EuroStudium3w gennaio-giugno 2021

La volontà di una capitale. L’introspezione dell’autorità milanese tra XI e XII secolo di Stefano Bernardinello

Introduzione

Se si parla di potere nell’Italia medievale, soprattutto dopo l’anno Mille, è inevitabile trattare della pietra fondante dell’”eccezionalità” del Regnum Italiae: la città1. L’indipendenza e l’autorità acquisite dai nuclei urbani italiani sono state, fin dagli studi di Ludovico Antonio Muratori e di Simonde de Sismondi, al centro di tutta una serie di lavori volti a comprendere le motivazioni e le cause di questa affermazione2. Ancora oggi, il tema rimane centrale nella medievistica nazionale

1 Il periodo intorno all’anno Mille e, in particolare, gli anni a cavallo del 1100 sono considerati dalla storiografia europea come un momento di forte cesura delle capacità coercitive dei poteri politici, che ridefinirono gli assetti amministrativi dei regni e che avrebbero aperto la strada e consegnato i mezzi per l’affermazione delle istituzioni tardomedievali. Un’ottima sintesi di questo percorso in varie aree del continente è Th. Bisson, The Crisis of the Twelfth Century: Power, Lordship and the Origins of European Government, Princeton University Press, Princeton 2009. Non è un caso, tuttavia, che lo storico inglese non abbia preso in considerazione l’area italiana, in un libro che identifica «nella nascita di una proto-burocrazia monarchica il fenomeno unificatore nell’Occidente del XII secolo» (E. Faini, Italica gens. Memoria e immaginario politico dei cavalieri cittadini, Viella, Roma 2018, p. 11). Le città italiane rappresentano un modello che rimase marginale – cfr, J. Le Goff, Tentative de conclusions, in C. Gauvard (a cura di), Actes des congrès de la Société des historiens médiévistes de l’enseignement supérieur public. Les élites urbaines au Moyen Âge, École Française de , Roma 1997, pp. 443-456, p. 451 – e sul lungo periodo perdente, fruttifero ma senza seguito, come è ben evidenziato in L. Tanzini, A consiglio: la vita politica nell’Italia dei comuni, Laterza, Roma-Bari 2014, pp. 223-225. Una tradizione sterile che, tuttavia, ancora oggi viene considerata importante nel mondo anglosassone poiché ritenuta una tappa fondamentale verso il repubblicanesimo moderno: R.D. Putnam, R. Leonardi, R.Y. Nanetti, La tradizione civica nelle regioni italiane, Mondadori, Milano 1993, pp. 141-159 (ed. originale R.D. Putnam, Making Democracy Work: Civic Traditions in Modern , Princeton University Press, Princeton 1993); Q. Skinner, Le origini del pensiero politico moderno, Il Mulino, Bologna 1989, vol. I, pp. 47-75 (ed. originale, The Foundations of Modern Political Thought, Cambridge University Press, Cambridge 1979). L’eccezionalità italiana non avrebbe coinvolto solo gli aspetti politici, ma anche la peculiare educazione che la sua élite avrebbe continuato a ricevere ancora durante il XII secolo; è qui che sarebbero da ricercare le radici del Rinascimento: R. Witt, L’eccezione italiana. L’intellettuale laico nel Medioevo e l’origine del Rinascimento (800-1300), Viella, Roma 2017 (ed. originale The two Latin cultures and the foundation of Renaissance humanism in medieval Italy, Cambridge University Press, Cambridge 2011). 2 L.A. Muratori, Antiquitates Italicae medii aevi, 6 voll., Mediolani 1738-1742; J. Simonde de Sismondì, Storia delle Repubbliche italiane, Milano 1996 (ed. originale Histoire des Républiques Italiennes du Moyen Âge, 16 voll., Zürich 1807-1818). La valorizzazione della tematica cittadina è dovuta anche alla costruzione ideologica, durante il Risorgimento, di una pedagogia nazionale incentrata sulla valorizzazione delle libertà comunali: A. Zorzi, Le signorie cittadine in Italia (secoli

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e internazionale, come dimostra il dibattito suscitato dal recente volume di Chris Wickham sull’origine delle istituzioni di autogoverno urbano3. Tuttavia, in questa sede non ci si vuole soffermare sulle dinamiche interne agli istituti cittadini, ma “alzare lo sguardo” su relazioni e assetti di potere più ampi, che siano un riferimento, anche solo ideale, per individuare una serie di attori politici dalle differenti caratteristiche e distribuiti su un vasto territorio. Si fa riferimento agli spazi politici regionali rimasti spesso ai margini della storiografia sull’età comunale, più attenta alle singole realtà locali o alle relazioni di potere tra queste ultime e i poteri maggiori, Papato e Impero4. Uno scarto

XII-XV), Mondadori, Milano 2010, pp. 1-3; Id., Lo spazio politico delle città comunali e signorili italiane. Una prima approssimazione, in G. Andenna, N. D’Acunto, E. Filippini (a cura di), Spazio e mobilità nella “Societas Christiana”: spazio, identità, alterità (secoli X-XIII), Vita e Pensiero, Milano 2017, pp. 167-186. Per una sintesi sui modelli sviluppati dalla medievistica italiana fino alla metà del secolo scorso si veda M. Vallerani, Modelli di comune e modelli di stato nella medievistica italiana fra Otto e Novecento, in «Scienza e politica», anno XXI, 2010, pp. 65-86. È impossibile fornire un quadro completo delle opere incentrate sul tema delle istituzioni politiche urbane, quindi ci si limita a evidenziare che gran parte dei grandi storici politici italiani, come per esempio Giovanni Tabacco e Renato Bordone, hanno prodotto opere che tentarono una sintesi di tale esperienza: G. Tabacco, Egemonie sociali e strutture del potere nel Medioevo italiano, Einaudi, Torino 1979, in particolare pp. 189-329; R. Bordone, La società urbana nell’Italia comunale (secoli XI-XIV), Loescher, Torino 1984; Id., La società cittadina del regno d’Italia: formazione e sviluppo delle caratteristiche urbane nei secoli XI e XII, Deputazione Subalpina Storia Patria, Torino 1987. Opere recenti di sintesi del percorso sono G. Milani, I comuni italiani: secoli XII-XIV, Laterza, Roma-Bari 2005; F. Menant, L’Italia dei comuni (1100-1350), Viella, Roma 2011 (ed. originale L’Italie des communes (1100-1300), Belin Education, Paris 2005); J.-C. Maire Vigueur, E. Faini, Il sistema politico dei comuni italiani, secoli XII-XIV, Mondadori, Milano 2010. 3 C. Wickham, Sonnambuli verso un nuovo mondo. L’affermazione dei comuni italiani nel XII secolo, Viella, Roma 2017 (ed. originale Sleepwalking in the New World. Italian City Communes in the Twelfth Century, Princeton University Press, Princeton 2015). Sul dibattito suscitato dal libro ci si può limitare a far riferimento alla “Questione” apparsa sulla rivista «Storica» in cui si trovano le analisi di Sandro Carocci, Igor Mineo, Jean Claude Maire Vigueur e Alessio Fiore: Origine dei comuni. Discutere Sonnambuli verso un nuovo mondo di Chris Wickham, in «Storica», anno LXX, 2018. Per quanto riguarda gli studi internazionali sulla civiltà cittadina si veda A. Zorzi (a cura di), La civiltà comunale italiana nella storiografia internazionale, Firenze University Press, Firenze 2008. 4 Il termine “spazio politico” è un riferimento interpretativo alle proposte avanzate negli anni Sessanta del Novecento dai politologi David Easton e Gabriel Almond; essi delinearono lo spazio politico come l’insieme delle interazioni tra le unità politiche e delle decisioni prese in e per una determinata società. L’obiettivo era quello di evitare l’utilizzo di terminologie e di forme astratte, quali governo e Stato, e rileggere le interazioni delle dinamiche politiche a partire dal loro reale funzionamento. Per un quadro di riferimento si veda D. Easton, Il sistema politico, Comunità, Milano 1963 (ed. originale The politic system. An inquiry into the state of political science, Knopf, New York 1953); G.A. Almond, G. Bingham Powel Jr., Politica comparata. Sistemi, processi e politiche, Il Mulino, Bologna 1989, pp. 71-87 (ed. originale System, process and policy. Comparative politics, Little Brown, Boston 1978). Per una sintesi su questo percorso di studi si veda L. Molino, Epitaffio per un approccio di successo: il sistema politico, in A. Panebianco (a cura di) L’analisi della politica:

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ancora più evidente nasce dal confronto con gli studi “precomunali”, che avevano posto una particolare enfasi su autorità e capacità d’azione delle strutture “intermedie”, analizzando ascesa e declino di quelle casate poste dagli imperatori al vertice di contee e marche. Si fa riferimento, per esempio, ai lavori di Giuseppe Sergi sulle marche Arduinica e Anscarica, o a quelli di Mario Nobili sulla marca Obertenga5. Tale studio fu reso difficoltoso dalle caratteristiche dell’apparato documentario, che riflettono lo sviluppo dei nuovi assetti di potere fondati, a partire dalla seconda parte dell’XI secolo, sull’irreversibile disgregazione della legittimità pubblica e sulla predominanza di una giurisdizione di carattere locale. I vari attori politici investirono le loro energie più sull’affermazione nel proprio districtus che nei tradizionali spazi di relazione del Regnum6. Un’evoluzione evidente in quei territori dove il declino tradizioni di ricerca, modelli, teorie, Il Mulino, Bologna 1989, pp. 71-87. Il concetto di “spazio politico” così inteso è già stato utilizzato da Giovanni Ciccaglioni e Andrea Zorzi per analizzare le istanze politiche urbane medievali. Per il primo è il prodotto delle interazioni continue tra i soggetti, è il contenitore dell’agire politico in un’accezione molto estensiva. Perciò, lo spazio non coincide con le istituzioni politiche: queste possono essere dei soggetti attivi o costituire l’oggetto delle ambizioni di un gruppo politico, ma non costituiscono il contenitore dell’agire politico. Il secondo ha focalizzato la prospettiva sulle città comunali e propone di identificare come spazio politico non più il Comune (l’istituzione politica) ma l’intera civitas medievale. Si veda G. Ciccaglioni, Poteri e spazi politici a Pisa nella prima metà del Trecento, ETS, Pisa 2013; A. Zorzi, Lo spazio politico delle città comunali, cit. 5 G. Sergi, Una grande circoscrizione del Regno Italico: la marca arduinica di Torino, in «Studi medievali», anno XII, 1971, pp. 637-712; Id., Il declino del potere marchionale anscarico e il riassetto circoscrizionale del Piemonte settentrionale, in «Bollettino storico-bibliografico subalpino», anno LXXIII, 1975, pp. 441-492; Id., Anscarici, Arduinici, Aleramici: elementi per una comparazione fra dinastie marchionali in Formazione e strutture dei ceti dominanti nel Medioevo: marchesi, conti e visconti nel Regno Italico (secc. IX-XII), Istituto storico italiano per il Medioevo, Roma 1988, vol. I, pp. 11- 28; Id., I confini del potere. Marche e signorie fra due regni medievali, Einaudi, Torino 1995; Id., Uffici e circoscrizioni comitali e marchionali ai confini tra i regni di Borgogna e d’Italia nei secoli X e XI, in Formazione e strutture dei ceti dominanti nel Medioevo. Marchesi, conti e visconti nel Regno Italico (secc. IX-XII), Istituto storico italiano per il Medioevo, Roma 1996, pp. 21-37. Cfr. anche M. Nobili, Gli Obertenghi e altri saggi, CISAM, Spoleto 2006. Su questo tema, tra gli anni Settanta e gli anni Novanta del XX secolo, sono nati due progetti di ricerca, il primo incentrato sulle strutture politiche dell’Italia precomunale e l’altro sulle famiglie detentrici dei quadri istituzionali: M. Nobili, G. Sergi, Le marche del Regno Italico: un progetto di ricerca, in «Nuova rivista storica», anno LXV, 1981, pp. 399-405; G. Andenna, M. Nobili, G. Sergi, C. Violante, “Introduzione”, in Formazione e strutture dei ceti dominanti nel Medioevo, Roma 1988, vol. I, pp. I-XII. 6 Sull’affermazione di nuovi assetti di potere e di nuovi linguaggi nel controllo del territorio a partire dalla seconda metà del XI secolo, ed in particolare dagli anni della “guerra civile” tra gli anni Settanta e Ottantam si veda A. Fiore, Il mutamento signorile: assetti di potere e comunicazione politica nelle campagne dell’Italia centro-settentrionale (1080-1130 c.), Firenze University Press, Firenze 2017; A. Gamberini, La legittimità contesa: costruzione statale e culture politiche (Lombardia, secoli XII-XV), Viella, Roma 2016. Si veda anche il classico L. Provero, L’Italia dei poteri locali: secoli X-XII, Carocci, Roma 1998.

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dell’apparato pubblico risaliva al secolo precedente, come in Lombardia, o dove esso stava rapidamente indebolendosi, come in Piemonte7. In altri luoghi, il potere centrale del Regnum fu più resiliente. Un caso emblematico è la Toscana, che conobbe uno spazio di relazione politica regionale attivo almeno fino alla fine del XII secolo8.

7 Manca ancora oggi un’opera che analizzi le motivazioni e le cause della precoce dissoluzione delle strutture pubbliche in Lombardia, che presentano dei caratteri territoriali già prima dell’XI secolo: F. Menant, Lombardia feudale. Studi sull’aristocrazia padana nei secoli X-XIII, Vita e Pensiero, Milano 1992; Id., Campagnes lombardes du Moyen Âge: l’économie et la société rurales dans la région de Bergame, de Crémone et de Brescia du Xe au XIIIe siècle, École Française de Rome, Roma 1993; H. Keller, Signori e vassalli nell’Italia delle città (secoli IX-XII), UTET, Torino 1995 (ed. originale Adelsherrschaft und städtische Gesellschaft in Oberitalien: 9. bis 12. Jahrhundert, Niemeyer, Tübingen 1979); G. Andenna, Formazione, strutture e processi di riconoscimento giuridico delle signorie rurali tra Lombardia e Piemonte orientale (secoli XI-XIII), in G. Dilcher, C. Violante (a cura di), Strutture e trasformazioni della signoria rurale nei secoli X-XIII, Il Mulino, Bologna 1996, pp. 123-167. Una delle motivazioni dell’indebolimento dei poteri dei funzionari pubblici fu l’alleanza tra le stirpi comitali e marchionali lombarde e i pretendenti italiani al trono durante il lungo scontro che da metà X secolo vide contrapposti questi ultimi ai sovrani germanici; la vittoria teutonica, anche grazie al supporto dei vescovi cittadini, delegittimò l’autorità delle stirpi pubbliche e favorì l’accumulo di poteri in sede urbana: su questo tema e per una panorama generale dei destini delle famiglie funzionariali in Lombardia si permetta di rimandare a S. Bernardinello, I rapporti tra i “ceti dominanti” e le città padane (metà XI – metà XII secolo). Sintesi di un percorso e primi appunti per una nuova ricerca, in «Studi di storia medioevale e di diplomatica», anno III, 2019, pp. 5-42. Sul Piemonte si veda G. Sergi, La geografia del potere nel Piemonte romanico, in G. Romano (a cura di), Piemonte romanico, CRT, Torino 1994, pp. 3-62; L. Provero, Dai marchesi del Vasto ai primi marchesi di Saluzzo. Sviluppi signorili entro quadri pubblici (secoli XI-XII), Deputazione subalpina di storia patria, Torino 1992; G. Banfo, Compresenze e sovrapposizioni di poteri territoriali di qualità diversa tra X e XIII secolo: il caso del basso Monferrato, tesi di dottorato, Università degli studi di Torino, tutor G. Sergi, Torino 2001; Id., Da Aleramo a Gugliemo “il Vecchio”: idee e realtà nella costruzione degli spazi politici in B.A. Raviola (a cura di), Cartografia del Monferrato: geografia, spazi interni e confini in un piccolo stato italiano tra Medioevo e Ottocento, Franco Angeli, Milano 2007, pp. 47-74. 8 Sul tema dei quadri regionali toscani si veda A. Zorzi, L’organizzazione del territorio in area fiorentina tra XIII e XIV secolo, in G. Chittolini, D. Willoweit (a cura di), L’organizzazione del territorio in Germania, secoli XIII-XIV, Il Mulino, Bologna 1994, pp. 279-349; M. Ronzani, La nozione della Tuscia nelle fonti dei secoli XI e XII, in G. Garzella (a cura di), Etruria, Tuscia, Toscana. Identità di una regione attraverso i secoli, Pacini, Pisa 1998, pp. 53-85; A. Zorzi, La Toscana politica nell’età di Semifonte, in P. Pirillo (a cura di), Semifonte in Val d’Elsa e i centri di nuova fondazione dell’Italia medievale, Olschki, Firenze 2004, pp. 103-131; M. Ronzani, L’affermazione dei Comuni cittadini fra Impero e Papato: Pisa e Lucca da Enrico IV al Barbarossa (1081-1162), in G. Pinto (a cura di), Poteri centrali e autonomie nella Toscana medievale e moderna, Olschki, Firenze 2012, pp. 1-58; M.E. Cortese, Poteri locali e processi di ricomposizione politico-territoriale in Toscana (1100-1200 ca.), in Poteri centrali e autonomie nella Toscana, cit., pp. 59-62; G. Taddei, L’organizzazione del territorio nella Toscana comunale (XIII-XV secolo), in F. Ciappi, O. Muzzi (a cura di), Studi in onore di Sergio Gensini, Polistampa, Firenze 2013, pp. 105-136; M.E. Cortese, L’Impero e la Toscana durante il regno di Federico Barbarossa, in «Reti Medievali», anno XVIII, n. 3, 2017, pp. 49-88; Ead., L’aristocrazia toscana. Sette secoli (VI-XII), CISAM, Spoleto 2017.

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Tale livello di interrelazione politica regionale è, inoltre, al centro di Italica gens. Memoria e immaginario politico dei cavalieri medievali (secoli XII-XIII) di Enrico Faini. Il dato di partenza è che nel Regnum Italiae del XII secolo, sebbene la maggior parte delle strutture pubbliche regionali avesse perso il proprio ruolo politico di riferimento, esse continuarono a fungere da “coordinate geografiche” nell’immaginario di attori e cronisti contemporanei: la storiografia di quegli anni, per la prima volta scritta da autori laici, molto spesso coinvolti nelle medesime vicende narrate, si basava sulla descrizione di una realtà che non coinvolgeva solo la propria città, ma anche la propria regione9. Non è possibile, per esempio, definire “cittadina” la cronaca di Ottone e Acerbo Morena, poiché, pur trattando di Lodi, non pose le vicende cittadine al centro dell’opera10.

9 Sugli inizi della cosiddetta storiografia comunale si veda O. Capitani, La storiografia coeva sulla Pace di Costanza in M. Spinelli (a cura di), La pace di Costanza 1983. Un difficile equilibrio di poteri fra società italiana e impero, Dante Alighieri editore, Bologna 1984, pp. 99-117; C. Wickham, The Sense of the Past in Italian Communal Narratives in P. Magdalino (a cura di), The Perception of the Past in Twelfth-Century Europe, Hambledon Press, London-Rio Grande 1992, pp. 173-189; M. Zabbia, I notai italiani e la memoria della città (secc. XII-XIV), in A. Bartoli Langeli, G. Chaix (a cura di), La mémoire de la cité. Modèles antiques et réalisations renaissantes, Edizione scientifiche italiane, Napoli 1997, pp. 35-47; E. Coleman, Sense of Continuity and Civic Identity in the Italian Communes, in J. Hill, M. Swan (a cura di), The Community, the Family and the Saint. Patterns of Power in Early Medieval Europe, Brepols, Turnhout 1998, pp. 45-60; Id., Lombard City Annals and the Social and Cultural History of Northern Italy in S. Dale, A.W. Lewin, D.J. Osheim (a cura di), Chronicling History. Chroniclers and Historian in Medieval and Renaissance Italy, Penn State University Press, Pennsylvania 2007, pp. 1-20; E. Faini, Alle origini della memoria comunale. Prime ricerche, in «Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken», anno LXXXVIII, 2008, pp. 61-81; Id., La memoria dei milites, in M.T. Caciorgna, S. Carocci, A. Zorzi (a cura di), I comuni di Jean- Claude Maire Vigueur. Percorsi storiografici, Viella, Roma 2014, pp. 113-133; G. Arnaldi, Il notaio- cronista e le cronache cittadine in Italia, in L. Capo (a cura di), Cronache e cronisti dell’Italia comunale, CISAM, Spoleto 2016, pp. 13-32. 10 Ottone e Acerbo Morena, padre e figlio, lodigiani, furono gli scrittori di una delle più importanti cronache della metà del XII secolo, incentrata sulla vicenda delle prime spedizioni del Barbarossa in Italia. Sebbene l’incipit dell’opera faccia riferimento come principale motivo della produzione del testo alla presentazione della punizione dell’imperatore contro la tracotante Milano che soggiogava la loro patria lodigiana, il testo si sviluppa in una realtà geografia decisamente maggiore rispetto al piccolo centro padano. In particolare, con Acerbo e il successore anonimo, la realtà si espande ben oltre le vicende lombarde, a cui era molto legato il padre Ottone in quanto membro dell’élite politica di Lodi; il figlio si incentrò più sulla realtà imperiale e il quadro di riferimento divennero i molteplici e variegati personaggi che ruotavano intorno al Barbarossa. Sui due attori si vedano le note all’interno del Dizionario Biografico: L. Capo, Acerbo Morena, in Dizionario Biografico degli Italiani, LXXVI (2012), ad vocem; Ead., Ottone Morena, in Dizionario Biografico degli Italiani, LXXVI (2012), ad vocem. Sull’opera si veda F. Güterbock (a cura di), Das Geschichtswerk des Otto Morena und seiner Fortsetzer, in MGH, Scriptores rerum Germanicarum, Nova Series, Berolini 1930, vol. VII, pp. 1-218 (da questo momento segnata come Historia Frederici I).

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Ciononostante, l’autore si attiene al quadro di pensiero degli scrittori coevi. Non esplicita se tale “orizzonte geografico”, questa Öffentlichkeit come la definisce Faini riprendendo il pensiero di Jürgen Habermas, avesse un impatto sul concreto vivere politico e amministrativo del Regnum Italiae tra XI e XII secolo11. Nel resto dell’intervento si vuole perciò offrire una prima proposta, un tentativo iniziale di rilettura delle fonti, al fine di verificare come si potesse svolgere la “concreta” azione su uno spazio politico regionale.

1. Il caso di studio di Milano

Il focus sarà su un unico esempio; è stato perciò necessario prendere come caso di studio una città che potesse esaltare i caratteri sovralocali degli assetti di potere, cioè che avesse una funzione di primato nell’area di riferimento. È perciò inevitabile selezionare una città molto importante, nelle cui relazioni siano maggiormente espliciti i caratteri di superiorità rispetto al resto dei centri limitrofi. Furono molte le civitates che rivendicarono nel tempo questo ruolo nel Regnum Italiae: al di là del primato di Roma, molteplici realtà si contesero il ruolo di capitale, in particolare Pavia, Ravenna e Aquileia12. Tuttavia, la città che ebbe un’esplicita superiorità politica negli anni da noi presi in esame, fu senz’altro Milano13. Le ragioni che motivano tale scelta sono almeno tre: la prima è che Milano aveva e rivendicava un importante passato di capitale dell’Impero romano14; la

11 Sulla nozione di Öffentlichkeit, traducibile, senza però le molteplici sfumature che acquisisce in originale, con la parola “opinione pubblica” o nel nostro caso di “spazio pubblico” si veda J. Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica, Laterza, Bari 1971 (ed. originale Strukturwandel der Offentlichkeit: Untersuchungen zu einer Kategorie der bürgerlichen Gesellschaft, Hermann Luchterhand, Berlin 1962); Id., Teoria dell’agire comunicativo, 2 voll., Il Mulino, Bologna 1986 (ed. originale Theorie des Kommunikativen Handelns, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1981). 12 Sul concetto “moderno” di capitale applicato all’età medievale si veda P. Boucheron (a cura di), Les villes capitales au Moyen Âge, Sorbonne, Paris 2006 e in particolare per quanto riguarda la realtà italiana si veda T. Granier, Capitales royales et princières de l’Italie lombarde d’après la poésie d’éloge (VIIe-IXe siècle), in Les villes capitales, cit., pp. 57-74. Sul valore di capitale delle città citate si veda P. Majocchi, Pavia città regia: storia e memoria di una capitale altomedievale, Viella, Roma 2008; Ravenna da capitale imperiale a capitale esarcale, CISAM, Spoleto 2005; P. Cammarosano (a cura di), Il Patriarcato di Aquileia. Uno stato nell’Europa medievale, Casamassima, Udine 1999. 13 Un primo inquadramento dell’importanza di Milano all’interno della struttura del Regnum vi è dal punto di vista artistico nel volume I. Foletti, I. Quadri, M. Rossi (a cura di), Milano allo specchio: da Costantino al Barbarossa, l’autopercezione di una capitale, Viella, Roma 2016. 14 La memoria del passato di capitale tardo antica era ancora viva nella città del XII secolo: P. Grillo, Una politica della memoria: Milano fra Roma antica, Pavia e Federico Barbarossa, in C. Callard, E. Crouzet-Pavan, A. Tallon (a cura di), La politique de l’histoire en Italie: arts et pratiques du réemploi, PUPS, Paris 2014, pp. 19-34; Id., Sant’Ambrogio e la memoria della Milano tardo-imperiale durante l’età

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seconda è che, proprio a cavallo dell’anno Mille, l’élite cittadina stava costruendo la propria identità urbana sulla base di una superiorità, in primis ecclesiastica, sul resto del Regnum15; infine, tale supremazia venne riconosciuta intorno alla metà del XII secolo, alla vigilia dello scontro con il Barbarossa, da tutti gli attori in campo, che essi appartenessero al fronte milanese o a quello imperiale16. comunale in P. Boucheron, S. Gioanni (a cura di), La memoria di Ambrogio di Milano: usi politici di un’autorità patristica in Italia (secc. V-XVIII), École Française de Rome, Roma 2015, pp. 473-481. 15 Lungo l’XI secolo la Chiesa milanese attuò uno scontro con la Chiesa romana in particolare nel quadro dottrinale: per esempio, il legame della comunità ambrosiana con l’apostolo Barnaba, presunto fondatore della Chiesa di Milano, slegava il suo episcopio da ogni subordinazione alla figura petrina. Negli stessi anni si attuò una standardizzazione delle prerogative ecclesiastiche ambrosiane. Questo movimento, prettamente ecclesiastico, è stato considerato una delle prime manifestazioni dell’identità cittadina. Il legame tra la figura di Ambrogio, le tradizioni ecclesiastiche, l’honor cittadino e l’identità milanese, sebbene già esistente prima dell’anno Mille, divenne solo nell’XI secolo un leitmotiv delle controversie locali e sovralocali sia dal punto di vista ecclesiastico che da quello politico. Sul tema si veda C. Alzati, Genesi e coscienza di una metropoli ecclesiastica: il caso milanese, in J. Heuclin (a cura di), Historia de la Iglesia y de las Instituciones eclesiásticas: Trabajos en homenaje a Ferran Valis i Taberner, Catedra de Historia del Derecho y de la Instituciones, Malaga 1989, pp. 4085-4105; Id., Ambrosiana ecclesia. Studi sulla chiesa milanese e l’ecumene cristiana fra tarda Antichità e Medioevo, NED, Milano 1993; Id., Ambrosianum Mysterium. La Chiesa di Milano e la sua tradizione liturgica, NED, Milano 2000; P. Tomea, Tradizione apostolica e coscienza cittadina a Milano nel Medioevo: la leggenda di san Barnaba, Vita e Pensiero, Milano 1993; C. Alzati, San Barnaba apostolo e la Chiesa Ambrosiana. Significati ecclesiologici della ripresa a Milano di una tradizione agiografica greca, in «Rivista di storia e letteratura religiosa», anno XLVIII, 2012, pp. 3-32; Id., Genesi e metamorfosi della tradizione ambrosiana, in La memoria di Ambrogio di Milano, cit., pp. 367-384. 16 Negli anni precedenti al Barbarossa la superiorità milanese in sede lombarda è riconosciuta soprattutto dagli avversari. Il già citato Ottone Morena iniziò la sua opera con le lagnanze che due mercanti lodigiani avevano portato davanti all’imperatore alla dieta di Costanza del 1153, riguardo la supremazia di Milano su Lodi e della paura delle altre città lombarde a ribellarsi al dominio ambrosiano: Historia Frederici I, p. 3. Un altro anonimo autore, che ci ha lasciato un racconto in versi delle operazioni del Barbarossa in Lombardia, presentò nell’incipit dell’opera un richiamo a Milano, presentata con chiara ammirazione mista a tracotanza, con la quale tratta i vicini sottomessi: I. Schmale-Ott (a cura di), Carmen de gestis Frederici I imperatoris in Lombardia in MGH, Scriptores Rerum Germanicarum, Hannover 1965, vol. LXII, vv. 6-17. Anche le fonti tedesche attestano la capacità milanese di porsi ai vertici delle gerarchie politiche lombarde; Ottone di Frisinga permeò la sua opera sulle spedizioni italiane del Barbarossa della preminenza milanese, come nel passo in cui introduce l’ambiente lombardo dove l’incipit è «Inter caeteras eiusdem gentis civitates Mediolanum primatum nunc optinet»: G. Waitz, B. De Simson (a cura di), Ottonis et Rahevini Gesta Friderici I imperatoris in MGH, Scriptores Rerum Germanicarum, Hannover-Leipzig 1912, vol. XLVI, p. 117. Il continuatore Rahewino introducendo il personaggio di Guido III di Biandrate, uno dei pochi aristocratici capaci di agire autonomamente in una realtà dominata dal mondo urbano, specificò come il suo potere su un vasto territorio fosse possibile in quanto egli fosse cittadino di Milano e vassallo del suo arcivescovo: Gesta Friderici I, p. 119. Già nei decenni precedenti, tuttavia, troviamo testimonianze di un’autorità estesa ben oltre il comitato cittadino, trascritte sempre da appartenenti al campo avverso; l’anonimo autore che narra le tristi vicende

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Prima di iniziare la vera e propria analisi delle fonti è fondamentale fornire un quadro d’insieme delle vicende ambrosiane lungo il periodo che si prenderà in riferimento, che va dall’inizio dell’XI secolo fino agli anni del Barbarossa, alla metà del XII secolo17. A cavallo dell’anno Mille, l’autorità dell’arcivescovo di Milano era diventata tale da risultare un ostacolo per l’imperatore Corrado II, che iniziò uno scontro con il presule Ariberto da Intimiano lungo gli anni Quaranta dell’XI secolo18. Alla morte dei due contendenti, la forte azione di Enrico III pose un freno alle ingerenze politiche di Milano nei confronti delle sue sedi suffraganee; infatti, da almeno la fine del X secolo, l’élite intellettuale della città stava costruendo una giustificazione del rapporto diretto tra il dominio religioso – l’arcidiocesi di Milano si sviluppava su gran parte degli attuali territori di Lombardia, Piemonte e Liguria – e l’affermazione politica, con dinamiche simili a quelle che vedremo applicate nei riguardi dell’inventio dell’incoronazione regia19. La nomina di Guido da Velate a nuovo arcivescovo, voluta da Enrico III contro il parere dei milanesi, segnò un momento di indebolimento e difficoltà non solo delle interazioni esterne della città, ma anche delle dinamiche interne. Infatti, tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta dell’XI secolo, Milano venne percorsa da conflitti interni che, sebbene nati su base religiosa e legati alle nuove istanze generate dagli stilemi della Riforma papale, causarono cambiamenti anche nel quadro sociale; il più famoso e studiato dei movimenti che sconquassarono la realtà ambrosiana è la Pataria di Arialdo ed Erlembaldo20. La fine delle difficoltà si ebbe solo verso la conclusione degli anni Ottanta e il passaggio del governo cittadino, ancora in mano al vescovo, su posizioni più vicini a quelle del fronte riformatore; infatti, la città, nello scontro tra Enrico IV e Gregorio VII, era rimasta fedele all’imperatore. Grazie all’azione dell’arcivescovo Anselmo III (1086-1093) e soprattutto di Anselmo IV (1097-1101), Milano passò della natia Como, che tra il 1118 e il 1127 fu coinvolta in una guerra impari contro Milano, alleata dei grandi centri del contado lariano, presentò un vasto supporto alla causa ambrosiana che coinvolse gran parte degli attori politici del Nord Italia: G.M. Stampa (a cura di), De bello Mediolanensium adversus Comenses liber Cumanus in Rerum Italicarum Scriptores, V, Mediolani 1724, vol. V, pp. 413-456. 17 Riguardo gli eventi succedutisi nella città di Milano lungo l’arco temporale considerato è ancora fondamentale la consultazione dei capitoli di riferimento all’interno della storia di Milano prodotta negli anni Cinquanta dall’editore Treccani: G. Barni, Milano verso l’egemonia, in Storia di Milano, Treccani, Milano 1954, vol. III, pp. 239-393. 18 Sulle lotte tra Ariberto da Intimiano e l’imperatore Corrado II si veda C. Violante, La società milanese in età precomunale, Laterza, Bari 1953 e K. Schulz, “Poiché tanto amano la libertà …”. Rivolte comunali e nascita della borghesia in Europa, ECIG, Genova 1995. 19 Su questo tema si veda nota 15. 20 Per avere un quadro delle vicende della Pataria e una bibliografia aggiornata sul tema si veda N. D’Acunto, La lotta per le investiture: una rivoluzione medievale (998-1122), Carocci, Roma 2020 e P. Golinelli, La pataria. Lotte religiose e sociali nella Milano dell’XI secolo, Jaca Book, Novara 1984.

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definitivamente dalla parte di papa Urbano II e della contessa Matilde di Canossa, rafforzando la coesione interna e rinvigorendo la propria posizione esterna, fattore testimoniato – come si vedrà – dal concilio del 1098 e dalla leadership del presule ambrosiano durante la cosiddetta “Crociata dei Lombardi” (1100-1101)21. Dopo l’epoca dei presuli filoromani (1086-1101), gli anni dell’episcopato di Grossolano (1102-1112) furono un periodo turbolento, a causa delle tensioni interne alla società urbana favorite dalla poca autorità espressa dallo stesso presule22. Tuttavia, le difficoltà interne non furono accompagnate da un indebolimento della posizione regionale della città; insieme agli anni dei suoi successori, Giordano da Clivio (1112-1120) e Olrico da Corte (1120-1126), questi furono “l’epoca d’oro” dell’espansionismo militare milanese. In meno di trent’anni, Milano riuscì a conquistare e distruggere due città limitrofe, Lodi (1111) e Como (1127), e ad affermarsi – come si vedrà in seguito – al centro di una gerarchia di forze “lombarde”. L’avanzata militare ambrosiana venne sicuramente favorita dall’indebolimento dell’autorità sia dell’imperatore sia del papato nella rivalità intercorsa tra Enrico V e Pasquale II. Tuttavia, le medesime interazioni segnarono l’indebolimento della posizione milanese tra la fine degli anni Venti e gli anni Trenta del XII secolo: nello scontro di quegli anni tra le due coppie di papi e imperatori, da una parte Lotario di Supplimburgo e Innocenzo II e dall’altra Corrado di Svevia e Onorio II, l’arcivescovo Anselmo V della Pusterla (1126-1135) e la maggioranza dell’élite ambrosiana si schierarono dalla parte dei perdenti, portando alla disgregazione di quel potere regionale che era stato costruito nei decenni precedenti23. Il periodo critico si concluse con la cacciata di Anselmo V e la nomina di Robaldo (1135-1145) a nuovo arcivescovo; il cambio di fronte favorì una rinnovata affermazione dell’autorità milanese, grazie al ruolo interno della società cittadina, consolidatosi nelle prime forme di Comune, e all’azione energica di presuli come Oberto da Pirovano (1145-1166)24.

21 Per una ricostruzione degli anni di episcopato di Anselmo IV da Bovisio e più in generale per il periodo dei presuli filoromani si veda A. Lucioni, Anselmo IV da Bovisio arcivescovo di Milano (1097-1101): episcopato e società urbana sul finire dell’XI secolo, Vita e Pensiero, Milano 2011. Per quanto riguarda la “Crociata dei lombardi” si veda G. Andenna, R. Salvarani (a cura di), Deus non voluit. I Lombardi alla prima crociata (1100-1101). Dal mito alla ricostruzione della realtà, Vita e Pensiero, Milano 2003. 22 Sulle difficoltà intercorse da Grossolano nei suoi anni milanesi si veda R. Rossini, Note alla “Historia Mediolanensis” di Landolfo Iuniore in P. Zerbi (a cura di), Raccolta di studi in memoria di Giovanni Soranzo, Vita e Pensiero, Milano 1968, vol. I, pp. 411-480. 23 Sugli eventi incentrati sull’episcopato di Anselmo V della Pusterla si veda P. Zerbi, La Chiesa Ambrosiana di fronte alla Chiesa romana dal 1120 al 1135, in P. Zerbi (a cura di), Tra Milano e Cluny. Momenti di vita e cultura ecclesiastica nel secolo XII, Herder, Roma 1978, pp. 125-230. 24 Sugli anni di Oberto da Pirovano si veda A. Ambrosioni, Oberto da Pirovano. Governo ecclesiastico e impegno civile di un arcivescovo milanese (1146-1166), CUSL, Milano 1988.

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La riaffermazione del primato milanese su una vasta area è comprovata dalle eloquenti testimonianze di epoca federiciane, a cui si farà riferimento. La seguente ricostruzione non vuole fornire un quadro esaustivo delle vicende milanesi nell’epoca presa in considerazione, ma mostrare le coordinate principali, i momenti chiave, della vicenda all’interno della quale si muoverà l’analisi. Lo studio non seguirà, infatti, una struttura cronologica, ma evidenzierà i passaggi fondamentali e le testimonianze più pregnanti dell’emergere della consapevolezza di una superiorità di Milano nel quadro regionale, presentando alcuni possibili implicazioni nei quadri politico-territoriali.

2. Milano e gli imperatori

Il primo punto di analisi riguarda i rapporti tra la città e il sovrano, figura che continuò a essere una fonte di legittimazione anche dopo la disgregazione dell’apparato pubblico. Per comprendere queste relazioni si può iniziare da un passo del Carmen de gestis Frederici I Imperatoris in Lombardia, un testo anonimo in versi, scritto negli anni Sessanta del XII secolo, che narra lo scontro tra il Barbarossa e Milano. Siamo agli inizi della seconda spedizione dell’imperatore in Italia, nella primavera del 1158, e l’esercito imperiale si trova accampato nei pressi di Verona. Il sovrano è nella sua tenda a riposarsi quando, in sogno, gli appare la personificazione di Milano. La città si mostra come una signora anziana di bell’aspetto, ricca, ornata da una corona turrita e coperta di gemme e d’oro. Questo nume interroga il sovrano su quali siano le mal consigliate ragioni che lo indussero a voler sottomettere Milano, enumerando poi i motivi che l’avevano fatta grande nei secoli. Di particolare interesse è l’incipit di questo elenco, in cui il nume così si esprime: “Tra tutte le città lombarde sono la più bella e la migliore, la sede graditissima del re”25. Il passo enfatizza due caratteri dell’autorità ambrosiana di metà XII secolo: da un lato la posizione di Milano nella gerarchia degli assetti politici della Lombardia – termine dalle molteplici sfaccettature, come ha dimostrato Giancarlo Andenna26 –, dall’altro il favore dei sovrani verso la sede metropolita. Le relazioni con l’autorità regia sono ancora più esplicite in un altro passo incentrato sullo scontro contro il Barbarossa, questa volta citato dal teutonico

25 Carmen de gestis, vv. 1869-1879 e in particolare vv. 1878-1879: “Namque ego sum cunctis Ligurum formosior una Urbibus et melior, regum gratissima sedes”. Traduzione in E. Faini, Italica gens, cit., p. 101. 26 In questo articolo non si può entrare nel merito della questione sul concetto medievale di Lombardia, che ha ancora bisogno di un lavoro più capillare su tutte le fonti coeve del Nord Italia. Una prima analisi della questione vi è in G. Andenna, Storia della Lombardia medioevale, UTET, Torino 1999, pp. 3-20; E. Faini, Italica gens, cit., pp. 93-113.

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Rahewino, continuatore della narrazione di Ottone di Frisinga. Durante l’assemblea convocata in città all’indomani del primo assedio, per decidere se continuare la resistenza a oltranza o scendere a patti con l’imperatore, il primo a intervenire fu il conte Guido III da Biandrate, “fecondo nel linguaggio”, a sua volta cittadino rispettato e membro autorevole dell’aristocrazia imperiale27. Egli esordì con queste parole:

La vostra dignità fu posta in alto in evidenza, per via della fama e della fortuna [che procedono assieme], tutti i mortali hanno conosciuto le vostre azioni. Tuttavia, sarebbe stato conveniente che, nel momento in cui la sorte era favorevole, non si lasciasse spazio alla licenza. Sappiamo quali e quanti re Milano ha costituito con la sua autorità; sappiamo anche quali e quanti ne abbia poi cacciati28.

Il discorso del conte rende ancora più esplicito quanto accennato nel passo precedente: Milano era la capitale del Regnum, città il cui appoggio era fondamentale per qualsiasi sovrano volesse aspirare a un dominio concreto sull’Italia settentrionale. Un concetto già espresso circa un secolo prima dal cronista Arnolfo da Milano29. Egli, narrando i preparativi per la spedizione di Corrado II del 1034 verso la Borgogna, descrisse i due pilastri del potere imperiale nella penisola, l’arcivescovo di Milano Ariberto da Intimiano e il marchese di Tuscia Bonifacio:

Corrado pensò di invadere la Borgogna. Ordinò che un esercito di Longobardi s’affrettasse a portare a compimento l’impresa (…) Dalla vicina Italia condottieri scelti, cioè il presule Ariberto [da Intimiano] e il nobile marchese Bonifacio [da Canossa], le due luci del Regno30.

27 Sull’importante figura di Guido III conte di Biandrate si veda G. Andenna, I conti di Biandrate e le città della Lombardia occidentale (secoli XI e XII), in Formazione e strutture dei ceti dominanti, Roma 1996, cit., pp. 57-84. 28 Gesta Friderici I, p. 219: “Vestra dignitas, fama atque fortuna hucusque non in obscuro, sed in excelso fuit, vestraque facta cuncti mortales novere. Sed decebat in maxima fortuna minimam esse licentiam. Novimus, quos et quot reges Mediolanum sua constituerit auctoritate; novimus, quos et quot adepto regno propulerit”. Traduzione in E. Faini, Italica gens, cit., p. 99. 29 Arnolfo da Milano fu un’importante protagonista della vita politica milanese alla metà dell’XI secolo, di cui ci è giunta un’opera, scritta tra gli anni Settanta e Ottanta dell’XI secolo, incentrata sugli avvenimenti della città dalla metà del X secolo ai tempi recenti, con un’attenzione particolare alle vicende di Ariberto da Intimiano e della Pataria. Egli faceva parte dell’élite politica della città, in quanto membro della famiglia capitaneale dei da Arsago, che aveva già dato ai tempi di Arnolfo due arcivescovi, Arnolfo I (970-974) – di cui l’autore di professa nipote – e Arnolfo II (998-1018). Sul personaggio si veda I. Scaravelli (a cura di), Arnolfo da Milano, Libro dei fatti recenti, Zanichelli, Bologna 1996, pp. 7-8; M.T. Donati, Arnulfus Mediolanensis in Compendium Auctorum Latinorum Medii Aevi (500-1500), Sismel, Firenze 2001, vol. I, p. 480. 30 Libro dei fatti recenti, cit., pp. 88-89: “Proponit Chunradus Burgundiam invadere. Ad quam invadendam Longobardorum iubet properare militiam (…) E vicino autem Italie cum optimatibus ceteris electi duces incedunt, presul Heribertus et egregius marchio Bonifacius, duo lumina regni”.

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Se quest’ultimo passo potrebbe essere accusato di faziosità, in quanto scritto da un milanese, gli altri due testi furono, invece, redatti da autori che certamente non avevano l’intento di esaltare la città ambrosiana. Se lo scopo di queste due narrazioni era quello di presentare il topos della tracotanza e della superbia milanese, volta a soggiogare e tiranneggiare sulle città vicine, al contempo non si mise mai in dubbio la superiorità della città nella gerarchia politica del Regnum Italiae. Non bisogna, tuttavia, dare per scontato che la solidità gerarchica testimoniata negli anni del Barbarossa fosse tale anche nei secoli precedenti. Il dominio milanese appare lampante nella documentazione, come si mostrerà successivamente, solo dalla fine dell’XI secolo; tra il IX e la prima parte dell’XI secolo altri nuclei rilevanti del Regnum furono più attivi della città ambrosiana nel rivendicare il favore del sovrano. Si può far riferimento, per esempio, al luogo dell’incoronazione a re d’Italia; solo dopo l’anno Mille si costruì una narrazione volta a presentare Milano come la sede privilegiata per la nomina a sovrano. Infatti, essa non può definirsi tale almeno fino agli inizi del XII secolo, e le testimonianze in merito sono prodotte da una ricca propaganda messa in atto dalla città tra l’XI e il XII secolo31. In precedenza, sarebbe stata Ravenna a svolgere la funzione principale: l’antica capitale di Teodorico ospitò la consacrazione di Carlo il Grosso nell’880, l’incoronazione imperiale di Lamberto nell’892 e il suo presule celebrò la cerimonia di Berengario I a Roma nel 915. Inoltre, Ottone III venne incoronato ad Aquisgrana dai presuli di Ravenna e Colonia nel 98332.

31 La propaganda messa in campo da Milano tra l’XI e il XII secolo per avvalorare la sua posizione di sede dell’incoronazione è stata ricostruita in P. Majocchi, Pavia città regia, cit., pp. 88-98 ma si veda anche C. Paganini, Le incoronazioni regie in Lombardia dal IX alla metà del XIV secolo, in La corona ferrea nell’Europa degli Imperi, Mondadori, Milano 1995, vol. I, pp. 11-43. Verso la fine dell’XI secolo nella storiografia milanese viene dato ampio spazio alla memoria della regalità, il cui perfetto esempio è il proemio dell’opera di Arnolfo, dove viene presentato un lungo catalogo di re italici e imperatori tedeschi: Libro dei fatti recenti, cit., pp. 60-63. Nello stesso tempo venne prodotto un testo molto significativo della rilevanza che in sede ambrosiana aveva acquisito l’incoronazione reale: si tratta di un ordo coronationis imperialis che riservava all’arcivescovo milanese la sinistra dell’imperatore. Si tratta di un documento molto rilevante poiché è l’unico codice che ci riporta una qualche funzione del primate ambrosiano nella cerimonia imperiale romana dal X secolo sino all’incoronazione di Carlo V nel 1530. Tale testo è edito in Ordines coronationis imperialis in MGH, Fontes Iuris Germanici Antiqui, Hannoverae 1960, n. 13, pp. 34-35; vedi, inoltre, G. Isabella, Una rappresentazione imperiale: l’ordo coronationis XIII, in G. Isabella (a cura di), “C’era una volta un re …”: aspetti e momenti della regalità, CLUEB, Bologna 2005, pp. 75-96. 32 Per l’incoronazione di Carlo il Grosso si veda E. Besta, Milano sotto gli imperatori carolingi, in Storia di Milano, Treccani, Milano 1954, vol. II, pp. 342-425, pp. 419-420; per quanto riguarda quella di Lamberto nel 892 si veda G. Fasoli, I re d’Italia, Sansoni, Firenze 1949, p. 25; sull’incoronazione di Berengario I si veda G. Arnaldi, Berengario I, in Dizionario Biografico degli Italiani, anno IX, 1967, ad vocem; sulla cerimonia celebrata dai presuli di Ravenna e Colonia nel caso di Ottone III nel 983

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La città romagnola non fu l’unico centro urbano ad avere un legame particolare con il sovrano; Pavia ebbe un rapporto privilegiato con il re anche dopo la distruzione del palazzo imperiale nel 102433. Sotto la dinastia degli Ottoni la città rimase la sede favorita di residenza dei sovrani, in particolare delle regine. Sebbene l’apparizione sempre più sporadica dei re di Germania nella penisola abbia ridotto la loro presenza nella città ticinese, questa vide un risorgere della propria posizione di antica capitale negli ultimi decenni dell’XI secolo, quando Enrico IV, nel pieno dello scontro con il Papato, elargì numerose prerogative al vescovo e ai cittadini di Pavia e ritornò a risiedere stabilmente in città34.

3. Concili regi, sinodi ed assemblee “regionali”

La vicinanza al sovrano non è l’unico strumento utile per analizzare le relazioni regionali. Vi erano, infatti, specifici momenti volti a rappresentare, come su un palcoscenico, le gerarchie tra i vari soggetti politici del Regnum: i concili regi35. Dopo la riunione delle due corone di Germania e d’Italia, i sovrani erano usi convocare le forze politiche in specifiche assise volte a risolvere questioni rilevanti. Ancora Faini ha dimostrato come queste assemblee fossero convocate su base regionale: la famosa dieta di Roncaglia avrebbe coinvolto i poteri “lombardi”, mentre San Genesio sarebbe stata la sede di tali diete per la marca di Tuscia almeno fino alla fine del XII secolo36. Tali consigli, tuttavia, potevano avvenire in diverse località e i sovrani tedeschi preferirono, durante gran parte dell’XI secolo, l’antica capitale Pavia37. I riferimenti a tali assise sono molto utili si veda E. Voltmer, Sovrani tedeschi in Italia. Continuità e cambiamenti dall’XI al XIV secolo, in S. de Rachewiltz, S. Riedmann (a cura di), Comunicazione e mobilità nel Medioevo: incontri tra il Sud e il centro dell’Europa (secoli XI-XIV), Il Mulino, Bologna 1997, pp. 29-47, p. 33. 33 Per la storia dei rapporti tra Pavia e i sovrani italici si veda A. Settia, Pavia carolingia e postcarolingia, in Storia di Pavia, Banca del Monte di Lombardia, Milano 1987, vol. II, pp. 69-158; Id., Pavia nell’età precomunale, in Storia di Pavia, cit., vol. III, pp. 9-25; P. Majocchi, Pavia città regia, cit., pp. 69-77. 34 Per i rapporti tra Enrico IV e i pavesi si veda E. Hoff, Pavia und seine Bischöfe im Mittelalter: Beiträge zur Geschichte der Bischöfe von Pavia unter besonderer Berucksichtigung ihrer politischen Stellung, Fusi, Pavia 1943, pp. 293-332. 35 Si veda riguardo al carattere giudiziario di queste assemblee e sulla loro rappresentazione pubblica: F. Bougard, La justice dans le royaume d’Italie de la fin du VIIIe siècle au début du XIe siècle, École Française de Rome, Roma 1995; C. Wickham, Justice in the Kingdom of Italy, in La giustizia nell’alto Medioevo (secoli IX-XI), CISAM, Spoleto 1997, vol. I, pp. 179-255; Id., Consensus and Assemblies in the Romano-Germanic Kingdoms: a Comparative Approach, in V. Epp, H.F.C. Meyer (a cura di), Recht und Konsens im frühen Mittelalter, Jan Thornecke, Ostfildem 2017, pp. 389-424. 36 E. Faini, Italica gens, cit., pp. 95-98, 105-113. 37 Sui consigli regi convocati a Pavia si veda P. Majocchi, Pavia città regia, cit., p. 74. La tradizione di convocare le assise del Regnum a Pavia venne ripresa con il concilio di Gregorio V nel 997, seguito l’anno dopo dal Capitulare Ticinense emanato da Ottone III: per il primo si veda

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perché ci permettono di comprendere la gerarchia di potere tra le varie autorità convenute; ed è proprio l’enfasi sulla struttura gerarchica di queste assemblee che mostra il primato di Milano, almeno in quelle riunioni convocate in territorio lombardo. La più famosa di queste assemblee, quella riunita a Roncaglia nel 1158, presenta un ordine politico che esalta la posizione di primato del rappresentante milanese:

Fatto questo, allora Oberto [da Pirovano] arcivescovo di Milano insieme con i consoli milanesi ed anche tutti gli altri vescovi di Lombardia, i conti, marchesi, duchi e gli altri principi d’Italia ed i consoli di tutte le città di Lombardia ivi presenti, pubblicamente nella dieta stessa alzatisi, rimisero in mano all’imperatore tutti quei diritti che i giudici predetti avevano detto essere di regalia e vi rinunciarono a cominciar da sé stessi38.

Anche in questo caso non bisogna retrodatare la realtà dell’epoca del Barbarossa: per esempio, nel 1037 in un’assemblea riunita a Pavia, avvenne una congiura contro l’arcivescovo di Milano Ariberto da Intimiano, in cui agirono i funzionari imperiali con l’approvazione di Corrado II, ma anche del patriarca di Aquileia e del vescovo di Pavia39. Anche negli atti del concilio riunito da Enrico III nel 1046 la sottoscrizione del presule ambrosiano è collocata dopo quella dell’arcivescovo di Ravenna. Se, ancora una volta, la gerarchia delle assise non è un dato sufficiente per stabilire il primato milanese, vi è un altro fattore testimoniato esclusivamente per quanto riguarda la città ambrosiana: Milano fu capace di convocare tali assemblee regionali anche in assenza del sovrano. Infatti, le riunioni potevano aver luogo anche senza l’imperatore; la Toscana ne è un esempio emblematico. A San Genesio la dieta poteva essere riunita anche dal rappresentante pubblico

Constitutiones et acta publica imperatorum et regum in MGH, Leges, Hannoverae 1893, vol. I, n. 381, pp. 536-537, per il secondo Constitutiones et acta publica, cit., n. 23, pp. 49-51. Nel 1022 Enrico II e papa Benedetto VIII presiedono insieme un sinodo, mentre nel 1037 Corrado II emana l’Edictum de beneficiis proprio a Pavia. Nel 1046 Enrico III tiene un concilio mentre tra il 1076 e il 1081 Enrico IV riunisce a Pavia i vescovi filoimperiali per eleggere un antipapa: per il 1022 si veda Constitutiones et acta publica, cir., n. 34, pp. 70-78, per l’editto del 1037 Constitutiones et acta publica, cit., n. 45, pp. 89-91, per il concilio del 1046 vedi Constitutiones et acta publica, cit., n. 48, pp. 94-95 mentre per il sinodo di Enrico IV si veda G.H. Pertz (a cura di), Legum in MGH, Leges, Hannoverae 1837, pp. 52-53. 38 Historia Frederici I, pp. 60-61: “Hoc autem sic peracto, tunc dominus Ubertus Mediolanensis archiepiscopus una cum Mediolanensium consulibus omnesque etiam alii Longobardie presentes episcopi, comites et etiam marchiones seu duces ceterique Italie principes ac omnium Longobardie civitatum consules ibi astantes publice in ipso colloquio surgentes in manu ipsius imperatoris omnia, que predicti iudices regalia iura esse dixerant, refutaverunt ac ei finem ex ipsis omnibus fecerunt”. Traduzione E. Faini, Italica gens, cit., p. 111. 39 Sulla vicenda si veda Libro dei fatti recenti, cit., pp. 90-99.

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regionale, cioè il marchese di Tuscia: è questo il caso del duca Guelfo, che convocò le parti politiche nel 1160 come prima azione del proprio mandato:

Guelfo duca di Spoleto e marchese di Tuscia venne a San Genesio e qui si riunirono i consoli di Pisa con il conte Gerardo e l’arcivescovo di Pisa Villano […] vi erano inoltre i consoli di Pistoia e di Siena, il conte Guido ancora bambino, il conte Ildebrando, i consoli di Lucca e Firenze e, infine, molti capitanei e valvassori. Qui egli fece grande parlamento […]40.

Tuttavia, il caso lombardo è differente: la regione non fu mai racchiusa in un’unica circoscrizione e nessuno dei rappresentanti politici, neanche gli Obertenghi, titolari a un certo punto di gran parte delle contee lombarde, riuscirono ad avere un’autorità tale da poter convocare un’assise plenaria degli attori politici padani. Le uniche testimonianze riguardano una capacità della città di Milano, e in particolare del suo arcivescovo, di coordinare, in determinati momenti, le forze regionali. I riscontri provengono da due periodi specifici, l’inizio dell’XI secolo e l’inizio del XII; in entrambi i casi la convocazione avvenne con un avvallo, esplicito o implicito, dell’imperatore: nel primo caso i sovrani necessitavano di un forte appoggio locale per contrastare le ambizioni dei pretendenti italiani. Nel secondo, invece, Milano avrebbe assunto, nel periodo di Enrico V, un ruolo attivo nella riaffermazione di una rete di relazioni tra le forze in campo, finalizzato a costruire delle strutture intermedie che potessero “fare da ponte” tra le molteplici autorità locali e il potere imperiale 41. Per l’inizio dell’XI secolo si deve guardare al regno di Enrico II. Per ben due volte, i presuli milanesi convocarono le forze politiche del Regno a Roncaglia, con lo scopo di risaldare l’appoggio al sovrano. La prima volta subito dopo la morte di Ottone III: la debolezza di Enrico II e il rafforzarsi del pretendente italiano Arduino d’Ivrea, avrebbero imposto all’arcivescovo di Milano, Arnolfo II d’Arsago, di rispondere a questo tentativo di usurpazione42. Infatti, il primato

40 M. Lupo Gentile (a cura di), Gli Annales Pisani di Bernardo Maragone, Rerum Italicarum Scriptores, Bologna 1936, vol. VI/2, pp. 3-74: 19: “Guelfus dux Spoleti, marchio Tuscie, venit apud Burgum Sancti Genesii; et ibi fuerunt consules Pisani, cum comite Gerardo et cum archiepiscopo Villano Pisane ecclesie Sancte Marie (…) et fuerunt ibi consules Pistorienses et Senenses, et comes Guido puer et comes Ildebrandinus et consules Lucenses, Florentini et capitanei et varvassores multi. Ibi fecit magnum parlamentum”. 41 Sulle politiche portate avanti da Enrico V sul suolo italiano si veda A. Fiore, Il mutamento signorile, cit., pp. 47-54; E. Goez, Zwischen Reichzurgehörigkeit und Eigenständigkeit. Heinrich V und Italien; ein Werkstattbericht, in G. Lubich (a cura di), Heinrich V in seiner Zeit: Herrschen in einem europäischen Reich des Hochmittelalters, Böhlau, Wien 2013, pp. 215-232. 42 Sulle vicende intorno al tentativo di Arduino marchese d’Ivrea di farsi incoronare re d’Italia si veda G. Arnaldi, Arduino re d’Italia, in Dizionario Biografico degli Italiani, anno IV, 1962, ad vocem; U. Brunhofer, Arduin von Ivrea und seine Anhänger: Untersuchungen zum letzten italienischen Königtum des Mittelalters, Arethousa Verlag, Augsburg 1999; G. Sergi, Arduino marchese conservatore e re rivoluzionario, in L.L. Momigliano (a cura di), Arduino mille anni dopo: un re tra mito

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dell’arcivescovo ambrosiano nel territorio milanese era figlio non sono del vasto appoggio urbano alla sua azione, ma anche dell’alleanza che i presuli avevano stretto con gli imperatori tedeschi fin dalla prima discesa di Ottone I in Italia43. Dalla metà del X secolo, il metropolita milanese si alleò con il sovrano tedesco, al contrario dei funzionari pubblici limitrofi, che appoggiarono invece le posizioni dei sovrani autoctoni44. L’alleanza tra Chiesa ambrosiana e imperatori tedeschi divenne un caposaldo delle interazioni politiche nel Regno d’Italia per tutto il secolo; perciò, Arnolfo non solo rimase fedele a Enrico II, ma fu il principale coordinatore delle forze italiane filoimperiali:

Saputo di quest’avvenimento [l’usurpazione di Arduino d’Ivrea] Arnolfo con l’oro, l’argento, i pallii e le gemme delle onorate chiese di S. Maria e di S. Ambrogio, indisse un’assemblea di tutti i primati d’Italia nella pianura di Roncaglia. Quivi, avendo trattato diversi affari del regno, respinse il governo di Arduino, che aveva con male arti il regno usurpato, ed elesse Enrico II tedesco illustre nel sapere, fortissimo nelle armi, bene fornito di truppe di ricchezze45.

e storia, Allemandi, Torino 2002, pp. 11-25; Id. (a cura di), Arduino fra mito e storia, Il Mulino, Bologna 2018. 43 Sui rapporti tra l’arcivescovo di Milano e la popolazione urbana si veda A. Ambrosioni, Gli arcivescovi nella vita di Milano, in Milano e i milanesi prima del Mille, CISAM, Spoleto 1986, pp. 85- 118; Ead., Milano e i suoi vescovi, in Milano e il suo territorio in età comunale, CISAM, Spoleto 1988, vol. I, pp. 291-326; sul rapporto tra l’espansione dell’area di dominio milanese e la posizione del presule ambrosiano negli scontri tra pretendenti tedeschi e italiani si veda A. Rapetti, L’organizzazione distrettuale in Lombardia tra impero e città (IX-XII secolo), in L. Chiappa Mauri (a cura di), Contado e città in dialogo: comuni urbani e comunità rurali nella Lombardia medievale, Cisalpino, Milano 2003, pp. 15-40; S. Bernardinello, I rapporti tra i “ceti dominanti”, cit., pp. 12-17. 44 Emblematica per quanto riguarda l’appoggio ai pretendenti italiani, in particolare ad Arduino d’Ivrea, è la storia dei conti del Seprio, rappresentanti pubblici in uno dei comitati della diocesi di Milano. Le loro pessime scelte politiche portarono a un indebolimento della loro autorità già nella prima dell’XI secolo, che ebbe come conseguenza la mancata creazione di una signoria territoriale. Sulla famiglia dei conti del Seprio si veda A. Lucioni, Dai conti del Seprio ai conti di Castelseprio. Una messa a punto con qualche restauro e alcune novità, in M. Sannazaro, S. Lusuardi Siena, C. Giostra (a cura di), 1287 e dintorni. Ricerche su Castelseprio a 730 anni dalla distruzione, SAP, Quingentole 2017, pp. 66-91. 45 L.C. Bethmann, W. Wattenbach (a cura di), Landulfi senioris Historia mediolanensis in MGH, Scriptores, Hannoverae 1848, vol. VIII, pp. 32-100, p. 57 (da ora Landulfi senioris): “Hoc audiens domnus Arnulfus, paucis commoratus diebus, sanctae Mariae ac sancti Ambrosii in auro et argento palliis et gemmis diversis honoratis ecclesiis, in Ronchalia cum omnibus Italiae primatibus colloquium statuit. Ubi cum diverse de regni negotiis tractassent, Arduini spreto dominio, quod malis artibus usurpaverat, Henricum II Teutonicum, scientia illustrem, armis fortissimum militumque copiis abundantem ac divitiis affluentem elegit”. Arnolfo II dimostrò il proprio appoggio all’imperatore tedesco anche con mano armata: infatti, le milizie arcivescovili sconfissero e misero in fuga le forze del conte Ugo e del fratello prete Berengario, che avevano vasti possedimenti nell’area settentrionale dei domini milanesi e che patteggiavano per Arduino. Sulla vicenda vedi G.P. Bognetti, S. Maria Foris portas di Castelsperio e la storia religiosa dei Longobardi, in Id., L’età longobarda, Giuffré, Milano 1966, vol. II, pp. 11-673, pp. 606-607.

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Se il termine che identifica i personaggi convenuti a Roncaglia ci può indurre a immaginare una riunione ecclesiastica, in un passo successivo l’autore esplicita meglio come tali assise non avessero esclusivamente un valore religioso, e come vi prendessero parte anche i funzionari laici del Regno. Alla morte di Arnolfo II, ascese al soglio arcivescovile il potente diacono Ariberto da Intimiano46. Egli, in un primo tempo, non cambiò la politica del suo predecessore verso i sovrani tedeschi, anzi rafforzò ancora di più il legame con Enrico II:

Inoltre, [l’arcivescovo Ariberto], spinto dall’amicizia verso l’imperatore Enrico I a cui era stato largo di consigli e si era reso degno della fede del re, riuscì a combinare a tempo opportuno un’assemblea di duchi e di vescovi in Roncaglia per l’ordinamento del Regno47.

Le due componenti, ecclesiastica e civile, sono sempre presenti, invece, nel secondo periodo, nel XII secolo. Il primo riferimento è un passo già molto conosciuto dalla storiografia e citato dallo stesso Wickham48: l’assemblea del 1117 dove vennero costruiti due palchi differenti, uno per le autorità ecclesiastiche, l’altro per quelle laiche. Al di là del suo valore rispetto le evoluzioni istituzionali avvenute tra la fine dell’XI secolo e l’inizio del XII secolo49, l’attenzione deve essere posta all’inizio del passo:

Le città della Lombardia e i loro vescovi, sentita l’ambasceria di Giordano (da Clivio) arcivescovo e i consoli della medesima città, convennero nel giorno stabilito a Milano, nel prato che è detto Brolo50.

L’assemblea si svolse in assenza del sovrano, e fu quindi Milano, identificata dalle sue autorità di vertice, a convocare le parti in un’assise che, dai

46 Sull’importanza e rilevante figura di Ariberto da Intimiano si vedano i saggi contenuti in E. Bianchi, M. Basile Weatherill (a cura di), Ariberto da Intimiano: fede, potere e cultura a Milano nel secolo XI, Silvana, Cinisello Balsamo 2007. 47 Landulfi senioris, p. 58: “Praeterea summa Henrici II imperatoris ductus amicitia, quem rex ipse supra omnes mortales in regno ac consciliis regi ministrandis fide regia sublimaverat, in Roncalia ob regni stabilimentum multis cum ducibus et episcopis tempore competenti colloquium decenter construxit”. 48 C. Wickham, Sonnambuli verso un nuovo mondo, cit., p. 7. 49 La testimonianza viene accostata ad un altro atto prodotto nel medesimo anno, primo documento archivistico in cui vennero citati i consoli di Milano: vedi G. Giulini, Memoria della città e della campagna di Milano, ne’ i secoli bassi, vol. V, Milano 1765, pp. 75-91; C. Manaresi (a cura di), Gli atti del Comune di Milano fino al 1216, Capriolo e Massimino, Milano 1919, pp. XXVIII- XXXII; A. Bosisio, Origini del comune di Milano, , Milano 1933, pp. 173-183; Barni, Milano verso l’egemonia, cit., pp. 319-321. 50 L. Bethmann, Ph. Jaffé (a cura di), Landulfi iunioris Historia mediolanensis in MGH, Scriptores, Hannoverae 1868, vol. XX, pp. 17-49, p. 39 (da ora Landulfi iunioris): “Longobardorum autem civitates et earum pontifices, audita legatione Yordani archiepiscopi et consulum eiusdem urbis, in statuta die convenerunt Mediolanum, in prato scilicet quod dicitur Brolium”.

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successivi riferimenti dell’autore, sembra essere coordinata, in sostituzione del sovrano, proprio dall’arcivescovo ambrosiano. La riunione avrebbe adunato una moltitudine di persone che necessitavano di un adeguato spazio per allestire le proprie tende; non è quindi un caso che l’assemblea non avvenisse nell’area antistante il palazzo arcivescovile o nel teatro, sedi usuali delle assemblee cittadine. L’assise venne infatti allestita nel , un’area incolta situata a ridotto delle mura meridionali della città, e che nel testo viene definita come un prato. In questo caso le similitudini con le diete di Roncaglia sono evidenti: non solo nel già citato passo della dieta convocata da Arnolfo II la località venne identificata con il medesimo termine, ma anche nella descrizione della dieta del Barbarossa risulta evidente come tali assemblee avessero bisogno di un vasto spazio per essere convocate e, inoltre, si utilizza lo stesso lemma per descrivere il luogo della riunione. Tuttavia, l’assemblea 1117 non è il solo rimando alla convocazione dei rappresentanti del Regno da parte dell’arcivescovo di Milano nel XII secolo. Infatti, già del 1103 possiamo vedere il presule di quell’anno, Grossolano, convocare una riunione regionale:

Ma Grossolano (…) lavorava per questo convocando i vescovi e i principi di Lombardia e celebrando una sinodo con essi51 52.

51 Landulfi iunioris, p. 25: “set Grosulanus […] sibi laboravit, ut episcopos et principes Longobardiae commoveret et cum ipsis sinodum celebraret”. Grossolano fu un episcopo molto importante nella storia di Milano, pur risultando una figura debole rispetto ad altri arcivescovi. Fu proprio questa sua debolezza – derivata dal non aver nessun legame con l’élite cittadina provenendo da ambienti esterni alla città, cioè da Savona – che permise l’ascesa e il rafforzamento dei vari soggetti politici che coordinavano la vita cittadina già da qualche decennio, ma che solo con l’episcopo savonese troviamo esplicitati nella documentazione. Il momento di difficoltà vissuto dalla parte episcopale, dovuto proprio alla debolezza e dalla provenienza forestiera del loro leader, permise alle forze di opposizione di alzare la testa; lo scontro ebbe termine solo con la rimozione di Grossolano da parte di quei soggetti che avevano favorito la sua ascesa al soglio arcivescovile e la nomina di uno nuovo presule nella figura più energia, e milanese, di Giordano da Clivio. Per le vicende milanesi di Grossolano si veda R. Rossini, Note alla “Historia Mediolanensis”, cit.; cfr. anche G. Archetti, Grossolano, in Dizionario Biografico degli Italiani, anno 59, 2002, ad vocem. 52 Il passo introduce un altro quesito che, tuttavia, non si potrà analizzare all’interno di questo intervento ma di cui si vuole rimandare in nota. Il testo di Landolfo Iuniore esplicita come l’assise di Grossolano fosse una sinodo, cioè una riunione di vescovi convocata per discutere di temi ecclesiastici. Ci si può, tuttavia, chiedere se tali assise vedessero i presuli, che in quegli anni rivestono ancora un’autorità importantissima all’interno dello spazio politico cittadino, discutere solo di temi prettamente religiosi; inoltre, la divisione tra sfera civile e mondo ecclesiastico, agli inizi del XII secolo, è ancora molto labile. Sarebbe perciò molto difficile dividere le assemblee per tipologie di riunione, da una parte i sinodi, dall’altra le assise “politiche” come le diete imperiali e i concili regi. Per questo motivo sarebbe interessante prendere in considerazione, anche per un’analisi degli assetti di potere del Regnum Italiae, le assemblee di vescovi che avvennero nel

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4. Le autorità sottoposte

Di quali fossero le tematiche trattate in queste assise siamo completamente all’oscuro. Si dispone invece di qualche informazione sulle forze convocate: riprendendo l’ipotesi di Faini per cui a Roncaglia si riunissero le autorità lombarde, si può ipotizzare che il bacino d’utenza delle assemblee milanesi non fosse molto differente. Le riunioni erano convocate dal primate ambrosiano che aveva potere su una vasta arcidiocesi; la provincia, negli anni di riferimento, si estendeva dai confini con la Francia fino al Mincio, dalle Alpi svizzere fino alle diocesi liguri53. Vi sarebbe quindi una sovrapposizione tra i protagonisti di Roncaglia e quelli inseriti nell’arcidiocesi di Milano. Inoltre, come dimostra il concilio ambrosiano del 1098, tra XI e XII secolo, con l’avvallo papale, entrarono nella sua orbita d’influenza anche diocesi come quelle emiliane, che pur facendo parte della provincia ravennate, fecero riferimento all’ecclesia ambrosiana per il suo appoggio ad Urbano II, invece che all’arcivescovo di Ravenna54. Ma il testo che ci presenta la migliore descrizione della vasta area d’influenza ambrosiana, ancora una volta, non proviene dall’ambiente milanese: si tratta di un poema scritto da un anonimo abitante di Como che poneva al centro della narrazione lo scontro tra la sua città natia e Milano, avvenuto tra il 1118 e il 1127. Il racconto tratta questioni di carattere locale, in una guerra descritta come uno scontro tra la località lariana e una parte delle forze sottoposte al suo contado, che tentarono di ribellarsi al governo comasco con l’appoggio milanese; una descrizione che in alcuni momenti allarga la propria prospettiva, mostrandoci una geografia ben più estesa55. Ciò emerge in uno degli assalti delle forze ambrosiane alle mura di

corso degli anni. In particolare, per il caso milanese questo fattore è ancora più rilevante poiché riportato anche negli ordinamenti conciliari, scritti nell’XI secolo, per descrivere come si dovesse svolgere una sinodo: venne esplicitato che il terzo giorno, la riunione dovesse essere convocata in un luogo diverso dal palazzo episcopale per permettere la partecipazione del più ampio numero di persone. Inoltre, nell’elenco volto a precisare la gerarchia d’ingresso nella sala consiliare si evidenzia la partecipazione di una rappresentanza di laici. Sull’ordo milanese si veda H. Schneider (a cura di), Die Konzilsordines des Früh- und Hochmittelalters, in MGH, Ordines de celebrando concilio, Hannoverae 1996, pp. 349-354. 53 Solo nel 1133 iniziò la disgregazione dell’ampia arcidiocesi ambrosiana con l’elevazione, da parte di Innocenzo II, del presule di Genova al grado di arcivescovo. Sulle motivazioni di questa scelta si veda P. Zerbi, La Chiesa Ambrosiana di fronte alla Chiesa romana dal 1120 al 1135, cit. 54 Sul concilio provinciale del 1098 si veda A. Lucioni, Anselmo IV da Bovisio, cit., pp. 141-155. 55 Sull’importanza del testo per conoscere le relazioni tra i vari soggetti politici attivi nell’area agli inizi del XII secolo si veda P. Grillo, Una fonte per lo studio dei comuni rurali lombardi all’inizio del secolo XII: il poema De bello et excidio urbis Comensis, in R. Mucciarelli, G. Piccinni, G. Pinto (a

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Como: la descrizione dell’anonimo evidenzia come Milano avesse convocato tutti i suoi alleati per sferrare tale attacco:

Mandano quindi messi da ogni parte / per aver truppe. Bussano a Pavia / ed a Cremona. Dietro a loro vengono / Bergamo e Brescia, e la Lombardia, anch’essa / di condur le sue genti comandata. / Vien pur Vercelli, e viene ad esso insieme / Asti, e vien la Contessa che si porta / il figlioletto in braccio. Di sua voglia / giunge Novara e tutta la sua armata. / Invitata vien l’aspra Verona / con molta truppa; e la dotta Bologna / porta con sé le leggi sue. Ferrara / reca certo di là le sue saette, / e con le sue crudeli frecce Mantova / giunge troppo premurosa e seco lei / la terra che Guastalla vien chiamata. / Parma conduce i cavalieri suoi / di Garfagnana. Sono quanti quante / le stelle e del mar l’onde, quante l’erbe56.

L’anonimo offre quindi una geografia ben più ampia della sola arcidiocesi ambrosiana, che ha molte similitudini con le autorità radunate nelle assise del Barbarossa. Non bisogna tuttavia pensare che Milano avesse un potere effettivo sul governo interno di queste città; ma è altresì vero che poteva esprimere, tramite un’autorità superiore, una volontà politica che coinvolgesse tutti i soggetti inseriti in una determinata area. Si è di fronte, perciò, a una chiara gerarchia di cui la città ambrosiana rappresentava il vertice incontrastato, dove gli alleati avevano determinati obblighi, fra i quali vi era il sostegno militare in caso di conflitto57. Un ultimo parallelo tra Roncaglia e le assemblee milanesi si trova negli ordini di presentazione delle autorità convenute. Tali manifestazioni dovevano cura di), La costruzione del dominio cittadino sulle campagne: Italia centro-settentrionale, secoli XII-XIV, Protagon, Siena 2009, pp. 59-76. 56 Liber Cumanus, vv. 203-216: “Mittunt ad cunctas agmina partes / ducere, Cremona, Papia mittere curant, / cum quibus et veniunt cum Brixia, Pergama: totas / ducere iussa suas simul et Liguria gentes. / Nec non adveniunt Vercella, cum quibus Astum / et Comitissa suum gestando brachio natum / sponte sua tota cum gente Novaria venit; / aspera cum multis venit et Verona vocata: / docta sua secum duxit Bononia leges. / Attulit inde suas Ferraria nempe sagittas, / Mantua cum rigidis nimium studiosa sagittis; / venit et ipsa si qua Guardastalla vocatur, / Parma suos equites conduxit Carfanienses. / Tot sunt ut stellae, maris undae, aequantur et herbis”. La traduzione è contenuta in E. Besta (a cura di), La guerra dei Milanesi contro Como: 1118-1127, Giuffré, Milano 1985, vv. 300-318. 57 Sono evidenti le similitudini con quelle alleanze sovracittadine che caratterizzarono l’Italia settentrionale nell’epoca successiva al Barbarossa, esemplificate dai due modelli di Milano e Cremona. Anche in quel caso la struttura creata dalla città ambrosiana risulta più accentrata sul suo ruolo di leadership, a confronto con una struttura cremonese in cui gli attori furono tutti quasi sullo stesso livello. Una chiara differenza rispetto a quei quadri è l’estensione dell’area di riferimento: agli inizi del XII secolo Milano riuscì a espandere la propria egemonia su un’area vastissima – per esempio entrarono a far parte anche Pavia e Cremona, che non furono mai domate nei secoli successivi – che si restrinse dopo le guerre contro il Barbarossa. Per le leghe sovracittadine si veda M. Vallerani, I rapporti intercittadini nella regione lombarda tra XII e XIII secolo, in G. Rossetti (a cura di), Legislazione e prassi istituzionale nell’Europa medievale. Tradizioni normative, ordinamenti, circolazione monetaria, Liguori, Napoli 2001, pp. 221-290.

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rappresentare, proprio per il loro carattere pubblico, le gerarchie di potere dei soggetti intervenuti; per questo la presenza di una struttura gerarchica standardizzata, così come di chiare posizioni e rispettivi ruoli ricoperti in assemblea, furono un’attività costante e continua delle cancellerie medievali. Se prendiamo un passo relativo alla dieta di Roncaglia del 1154 si può osservare come l’autore presenti una determinata sequenza di autorità:

Il re inviò i suoi legati in Alemannia, Sassonia, Provenza, Burgundia, Lombardia, Toscana, Romagna e per tutto l’Impero romano, ordinando che gli arcivescovi, i vescovi, gli abati, i conti, i marchesi, i duchi e tutte le autorità delle dette provincie…58.

La formula ha un evidente parallelo con un riferimento di Landolfo Iuniore riguardo la guerra contro Como: il casus belli che fece innescare una rivalità sopita da decenni fu la cacciata dalla città lacustre del pretendente imperiale al seggio episcopale, Landolfo da Carcano, che proveniva da una famiglia dell’élite rurale milanese. La prima azione militare contro Como coinvolse solo le forze milanesi e si concluse con una sanguinosa battaglia inconcludente. Nel frattempo, a Milano venne convocata una riunione generale per discutere sull’atteggiamento da tenere verso lo scomunicato Enrico V; i milanesi utilizzarono questa assise per coinvolgere le forze del Regnum nella loro lotta:

Nel medesimo periodo i marchesi e i conti di Lombardia convennero a Milano, poiché qui una riunione dei vescovi suffraganei e dei comprovinciali stava spiegando l’innocenza dell’imperatore e lo stesso imperatore si era prodotto per la benevolenza dell’arcivescovo e dei vescovi. Infatti, gli episcopi, riunitesi nel palazzo di Milano, insieme con l’arcivescovo ascoltarono attentamente i marchesi e i conti che parlavano con maggiore fedeltà del loro signore; a causa di queste parole e di vari arbitrati l’imperatore avrebbe dovuto essere alieno dalla colpa della scomunica. Ma nello stesso momento in cui la riunione dell’arcivescovo e dei vescovi disputava con i marchesi, i conti, i duchi e i principi, i cavalieri e i cittadini di Milano avevano giurato nell’atrio della chiesa di fare guerra contro Como, nonché di distruggere Vico e Cologno e di distruggere questa cittadina59.

58 Historia Frederici I, p. 11: “Rex itaque suos legatos per Alamaniam, Saxoniam, Provinciam, Burgondiam, Longobardiam, Tusciam, Romaniam et per universum Romanum imperium misit, iubens archiepiscopis, episcopis, abbatibus, comitibus, marchionibus, ducibus ac universis aliis predictarum provinciarum principibus…”. Traduzione in E. Faini, Italica gens, cit., p. 108. 59 Landulphi iunioris, p. 41: “Marchiones vero et comites Longobardie in hac tempestate convenerunt Mediolani ut ibi coram episcopis suffraganeis et cumprovincialibus explicarent imperatoris innocentiam, et ipsum imperatorem producerent in archiepiscopi et episcoporum benivolentiam. Episcopi, itaque, consedentes in palatio Mediolanensi, una cum archiepiscopo atente audierunt marchiones et comites, fideliter loquentes de domino suo; propter quorum verba quam plures arbitrati sunt imperatorem esse alienum ab excommunicationis culpa. Set dum archiepiscopus et episcopi contentiose adversus marchiones et comites, duces et reges disputarent, milites et cives Mediolani in atrio ecclesie iurabant facere gueram Cumanis, donec Vicum et Coloniam destruerent, civitatem quoque ipsam dissiparent”.

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L’enumerazione delle autorità convenute presenta la medesima forma utilizzata nella convocazione di Roncaglia; è possibile che questa fosse una formula cancelleresca conosciuta sia Landolfo Iuniore, grazie al suo lavoro come scrittore di lettere per i consoli milanesi, sia Ottone Morena, in quanto membro dell’élite politica lodigiana. È rilevante che la stessa formula fosse utilizzata per indicare sia la dieta di Roncaglia che quelle riunita a Milano: è evidente che l’autore voglia presentare al lettore un parallelismo tra le due assise.

5. Le interazioni con lo spazio politico cittadino

Ai numerosi indizi fin qui presentati per teorizzare l’esistenza di un quadro regionale lombardo dominato dall’autorità di Milano manca un dato relativo alla struttura politica interna; in altre parole, se tale costruzione di potere avesse degli effetti nella politica cittadina. Seppur molto labili possiamo trovare nella documentazione coeva alcuni rimandi, in particolare attorno a un termine che compare nelle testimonianze proprio tra la fine dell’XI e gli inizi del XII secolo, gli anni in cui la prospettiva regionale del dominio ambrosiano ci appare più evidente nella documentazione: commune consilium. Il lemma si presenta in quegli anni non solo a Milano, ma in varie realtà cittadine dell’Italia centro- settentrionale ed è stato spesso connesso con la nascita dei Comuni urbani, in particolare con le prime assemblee istituzionalizzate, capaci di coordinare l’attività politica e amministrativa cittadina a seguito del giuramento comune, alla coniuratio, che univa tutti i partecipanti. Un esempio famoso è il suo utilizzo nel pisano “lodo delle torri”, uno dei testi più famosi della prima età comunale, in cui troviamo la presenza della commune colloquium civitatis, dove chiunque avrebbe potuto contestare le attività illegali connessi alle torri; tale assemblea poteva deliberare su eventuali eccezioni alla norma vigente in base al commune consilium60. Nessun documento milanese è così esplicito nel definire il significato di tale termine, per cui rimangono ancora dubbi se fosse un qualche tipo di assemblea – sebbene in area lombarda le assise cittadine formalizzate prendevano il nome di concio – o fosse un sistema per poter prendere decisioni collegialmente. Il suo utilizzo, tuttavia, è sporadico e limitato a quei provvedimenti che avevano ripercussioni sull’intera cittadinanza, e che richiedevano quindi un’approvazione unanime. La formula specifica sempre quali forze politiche venissero convocate, mostrandoci uno spaccato delle

60 Sul lodo delle torri e la sua importanza della prima storia comunale pisana si veda G. Rossetti, Il lodo del vescovo Daiberto sull’altezza delle torri in Pisa e la Toscana occidentale nel Medioevo, GISEM- ETS, Pisa 1991, vol. II, pp. 25-47; M. Ronzani, Chiesa e “civitas” di Pisa nella seconda metà del secolo XI. Dall’avvento del vescovo Guido all’elevazione di Daiberto a metropolita di Corsica (1060-1092), GISEM-ETS, Pisa 1996, pp. 233-240, 247-255.

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personalità milanesi attivi in quegli anni: vi sono alcuni attori ormai istituzionalizzati come il presule, i consoli, gli iudices e gli ordinari; altri invece vengono ancora presentati secondo una generale formula sociale come capitanei, valvassori e cives. Tuttavia, a distinguere il caso di Milano da quello delle altre città, in primis Pisa, non è la strutturazione delle forze locali, ma la presenza fissa dei vescovi suffraganei. Nelle attestazioni di commune consilium milanese si nota la costante presenza di presuli della provincia ecclesiastica, i quali non venivano considerati enti estranei, ma parte integrante del mondo ambrosiano, e quindi elementi fondamentali dello spazio politico milanese. Il coinvolgimento diretto di questi vescovi nell’amministrazione interna nella città è reso palese soprattutto nei momenti in cui l’autorità cittadina era in difficoltà, o in situazioni di scontro tra i vari gruppi politici: il ruolo dei presuli sembra essere quello di prendere decisioni importanti, accettate dalla cittadinanza, con lo scopo di ripristinare la pace interna e favorire l’affermazione di una nuova autorità cittadina. La riunione dei vescovi rappresenterebbe una struttura di stabilità che con legittimità, quindi con l’avvallo della popolazione milanese, poteva intervenire nell’amministrazione urbana61. Un caso emblematico avvenne nel 1103 quando l’apparente successo di prete Liprando nella prova del fuoco costrinse l’arcivescovo Grossolano a fuggire dalla città62. La fuga del vertice istituzionale urbano mise in difficoltà la parte

61 Per il ruolo del commune consilium nella politica milanese rimando alle analisi contenute nella mia tesi di dottorato: S. Bernardinello, I capitanei e la città. Rapporti sociali e azione politica dell’aristocrazia a Milano nelle sperimentazioni del potere urbano (metà XI secolo – 1185), tesi di dottorato, Università degli studi di Firenze e Siena, tutor A. Zorzi, Firenze 2019, pp. 66-93. 62 Le vicende che portarono alla prova del fuoco del 1103 si incentrano sulla debolezza di Grossolano: egli era stato chiamato dal suo predecessore Anselmo IV come vicario per reggere la cattedra ambrosiana durante la crociata dei Lombardi, organizzata dalle forze politiche dell’Italia centro-settentrionale e partita nel 1100. La notizia della fine infausta dell’impresa, con la sconfitta del corpo di spedizione e la morte qualche mese dopo dell’arcivescovo a Costantinopoli, arrivò qualche mese dopo a Milano e si dovette eleggere un nuovo presule. Dopo una riunione infuocata venne eletto proprio Grossolano. Tale elezione presentava molti problemi: per tradizione, il successore di Ambrogio doveva essere di origine milanese, mentre, come si è già visto, egli era savonese. Inoltre, proprio durante l’assemblea convocata per la nuova nomina, avevano ripreso vigore le opposizioni al regime cittadino, che ormai governava la città dalla fine degli anni Ottanta dell’XI secolo, e della sua politica vicina alle istanze papali. Questo fronte venne capitanato da prete Liprando, un vecchio seguace della Pataria, in rappresentanza delle istanze ultraconservatori. Pur essendo una minoranza attaccarono più volte Grossolano, il quale non aveva il vasto supporto urbano che, invece, aveva avuto il suo predecessore. La prova del fuoco rappresentò il culmine di questo scontro e della rivalità personale tra il sacerdote e l’arcivescovo. Sul racconto di questi anni si veda ancora R. Rossini, Note sulla “Historia Mediolanensis”, cit., mentre sulla prova del fuoco si vedano le informazioni contenute in F. Salvestrini, La prova del fuoco: vita religiosa e identità cittadina nella tradizione del monachesimo fiorentino (seconda metà del secolo XI), in «Studi medievali», anno LVII, 2016, pp. 87-127.

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politica che lo appoggiava, favorendo l’azione dei suoi avversari e l’inizio di tumulti per la città. Una risposta immediata venne da una convergenza di intenti tra la riunione dei vescovi, la sinodo già citata in precedente, e i fautori di Grossolano: i primi rifiutarono di considerare superata la prova di prete Liprando a causa del segno di una scottatura – che il cronista Landolfo Iuniore, che parteggia per prete Liprando in quanto suo nipote, afferma essere avvenuta dopo la prova a seguito dell’intervento del cavallo di Giovanni da Rho, membro della più importante stirpe capitaneale favorevole al regime urbano63 –; i secondi si considerarono autorizzati a rispondere, mano armata, contro i fautori di prete Liprando, così da ristabilire la quiete urbana64. Anche in un altro episodio di politica cittadina vi fu la convocazione di alcuni suffraganei prima della decisione finale, sempre in un momento turbolento. Sono gli anni Trenta del XII secolo e in città si contrappongono due schieramenti divisi sulla posizione da prendere riguardo lo scontro che stava avvenendo per le nomine imperiali e papali65. L’arcivescovo dell’epoca, Anselmo V, era supportato dal gruppo vicino allo svevo e ad Anacleto, che tuttavia verso il 1135 sembrava ormai sul viale del tramonto sia per la pacificazione tra Corrado e Lotario sia per la discesa di quest’ultimo in Italia. Fu così messa in campo una complessa operazione per deporre il presule e far cadere il regime, che doveva godere ancora di un certo appoggio popolare. Il piano vide in campo fin da subito i vescovi suffraganei, chiamati in causa dallo stesso accusato, e senza i quali non si poteva proseguire. Sarà proprio uno di questi, Robaldo, vescovo di Alba, a rimanere in città per poter guidare la transizione di governo dopo che l’iniziativa per scacciare sia il presule sia la sua parte politica ebbe pieno successo66. Questi due casi forniscono un primo riscontro riguardo la compenetrazione tra politica urbana e spazio politico regionale: non solo la propaganda milanese esaltò il

63 Per alcuni rimandi sulla famiglia da Rho e sul suo ruolo nella politica milanese della prima parte del XII secolo, si veda S. Bernardinello, Le divisioni in seno all’aristocrazia milanese del XII secolo: le cause politiche dell’emarginazione di un ramo dei capitanei de Raude a partire da un documento del 1137, in G. Albini (a cura di), Milano medioevale. Studi per Elisa Occhipinti, Pearson, Milano- Torino 2018, pp. 37-52. 64 Per la ricostruzione dell’intera vicenda, troppo lunga per essere riportata integralmente, si veda Landulphi iunioris, pp. 26-28. 65 Non è ancora disponibile uno studio specifico sulla rivalità per il trono imperiale che vide contrapposti Corrado di Svevia e Lotario di Supplimburgo; per alcuni richiami si veda T. Gross, Lothar III und die Mathildischen Güter, Peter Lang, Frankfurt 1990. Per quanto riguarda, invece, la contrapposizione tra Innocenzo II e Anacleto II si veda S. Anzoise, Lo scisma del 1130: aspetti e prospettive di un lungo dibattito storiografico, in «Archivum Historiae Pontificiae», anno XLIX, 2011, pp. 7-49. Per alcune informazioni sulle vicende milanesi durante questi anni si veda S. Bernardinello, Le divisioni in seno all’aristocrazia milanese, cit. 66 Per la vicenda si veda Landulphi iunioris, pp. 45-46; per un’analisi dell’evento si veda S. Bernardinello, I capitanei e la città, cit., pp. 123-128.

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proprio ruolo nelle gerarchie lombarde, ma coinvolse queste ultime nelle decisioni interne, considerandole parte integrante dello spirito ambrosiano.

Conclusione

Si può affermare che in una realtà politica complessa, caratterizzata da più livelli di potere (imperiale, reale, regionale, locale), distinti ma intrecciati tra loro, organizzati in specifiche occasioni seguendo modalità sovralocali utili a rilevare le gerarchie interne alle varie realtà convenute, la posizione di Milano ai vertici della macrostruttura politica lombarda nel periodo preso in considerazione risulti indiscussa: una vera e propria capitale della Lombardia. Le aspirazioni cittadine, tuttavia, non si limitavano a questo ma aspiravano altresì a un riconoscimento della propria eccezionalità in riferimento a tutto il Regnum, con l’obiettivo di costruire un rapporto particolare con l’imperatore. Una relazione che aspirava ad affermare una sorta di equiparazione con il sovrano, ricordandogli che non poteva governare l’Italia senza l’appoggio della metropoli. Una propaganda capace anche di creare luoghi specifici di raffigurazione del primato milanese. Infatti, all’interno della basilica di Sant’Ambrogio, dove riposavano le reliquie del presule, fondamento dell’identità milanese, tra il X e l’XI secolo si ebbe una profonda trasformazione dell’area presbiteriale, con particolare attenzione al ciborio sovrastante l’altare d’oro di Volvinio67. La creazione di un’ampia cripta sopraelevata rispetto al livello pavimentale della chiesa creò un ampio spazio nel settore finale del presbiterio, che, secondo una recente proposta di Ivan Foletti, sarebbe stato il luogo prescelto per le incoronazioni reali68. Al di là del problema se questo spazio sia stato effettivamente utilizzato per tale scopo prima della metà del XII secolo, rimane il fatto che la scelta non fu per nulla casuale: la cerimonia sarebbe avvenuta con l’arcivescovo di Milano seduto sulla cattedra al centro del catino absidale, contorniato dai suoi suffraganei e dai maggiori rappresentanti politici della Lombardia, a specchio della decorazione superiore del tamburo ove un

67 Sui rifacimenti e le ristrutturazioni che coinvolsero la basilica di Sant’Ambrogio tra il X e il XII secolo si veda C. Bertelli, P. Brambilla Barcilon, A. Gallone (a cura di), Il ciborio della basilica di Sant’Ambrogio in Milano, Credito artigiano, Milano 1981; S. Lusuardi Siena, E. Neri, P. Greppi, Le chiese di Ambrogio a Milano: ambito topografico ed evoluzione costruttiva dal punto di vista archeologico in La memoria di Ambrogio di Milano, cit., pp. 31-86; L. Markus, L’“architectus sapiens” Ambrogio e le chiese di Milano, in Milano allo specchio, cit., pp. 55-80. 68 Si veda I. Foletti, Il ciborio di Sant’Ambrogio tra passato (e futuro). Un monumento perno nella ricezione e nella costruzione dell’identità figurativa milanese, in Milano allo specchio, cit., pp. 81-100; Id., I. Quadri, Un dialogo inevitabile: l’ambone palinsesto di Sant’Ambrogio a Milano, in N. Bock, I. Foletti, M. Tomasi (a cura di), Survivals, revivals, rinascenze: studi in onore di Serena Romano, Viella, Roma 2017, pp. 105-322.

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sant’Ambrogio in trono spiccava in mezzo a diciotto vescovi, a rappresentare l’intera Italia69. L’immagine doveva avere un significato molto evidente: come nei tempi antichi, Milano vantava il primato nel Regnum Italiae, la città doveva essere “la sede graditissima del re”.

69 Il legame tra ambizioni milanesi e primato ambrosiano rimase un caposaldo della storia cittadina anche nei secoli successivi e la decorazione del catino absidale di Sant’Ambrogio venne riutilizzata in altre iconografie sempre con un significato molto simile. Un caso emblematico è nella prima età viscontea il sarcofago di Azzone Visconti, dove troviamo l’omaggio di tutte le città sottoposte al dominio – raffigurate attraverso un cavaliere e il loro santo patrono – alla figura del signore, protetto dall’effige del santo patrono. L’opera fece parte della propaganda messa in campo dai Visconti durante i primi anni del loro dominio per poter giustificare e legittimare il loro primato in Lombardia; si veda G. Cariboni, I Visconti e la nascita del culto di sant’Ambrogio della Vittoria, in «Annali dell’istituto storico italo-germanico in Trento», anno XXVI, 2000, pp. 595-613; Id., Rappresentazione simbolica e finzione della continuità presso i primi Visconti a Milano (1277-1354), in «Reti medievali», anno IX, n. 1, 2008, pp. 85-134; F. Cengarle, “La signoria di Azzone Visconti tra prassi, retorica e iconografia (1329-1339)”, in M. Vallerani (a cura di), Tecniche di potere nel tardo Medioevo: regimi comunali e signorie in Italia, Viella, Roma 2010, pp. 89-116; G. Cariboni, L’iconografia ambrosiana in rapporto al sorgere e al primo svilupparsi della signoria viscontea in La memoria di Ambrogio di Milano, cit., pp. 129-153.

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