali alla disponibilità di prede, misurata come biomassa preda/lupo (Keith, 1983). Sebbene siano riportati casi in cui 2 cucciolate sono state prodotte all’interno dello stesso branco (Canada e Alaska) nella stessa stagione riproduttiva, la riproduzione è generalmente prerogativa del maschio e della femmina dominanti: tramite meccanismi di controllo sociale viene ridotta la possibilità che altri due individui si accoppino, benché fisiologicamente maturi. In tal modo gli adulti che non si riproducono e i giovani di un anno sono disponibili ad aiutare la coppia dominante nella cura della loro prole (cure alloparentali), aumentando in tal modo le probabilità di sopravvivenza dei cuccioli.

I piccoli alla nascita sono sordi, ciechi e pesano circa 500 gr (Rutter e Pimlott, 1968). Per i primi 23 giorni, i cuccioli si nutrono esclusivamente di latte materno; inseguito ricevono il cibo predigerito e rigurgitato dalla madre e anche dagli altri componenti del branco

(maschio alfa e adulti ausiliari) (Mech et al., 1999). Dopo 40 giorni, i cuccioli cominciano a nutrirsi da soli.

I cuccioli si allontanano definitivamente dalla tana dopo 7-8 settimane dalla nascita e l’intera attività del branco si sposta in aree (rendez-vous sites) dove avviene la fase finale 34

dello sviluppo dei nuovi nati. Se non esistono elementi di disturbo, gli home sites (tane e rendez-vous sites) possono essere utilizzati anche per più anni di seguito (Joslin, 1966).

L’abbandono dei rendez-vous sites avviene con il sopraggiungere dell’inverno, nel periodo compreso tra settembre e ottobre (Murie, 1944; Joslin, 1966; Harrington e Mech, 1982b), al momento in cui i giovani hanno maturato le capacità fisiche per seguire gli adulti negli spostamenti.

I giovani hanno uno sviluppo fisico veloce: all’età di sei mesi hanno già acquisito il fenotipo di un adulto ma l’accrescimento definitivo avviene ad un anno, con la fusione delle ossa lunghe.

1.9 Territorialità Il lupo quando preda specie stanziali è una specie territoriale ed ogni branco tende ad occupare un territorio esclusivo dal quale eventuali conspecifici estranei vengono attivamente estromessi (Mech, 1974).

Il territorio occupato da un branco comprende le aree di caccia e di spostamento (Mech,

1970). Questo è difeso mediante segnali di presenza acustici (che agiscono a favore della distanza), come l’ululato (Harrington e Mech, 1979 e 1983) e olfattivi (che agiscono per un tempo prolungato) (Peters e Mech,1975; Rothman e Mech,1979): tutto ciò consente di ridurre al minimo l’incontro diretto con individui estranei. Gli incontri visivi con lupi di territori limitrofi sono rari ma possono essere causa di scontri anche mortali. Tuttavia nei periodi di scarsità di prede ed in condizioni di alta densità intraspecifica, le invasioni territoriali possono essere frequenti e determinare alti tassi di mortalità (Mech, 1977).

Spesso i territori di branchi vicini possono sovrapporsi, si creano aree cuscinetto (buffer zones) frequentate da entrambi i branchi in momenti diversi. Le marcature odorose

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diventano, quindi, indicative dell’intervallo temporale trascorso dall’ultimo passaggio

(Mech, 1970 e 1994; Peters e Mech, 1975; Fritts e Mech, 1981).

Vicino alle buffer zones aumenta il livello di marcatura (Peters e Mech, 1975; Lewis e

Murray, 1993; Mech, 1994).

La dimensione del territorio può variare in funzione (1) della densità e distribuzione delle prede, (2) della densità intraspecifica e (3) del livello di alterazione del paesaggio ad opera dell’uomo.

In Nord America le dimensioni dei territori variano da 80 Kmq (Fuller, 1989) a oltre 2500

Kmq (Ballard et al., 1987), aumentando con la latitudine, in dipendenza dalle specie preda principali e dalla loro densità (Carbyn, 1987).

In Minnesota, le dimensioni variano dai 64 ai 384 Kmq (Mech, 1973); in presenza di un’ampia densità di lupi (1 lupo/25,6 Kmq), il territorio è ampio in media dai 125 ai 310

Kmq.

Casi eccezionali si riscontrano in quelle popolazioni di lupo che si nutrono principalmente di specie migratrici: la tipologia del territorio stabile (inteso come area attivamente difesa) non viene rispettato. In Ontario, per esempio, la dimensione del “territorio” è in funzione degli spostamenti del cervo a coda bianca (Odocoileus virginianus); si verificano variazioni dai 98,84 ai 1851,21 Kmq, con un valore medio di 480 Kmq (Cook et al., 1999).

Lo stesso fenomeno è riscontrato nel resto del Canada e in Alaska, dove esistono popolazioni di lupo che compiono lunghi spostamenti, con escursioni extraterritoriali rilevanti, seguendo le migrazioni delle specie preda (p. es. il caribou, Rangifer tarandus caribou e il bisonte, Bison bison) (Carbyn 1981 e 1997).

Al contrario, in Europa centrale e nelle regioni del Caucaso, la dimensione ridotta degli home range della specie (80-200 kmq) coincide con la distribuzione continua del cervo

(Cervus elaphus), la preda preferita del lupo nel territorio (Okarma et al., 1998).

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La distanza degli spostamenti dipende dalla distribuzione delle prede; i lupi che vivono in aree con una bassa densità di prede si spingono in zone extraterritoriali e presentano una dimensione del territorio ampia e instabile nel corso dell’anno (Messier, 1985a, 1985b).

In alcune aree, caratterizzate da una forte antropizzazione e scarsità di prede selvatiche, i lupi hanno sfruttato in modo opportunistico le risorse di origine antropica (rifiuti), causando uno sconvolgimento delle attività svolte nel territorio (reso estremamente piccolo e stabile nel corso dell’anno a causa della fonte di cibo fissa).

In Italia, in tali circostanze, i valori medi oscillano per l’Appennino centrale (Abruzzo) tra i

120-200 kmq (Boitani, 1982; Ciucci et al., 1997). Lo stesso fenomeno è stato riscontrato in una popolazione di lupi arabici in Israele (60,3 kmq) (Heffner e Geffen, 1999).

L’utilizzo del territorio da parte del branco può variare durante l’anno in dipendenza del ciclo biologico dell’animale e della distribuzione stagionale delle prede.

In Polonia si passa dai 99 kmq del periodo estivo ai 271 kmq in inverno (Okarma et al.,

1998); in Minnesota rispettivamente dai 230 kmq ai 267 kmq (Fritts e Mech, 1981).

Nel periodo primaverile-estivo l’attività del branco è centrata attorno agli home sites (il sito della tana e i luoghi dei rendez-vous). I rendez-vous sono una sorta di punti di ritrovo in cui i cuccioli, non ancora capaci di seguire gli adulti negli spostamenti, aspettano il loro ritorno. Sono stati descritti (Josling, 1967) come aree semiaperte, caratterizzate da un sistema di piste, giacigli e aree di attività, circondate da un fitta vegetazione e prossime a fonti d’acqua. Possono essere utilizzati, in sequenza da luglio ad ottobre, fino ad 8 luoghi di rendez-vous anche se, solitamente, è uno il preferenziale (Murie, 1944; Joslin, 1967;

Mech, 1970; Voigt, 1973, Harrington e Mech, 1982a, 1982b).

L’attività del branco è caratterizzata da movimenti radiali di individui singoli o in coppia che si dipartono dall’home sites e che generalmente vi fanno ritorno dopo un giorno

(Murie, 1944; Joslin, 1967, Harrington e Mech, 1978b, 1982a, 1982b; Fritts e Mech, 1981;

Messier, 1985b; Ciucci et al., 1997; Okarma et al., 1998). Gli spostamenti avvengono 37

soprattutto di notte a partire dal tramonto e terminano all’alba, probabilmente correlati con l’attività di foraggiamento delle specie preda e con le temperature più fresche del giorno

(Mech, 1970; Harrington e Mech, 1982a; Ciucci et al., 1997).

A partire da ottobre i piccoli sono in grado di seguire gli adulti e lasciano gli home sites.

Uno studio condotto in Minnesota (Harrington e Mech, 1982b) ha osservato che l’abbandono non è definitivo ma graduale fino all’inverno. Anche due mesi dopo alcuni individui si allontanano dal branco, ritornano all’home sites (di solito quello più utilizzato nel periodo estivo) e vi trovano rifugio per giorni. Il forte legame al sito, luogo di esperienza positiva per il lupo, è indipendente dalle risorse e dimostra un ruolo rilevante della dinamica spaziale della specie. Da dicembre inizia la fase di coesione del branco, le separazione diventano rare fino ad aprile (Harrington e Mech, 1982b) e l’attività diventa di tipo nomadico.

In inverno il branco si muove, caccia e si riposa in posti occasionali all’interno del territorio (Muriel, 1944; Mech, 1970; Harrington e Mech, 1978b, 1979, 1982b; Okarma et al., 1998). I lupi sono sempre attivi sia di giorno che di notte (Mech, 1970) ma nelle aree con maggiore disturbo antropico l’attività si concentra nelle ore notturne (Ciucci et al.,

1997; Hefner e Geffen, 1999).

I lupi si spostano frequentemente lungo sentieri, strade forestali, linee spartifuoco e lungo piste di altri animali (Thompson, 1952; Joslin, 1967; Mech, 1970; Peters, 1979). I lupi sono spesso abitudinari e utilizzano tendenzialmente gli stessi sentieri anche per anni

(Mech, 1970).

1.10 Dispersione Oltre gli individui che vivono in branchi territoriali, esiste una discreta proporzione di lupi solitari e transienti che si muovono preferibilmente lungo i margini di territori già occupati

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(Peters e Mech, 1975; Rothman e Mech, 1979) ma con incursioni occasionali elusive nei territori adiacenti (Messier, 1985a). Questi sono animali che hanno abbandonato il territorio natale per andare in dispersione.

Si definisce dispersione natale il movimento di un animale dal sito di origine a quello di riproduzione, o al luogo dove si sarebbe potuto riprodurre nel caso in cui avesse scontrato un compagno (Howard, 1960).

Secondo Gese e Mech (1991) i fattori che determinano la dispersione del lupo sono: (1) la competizione per le risorse, soprattutto quando sono scarse; (2) la competizione per il partner, elevata nel periodo riproduttivo per la maggiore aggressività del maschio dominante nei confronti dei probabili competitori sub-adulti; (3) la necessità di impedire l’imbreeding e favorire la dispersione dei “geni” parentali.

La dispersione è un processo dinamico e graduale, non necessariamente legato ad un singolo evento ma caratterizzato da una serie di spedizioni solitarie extraterritoriali, alternate al ricongiungimento con il branco (Van Ballenberghe, 1983; Messier, 1985a;

Gese e Mech, 1991). La loro durata può variare da pochi giorni (Fritts e Mech, 1981) ad una settimana, a dodici mesi (Gese e Mech, 1991). La tendenza al rientro riflette, probabilmente, il fallimento nel trovare un’area vagante e/o un compagno (Van

Ballenberghe, 1983), questo è particolarmente diffuso in ambienti saturi e con scarsità di prede.

Solitamente la tendenza a lasciare il branco si manifesta nei giovani di 2-3 anni (Ballard et al., 1987; Fritts e Mech, 1981; Peterson et al., 1984; Hefner e Geffen, 1999). Gese e Mech

(1991) riportano un età tra gli 11-12 mesi, una bassa percentuale di adulti dispersi e nessuna differenza tra i sessi. Durante l’anno si verificano due picchi di dispersione: uno tra febbraio-aprile e l’altro tra ottobre-novembre (Gese e Mech, 1991), il picco autunnale è confermato in altri studi (Fritts e Mech, 1981).

39

Un lupo in dispersione può percorrere dagli 8 fino ai 354 km (Gese e Mech, 1991), sono state riportate distanze di addirittura 670 e 886 km in Nord America (Van Camp e Glukie,

1979; Frits, 1983). Sembra che la saturazione del territorio aumenta la distanza percorsa

(Fritts e Mech, 1981).

Il successo della dispersione può dipendere: (1) dalla disponibilità delle prede; (2) dalla disponibilità delle aree vaganti; (3) dall’incontro positivo con il compagno (Fuller, 1989);

(4) dall’esperienza; (5) dalla maturità sessuale. Solitamente i giovani inesperti si allontanano molto dal territorio natale a seguito di numerosi fallimenti, gli adulti invece, tendono a stabilirsi in aree limitrofe al luogo di origine e hanno un successo maggiore

(Gese e Mech, 1991).

1.11 Comunicazione 1.11.1 Marcatura odorosa La marcatura odorosa è una forma di comunicazione olfattiva in cui il lupo lascia il suo odore in una posizione strategica, ben visibile, in modo che altri lupi possano in seguito ispezionarla (Mech, 1970). Kleiman (1966) definisce la marcatura odorosa quella che: (1) è orientata verso particolari oggetti sconosciuti, (2) è stimolata da riferimenti del paesaggio noti o da odori e oggetti sconosciuti, (3) è ripetuta frequentemente sullo stesso oggetto.

Informazioni olfattive possono essere lasciate attraverso: (1) l’urinazione (Peters e Mech,

1975; Asa et al., 1985a), (2) la defecazione (Peters e Mech, 1975; Vilà et al., 1994; Asa et al., 1985a), (3) le secrezioni della ghiandola anale (solitamente rilasciate con le fatte ma anche singolarmente) (Asa et al., 1985a, 1985b), (4) le raspature (rilascio di secrezioni ghiandolari attraverso il raschiamento del terreno con le zampe sia anteriori che posteriori)

(Fox, 1975; Peters e Mech, 1975).

Urina: sono state osservate tre modalità, relative a posture differenti di minzione: (1) con tre zampe a terra e una alzata (RLU), (2) con quattro zampe a terra leggermente divaricate 40

(SQU), (3) con una zampa flessa sotto il corpo (FLU) (Kleiman, 1966).

Le caratteristiche delle RLU evidenziano la funzione comunicativa rispetto alla semplice eliminazione fisiologica: sono frequenti, caratterizzate da piccole quantità di urina, rivolte soprattutto su oggetti verticali e depositate frequentemente lungo le strade e i sentieri in punti strategici (p. es. incroci). Esse consentono un duraturo e prominente segnale, sia olfattivo, sia visivo, soprattutto nel periodo invernale con copertura nevosa (Peters e Mech,

1975). Inoltre, osservazioni in cattività hanno rilevato che solo gli individui alfa urinano con la postura RLU e FLU e che il comportamento è estremamente stereotipato (Woolpy,

1968; Asa et al., 1985b).

La marcatura con urina (RLU) assolve un ruolo importante nel mantenimento del territorio, una frequenza di marcatura più elevata è riscontrata nelle zone di confine tra i branchi

(Peters e Mech,1975; Lewis e Murray, 1993). Harrington e Mech (1983) attribuiscono questo fatto al fenomeno dell’ispezione e rimarcatura, stimolata in maggior misura se si tratta di segni lasciati da individui estranei. Il tasso di marcatura, quindi, è più elevato nelle buffer zones, perchè frequentate da lupi estranei di zone limitrofe. La variazione della frequenza di marcatura nel territorio può essere anche in funzione del tempo trascorso dal branco in determinate aree. Il tasso di marcatura, per esempio, può essere più elevato nelle zone dove la densità delle prede è elevata, in quanto intensamente frequentate per l’attività di caccia (Paquet e Fuller, 1990). La marcatura con urina (RLU) riveste un ruolo fondamentale nella formazione e nel mantenimento del legame di coppia. Lo studio di

Rothman e Mech (1979), sulla marcatura odorosa nelle coppie di nuova formazione, rileva nel periodo del corteggiamento e subito dopo la riproduzione, (1) un aumento del tasso delle RLU, (2) un aumento della doppia marcatura (due urine sovrapposte compiute dai membri della coppia), questa solitamente associata ad una mutua ispezione. Questo comportamento sembra essere un rafforzamento del legame e consente la sincronizzazione sia fisiologica sia comportamentale degli individui per il successo riproduttivo. 41

Successivamente quando la coppia è diventata stabile il tasso di marcatura diminuisce.

La marcatura con urina fornisce informazioni sul sesso, stato riproduttivo e stato di dominanza (Asa et al., 1985a; Mech et al.,1987; Ryon e Brown, 1990).

La funzione della SQU è reputata per lo più solo escretiva (Peters e Mech, 1975), anche se in alcuni autori permangono perplessità (Barrette e Messier, 1980; Paquet, 1991). I lupi solitari depongono per lo più SQU al di fuori dei sentieri e hanno (1) un basso tasso di marcatura, in conformità della natura elusiva che devono mantenere rispetto al branco, (2) mostrano un comportamento ispettivo elevato che gli consente di evitare incontri spiacevoli con il branco dominante (Rothman e Mech, 1979).

Da studi di animali in cattività, è stato osservato che la marcatura con urina può essere utilizzata dal lupo per contrassegnare un nascondiglio di cibo ormai vuoto (Harrington,

1981).

Fatte: la marcatura fecale è ambigua e più volte è stata messa in discussione in quanto: (1) non è caratterizzata da una postura stereotipata, (2) non è sempre fisiologicamente disponibile, (3) la secrezione della ghiandola anale (ulteriore segnale olfattivo) è presente solo nel 10 % degli escrementi (Asa et al., 1985a e 1985b) (Figura 1.11).

Figura 1.11 Escremento di lupo. 42

Peters e Mech, (1975) considerano marcature le fatte poste in punti strategici ben visibili, quelle associate con urina o raspata effettuate dallo stesso individuo o quelle ritrovate in alte concentrazioni accumulate nei mesi. La capacità dei lupi di deporre le fatte su oggetti prominenti e in siti “ragionati”, e la frequenza con cui accade, suggeriscono un elevato grado di controllo da parte del sistema nervoso centrale.

Le fatte ritrovate nei siti dei rendez-vous o vicino ad una preda avrebbero un significato solo fisiologico (Peters e Mech, 1975). Vilà et al. (1994) propongono la marcatura fecale come sostitutiva a quella con urina, nei periodi o nelle regioni (p.es. paesi mediterranei), dove manca la copertura nevosa: la marcatura con urina sarebbe priva del messaggio visivo e quindi di minore intensità rispetto alla fatta.

Secrezione della ghiandola anale: la secrezione della ghiandola anale è deposta nelle fatte principalmente dal maschio alfa, anche se tutti gli individui del branco possono rilasciarla.

Si pensa che la secrezione non associata alla fatta sia sintomo di stress e debba essere interpretato come segnale di allarme (Asa et al., 1985a e 1985b).

Raspate: la raspata è sia una marcatura visiva che odorosa, infatti, attraverso lo strofinamento delle zampe, sono rilasciate sul terreno le sostanze secrete dalle ghiandole del cuscinetto plantare. Osservazioni in cattività mostrano che solitamente la raspata è compiuta dalla coppia alfa e si pensa che abbia una funzione comunicativa all’interno del branco, probabilmente nel mantenimento dello stato di dominanza (Peters e Mech, 1975).

1.11.2 Comunicazione vocale Joslin (1966) ha descritto quattro tipi di espressioni vocali nel lupo: (1) il ringhio (growl),

(2) l’abbaio (bark), (3) l’uggiolio (whimper), (4) l’ululato (howling). Theberge e Falls

(1967) suddividono l’uggiolio in due subcategorie: il guaito e il piagnucolio.

Le espressioni vocali rivestono ruoli fondamentali e specifici nella comunicazione tra gli individui della specie. L’uggiolio, caratterizzato da una frequenza fondamentale che ha

43

massimo utilizzo intorno ai 3500 Hz, è spesso utilizzato in contesti non aggressivi tra gli individui del branco, probabilmente è un mezzo per ridurre le distanze fisiche e sociali

(Harrington e Mech, 1978a).

Il ringhio (frequenza tra i 250-1500 Hz, con un massimo utilizzo attorno agli 880 Hz) è una forma comunicativa che ristabilisce e aumenta le distanze, sia fisiche sia sociali

(Harrington e Mech, 1978a), associato frequentemente a posture di dominanza; è stato descritto come un vocalizzo aspro e profondo, segnale di minaccia o allarme (Fox, 1975).

L’abbaio (frequenza tra i 320-904 Hz, con un massimo d’utilizzo attorno ai 500 Hz) è piuttosto raro, può costituire la parte terminale di un ululato (Joslin, 1966; Voigt, 1973;

Peterson, 1974) o essere un segnale di localizzazione o sollecitazione (Rutter e Pimlott,

1968), o sintomo di tensione sociale (Boscagli, 1985c).

L’ululato è un suono continuo della durata di alcuni secondi (0,5-11sec), con una frequenza fondamentale tra i 150-780 Hz e fino a 12 armoniche superiori (Theberge e

Falls, 1967), caratteristiche che garantiscono la comunicazione a lunga distanza (Joslin,

1967; Theberge e Falls, 1967; Mech, 1970; Harrington e Mech, 1978a e 1978b). Le altre vocalizzazioni sono udibili a distanze che non superano i 200 m (Joslin, 1966).

Udire un ululato spontaneo in natura è un evento raro: la maggior parte delle volte si verifica di notte, tra il tramonto e l’alba, (in cattività: Zimen, 1971; in natura: Rutter e

Pimlott, 1968; Peterson, 1974), ma eccezionalmente anche di giorno (Joslin, 1966; Mech,

1970). Zimen (1971), in animali in cattività, ha riscontrato un incremento degli ululati spontanei dall’autunno all’inverno, con un picco nella stagione riproduttiva. Nei primi mesi estivi si osserva una riduzione e poi di nuovo un incremento, che raggiunge il massimo valore in agosto. Gli studi condotti in natura con la tecnica dell’ululato indotto

(wolf-howling) hanno consentito di approfondire le caratteristiche sonore, il ruolo comunicativo e l’andamento stagionale del tasso di risposta. Quest’ultimo ha confermato i risultati osservati in cattività: Joslin ha interpretato la riluttanza degli adulti ad ululare nel 44

primo periodo estivo, come una forma di protezione nei confronti dei piccoli. L’incremento successivo è determinato dalla forte tendenza dei piccoli a rispondere agli stimoli

(Harrington e Mech, 1979), visto che i cuccioli iniziano a vocalizzare in Luglio (Joslin,

1966; Mech, 1970).

Diversi autori hanno dimostrato la presenza di caratteristiche specifiche negli ululati che consentono il riconoscimento individuale, (Theberge e Falls, 1967; Tooze et al., 1990) ed è stata evidenziata la capacità dei lupi di riconoscere gli ululati familiari da quelli estranei

(Tooze et al., 1990).

L’ululato è una forma di comunicazione importante che riveste più ruoli nella vita sociale del branco e tra i branchi: (1) ha un significato gregario all’interno del branco (Rutter e

Pimlott, 1968), l’ululato corale avviene solitamente dopo la cerimonia di gruppo durante la quale si evidenzia un clima di distensione (Woolpy, 1968), (2) ha la funzione di coordinare le partenze, le riunioni e i movimenti degli individui del branco all’interno del territorio (p es. negli eventi di caccia), (3) è un meccanismo di controllo del territorio con il quale il branco afferma la presenza-possesso a tempo reale, evitando gli incontri con i branchi adiacenti (Harrington e Mech, 1978a, 1978b e 1979).

I lupi possono rispondere agli ululati registrati simulati (estranei al gruppo) con sei comportamenti fondamentali, caratterizzati da un’aggressività crescente (Harrington 1987):

(1) ritiro silenzioso, (2) risposta e successivo allontanamento, (3) mantenimento della posizione e allontanamento, (4) risposta dalla stessa posizione, (5) avvicinamento silenzioso, (6) avvicinamento e risposta. L’avvicinamento rimane un evento piuttosto raro, solitamente è il maschio alfa che cerca di informarsi sull’estraneo (sesso, taglia, numero di individui) (Joslin, 1967; Harrington e Mech, 1979; Harrington, 1987).

Uno studio di Harrington e Mech (1983) ha evidenziato che l’ululato è meccanismo di controllo territoriale indipendente dalla localizzazione da cui è emesso: il tasso di risposta, non è influenzato dalla posizione del branco all’interno del proprio territorio ma dalla 45

distribuzione delle risorse sia sociali (cuccioli), sia ecologiche (prede). Il tipo di comportamento adottato è in funzione della relazione costi-benefici; in presenza di una preda o dei cuccioli, il branco, tende a rimanere nel luogo della risorsa e la difende ululando, come segnale di avvertimento (Harrington e Mech, 1979). Se il grado del rischio

è elevato rispetto alla eventuale risorsa, è preferibile non segnalare la propria presenza e allontanarsi in silenzio.

Il tasso di risposta ad ululati estranei è influenzato anche: (1) dalla dimensione del branco, gruppi numerosi rispondono più frequentemente dei gruppi più piccoli, (2) dalla presenza del maschio alfa, il quale è l’unico individuo che risponde singolarmente e che dà inizio all’ululato corale, (3) dalla stagione biologica, infatti la stagione riproduttiva (febbraio- aprile) determina un aumento della aggressività all’interno del branco e tra i branchi.

Questi fattori sono direttamente correlati con l’aumento del livello di aggressività che i lupi hanno verso gli individui estranei (Harrington e Mech, 1979).

1.11.3 Ecologia alimentare Il lupo è un predatore dotato di grande forza muscolare, abile e veloce nei movimenti ed estremamente intelligente. L’elevata capacità d’adattamento ha consentito alla specie di sopravvivere, di adeguarsi alle nuove situazioni e di sfruttare le risorse disponibili presenti nei diversi contesti ambientali, comprese le aree antropizzate. Infatti, sebbene dal punto di vista evolutivo il lupo possa essere considerato un predatore specializzato nella caccia di prede di grosse dimensioni (Mech, 1970; Voigt et al., 1976; Fritts e Mech, 1981; Bjarvall e

Isakson, 1982; Peterson et al., 1984; Ballard et al., 1987; Jedrzejewski et al., 1992 e 2000;

Smietana e Klimek, 1993), da quello ecologico non può essere definito un ipercarnivoro come i predatori della famiglia dei Felidi. La specie mostra un’ ecologia maggiormente opportunistica, non necessariamente composta solo di carne ma che può includere in diversa misura una varietà di altre categorie alimentari (frutta, rifiuti) (Castroviejo et al.,

46

1981; Boitani, 1982; Salvador e Abad, 1987; Meriggi et al., 1991; Patalano e Lovari,

1993).

L’ecologia alimentare del lupo appare complessa in quanto può variare: (1) da una dieta prevalentemente a base di ungulati selvatici, in un ambiente naturale ottimale (Nord

America, Europa orientale e alcune aree dell’Europa occidentale), (2) ad una dieta opportunistica composta da risorse di origine antropica (bestiame, rifiuti), frutta e invertebrati, in aree denaturalizzate, con scarsa disponibilità di ungulati selvatici e un maggior grado di antropizzazione (Italia, Israele, Spagna).

Il lupo, in origine, era un predatore generalista in grado di cacciare prede che variavano di tre ordini di grandezza: dagli ungulati selvatici (p. es. cervo; alce, Alces alces) ai meso e micromammiferi (p.es. lepre, gen. Lepus; castoro, Castor canadensis; lemmings, gen.

Lemmus). Anche se la presenza dei mesomammiferi (p.es. lepre) nella dieta è documentata, solitamente queste categorie, in un ambiente con densità elevate di ungulati, sono di minore importanza (Fritts e Mech, 1981; Ballard et al., 1987; Jedrzejewski et al., 1992,

Smietana e Klimek, 1993; Mattioli et al., 1995; Okarma, 1995; Bertelli, 1998); diventano una componente rilevante in determinate circostanze, per esempio quando diminuisce la densità della specie preda principale o in un contesto con scarsità di risorse (es. tundra)

(Voigt et al. 1976). Poiché il lupo ha un areale molto ampio, le popolazioni che vivono in aree geografiche diverse utilizzano le specie preda disponibili in loco: ad esempio in

Alaska, l’alce e il caribou; in Canada e negli Stati uniti, il cervo dalla coda bianca; in

Svezia, la renna (Rangifer tarandus tarandus) e l’alce; in alcune aree dell’Europa orientale e in alcune regioni occidentali, il capriolo (Capreolus capreolus), il cinghiale (Sus scrofa) e il cervo nobile. In condizioni naturali ottimali con una varietà e disponibilità di prede selvatiche, la dieta del lupo si basa su una o due specie principali (Thompson, 1952; Mech,

1970; Voigt et al., 1976; Fritts e Mech, 1981; Bjarvall e Isakson, 1982; Peterson, 1974;

Ballard et al., 1987; Jedrzejewski, et al., 1992, Smietana e Klimek, 1993; Mattioli et al., 47

1995).

La misura in cui differenti specie preda sono rappresentate nella dieta dipende essenzialmente dall’abbondanza relativa, dalla accessibilità e dalla fruibilità, intesa come l’apporto di biomassa, in relazione all’energia ed al tempo impiegati per acquisirlo

(Huggard, 1993).

All’interno della specie sono maggiormente selezionati gli individui più facili da cacciare, giovani o individui debilitati (Mech, 1970). In numerosi studi è confermata, nel periodo estivo, la selezione degli individui giovani, più vulnerabili e facili da cacciare (Thompson,

1952; Mech, 1970; Voigt et al., 1976; Fritts e Mech, 1981; Bjarvall e Isakson, 1982;

Peterson et al., 1984; Ballard et al., 1987; Salvador e Abad, 1987; Jedrzejewski, et al.,

1992; Smietana e Klimek, 1993; Mattioli et al., 1995; Poulle et al., 1997; Bertelli, 1998).

La composizione della dieta riflette la variazione stagionale e annuale dell’accessibilità e disponibilità della specie principale (Voigt et al., 1976; Fritts e Mech, 1981; Bjarvall e

Isakson, 1982; Peterson et al., 1984). Oltre ad essere un predatore, il lupo è solito nutrirsi di carcasse dei animali sia selvatici sia domestici trovati nel territorio.

Da studi condotti in Nord America è stato calcolato che un lupo in natura consuma in media 3-5 kg di carne al giorno (Mech, 1974; Carbyn, 1987), anche se in realtà gli eventi di predazione si alternano frequentemente a lunghi periodi di digiuno.

In Italia l’ecologia alimentare del lupo appare diversificata e riflette l’accessibilità e la disponibilità delle risorse presenti nelle varie realtà locali. Le prime indagini condotte negli anni settanta nell’Appennino centrale, aree con scarsità di prede selvatiche, hanno sottolineato, nella dieta del lupo, l’importanza dei rifiuti e delle altre categorie di origine antropica. In Abruzzo il fenomeno dell’utilizzo delle discariche, come fonte alternativa di cibo, sembrava trasformare il lupo da predatore ad un mangiatore di rifiuti (60-70%)

(Boitani, 1982), mentre in Umbria le specie domestiche rappresentavano il 90% delle risorse alimentari (Ragni et al., 1985). Gli incrementi sulla densità locale degli ungulati 48

selvatici hanno confermato la comparsa e un aumento degli stessi nella dieta nelle medesime aree (Ragni et al., 1985; Patalano e Lovari, 1993).

Nei contesti ambientali, caratterizzati dalla presenza di popolazioni vitali di ungulati selvatici (Foreste Casentinesi, Appennino settentrionale, Alpi occidentali), si assiste al ripristino di una condizione naturale originaria, in cui la dieta del lupo è costituita prevalentemente da fauna selvatica (Matteucci et al., 1994; Ciucci, 1994; Mattioli et al.,

1995; Meriggi et al., 1996; Bertelli, 1998; A.A.V.V., 2001; Gazzola et al., 2005).

Si osservano situazioni intermedie laddove, contemporaneamente agli ungulati selvatici, sono presenti altre categorie alimentari alternative, come bestiame domestico, rifiuti e frutta (Meriggi et al., 1991, 1996; Patalano e Lovari, 1993, Boitani e Ciucci, 1996).

Secondo Meriggi et al. (1996) il lupo preda i domestici, sebbene più vulnerabili, solo quando gli ungulati selvatici sono scarsi. Ipotesi confermata da Meriggi e Lovari (1996), secondo i quali il rischio dell’intervento umano è troppo elevato quindi il lupo, in un contesto ambientale naturale, preferirebbe predare ungulati selvatici.

Tuttavia Gazzola et al. (2005) rilevano che in estate, con la presenza dei greggi in alpeggio, i domestici diventano una delle categorie principali, assieme agli ungulati selvatici.

49

2 Area di Studio

2.1 Inquadramento geografico e morfologico La Provincia di Arezzo si estende su una superficie di 323.000 ha circa, suddivisa in 39 comuni. Come recita il suo motto ‘’Intra Tevero et Arno’’, gran parte del territorio è compreso nei bacini idrografici di rilievo nazionale dei fiumi Arno e Tevere, mentre porzioni minori ricadono nel bacino idrografico del fiume Marecchia e Conca (comuni di

Badia Tedalda e Sestino), e porzioni minime interessano i bacini idrografici del fiume

Metauro e del fiume Ombrane.

Il territorio della provincia è collocato lungo la dorsale appenninica, ed è suddivisibile grossolanamente dal punto di vista geografico in quattro grandi vallate principali, per buona parte delimitate da confini naturali:

 il Casentino, coincidente con l’omonimo sottobacino idrografico, che

comprende l’alto corso del fiume Arno fino all’altezza della confluenza

del canale maestro della Chiana;

 il Valdarno superiore, costituito dal sottobacino del fiume Arno posto a

valle della confluenza della Chiana e fino al confine con la Provincia di

Firenze;

 la Val di Chiana, individuabile nel territorio di alimentazione del canale

maestro della Chiana, dal confine con la Provincia di Siena fino alla

confluenza con l’Arno;

 la Valtiberina comprendente la quota parte del bacino idrografico del

fiume Tevere, al quale si aggiungono per comodità anche le parti dei

bacini idrografici del fiume Marecchia e del fiume Foglia.

50

Il capoluogo di provincia è collocato quasi nel baricentro geografico, vicino al punto in cui le acque del canale maestro della Chiana confluiscono in quelle dell’Arno, punto di incontro di tre vallate (Figura 2.1).

SAF Sasso di Foreste Casentinesi Simone Vallesanta

A. Luna Catenaia Arno Pratomagno Tevere A. Poti

Chianti Arno Arezzo

Lignano

Ambra e Calcione Chiana

Figura 2.1 La provincia di Arezzo.

51

L’orografia è caratterizzata da numerosi sistemi montuosi che sono in stretta relazione con la distribuzione e la presenza del lupo. Il più importante è costituito dal tratto della dorsale appenninica che divide la Provincia di Arezzo da quelle di Firenze, Forlì e Pesaro, e rappresentato dal sistema montuoso del Falterona, di Camaldoli, dell’alta valle dell’Archiano (Poggio Baralla) e del Corsalone, dell’alta valle del Tevere (Monte Nero e

Monte Zucca) e dall’Alpe della Luna (Figura 2.2).

Figura 2.2 Alpe della Luna (foto Andrea Gazzola).

Collegati alla dorsale appenninica, ma da essa distinguibili, vi sono alcuni importanti sistemi montuosi secondari quali il massiccio del Pratomagno, l’Alpe della Catenaia, il

Sasso di Simone e Simoncello (Figura 2.3).

52

L’orografia della Provincia è completata dai restanti sistemi montuosi situati a maggiore distanza dalla dorsale appenninica principale e perciò di minore altezza: i Monti del

Chianti e l’alta val d’Ambra, l’Alpe di Poti ed il sistema montano che divide la val di

Chiana dal bacino del Tevere e costituito dall’alta valle del Cerfone, del Nestore, della

Minima e Minimella, nei comuni di Arezzo, Castiglion Fiorentino e Cortona.

La maggior parte del territorio (57,1%) è situato ad una quota > 400 mt, ed il 7,4% è situato sopra i 1000mt.

2.2 Uso del suolo La prevalenza dei sistemi di paesaggio della collina e della montagna si associa ad una elevata percentuale di aree boscate.

Dalla Carta Tecnica Regionale (C.T.R.) in scala 1: 10.000, le aree classificate come bosco o macchia ammontano al 51,0% del territorio. Dato analogo è fornito dai dati dell’Inventario Forestale Toscano (I.F.T.) in cui le formazioni boscate compresi gli arbusteti occupano il 52,0% della superficie. 53

Sempre dai dati dell’IFT si ha che in Provincia di Arezzo le colture agrarie di tipo arboreo

(vite, olivo e frutteto) occupano il 7,0% della superficie, i pascoli ed i prati stabili il 9,5% e gli altri coltivi il 25,8% .

Le aree boscate presentano una maggiore diffusione e continuità nelle aree dove sono ubicati i principali sistemi montuosi, quali tutto il Casentino, il Pratomagno valdarnese, l’alta valle del Tevere. Le aree colturali hanno la massima diffusione nella Val di Chiana e nelle conche intermontane del basso casentino, del valdarno superiore, della piana di

Sansepolcro ed Anghiari. I pascoli ed i prati stabili hanno una maggiore diffusione nell’alta valle del Tevere, del Marecchia e del Foglia, dove si alternano alle aree forestali creando habitat molto favorevoli agli ungulati, sia selvatici che domestici.

In provincia di Arezzo è presente una netta prevalenza dei boschi di latifoglie (62,8%), tra cui le specie più abbondanti sono il faggio (Fagus sylvatica), il castagno (Castanea sativa) e le querce: cerro (Quercus cerris) e roverella (Quercus pubescens). Le conifere (Abies alba, Pinus spp.) occupano il 5,5% delle aree boscate, mentre il 7,0% sono boschi misti fra conifere e latifoglie.

Le aree classificate in rinnovazione, che ammontano al 17.0%, sono costituite in prevalenza da boschi di latifoglie governati a ceduo.

2.3 Popolazione umana e aree urbanizzate Dal rapporto annuale ISTAT 2006, la Provincia di Arezzo ha una popolazione di 335.550 abitanti residenti che vivono su una superficie di circa 3230 Kmq. La densità abitativa è quindi di circa 100 abitanti/kmq, o se si preferisce di 1 abitante/ettaro.

Se facciamo riferimento alla classificazione ISTAT dei comuni in fasce altimetriche la distribuzione della popolazione appare molto diversa tra i comuni montani e quelli collinari.

54

Nei comuni classificati come collinari, dai dati dell’ultimo censimento del 2001, vive l’83,4% della popolazione residente della Provincia a fronte di una superficie del 60,2%.

Di conseguenza , i comuni collinari presentano una densità di abitanti nel 2001 che è 3,3 volte superiore a quella delle aree montane, con 138 abitanti/Kmq rispetto a 42 abitanti/Kmq. Questo divario nel corso dei decenni si è rafforzato in conseguenza del progressivo spostamento della popolazione tra queste aree: nel 1951 il rapporto tra le densità di abitanti delle due aree era pari soltanto a 2,1.

Oltre alla densità abitativa si possono prendere in considerazione altri indicatori per valutare il livello di antropizzazione del territorio, come la densità di infrastrutture stradali e ferroviarie e quella degli insediamenti abitativi e produttivi.

La densità stradale media per la Provincia di Arezzo, considerando tutte le strade carrozzabili di qualsiasi ordine, dalle autostrade alle strade forestali, è di 3,3km/kmq.

Nelle aree collinari c’è un terzo di strade in più rispetto alle aree montane e le strade asfaltate sono più diffuse: la densità complessiva è pari a 3,8 km/kmq di cui 1,0 km/kmq di asfaltate e 2,8 km/kmq di altre strade. In montagna i valori sono rispettivamente di 2,6 km/kmq, 0,8 km/kmq e 1,9 km/kmq.

2.4 Aree destinate alla protezione della fauna La localizzazione ed estensione di aree destinate alla protezione della fauna è un fattore di cruciale importanza ai fini di una efficace strategia di conservazione dei predatori in generale e del lupo in particolare.

In Provincia di Arezzo queste aree occupano una superficie complessiva di circa 62.000 ha, ripartita tra le diverse tipologie quali: Oasi di protezione, Zone di Protezione, Zone di protezione urbana, Zone di ripopolamento e cattura, Zone di rispetto venatorio, Riserve naturali regionali e Parchi nazionali (Figura 2.4).

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Aree destinate alla protezione

della fauna

Figura 2.4 Rete di aree protette nella provincia di Arezzo.

Più della metà di queste, circa 32.000 ha pari al 10% del territorio provinciale, sono ubicate nei complessi montuosi ad elevato indice di boscosità che costituiscono aree di grande interesse naturalistico per la loro elevata biodiversità e per lo scarso livello di impatto antropico. In gran parte si trovano all’interno dell’area costituita dai comuni montani.

Di questo territorio fa parte il sistema delle oasi di protezione faunistica istituito dalla

Provincia di Arezzo che interessa 10.500 ha suddivisi nelle cinque oasi di Pratomagno,

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Alpe di Catenaia, Alpe della Luna, Alto Tevere e Monte Modina, con superfici comprese tra 460 e 5370 ha.

Alle oasi si aggiunge il sistema delle Riserve naturali istituite dalla Regione, di cui fanno parte le riserve del Sasso di Simone e dell’Alpe della Luna, Monte Nero, Monti Rognosi e

Bosco di Montalto che sono ubicate in aree collinari e montane a formare un sistema complementare ed integrato con quello delle oasi di protezione.

Terza categoria sono le zone di protezione lungo le rotte di migrazione. Queste aree sono di dimensioni più ridotte rispetto alle precedenti, ma hanno ugualmente una rilevante importanza per la loro collocazione in una fascia altimetrica più bassa e soprattutto in comuni caratterizzati da scarsezza di altri istituti di protezione. Tra queste, è importante sottolineare il gruppo di zone del monte Lignano, Casteldernia, Sant’Egidio, Ranchetto,

Girifalco, Scopetone e Monte Dogana.

Il sistema di protezione della fauna è completato dalle aree protette statali, di cui la più rilevante è il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi-Monte Falterona e Campigna che si estende in Provincia di Arezzo per circa 13.770 ha sul medio ed alto versante appenninico del Casentino.

Queste aree a cui a vario titolo esistono diversi livelli di tutela della fauna, formano già oggi una rete di grande importanza per la conservazione della fauna vertebrata e del lupo in particolare (Figura 2.5 e 2.6).

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Figura 2.5 Oasi di protezione del Pratomagno.

Figura 2.6 Oasi di protezione di Catenaia.

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2.5 Distribuzione e consistenza degli ungulati selvatici Un fattore molto importante per la distribuzione potenziale dei carnivori in generale, e del lupo in particolare, è la disponibilità di prede selvatiche. In questo paragrafo ci limiteremo ad illustrare lo status degli ungulati selvatici nel territorio provinciale.

In provincia di Arezzo sono presenti cinque specie di ungulati selvatici, tutte appartenenti all’ordine degli artiodattili, di cui quattro specie di ruminanti ed una specie di suiforme.

Tra i ruminanti sono presenti: il capriolo, il cervo, il daino (Dama dama) ed il muflone

(Ovis orientalis musimon). A questa specie si aggiunge il cinghiale.

Ciascuna di queste popolazioni ha avuto una storia diversa per origine ed evoluzione nel tempo, che può essere descritta soltanto sommariamente.

Le specie più ampiamente distribuite ed abbondanti e che quindi caratterizzano maggiormente la disponibilità trofica per il lupo nel territorio provinciale sono il capriolo ed il cinghiale (Figura 2.7).

Figura 2.7 Cinghiale fotografato nell’Oasi Alpe di Catenaia (foto Elisa Bertolotto).

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La popolazione di capriolo attuale si è originata per progressiva dispersione di soggetti provenienti dall’area delle Foreste Casentinesi. L’origine esatta di questo nucleo è controversa: alcuni autori sostengono che il capriolo delle Foreste Casentinesi debba essere considerato indigeno e che non si sia mai completamente estinto in quest’area (Crudele

1988). E’ tuttavia documentata l’immissione di alcuni soggetti di origine alpina in due diverse occasioni, nel 1933 e nel 1950-51 (Crudele 1988). L’areale attuale di distribuzione interessa l’81% della provincia. La popolazione ha praticamente colonizzato tutta la superficie potenzialmente adatta alla specie, con recenti tentativi di insediamento anche in aree marginali con copertura boscata o cespugliata assente o quasi, sia in Valdichiana che nella pianura di Anghiari-Sansepolcro. La densità è variabile con un gradiente decrescente dall’area appenninica ai Monti del Chianti e quelli di Cortona-Castiglion Fiorentino. La consistenza totale in tarda primavera prima delle nascite è stimabile in 40.000 capi

(densità: 17,3 capi/100ha) (Figura 2.8).

Figura 2.8 Femmina di capriolo fotografata nell’Oasi Alpe di Catenaia (foto Elisa Bertolotto). 60

Il cinghiale presenta una distribuzione praticamente sovrapponibile a quella del capriolo anche se, in conseguenza ad una maggiore mobilità della specie e di aree vitali di maggiori dimensioni, sono più frequenti episodi di dispersione in aree coltivate lontano dalle aree boscate. Produrre stime attendibili per questa specie è molto difficile date le grandi difficoltà di censimento. Tuttavia, sulla base delle statistiche disponibili per la Provincia di

Arezzo è stata stimata una consistenza media di circa 18.000 soggetti in maggio dopo le nascite, relativa al periodo 2000-2004. Questo valore è una stima minima certa calcolata sulla base dei dati conosciuti dei distretti di gestione che assommano a circa 1500 Kmq; la consistenza complessiva è sicuramente più elevata ma di difficile valutazione a causa della difficoltà di stima dei flussi esistenti tra territorio gestito e aree protette.

Il cervo è presente con una sola vera popolazione che interessa l’appennino nell’alta valle del Casentino e del Tevere. L’area delle colline di Cavriglia-Castelnuovo dei Sabbioni è interessata marginalmente da un nucleo di cervi che gravitano prevalentemente nelle limitrofe province di Siena e Firenze, con erratismi per lo più stagionali nel versante aretino.

La popolazione appenninica si è originata da reintroduzioni effettuate prima dall’amministratore granducale Carlo Siemoni dopo il 1838 e successivamente reiterate dopo il periodo bellico tra il 1950 ed il 1960 dall’Azienda di stato per le foreste demaniali con 11 soggetti di provenienza alpina ed europea (Crudele 1988).

Dopo un lungo periodo iniziale, caratterizzato da un lento accrescimento che aveva portato la popolazione a raggiungere circa un centinaio di esemplari, agli inizi degli anni ‘80

(Mazzarone 1986), nel 1989 si stimavano nella sola provincia di Arezzo circa 280 capi distribuiti su circa 13.500 ha (Mazzarone et al. 1989). Nei 15 anni successivi la popolazione ha raggiunto una consistenza di circa 1100 capi nel 2004 distribuita in 61

maniera non uniforme su un’area complessiva di circa 38000 ha. Le densità primaverili variano a seconda dei settori da 0,9 a 6,5 capi/100 ha. L’espansione dell’areale prosegue, anche se lentamente, verso il Pratomagno lungo una direttrice che tocca Gualdo e il passo della Consuma, verso l’Alpe della Luna toccando il Monte Zucca e verso l’Alpe di

Catenaia.

Il daino è presente in buona parte del territorio della Provincia, con una distribuzione a chiazze che deriva dalle modalità con cui questa specie è stata introdotta nel territorio. La specie è stata immessa in un arco di tempo compreso tra gli anni ’50 e gli anni ’80 in numerose località sia per iniziative di privati (aziende faunistiche venatorie) sia di enti pubblici come il Corpo forestale dello stato. I centri di origine principali sono stati cinque a cui si possono ricondurre le cinque principali aree di distribuzione attuale, precisamente :

 Alto Casentino

 Valdarno superiore e versante Pratomagno

 Monti del Chianti

 Alta valle del Tevere e Alpe della Luna

 Alta valle del Cerfone-Minima e Minimella

Il daino è stato rilevato negli ultimi anni anche in numerose altre località a confermare il processo di espansione in atto.

Nelle aree principali, dove vengono effettuati censimenti primaverili a vista nei distretti di gestione e in alcune AFV, si stima una consistenza di circa 1240 capi corrispondente ad una densità di 3,9 capi/kmq.

Nell’intera provincia, sulla base del rapporto all’osservazione tra capriolo e daino, si stima che siano presenti ulteriori 350 capi per una consistenza complessiva di 1910 daini.

Nei primi anni ’90 esistevano in Provincia di Arezzo quattro colonie di muflone: Riserve biogenetiche casentinesi, Pratomagno valdarnese, AFV Badicroce-Monte Lignano, Monti

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del Chianti-Cavriglia. Le prime due si sono estinte e le restanti due sono in fase di forte riduzione numerica, in particolare quella di Badicroce-Monte Lignano.

La causa più accreditata per questo pattern di dinamica di popolazione è proprio l’impatto della predazione del lupo su una specie evolutasi in assenza di predatori, ed in contesto ambientale come quello appenninico notevolmente diverso dall’optimum ecologico per la specie.

Tutte le colonie sono state il frutto di operazioni di immissione operate da soggetti sia pubblici che privati in concomitanza con le immissioni di daino.

L’areale di distribuzione appare in contrazione. La consistenza della colonia di Lignano ha conosciuto un massimo di circa 280 capi nel 1997 per ridursi progressivamente a 150 capi nel 2004, con un crollo sotto i 50 capi nel successivo 2005. Le densità corrispondenti sono passate da 10 a 1,3 capi/kmq.

La colonia dei Monti del Chianti, analogamente a quanto visto per il daino, occupa un’area transfrontaliera con le limitrofe province di Siena e Firenze.

Il numero di soggetti è oscillato da un massimo di 81 nel 1999 ad un minimo di 23 nel

2005, con densità di 18-5,1 capi/kmq.

2.6 Clima I dati relativi alle tre stazioni termopluviometriche, poste rispettivamente a Stia (479 m s. l. m.), Eremo di Camaldoli (1111 m s. l. m.) e Badia Prataglia (835 m s. l. m.), consentono una buona caratterizzazione climatica dell’area di studio, in quanto la dislocazione geografica delle tre stazioni permette di rappresentare le fasce altimetriche e le zone fitoclimatiche presenti.

Per la Stazione di Stia, i dati relativi al periodo 1960-1973 evidenziano nelle fasce inferiori un clima riferibile ai caratteri di tipo mediterraneo, caratterizzato da precipitazioni

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concentrate nel periodo autunnale ed accentuata diminuzione tra maggio e settembre, non si riscontrano comunque condizioni di aridità, in quanto il valore complessivo delle precipitazioni annuali supera mediamente i 1000 mm con 118 giorni interessati da precipitazioni. Le temperature massime si registrano nel periodo luglio-agosto con medie intorno ai 21°C, le minime nel periodo invernale con medie intorno ai 4,5°C. La temperatura media annuale ha un valore di 12,3°C.

Si manifesta un andamento climatico con caratteristiche di maggiore continentalità nelle fasce altimetriche medio-alte dell’area di studio, rappresentate dai dati della Stazione di

Badia Prataglia (periodo di riferimento 1960-1984 per le precipitazioni). La media annuale delle precipitazioni è di oltre 1600 mm, con un numero medio di giorni pari a 123 all’anno, di cui 14 riguardanti nevicate. Lo spessore medio del manto nevoso è di 15,3 cm con una persistenza al suolo di quasi 50 giorni/anno.

La Stazione dell’Eremo di Camaldoli (periodo di riferimento 1951-1984) è rappresentativa delle quote più elevate. Le precipitazioni sono più concentrate nel periodo autunno- invernale e si prolungano anche in primavera; la media annuale delle precipitazioni supera i 1680 mm, con una media di 151 giorni/anno interessati, di cui 24,9 riguardano nevicate.

L’altezza media di riferimento della neve nel periodo suddetto è stata di 28,7 cm.

La temperatura media annua è stata di 8,2°C con minimi nei mesi invernali (gennaio- febbraio, in media -3,8°C) e massime nel periodo estivo (luglio-agosto in media 18°C).

L’inverno 2006-2007 è stato anomalo: le temperature registrate tra gennaio e aprile 2007 dalla Stazione di Camaldoli erano nettamente più alte delle medie stagionali (Grafico 2.1)

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Grafico 2.1 Andamento della temperatura da gennaio 2007 ad aprile 2007 (Stazione climatica di Camaldoli).

Inoltre, le precipitazioni nevose sono state scarse e poco frequenti (Grafico 2.2).

Grafico 2.2 Altezza della neve al suolo da gennaio 2007 ad aprile 2007 (Stazione climatica di Camaldoli).

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3 Materiali e Metodi Lo studio della popolazione di lupo della provincia di Arezzo è stato condotto essenzialmente con metodi naturalistici quali: la ricerca dei segni di presenza attraverso la percorrenza di transetti standard, la rilevazione su neve di piste d’impronte (snow- tracking), l’individuazione e l’accertamento del successo riproduttivo dei branchi di lupo attraverso la tecnica dell’ululato indotto (wolf-howling) e la raccolta di ulteriori informazioni (avvistamenti, lupi morti) provenienti dal Corpo di Polizia Provinciale, Corpo

Forestale dello Stato, dalla Comunità Montana nonché dai cacciatori.

Dal 2002 è stata distribuita un’apposita scheda ai cacciatori di selezione a cervidi e bovidi per la segnalazione della presenza del predatore. Ciò ha consentito di approfondire le conoscenze nelle aree non protette, soprattutto quelle poste a quote inferiori, più vicine alle aree urbane. Per mezzo di un software GIS (MapInfo Professional 5.0), le localizzazioni di tutti i segni di presenza sono state riportate su una mappa digitale.

Il periodo di studio, in cui sono stati collezionati i dati oggetto delle successive analisi, inizia nell’estate del 1998 e termina nell’estate 2007. La mia partecipazione all’attività di monitoraggio interessa gli anni 2006-2007 (ottobre-ottobre).

E’ importante ricordare che dal 2002, l’area all’interno del Parco Nazionale delle Foreste

Casentinesi, Monte Falterona e Campigna non è stata più oggetto di monitoraggio.

Inoltre, nella zona a sud della provincia, il monitoraggio è stato intrapreso a partire dal

2003 e nell’Alpe di Poti dal 2004, a seguito di informazioni occasionali.

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3.1 Transetti campione 3.1.1 Metodologia di campionamento In tale ricerca è stata individuata una rete di transetti che si evoluta nel corso degli anni di studio, seguendo lo sviluppo del progetto di monitoraggio, con un aumento progressivo della superficie monitorata. La rete si sviluppa principalmente lungo le dorsali principali e secondarie dei massicci montuosi e, in particolare, interessa il sistema delle principali aree protette.

I transetti sono costituiti da percorsi la cui lunghezza in media è di 12 km.

I transetti sono finalizzati al rilevamento dei segni di presenza della specie, quali: escrementi, impronte, urine, raspate, peli, resti alimentari e, nei casi più fortunati, l’osservazione diretta.

I segni di presenza più frequentemente rinvenuti sono gli escrementi. Per diminuire la probabilità di errori nell’attribuzione dell’escremento, ossia di confondere le fatte di lupo con quelle di altri animali simili, quali volpi o canidi di grossa taglia, sono stati considerati più criteri di valutazione (Ciucci, 1994):

1. selezione positiva per escrementi con diametro uguale o superiore a 3 cm; si escludono così escrementi di canidi di piccola taglia, rischiando però di escludere gli escrementi di cuccioli di lupo, a meno che essi non vengano raccolti in vicinanza dei siti di tana e allevamento (home-sites);

2. selezione positiva per escrementi con odore acre e intenso, dovuto alla secrezione della ghiandola anale (Asa et al., 1985b); tale ghiandola è in parte o completamente atrofizzata nei cani;

3. raccolta di escrementi solo in zone dove sia stata provata l’assenza di cani vaganti; essendo presenti quotidianamente ricercatori nell’area di studio è stato possibile rilevare l’eventuale presenza di cani vaganti. In caso di presenza, gli escrementi raccolti nell’area dell’avvistamento vengono esclusi dalle analisi. Va precisato che i cani presenti sul 67

territorio sono per la maggior parte cani padronali, i cui escrementi sono facilmente distinguibili per la diversa composizione. Tale distinzione risulterebbe difficoltosa nel caso in cui fosse presente un cane di taglia medio-grande con abitudini alimentari simili al lupo;

4. selezione positiva per escrementi trovati in vicinanza di siti corrispondenti a ritrovamenti precedenti;

5. selezione positiva per escrementi contenenti resti indigesti, quali peli, frammenti ossei, unghie, cartilagini, ecc.;

6. selezione positiva per escrementi trovati in vicinanza di altri segni di presenza (piste di impronte, urine, raspate, ecc.).

Per organizzare l’attività di monitoraggio, si è proceduto ad una divisione dell’area di studio in settori, ricalcanti a grandi linee il mosaico territoriale dei branchi ricavato dai precedenti anni di ricerca; all’interno di ciascun settore sono stati effettuati percorsi standardizzati, ripetuti con cadenza mensile (Figura 3.1).

Figura 3.1 Rete di transetti effettuata nella provincia di Arezzo.

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A tali transetti, si aggiungono dei percorsi che, invece, sono stati eseguiti in maniera occasionale (individuati sulla base di informazioni occasionali), che interessano le zone periferiche, al fine di individuare possibili aree di nuova colonizzazione della specie.

I percorsi seguono principalmente strade forestali e sentieri, frequentemente utilizzati dai lupi nei loro spostamenti.

3.1.2 Archiviazione dei dati Ad ogni escremento raccolto è stata associata una scheda compilata al momento della raccolta e avente le seguenti voci: codice progressivo della fatta, data, stima della data di deposizione, zona, località, coordinate del luogo, luogo di deposizione (sentiero, strada sterrata, strada asfaltata, fuori sentiero), posizione del luogo di deposizione (centrale, laterale, marginale e se lato esposto o lato coperto), substrato su cui è deposta, distanza della fatta da variabili ambientali (incrocio, ecotono, crinale, valico, impluvio e carcassa, quando presente), possibilità di analisi genetiche e parassitologiche sul campione (nel caso di escrementi freschi) e rilevatore. Ogni fatta così catalogata, è stata raccolta mediante un sacchetto di plastica trasparente, su cui è stato segnato un codice identificativo, e posta, in breve tempo, in congelatore a -18°C in attesa delle analisi di laboratorio per lo studio della dieta. Nel caso di escrementi freschi, la cui data di deposizione stimata fosse non superiore ai 7 giorni, ne è stato prelevato un campione per le analisi genetiche e parassitologiche e messo in congelatore sotto etanolo. Tutti i segni di presenza rilevati sono stati mappati con un GPSmap 60CSx, riportati su una mappa digitale e le coordinate di ciascuno sono state inserite in un database excel. Durante ogni percorso gli operatori annotavano i punti GPS della tracciatura. I transetti sono stati infine riportati sul computer con file grafici, mediante l’utilizzo del software GIS MapInfo Professional 5.0 e la disponibilità di cartine I.G.M.

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1:10000 georeferenziate in formato digitale. Inoltre, è stato sempre registrato su un database excel il calcolo dello sforzo chilometrico di monitoraggio eseguito.

3.2 Rilevazione di piste su neve (snow-tracking) 3.2.1 La tecnica L’attività di tracciatura su neve (snow-tracking) è risultata, fin dalle prime applicazioni degli anni ’50, una delle tecniche più produttive per il monitoraggio della specie, superata poi dall’avvento della radiotelemetria (Rowan 1950; de Vos 1950; Thompson 1952;

Burkholder 1959; Pimlott et al. 1969), l’unico mezzo in grado di fornire informazioni dettagliate su specie elusive come il lupo, ma anche più complesso e dispendioso dal punto di vista economico.

Consiste nell’intercettare e seguire le tracce lasciate dai lupi sul terreno coperto dalla neve, al fine principale di ricavare informazioni sulla presenza, distribuzione e consistenza numerica della specie nell’area di indagine.

Se in Nord America lo snow tracking si è affiancato come supporto alla radiotelemetria, in forte vigore già dai primi anni ’70, in Europa ha continuato ad essere la tecnica più impiegata negli studi della specie, sia a larga che piccola scala.

Le caratteristiche dell’habitat alpino e appenninico rendono irrealizzabili le tecniche di tracciatura aerea, applicate invece con successo in aree (Nord America, Canada, Alaska) con minore copertura forestale, dove è addirittura possibile l’identificazione di individui e branchi grazie alla loro diretta e ripetuta osservazione (Therberge and Strickland 1978;

Ballard et al. 1995).

Le tracciature su neve hanno alcuni assunti la cui maggiore o minore solidità si rispecchia nella qualità e nell’affidabilità dei risultati, primo fra tutti quello che le tracce di lupo siano differenziabili da quelle di cani medio-grossi; poiché questo non è possibile osservando la singola impronta (Harris e Ream 1983) e non sempre le piste di cani sono ben distinguibili 70

da quelle di lupi (Boitani et al. 1995), diventa necessario un approccio che diminuisca al massimo la possibilità di tracciare cani (Figura 3.2).

Figura 3.2 Piste di impronte di lupo su neve.

Un’altra fonte di errore che influenza l’attendibilità delle stime numeriche ricavate dalla tracciatura dei lupi: con il terreno coperto da un alto strato nevoso, questi tendono a camminare tutti nella stessa pista di impronte, generalmente quella di un dominante che apre la strada, al fine di minimizzare lo sforzo durante gli spostamenti. Questo implica che sia difficile contare con esattezza il numero di lupi all’interno di una pista e che sia necessario sfruttare quei segmenti in cui gli animali si dividono per breve tempo (aperture ad asola, a ventaglio); risulta quindi fondamentale seguire le impronte per distanze sufficienti (>500m), in modo di avere un’alta probabilità di rinvenimento di tali aperture

(Boitani 1982; Ciucci e Boitani 1998), per minimizzare gli errori nelle stime numeriche dei lupi tracciati. 71

Le tracciature possono inoltre includere gli spostamenti di individui in dispersione o durante movimenti extraterritoriali temporanei, che non appartengono a branchi residenti nelle aree in cui si è effettuato il campionamento (Ciucci 2001); questo crea un’altra potenziale fonte di errore nella quantificazione numerica degli individui stanziati all’interno di un territorio e di un branco.

Oltre ai principali obiettivi elencati, lo snow tracking offre anche altre possibilità di studio, permettendo di rinvenire con maggiore facilità campioni biologici dei lupi, compresi anche peli o resti di pasto. Gli escrementi rinvenuti sulle tracce non hanno valore solo ai fini dell’analisi della dieta: a causa delle particolari condizioni di mantenimento e dell’associazione a spostamenti e collegamenti all’interno dei diversi ambiti territoriali, risultano di prima importanza nelle applicazioni delle tecniche genetiche non invasive, adottate per sequenziare ed identificare differenti genotipi ed individui, definirne la collocazione spazio-temporale e individuare così gli ambiti territoriali dei diversi branchi residenti nell’area di studio (Lucchini et al., 2002; Scandura, 2005).

3.2.2 Metodologie di campionamento Il monitoraggio è di tipo opportunistico: tutti gli operatori, a seguito di una nevicata, si concentrano contemporaneamente su un settore, al fine di coprire uniformemente l’area di interesse e rilevare il maggior numero possibile di informazioni. In tal senso si è seguito un ordine di priorità dei settori di studio. La zona di primo interesse è l’Oasi di Protezione

Alpe di Catenaia in cui, studi paralleli sulla dieta e la genetica hanno richiesto la raccolta di un cospicuo numero di escrementi freschi e campioni genetici. Gli altri settori sono stati considerati della medesima importanza e campionati a partire, convenzionalmente, da quelli più prossimi all’Oasi di Protezione Alpe di Catenaia fintanto che lo stato della neve lo permettesse. Le sessioni di snow-tracking, interrotte a causa dello scioglimento della neve, sono state riprese a partire dall’ultima zona monitorata nella sessione precedente, al

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fine di giungere a conoscenza dell’arrangiamento spaziale e della consistenza numerica dei vari branchi presenti.

Le uscite sono state organizzate secondo un calendario che tenesse conto delle condizioni ambientali. Gli operatori di solito aspettano 24-36 ore dall’ultima nevicata per permettere ai lupi di compiere ampi spostamenti sul territorio (Ciucci e Boitani 1999).

L’approccio all’attività di tracciatura ha seguito una modalità generale: si è proceduto con le metodologie classiche, percorrendo a piedi (con eventuale aiuto di racchette da neve) strade sterrate e mulattiere, o recandosi presso crinali al fine di ottimizzare la possibilità di rinvenire gli spostamenti dei lupi; le tracce sono state poi seguite quando possibile (più operatori, tracce visibili in entrambe i sensi, ecc.) sia nel senso di marcia (front) che in quello opposto (back), ma prevalentemente solo in quest’ultimo, al fine di non disturbare gli animali nelle loro eventuali aree di rifugio diurne.

3.2.3 Archiviazione dei dati Ad ogni pista è stata associata una scheda identificativa, compilata al momento del rinvenimento e avente le seguenti voci: codice progressivo, data, zona, località, stima dell’età delle tracce, stima del numero di individui, comportamento generale

(perlustrazione, caccia, spostamento diretto), numero dei vari segni di presenza rinvenuti sulla pista (fatte, urine, raspate, carcasse, peli, sangue, punti di sosta/rifugio), note e rilevatore. Anche per ciascun segno di presenza è stata compilata un’apposita scheda cartacea di tipologia simile a quella utilizzata per gli escrementi, già descritta nel paragrafo

3.1.2, con l’aggiunta, per le urine, della posizione di minzione (RLU, SQU), della direzione di minzione (DU, NDU) e dell’associazione a fatte o raspate e per la raspate, dell’associazione a fatte o urine. La scheda per i campioni biologici (peli e sangue) presenta solo: codice progressivo, data, zona, località, coordinate, n° di campioni raccolti

(solo per i peli), n° di lupi per pista e rilevatore. I peli, raccolti mediante una pinzetta, sono

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stati conservati in buste trasparenti di piccole dimensioni, i campioni di sangue, prelevati con una paletta di plastica, messi in una provetta Eppendorf. Sia le bustine che le provette erano contrassegnate da un codice identificativo e poste, in breve tempo, in congelatore a -

18°C, in attesa delle analisi genetiche (Figura 3.3).

Figura 3.3 Campione biologico di lupo (sangue) rilevato su neve.

Anche in questo caso, tutti i ritrovamenti sono stati localizzati con un GPSmap 60CSx, riportati su una mappa digitale e inseriti con le proprie coordinate in un database excel.

Anche per le carcasse di ungulati consumati/predati dal lupo è stata compilata una scheda che presenta: codice della carcassa, data, sessione di snow-tracking, località, zona, coordinate, specie, età stimata, sesso, freschezza della carcassa, grado di consumo della carcassa, parti della carcassa consumate, segni riconducibili al predatore, modalità di predazione, parti prelevate, note e rilevatore. Le carcasse sono state a loro volta mappate e

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le loro coordinate inserite nel database. L’esiguità di carcasse rinvenute negli anni di studio non ha consentito di intraprendere studi in tal senso.

Durante ogni sessione gli operatori annotavano i punti GPS della tracciatura su neve.

Gli spostamenti compiuti dai lupi sono stati infine riportati sul computer con file grafici, mediante l’utilizzo del software GIS MapInfo Professional 5.0 e la disponibilità di cartine

I.G.M. 1:10000 georeferenziate in formato digitale.

Inoltre è stato sempre registrato su un database excel il calcolo dello sforzo chilometrico annesso ad ogni sessione e la quantizzazione dei km di tracce di lupi registrate.

3.3 Ululato indotto (wolf-howling) 3.3.1 La tecnica La tecnica dell’ululato indotto (wolf-howling) vide le sue prime applicazioni negli anni ’60, in Nord America, condotte al fine di ottenere indici di presenza e stime a livello di branchi, ma le prime valutazioni della sua affidabilità e delle condizioni ottimali di impiego risalgono agli anni ’80 (Harrington e Mech 1982c; Fuller e Sampson 1988).

Anche in Italia è stata utilizzata per rilevare presenza e densità locale della specie

(Boscagli 1985a, Meriggi et al. 1995; Ciucci et al. 1997; Apollonio e Mattioli 2006) ed effettuare censimenti a più larga scala (Boscagli 1985c).

La tecnica consiste nella riproduzione dell’ululato di un lupo, mediante registrazioni di animali o imitazione umana; i lupi tenderebbero a rispondere ad entrambe, anche se da alcuni studi risulterebbe una maggiore resa con l’imitazione vocale (Harrington e Mech

1978b), probabilmente a causa di alcune deformazioni del suono prodotte dagli apparecchi elettronici (Therberge e Falls 1967).

La tendenza a rispondere dei lupi varia in base alla dimensione dei branchi e al grado di associazione degli animali.

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Nella comunicazione tra branchi diversi assume un forte significato nella difesa e nel mantenimento del territorio, raggiungendo il massimo della frequenza durante il periodo dell’accoppiamento e dell’allevamento della prole (Harrington e Mech 1979; Gazzola et al., 2002), due momenti in cui i lupi difendono risorse di estrema importanza.

I lupi solitari e in dispersione, in movimento all’interno e tra i territori difesi dagli altri branchi, tenderebbero a non rispondere per non rivelare a questi la propria presenza e posizione, minimizzando il rischio di scontri che potrebbero risultare loro fatali

(Harrington e Mech 1979).

Sussistono diverse difficoltà pratiche nello stimare il numero delle voci del coro, raramente realizzabili con precisione se gli individui non si uniscono ad esso in modo asincrono

(Harrington e Mech, 1982c).

La distinzione degli ululati dei singoli esemplari è possibile attraverso l’analisi dei sonogrammi (Harrington e Mech, 1978b; Fuller e Sampson, 1988; Tooze et al., 1990).

Il solo utilizzo del wolf-howling è limitato per fornire stime di densità della specie

(Harrington e Mech 1982c); tale tecnica rimane comunque un mezzo di assoluta forza per valutarne la presenza e, dove questa è stata documentata, per conoscere il numero dei branchi e delle unità riproduttive (Crete e Messier 1987; Fuller e Sampson 1988).

Altra applicazione dell’ululato indotto è quella di individuare i nuclei riproduttivi e localizzarne i siti di rendez-vous.

Infatti, è dimostrato che la tendenza a rispondere dei cuccioli è superiore di quella degli adulti e già dopo le prime settimane di vita, sono in grado di unirsi al coro: questo rende i branchi in cui è avvenuta riproduzione più facili da campionare (Harrington e Mech

1982c).

Un’importante informazione da tenere in considerazione nell’applicazione della tecnica è legata, infine, alla differente capacità uditiva del lupo rispetto alla nostra; se l’orecchio umano è in grado di percepire un ululato a distanze che variano tra i 2-5 km (Fuller e 76

Sampson 1988; Harrington e Mech 1982c), i lupi invece sono in grado di udire fino a 10 km.

3.3.2 Metodologie di campionamento La tecnica degli ululati indotti è stata impegnata all’interno del progetto di ricerca essenzialmente al fine di individuare i branchi all’interno dei quali era con certezza avvenuta la riproduzione, confermando e definendo gli ambiti territoriali degli stessi: si assume che i branchi siano unità distinguibili con certezza solamente quando vengano identificati come differenti nuclei riproduttivi.

Una volta testimoniata la presenza di cuccioli, passo successivo è stato quello di avvicinarsi il più possibile al sito di risposta, per individuare con maggiore precisione il punto di provenienza delle risposte: questi, essendo punti di chiara importanza per i branchi locali, non hanno un solo interesse biologico, ma acquistano un estremo valore anche in termini di conservazione.

Per poter ottenere un corretto monitoraggio è stato condotto un censimento “a saturazione”

(Harrington e Mech, 1982b). L’intera area di studio è stata suddivisa in settori, ciascuno dei quali interessato da un circuito lungo il quale venivano individuate le stazioni di emissione-ascolto. Il numero di punti di emissione era influenzato dalla morfologia e dal tipo di vegetazione del territorio da censire, in modo che il suono si diffondesse in tutto il settore senza lasciare “zone d’ombra”. I siti di emissione sono stati scelti durante sopralluoghi diurni; sono tendenzialmente punti panoramici, distribuiti nelle zone di crinale, nella maggioranza dei casi raggiungibili con un fuoristrada. Il censimento è stato effettuato da più equipaggi in contemporanea allo scopo di monitorare settori adiacenti e permettere quindi l’eventuale localizzazione simultanea di branchi contigui.

Il wolf-howling è stato condotto durante le ore notturne, in quanto in questa fase è stata osservata una maggiore tendenza da parte dei lupi a rispondere alle stimolazioni (Rutter e

77

Pimlott, 1968; Harrington e Mech, 1978b e 1979). Inoltre, di notte, si riducono i rumori provenienti dall’ambiente circostante, soprattutto legati alle attività umane (Boscagli,

1985c).

La tendenza del lupo a rispondere alle stimolazioni varia durante l’anno; il periodo più redditizio è tra luglio ed ottobre (Harrington e Mech, 1979; Gazzola et al., 2002).

Durante le uscite era indispensabile che le condizioni meteorologiche fossero ottimali; un vento che supera i 12 km/ora può influenzare il tasso di risposta dei lupi e, insieme alla pioggia, impedisce una buona percettibilità dell’operatore, creando un rumore di fondo

(Harrington e Mech, 1982c).

Ogni notte di lavoro, a ciascun equipaggio è stato assegnato un circuito lungo il quale erano dislocate un certo numero di stazioni di emissioni da visitare (7-10 stazione/circuito).

In ogni stazione di emissione venivano eseguite due repliche di ululati, ognuna delle quali era intervallata da tre minuti di silenzio, in cui gli operatori attendevano l’eventuale risposta. Delle due emissioni, la prima era eseguita ad un volume più basso, per poter aumentare la probabilità di risposta da parte dei lupi presenti in prossimità del punto di emissione, e che altrimenti si sarebbero potuti intimidire (Harrington e Mech, 1982c).

Nelle emissioni è stata usata la registrazione di due lupi adulti dalla durata di 1 min. 40 sec.

La registrazione viene letta da un registratore che invia il segnale ad un amplificatore lineare di 40 Watt di potenza. L’amplificatore è collegato ad una tromba esponenziale, la quale presenta una risposta lineare alle frequenze incluse tra i 400 Hz ed i 3000 Hz, possiede inoltre una elevata direzionalità di emissione (120° di copertura orizzontale e 60° in verticale), garantendo una migliore prestazione rispetto ad un normale altoparlante

(Figura 3.4).

78

Figura 3.4 Attrezzatura per l’emissione dell’ululato e per la registrazione dell’eventuale risposta: registratore con amplificatore, M-audio con microfono e cuffia, batteria.

3.3.3 Archiviazione dei dati

Figura 3.5 Esempio di sonogramma associato ad una registrazione effettuata durante una sessione di wolf-howling.

Nel caso di risposta positiva, questa è stata registrata dagli operatori per mezzo di un registratore professionale Marranz CP 430 stereo o di un M-Audio, collegati ad un microfono direzionale con protezione antivento della Sennheiser (mod.K6p). Le risposte ottenute sono state analizzate con un apposito software (Raven Pro Beta version) che elabora il sonogramma associato alla traccia sonora (Figura 3.5).

Tale analisi consente di stimare il minimo numero di individui che compongono il coro e 79

di determinare la presenza dei piccoli nel branco e quindi il successo riproduttivo.

Per ogni sessione di wolf-howling è stata compilata un’apposita scheda nella quale sono state annotate la posizione della stazione di emissione (coordinate UTM), la direzione e l’ora dell’emissione (ora solare).

In caso di risposta sono state registrate l’angolo di provenienza, l’ora della risposta e stimato il numero presunto di individui (adulti e cuccioli). Lo sforzo di monitoraggio

(numero di emissioni effettuate) e le risposte ottenute sono state archiviate in un database.

Queste ultime sono state riportate su supporto informatico (cartografia digitalizzata, scala

1: 10 000) ed elaborate grazie all’ uso del programma MapInfo Professional 5.0.

3.4 Efficienza delle tecniche utilizzate L’efficacia delle tecniche impiegate è stata valutata attraverso l’utilizzo di particolari indici:

 Indice Chilometrico di Abbondanza (IKA): è stato calcolato dividendo il numero di segni di presenza trovati per i chilometri effettuati nella ricerca.

 Tasso di risposta: è stato calcolato dividendo il numero di risposte ottenute per il numero di emissioni effettuate. Non sono state considerate le emissioni e le risposte di “rafforzo”, ossia quelle avvenute dopo la prima risposta nella stessa notte di lavoro poiché avrebbero inficiato il calcolo.

Tali analisi sono state condotte solo per gli ultimi anni d’indagine (2005-2007).

80

3.5 Analisi della consistenza numerica e della distribuzione dei branchi in provincia di Arezzo dal 1998 al 2007

3.5.1 Numero e densità dei branchi La superficie potenziale della distribuzione del lupo, su cui è stata calcolata la densità dei branchi, è stata stimata mediante la carta dell’uso del suolo della provincia di Arezzo IFT

(Inventario Forestale Toscano). La superficie considerata include le seguenti categorie vegetazionali: 1) le praterie, i pascoli e i prati stabili; 2) i boschi; 3) rocce e greti; 4) i cespuglieti.

Tale superficie ammonta al 61,9% del territorio provinciale (2000 kmq).

La densità dei branchi è riportata come numero di branchi su 100 kmq.

3.5.2 Numero di lupi e densità media dei branchi Un settore è interessato dalla presenza di un branco quando gli operatori monitorano costantemente (sia in estate che in inverno) la presenza di almeno due individui. La presenza di un singolo individuo non è stata considerata indice di presenza stabile del lupo, in quanto potrebbe trattarsi di individui in dispersione.

La dimensione media del branco è stata calcolata in estate, utilizzando i dati relativi al wolf-howling.

La consistenza numerica della popolazione per anno è stata stimata considerando il numero massimo di individui monitorati tra la stagione estiva e la seguente invernale: maggio

(anno x) - aprile (anno x +1). Tale intervallo temporale rappresenta l’anno biologico del lupo in quanto le nascite si verificano in maggio, mentre verso la fine di aprile la femmina riproduttrice entra nella tana.

81

3.5.3 Successo riproduttivo dei branchi Per calcolare il successo riproduttivo di ogni branco, si è diviso, per ciascun nucleo familiare, il numero di anni in cui era stata accertata la riproduzione (cioè monitorata la presenza di cuccioli), per il numero di anni in cui ne era stata accertata la presenza.

Il successo riproduttivo annuale è stato calcolato dividendo, per ogni anno di studio, il numero di branchi di cui era stata accertata la riproduzione, per il numero di branchi di cui era stata accertata la presenza.

3.5.4 Ritrovamento di lupi morti I lupi rinvenuti morti sono stati attribuiti ad un’area specifica in base al luogo di ritrovamento, oltre che alle successive analisi genetiche condotte su campioni biologici dell’esemplare (pelo, sangue e tessuto). Per ogni esemplare sono state registrate informazioni morfo-biometriche e valutate le cause di morte. I fattori di mortalità registrati durante l’indagine sono: incidenti stradali e bracconaggio (colpo d’arma da fuoco, laccio ed avvelenamento). In alcuni casi non è stato possibile risalire alla causa di morte.

3.5.5 Distribuzione annuale dei siti di allevamento dei cuccioli (rendez-vous sites) Nel corso dell’intero periodo d’indagine è stato valutato il grado di fedeltà dei singoli branchi ai siti di allevamento dei cuccioli.

Per ogni branco è stata quindi calcolata la superficie del minimo poligono convesso (MPC) che racchiudeva tutte le localizzazioni dei rendez-vous sites rilevate nei dieci anni di studio

(1998-2007).

Minimo Poligono Convesso (MPC): il più piccolo dei poligoni convessi che racchiude tutte le localizzazioni ottenute per l’animale, l’MPC risulta essere tra i metodi più tradizionali e utilizzati per la rappresentazione degli spazi vitali. Il metodo non necessita di alcun assunto sulla distribuzione dei dati, è semplice ed immediato.

82

Per ogni anno, inoltre, è stata misurata la distanza tra i siti di riproduzione dei branchi contigui. Nel caso in cui, per un singolo branco, fossero state rilevate più localizzazioni di rendez-vous sites nella stessa estate, è stato utilizzato il centroide del MPC.

3.6 Test statistici

 Test del chi-quadrato(2): definito anche come “test di bontà di adattamento”, confronta esattamente la bontà della conformità (cioè l’accordo) tra la frequenza osservata e quella attesa.

2=(O - E)2/E

O = frequenza osservata

E = frequenza attesa

Con grado di libertà (gdl) dato da n-1, considerando n come il numero di categorie. Per decidere la soglia di significatività del valore, il limite di significatività delle analisi è stato posto ad α= 0,05.

 Test di Wilcoxon: è un test non parametrico utilizzato per comparare le mediane di due campioni appaiati. Utile per verificare, in presenza di valori ordinali provenienti da una distribuzione continua, se due campioni statistici provengono dalla stessa popolazione.

Il test richiede il calcolo della statistica T, la cui distribuzione di probabilità è conosciuta.

In tale test, il valore di una osservazione viene sottratto all’altra nell’ambito di una coppia.

Le osservazioni devono quindi essere misure di una scala per intervalli. Poniamo quindi 2 ipotesi: l’ipotesi nulla (H0), afferma che non esiste una differenza delle mediane tra le due serie di dati; l’ipotesi alternativa (H1), al contrario, afferma che esiste una differenza, senza

83

predire dove cada tale differenza. Il test di Wilcoxon per i dati appaiati quantifica sia la direzione che l’ampiezza dei cambiamenti in una serie di coppie appaiate. Per stimare il livello di significatività si consulta la tabella delle probabilità di distribuzione T. Quando T

è uguale o minore del valore critico nella tabella, con P=0,05, l’ipotesi nulla è rigettata.

 Test di Fisher: è utilizzato per la verifica d’ipotesi nell’ambito della statistica non parametrica in situazioni con due variabili nominali e piccoli campioni. Tale test è usato per verificare se i dati dicotomici di due campioni, riassunti in una tabella di contingenza

2X2, sono compatibili con l’ipotesi nulla (H0): ossia che le popolazioni di origine dei due campioni abbiano la stessa suddivisione dicotomica e che le differenze osservate con i dati campionari siano dovute semplicemente al caso.

 Test di Kolmogorov-Smirnov: è un test non parametrico che verifica la forma delle distribuzioni campionarie. Confronta quindi una distribuzione osservata, variabile aleatoria, con una distribuzione normale, calcolando la distanza tra la funzione cumulativa teorica F0(x) e la funzione cumulativa empirica Fn(x). Se F0(x) e Fn(x) sono

“sufficientemente simili” si accetta l’ipotesi nulla (H0), cioè che le due funzioni sono uguali, mentre la si rifiuta se le due funzioni sono dissimili. Come distanza si utilizza l’operazione sotto descritta.

Dn= |Fn(x) - F0(x)|

Dn rappresenta la massima differenza in valore assoluto tra la funzione empirica Fn(x) e la funzione teorica F0(X).

 Test H di Kruskal-Wallis: E’ un test non parametrico di confronto tra mediane di più variabili aleatorie indipendenti. E’ usato per piccoli campioni e richiede che le osservazioni siano trasformate in ranghi. L’ipotesi nulla (H0) comprende solo 84

l’appartenenza dei n campioni alla stessa popolazione, mentre l’ipotesi alternativa dice che almeno uno dei campioni non appartenga a tale popolazione. Una volta trasformati i dati in ranghi, indipendentemente dall’appartenenza ai singoli gruppi, si calcola per ogni gruppo la somma dei ranghi relativi con la formula sotto descritta.

 Ri= ½ n(n + 1)

Il valore della statistica H viene calcolato come:

2 H=12/nT(nT + 1) R i /ni – 3(nT+ 1)

nT= numero totale delle osservazioni

ni= numero delle osservazioni appartenenti all’i-esimo gruppo

La statistica H segue la distribuzione del 2 con n – 1 gradi di libertà, purchè il numero di ripetizioni per gruppo siano almeno 5. Se l’adattamento alla distribuzione del 2 non è valido, è possibile ricorrere ad apposite tavole di valori critici di H.

Le analisi statistiche sono state effettuate utilizzando il programma SPSS 13.0.

85

4 Risultati

4.1 Efficienza delle tecniche utilizzate La prima parte di analisi si basa su dati raccolti a partire dall’estate 2005; interessa, quindi, l’inverno 2006-2007 per quanto riguarda il reperimento di segni di presenza lungo transetti campione, gli inverni 2005-2006 e 2006-2007 per la tracciatura su neve (snow-tracking) e le estati 2005, 2006, 2007 per quanto riguarda il monitoraggio mediante ululato indotto

(wolf-howling). Queste rilevazioni sono utili, in tale contesto, ai fini di rendere evidente l’efficienza dei metodi utilizzati.

4.1.1 Segni di presenza lungo serie di transetti campione Durante il periodo estivo sono stati effettuati dei sopralluoghi occasionali, in quanto l’attività di ricerca principale è stata il monitoraggio con il wolf-howling.

Da ottobre-novembre, quando il censimento mediante ululato indotto inizia ad essere meno efficace (a causa dell’abbandono dei rendez-vous sites), l’attività di monitoraggio fondamentale è stata la raccolta dei segni di presenza tramite perlustrazione a piedi di transetti.

Durante il periodo che va da ottobre 2006 a marzo 2007, sono stati effettuati 165 percorsi, per un totale di 1414 km (vedi Tabella 4.1).

I percorsi comprendevano strade forestali e sentieri, distribuiti il più uniformemente possibile all’interno dell’area di studio, così da rivelare i settori maggiormente frequentati dalla specie (Figura 4.1).

Le zone di fondovalle, le più antropizzate, sono state escluse dal monitoraggio.

86

L’area monitorata si estende per una superficie di circa 1860 kmq, pari al 57,6% dell’intera provincia di Arezzo; da tale superficie è esclusa gran parte della porzione aretina del Parco

Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna (140kmq).

In Tabella 4.1 è riportato un indice di raccolta del numero di escrementi trovati per km di transetti monitorati durante i 6 mesi di indagine (ottobre 2006-marzo 2007). È stato stimato un IKA (Indice Chilometrico di Abbondanza) per gli escrementi.

anno n. uscite km percorsi n. escrementi n. escrementi/km

ottobre 06-marzo 07 165 1414 434 0,31

Tabella 4.1 Segni di presenza da ottobre 2006 a marzo 2007.

Legenda aree colorate:

Area in verde=Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi

Aree in grigio chiaro=Oasi di Protezione Faunistica

Figura 4.1 Distribuzione spaziale dei transetti monitorati durante il periodo invernale (ottobre 2006-marzo 2007) sul territorio provinciale.

87

In Figura 4.2 viene riportata la distribuzione spaziale degli escrementi rinvenuti su scala provinciale nell’inverno 2005-2006 e nell’inverno 2006-2007.

Legenda aree colorate:

Area in verde=Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi

Aree in grigio chiaro=Oasi di Protezione Faunistica

Figura 4.2 Distribuzione spaziale degli escrementi rinvenuti durante i due periodi di studio invernali considerati (ottobre 2005-marzo 2006 e ottobre 2006-marzo 2007) in provincia di Arezzo.

4.1.2 Tracciatura su neve (snow-tracking) Come mostrato in Tabella 4.2, nell’inverno 2005-2006, in presenza di copertura nevosa, sono state intercettate e seguite 25 piste di impronte di lupo per un totale di 92 km. La lunghezza delle piste seguite varia da un minimo di 179 metri ad un massimo di 7,3 chilometri.

88

Tra la seconda metà di dicembre 2006 e la fine di gennaio 2007, sono state intercettate e seguite 33 piste per un totale di 66 km. L’esiguità dei chilometri rinvenuti è dovuta alla scarsezza di copertura nevosa presente al suolo.

Lungo le piste d’impronte, sono stati ritrovati 13 escrementi, 73 urine e 65 raspate per l’inverno 2005-2006 e 10 escrementi, 45 urine e 35 raspate per l’inverno 2006-2007

(Tabella 4.2). Anche in questo caso è stato calcolato un IKA per ogni segno di presenza

(Tabella 4.2). La proporzione dei diversi segni di presenza rinvenuti seguendo le piste d’impronte dei lupi su neve non differisce significativamente nei due inverni d’indagine

(Test del chi-quadrato: 2= 0,64 gdl=2 n.s.).

n. km n. n. n. n. n. n. periodo piste piste escrementi urine raspate escrementi/km urine/km raspate/km

Inverno 25 92 13 73 65 0,14 0,79 0,71 2005/06

Inverno

2006/07 33 66 10 45 35 0,15 0,68 0,53

Tabella 4.2 Segni di presenza rinvenuti sulle piste di impronte su neve.

Inoltre, è stato analizzato il grado di associazione degli animali seguiti lungo le piste su neve. Come mostra il Grafico 4.1 a) e b), la maggior parte delle piste d’impronte di lupo era lasciata da 2 individui, sia nell’inverno 2005-2006 che in quello 2006-2007 (48% e

40% rispettivamente). Il numero di lupi è variato da un minimo di 2 ad un massimo di 7 esemplari per l’inverno 2005-2006 e da un minimo di 1 ad un massimo di 5 per l’inverno

2006-2007. Il grado di associazione riscontrato nei due inverni è risultato differente (Test del chi-quadrato: 2= 10,13 gdl=3 p< 0,05).

89

a)

Inverno 05-06

4% 1 individuo 4%4% 2 individui 12% 3 individui 48% 4 individui 5 individui 6 individui 28% 7 individui

b)

Inverno 06-07

6% 3% 1 individuo 30% 2 individui 21% 3 individui 4 individui 5 individui 6 individui 40% 7 individui

Grafico 4.1 Percentuale del numero di individui per pista, seguiti durante l’inverno 2005-2006 a) e l’inverno

2006-2007 b).

90

4.1.3 Tecnica di monitoraggio dell’ululato indotto (wolf-howling) In Tabella 4.3, viene riportato lo sforzo di campionamento e le risposte ottenute dal monitoraggio effettuato durante il periodo estivo, a partire dal 2005 fino al 2007, applicando la tecnica dell’ululato indotto.

anno n. emissioni n. risposte

2005 573 30

2006 404 28

2007 629 24

Totale 1606 82

Tabella 4.3 Sforzo di campionamento e risposte complessive ottenute con l’attività di monitoraggio dell’ululato indotto (estate 2005, 2006, 2007).

Come è possibile osservare, per l’anno 2005, sono state effettuate 573 emissioni e collezionate 30 risposte, per l’anno 2006, 404 emissioni e 28 risposte, infine per l’anno

2007, 629 emissioni e 24 risposte.

In Tabella 4.4 vengono riportati lo sforzo annuale di lavoro (numero di emissioni), il risultato ottenuto (numero di risposte) e il relativo tasso di risposta. Tale indice evidenzia un elevato sforzo di ricerca a fronte di un limitato successo. Infatti, i valori annuali della frequenza di risposta (R/E) oscillano tra il 2,3% e il 4,5%.

Durante i tre anni d’indagine non sono state riscontrate differenze significative del tasso di risposta (Test del chi-quadrato: 2= 4,23 gdl=2 n.s.).

91

anno n. emissioni n.risposte R/E

2005 564 15 0,027

2006 396 18 0,045

2007 599 14 0,023

Totale 1559 47 0,030

Tabella 4.4 Risultati della frequenza di risposta R/E (estate 2005, 2006, 2007).

4.2 Analisi della consistenza numerica e della distribuzione dei branchi in provincia di Arezzo dal 1998 al 2007 La seconda parte di analisi si basa su dati raccolti a partire dall’estate 1998 fino all’estate

2007. Tali stime hanno permesso di analizzare la consistenza numerica e la distribuzione della popolazione di lupo nella provincia di Arezzo. E’ importante ricordare che dal 2002, l’area all’interno del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e

Campigna, dove erano presenti due branchi in maniera stabile, non è stata più oggetto di monitoraggio (le informazioni su Camaldoli dopo il 2001 sono state fornite dal Corpo

Forestale dello Stato). Inoltre, nella zona a sud della provincia, i branchi recentemente stabiliti sono stati monitorati a partire dal 2003 e il branco presente nell’Alpe di Poti a partire dal 2004.

4.2.1 Numero e densità dei branchi Per osservare come varia temporalmente la consistenza numerica e la densità della popolazione di lupo nella provincia di Arezzo, sono stati utilizzati i dati collezionati mediante l’utilizzo delle differenti tecniche già descritte (wolf-howling, snow-tracking, e 92

informazioni occasionali). Tuttavia, le metodologie applicate non consentono di valutare il numero degli individui in dispersione.

La Tabella 4.5 mostra il numero di branchi monitorati per ciascun anno di studio e la relativa densità annua. Come si può osservare, i branchi di cui è stata accertata la presenza variano da un minimo di 8 nel 2005, ad un massimo di 14 nel 2004. La media è di 10,8 branchi censiti sui 10 anni di studio. La densità rappresenta una stima minima del numero dei branchi presenti in un dato anno biologico, rapportato alla superficie oggetto di monitoraggio, 2000 kmq. La provincia di Arezzo, rappresenta un luogo favorevole alla presenza del lupo (0,40-0,70 branchi/100 kmq, con una media di 0,540,03 branchi/100kmq) e sembra ancor oggi soggetta ad evoluzione del popolamento (vedi

Grafico 4.3 b) nel paragrafo seguente)

n. branchi densità annua anno monitorati (n. branchi/100kmq)

1998 10 0,50

1999 9 0,45

2000 10 0,50

2001 12 0,60

2002 10 0,50

2003 13 0,65

2004 14 0,70

2005 8 0,40

2006 13 0,65

2007 9 0,45

Media ES 10,8 0,540,03

Tabella 4.5 Numero di branchi monitorati annualmente, nel periodo di studio e relativa densità.

93

4.2.2 Numero dei lupi e dimensione media dei branchi Dal 1998 al 2007, è stato stimato il numero minimo di individui presenti, per ciascuna zona monitorata in cui è stata supposta la presenza di un branco. Nelle estati, tale stima è stata registrata mediante la tecnica dell’ululato indotto (wolf-howling) e grazie ad osservazioni dirette di esemplari della specie; negli inverni, mediante tracciatura di piste su neve (snow- tracking), integrate da osservazioni dirette (Tabella 4.6 a e b). Come si può osservare dalla

Tabella 4.6, il numero di individui per branco varia da 2 a 8 individui. I branchi di cui sono state stimate le maggiori dimensioni, nel corso degli anni di studio, sono quelli del Sasso di

Simone e dell’Alpe della Luna Nord, con numero stimato massimo di 8 individui, e quelli di Camaldoli, della Vallesanta, dell’Alpe della Luna Sud e infine del Pratomagno Centro, con 7 individui. Gli anni nei quali si sono registrati i numeri più elevati di individui di lupo, stimati nella provincia, sono stati il 2001 (45 individui in estate e 40 in inverno) e il

2004 (44 individui in estate e 40 in inverno).

94

a)

estate estate estate estate estate estate estate estate estate estate Zone 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Saf 5 4 3 4 0 4 0 0 0 0 Camaldoli 4 5 4 4 0 4 0 0 0 7 Vallesanta 2 4 3 4 5 3 6 4 5 7 Catenaia 4 5 4 4 4 4 4 3 5 2 Alpe di Poti 0 0 0 0 0 0 1 4 3 3 Lignano 0 0 0 0 1 4 4 0 4 6 Consuma 0 0 0 2 6 1 0 0 5 0 Pratomagno Nord 0 3 4 4 0 0 0 0 0 0 Pratomagno Centro 4 0 0 4 4 2 5 4 4 2 Pratomagno Sud 0 5 1 4 5 4 6 6 3 0 Sasso di Simone 4 0 4 2 4 3 3 1 8 2 Alpe della Luna Nord 5 0 5 4 3 5 4 5 0 3 Alpe della Luna Sud 0 4 1 7 5 4 5 2 3 5 Alto Tevere 0 3 3 2 2 0 2 0 0 0 Chianti 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 Ambra-Calcione 0 0 0 0 0 4 4 0 0 1 Totale numero di 28 33 32 45 39 42 44 29 40 38 lupi b)

inverno inverno inverno inverno inverno inverno inverno inverno inverno Zone 1998/99 1999/2000 2000/01 2001/02 2002/03 2003/04 2004/05 2005/06 2006/07 Saf 4 5 2 0 0 1 4 0 0 Camaldoli 4 5 4 3 0 4 6 0 4 Vallesanta 3 3 3 2 4 4 2 4 3 Catenaia 2 3 3 4 6 5 5 6 3 Alpe di Poti 0 0 0 0 0 0 2 0 0 Lignano 0 0 0 0 0 5 3 0 0 Consuma 0 0 0 0 0 0 0 0 0 Pratomagno Nord 0 4 3 3 2 2 2 0 5 Pratomagno Centro 0 0 0 5 6 2 4 7 3 Pratomagno Sud 4 4 4 4 3 2 3 0 3 Sasso di Simone 4 0 0 4 2 1 0 3 0 Alpe della Luna Nord 3 2 5 8 4 2 5 5 1 Alpe della Luna Sud 4 3 6 7 5 4 3 0 0 Alto Tevere 3 5 4 0 2 2 0 0 2 Chianti 0 0 0 0 0 0 0 1 4 Ambra-Calcione 0 0 0 0 0 3 1 0 0 Totale 31 34 34 40 34 37 40 26 28

Tabella 4.6 Numero minimo di individui stimati annualmente per branco nel corso degli anni di studio

(1998-2007), nel periodo estivo a) e nel periodo invernale b).

95

Sulla base di questi dati è stato possibile affermare che la consistenza numerica totale della popolazione di lupo in provincia di Arezzo non varia significativamente dall’estate all’inverno, nel corso degli anni di studio (Wilcoxon: Z=1,904 p=0,057 n.s.) (Grafico 4.2).

45 Outliers are hidden

40 Legenda delle stagioni:

1= estate 2= inverno

35 numero lupi numero

30

0 1 2 stagione

Grafico 4.2 Variazione del numero totale di lupi presenti in provincia di Arezzo in estate (arancione) e in inverno (azzurro), durante l’intero periodo di studio (estate 1998-estate 2007).

96

Sebbene il numero di branchi sia elevato, il numero di lupi che vanno a comporre un branco è limitato. Infatti, pur essendo stati osservati più volte branchi di 8 esemplari, in media, ogni anno, vengono rilevati 4 individui (Tabella 4.7).

dimensione media n. branchi censiti in anno del branco in estate estate (n. lupi/branco)

1998 7 4

1999 8 4

2000 8 4

2001 12 4

2002 9 4

2003 11 4

2004 10 4

2005 7 4

2006 9 4

2007 9 4

Tabella 4.7 Dimensione media dei branchi in estate per ciascun anno di studio.

Infine, si è voluto investigare come varia l’andamento temporale del numero totale di lupi presenti nella provincia e il numero totale di branchi, nel corso dei 10 anni di studio. Come mostrato dal Grafico 4.3 a) e b), sebbene sia la consistenza numerica della specie, sia il numero di branchi presenti nella provincia di Arezzo oscillino nel tempo, la tendenza dell’andamento del numero di lupi è positiva come quella del numero di branchi.

97

a) 70

60

50

40

30

numerolupi di y = 0,6667x - 1289,2 20

10

0 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 anno

b)

16

14

12

10

8

6 y = 0,1091x - 207,65 4

numero max branchi monitorati 2

0 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 anno

Grafico 4.3 Variazione della consistenza numerica della popolazione di lupo a) e del numero di branchi b)

presenti negli anni di studio (1998-2007), in provincia di Arezzo.

98

4.2.3 Successo riproduttivo dei branchi Come si può osservare nella Tabella 4.8, il numero di branchi di lupo, di cui è stata accertata la riproduzione (contraddistinti dal numero 1) in provincia di Arezzo, è oscillato da un minimo di 6, nel 1998, ad un massimo di 10 nel 2001.

estate estate estate estate estate estate estate estate estate estate Riproduzione/Zone 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Saf 1 1 0 1 0 0 0 0 0 0 Camaldoli 1 1 1 1 0 1 0 0 0 1 Vallesanta 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Catenaia 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Alpe di Poti 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1 Lignano 0 0 0 0 0 1 0 0 1 1 Consuma 0 0 0 1 1 0 0 0 1 0 Pratomagno Nord 0 1 1 1 0 0 0 0 0 0 Pratomagno Centro 1 0 0 1 1 0 1 1 1 0 Pratomagno Sud 0 1 0 1 1 1 1 1 1 0 Sasso di Simone 1 0 1 0 0 1 1 0 1 0 Alpe della Luna Nord 1 0 1 1 1 1 1 1 0 1 Alpe della Luna Sud 0 1 0 1 1 0 1 0 1 1 Alto Tevere 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 Chianti 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 Ambra-Calcione 0 0 0 0 0 1 1 0 0 0 Totale 6 7 7 10 7 8 8 6 9 7

Tabella 4.8 Branchi di cui è stato accertato il successo riproduttivo nel corso dell’indagine (1998-2007).

Sulla base di questi dati si è voluto investigare il successo riproduttivo di ogni branco presente nella provincia di Arezzo, stimato sugli anni in cui è stata accertata la presenza dei branchi medesimi (Grafico 4.4). I branchi che hanno avuto un successo riproduttivo pari al

100% sono stati quelli di Catenaia, di Camaldoli, della Consuma e di Ambra e Calcione. I branchi del Chianti (0%) e dell’Alto Tevere (13%) hanno rivelato il minor successo riproduttivo.

99

120

100

80

60

40

20 successoriproduttivo (%)

0

Saf Chianti Catenaia Lignano CamaldoliVallesanta Consuma Alpe di Poti Alto Tevere Ambra-Calcione Pratomagno NordPratomagnoSasso Sud di Simone Pratomagno Centro Alpe della Luna Sud Alpe della Luna Nord branchi

Grafico 4.4 Percentuale del successo riproduttivo di ogni branco della provincia di Arezzo sugli anni di monitoraggio dei branchi medesimi.

Infine, si è voluto calcolare il successo riproduttivo nella provincia di Arezzo per ogni anno di studio, come percentuale di branchi di cui è stata accertata la riproduzione sul totale dei branchi monitorati il medesimo anno. (Grafico 4.5). Come si evince dal Grafico

4.5, sebbene le percentuali del successo riproduttivo oscillino negli anni tra il picco massimo del 2001 (83%) e il picco minimo del 2004 (57%); la tendenza del successo riproduttivo, nel tempo, è piuttosto stabile.

100

90 80 70 60 50 40 30 20 y = 0,2303x - 390,98

successo riproduttivo (%) 10 0 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 anno

Grafico 4.5 Successo riproduttivo nella provincia di Arezzo, per anno, sui branchi monitorati nel medesimo anno.

4.2.4 Ritrovamento lupi morti E’ stata, inoltre, effettuata un’analisi sulle cause di mortalità registrate negli anni di studio.

Nel periodo compreso tra l’Aprile 1998 e l’Aprile 2007, sul territorio della provincia di

Arezzo sono stati recuperati 36 lupi morti, con un massimo di 6 ritrovamenti negli anni

2002 e 2003 ed un minimo di 2 negli anni 1999, 2001 e 2004 (Grafico 4.6). La linea di tendenza che accompagna l’andamento del numero di lupi morti, ritrovati negli anni, è una retta.

101

7 6 5 4 3 2 y = 3,6

numero lupi numeromorti lupi 1 0 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 anno

Grafico 4.6 Numero individui ritrovati morti dall’Aprile 1998 all’Aprile 2007.

Gli esemplari trovati morti sono distribuiti in misura relativamente omogenea all’interno della provincia, con maggior concentrazione nell’Alpe della Luna Nord e Sud, in Catenaia e nell’Alto Tevere.

L’età dei lupi trovati morti è stata accertata in 31 individui. Tra questi, il 58% era inferiore all’anno di età; la proporzione tra giovani e adulti non differiva significativamente dalla proporzione giovani/adulti osservata in estate nella popolazione (test chi-quadrato: 2=0,72 gdl=1 n.s.). Il sesso degli esemplari rinvenuti è stato accertato in 30 casi. Tra questi il 53% era di sesso maschile, non è stata riscontrata nessuna differenza significativa tra la proporzione di maschi e femmine rinvenuti morti (test chi-quadrato: 2=0,03 gdl=1 n.s.).

I casi di mortalità, dei quali sono state accertate le cause, erano completamente dovuti a fattori antropici, sia volontari (bracconaggio), che involontari (investimenti) (Grafico 4.7).

Il bracconaggio include morti avvenute per avvelenamento, colpo d’arma da fuoco e laccio.

102

Casi di mortalità naturale non sono stati registrati nel periodo di studio; inoltre, il 25% delle morti è avvenuto per cause sconosciute.

36% 39% Bracconaggio Ignota Incidente stradale

25%

Grafico 4.7 Incidenza delle differenti cause di mortalità in 36 lupi trovati morti dal 1998 al 2007.

Inoltre, si è voluto analizzare come le differenti cause di morte impattino su individui giovani (sotto l’anno di età) e adulti (sopra l’anno di età) e di sesso maschile e femminile

(Grafico 4.8 a e b). Come si può osservare dal Grafico 4.8, i fattori di mortalità non sembrano influire differentemente sulle classi di sesso come confermato dalla statistica

(test di Fisher: psesso=0,5 n.s), al contrario sembrano influire diversamente sulle classi di età, siamo infatti al limite della significatività (test di Fisher: petà=0,060 n.s.).

103

a)

10 8 Maschi Femmine 6 4

2 numero lupi morti 0 Bracconaggio Incidente stradale cause di mortalita'

b)

10 8 Giovani Adulti 6 4

numero lupi morti 2 0 Bracconaggio Incidente stradale cause di mortalita'

Grafico 4.8 Cause di mortalità in relazione alle classi di sesso a) e alle classi di età b).

104

In ultima analisi, considerando due intervalli temporali (periodo di caccia: agosto-marzo; periodo di non caccia: aprile-luglio), abbiamo testato che la percentuale di lupi adulti rinvenuti morti nel primo periodo supera di gran lunga quello del secondo (test chi- quadrato: 2 =7,314 gdl=1 p<0,01), non sono stati considerati i giovani nell’analisi statistica perché nel periodo di non caccia sono appena nati e tendenzialmente non abbandonano la tana. (Grafico 4.9).

16

14

12

10 (Giovani(<12 mesi 8 (Adulti(>12 mesi

6 Indeterminati

numero lupi morti 4

2

0 Caccia No caccia periodo

Grafico 4.9 Lupi ritrovati morti (suddivisi in classi di età) nei due intervalli temporali considerati, periodo di caccia e periodo di non caccia.

4.2.5 Distribuzione annuale dei siti di allevamento dei cuccioli (rendez-vous sites) Per effettuare questo tipo di analisi, ci siamo avvalsi delle informazioni rinvenute mediante il wolf-howling e le osservazioni dirette di adulti con cuccioli.

Sovrapponendo tutte le localizzazioni collezionate nelle estati di studio (estate 1998-estate

2007), abbiamo ottenuto, un’area, per ciascun branco, che descrive il più piccolo dei poligoni convessi che le racchiude, ovvero il MPC (Figura 4.4). Non è stato possibile

105

creare i MPC per il branco del Chianti, perché non è mai stata accertata la riproduzione, invece per il branco dell’Alto Tevere e per quello di Ambra e Calcione, per insufficienza di localizzazioni (per creare un poligono ne servono almeno tre).

Come è possibile notare in Figura 4.3, tali superfici variano sensibilmente; l’area di minori dimensioni è quella relativa al branco della Saf, la più vasta, invece, è quella relativa al branco dell’Alpe della Luna Nord.

Legenda MPC:

1=Pratomagno Sud 2=Pratomagno Centro 3=Pratomagno Nord 4=Consuma 5=Saf 6=Camaldoli 7=Vallesanta 8=Catenaia 9=Alpe di Poti 10=Lignano 11=Alpe della Luna Sud 12=Alpe della Luna Nord 13=Sasso di Simone Figura 4.3 Rappresentazione grafica MPC dei branchi.

Le dimensioni di questi poligoni variano da un minimo di 62 mq (Saf) ad un massimo di

2613 mq (Alpe della Luna Nord), con una media di 1269 mq250 mq (Tabella 4.9), inoltre la distribuzione delle superfici non si discosta da una distribuzione normale (Kolmogorov-

Smirnov: 0,182 p=0,2 n.s.)(Grafico 4.10).

106

branco dimensione MPC

(mq)

Saf 62

Pratomagno Nord 92

Camaldoli 307

Sasso di Simone 606

Alpe di Poti 871

Pratomagno Centro 1244

Consuma 1252

Pratomagno Sud 1272

Lignano 1293

Alpe della Luna Sud 1778

Vallesanta 2505

Catenaia 2606

Alpe della Luna Nord 2613

MediaES 1269250

Tabella 4.9 Dimensione degli MPC dei branchi (mq).

107

3 00 0

2 50 0

2 00 0

1 50 0

1 00 0

50 0

0

dim ension e M P C (mq)

Grafico 4.10 Distribuzione delle superfici degli MPC (mq) dei branchi.

In seguito, abbiamo stimato le distanze, in metri, tra i centroidi dei MPC dei branchi contigui (Figura 4.4). Non è stato possibile calcolare le distanze Consuma-Saf, Alto

Tevere-Sasso di Simone e Alto Tevere-Alpe della Luna Sud, per assenza di localizzazioni in contemporanea negli anni di studio (1998-2007).

108

Legenda delle distanze:

1= Pratomagno Sud-Pratomagno Centro 2= Pratomagno Centro-Pratomagno Nord 3= Pratomagno Nord-Consuma 4= Saf-Camaldoli 5= Camaldoli-Vallesanta 6= Vallesanta-Catenaia 7= Catenaia-Alpe di Poti 8= Alpe di Poti-Lignano 9= Alpe della Luna Nord-Alpe della Luna Sud 10= Alpe della Luna Nord-Sasso di Simone 11= Alto Tevere-Vallesanta

Figura 4.4 Distanze(m) tra i centroidi dei MPC dei branchi contigui.

Come mostra la Tabella 4.10, le distanze tra branchi adiacenti variano da un minimo di

4349 m, tra il branco dell’Alpe della Luna Nord e Sud; ad un massimo di 18631 m, tra il branco di Catenaia e quello dell’Alpe di Poti, con un valore medio di 11165 m 1046 m.

109

branchi contigui distanza tra i centroidi di

MPC adiacenti(m)

Alpe della Luna Nord-Alpe della Luna Sud 4349

Consuma-Saf 6640

Alpe della Luna Sud-Alto Tevere 9023

Pratomagno Sud-Pratomagno Centro 9346

Vallesanta-Catenaia 9410

Alpe di Poti-Lignano 9586

Saf-Camaldoli 10042

Pratomagno Nord-Consuma 10160

Pratomagno Centro-Pratomagno Nord 10573

Alpe della Luna Nord-Sasso di Simone 12867

Alto Tevere-Vallesanta 13301

Alto Tevere-Sasso di Simone 15118

Camaldoli-Vallesanta 17267

Catenaia-Alpe di Poti 18631

Media ES 111651046

Tabella 4.10 Distanze (m) tra i centroidi di MPC contigui.

In base alle misurazioni delle distanze tra i siti di allevamento dei cuccioli, calcolate annualmente, è stato possibile verificare, come descritto dal Grafico 4.11, che le distanze tra i branchi adiacenti non variano significativamente nel corso degli anni (Kruskal-Wallis:

9,671 p=0,378 n.s.).

110

25000 Outliers are hidden

20000

15000 distanza (metri) distanza

10000

5000 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007

anno

Grafico 4.11 Confronto tra le distanze di branchi contigui per ciascun anno di studio.

Inoltre, è emerso che il confronto tra le distanze di branchi adiacenti non varia significativamente (Kruskal-Wallis: 18,262 p=0,051 n.s.) (Grafico 4.12). Ogni box-plot rappresenta l’insieme delle distanze di 2 branchi contigui, misurate nei 10 anni di studio.

111

20000 Outliers are hidden

15000

(metri) distanza

10000

5000

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11

branchi contigui

Legenda dei branchi contigui:

1= Pratomagno Sud-Pratomagno Centro 2= Pratomagno Centro-Pratomagno Nord 3= Pratomagno Nord-Consuma 4= Saf-Camaldoli 5= Camaldoli-Vallesanta 6= Vallesanta-Catenaia 7= Catenaia-Alpe di Poti 8= Alpe di Poti-Lignano 9= Alpe della Luna Nord-Alpe della Luna Sud 10= Alpe della Luna Nord-Sasso di Simone 11= Alto Tevere-Vallesanta

Grafico 4.12 Confronto tra distanze di branchi adiacenti.

112

Infine, si è voluta correlare la dimensione dei MPC di ciascun branco con il successo riproduttivo corrispondente e con il numero di lupi ritrovati morti nell’area che ricalca approssimativamente il territorio di quel branco (Tabella 4.11).

dimensione successo

branco MPC (mq) riproduttivo (%) mortalità (%)

Camaldoli 62 100 3

Alto Tevere 92 13 15

Lignano 307 75 3

Alpe della Luna Sud 606 60 15

Sasso di Simone 871 56 3

Pratomagno Nord 1244 43 0

Ambra e Calcione 1252 100 6

Pratomagno Centro 1272 75 6

Alpe di Poti 1293 75 6

Alpe della Luna Nord 1778 89 12

Vallesanta 2505 90 9

Catenaia 2606 100 12

Pratomagno Sud 2613 78 3

Saf - 75 0

Consuma - 100 6

Chianti - 0 3

Tabella 4.11 Confronto della dimensione di MPC(mq), con il successo riproduttivo(%) e la mortalità(%) per ciascun branco monitorato su tutto il periodo di studio.

113

Sulla base di tali dati, si è voluta investigare la possibile relazione tra queste variabili.

Come mostrato dal Grafico 4.13 a) non sussiste nessuna correlazione tra la dimensione dell’MPC e il successo riproduttivo del branco corrispondente (Kruskal-Wallis: 3,769 p=0,152 n.s.), né tantomeno tra la dimensione dell’MPC e la mortalità registrata nel territorio del branco relativo (Kruskal-Wallis: 1,454 p=0,483 n.s.) (Grafico 4.13 b).

a)

Outliers are hidden

2500

2000

1500 Legenda del successo riproduttivo (%):

dimensione MPC dimensione 1000 1= tra 25-50% 2= tra 50-75% 3= tra75-100% 500

0 1 2 3

successo riproduttivo (%)

114

b)

Outliers are hidden

2500

2000

Legenda dei lupi morti (%): 1500 1= tra 0-5% 2= tra 5-10% dimensione MPC dimensione 3= tra 10-15% 1000

500

0 1 2 3 lupi morti (%)

Grafico 4.14 Dimensioni degli MPC (mq) in relazione al successo riproduttivo (%) dei branchi corrispondenti a) e in relazione alla mortalità (%) delle territorio dei branchi relativi b).

115

5 Discussione In Italia è stato possibile seguire, nel corso degli anni, l’influenza dei grandi mutamenti sociali ed economici sulla situazione demografica e distributiva del lupo.

Il predatore, sino alla seconda metà del Settecento, era diffuso su tutto il territorio italiano.

In seguito, il progressivo incremento della popolazione umana influì in maniera preponderante sulla probabilità di sopravvivenza del predatore selvatico.

L'uomo e le sue attività modificarono intensamente gli habitat occupati dal predatore: i boschi di pianura furono i primi ambienti naturali ad essere sfruttati e profondamente intaccati; questo portò di conseguenza ad una drastica riduzione degli ungulati selvatici

(prede naturali del lupo) che popolavano tali ambienti.

Tale fenomeno non ebbe proporzioni e conseguenze simili in tutti i settori dell’Italia. La

Pianura Padana rappresenta il settore dove per primo il lupo scomparve. Infatti, sebbene la specie continuò ad essere segnalata per tutta la seconda metà del settecento, alla fine del secolo, era ridotta a pochi esemplari. Le ultime uccisioni registrate nella pianura lombarda

(provincia di Milano e di Pavia) sono del 1811-1820 (Oriani, 1993), mentre quelle della pianura piemontese (provincia di Novara e di Torino) risalgono al 1820-1830.

Le aree prealpine ed alpine continuarono ad ospitare il lupo sino alla fine del diciannovesimo secolo. La scarsità di prede selvatiche costrinse il lupo a rivolgere la propria attenzione verso gli animali domestici innescando così un inevitabile ed intenso conflitto con l'uomo. Il lupo venne intensamente perseguitato e sterminato su tutto l'arco alpino: nel 1923 fu abbattuto uno degli ultimi lupi in provincia di Cuneo.

L’areale agli inizi del ‘900 era limitato ai settori montuosi della catena appenninica dall’Emilia Romagna alla Calabria, ma la spietata persecuzione ad opera dell’uomo lo portò ad una ulteriore contrazione.

Sebbene le uccisioni dirette abbiano contribuito al suo declino, il continuo incremento della popolazione umana, la conseguente scomparsa dei requisiti ecologici indispensabili

116

alla sua sopravvivenza in gran parte del territorio e lo sterminio degli ungulati selvatici (le sue prede naturali) sono i fattori più importanti che ne hanno determinato la riduzione numerica.

Anche nella restante porzione della penisola la specie si è progressivamente rarefatta fino a raggiungere il minimo storico intorno agli anni ’70: sopravvivevano non più di 100 esemplari localizzati quasi esclusivamente nelle regioni appenniniche più impervie e inaccessibili (Zimen e Boitani, 1975).

La presenza del lupo nella provincia di Arezzo in quegli anni è stata oggetto di opinioni contrastanti. Per Cagnolaro e collaboratori (1974), la specie non si è mai estinta completamente ma ha mantenuto un piccolo contingente costituito da individui isolati o piccoli gruppi, mentre per altri ricercatori, non era più presente nel tratto dell’Appennino tosco-romagnolo ma sopravviveva al di sotto dei Monti Sibillini (Zimen e Boitani, 1975).

Questi nuclei relativamente isolati sono sopravvissuti sfruttando risorse di origine antropica (rifiuti nelle discariche) (Ragni et al., 1985) e modificando le proprie abitudini alimentari; infatti, per la scarsità di prede selvatiche, sono stati costretti a predare animali domestici incrementando così l’ostilità degli allevatori nei loro confronti.

Nel Luglio 1971 è stato emanato un decreto ministeriale speciale, con validità biennale, che prevede il divieto di attività venatoria a carico del lupo su tutto il territorio nazionale.

Tale divieto fu rinnovato nel 1973 con un decreto a validità triennale e infine, nel 1976, la specie fu dichiarata legalmente protetta e sono state rese illegali le esche avvelenate, i lacci, le trappole, ecc.. la legge nazionale 968/77 e la successiva 157/92 hanno definitivamente dichiarato il lupo specie pienamente e particolarmente protetta, condizione ribadita dall’ultimo D.P.R. 357/97 (attuazione della direttiva 92/43/CEE). A partire da quel momento, in concomitanza anche all’aumento demografico delle prede naturali soprattutto cinghiale e capriolo, la situazione è andata gradualmente migliorando portando la specie ad un’espansione geografica e numerica. 117

Il processo di colonizzazione, avvenuto negli anni successivi, è in parte dovuto al diffuso fenomeno di abbandono della montagna e della collina da parte della popolazione umana e alla conseguente naturalizzazione di molte aree, nonché alla ricomparsa e al successivo incremento delle popolazioni di ungulati selvatici; come anche alla realizzazione di una rete di aree protette.

Il segreto della sopravvivenza di questa specie risiede inoltre nell’elevata adattabilità

(ecologia alimentare di tipo opportunistico e spiccata prolificità) e di una notevole capacità di dispersione che caratterizzano questa specie.

Un’indagine condotta nei primi anni ‘80, evidenziava un’espansione dell’areale di distribuzione del lupo (Boscagli, 1985a). In quel periodo la specie era già presente sulla gran parte dei rilievi appenninici: Appennino tosco-emiliano e tosco-romagnolo, Toscana centro-meridionale (Maremma), Monti Sibillini (Marche sud-occidentali e Umbria) e

Monti della Laga (Lazio-Abruzzo), Umbria meridionale e Monti Reatini (Lazio), Monti del Tolfa (Lazio), gruppo del Velino-Sirente fino al Gran Sasso (Abruzzo), Massiccio della

Maiella, Parco Nazionale d’Abruzzo, Monti Simbruini e catena delle Mainarde (Abruzzo,

Lazio, Molise), alto Molise, Catena dei Monti del Matese (Molise, Campania, Puglia),

Monti Piacentini (Campania), Monti Raparo, Sirno-Papa (Basilicata occidentale),

Massiccio del Pollino e catena costiera (Basilicata sud-occidentale, Calabria settentrionale) e infine Monti della Sila e Aspromonte (Calabria).

In provincia di Arezzo, alla fine degli anni ’80, la presenza di branchi di lupo era stata già documentata lungo la dorsale appenninica (dal monte Falterona fino all’Alpe della Luna)

(Apollonio comm. pers.) e nei successivi anni tale presenza si concretizzò ulteriormente

(Mattioli et al., 1995).

118

Dal presente studio emerge che la popolazione di lupo residente nella provincia di Arezzo,

è pressoché stabile da dieci anni a questa parte. Infatti, il numero di branchi monitorati è oscillato tra gli 8 e i 14 con una densità media di 0,5  0,03 branchi ogni 100 kmq.

In generale la dimensione media dei branchi monitorati in estate è stata di 4 lupi, sebbene siano stati osservati branchi costituiti da 8 individui.

Durante l’intero periodo d’indagine, il numero di lupi annualmente presente sul territorio provinciale è oscillato tra 38 e 56 individui (media  ES: 46  2,5). Durante il corso dello studio è stata registrata una lieve tendenza positiva del numero di lupi.

La dimensione del branco in Italia varia considerevolmente da settore a settore.

Nei settori di recente colonizzazione come le Alpi Occidentali e in particolare in Valle di

Susa (provincia di Torino) sono stati registrati valori elevati: fino a 9 lupi (Gazzola et al.,

2007). In un settore dell'Appennino settentrionale (Orecchiella, provincia di Lucca), la dimensione media di un branco di lupi monitorato dal 1990 al 1999 era di 3,7 lupi (Ciucci e Boitani, 1999b).

Valori estremamente ridotti rispetto a quelli riscontrati sulla restante porzione della catena appenninica sono stati rilevati nel Parco Nazionale del Pollino (Liccioli, 2004). Infatti, la dimensione media invernale dei branchi è di 2,6 lupi.

Anche in Europa viene evidenziata una certa variabilità: la dimensione media dei branchi varia da 2 a 7 individui (Okarma et al., 1998: Poulle et al., 1997).

Nel Parco Nazionale del Mercantour, in Francia, il valore medio è di 4,9 lupi per branco

(Poulle et al., 1997), mentre in Polonia, nella foresta di Bialowieza, si sono riscontrati valori tra i 4,0 e i 5,3 individui per branco (Jedrzejewska et al., 1996; Okarma et al., 1998;

Jedrejewski et al., 2000).

In uno studio condotto in Slovacchia, la dimensione media dei branchi è di 5,7 esemplari

(Findo e Chovancová, 2004), mentre nelle porzioni più orientali dell’Europa si riscontra un 119

aumento della dimensione del branco: infatti sia in Georgia che in Russia, in media sono presenti 7-8 lupi per branco (Kudaktin, 1979; Kaleckaya e Filonov, 1987).

In Nord-America si riscontra una maggiore misura del grado di aggregazione. Infatti, la composizione media di ciascun branco è di circa 7 individui (Mech, 1970) e può variare dai 2 ai 21 individui, anche se gruppi composti da più di 13 esemplari sono rari (Zimen,

1976). Tuttavia, sono riportati casi eccezionali come quello di un branco segnalato in

Alaska composto da 36 individui (Rausch, 1967) e gruppi di 20-22 lupi presenti sull’Isle

Royale nel Lago Superiore, Stato del Michigan (Jordan et al., 1967). Si tratta ad ogni modo di eventi eccezionali, lo stesso Rausch (1967) infatti riporta che il 28% dei 1357 avvistamenti riguardavano branchi con al massimo 7 individui.

La dimensione dei gruppi di individui che cacciano sembra avere un effetto positivo sul successo di caccia di diverse specie di carnivori predatori africani quali: i leoni, le iene e i licaoni.

Al contrario nei lupi, non è stata evidenziata nessun tipo di correlazione tra successo di caccia e grandezza del branco, persino su prede di grandi dimensioni come l’alce (Sand et al., 2006).

Infatti, se in passato la tendenza all’aggregazione nel lupo e in altri carnivori sociali, è stata interpretata come adattamento specifico al ruolo di predatori di grossi mammiferi (Bekoff e

Wells, 1980; Zimen, 1976), attualmente l’ipotesi più accreditata è quella della kin selection: gli adulti investono sui figli attraverso la condivisione del cibo in surplus e attraverso l’insegnamento, in modo da massimizzare l’efficienza energetica nell’ereditarietà genetica (Schmidt e Mech 1997).

La disponibilità delle prede rappresenta un fattore fondamentale che interviene nella regolazione del branco, influenzando direttamente il tasso di sopravvivenza e di 120

produttività dell'unità familiare e indirettamente l’intensità della competizione tra i membri del gruppo e il tasso di dispersione (Zimen, 1976). Inoltre nei settori maggiormente antropizzati, le uccisioni dirette operate dall'uomo potrebbero costituire un fattore regolatore della dimensione del branco (Boitani e Ciucci, 1993).

La provincia di Arezzo ospita una comunità di ungulati selvatici ricca e diversificata. Sono infatti presenti ben 5 differenti specie: capriolo, cinghiale, cervo, daino e muflone.

Nell’insieme la densità media è estremamente elevata (844 individui/100kmq). Simili considerazioni possono essere fatte per la densità di biomassa di ungulati selvatici disponibile al lupo: 812 kg/kmq (Capitani, 2005; Apollonio e Mattioli, 2006).

Tali condizioni ecologiche fan sì che la disponibilità di prede selvatiche non rappresenti attualmente un fattore limitante per la crescita demografica del lupo nella provincia di

Arezzo (Capitani, 2005).

L’elevato successo riproduttivo dei branchi, monitorato nel corso della presente indagine, è sicuramente relazionato all’elevata disponibilità trofica. Ogni anno, infatti, è stata accertata la presenza di nuovi nati nella maggior parte dei branchi monitorati. Il successo riproduttivo medio annuale dei branchi è stato infatti del 70%.

Il numero di lupi presenti annualmente è variato da 38 a 56 individui (media  ES: 46 

2,5), mostrando una lieve tendenza positiva nel corso del decennio d’indagine (1998-

2007). Come termine di confronto, è interessante riportare la situazione lupo in Regione

Piemonte (area di nuova colonizzazione da parte del lupo).

Dal Rapporto annuale del Progetto Lupo Piemonte (A.A.V.V., 2007), emerge che, dal

1999 al 2007, il numero complessivo di lupi presenti è aumentato da 28 a 44 individui.

Nonostante il numero di lupi e di branchi presenti in Piemonte è paragonabile a quello della provincia di Arezzo, la superficie piemontese monitorata è nettamente più ampia a quella aretina. 121

Il drastico incremento numerico di lupi, riscontrato negli ultimi anni in Piemonte, è riconducibile al fatto che attualmente la Regione rappresenta un’area di nuova colonizzazione. Per contro, in provincia di Arezzo, la presenza del lupo è ormai consolidata da almeno 30 anni e nell’ultimo decennio la specie ha quasi raggiunto la sua capacità portante. In questa ottica le variazioni demografiche della popolazione di lupo in provincia di Arezzo sono probabilmente influenzate in misura maggiore dalla mortalità individuale che dalla formazione di nuovi branchi.

Nel presente studio sono state analizzate le diverse cause di morte dei 36 lupi rinvenuti nei

10 anni di studio. Il bracconaggio rappresenta il fattore più importante (39%) seguito dagli investimenti stradali (36%). Purtroppo nel 25% dei casi non è stato possibile risalire alle cause di morte. Non è stata evidenziata una differente mortalità tra gli esemplari maschi e femmine. Le diverse cause di mortalità non influiscono significativamente neanche sulle classi di età, anche se in questo caso siamo molto vicini alla soglia di significatività. Tale risultato potrebbe avvicinarsi al recente studio di Lovari et al. (2007), secondo cui gli individui adulti sono più soggetti ad episodi di bracconaggio mentre i giovani sono soggetti in maggior misura agli investimenti stradali a causa della loro maggior inesperienza e della limitata conoscenza del territorio.

Nella presente ricerca, le cause di morte note sono completamente attribuibili all’uomo

(75%). L’analisi effettuata da Guberti e Francisci (1991) sulle cause di mortalità del lupo in Italia dal 1984 al 1990 evidenzia che il 78% dei decessi è il risultato della diretta persecuzione umana. Il più recente studio effettuato da Lovari et al. (2007) mostra tuttavia che, in questi ultimi 30 anni, la specie è sopravvissuta al pericolo dell’estinzione nonostante le pesanti perdite afflitte al predatore.

Nonostante l’elevato numero di decessi rinvenuto durante gli anni d’indagine, la stabilità della popolazione di lupi nella provincia di Arezzo non sembra aver subito alterazioni rilevanti (Apollonio e Mattioli, 2006). 122

La pressione operata dall’uomo sulla popolazione di lupo non sembra aver influito significativamente sulla distribuzione spaziale dei siti di allevamento dei cuccioli (rendez- vous sites).

I siti di allevamento dei cuccioli si trovano generalmente nel centro del territorio del branco. Tale posizione risulta favorevole poiché consente ai lupi di minimizzare la distanza di spostamento tra un qualsiasi punto del proprio territorio e il rendez-vous site (Ciucci e

Mech, 1992). Inoltre è stato osservato, che in queste aree il disturbo antropico (presenza umana, densità di strade) è grandemente ridotto e la vegetazione è più fitta (Ciucci et al.,

1997; Capitani et al.,2006).

Se non vi sono fonti di disturbo i siti di allevamento dei cuccioli possono essere riutilizzati anno dopo anno. Inoltre, un branco può avere uno o più rendez-vous sites nella stessa stagione (Schmidt et al., 2007), tuttavia ve ne è sempre uno preferito (Makridin, 1959;

Mech e Packard, 1990). Il forte impatto antropico può grandemente influenzare il riutilizzo, da parte del branco, del medesimo sito di allevamento dei cuccioli (rendez-vous sites).

Nel presente studio, infatti, la dispersione dei siti di allevamento di ciascun branco è stata valutata misurando la superficie del minimo poligono convesso (MPC) che inscrive le localizzazioni dei rendez-vous sites. Tale superficie varia notevolmente da branco a branco ed in media è risultata pari a 12,70,2 kmq, tuttavia la dispersione dei siti appare ridotta e focalizzata a settori tradizionali.

Inoltre, la distribuzione dei siti di allevamento dei cuccioli appare strettamente associata alle aree in cui il divieto di caccia è totale (Apollonio e Mattioli, 2006; Capitani et al.,

2006). In tal senso, è importante sottolineare l’importanza del mantenimento e della corretta gestione di una rete di aree protette. Tale rete, infatti, contribuisce al mantenimento di una popolazione vitale di lupo fornendo protezione e stabilità ai siti di riproduzione.

123

Un altro parametro che conferma la stabilità dei rendez-vous sites è la distanza che intercorre tra i siti di allevamento dei cuccioli di branchi contigui. Infatti, nella presente analisi le distanze si sono mantenute stabili nell’arco dell’intero periodo d’indagine. La distanza media tra branchi limitrofi osservata è di 11,2  1,1 km.

Risultati simili sono stati ottenuti sia nel Minnesota (Fuller e Sampson, 1988) sia in

Polonia (Theurkauf et al. 2003), dove l’ordine di grandezza era di 10-15 km.

Tale fenomeno aggiunto alla distribuzione omogenea dei siti di riproduzione sul territorio disponibile, suggerisce che potremmo trovarci in una situazione prossima alla saturazione dell’ambiente.

In conclusione è possibile affermare che la provincia di Arezzo ricopre un’importanza strategica per la conservazione del lupo, in quanto ha contribuito e contribuisce al mantenimento della vitalità e diffusione della popolazione di lupi in Italia: non solo rappresenta un’area con una densità elevata del predatore, ma rappresenta anche un centro importante di diffusione della specie (Scandura et al., 2001; Apollonio et al., 2004;

Capitani 2005; Capitani et al., 2006).

Tale affermazione viene ulteriormente confermata da recenti studi genetici: i lupi di tale porzione appenninica presentano caratteristiche intermedie fra quelli dell’Abruzzo e gli individui neo-insediati sulla dorsale alpina (Scandura et al., 2001; Apollonio e Mattioli,

2006).

124

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