THE FUTURE SOUND OF CLASSICAL

RAI NUOVAMUSICA 2017 AUDITORIUM RAI “ARTURO TOSCANINI” DI TORINO

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Indice

Presentazione ...... Pag. 4

Calendario concerti ...... » 6

1° concerto ...... » 7 Note al 1° concerto ...... » 8

2° concerto ...... » 14 Note al 2° concerto ...... » 15

3° concerto ...... » 21 Note al 3° concerto ...... » 22

Biografie ...... » 27 Riconoscimenti e discografia ...... » 36 Biglietteria e informazioni ...... » 39 Rai NuovaMusica 2017 Tradizione, innovazione e contaminazione nei concerti di Rai NuovaMusica di ERNESTO SCHIAVI*

Ingo Metzmacher, Gergely Madaras e Francesco Lanzillotta faranno musica con la nostra orchestra in questa nuova edi- zione di Rai NuovaMusica, che come nella sua tradizione si propone di mettere a confronto per il nostro ascolto e la nostra riflessione diverse generazioni, correnti di pensiero musicale, ricerche e sperimentazioni di questo e del precedente secolo. Nuova musica in tempi diversi nel primo concerto, dove un solido filo musicale lega Magnus Lindberg, Gérard Grisey ed Edgard Varèse: Lindberg, che con estrema originalità sintetiz- za influenze dello spettralismo di Grisey (di cui è anche allievo a Parigi) a molteplici contaminazioni persino di musica india- na e punk-rock; Grisey, che sublima il materiale sonoro in un continuo mutamento nelle sue luci e ombre; e Varèse che in Amériques percorre territori allora inesplorati, imponendosi come il rappresentante più avanzato della nuova musica del suo tempo. Tradizione, innovazione e contaminazione caratterizzano an- che i contenuti musicali del secondo concerto, dalla partitura di Peter Eötvös, compositore tra i più importanti del panorama musicale contemporaneo, alla personalissima indipendenza poetica pregna di misticismo di Sofija Gubajdulina, per arri- vare alla particolare personalità di Mason, presente con Isola- rion, composizione premiata a Lucerna nel 2013 e importante esempio dei suoi rituali di risonanza naturale. Il brano di Dai Fujikura poi, è stato scritto per l’orchestra che riunisce i giova- ni musicisti del metodo didattico El Sistema che José Antonio Abreu ha fondato in Venezuela nel 1975 e che ha già prodotto numerosi talenti musicali di prima grandezza. Il titolo Tocar y Luchar (suonare e lottare) si riferisce alle difficili condizioni in cui vivono i giovanissimi strumentisti per cui lo studio della musica rappresenta la sola possibilità di fuga da una realtà di- sagiata e spesso violenta. Nel terzo concerto conosceremo le nuove particolari risorse di estensione e timbro del violino elettrico nel Concerto di Brett Dean, concepito in origine per viola (Dean è un eccellente violista) e da lui trascritto per violino. Ma a ritroso nel tempo ascolteremo anche importante nuova musica del secolo scor-

4 so: Introduzione, Passacaglia e Finale di Giovanni Salviucci, che è stato uno dei massimi giovani esponenti della realta musica- le italiana del primo Novecento. Accanto a lui, Niccolò Casti- glioni, con il suo personale linguaggio libero da dogmatismi, ci mostra in Inverno In-Ver tutta la sua originalissima poetica musicale, che lui stesso sintetizza nel titolo dell’ultimo movi- mento della composizione: Il rumore non fa bene, il bene non fa rumore.

*Direttore artistico OSN Rai

«La partitura è ricca di indicazioni che aiutano a trovare la giusta interpretazione del rapporto tra il solista e gli altri strumenti, per- sonaggi che danno vita a un autentico dramma teatrale dove il fagotto è l’eroico ribelle che viene infine sconfitto dalla “massa” minacciosa degli archi». (Elvio Di Martino sul Concerto per fagotto e archi bassi di Sofija Gubajdulina)

«L’uso del violino elettrico a cinque o sei corde permette di otte- nere risultati timbrici e di estensione certamente superiori a quelli del violino tradizionale, e altri compositori, come ad esempio Ivan Fedele, hanno scritto per questo particolare strumento. IlConcerto di Brett Dean è un lavoro entusiasmante, ricchissimo di idee mu- sicali e con una sapiente strumentazione che deriva dall’essere Dean un violista di prim’ordine, un Hindemith dei nostri giorni». (Francesco D’Orazio sul Concerto per violino elettrico e orchestra di Brett Dean)

5 RAI NuovaMusica 2017

1° CONCERTO Dai Fujikura Venerdì 3 febbraio 2017 Tocar y Luchar (2010/12) ore 20.30 (prima esecuzione italiana)

DirettoreIngo Metzmacher Christian Mason (1984) Violino Frank Peter Zimmermann Isolarion: Rituals of Resonance (2012/13) Magnus Lindberg (prima esecuzione italiana) Concerto n. 2 per violino e orchestra (2015) (prima esecuzione italiana) ______3° CONCERTO Venerdì 17 febbraio 2017 Gérard Grisey ore 20.30 Modulations, per 33 strumentisti (1976) Direttore (da Espaces acoustiques, IV) Francesco Lanzillotta Violino elettrico Edgard Varèse Francesco D’Orazio Amériques (versione ridotta del 1927/29) Brett Dean Concerto per violino elettrico e orchestra (2015/16) 2° CONCERTO (prima esecuzione Venerdì 10 febbraio 2017 assoluta) ore 20.30 ______

DirettoreGergely Madaras Niccolò Castiglioni FagottoElvio Di Martino Inverno In-Ver, 11 poesie musicali per piccola Peter Eötvös orchestra (1973/78) The Gliding of the Eagle in the Skies (2011/16) Giovanni Salviucci Introduzione, Sofija Gubajdulina Passacaglia e Finale (1934) Concerto per fagotto e archi bassi (1975) ______

6 Rai NuovaMusica 2017

VENERDÌ 3 FEBBRAIO 2017 1° ore 20.30 Direttore Ingo Metzmacher Violino Frank Peter Zimmermann ______Magnus Lindberg (1958) Concerto n. 2 per violino e orchestra (2015) I movimento II movimento Cadenza III movimento

(prima esecuzione italiana)

[Boosey/Ricordi – 25’ ca.] ______

Gérard Grisey (1946-1998) Modulation, per 33 strumentisti (1976) (da Espaces acoustiques, IV)

[Ricordi – 17’ ca.]

Il concerto Edgard Varèse (1883-1965) è trasmesso Amériques in collegamento diretto (versione ridotta del 1927/29) su Radio 3, per il programma “Radio 3 Suite”. [Ricordi – 24’ ca.]

7 Note al 1° concerto

In un lavoro del 1974/76, Coro, Luciano Berio mette in luce la stretta analogia tra la coralità delle voci umane e quella degli strumenti di un’orchestra attraverso un elementare espedien- te, disponendo cioè sul palcoscenico ciascun artista del coro accanto a un professore dell’orchestra. In questo modo balza all’occhio come l’orchestra in fondo non sia altro che un coro di voci strumentali, replicando la struttura sonora dal basso verso l’alto dei gruppi vocali e la sovrapposizione verticale dei registri. La musica moderna tuttavia ha elaborato in forma più estesa il concetto di polifonia implicito nella scrittura per orchestra, che non rappresenta soltanto il luogo d’incontro di voci e timbri differenti, ma anche il contenitore di una plura- lità di tecniche e processi compositivi di natura eterogenea. L’orchestra del Novecento, a partire dalle prime esperienze di ribellione contro la musica del secolo precedente, ha in- globato infatti nuove forme espressive, con l’idea di conferire al linguaggio artistico una rappresentazione più profonda e veritiera della realtà umana. Ecco per esempio come Arnold Schönberg immagina di scrivere una sinfonia sfruttando lo sti- le della musica da camera oppure come Stravinskij mescola le eterofonie della musica popolare russa e la scrittura polifonica tradizionale. Un processo analogo avviene anche nello spazio sonoro dell’orchestra, che si dilata nel tempo non solo nell’e- stensione dei suoi confini, ma anche nella struttura stessa del- la materia acustica. Il programma del concerto offre un rapido panorama del percorso compiuto dall’orchestra in un secolo di musica.

Il Concerto n. 2 per violino è stato scritto daMagnus Lindberg nel 2015 per Franck Peter Zimmermann, che lo ha eseguito nel giro di poco più di un anno con una nutrita serie di grandi orchestre, a cominciare dalla London Philharmonic Orchestra diretta da Jaap van Zweden. La forma del concerto per violino è una delle più antiche e cariche di storia, cosa che in genere mette a disagio un compositore d’oggi, costretto a confron- tarsi con un genere nel quale sembra molto difficile inventare qualcosa di nuovo. La maggior parte dei musicisti del nostro tempo autori di un concerto per violino, e sono numerosi, si è limitata a scrivere un unico lavoro, riversando in esso una sorta di compendio universale del proprio rapporto con lo strumen- to principe, assieme al pianoforte, della musica occidentale. Lindberg invece ha deciso di affrontare di nuovo, a distanza di dieci anni, il tema del rapporto tra violino e orchestra, svi-

8 luppando l’idea di virtuosimo in una forma nuova. Non è una novità per il compositore finlandese, che aveva già replicato in passato sia il concerto per pianoforte, sia il concerto per vio- loncello. Questa disposizione per il virtuosismo nasce forse dall’esperienza personale di Lindberg, che in passato è stato un pianista di valore, ma più in generale segna una svolta nella musica d’avanguardia alla fine degli anni Ottanta. La maggior parte dei lavori concertanti precedenti infatti tendeva a mette- re in crisi la figura del solista, la sua natura virtuosistica, elabo- rando tecniche di scrittura estranee o in contrasto con la storia dello strumento, riflettendo forse lo spirito dei tempi e il con- troverso rapporto tra individuo e collettività. I Concerti di Lin- dberg, in particolare il primo scritto per il violino, vanno inve- ce nella direzione opposta, recuperando in forma moderna la tradizione virtuosistica. Rispetto al neoclassicismo del Primo Concerto, il Secondo mette in luce un rapporto più complesso con l’orchestra, di ampie dimensioni e di maggior spessore sonoro rispetto al precedente. Per capire come si configura il rapporto dialettico tra solista e orchestra è sufficiente esami- nare le prime battute del lavoro. Il violino propone all’orchestra un tema, formato da una serie di tre bicordi contenenti una sequenza di intervalli, ossia terza minore (fa diesis-la), quarta (fa-si bemolle) e quinta giusta (mi-si naturale). Mentre il soli- sta riformula in maniera variata questo motivo, gli archi divisi a due riprendono la serie d’intervalli sovrapponendoli a note lunghe, prima una coppia di viole, poi di violini II e di violini I. Si forma così anche uno sfondo armonico, sul quale vengo- no colate anche alcune gocce di colore con l’aggiunta di una coppia di clarinetti e una di oboi, che riprendono la serie di in- tervalli in figurazioni più svelte e guizzanti. La scrittura procede con un progressivo incremento della complessità dei rapporti orizzontali e verticali generati dalla cellula iniziale. Il secondo movimento si fonde naturalmente nel primo, con un morbido trio di tromboni che riprende la sequenza germinale per svi- luppare un nuovo episodio. Ora è l’orchestra a dettare il tema al solista, in un dialogo subito fitto con le diverse sezioni. In questo episodio più lirico si manifesta in maniera più chiara la complessa sovrapposizione delle strutture polifoniche, in cui il violino giostra abilmente volteggiando da uno strato armo- nico all’altro, con qualche complicazione per il solista che in questi fulminei passaggi deve intonare al volo il suo orecchio interiore, per così dire. La grande cadenza che segna il pas- saggio al movimento conclusivo rappresenta il culmine del virtuosismo di un Concerto già molto impegnativo. Inizia con i tre bicordi abbassati di un semitono e accompagnati da un accordo di si bemolle maggiore dell’orchestra, ma elaboran- do subito una salita virtuosistica a doppie corde basata sulla

9 versione originale del motivo. L’insistenza della scrittura su un aspetto poco amichevole alla natura tecnica del violino come la quinta giusta, che deve essere presa schiacciando due cor- de con un dito, non deriva però da un atteggiamento anticon- certistico, bensì dal desiderio di cercare un’identità nuova al virtuosismo, e la cadenza ne rappresenta il momento più signi- ficativo. Il dinamico movimento finale viene suggellato da una coda conclusiva, che riprende un’ultima volta l’idea di base in una veste sonora ancora diversa, con un impasto sensuale di corni, tromboni e violino. C’è spazio ancora per una frase col- lettiva, che irradia il materiale melodico e armonico del Con- certo con un estremo bagliore, prima di richiudersi nel silenzio su una dolcissima dissonanza del violino con la parte più scu- ra dell’orchestra.

A cavallo degli anni Ottanta stavano maturando altre profonde trasformazioni nella scena della ricerca musicale. Le astrazioni ideologiche e le variegate forme di arte concettuale dei de- cenni precedenti lasciavano il posto a una rinnovata centralità dell’individuo, con la conseguente attenzione per la percezio- ne dei fenomeni fisici legati al corpo. Uno degli interpreti più interessanti di questa nuova sensibilità è stato Gérard Grisey, capofila insieme a Tristan Murail di un movimento conosciuto in seguito come “musica spettrale”, anche se il compositore francese non si riconosceva molto nell’etichetta coniata dal compagno di strada Hugues Dufourt. Il manifesto di questa nuova estetica, largamente influenzata dai progressi dell’in- formatica musicale, è un imponente ciclo di Grisey intitolato Les Espaces Acoustiques, formato da sei lavori compresi tra il 1974 e il 1985. Lo spazio acustico si dilata nella progressione dei pezzi, ciascuno dei quali può essere eseguito anche in ma- niera indipendente. Modulations, scritto nel 1976/77, è il quarto pannello del ciclo e rappresenta la forma più dilatata di spazio acustico per un ensemble, prima di trasformarsi in un’orche- stra vera e propria. L’organico infatti impega 33 musicisti che suonano a parti reali, ossia con una voce individuale. L’autore stesso ha riassunto i principî essenziali del nuovo linguaggio che stava cercando di forgiare: «Non più comporre con le note, ma con i suoni; non più comporre soltanto i suoni, ma la diffe- renza che li separa (il grado di pre-udibilità); agire su queste differenze, cioè controllare l’evoluzione (o la non evoluzione) del suono e la velocità di tale evoluzione; tenere conto della relatività della nostra percezione uditiva». Il desiderio di eman- cipare il suono da un ruolo ausiliare e meramente coloristico serpeggia in gran parte della musica del Novecento, ma Grisey è il primo a ribaltare completamente il rapporto tradizionale tra altezza e timbro, conferendo a quest’ultimo il primato assoluto

10 nella creazione artistica assieme alla dimensione temporale. I punti di riferimento di Grisey nella composizione dell’intero ci- clo sono lo spettro degli armonici di un suono e la periodicità dei fenomeni acustici. Modulations, dedicato in maniera signi- ficativa al proprio maestro Olivier Messiaen in occasione dei suoi 70 anni, non è altro che un flusso sonoro in movimento, privo di qualunque traccia di materiale tematico o ritmico. Lo spettro di armonici di una nota molto bassa, un mi a 41,2 Hertz di frequenza, forma un pulviscolo sonoro, che si contrae e si dilata secondo una tavola di durate periodiche. In questa par- titura, apparentemente così libera da vincoli organizzativi del materiale, s’annida in realtà il fascino per il metodo scientifico e una ricerca estremamente rigorosa sulla struttura del suono, che muta in maniera radicale da strumento a strumento. Gli ot- toni per esempio, di cui Grisey ha esaminato a fondo la diffra- zione del suono in determinate condizioni, per esempio con o senza la sordina, rivestono un ruolo di particolare rilievo nella scrittura diModulations . È interessante tuttavia notare come queste prime espressio- ni dell’estetica di Grisey risentano ancora di una gestualità teatrale probabilmente mutuata da lavori come Stimmung di Stockhausen, retaggio di un momento storico votato all’uto- pia. Nella partitura infatti sono indicate delle precise dispo- sizioni per la regia delle luci, che all’inizio devono illuminare con uno spot soltanto il secondo percussionista, il quale allar- ga lentamente le braccia per preparare un fragoroso colpo di piatti. L’esecutore guarda stupefatto la fonte sonora voltando bruscamente la testa, “le buste légèrement penché, le reste du corps immobile”. Allo stesso modo il percussionista deve ri- manere, alla fine del pezzo, dopo aver colpito con tutta la forza e poi stoppato i piatti, “comme petrifié”. Forse l’insistenza -ab bastanza incongrua sulla dimensione teatrale marcava in ma- niera ironica la necessità di Grisey di rifuggire da una visione eccessivamente scientista della sua musica, che nasce invece dall’esigenza di sottrarsi sia all’ombra lunga delle avanguar- die, sia alle lusinghe edonistiche della cultura post-moderna.

Un artista invece militante fino al midollo nelle fila delle avan- guardie fu Edgard Varèse. La sua musica intendeva rompere in maniera radicale con le forme e i processi compositivi del passato, in nome di una palingenesi della cultura occidentale che aveva prodotto l’orrore indescrivibile della Guerra. Per ren- dere più chiaro il concetto, nel 1915 Varèse decise di abban- donare la vecchia Europa e le sue vestigia ormai in rovina per trasferirsi nel Nuovo Mondo, senza voltarsi indietro e senza al- cun rimpianto. Nella valigia da emigrante tuttavia Varèse ave- va portato con sé le partiture più significative della nuova sta-

11 gione aperta nella musica del primo Novecento da Debussy, Busoni, Schönberg e soprattutto Stravinskij. Quando comincia ad abbozzare il progetto diAmériques , nel 1917, Varèse si sen- te ancora sotto l’influenza dello sconvolgente universo sono- ro del Sacre du Printemps, che aveva destato un’impressione vastissima nel mondo musicale e soprattutto nei compositori della sua generazione. La partitura di Amériques viene portata a termine nel 1921 e pubblicata dall’editore J. Curwen&Sons di Londra nel 1925, con una quantità di errori e lacune intollera- bile per l’autore, che non aveva potuto nemmeno rivedere le bozze. In questa prima versione, Dio solo sa come, le Amériq- ues vennero eseguite per la prima volta dalla Philadelphia Or- chestra diretta da Leopold Stokowski il 9 aprile 1926.Varèse si mise subito al lavoro per rivedere la partitura, riducendo so- prattutto lo sterminato organico della versione originale, che prevedeva in più 7 strumenti a fiato, 8 ottoni e un certo numero di strumenti a percussione. In questa forma, la nuova versione di Amériques vide la luce il 30 maggio 1929 a Parigi, con l’Or- chestre des Concerts di Gaston Poulet. Nemmeno la partitura rivista, pubblicata da Max Eschig a Parigi, risultava immaco- lata e si è dovuto aspettare fino al 1973 per stabilire un testo corretto e attendibile rispetto al manoscritto, grazie all’edizio- ne critica curata dall’allievo di Varèse Chou Wen-Chung. Le Americhe di Varèse sono due. La prima è il Paese della tec- nica e dello sviluppo industriale, aperta a tutte le innovazioni e proiettata verso il futuro con lo slancio e l’ardimento dei grat- tacieli che svettano nel cuore delle sue città. La seconda inve- ce è il mondo selvaggio e primitivo della frontiera, la sorgente segreta dell’immensa energia che alimenta in forme misterio- se la vita dei suoi abitanti. Non è difficile scorgere in questo tentativo di raffigurare in un ampio affresco musicale la nuova Patria il debito di Varèse con i “quadri della Russia pagana” di Stravinskij. Il suono dei riti ancestrali del Sacre riecheggia in molti punti di Amériques, a cominciare dal solo di flauto in sol, accompagnato da un disegno ostinato delle arpe e punteg- giato da un inciso cromatico del primo fagotto, con cui si apre la partitura. La somiglianza non deve sorprendere, anche per- ché all’epoca della composizione il Sacre du Printemps non era ancora stato eseguito negli Stati Uniti, dove sbarca soltanto nel 1924. Il lavoro di Varèse tuttavia non si limita a scimmiottare il Sacre, come hanno fatto nella prima metà del Novecento de- cine di epigoni di Stravinskij sparsi in tutta Europa, né a pren- dere un aspetto della sua scrittura e portarlo alle estreme con- seguenze, come avviene per esempio nel Ballet mécanique di Georges Antheil, con l’idea dell’ostinato ritmico trasformata in una sorta di congegno a orologeria. Varèse riconosce la forza espressiva delle idee di Stravinskij – ma non solo di Stravinskij,

12 perché nelle Amériques affiorano anche suggestioni timbriche e armoniche del mondo di Debussy ed echi della violenza cro- matica dell’espressionismo di Schönberg – e mette in scena un confronto con le personalità artistiche che lo hanno in- fluenzato, con l’intento però di superare le loro premesse e di piantare la propria bandiera su un terreno ancora inesplorato. Sotto questo profilo, per esempio, il linguaggio di Varèse ha necessariamente un carattere più eclettico, prefiggendosi di dipingere le smisurate differenze del continente americano. Al posto dei motivi tratti dal patrimonio della musica contadina russa, Amériques evoca il primitivismo dei nuovi territorî dell’O- vest grazie a spunti melodici e ritmici di sapore ispanico, men- tre il dinamico sviluppo dell’industria urbana è rappresentato in maniera emblematica dal suono delle sirene, che hanno co- agulato le polemiche sulla natura “barbarica” e iconoclastica della musica moderna ben più delle strappate selvagge degli archi nel Sacre. L’obiettivo di Varèse tuttavia non era di emula- re il linguaggio di Stravinskij, bensì di distruggere quel poco di continuità che ancora resiste nella musica del Sacre e delle Noces. Amériques si sviluppa come una sequenza di blocchi ritmico-armonici del tutto privi di sviluppo interno, collegati soltanto dalla precaria cerniera fornita dal ricorrere del mo- tivo iniziale. La scomposizione cubista del suono raggiunge un’astrazione temporale ancora più netta del Sacre. Stravinskij esplora qualcosa di analogo negli stessi anni con le Sinfonie per strumenti a fiato, ma si ferma sulla soglia del baratro e de- cide di tornare indietro avviando la nuova fase neoclassica. Varèse, che procedeva in maniera indipendente e non poteva conoscere il lavoro del collega, si getta viceversa sulla strada imboccata da Amériques, che conduceva quasi inevitabilmen- te al mondo della musica elettronica e dell’emancipazione del suono in quanto tale.

Oreste Bossini

13 Rai NuovaMusica 2017

VENERDÌ 10 FEBBRAIO 2017 2° ore 20.30 Direttore Gergely Madaras FagottoElvio Di Martino ______Peter Eötvös (1944) The Gliding of the Eagle in the Skies (2011/16)

[Schott/SugarMusic – 7’ ca.]

Sofija Gubajdulina (1931) Concerto per fagotto e archi bassi (1975) I movimento II movimento III movimento IV movimento V movimento

[Sikorski/Ricordi – 27’ ca.] ______

Dai Fujikura (1977) Tocar y Luchar (2010/12)

(prima esecuzione italiana)

[Ricordi - 12’ ca.]

Christian Mason (1984) Isolarion: Rituals of Resonance (2012/13) I Grand, Ceremonial – Incandescent – Mysterious – Glowing, resonant – Delicate – Explosive – Introspective II Mercurial Il concerto è trasmesso III Adagio in collegamento diretto su Radio 3, per il (prima esecuzione italiana) programma “Radio 3 Suite”. [Breitkopf/Ricordi – 20’ ca.]

14 Note al 2° concerto

La musica etnica rappresenta ancora oggi, come in passa- to, una fonte d’ispirazione per nuove espressioni artistiche. Le forme di questa influenza possono essere di varia natura, presentandosi di volta in volta come citazione, materiale grez- zo, definizione di un ethos. Questo tema si riverbera su tutto il programma, con un ventaglio di variazioni che offrono uno spaccato significativo della musica d’oggi e della natura pro- teiforme dei suoi linguaggi.

Per festeggiare il 30° anniversario della fondazione, nel 2012, l’Orchestra Nazionale dei Paesi Baschi, denominata altrimen- ti Euskadiko Orkestra, ha commissionato un nuovo lavoro a Peter Eötvös, uno dei più illustri compositori dei nostri giorni. Non c’è bisogno di ricordare le travagliate vicende storiche di quel Paese per capire quanto sia rilevante il tema dell’identità nella cultura basca. Eötvös, di origine ungherese, ha colto im- mediatemente l’importanza di questo elemento, che ha tro- vato proprio nella tradizione di autori ungheresi come Bartók e Kodály i rappresentanti forse più sensibili nella musica del Novecento. Il primo spunto per rendere omaggio alla cultu- ra basca era ovviamente il ritmo del tamburo, reso immortale da Ravel, ma l’impulso principale è venuto dal lavoro sul folk- lore musicale compiuto da Ximun Haran, uno dei fondatori del movimento nazionalista basco Enbata e animatore di en- semble di txistularis, suonatori di un tipico flauto a tre fori di antico retaggio basco. Tra le tante melodie raccolte da Haran, Eötvös è stato colpito soprattutto da una canzone particolar- mente evocativa. «Mentre ascoltavo questa canzone – ricorda l’autore – nella mia immaginazione è comparsa l’immagine di un’aquila che si libra nel cielo, altissima, fluttuante nell’aria ad ali aperte, immobile; lo sguardo dell’aquila; il fruscio delle sue ali; lo spazio infinito; il sentimento di completa libertà». L’aspetto ritmico, che si lega al tamburo basco, viene messo in evidenza dall’uso del cajón, una percussione da strada di origine latinoamericana oggi diffusa in molti generi della pop- ular music, dal blues al funk, reggae, rap eccetera. Due cajón, uno acuto e uno grave, vengono sistemati ai lati del direttore d’orchestra, rispettivamente davanti al primo violino e al pri- mo violoncello. Le altre caratteristiche della musica basca riprese da Eötvös, come la trasfigurazione delle melodie e il cicaleccio acuto del trio di flauti piccoli, in sostituzione del tx- istu tradizionale, conferiscono alla partitura il segno nazionale richiesto dall’occasione, ma non rappresentano un tentativo

15 di restituire l’ethos del popolo basco e le caratteristiche auten- tiche della sua cultura. Tutti questi elementi infatti, passati per il crogiolo della scrittura raffinatissima di Eötvös, arricchiscono piuttosto il linguaggio del tutto personale dell’autore, che non cerca in alcun modo di salvare le apparenze ricalcando in stile eclettico le forme della musica basca. InThe Gliding of the Ea- gle in the Skies si possono ravvisare invece i contorni dell’im- magine messa in luce da Eötvös, quella sorta d’immobilità sospesa in mezzo al frusciare irreale del vento suggerita dalla figura dell’aquila. Eötvös, che conosce come pochi ogni piega del mondo sonoro di un’orchestra, modella una forma ad arco, sulla quale vibra una luce che si screzia in minuscole pennel- late di colore. I glissandi dei tromboni si mescolano ai fremiti delle percussioni, alle scie indistinte degli archi, alle pulsazi- oni astratte dei fiati, alle fasce sonore degli ottoni. In mezzo a questo panorama arioso e pullulante di fenomeni gassosi emerge a volte un blocco di suoni più distinti e delle figure dal profilo musicale più marcato, che vengono poi disperse come all’inizio negli eterei spazi solcati dal volo dell’aquila.

La ricerca dell’ethos invece è un sostrato profondo e ineludi- bile della musica di Sofija Gubajdulina. Non s’intende perciò un reticolo di termini ed espressioni idiomatiche volte a for- mare un determinato linguaggio comune a uno stesso popolo, bensì una voce radicata nelle profondità della coscienza e fon- dativa di una dimensione morale dell’arte. L’ethos immaginario della Gubajdulina è il frutto di un lungo lavoro nel tempo e ab- braccia l’intera produzione della musicista russa, che ha mes- so a fuoco la propria personalità artistica in condizioni molto difficili e all’interno di un ambiente profondamente ostile alle sue ricerche. In altre parole, il suono del Concerto per fagotto, concepito per l’organico decisamente inusuale di 4 violon- celli e 3 contrabbassi, dipinge un mondo impastato di farine antiche e di voci riecheggianti strumenti popolari d’incerta e molteplice provenienza. La Gubajdulina viene da una delle Repubbliche degli Urali, il Tatarstan, terra abitata da oltre 70 etnie diverse. La sua stessa famiglia, con il padre musulmano e la madre di fede ortodossa, riflette il crogiolo di culture nel quale la musicista ha formato la sua sensibilità. Fin dagli inizi, la Gubajdulina è stata attratta dalle sonorità eterogenee e dag- li strumenti esclusi dalla tradizione canonica. Nei primi anni Settanta, anche le tecniche innovative di strumenti relegati alla schiavitù dell’orchestra dalle consuetudini accademiche po- tevano apparire rivoluzionarie. Dopo il trattato di Bruno Barto- lozzi intitolato New Sounds for Woodwinds, pubblicato nel 1967 dalla Oxford University Press, frutto di un lavoro decennale sulle tecniche di emissione del suono compiuto in collaborazi-

16 one con musicisti come il fagottista Sergio Penazzi, l’oboista Lawrence Singer e il clarinettista Giuseppe Garbarino, i com- positori della nuova musica hanno sfruttato le enormi poten- zialità ancora inespresse di molti strumenti dell’orchestra. Per la Gubajdulina invece la scoperta del fagotto come strumento solista passa per l’incontro al Conservatorio di Mosca con il famoso virtuoso Valerij Popov, al quale dedica nel 1975 il Con- certo per fagotto. Scritto per impulso autonomo e non dietro richiesta del dedicatario, il lavoro è solo l’inizio di un rapporto che prosegue nel 1977 con Duo Sonata per due fagotti e nel 1984 con Quasi Hoquetus per viola, fagotto e pianoforte. La forma del Concerto, articolato in cinque movimenti, si dis- piega attorno a un impianto narrativo illustrato dalla stessa autrice: «Il fagotto rappresenta un eroe lirico; gli archi gravi im- personano invece una folla aggressiva e volgare, che distrug- ge l’eroe». Le due entità, l’individuo e il collettivo, mettono in scena gli aspetti più assurdi e idilliaci del loro contraddittorio rapporto, in una sequenza spettacolare di momenti tesi e mel- anconici, alternando senza sosta il linguaggio della commedia e della tragedia. La forma del concerto si presta naturalmente a questa dialettica, ma nel quadro della musica sovietica di quegli anni era anche un caposaldo dell’estetica ottusa e con- servatrice dell’Unione dei Compositori. Il fatto stesso d’intito- lare Concerto un lavoro così estraneo al canone retorico e ne- oclassico preteso dall’Unione, che non perdeva occasione di criticare e censurare il lavoro della Gubajdulina, rappresenta- va una sorta di sberleffo alle autorità. L’ironia del Concerto si tinge tuttavia spesso di scherno e di sarcasmo, cospargendo il lavoro di gesti teatrali, sottolineati da un’estrema libertà di tempo. Spesso gli strumenti suonano senza un metro preciso, nell’anarchia più assoluta degli strumenti ad arco, che a volte soffocano la voce del solista. Il senso di solitudine e di sopraf- fazione sembrano distruggere in certi momenti la personalità stessa del fagotto, che ciclicamente ripete un arpeggio di sol maggiore con la fissità idiota di una filastrocca infantile. Nel terzo movimento la presenza del solista viene addirittura an- nichilita dall’aggressività di un contrabbasso, che trascina gli archi in una grottesca jam session di natura jazzistica. Da questo abisso della coscienza, il fagotto riesce a tornare alla luce con una grande cadenza che apre il movimento succes- sivo. La tragica comicità della cadenza sembra il segno di una resa, che si configura come la contrapposizione tra l’intimo sentimento di sconfitta del protagonista, raffigurato in una sorta di citazione della Patetica di Čajkovskij, e l’esteriore ac- cettazione delle regole del gioco, con la partecipazione come solista alla grottesca jam sessione degli archi nel movimento finale. Questa tensione porta allo sdoppiamento della person-

17 alità del fagotto, che si spacca in maniera schizofrenica anche nella scrittura, con la parte divisa in due sistemi, uno per la voce tragica interiore e uno per quella volgare e insipida pre- tesa dagli archi. La conclusione non può essere che la distru- zione finale del soggetto, che si disgrega in un rumore nero prima dell’indistinto brusìo degli archi sfociante in un accordo senza senso.

Tocar y Luchar, suonare e lottare, è lo slogan del Sistema Na- cional de las Orquestas Juveniles e Infantiles, fondato nel 1975 in Venezuela dal maestro Antonio Abreu. La storia e le carat- teristiche del Sistema sono state raccontate molte volte e non hanno bisogno di essere riassunte in questa sede. Gustavo Dudamel è l’artista più rappresentativo di questa esperienza, ormai diffusa a livello internazionale, e per festeggiare i suoi 30 anni, nel 2010, gli Amici giapponesi del Sistema hanno in- caricato il compositore Dai Fujikura di scrivere un lavoro per Dudamel e l’Orquesta Sinfónica Simón Bolívar, che hanno ese- guito Tocar y Luchar a Caracas nel febbraio 2011. Fujikura, quasi coetaneo di Dudamel, è rimasto colpito soprat- tutto dal carattere collettivo dell’insegnamento del Sistema, che parte dal presupposto di mettere subito insieme i giovani per suonare in orchestra. «Ho deciso che la parola chiave di Tocar y Luchar – spiega l’autore – fosse ‘sciamare’, come fanno in natura gli stormi di uccelli o i branchi di pesci; una quantità di piccoli uccelli volano assieme e diventano un solo grande uccello». A partire da questa metafora, Fujikura crea delle lunghe arcate melodiche, formate da una sequenza di minus- coli elementi separati, talvolta dispersi nello spazio, talvolta brulicanti in un microcosmo di contrappunti. Il processo di proliferazione melodica collassa però in una caotica ressa di pizzicati e di corde sbattute sulla tastiera, come uno stormo di uccelli ammassati l’uno sopra l’altro nella frenesia dell’arrivo. Il pittoricismo della prima parte lascia il posto a un episodio di esplosiva energia dinamica, sicuramente in omaggio alle bril- lanti qualità ritmiche di tutte le orchestre del Sistema, il quale sfocia nella quieta e statica atmosfera dell’inizio, rotta solo dal volo leggero, in lontananza, di qualche uccello solitario.

Come Fujikura, anche Christian Mason, classe 1984, ha studi- ato a Londra con George Benjamin. I due giovani compositori condividono senz’altro la notevole preparazione tecnica e la mano felice nella scrittura per grande orchestra, ma manifes- tano allo stesso tempo una personalità artistica molto diversa. Isolarion: Rituals of Resonance è un lavoro commissionato da Pierre Boulez per la Lucerne Festival Academy, dove è stato eseguito per la prima volta il 7 settembre 2013 con l’orchestra

18 diretta dall’ungherese Gergely Madaras, coetaneo di Mason. È il primo lavoro sinfonico di grande respiro di Mason, che non a caso ha dedicato i tre movimenti della partitura ai musicisti per lui più significativi di questa prima fase della sua attività: Boulez, Benjamin e lo stesso Madaras. Nella cartografia del XV secolo, “isolarion” rappresentava un tipo di mappa estremamente dettagliata, perché prendeva in esame solo una specifica porzione del territorio, isolata da ogni riferimento a una realtà geografica complessiva. Il ter- mine è stato preso in prestito dallo scrittore James Attlee per definire il suo pellegrinaggio all’interno di una strada di Ox- ford, Cowley Road, con l’intento di raccontare in una sorta di viaggio post-moderno nel tempo e nella letteratura mondi lon- tanissimi, che si incrociano e si sovrappongono dietro la porta di casa come le stoffe di un patch-work. La seconda parte del titolo però recita Rituals of Resonance, rituali di risonanza, che indica la ricerca di sonorità lussureggianti all’interno di una struttura governata da un alto grado di pensiero formale. Og- nuno dei tre movimenti infatti mette in luce in maniera molto organizzata un aspetto della struttura di 11 note nella quale si concentra il materiale germinale dell’intero lavoro. Nel primo viene a galla la dimensione orizzontale e melodica, mentre nel secondo e terzo prevale la ricerca delle potenzialità armoniche del materiale. Sin dall’inizio tuttavia si delinea anche il carat- tere sensuale della scrittura di Mason, affascinato dal gioco di risonanze innescato da certe sonorità, come per esempio il mi vuoto del violino, e in generale dal processo di propagazione a onda degli armonici. Il primo suono infatti è un vibrante colpo del gigantesco gong immaginario dell’orchestra, sprigionato dal cozzo di due note contigue, la naturale/la bemolle. Dall’es- trema dissonanza scaturisce una pioggia di riverberi distribuiti nello spazio sonoro, come un raggio di luce che passando at- traverso un prisma si scompone in una miriade di screziature. Nella parola “isolarion” si annidano altri due termini significa- tivi per la concezione del lavoro, “solar” e “ison”. La metafora della risonanza che irradia di luce la materia sonora, come ab- biamo visto, riveste un ruolo essenziale nello stile di Mason, mentre il concetto di “ison” si riallaccia alle origini più antiche della musica occidentale. La pratica dell’”ison”, documentata per la prima volta nel Micrologus di Guido d’Arezzo, consiste nell’accompagnare il canto liturgico con un bordone vocale, un suono fisso e tenuto di effetto ipnotico e mistico. L’uso di un “ison” sembra fosse diffuso anche a Roma, ma le sue orig- ini sono greche e se ne trovano tracce nel canto bizantino del XV secolo. Il principio dell’“ison” si traduce in una vibrazione di fondo, che in diversi momenti si sviluppa come un contin- uum sonoro, conferendo alla partitura uno sfondo cangiante

19 e allo stesso tempo unificante. Mason s’inserisce nella lunga tradizione di musicisti, da Guillaume Dufay a Gérard Grisey, toccati dalla grazia del suono, che rappresenta alle loro orec- chie la fonte di ogni bellezza musicale. Malgrado sia diviso in tre movimenti, il lavoro presenta una parabola espressiva lun- ga e una traiettoria mai veramente spezzata. La lenta rotazione delle risonanze, interrotta solo da un episodio di carattere dan- zante nel cuore del movimento centrale, contribuisce a creare un marcato senso di unità strutturale. Tuttavia avvertiamo la grande varietà di esperienze attraversate nel corso di questo “viaggio nel giardino di casa”, tappe segnate sulla mappa di Mason con punti luminosi d’incredibile freschezza sonora e di sofisticata scrittura orchestrale.

Oreste Bossini

20 Rai NuovaMusica 2017

VENERDÌ 17 FEBBRAIO 2017 3° ore 20.30 Direttore Francesco Lanzillotta Violino elettricoFrancesco D’Orazio ______Brett Dean (1961) Concerto per violino elettrico e orchestra (2015/16) I Fragmente II Pursuit III Veiled and Mysterious (prima esecuzione assoluta)

[Boosey/Ricordi – 25’ ca.]

______

Niccolò Castiglioni (1932-1996) Inverno In-Ver, 11 poesie musicali per piccola orchestra (1973/78) 1 Fiori di ghiaccio 2 Il ruscello 3 Danza invernale 4 Salterello 5 La brina 6 Il lago ghiacciato 7 Nenia Prima 8 Nenia Seconda 9 Silenzio 10 Un vecchio Adagio 11 Il rumore non fa bene il bene non fa rumore

[Ricordi - 22’ ca.]

Giovanni Salvucci (1907-1937) Introduzione, Passacaglia e Finale (1934) Il concerto Introduzione. Lento molto è registrato Passacaglia. Lento molto e sarà trasmesso su Radio 3, per il Finale. Allegro con fuoco programma “Radio 3 Suite”. [Ricordi – 16’ ca.]

21 Note al 3° concerto

Il programma di questo concerto appare sulla carta estrema- mente eterogeneo, accostando autori lontanissimi non solo dal punto di vista cronologico, ma anche per stile e linguag- gio. In realtà i tre musicisti sono uniti da un legame forte con la storia, anche se declinato in fome affatto differenti e vissuto da ciascuno con un sentimento originale. Naturalmente il neo- classicismo in voga negli anni Trenta di Giovanni Salviucci non ha nulla a che fare con il primitivismo naif di Niccolò Castiglio- ni, in totale controtendenza con il main stream della nuova mu- sica degli anni Settanta, ma dimostrano in entrambi il valore intrinseco della tradizione nel definire i contorni della propria personalità artistica.

Il compositore australiano Brett Dean vanta almeno un illustre predecessore nel Novecento, Paul Hindemith. Anche Dean in- fatti ha cominciato la carriera come violista e mantiene tuttora una brillante attività di virtuoso, dopo aver lavorato per 15 anni, dal 1985 al 1999, nell’orchestra dei Berliner Philharmoniker. Era inevitabile, date le premesse, che prima o poi Dean scrivesse un concerto per il suo strumento, cosa che è avvenuta in effetti nel 2005. Meno frequente invece, al giorno d’oggi, il fatto che sia stato lo stesso autore a imbracciare la viola per la prima esecuzione del Concerto, il 15 aprile 2005 al Barbican Center di Londra con la BBC Symphony Orchestra. Questa dimesti- chezza e anche l’intimità del rapporto tra autore e strumento si riflette anche nella scelta di definire il lavoro semplicemente come Concerto, rifuggendo per una volta dal carattere narrati- vo abituale nella produzione di Dean, anche se i tre movimenti mantengono comunque un titolo di natura programmatica. Forse la scrittura del lavoro era troppo carica di sfumature e implicazioni personali per trovare delle metafore o delle imma- gini esterne in grado di esprimere in maniera globale i pensieri dell’autore. Da allora il Concerto per viola è diventato uno dei lavori più conosciuti di Brett Dean, quasi sempre impegnato sul palcoscenico anche in veste di solista. Nel 2014 Dean ha conosciuto Francesco D’Orazio, uno dei pochi virtuosi al mon- do a suonare anche il violino elettrico, in occasione di un’e- secuzione di un suo lavoro, Electric Preludes, ai BBC Proms. In quella circostanza D’Orazio suonava un violino elettrico a 6 corde, in grado di raggiungere un’estensione in basso quasi da violoncello. Dopo questo incontro, D’Orazio ha suggerito con successo a Dean di preparare una nuova versione del Concerto per violino elettrico, che in questo caso però monta

22 soltanto 5 corde, aggiungendo alla cordiera tradizionale del violino la corda bassa della viola, un do. La nuova versione mantiene inalterato l’impianto generale della forma, ma pre- senta una scrittura ampiamente riveduta per il solista, tenendo conto della maggiore estensione nel registro acuto del violino elettrico. Anche la strumentazione è stata ritoccata in più pun- ti, dal momento che la possibilità di dosare tecnicamente la sonorità del solista richiede all’orchestra degli equilibri nuovi. La forma ricalca il modello tradizionale del concerto diviso in tre movimenti. In realtà il compositore ha scritto prima i due ul- timi movimenti, sentendo in seguito la necessità di aggiunge- re un episodio più breve all’inizio per preparare l’ascolto della parte più elaborata. Fragment infatti presenta gli elementi es- senziali del lavoro nel loro stato embrionale, come frammen- ti appunto, aprendo allo stesso tempo la porta di un giardino silenzioso e incantato dove si scorge solo la figura della viola avvolta in delicati rabeschi dal suono argenteo di tre flauti pic- coli. Il dramma vero e proprio inizia con il movimento succes- sivo, Pursuit. Come promette il titolo, la musica mette un scena un inseguimento fino all’ultimo respiro tra il solista e l’orche- stra, in una gara di grande forza muscolare e strumentata in maniera spettacolare, con echi dei grandi concerti per viola del Novecento, da Hindemith a Bartok, Walton, Penderecki. Il solista riesce a sfuggire all’inseguimento dell’orchestra solo per un momento, nella parte centrale, con una grande caden- za virtuosistica giocata sugli armonici e sul registro più acuto delle corde gravi, prima di riprendere a correre a perdifiato in- calzato dalla turba. Il finale invece,Veiled and Mysterious, inizia in tono dolente e consolatorio, che però viene soffocato da un sentimento aggressivo di rovente disperazione. Nella splen- dida parte conclusiva il Concerto ritrova un senso di pace e di eroica rassegnazione di fronte al dolore, che si esprime nell’e- stremo lirismo del canto e nel toccante duetto con il corno in- glese che suggella il lavoro.

«Non tutte le mie composizioni mi piacciono – scriveva Niccolò Castiglioni a Paolo Castaldi nel 1993 – Ma Inverno In- ver per me è una professione di fede». Questa frase, scritta a 20 anni dalla composizione e a 15 dalla revisione definitiva del 1978, mette in luce il significato rilevante diInverno In-ver nel percorso artistico di Castiglioni. Il lavoro coagula per la prima volta, in forma esplicita, alcune delle caratteristiche poetiche e stilistiche della musica di Castiglioni, che nell’ultima fase della produzione trova la sua voce più originale e pura. La metafo- ra dell’inverno infatti racchiude una serie di immagini, come il freddo, il silenzio, il ghiaccio e la neve, che per Castiglioni diventano il simbolo di una natura protettiva e amica, dove

23 cercare rifugio dal mondo aggressivo e opprimente della ci- viltà. Fiori di ghiaccio, Danza invernale, La brina, Il lago ghiac- ciato sono alcuni titoli delle 11 “poesie musicali” che formano il ciclo di Inverno In-ver e rappresentano i simboli di questa vi- sione francescana della montagna, avvolta in un sentimento mistico e simbolico della natura di valore pregnante anche per uno degli autori principali del mondo di Castiglioni, Anton We- bern. Il musicista milanese indicava un altro nome, accanto a quello di Webern, come stella polare del suo lavoro, con gran- de scandalo dei critici militanti dell’epoca, quello di Edvard Grieg. Il paradosso in realtà mette in luce un aspetto essen- ziale della musica di Castiglioni, ovvero la capacità ironica di giocare con i cliché, di piegare il linguaggio musicale tradizio- nale fino a spremerne il Kitsch e la banalità piccoloborghese. Inverno In-ver mette in fila una serie di quadretti caratteristici, come le tavolette di genere che si trovano sparse nelle case di montagna, per decorare il focolare domestico con immagini sentimentali del gelo e del freddo invernali. Castiglioni attin- ge il concetto di Heimat dalla sua esperienza personale, divisa tra il lavoro al Conservatorio e il desiderio di rifugiarsi appe- na possibile nella casa della Val di Tires, sopra Bressanone, e di perdersi passeggiando nei boschi. Nei suoi scritti ricorre spesso il proverbio “sotto la neve, pane”, per sottolineare il -nu trimento spirituale per lui indispensabile fornito dal paesaggio silenzioso e limpido delle valli ammantate di bianco. La naïvité esibita nella musica tuttavia non deve trarre in inganno, perché sotto la coltre d’ingenuità cova un pensiero alimentato da una cultura vasta e raffinatissima, come dimostra l’emblema di un Lebensbaum, un albero della vita alchimistico, tratto da un’an- tica cinquecentina, pubblicato nel frontespizio della partitura. Lo stile della scrittura rispecchia le caratteristiche poetiche del lavoro. Castiglioni procede per blocchi sonori frammentarî e privi di ogni forma di sviluppo tematico, creando quindi una sensazione di tempo statico e per l’appunto raggelato. Gli ele- menti ritmici e armonici più tradizionali, a tratti persino infanti- li, del linguaggio musicale, tuttavia, vengono resi estranei alla loro stessa natura da una sonorità rinchiusa costantemente nel recinto del registro acuto, spingendo anche gli strumen- ti più gravi a esprimersi nelle ottave superiori per mezzo dei suoni freddi e stimbrati degli armonici. L’immaginazione di Castiglioni riesce a trarre da questa orchestra di voci bianche un paesaggio irreale e a tratti allucinato, ma illuminato da una luce mistica e straordinariamente originale. La sintesi di que- sto viaggio d’inverno nella coscienza, scritto in un momento di duro confronto anche con il proprio disagio psichico, è rac- chiuso nell’ultima poesia musicale, Il rumore non fa bene, il bene non fa rumore. L’ironia si mescola al precetto morale, come la

24 tonalità di mi maggiore si fonde a quella di mi bemolle, avvolte da un paesaggio sonoro spettrale e da una fantasmagoria di figure alienanti. L’ultima immagine però sono i rintocchi della campana, metafora di una fede lontana ma ancora in grado di rassicurare i cuori puri e ingenui dei bambini.

La figura di Giovanni Salviucci, stroncato nel 1937 da un male incurabile a nemmeno 30 anni, si presta a interpretazioni pro- blematiche, com’è inevitale per un autore, soprattutto del -No vecento, che scompare così precocemente. Non sappiamo che piega avrebbe preso la sua personalità artistica, se avesse avuto il tempo di esprimere le potenzialità del suo purissimo talento, riconosciuto in maniera unanime da colleghi e critici. Ferdinando Ballo, capofila della critica musicale modernista degli anni Trenta, indicava in Salviucci, insieme a Goffredo Pe- trassi e Luigi Dallapiccola, il giovane su cui il pubblico poteva senz’altro puntare per vincere le sfide del futuro nella musica italiana. Con soli otto lavori pubblicati, dal 1932 al 1937, è im- possibile dire se il pronostico di Ballo si sarebbe avverato o meno, ma forse un domani un esame più attento e approfon- dito dell’archivio del compositore, donato nel 2013 dalla figlia cantautrice e ricercatrice etnomusicale Giovanna Marini all’I- stituto per la Musica della Fondazione Cini di Venezia, potrà gettare una luce su altri aspetti ancora non indagati della sua produzione. Alcune caratteristiche della musica di Salviucci sono tuttavia intrinseche al suo particolare percorso. Salviucci iniziò gli stu- di musicali privatamente a Roma con l’organista e composito- re Ernesto Boezi, che lo istruì soprattutto nella tecnica contrap- puntistica e nello stile della polifonia rinascimentale, nel solco della nuova sensibilità emersa nella musica liturgica cattolica grazie al cosiddetto movimento ceciliano, di cui il maestro era un appassionato seguace. Questa impronta contrappuntistica rimane impressa nella musica di Salviucci anche dopo essere diventato allievo di Ottorino Respighi ai corsi di perfeziona- mento dell’Accademia di Santa Cecilia. Fedele d’Amico os- serva, in un articolo scritto per commemorare i vent’anni della morte del musicista: «Per Salviucci il contrappunto era una seconda natura, il modo più istintivo di cominciare a parlare: un punto di partenza. Ma quello a cui poi Salviucci tendeva ir- resistibilmente, era la conquista d’un’espressività dichiarata al massimo, aperta, sfogata, all’occorrenza passionale: l’opposto dunque di quello a cui il contrappuntismo tende normalmente, massime nel secolo ventesimo». Le parole del critico calzano a pennello su una delle pagine migliori di Salviucci, Introduzione, Passacaglia e Finale, scritta

25 nel 1934 e diretta nel corso del tempo da maestri della levatura di Carlo Maria Giulini. Il lavoro ruota attorno al robusto torso di una delle forme contrappuntistiche per eccellenza, la passa- caglia, con l’aggiunta di una cupa e drammatica introduzione e di un finale di carattere elegiaco. La scrittura della passaca- glia è inchiostrata di suoni cupi e pesanti, con un’espressività dolente che ricorda certe pagine angosciose del Casella degli anni di guerra. La parabola poetica della partitura volge infine a un sentimento di serena rassegnazione, illuminato dalla luce di una tonalità finalmente risolta in maggiore, come un tra- monto che si tinge di rosa, nell’accordo conclusivo degli archi, dopo una giornata spazzata dal vento e dalla pioggia.

Oreste Bossini

26 Biografie

Ingo Metzmacher

Nato nel 1957 ad Hannover, ha studiato pianoforte e direzio- ne d’orchestra nella sua città natale, a Salisburgo e a Colonia. Il primo impegno professionale, all’inizio come pianista e poi come direttore d’orchestra, è stato con l’Ensemble Modern e con l’Opera di Francoforte diretta da Michael Gielen. Il suo debutto internazionale avviene 1988 al Théâtre de la Monnaie di Bruxelles, dove dirige una nuova produzione di Der ferne Klang di Schreker. Nel 1997 è nominato Direttore Musicale dell’Opera di Ambur- go; nel corso di otto stagioni dirige una serie di produzioni di grande successo, molte delle quali in collaborazione con il regista Peter Konwitschny. Segue la direzione stabile presso la Nederlandse Opera di Amsterdam e dal 2007 al 2010 la di- rezione stabile e artistica della Deutsches Symphonie-Orche- ster di Berlino. Nel Febbraio 2015 è stato nominato Sovrinten- dente del Festival delle Arti di Herrenhausen. Come direttore ospite ha lavorato con i Berliner Philharmo- niker, con i Wiener Philharmoniker e con molte altre prestigio- se orchestre europee e americane. Fra gli avvenimenti più im- portanti delle ultime stagioni una nuova produzione del Ring des Nibelungen al Grand Théâtre di Ginevra e i numerosi impe- gni con il Festival di Salisburgo dove ha diretto opere di Nono, Zimmermann, Birtwistle e nell’estate 2015 Die Eroberung von Mexico di Wolfgang Rihm. Nella stagione 2015/16 è stato ospite del Festival di Berli- no con Die Jakobsleiter di Schönberg, ha diretto ilPrometeo di Nono alla Triennale della Ruhr e alla Philharmonie di Pari- gi, Wozzeck al Teatro alla Scala, Capriccio all’Opera di Parigi, Kovanščina al Teatro dell’Opera di Amsterdam e Jenufa alla 27 Wiener Staatsoper. Nel novembre scorso ha diretto l’OSN Rai per il 6° concerto della stagione, con pagine di Haydn, Berg, Schönberg e Brahms. La vasta discografia comprende le incisioni live dei Concerti di Capodanno con la sua Orchestra di Amburgo (1999 - 2004) con il titolo “Chi ha paura della musica del XX Secolo”, tutte le Sinfonie di Hartmann con i Bamberger Symphoniker, la prima esecuzione dalla Sinfonia n. 9 di Henze con i Berliner Philhar- moniker, Éclairs sur l’Au-delà di Messiaen con i Wiener Philhar- moniker, Von Deutscher Seele di Pfitzner eKönigskinder di Hu- mperdinck entrambi con la Deutsches Symphonie-Orchester di Berlino e la registrazione live di Lady Macbeth del distretto di Mcensk alla Wiener Staatsoper. In DVD le produzioni del Festi- val di Salisburgo: Die Soldaten di Zimmermann (2012), Diony- sos di Rihm (2010), Fierrabras di Schubert (2014).

28 Frank Peter Zimmermann

Nato a Duisburg, in Germania, ha iniziato a studiare violino all’età di cinque anni e a dieci anni ha eseguito il suo primo concerto con orchestra. Ha studiato con Valery Gradov, Sa- schko Gawriloff e Herman Krebbers. Considerato uno dei più importanti violinisti della sua gene- razione, Zimmermann ha collaborato con i più celebri direttori d’orchestra e ha suonato nelle più prestigiose sale da concer- to internazionali. Inoltre si è esibito nei maggiori festival mu- sicali in Europa, Stati Uniti, Asia, America del Sud e Australia. Gli impegni per la stagione 2016/17 includono le seguenti collaborazioni: Bayerisches Staatsorchester e Kirill Petrenko, Boston Symphony Orchestra e Jakub Hrůša, Orchestra Sinfo- nica della Radio Bavarese e Yannick Nézet-Séguin, Orchestra Sinfonica di Göteborg e Eivind Aadland, Philharmonia Orche- stra e Juraj Valčuha e Rafael Payare, Berliner Philharmoniker e Alan Gilbert, Orchestra Sinfonica della Radio Finlandese e Hannu Lintu, New York Philharmonic Orchestra e Alan Gilbert, Orchestre National de France e Juraj Valčuha, Berliner Barock Solisten, Bamberger Symphoniker e Manfred Honeck, Wiener Symphoniker e Jakub Hrůša. Molte le sue interpretazioni an- che con L’OSN Rai. Numerosi sono i concerti di musica da camera. Con il suo trio d’archi, il Trio Zimmermann (violista Antoine Tamestit e violon- cellista Christian Poltéra), ha suonato in una importante tour- née europea nel mese di dicembre 2016. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti quali il Premio dell’Acca- demia Musicale Chigiana di Siena (1990), il “Rheinischer Kul- turpreis” (1994), il “Musikpreis” di Duisburg (2002) e il “Bunde- sverdienstkreuz” ordine al merito tedesco (2008). Grazie al suo vasto repertorio Zimmermann ha all’attivo una ricca discografia più volte premiata, prodotta da EMI Classics, Sony Classical, BIS, Decca, ECM Records.

29 Gergely Madras

Nato a Budapest nel 1984, ha iniziato gli studi di flauto, violi- no e composizione. Ha conseguito la laurea in direzione d’or- chestra presso l’Università di Musica e delle Arti di Vienna e in flauto all’Accademia di Musica “Ferenc Liszt” di Budapest. I suoi insegnanti sono stati Mark Stringer e Henrik Pröhle. Nel 2011 ha vinto il premio Arte Live Web ed è stato finalista del 52° Concorso Internazione per giovani direttori di Besançon. Sempre nel 2011, Madaras ha ricevuto il riconoscimento “Ju- nior Prima”, il più prestigioso titolo conferito in Ungheria a gio- vani artisti. Nel 2012 è stato assistente del Direttore musicale della Engli- sh National Opera, Edward Gardner in diverse produzioni della stagione. Il suo debutto come Direttore della stessa compagi- ne britannica risale alla stagione 2013/2014, dove ha diretto Il flauto magico con la regia di Simon McBurney. Ha studiato e lavorato con direttori quali Pierre Boulez, James Levine, Sir Mark Elder, Herbert Blomstedt e David Zinman. Tra il 2011 e il 2013 è stato l’assistente di Pierre Boulez all’Acca- demia del Festival di Lucerna e di Sir Mark Elder al concerto inaugurale del festival Aldeburgh World Orchestra. Dopo il suo debutto nel 2010 al Musikverein di Vienna con l’Orchestra Sinfonica della Radio di Vienna, ha collaborato con alcune importanti orchestre come la Filarmonica della Radio dui Bruxelles, l’Orchestra Filarmonica di Bergen, la Scottish Chamber Orchestra, la Filarmonica di Wroclaw, l’Orchestra del Teatro Regio di Torino, la Manchester Camerata, l’Orchestra Sinfonica di Budapest, la Melbourne Symphony Orchestra. Dal 2013 è Direttore Musicale dell’Orchestre Dijon Bourgogne. Madaras è molto attivo nella scena internazionale della mu- sica contemporanea con presenze regolari ai festival Wien Modern, MITO SettembreMusica con l’OSN Rai, Tanglewood e Lucerne Festival. Nel 2004 ha fondato, insieme a Noémi Győri, il Festival IKZE (Festival di Musica Contemporanea per giovani compositori): una delle novità musicali più interessanti in Un- gheria, tanto che nei sei anni di esistenza sono stati premiati 109 lavori di 42 compositori.

30 Gergely Madras Elvio Di Martino

Ha iniziato gli studi musicali nel 1972 presso il Conservatorio di Pescara sotto la guida di Marco Costantini e li ha conclu- si, con lo stesso maestro, nel 1977 presso il Conservatorio “S. Cecilia” di Roma. Finalista di numerosi concorsi nazionali, nel 1978 ha ricevuto la “Menzione Speciale” dalla giuria presieduta da Goffredo Petrassi, al Primo Concorso Internazionale di An- cona. Vincitore assoluto, nello stesso anno, del concorso per primo fagotto presso l’Orchestra “A. Scarlatti” di Napoli della Rai, ruolo ricoperto fino al 1986. È stato più volte solista del Concerto KV 191 di Mozart con l’Orchestra “A. Scarlatti” diretta da Franco Caracciolo e interprete dei concerti per fagotto di Vivaldi, Lizio, Mayr, Weber e del Duetto-Concertino di Strauss. Ha registrato, sempre con l’Orchestra ”A. Scarlatti” della Rai, il Concertino op. 49 per fagotto e orchestra da camera di Eugène Bozza e la Fantasia per fagotto solo di Malcolm Arnold. Ha svolto attività concertistica anche con diverse formazioni da camera e ha partecipato a numerose importanti manifesta- zioni quali Festival Pontino, Festival, di Spoleto, Sagra Musicale Umbra, MITO Settembre Musica, Musica a Palazzo Labia di Venezia e il Festival Doni- zettiano a Bergamo dove, nel 1996, ha eseguito la prima ese- cuzione moderna del Gran Duo in do maggiore per fagotto e pianoforte di G. S. Mayr. È stato Primo fagotto dell’Orchestra Sinfonica di Milano della Rai e dal 1994 ricopre lo stesso ruolo nell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai. Ha collaborato con importanti direttori quali Carlo Maria Giu- lini, Zubin Mehta, Georges Prêtre, Wolfgang Sawallisch, Msti- slav Rostropovič e ha partecipato alle tournée dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai in Giappone, Francia, Inghilterra, Germania, Svizzera, Austria, Spagna e Sud America. Con il Quintetto di fiati “Altair” dell’OSN Rai, ha eseguito nell’e- dizione 2004 di Rai Nuova Musica, in prima assoluta, Cantafere di Mario Pagotto. Nel 2005 il Quintetto è stato invitato dal Tea- tro Châtelet di Parigi per la prima esecuzione assoluta di Opus

31 Nainileven, cinque requies per la democrazia di Marco Stroppa nella prestigiosa rassegna Moments Musicaux. È stato promotore di diverse iniziative musicali e fino al 2012 consulente artistico della rassegna “Le Stagioni della Melo- dia” al Teatro “Eugenio Fassino” di Avigliana.

32 Francesco Lanzillotta

Nato a Roma, si è diplomato in direzione d’orchestra con Bru- no Aprea e in composizione con Luciano Pelosi con il massi- mo dei voti e la lode presso il Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma. Ha studiato pianoforte con Velia de Vita e si è perferzio- nato in direzione d’orchestra a New York presso il Bard College con Harold Farberman e con George Phelivanian a Madrid. Considerato uno dei più promettenti giovani direttori nel -pa norama musicale italiano, ha diretto numerose produzioni in alcuni fra i maggiori teatri italiani quali La Fenice di Venezia, San Carlo di Napoli, Verdi di Trieste, Filarmonico di Verona, Li- rico di Cagliari e Macerata Opera Festival. Dal 2010 è Direttore Principale Ospite del Teatro dell’Opera di Varna in Bulgaria e a partire dalla stagione 2014/15 è il nuovo Direttore Principale della Filarmonica Toscanini di Parma. È regolarmente ospite di importanti compagini orchestrali fra cui OSN Rai, l’Orchestra della Svizzera Italiana, l’Orchestra “I Pomeriggi Musicali” di Milano, l’Orchestra Regionale Toscana, l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, l’Orchestra Filar- monica di Sofia e la Canadian Opera Company Orchestra. Ha diretto inoltre molta musica contemporanea di autori quali D’Amico, Panni, Morricone, Gentile, Pelosi, Galante, dall’Onga- ro, Pennisi, Bacalov, Mosca. Lanzillotta ha inaugurato la stagione 2016/17 del Teatro La Feni- ce di Venezia con la prima italiana dell’opera Il medico dei pazzi di Battistelli. In seguito ha diretto sempre con grande successo La traviata nei Teatri di Reggio Emilia, Modena e Como. Fra i suoi prossimi impegni annovera le produzioni Gina al Teatro La Fenice di Venezia, La traviata a Bergamo, Cremona, Brescia e Pavia, L’elisir d’amore ad Essen, Gianni Schicchi e Notte di un Ne- vrastenico all’Opéra de Montpellier, Norma con la Japan Opera Foundation di Tokyo e Torvaldo e Dorliska al ROF di Pesaro. Francesco Lanzillotta ha già diretto l’OSN Rai in numerosi con- certi e con un vasto repertorio.

33 Francesco D’Orazio

Nato a Bari, si è diplomato in violino e viola sotto la guida del padre, perfezionandosi presso il Mozarteum di Salisburgo e l’Accademia Rubin di Tel Aviv. Il suo vasto repertorio spazia dalla musica antica eseguita con strumenti originali alla musica classica, romantica e contem- poranea. Numerosi compositori hanno scritto per lui quali Ivan Fedele, Terry Riley, Fabio Vacchi, Brett Dean, Michele dall’On- garo, Michael Nyman, Luis De Pablo, Gilberto Bosco, Vito Pa- lumbo, Alessandro Solbiati, Marco Betta e Marcello Panni. Per molti anni ha collaborato con Luciano Berio, del quale ha eseguito Divertimento per trio d’archi in prima mondiale al Festi- val di Strasburgo, Sequenza VIII al Festival di Salisburgo, Corale per violino e orchestra alla Cité de la Musique di Parigi e all’Au- ditorium Nacional de Musica di Madrid diretto dall’autore. Ha eseguito in prima italiana i concerti per violino e orchestra di John Adams, Unsuk Chin, Kaija Saariaho, Aaron Jay Kernis, Michael Daugherty, Luis De Pablo e Michael Nyman. Ha suonato in Europa, Nord e Sud America, Messico, Cina, Giappone e Australia. È stato ospite di prestigiose istituzioni musicali quali il Teatro alla Scala di Milano, la Philharmonie di Berlino, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, la Royal Albert Hall di Londra, la Wiener Konzerthaus e si è esibito in numerosi nei festival quali Cervantino in Mexico, MITO Settembre Musi- ca, Radio France, Aix-en-Provence, Proms di Londra, Ravello, Istanbul, Montpellier, Ravenna, Settimana Musicale Senese, Potsdam, Salisburgo, Strasburgo, Stresa, Tanglewood e Bien- nale di Venezia. Ha tenuto concerti e registrazioni con la London Symphony, l’Orchestra Filarmonica della Scala, la BBC Symphony Orche- stra, i Berliner Symphoniker, l’OSN Rai, l’Orchestre National d’Île-de-France, la Saarländischen Rundfunks, l’Orchestra Fi- larmonica di Shanghai, l’Orchestra Filarmonica di Nagoya, l’A- cademia Montis Regalis, l’Accademia Bizantina, e con celebri direttori fra i quali Lorin Maazel, Sakari Oramo, Ingo Metzma- cher, Hubert Soudant, Luciano Berio e Arturo Tamayo.

34 Nel 2010 è stato insignito del XXIX Premio Abbiati della Critica Musicale Italiana quale “Miglior Solista” dell’anno. Suona il violino “Comte de Cabriac” di Giuseppe Guarneri co- Francesco struito a Cremona nel 1711 e un Jean Baptiste Vuillaume fatto a D’Orazio Parigi nel 1863.

35 Riconoscimenti e Discografia dell’OSN Rai

RICONOSCIMENTI PER LA MUSICA CONTEMPORANEA 2004 - XXIV edizione del “Premio Abbiati” Premio per la «Miglior iniziativa musicale» al progetto Rai NuovaMusica dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai di Torino, per la coraggiosa ideazione di un cartellone di musica contemporanea basata su prime as- solute e italiane, e la pregevole realizzazione musicale che ha integrato l’impegno della programmazione concertistica ordinaria a documentare la creativita di oggi, assolto con rilevanti commissioni tra cui Sembianti di Giacomo Manzoni e Rest di Luca Francesconi.

2007 - XXVI edizione del “Premio Abbiati” Novita assoluta: Ausklang per pianoforte e orchestra (Torino, Rai Nuova- Musica) e Concertini (Venezia, Biennale Musica) di Helmut Lachenmann, due momenti di grande rilievo della ricerca del compositore tedesco.

2008 - “Diapason D’Or” della rivista «Diapason» Al triplo cd Orchestra! Works prodotto da Kairos con Rai Trade, e dedi- cato a Salvatore Sciarrino, con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai diretta da Tito Ceccherini.

2009 Premio nazionale della rivista «Classic Voice» categoria Contemporanea Al triplo cd Orchestra! Works prodotto da Kairos con Rai Trade, e dedi- cato a Salvatore Sciarrino, con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai diretta da Tito Ceccherini.

DISCOGRAFIA PER LA MUSICA CONTEMPORANEA Stradivarius - Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Pascal Rophé direttore - Giampaolo Pretto flauto Jean Guihen Queyras violoncello Fedele, Scena-Ruah per flauto e orchestra Fedele, Concerto per violoncello e orchestra

Stradivarius - Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Roberto Abbado direttore - Anssi Karttunen violoncello Francesconi, Cobalt Scarlet Francesconi, Rest

Amadeus- Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Tito Ceccherini direttore - Francesco D’Orazio violino Daugherty, Fire and Blood Nyman, Concerto per violino e orchestra

Stradivarius - Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Peter Rundel direttore - Donatienne Michel-Dansac soprano Romitelli, Dead City Radio Romitelli, Entrance Romitelli, Flowing down too slow Romitelli, The Nameless City

36 Neos - Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, Ensemble Modern, Ars Nova Ensemble Nürnberg, Ensemble Spectral Tito Ceccherini direttore - Peter Sadlo percussioni Borboudakis, Archégonon

Orfeo - Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Gerd Albrecht direttore Mari Midorikawa, Jun Thkahashi, Isuyoschi Mihara, Ieruhiko Komori, Zvi Emanuel-Marial, Kwang-H Kim, Yasushi Hirano voci soliste Henze, Gogo no Eiko Incisione effettuata dal vivo presso la Grosses Festspielhaus di Salisburgo 26/08/2006

Stradivarius - Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Tito Ceccherini direttore - Francesco Dillon violoncello Scelsi, Aiôn - Scelsi, Hymnos - Scelsi, Quattro pezzi per orchestra - Scelsi, Ballata

Sony Classical - Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Corrado Rovaris direttore - Silvia Chiesa violoncello Casella, Concerto per violoncello e orchestra op. 58 Respighi, Adagio e variazioni per violoncello e orchestra Pizzetti, Concerto in do minore per violoncello e orchestra

Sony Classical - Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Corrado Rovaris direttore - Silvia Chiesa violoncello Rota, composizioni per violoncello e orchestra

Stradivarius - Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Pascal Rophé direttore - Jean-Guihen Queyras violoncello Dallapiccola, Due pezzi per orchestra Dallapiccola, Variazioni per orchestra Dallapiccola, Dialoghi per violoncello e orchestra Dallapiccola, Three Questions with two Answers

VideoRadio - Percussionisti dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Claudio Romano, Maurizio Bianchini, Carmelo Gullotto, Riccardo Balbi- nutti, Claudio Cavallini, Matteo Moretti Luigi Arciuli flautista Ravel, Ma mère I’oye Bianchini, Tribalis Jolivet, Suite en concert Peck, Lift-Off Bianchini, 5 frammenti sospesi

Stradivarius - Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Daniel Kawka direttore Solbiati, Sinfonia seconda Solbiati, Sinfonia Solbiati, Die Sterne des Leidlands

Ricordi Oggi - Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Pierre-André Valade direttore Battistelli,Aftertought Battistelli,Begleitmusik zu einer Dichtspielszene Battistelli,Anarca

37 Kairos - Rai Trade - Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Tito Ceccherini direttore - Daniele Pollini, Moni Ovadia, Mario Caroli, Francesco Dillon, Marco Rogliano solisti Sciarrino, composizioni per orchestra

Stradivarius - Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Marco Angius direttore - Francesco D’Orazio violino Corinna Mologni soprano Fedele, composizioni per orchestra

Arion – Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Luca Pfaff direttore – Gérard Poulet violino Bartók, Concerto n. 2 per violino, Kossuth

Arion – Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Luca Pfaff direttore – Gérard Poulet violino – Noël Lee pianoforte Bartók, Rapsodia per violino e orchestra, Rapsodia per pianoforte e or- chestra, Il principe di legno

Stradivarius- Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Pierre-André Valade direttore Verrando, composizioni per orchestra

Stradivarius - Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Daniel Kawka direttore - Giampaolo Nuti pianoforte Barber, composizioni per orchestra

Stradivarius- Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Lothar Koenigs direttore Gervasoni, composizioni per orchestra Manzoni, composizioni per orchestra Webern, composizioni per orchestra

Stradivarius - Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Arturo Tamayo direttore - Alfonso Alberti pianoforte Petrassi, composizioni per orchestra

Anemos - Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Juanjo Mena direttore Gianandrea Noseda direttore Georg Nigl baritono - Roberto Balconi controtenore De Pablo, Casi un espejo De Pablo, Passio

Naxos – Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai (prossima uscita) Damian Iorio direttore – Margherita Bassani arpa Pizzetti, Concerto per arpa, Sinfonia in la

38 BIGLIETTERIA E INFORMAZIONI

CALENDARIO VENDITA BIGLIETTI: da martedì 24 gennaio 2017 prevendita biglietti (anche on-line sul sito www.osn.rai.it solo per l’intero adulti)

PREZZI BIGLIETTI: Biglietto intero adulti: 5,00 Euro Biglietto ridotto under 30: 3,00 Euro

BIGLIETTERIA: Auditorium Rai “A. Toscanini” - via Rossini 15 - 10124 - Torino Tel: 011/8104653 - 8104961 Fax: 011/8170861 e-mail: [email protected]

Apertura martedì e mercoledì dalle 10 alle 14 giovedì e venerdì dalle 15 alle 19. La biglietteria è sempre aperta un’ora prima dell’inizio del concerto.

 www.facebook.com/osnrai  @OrchestraRai  instagram.com/orchestrasinfonicarai

CONVENZIONE OSN RAI – VITTORIO PARK Tutti gli abbonati, i possessori di Carnet e gli acquirenti dei singoli Concerti per la Sta- gione Sinfonica OSN Rai 2016-2017 che utilizzeranno il VITTORIO PARK di PIAZZA VITTORIO VENETO nelle serate previste dal cartellone, vidimando il biglietto di sosta nell’apposita macchinetta installata nel foyer dell’Auditorium Toscanini, avranno diritto allo sconto del 25% sulla tariffa oraria ordinaria. Per informazioni rivolgersi al personale di sala o in biglietteria Le varie convenzioni sono consultabili sul sito www.osn.rai.it alla sezione “riduzioni”.

39 www.osn.rai.it Immagine: Alberto Tadiello “25L”, 2010, courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo

Tutti i concerti sono trasmessi da