REGIONE

LE STRADE DEI PARCHI Itinerario dei Parchi Montani nelle Aree Protette del Lazio Route of the Mountain Parks

GUIDA GUIDE REGIONE LAZIO Assessorato Ambiente e Cooperazione tra i Popoli Assessore Ambiente e Cooperazione tra i Popoli Angelo Bonelli Direttore Regionale Ambiente e Cooperazione tra i Popoli Raniero V. De Filippis

ARP Agenzia Regionale per i Parchi Commissario Straordinario Antonio Galano Direttore Giuliano Tallone Dirigente del Settore Sviluppo Sostenibile Claudio Di Giovannantonio

COLLANA VERDE DEI PARCHI - Serie Informativa n.5

Coordinamento editoriale Progettazione e realizzazione grafica Vito Consoli, Erica Peroni Raffaella Gemma

Testi e traduzioni Illustrazioni Filippo Belisario Federico Gemma

Ideazione del progetto “Le strade dei Materiale fotografico parchi” Filippo Belisario, Luigi Quattrin, Maurizio Aiello, Maurilio Cipparone Erica Peroni, Fondo ARP

Coordinamento del progetto “Le strade Stampa dei parchi” Arti Grafiche Grillo Anna Maria Basso, Erica Peroni

Aspetti storico architettonici Si ringraziano per la collaborazione Anna Maria Basso, Erica Peroni, offerta: Germana Villetti Valerio Aloi, Guglielmo Arcà, Irene Bottaro, Marco Ciucci, Stefano Aspetti naturalistici e geologici Cresta, Isabella Egidi, Pierluigi Fiori, Dario Capizzi, Cristiano Fattori, Maria Paola Fratticci, Rino Fusi, Dario Mancinella, Stefano Sarrocco Maurizio Martucci, Daniela Maurelli, Andrea Pieroni, Leonardo Aspetti tecnici e cartografici Pucci, Alfonso Ricci, Claudio Silverio Basilici, Luigi Quattrin Speroni, Simone Virdia.

La presente pubblicazione è finanziata dall’Assessorato all’Ambiente e Cooperazione tra i Popoli della Regione Lazio nell’ambito del DOCUP Ob. Lazio 2000-2006 , misura III.3 e Strade dei Parchi” è un progetto di promozione degli itinerari naturalistici nato dall’idea che le aree naturali “L protette della Regione Lazio costituissero un sistema interconnesso, non solo ai fini della conservazione della natura e della biodiversità, ma anche ai fini della fruizione secondo modelli di turismo sostenibile. Sulla scorta della programmazione dell’Assessorato Ambiente e Cooperazione tra i Popoli, l’Agenzia Regionale Parchi cura la caratterizzazione degli itinerari dell’intero sistema regionale delle Aree Naturali Protette: con questo volume viene proposta la guida relativa al primo intervento, che ha avuto per oggetto i Parchi dei Monti Simbruini e dei Monti Lucretili e la Riserva dei Monti Navegna e Cervia, ovvero l’ossatura del sistema appenninico centrale, col maggiore indice di boscosità e la grande ricchezza di corsi d’acqua. La proposta di fruizione, non trascurando le ricche valenze storico- architettoniche delle aree interessate, è centrata sulle emergenze naturalistiche delle tre aree protette: basti ricordare che ai Simbruini si registra la massima concentrazione di specie-bandiera: dai grandi rapaci, come l’aquila reale e il falco pellegrino, ai grandi carnivori come il lupo e l’orso marsicano, sono tanti gli indicatori di una eccellente qualità degli habitat tutelati. Le tre aree protette ospitano attrattori storicamente sempre attivi (soprattutto in relazione al turismo religioso) ma mai assurti a siti di valenza primaria per il turismo naturalistico; pertanto la dimensione della scoperta rimane integra per tutti, e viene alimentata dalla proposta di una viabilità secondaria che enfatizza anche le valenze paesaggistiche, monumentali e storiche distribuite lungo i 180 chilometri del tracciato. I 42 pannelli informativi distribuiti lungo il percorso, il sito www. lestradedeiparchi.parchilazio.it e la presente guida rappresentano un tangibile supporto informativo per quanti si avvicinano alle aree interne della nostra regione accantonando il provincialismo che ha spesso impedito di riconoscere nell’Appennino laziale un territorio di grande importanza naturalistica, che si presta a forme di fruizione differenziate nei tempi e nelle modalità di spostamento, e che grazie alla progressiva introduzione di servizi ricettivi ed informativi si presenta con le carte in regola per attrarre i visitatori più esigenti. Angelo Bonelli Assessore all’Ambiente e Cooperazione tra i Popoli Indice

INTRODUZIONE / INTRODUCTION Il Progetto “Le Strade dei Parchi” / “The Roads of the Parks” project . . . .5 L’Itinerario dei Parchi Montani ...... 6 Il perchè di una scelta ...... 6 I territori ...... 6 Carta dell’Itinerario / Route Map ...... 8 L’itinerario ...... 11 Questa guida ...... 12 The Route of the Mountain Parks ...... 13 The territories ...... 13 The route ...... 14 This Guide ...... 14

DESCRIZIONE DELL’ITINERARIO / ROUTE DESCRIPTION Tratto Vicovaro - / Vicovaro - Varco Sabino Stretch . . . .15 ● Da Vicovaro a ...... 15 Il Parco Regionale dei Monti Lucretili ...... 18 The Lucretili Mountains Regional Park ...... 19

● From Vicovaro to Orvinio ...... 25 ● Da Orvinio a ...... 27 ● From Orvinio to Collalto Sabino ...... 33 ● Da Collalto Sabino a Varco Sabino ...... 35 La Riserva Regionale Monte Navegna e Monte Cervia ...... 40 The Navegna and Cervia Mountains Regional Riserve ...... 41

● From Collalto Sabino to Varco Sabino ...... 45 ● Da Varco Sabino ad ...... 35 ● From Varco Sabino to Ascrea ...... 55 Tratto Vicovaro - Jenne / Vicovaro - Jenne Stretch ...... 57

● Da Vicovaro a Arsoli ...... 57 ● From Vicovaro to Arsoli ...... 65 ● Da Arsoli a Jenne ...... 67 Il Parco Regionale dei Monti Simbruini ...... 70 The Regional Park of the Simbruini Mountains ...... 71

● From Arsoli to Jenne ...... 75 ● Da Jenne a Subiaco ...... 77 ● From Subiaco to Jenne ...... 85

Informazioni Utili ...... 87 Useful Information ...... 87 Servizi Turistici e Numeri Utili ...... 96 Tourist Services and Useful Telephone Numbers ...... 96

4 Il progetto “Le Strade dei Parchi”

Le Strade dei Parchi è un progetto del Sistema delle Aree Protette della Regione Lazio per sperimentare nuove forme di fruizione e promozione del turismo lungo itinerari di pregio ambientale, stori- co e culturale che collegano parchi e riserve regionali valorizzando la viabilità minore. Gli interventi sui diversi tracciati sono finanziati con fondi DOCUP 2000-2006 appartenenti alla tipologia “Svilup- po di attività sostenibili all’interno delle aree protette”. Le Strade dei Parchi fa parte del più ampio programma di Sistema Natura in Viaggio, avviato per promuovere lo sviluppo del turismo sostenibile nelle aree protette regionali. Oltre a questo, obiettivi collaterali del progetto sono: ● stimolare le attività ricettive, artigianali e agricole tradizionali nei luoghi lambiti dai diversi itinerari; ● favorire la scoperta, o riscoperta, di angoli nascosti della nostra re- gione, dei quali i parchi molto spesso conservano l’identità più au- tentica; ● diffondere una maggiore consapevolezza sui valori naturali e cultu- rali del Lazio attraverso azioni di interpretazione di paesaggi e ter- ritori e di educazione ambientale. Con Le Strade dei Parchi, in definitiva, le aree protette del Lazio in- tendono proporre un modo più lento e riflessivo di andare in giro per la nostra regione, lontano dal “mordi e fuggi” e legato, invece, a curiosità, sapori, profumi, alla conoscenza delle persone e degli aspetti più remoti dei luoghi, ad una fruizione consapevole e gratifi- cante degli ambienti naturali.

“The Roads of the Parks” project The Roads of the Parks is a project of the Lazio Region Protected Areas System in order to experience new ways of enjoyment and promotion of tourism along routes of environmental, historical and cultural value that connect Parks and Nature Reserves of the Region through a minor road system. The Roads of the Parks is part of the wider System Program Nature on Tour that has been started to promote the development of sustainable tourism in Regional Protected Areas. Further objectives of the project are: ● To develop accommodation facilities, traditional handcrafts and agricultural activities in the areas run by the various itineraries. ● To support the discovery, or the rediscovery, of hidden places of our Region, whose most authentic identity is often preserved by parks. ● To spread knowledge of natural and cultural values of the Lazio Region through actions of landscape and territory interpretation and environmental education. Through The Roads of the Parks the Lazio Protected Areas would like to propose a slower and more thoughtful style of travelling around our Region, connected to curiosities, flavours, fra- grances and to the acquaintance of people as well as to a responsible and rewarding access to the environment.

5 L’Itinerario dei Parchi Montani

Il perchè di una scelta Quanto può essere utile sapere che a pochi chilometri dalle ingorga- te periferie metropolitane si libra il volo maestoso dell’aquila reale, scorrono torrenti di limpide acque sorgive, vi sono montagne am- mantate da ininterrotte faggete secolari? E poi, qual è il valore aggiunto se a questi aspetti, per così dire, “na- turalistici” si sommano quelli storici, artistici, culturali, e quelli lega- ti alle tradizioni, alle identità, ai saperi e ai sapori delle genti e dei luoghi? È per dare una risposta a queste domande, e allo stesso tempo iniziare ad affrontare concretamente la sfida del cosiddetto “turi- smo di massa”, che abbiamo pensato di costruire il primo itinera- rio di Le Strade dei Parchi come tracciato di collegamento fra tre delle nostre più belle aree protette montane: la Riserva dei Monti Navegna e Cervia, il Parco dei Monti Lucretili e il Parco dei Monti Simbruini. Abbiamo scelto di iniziare dal cuore appenninico del Lazio perché riteniamo che custodisca paesaggi e ambienti emozionanti, inaspet- tati e per lo più poco conosciuti. Luoghi ideali, dunque, dove anche il visitatore più distratto e disilluso può scoprire o recuperare, anche solo per poche ore, il senso della bellezza, dello spazio, del silenzio.

I territori Le aree interessate dall’itinerario rappresentano un mosaico di am- bienti caratteristici dell’Appennino centrale. Dorsali e cime mon- tuose di altezze variabili fra i 1200 e i 1800 metri, altipiani, valli fluviali, piccole pianure intermontane, un sistema di modesti insediamenti diffusi, stabilizzatosi nei secoli e oggi profondamente in crisi a causa delle grandi trasformazioni in atto nella società post industriale.

Una valle è il sostegno dei monti che la formano; una montagna è il respiro dilatato del mondo; una pianura è il suo riposo. (Mario De Quarto; “Grande Raccordo Anulare”)

Dal punto di vista geologico ognuno dei tre parchi toccati dall’itine- rario è caratterizzato dalla presenza di particolari tipologie di rocce

6 formatesi secondo meccanismi complessi durante l’oroge- nesi (processo di formazione delle montagne, dal greco oros, monte, e genesis, nascita) degli Appennini. I calcari massicci e compatti dei Monti Simbruini si sono for- mati nel Mesozoico sui bassi fondali di un mare tropicale dove si deponevano gusci e scheletri calcarei di moltissimi organismi simili a quelli che abitano le attuali barriere coralline. Una vol- ta emerse, queste rocce sono state interessate dai processi carsi- ci che le hanno scolpite in superficie e “scavate” in profondità all’interno. I Monti Lucretili sono il regno di calcari eterogenei e stratificati, derivanti dal consolidamento di fondali più profondi dove, sem- pre nel Mesozoico, si decantavano le particelle sottili trasportate dalle correnti e microscopici gusci di organismi planctonici di mare aperto. Anche queste rilievi sono stati plasmati soprattutto dal carsismo, ma in misura minore e meno vistosa rispetto ai Monti Simbruini. Con l’eccezione del versante occidentale calcareo, sui Monti Na- vegna e Cervia affiorano rocce più recenti, principalmente arena- rie stratificate miste ad argille (flysch), derivanti dalla deposizio- ne lungo le coste di grandi quantità di detriti prodotti dall’erosio- ne sulle prime catene montuose emerse durante l’orogenesi. Es- sendo modellabili superficialmente in maniera più facile rispetto ai calcari, queste rocce formano dolci ondulazioni e sistemi di valli molto ramificate. I gruppi montuosi sono delimitati o solcati da un’importante rete idrografica che vede nel fiume Aniene il suo elemento più noto. L’itinerario lo affianca per alcuni segmenti sia nella parte alta del- la valle (tratto Jenne – Subiaco), sia in quella media (tratto Vico- varo - Arsoli). Le acque pescose del Turano, con l’omonimo lago artificiale, segnano il confine occidentale della dorsale montuosa Navegna – Cervia, delimitata a nord est, ma in po- sizione più distante, dal fiume Salto e dal grande lago che an- che da esso è derivato. Sul lato orientale dei Lucretili il torrente Licenza forma una valle costellata di piccoli borghi, che appare quasi come un sistema paesaggistico a sé stante.

Le aree attraversate dall’itinerario sono ricoperte da un’ampia ed uniforme coltre boschiva, in parte ancora utilizzata per tagli periodici, eterogenea per composizione e struttura e con caratte- ristiche specifiche a seconda delle zone.

7 Sui versanti temperati predominano i boschi di caducifoglie con cerro, roverella, acero e carpino. Nelle aree più impervie i lembi di lecceta rappresentano i residui di quello che un tempo doveva essere un tipo di foresta molto più diffuso. Il castagno, specie favorita dall’uomo per il legno e soprattutto per i frutti, domi- na le quote intermedie soprattutto nell’area del Monte Cervia. Nelle fasce più alte, sopra i 1000 metri, si incontrano estesissimi bo- schi quasi puri di faggio, per lo più governati a ceduo, ma con note- voli esempi di formazioni forestali d’alto fusto. In alcune limitate aree agricole sopravvivono i sistemi di chiusura dei campi con le siepi, o la tecnica della vite “maritata” all’acero, ra- re testimonianze di un paesaggio rurale decisamente in declino. La fauna di questi territori è quella tipica dei boschi del- l’Appennino, con significative rarità e specie oggetto di particolari misure di conservazione. Per diversi uccelli sono molto importanti gli habitat rupestri dove, oltre all’aquila reale, trovano le condizioni per riprodursi il falco pellegrino e il corvo imperiale, e quelli delle praterie d’altura, fon- damentali ad esempio per lo spioncello e la coturnice. Il legno in decomposizione di vetuste foreste di faggio o di castagno costituisce l’habitat ideale per la vita di alcuni rari coleotteri tra cui la rosalia al- pina e il cerambice maggiore. Tra i grandi carnivori spiccano il lupo e la elusiva presenza dell’orso marsicano. I vari ambiti territoriali hanno in paesaggi profonda- mente plasmati da quelle che, fino a qualche decennio fa, era- no le più importanti attività antropiche: la pastorizia transu- mante, le colture estensive su piccoli appezzamenti (oggi spesso in- colti a causa del progressivo abbandono delle terre) e lo sfruttamen- to delle risorse del bosco. La dimensione capillare e diffusa di queste pratiche sta ormai venendo meno a favore di una ripresa di natura- lità che determina la ricolonizzazione dei terreni da parte di boschi e arbusteti. Sopravvivono alcune colture tradizionali che danno origi- ne, soprattutto nei parchi, a produzioni tipiche, di qualità, forte- mente legate ai luoghi: farro, legumi, ecc. Riguardo alla storia del territorio, in epoca pre romana tutte le aree a nord della Tiburtina Valeria (Monti Lucretili e Monti Navegna e Cervia) erano sotto l’influenza dei Sabini, mentre la zona dei Monti Simbruini apparteneva agli Equi. Con il predominio di Roma i popoli italici vennero inglobati e iniziò una siste- mazione degli spazi aperti che vedeva nelle villae, come la

10 villa di Orazio a Licenza o quella di Nerone a Subiaco, dei poli di organizzazione e coordinamento delle attività agricole circostanti. Nel primo medioevo, con l’espansione benedettina partita dalla valle dell’Aniene, tutte le terre erano sotto l’influenza del- le grandi abbazie. Le più importanti e potenti erano quelle di Farfa e Subiaco, ma degne di rilievo erano anche S. Maria del Piano presso Orvinio e S. Salvatore Maggiore nei dintorni di . Con il cosiddetto incastellamento (processo di diffusione di castelli e villaggi fortificati), tra il X e il XII secolo nacque la maggior parte degli insediamenti conservatisi fino ad oggi, per lo più come borghi difesi organizzati attorno a chiese rurali o per la protezione delle de- boli popolazioni contadine. Nel periodo feudale si ebbe l’affermazione di alcune famiglie che per secoli hanno controllato molti paesi della zona: gli Or- sini nell’area dei Lucretili e i Mareri nella valle del Turano. Vennero poi in parte sostituite, dal XVI secolo in avanti, dalle grandi famiglie protette dalla Chiesa, come i Borghe- se e i Barberini. Nel frattempo, attraverso l’istituto della “commen- da”, lo Stato Pontificio ottenne anche il controllo diretto del grande “feudo” di Subiaco e dei territori circostanti, sottraendoli alla giuri- sdizione degli abati di S. Scolastica. Dopo la parentesi napoleonica, lo Stato Pontificio mantenne il con- trollo dell’area fino al 1861, quando le popolazioni scelsero plebisci- tariamente di entrare a far parte del regno d’Italia. Gli assetti pro- duttivi e sociali erano sostanzialmente invariati rispetto ai secoli pre- cedenti, e destinati a rimanere tali fino ai grandi mutamenti degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso. Nel 1939, la realizzazione per scopi idroelettrici dei laghi artificiali del Turano e del Salto provocò una delle più grandi trasformazioni del paesaggio della zona. L’itinerario L“Itinerario dei Parchi Montani” è lungo circa 180 km, attraversa 24 comuni e si articola in due tratti che partono entrambi dall’u- scita Vicovaro – Mandela dell’autostrada A24 Roma – L’Aquila. Un tratto percorre la valle del Licenza (Parco dei Monti Lucretili), passa per Orvinio e si dirige verso la valle del Turano dove, poco prima di Collalto Sabino, inizia un ampio anello che borda il peri- metro della dorsale montuosa Navegna – Cervia. Il secondo tratto percorre la valle dell’Aniene lungo la Tiburtina Valeria fino ad Ar- soli, da cui entra nel Parco dei Monti Simbruini per salire a Cerva-

11 ra di Roma e raggiungere la strada verso M. Livata; da qui parte un secondo anello che, passando per Jenne, si chiude a Subiaco. Il percorso, oltre a congiungere le tre aree protette, attraversa e fa co- noscere i “corridoi” viari di collegamento fra di esse e alcuni prege- voli territori contigui ai loro confini. Il tracciato, individuato da ap- posita segnaletica, si svolge tutto sulla cosiddetta “viabilità seconda- ria” composta dalle strade provinciali, comunali e dalle vecchie consolari. Lungo di esso sono stati posti 42 pannelli informativi, di diverse tipologie, dimensioni e contenuti, che corrispondono ad al- trettante tappe di interesse naturalistico, storico o paesaggistico. Questi pannelli sono collocati in contesti visibili presso siti partico- larmente significativi, affacci panoramici o nei centri storici dei pae- si. In alcuni casi (pannelli “mappa”), le indicazioni da essi offerte ri- guardano luoghi di interesse situati nelle immediate vicinanze, o co- munque raggiungibili con pochi chilometri di strada. L’itinerario nel suo complesso è dedicato a diverse tipologie di visi- tatori, motorizzati escursionisti o cicloturisti, dal più attento e con- sapevole al più distratto e occasionale, che può trovare nel piacere inaspettato di interpretare un panorama lo stimolo per guardare con occhi diversi il contesto in cui si trova. Il denominatore che vorrem- mo accomunasse tutti questi possibili fruitori è la capacità di dare voce a quell’intima curiosità verso ciò che ci circonda di cui ciascu- no di noi è portatore. Questa guida Questo vademecum per il visitatore dell“Itinerario dei Parchi Mon- tani” ha il duplice scopo di diffondere presso un pubblico vasto va- lori e specificità delle aree attraversate, sia “protette” che non, incen- tivando allo stesso tempo la dimensione della scoperta per coloro che già si trovano sul territorio. La guida parte dai luoghi e dalle notizie contenute nei pannelli informativi disposti lungo il percorso, ampliandole, arricchendole e consentendo un loro uso versatile e maneggevole. Come i pannelli, tuttavia, non pretende di essere esaustivo o completo, configuran- dosi semplicemente come un ulteriore strumento a disposizione del turista. Non un manuale enciclopedico, dunque, ma una piccola fonte di informazioni e notizie in più che, volendo, può integrare le indicazioni di altre guide o le segnalazioni raccolte nei centri visita dei parchi, negli uffici del turismo, nelle pro loco. Dopo la descrizione dei diversi tratti e delle caratteristiche dei tre Parchi, la sezione finale contiene una selezione di servizi disponibili presso le varie tappe: ricettività, ristorazione, centri visita, ecc.

12 The Route of the Mountain Parks

The territories The three Protected Areas involved in the route are: The Navegna and Cervia Mountains Nature Reserve, the Lucretili Mountains Park and the Simbruini Mountains Park. These territories are a mosaic of typical habitats of the Cen- tral Apennines. Ridges and mountain peaks of variable heights between 1200 and 1800 metres, plateux, river valleys, small plains among mountain slopes, a system of small widespread settlements, become stable through the centuries and that nowadays is having problems because of the big transformations of post-in- dustrial society. From a geological point of view, the three Protected Areas are characterized by the presence of rocks that rose out of the sea during the birth and building process of the Apennines. It is mostly a matter of limestones formed during the Mesozoic era in the depth of tropical seabeds where shells and skeletons of many organisms used to lay down. Once they cropped up, these rocks have been interested by karst phenomena that sculpted their surface and deeply dug them inside. Along many stretches of the route one finds vast forests, still partially used for wood cutting. On the temperate slopes deciduous woods with oaks, maples and hornbeams prevail; in the most inaccessible areas stands the holm-oak. Chest- nut trees, favoured by local communities because of their wood and fruits, are dominant at an intermediate height mostly in the area of the Cervia mountain. At higher altitudes, 1000 metres and over above the sea level, vast woods with the presence of beech trees can be found. The fauna of these territories is typical of the Apennines, with some rarities and species that are matter of specific measures of nature conservation. For several birds rupestrian habitats are very important; it’s here that, besides the golden eagle, the peregrine and the raven find their way to breed. High grass- lands are in the same way essential for the rock partridge. The decaying wood of old beech and chestnut trunks represents the ideal habitat for some rare coleoptera such as the Rosalia alpina. Among the greatest carnivorous animals the wolf and the elusive Marsican bear stand out. The landscapes are deeply shaped by those anthropic activities that, until a few decades ago, used to be the most prominent: sheep-farming, extensive cultiva- tions on small plots of land and exploitation of wood resources. These activities are nowadays disappearing in favour of a nature recovery that allows shrubs and trees to gain ground. Some traditional cultivations survive, mostly in the parks, providing typical quality products deeply connected to the local places: for in- stance spelt, legumes, etc. As regards to the history of places, during the pre-Roman period (Italic peoples) the whole areas to the north of the Via Valeria (Lucretili mountains and Naveg- na and Cervia mountains) were under the influence of the Sabines, while the Simbruini mountains area belonged to the Equi. Due to the supremacy of

13 these peoples were conquered and roman villae, such as the one of Horace in Li- cenza or Nero’s in Subiaco, began to rise all around. During the early Middle Ages, with the Benedictine expansion, all the lands were under the influence of the major abbeys. The most important and powerful were those of Farfa and Subiaco. Between the X and XII century a lot of settle- ments, nowadays still preserved, were built, usually as fortified villages set around rural parishes or in order to protect the undefended country people. In the feudal period the most influential families established themselves and, under the Church control, ruled for centuries over the villages around. The Papal State kept the control of the area until 1861, when the peoples chose to be part of the new Kingdom of . The route The “Route of the Mountain Parks” is about 180 kilometres long and is com- posed of two stretches, both starting just off the tollgate of Vicovaro-Mandela on the A24 Roma-L’Aquila motorway. The route runs through the above men- tioned three Protected Areas, but also gives a chance to know the connecting road network between them and some remarkable lands close to their borders. Along the way, that is completely indicated by a specific sign system, 42 infor- mation posters of variable typologies, dimensions and contents can be found, placed by sites of particular relevance corresponding to stages of naturalistic, his- torical or landscape interest. This Guide The Guide enriches and completes the contents of the posters. It is a further in- strument for the tourist, a little source of information and extra news able to in- tegrate those of other guides or the information collected by the Visitors Centres of the Parks and the tourist agencies. After the description of the various parts of the route, the last section of the Guide includes a selection of facilities and options available by the different stages: accommodation capacity, restoration, crafts, typical products, etc.

Tratto VICOVARO - VARCO SABINO Vicovaro Orvinio

Da Vicovaro a Orvinio

Chi percorre l’autostrada A 24 da Roma verso l’Abruzzo e volge lo sguardo a destra appena prima dell’uscita di Vicovaro, percepi- sce uno scorcio di rara bellezza: un complesso di antichi edifici religiosi adagiati su una rupe di travertino a strapiombo sull’A- niene. È il Convento di S. Cosimato, che merita una sosta per la visita delle cavità rupestri in cui vivevano i primi eremiti o per adden- trarsi nei meandri dell’antico acquedotto Claudio, possibilmente con una torcia. L’arrivo dei visitatori è sempre bene accetto e la struttura è attrezzata per ricettività e ristorazione. Nel chiostro sono esposti dei pannelli, realizzati dai gruppi speleologici, con le mappe di tutte le cavità della zona.

15 Tratto VICOVARO - VARCO SABINO Vicovaro Orvinio

L’insediamento di Vicovaro (Varia) fu fondato dagli Equi, di cui restano tracce nelle antiche mura poli- gonali. Dopo la conquista da parte dei roma- ni nel 304 a.C. il villaggio divenne un im- portante centro fortificato di età repubbli- cana. Il suo ruolo strategico nei secoli successivi è sempre stato legato alla posizione lungo la via Valeria, luogo “naturale” di sosta o in- contro per sovrani, pontefici, con- dottieri, uomini di fede. Nel centro cittadino, affacciato sul- la piazza principale, il Tempietto di S. Giacomo a pianta ottagonale rappresenta, nel contempo, un bellissimo esempio di architettu- ra gotico - rinascimentale e una celebrazione dei fasti della fami- glia Orsini. Attorno ad esso, girando per il nu- cleo storico, si può sentire il profu- mo delle pagnotte appena sfornate, autentico vanto cittadino, o della “pizza di pane” che ne rappresenta la “prova di cottura”.

Da Vicovaro l’ingresso nella valle del torrente Licenza (o val- le “Ustica”) è accompagnato da una sequenza di appezzamenti irregolari di olivi, che ammantano i pendii fino alle massime quote consentite dall’adattabilità di questo generoso albero mediterraneo. La strada Licinese corre lungo il fondovalle, ma dopo circa due chilometri è necessario girare a sinistra per salire lungo i tornanti verso Roccagiovine. Il paese appare piccolo, con le case addossate le une alle altre, tutte raccolte attorno al castello e alla chiesa di S. Nicola di Bari del XVII secolo, che conserva una “pala” d’altare della scuola del Perugino. Sulla piazza da poco restaurata il silenzio è interrotto dal rumore dell’acqua della fontana dedicata alla dea Vacuna. In epoca imperiale il culto di questa benevola divinità rurale, para-

16 Tratto VICOVARO - VARCO SABINO Vicovaro Orvinio gonabile alla dea Vittoria dell’Olimpo romano e cantata da Ora- zio, Ovidio e Varrone, era molto praticato nei dintorni, proba- bilmente anche in un santuario appositamente consacratole. A causa dell’estrema e perdurante essenzialità della vita e delle consuetudini locali, Roccagiovine ha mantenuto un aspetto so- stanzialmente immutato nei secoli, riuscendo ad evitare la moderna e im- pattante proliferazione dei nuovi edifici. Il suo terri- torio comunale (di circa 18 chilometri quadrati) ri- cade interamente nel Par- co dei Monti Lucretili. Ad oggi, un terzo è utilizzato per scopi agricoli (seminativi e pasco- li), mentre i restanti due terzi sono coperti da boschi: di roverel- la, carpino e orniello alle quote più basse, castagneti da frutto intorno all’abitato e formazioni miste di acero, cerro e faggio sui versanti delle aree più elevate.

Da Piazza Vacuna lungo la strada intercomunale verso Licenza, dopo circa due km si incontra sulla sinistra il seicentesco Ninfeo degli Orsini, una fontana nei boschi costruita come una sceno- grafia rinascimentale e alimentata da una cascatella artificiale. Si tratta di un’opera creata per convogliare le acque sorgive di quel- la che si ritiene fosse l’antica Fonte Bandusia, cantata dal poeta latino Orazio e che alimentava la sua villa posta poco più a valle.

Oh sorgente più tersa della cristallina purezza di quella di Bandusia (...) tu porgi l’amabile frescura ai tori stanchi dell’aratro ed al gregge errabondo. (Ora- zio - Odi)

Le incrostazioni calcaree che ricoprono la struttura e la fitta vege- tazione di muschi, capelvenere e farfarac- cio, favorita dal vapore acqueo, non consentono di cogliere alcuni parti- colari architettonici originari del- l’opera, quali il timpano e le colonnine.

Il Parco Regionale dei Monti Lucretili

omprende le montagne alle porte di Roma, le cui sago- me familiari si vedono dalle tangenziali, dal Gianicolo, C da Monte Mario. Rilievi modesti ma sorprendentemen- te ricchi di natura e paesaggi, attraversati da una fitta rete di per- corsi a tutto vantaggio degli escursionisti più Faggio esigenti. Per la loro vegetazione varia e particolare i Lu- cretili sono da secoli oggetto di attenti studi botanici. Qui infatti, le notevoli diversità clima- tiche hanno contribuito a far vivere insieme, in una sorta di “mosaico” verde, gruppi di piante di origini mediter- ranee, centroeuropee e balcaniche. Il più tipico rappresentante di queste ultime è lo storace, un arbusto il cui fiore bianco è simbo- lo dell'area protetta. Gli ambienti più caratteristici del Parco sono i vasti pratoni carsi- ci d'altura circondati da boschi di faggio, pa- Aquila reale scolati da mandrie brade di cavalli e vac- che maremmane e frequentati da lepri e coturnici. Non mancano tutta- via gli ambienti rupestri, ideali per alcuni rapaci come il falco pellegrino e l'aquila reale (che qui ni- difica ormai da parecchi anni). Le testimonianze dell'influenza dell'uomo sul territorio sono molte e diffuse. Dai borghi e dai luoghi di culto ab- bandonati ai centri storici dei 13 comuni del Parco, disposti quasi tutti a raggiera intorno al suo perimetro, ciascuno con un nucleo fortificato ed una lunga storia da raccontare. I resti della grande Villa di Orazio a Licenza fanno inoltre capire che l'area esercitava una notevole attrattiva fin dai tempi dei romani, proba- bilmente anche in virtù della sua vicinanza con l'Urbe. Ricco e vario è il calendario delle manifestazioni. Gli appuntamenti più importanti sono la Sagra delle Cerase di Palombara Sabina (prima o seconda domenica di giu- gno), l'Infiorata del Corpus Domini di e la Sagra delle Sagne di Farro a Licenza (terza domenica di novembre). Tra i sapori più autentici di queste terre il primo è quello dell'olio extravergine di oliva della Sabina (DOP), leggerissimo e sapori- to, derivante da olive raccolte a mano in piccoli appezzamenti di- stribuiti lungo diverse fasce pedemontane. Nelle aree collinari che guardano la campagna romana sono coltivate, ormai da quasi due secoli, le ciliegie “Ravenne”, grandi, tardive e dalla polpa consi- stente. Il farro, antichissimo cereale coltivato dall'uomo, ha trova- to discrete “aree rifugio” sui Lucretili, dove non è stato soppianta- to da altre colture più redditizie riuscendo a sopravvivere e a co- stituire la base per ottime produzioni artigianali di pasta e dolci.

The Lucretili Mountains Regional Park Due to notable climatic differences, the Lucretili mountains have a varied and par- ticular vegetation, as a sort of green “mosaic” that consists of groups of plants with Mediterranean, Middle European and Balkan origins. The most typical example of this latest variety is the storax, a shrub whose white flower is the symbol of the pro- tected area. The Park is run through by a dense net of pedestrian trails. Its most characteristic environments are the high ground grasslands, surrounded by beech woods, where the cattle graze around and one finds hares and rock partridges. The rock cliffs are ideal places for birds of prey such as the peregrine and the golden ea- gle (that nests by since several years). The Park has 13 main villages, set with a ra- dial arrangement around its perimeter, each one with a fortified historical core and a long story to tell. Many festivals are connected to the local agricultural products, like the Fair of the Cerase (cherries) in Palombara Sabina (on the first or second Sunday of June) and the Fair of the Spelt Pasta in Licen- za (on the third Sunday of November). Anyway the most au- thentic flavour of this area belongs to the Sabina extra vir- gin olive oil, very light, coming out from a olive hand-har- vest in small plots of land spread on the slopes of the mountains. Tratto VICOVARO - VARCO SABINO Vicovaro Orvinio

Come qualsiasi raccolta d’acqua, ferma o corrente, la vasca semi- circolare del Ninfeo rappresenta un’opportu- nità di vita per molte specie di piccoli ani- mali invertebrati. Oltre a Plecotteri, Tri - cotteri ed Efemerotteri, la cui presenza indica una buona qualità dell’acqua, vi si possono trovare, ad esempio, anche le sanguisughe, ver- mi acquatici con due ven- tose alle estremità. Utiliz- zati nella medicina popolare per i salassi fi- no agli anni ’50 – ’60, questi animali venivano raccolti nei fossi dai cosiddetti “mignat- tari”, che immergevano le gambe nude nell’attesa che essi vi si at- taccassero.

Seguendo le indicazioni, dopo alcune centinaia di metri si arri- va all’ingresso dei ruderi della Villa di Orazio. Il podere venne donato al celebre poeta da Mecenate nel 33 a.C. perché potesse godervi ameni giorni di svago lontano dall’Urbe sovraffollata. L’insieme degli edifici costituiva un grande com- plesso multifunzionale. Una parte era dedicata alla residenza vera e propria, con annesso giardino; vi erano poi un settore termale e uno riservato alle attività agricole del fondo circostante.

Ecco quel che volevo: un pezzo di terra non tanto grande, dove ci fosse un orto e una fonte di acqua perenne vicina alla casa e un po’ di bosco oltre a questo. Più e meglio hanno fatto gli dei. (Orazio - Satire)

Si scende fino ad incontra- re la S.S. Licinese dove si prende a sinistra per rag- giungere, dopo poco più di 1 chilometro, il borgo di Licenza. Situato in posizione rilevata sopra un dosso affacciato sul

20 Tratto VICOVARO - VARCO SABINO Vicovaro Orvinio torrente omonimo, circondato da boschi, oliveti e qualche lem- bo di pianura, dominato dal Palazzo Baronale che un tempo era il castello degli Orsini e oggi ospita il Museo Oraziano, il paese è il più popoloso e dinamico della valle Ustica. A Licenza gli ultimi decenni hanno portato alla riscoperta di un cereale molto antico: il farro. Specie pura e resistente alle malattie, nel corso della storia la sua coltura fu soppiantata dal frumento, dalla resa sicuramente migliore ma dalle pro- prietà nutritive decisamente più scarse. Utilizzando farina di farro, acqua pura di sorgente, trafile in bronzo e un processo di essiccazione a temperatura ambien- te, un locale laboratorio artigianale produce diversi tipi di pasta, dalle tipiche “sagne” alle tagliatelle, dai rigatoni agli “strozzapreti”. Il maestro di pittura di Goethe Tra i personaggi illustri che hanno soggiornato in questi territori vi è il famoso incisore e paesaggista tedesco Jacob Philipp Hackert, maestro di pittura di Goethe, che verso la fine del ‘700 percorse la valle alla ricerca della villa di Orazio, dipingendovi una serie di suggestivi scorci. Ammirare una successione delle sue vedute rappresenta un percorso di lettura unico di questi luoghi, ancora attuale nonostante le trasforma- zioni degli ultimi due secoli.

Proseguendo lungo la Licinese, dopo qualche centinaio di metri si gira a sinistra per affrontare i tornanti che si inerpicano verso Civitella di Licenza. Prima di giungere nell’abita- to può valere la pena soffer- marsi qualche istante a con- templare il paesaggio della valle, sempre più completo man mano che si sale, o in- camminarsi sul Sentiero del- l’Aquila, che dalla fonte in località La Posta conduce di fronte alle rupi del M. Pellec- chia, ad un capanno di osser- vazione da cui è possibile ve-

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dere il grande nido di una coppia di aquile reali. Per il rispet- to che si deve a questi maestosi ed elusivi rapaci e per garan- tire la loro permanenza nell’area è necessario arrivare al ca- panno in gran silenzio e non tentare di proseguire oltre, né di avvicinarsi in altro modo al loro prezioso nido. Dai 735 metri slm del punto più alto di Civitella si può godere di un panorama spettacolare a 360 gradi. Verso sud il colle pie- troso di Saracinesco, i Monti Ruffi e, in lontananza, i Simbruini. A nord la dorsale del M. Pellecchia e la parte alta della valle del Licenza fin oltre Percile. Il Pellecchia, con i suoi 1368 metri, è il rilievo più alto dei Lucre- tili e non esistono altre quote paragonabili così vicine a Roma. Ciò ha determinato, soprattutto negli ultimi secoli, un costante interesse verso l’utilizzazione delle risorse naturali di questa mon- tagna, e di quelle vicine, che si è sostanzialmente tradotto nella nascita di due importanti economie parallele: quella del carbone, per l’inverno, e quella della neve, per l’estate. La prima ha porta- to ad un notevole sfruttamento dei boschi e alla diffusione della pratica delle carbonaie, le cui piazzole circolari si possono scorge- re come testimonianze residue, ancora ben visibili nel paesaggio forestale. Il commercio della neve approfittava invece dello spes- so manto nevoso invernale, che veniva fatto accumulare in de- pressioni naturali o artificiali lungo il crinale montuoso (“pozzi della neve”), con l’accortezza che non si sciogliesse durante la stagione calda. Fino a quando non iniziarono a diffondersi frigo- riferi e congelatori, dalle vette del Pellecchia file di carri portava- no la preziosa risorsa a Roma lungo una “via della neve” che pas- sava per Monteflavio e la Salaria.

Tornati sulla Licinese si procede per circa tre chilo- metri verso nord lungo la valle che man mano si re- stringe, fino alle prime ca- se di Percile e ad una gran- de “peschiera” riempita dalle acque limpide e velo- ci del torrente Licenza.

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In questa zona una brevissima deviazione sulla sinistra porta verso il cimitero; costeggiandone il lato destro si arriva alla Fonte degli Aliucci da cui sgorga un’acqua leggerissima, oligo- minerale, usata fin dall’epoca romana e indicata per curare i calcoli renali o come coadiuvante nelle diete per l’obesità. In una nota del 1960 su una piccola guida turistica di Percile l’al- lora parroco scriveva: “un’eventuale industrializzazione dell’acqua degli Aliucci, nel futuro, e una lottizzazione dei bei prati a scopo di villeggiatura (...) donerebbero uno sviluppo più ampio ed un tono più elevato”. Oggi, grazie al parco e ad una consapevolezza am- bientale completamente diversa, a poche persone verrebbe anco- ra in mente di immaginare simili prospettive di sviluppo. Il nucleo storico del paese, sovrastato dal Palazzo Baronale del XIII secolo, è molto raccolto e curato. Sulla piazza, ripavimentata di recente, si trova un punto informativo fornitissimo di de- pliant e pubblicazioni anche sul parco. Imperdibile e di tut- to riposo, fra boschi di acero, orniello e albero di Giuda, la passeggiata ai laghetti, o “lagustelli”. Il più piccolo (Marraone) si vede solo dall’alto perché occupa la base di una ripidissima depressione circolare. Il maggiore (Fra- turno) compare fra gli alberi come una sorta di miraggio ina- spettato. Entrambi, essendo di origine carsica, sono privi di immissari e vengono alimentati solo da sorgenti perenni di portate molto variabili.

Da Percile a Orvinio la strada diventa più stretta, entra nella provincia di e arriva a valicare, in maniera appena percet- tibile, lo spartiacque fra il bacino idrografico del Licenza e quello del fiume Turano. Fino al 1863, anno di ingresso nel Regno d’Italia, Orvinio si chiamava Canemorto. Secondo alcune fonti l’origine di questo

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bizzarro toponimo è collegata ad una vitto- ria degli eserciti di Car- lo Magno sui Saraceni che terrorizzavano le popolazioni locali, con uccisione di un loro ca- po, o “khan”. Adagiato su un’altura calcarea, il paese ha un nucleo storico ordinato e pia- neggiante con una via principale, quasi un corso cittadino, che conduce dalla porta di accesso fi- no al castello. Quest’ultimo, di proprietà dei marchesi Malvezzi Campeggi, è formato da un complesso di edifici costruiti in epoche diverse e ristrutturati ai primi del ‘900, di cui restano come elementi originari il “maschio” ci- lindrico e le mura di cinta merlate. Di Orvinio è il pittore seicentesco Vincenzo Manenti, la cui fama è stata recuperata solo agli inizi del ‘900, ma che ai suoi tempi era un artista noto e affermato in tutto il centro Italia, soprattutto presso confraternite ed ordini religiosi. Alcuni suoi affreschi rivestono le pareti della chiesa di S. Maria dei Rac- comandati, il cui esterno presenta una facciata curiosamente obliqua rispetto al suo asse, aggiunta alla fine del ‘700 per ren- derla perpendicolare alla principale via d’accesso all’edificio.

Le meteoriti di Orvinio In un giorno di fine agosto del 1872 uno sciame di meteoriti investì tutto il Lazio provenendo da sud. Nei dintorni di Orvinio ne caddero diverse di cui 6 sono state recuperate, per un peso complessivo di circa 3 chili e mezzo. Si tratta di frammenti rocciosi molto pesanti, denomi- nati “orvinite”, ricchi di silicati e leghe di ferro – nichel, probabilmen- te simili alle rocce che si pensa costituiscano le parti più interne della Terra. Il campione più grande, oltre 7 etti, è conservato nel Museo di Mineralogia dell’Università La Sapienza a Roma.

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From Vicovaro to Orvinio

The Monastery of S. Cosimato, located on a travertine cliff falling sheer to the Aniene river, is worth a stop to visit the rupestrian cavities, in which the first her- mits used to live, or to venture into the maze of the ancient aqueduct of Claudio. The complex has accommodation facilities and restoration is offered too. The settlement of Vicovaro (Varia), funded by the Equi and later conquered by the Romans in 304 b.C., has always had a historical importance due to its position along the Via Valeria, a natural stopping place and a meeting point for monarchs, popes, troop leaders and faithful people. In the centre of the town the small church of S. Giacomo with an octagonal plan, built by the powerful Orsini family, is a beautiful example of Renaissance - Gothic architecture.

Starting from Vicovaro the Licinese road runs along the Licenza river valley floor. Within two kilometres, turning on the left, the little village of Roccagiovine is reachable. The settlement is small, with the houses leaning one another, all of them standing around the Castle and the Church of S. Nicola dating to the XVII centu- ry. On the square, recently refurbished, the silence is just broken by the water sound of the fountain dedicated to the Vacuna Goddess. During the Roman Empire the cult of this benevolent divinity of the fields was very popular in the neighbourhood. Roccagiovine is surrounded by woods: especially those of oak, flowering ashes and hornbeams at the lower altitudes, chestnut trees around the built-up areas and maples, Turkey oaks and beech trees on the highest slopes.

Starting from the square and going along the road across the mountainside to- wards Licenza, after a couple of Kilometres the seventeenth-century Orsini Nymphaeum is met on the left side, a fountain in the woods built as a Renais- sance scenery and supplied by a small artificial waterfall. As any other aquatic habitat, the semicircular pool of the Nymphaeum is a life opportunity for several species of small invertebrates. One finds, for instance, Ple- coptera, Tricoptera and Ephemeroptera insects; their presence indicates healthy water.

Following the signs, after a few hundred metres you can reach the entrance of Horace’s Villa, given as a gift to the famous Latin poet by Mecenate in 33 b.C. All the buildings were part of a great complex made of a residential property with a garden, a thermal unit and a sector for agricultural activities. Going back to the valley floor on the Licinese road, turning on the left, one gets to the village of Licenza. Located on top of a hill and surrounded by forests, olive

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groves and some patches of plain, dominated by the Baronial Palazzo (that once used to be the Orsini Castle), the village is the most populated and dynamic of the valley. Using spelt flour, an ancient cereal cultivated in this area, spring water and a traditional drying process, a local workshop produces several types of pasta, from the typical “sagne” to the “tagliatelle”. Among the renowned figures that stayed for some time in these territories there is the famous German artist Jacob Philipp Hackert, Goethe’s painting master, who by the end of the XVIII century went through the valley painting some charming views.

Going further along the Licinese road, after a few hundred metres it is possible to turn on the left towards Civitella di Licenza. Along the road, nearby a spring named La Posta, the Trail of the Eagle starts, leading to a hide from which it is possible to watch the nest of a couple of golden eagles, built on a cliff of the Pellec- chia Mountain. From the highest place of Civitella a spectacular round view can be seen. In foreground to the north stands the Pellecchia Mountain that, with its 1368 metres, is the highest peak in the surroundings of Rome. Till the half of the past cen- tury the woods of these mountains were cut in order to obtain coal. The snow accu- mulated on their peaks was gathered in specific holes (“snow pits”) and then deliv- ered to Rome during the warm summers.

Once back on the Licinese road, going to the north for about three Kilometres along the valley you can reach the first houses of Percile. In this area, by the ceme- tery, there is the Spring of the Aliucci from which gushes out a very light water, with low mineral content, that was used by the Romans and is indicated for re- nal diseases. The historical core of Percile, dominated by the Baronial Palazzo of the XIII cen- tury, is quiet and well-kept. Very interesting is a few kilometres walk to a couple of small lakes of karst origin. The smaller can be seen only from a high position being on the bottom of a deep circular bowl. The major appears through the trees as a sort of unexpected mirage.

From Percile one goes on to Orvinio. Until 1863 this village was called Canemor- to, probably related to a local victory of the armies of Charlemagne against the Saracens that used to terrorize the populations, with the killing of one of their lead- ers, also known as “Khan”. The small town of Orvinio has a tidy-looking and flat core with a main road, almost a city “corso”, leading from the en- trance door to the castle. The celebrity in town is the seven- teenth century painter Vincenzo Manenti that, at his time, was a very popular artist in Central Italy. Several of his frescoes cover the walls of the small church of S. Maria dei Raccomandati.

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Tratto VICOVARO - VARCO SABINO Orvinio Collalto Sabino

Da Orvinio a Collalto Sabino

Usciti da Orvinio si prosegue verso nord sulla Licinese fino al chilometro 18 dove, prendendo la strada sterrata sulla de- stra (occorre fare attenzione alle buche), si giunge ai resti del- l’antica Abbazia di S. Maria del Piano. Il complesso benedettino è posto silenziosamente al bordo di un ampio e fertile piano carsico interrotto qua e là da alberi e orli di siepi. La scarna e armonica facciata della chiesa, in pie- tra calcarea scurita dal tempo, i lembi di mura perimetrali, il profilo allungato e vigile del campanile romanico, spuntano quasi all’improvviso dalla vegetazione. Si pensa che l’origine della struttura possa risalire al IX secolo, collegata ad una vittoria dell’esercito di Carlo Magno sui Sara-

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ceni nella pianura adiacente. Dopo un periodo di notevole di- namismo e operosità, quando i monaci benedettini, legati alla potente abbazia di Farfa, estendevano i loro possedimenti su diversi paesi dei dintorni, a partire dal ‘500 iniziò una lunga fase di declino e abbandono in cui il sito veniva frequentato solo per alcune celebrazioni e le consuetudini rurali. Un uso temporaneo come cimitero durante l’800, sommato a ripetuti crolli e saccheggi che i vari restauri non sono riusciti ad arginare, hanno condotto all’a- spetto attuale. Il monumento, per quanto affa- scinante e armo- nicamente inse- rito nel paesaggio, risulta ormai privo di molti elementi archi- tettonici impiegati per la sua costruzione e provenienti da resti di edifici romani e medievali della zona (capitelli, stipiti, fregi, bassorilievi). È interessante notare come per questi materiali, che in gergo tecnico vengono definiti “di spoglio” perché deri- vano dallo smantellamento di qualcosa di preesistente, il desti- no tenda a ripetersi. Oggi di proprietà dello Stato, fino agli anni ’70 la struttura era del Comune di Orvinio, anche se dal punto di vista ammini- strativo l’area ricade nel comune di Pozzaglia Sabino. In tempi remoti, fra gli abitanti di questi due paesi si sono accese diver- se contese per il possesso dell’abbazia e delle sue terre.

Tornati sulla Licinese, si prosegue verso nord per circa un chi- lometro e mezzo fino ad un bivio dove si gira a destra sulla provinciale verso Pozzaglia Sabino. Il territorio è di passaggio fra l’area montuosa dei Lucretili e la valle del fiume Turano e, a partire dal IX secolo, costituiva la frontiera fra il ducato longobardo di Spoleto e quello bizanti- no di Roma.

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La patrona di Pozzaglia è S. Ulpia, martire cristiana sotto Dio- cleziano, ma in paese, da più di un secolo a questa parte, si è affermato un culto molto profondo e sentito per una concitta- dina suora, Livia Pietrantoni, uccisa appena trentenne nel 1894 a Roma, dove lavorava come infermiera in un ospedale. La sua recente santificazione col nome di S. Agostina e la pro- clamazione a “patrona degli infermieri d’Italia” hanno concen- trato su questo borgo una forte attenzione spirituale. Le spoglie della santa sono raccolte in una cappella della Chie- sa di S. Nicola. Altri luoghi di pellegrinaggio e raccoglimento a lei dedicati sono la Cappella della Rifolta presso l’antico mulino all’ingresso del paese, dove da giovane si recava a pre- gare, e la casa natale che conserva molti oggetti originari di uso comune.

Proseguendo lungo la provinciale, dopo alcune curve si apre un bellissimo panorama del grande pianoro fra Orvinio e Poz- zaglia, con la sagoma lontana del campanile di S. Maria del Piano e il profilo dei Lucretili sullo sfondo. Dopo un paio di chilometri si arriva alla frazione di Montorio in Valle, costruita in posizione dominante sulla valle del Tura- no. La sua chiesa parrochiale di S. Stefano Protomartire, del ‘300, ha un bel portale di accesso in travertino con lunetta del ‘400 e, sull’altare, un affresco della Madonna del Rosario di Vincenzo Manenti. Dal Belvedere in contrada La Pianella si può godere di un am- pio e suggestivo affaccio sulla valle e sulla dorsale dei monti Navegna e Cervia. Questo sito è an- che un importan- te punto di inter- pretazione geolo- gica del paesaggio, dove l’esame delle forme dei rilievi e delle rocce che li compongono può aiutare a capire at-

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traverso quali complessi e lunghi meccanismi si è realizzata la costruzione delle montagne ita- liane così come appaiono oggi.

All’uscita del paese, una stradina in leggera salita sulla sinistra porta verso l’eremo rupestre di S. Mi- chele Arcangelo, costruito in- torno ad una grotta in un luogo dove, secondo una leggenda locale, il giovane santo guerriero avrebbe trafitto a morte un terri- bile drago. Narra la tradizione che il culto diffuso per S. Michele in molti luoghi alti e scoscesi d’Italia iniziò sul Gargano nel 490 d.C. in occasione di una delle sue prime appari- zioni, durante la quale invitò a consacrare le cavità rocciose alla devozione cristiana (“dove la roccia si apre, il peccato dell’uomo può essere perdonato”). E’ però probabile che questa pratica tragga origini anche dal più antico culto di Ercole, divinità protettrice delle greggi del mondo pastorale centro – meridionale, venerata nelle grotte e nei luoghi di ricovero degli armenti.

Lungo la provinciale che inizia a scendere verso il fondovalle si incontrano dei begli esemplari di vite maritata all’acero campestre. Dopo poco più di due chilometri di discesa si incontra il pae- sino di Pietraforte, anch’esso frazione di Pozzaglia, antico bor- go fortificato costruito su una rupe calcarea, che conserva al- cuni tratti di mura originari e dei begli archi di accesso.

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La Chiesa di S. Stefano vale una sosta per il suo soffitto a cas- settoni del ‘600 e perché sui tre altari sono conservate altret- tante pregevoli tele, sempre del ‘600, di Raffaello Vanni da Siena, allievo di Pietro da Cortona.

La vite maritata È la testimonianza residua di una pratica colturale un tempo assai comune nei paesaggi rurali di tutta Italia e oggi quasi del tutto scomparsa a causa delle esigenze di razionalizzazione dei lavori agricoli. Il sistema, di origine etrusca, consisteva in una coltivazione “alta” delle viti, che venivano fatte crescere sopra ad alberi spontanei molto rustici e diffusi nelle campa- gne: aceri, olmi, pioppi. Questi venivano periodicamente potati e fornivano un adeguato sostegno così che i grappoli pendevano dalle loro chiome. Il terreno libero fra le varie “coppie” veniva utilizzato a rotazione per gli erbai da fieno o la coltivazione dei cereali.

Continuando a scendere lungo la provinciale si attraversa il fiume Turano e si incontra la S. P. Turanense, dove si gira a de- stra. Percorso circa un chilometro, si imbocca una strada sulla sinistra che sale tortuosa fra i castagni fino al borgo di Collalto Sabino. Il tracciato della strada segue fedelmente l’articolazio- ne del versante sud del Monte S. Giovanni, estrema propaggi- ne meridionale del gruppo mon- tuoso Navegna – Cervia. Il nome “Collalto” deriva da collis altus e ricorda la posizione domi- nante sulla Via Valeria e la Piana del Cavaliere, un tempo frontiera fra lo Stato Pontificio e il Regno Borbonico, oggi fra il Lazio e l’A- bruzzo. Capoluogo per molti secoli di un’importante baronia fra le valli dei fiumi Turano e Salto, posse-

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duto tra il 600 e l’800 dai Barberini, Collalto è uno di quei luoghi in cui, forse più che in altri, si percepisce tangibilmente il senso dello scorrere del tempo e del fluire della storia. Una storia spesso “matrigna”, subita più che vissuta dalla gente di questa “terra di mezzo”. Tra i fatti più recenti fi- gurano, ad esempio, i saccheggi e gli ecci- di punitivi organiz- zati nel 1861 dai sol- dati borbonico – pontifici, aiutati dai briganti locali, appe- na dopo l’annessio- ne plebiscitaria della Sabina al nascente Regno d’Italia. Il paese è annovera- to, a pieno titolo, fra i circa cento “borghi più belli d’Italia” e si presenta con le case in pietra raccolte attorno al maestoso castel- lo. Questa fortezza è il vero elemento unificatore dell’am- biente urbano, alta e visibile, con i suoi spalti e le sue torri merlate, dai vicoli e dalle piazze tutto intorno. Nella sua struttura d’insieme compaiono i segni dei molti interventi di restauro operati nel corso dei secoli e vi si possono distin- guere le forme connesse alla primaria funzione difensiva da quelle legate più ad un uso da palazzo nobiliare. Per accede- re al castello si attraversa una piazzetta con al centro una bella fontana ottagonale in pietra calcarea, per poi salire la scalinata che conduce al ponte levatoio e alla porta di acces- so sormontata dallo stemma dei Barberini con le tre api. Nel 1928 a Collalto, presso il medico e scienziato Attilio Staffa studioso dei raggi X, venne in cura Umberto Nobile, ferito ad una gamba nell’incidente del dirigibile Italia du- rante la trasvolata del polo nord e autore del drammatico diario di viaggio “La Tenda Rossa”.

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From Orvinio to Collalto Sabino

Going further to the north, as one gets to the 18th km, a turn on the right leads to the ruins of the ancient Abbey of S. Maria del Piano. Only the church front, some patches of the external wall and the Romanesque bell tower remain of the whole Benedictine complex. The origins probably date back to the XI cen- tury as a celebration of a local victory of the Charlemagne army against the Saracens. Af- ter a period of notable relevance, when the Benedictine monks connected to the powerful Abbey of Farfa expanded their possessions in several villages all around, from the early XVI century a long time of decay and neglect began. In the XIX century the church was even used as a cemetery. Due to several robberies the monument is nowadays devoid of many architectural ele- ments used for its construction (for instance capitals, jambstones, friezes, bas-reliefs).

It is necessary to go further to the north for about 1,5 Km till a road junction where there’s a right turn to Pozzaglia Sabino. The territory is a passage between the mountainous area of the Lucretili and the valley of the Turano river, crossing the frontier that, in the Middle Ages, used to ex- ist between the Longobard Dukedom of Spoleto and the Byzantine one of Rome. In Pozzaglia, since a century and over a very deep cult of a local nun, named Livia Pietrantoni, has become popular. She was killed in 1894 in Rome, where she used to work as a hospital nurse, when she was only thirty years old. Her recent sanctifi- cation as S. Agostina and her proclamation as the “Italian nurses patron saint” have focused a strong spiritual attention on this village.

After a few kilometres one gets to the hamlet of Montorio in Valle, built in a domi- nant position on the Turano Valley. Its parish church of S. Stefano, dating back to the IV century, has a fresco of the “Madonna of the Rosary” painted by Vincenzo Manenti. From the Belvedere, by the place called La Pianella, a wide and at- tractive view on the valley and on the ridge of the Navegna and Cervia Mountains can be seen.

Just out of the village, a narrow uphill road on the left leads to the

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rupestrian hermitage of S. Michael Archangel, built around a cave in a place where, according to a local tale, the young saint would pierce to death a terrible dragon.

Going down towards the valley floor some great examplars of “married vines” twisted round maple trees can be found, as residual evidence of a country practice that once used to be popular and nowadays is almost disappeared. The tech- nique consisted in using spontaneous trees, very rustic and common in the country lands such as maples, elms and poplars, as a support for the vines.

After little more than two km on the way down, the small town of Pietraforte is met, also included in the Pozzaglia hamlets, an ancient fortified village built on a calcareous cliff, where part of the original walls and some considerable entry arches survive.

Still on the way down one crosses the Turano river in order to reach the Turanense road, by the valley floor, where it is necessary to turn on the right. After one km there’s a turn on the left to go up to the village of Collalto Sabino. The name “Collalto” derives from the latin collis altus and reminds the dominant position on the Valeria road and the surrounding plain, that once used to be the boundary between the Papal State and the Bourbon Kingdom, nowadays between the Lazio and Abruzzo regions. The village has been included in a list of about one hundred “most beautiful villages of Italy”, with small rocky houses all gath- ered around the majestic castle, unifying element of the urban environment, high and visible, with its battlements and em- battled towers, from the alleys and the squares around. In the structure of the fortress the shapes connected to the primary defensive function can be distinguished from those related to a use as aristocratic Palazzo. In order to enter, stairs must be climbed leading to the drawbridge and the main door surmounted by the coat of arms of the Barberini family with three bees.

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Da Collalto Sabino a Varco Sabino

Da Collalto si inizia a scendere verso Carsoli e, dopo quasi due chilometri, si gira a sinistra sulla provinciale per Collegio- ve e . La strada degrada dolcemente verso una stretta e lunga pianura di fondovalle. Percorsi due chilometri, con una breve deviazione sulla destra si può salire al paese di dalla caratteristica forma a ferro di cavallo, affacciato sull’inconfondibile e maestoso pro- filo “a chiglia di nave rovesciata” del Monte Cervia. Il borgo è circondato da foreste che si estendono quasi senza soluzione di continuità. Il suo nome deriva da “acquam nespu- li”, acqua di nespolo, dall’antica denominazione locale di un bosco in cui questa pianta cresceva spontanea. Nella parte alta

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del paese, la chiesa di S. Sebastiano patrono contiene una tela di scuola fiamminga del ‘500 che ne raffigura il martirio.

Tornati sulla provinciale per Marcetelli, un tratto pianeggiante precede un ponte su un fosso e, subito dopo, si trova un incrocio con due strade bianche, una a de- stra, l’altra a sinistra. Quella a sinistra, leggermente dis- sestata, porta ai ruderi di un vec- chio mulino ad acqua (Mola tra le Vene), dove è necessario par- cheggiare. Da qui si può scendere per un lungo tratto nell’alveo del Fosso di Riancoli alla scoperta dei suoi angoli più segreti. Questo breve corso d’acqua nasce dalla confluenza di alcuni tranquilli ruscelli minori, scorre da est verso ovest ma, prima di gettarsi nel Turano, incide delle gole profonde che separano di netto la dorsale del M. Cervia dal rilievo isolato di M. S. Giovanni a nord di Collalto. L’accidentato percorso nell’alveo è una rappresentazione ideale della capacità dell’acqua di scolpire, scavare e levigare la tenace roccia calcarea. Nel silenzio interrotto solo dal vento che muo- ve le foglie o dal verso stridulo della ghiandaia si incontra un susseguirsi continuo di sorprese: pozze isolate abitate da anfibi e larve di insetti, massi ciclopici, pa- reti rocciose, piscine naturali, cascate. La passeggiata va af- frontata con le do- vute cautele anche perché, d’inverno, l’impeto della cor- rente invita a man- tenersi sui versanti che in alcuni tratti sono percorribili con difficoltà.

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La strada bianca sulla destra porta anch’essa nelle vicinanze di un antico mulino ad acqua che è stato recentemente ristruttu- rato per scopi didattici dalla Riserva Naturale (per la visita te- lefonare al 0765/790002). Il piccolo edificio in pie- tra si trova al termine di un breve tratto da fare a piedi e compare, nasco- sto fra la vegetazione, sulle sponde di un tor- rente poche centinaia di metri a valle dell’abitato di Nespolo. All’interno ospita una mola in le- gno “a ruota orizzontale” che un tempo serviva a macinare i cereali destinati al consumo delle famiglie contadine: grano, segale e farro coltivati su piccoli fazzoletti di terra e frutto di pratiche agricole a malapena ripagate dai raccolti. Attaccato al fabbricato, un grande vascone in pietra era utiliz- zato per accumulare l’acqua nei periodi asciutti o comunque quando le portate del torrente erano scarse.

Di nuovo sulla provinciale per Marcetelli, che comin- cia a salire fra boschi di querce ed aceri fino ad ar- rivare, dopo circa cinque chilometri, a . Il nome del paese trae pro- babilmente origine dalla presenza di un vicino luo- go di culto dedicato a Giove. Questo fatto, sommato al ritro- vamento su un colle circostante di una grande e antica tazza di marmo rosso venato, oggi utilizzata come acquasantiera nella chiesa parrocchiale, testimonia una notevole frequentazione di questi luoghi fin dai tempi dei romani. Come diversi altri centri dei dintorni anche Collegiove appar- teneva, fra il ‘300 e il ‘600, alla Baronia di Collalto. Oggi, con

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i suoi 1001 metri è il centro abitato più alto della Riserva dei Monti Navegna e Cervia, luogo di partenza ideale per escur- sioni verso il crinale e la vetta del Monte Cervia da cui lo sguardo si apre sul Lago del Turano, sinuoso e azzurro, e su un’ampia cerchia di alture vicine e lontane, fra cui il Soratte ad ovest, il Terminillo a nord, il Velino ad est.

Lungo la provinciale, circa un chilometro e mezzo a nord di Collegiove una stradina sterrata sulla sinistra si addentra nel cuore degli estesissimi castagneti che ricoprono le pendici orientali dei monti Cervia e Navegna. Entrare in un casta- gneto da frutto, in qualunque stagio- ne, è un’esperienza che riempie di stu- pore per la cura con cui è tenuto il ter- reno e per l’impo- nenza degli alberi, quasi tutti secolari. Molti aspetti concor- rono a dare vita ad un’atmosfera fiabesca: le tenaci e possen- ti radici, le nodosità dei rami, le cavità dei tronchi originate negli anni dall’azione combinata dei fulmini e dei voraci in- setti “mangia legno”. Il castagno, detto anche “albero del pane”, è stato per secoli una fonte primaria di alimentazione durante i freddi inverni o i periodi di carestia, non so- lo per le povere popolazioni montane ma anche per il loro bestiame, soprattutto suino. Si diceva infatti che la carne del maiale fosse più buona quan- do il prezioso animale era ali- mentato con le castagne.

Si prosegue sulla provinciale (occorre fare attenzione al fondo dissestato) per altri due chilometri e mezzo fino ad una stretta

38 Tratto VICOVARO - VARCO SABINO Collalto Sabino Varco Sabino curva a destra in corrispondenza della quale, sulla sinistra, ini- zia il sentiero che porta all’aspra Gola dell’Obito. Come quello di Riancoli, anche il Fosso dell’Obito taglia da est a ovest la dorsale montuosa, separando il rilievo del Na- vegna da quello del Cervia. Il suo bacino idrografico ricade tutto nella Riserva e dà origine ad una valle apparentemente anomala, che nasce aperta e termina in una gola. La causa sta nel fatto che nella parte alta del bacino, a oriente, affiora del flysch (arenarie stratificate miste ad argille), una roccia relativa- mente “tenera” e molto pre- disposta al modellamento da parte dell’erosione atmo- sferica; nella zona più occidentale e bas- sa verso Ascrea, invece, vi sono dei banconi più compatti e tenaci di calcare su cui l’erosione si con- centra solo in alcune zone dando luogo a forme scoscese e ripidi pendii vallivi. Il nome Obito deriva probabilmente da “oves” (pecore), a segnalare un antico varco fra i monti per la transumanza delle greggi. Gli ambienti isolati e proibitivi della forra ospitano diversi tipi di vegetazio- ne e sono frequentati da specie ra- re e sensibili quali il falco pel- legrino e il merlo ac- quaiolo.

39 La Riserva Regionale Monte Navegna e Monte Cervia

on sono montagne gemelle ma poco manca. Vengono sempre nominate insieme, hanno altezze quasi compa- Nrabili, 1508 metri il Navegna, 1436 il Cervia, sono for- mate dallo stesso tipo di rocce e i versanti occidentali di entram- be si specchiano nelle acque del Lago del Turano mentre quelli orientali, ripidi in quota ma dolcemente ondulati alle pendici, in quelle del Lago del Salto. Le loro forme disegnano paesaggi ampi e solitari, in cui il tempo sembra seguire una scansione totalmen- te autonoma. Sulle carte sono anche conosciute come Monti Carseolani. La Riserva, estesa per circa 36 chilometri qua- drati, ne protegge gli ambienti più significati- vi: le rupi, le praterie d’altura, le grandi fag- gete, i castagneti, i boschi di querce, carpi- ni ed aceri, le acque tumultuose dei fossi dell’Obito e di Riancoli che tagliano tra- sversalmente la dorsale montuosa. Castagno Nel sottobosco, dove transitano sospettosi il lupo e il gatto selvatico, germogliano fioriture di orchidee, violette e nar- cisi. I cieli sono solcati dal volo preciso dell’aquila reale o, di not- te, dal maestoso e silenzioso gufo reale. Alcune raccolte d’acqua ospitano anfibi di particolare interesse a dai nomi curiosi come l’ululone dal ventre giallo e la salamandrina dagli occhiali. Il territorio è attraversato da una rete di sentieri e tratturi, testi- monianza di una viabilità rurale un tempo diffusa, oggi a dispo- sizione anche degli escursionisti, ed è circondato da una cerchia discreta di paesini e piccole frazioni. Tra questi i nuclei storici dei nove comuni che fanno parte della Riserva. I più importanti e famosi sono Collalto Sabino e , per i loro castel-

li, e per la sua felice posizione prossima alle rive del La- go del Turano. Ve ne sono però al- tri che contano poco più di 200 abitanti ciascuno e si configurano come autentici presidi delle atti- vità umane sulla montagna: Paga- nico, Collegiove, Marcetelli, Varco Sabino (sede degli uffici del- la Riserva Naturale). Gli spazi a disposizione per le coltivazioni sono limitati a piccoli orti e appezzamenti posti a ridosso dei centri abitati. I principali prodotti della terra, dunque, sono i frutti del bosco e del sotto- bosco: more, mirtilli, funghi, tartufi e, soprattutto, castagne, che vengono ancora raccolte nei circa 600 ettari di castagneti da frutto. Un vecchio detto sottolinea la loro importanza storica per le povere economie locali: “Allu burghittu se nun fosse pe’ li frutti se sariano morti tutti”. La varietà regina è la “castagna rossa del Cicolano”, introdotta in epoca storica dalla Lombardia e perfet- tamente adattata al clima e ai suoli di queste zone.

The Navegna and Cervia Mountains Regional Reserve The shapes of the Navegna (1508 metres) and Cervia (1436 metres) mountains divide the Salto lake from the one of Turano outlining wide and solitary landscapes where time seems to go by with its own frequency. The Reserve, spreading for about 36 sqkm, protects several significant environ- ments: cliffs, high-ground meadows, beech and chestnut woods as well as oak, hornbeam and maple woods, the turbulent waters of the Obito and Ri- ancoli ditches. In the underwood suspiciously the wolf and the wild cat pass through. Skies are streaked across by the perfect flight of the golden eagle or, at night time, by the majestic and silent eagle owl. The area is run through by a net of trails and sheep-tracks and sur- rounded by a circle of small villages. Some of them have little more than 200 inhabitants and represent the remaining of human activities on the mountains. The areas ready to be cultivated are restricted into small vegetable gar- dens and plots close to the villages. So, the main products from the land are wood and berry fruits such as blackberries, bilberries, mushrooms, truffles and, most of all, chestnuts that are still picked up all over the 600 hectares of chestnut woods. Orchidea Tratto VICOVARO - VARCO SABINO Collalto Sabino Varco Sabino

Un chilometro e mezzo più avanti, una deviazione sulla destra lungo la carrareccia che porta verso S. Maria in Villa permette di fare visita ad un’autentica “bisnonna verde”, una roverella monu- mentale di circa 300 anni che la gente del posto chia- ma con affetto “quercia bel- la”. È alta 22 metri (più di un palazzo di sei piani) e il suo tronco ha un diametro di più di due metri (servono almeno sei bambini per abbracciarlo tutto).

Gli alberi secolari Che sia quercia o castagno, ogni albero che cresce dovrebbe poter continuare a farlo fino a diventare un grande albero. Diverrebbe così un potente produttore di ossigeno attraverso le foglie, un rifugio sicuro per molti animali, un dispensatore di cibo e doni preziosi grazie agli innumerevo- li frutti ed un custode del suolo che attenua con l’ampia chioma la violenza dei temporali.

Dopo un chilometro si entra a Marcetelli, che sembra debba il nome all’espressione latina “Marsorum tellus”, terra dei “Marsi”, riferita non al popolo italico ma alla famiglia della Sabina che nei secoli X e XI fondò diversi insediamenti nella valle del Salto. Il paese giace allungato su un crinale montuoso dai ripidi ver- santi e gode di una posizione difensiva strategica, con ampie vedute sulla valle e sul lago. Attraverso gli stretti vicoli lastrica- ti in pietra del centro storico si arriva alla Piazza della Porta, che ha al centro una fontana ottagonale e su cui affaccia il Pa- lazzo Barberini.

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Fino a pochi anni fa gli abitanti di Marcetelli erano dei rino- mati e validi bottai. In inverno, scelto il legname più idoneo nei castagneti, si adoperavano a sagomare doghe di tutte le di- mensioni per la costruzione di tini, bigonci e botti.

Oltre Marcetelli la strada inizia a scendere verso il Lago del Salto. Dopo circa quattro chilometri occorre fare attenzione al bivio sulla sinistra, non segnalato, e prendere la stretta stradina asfaltata che sale verso Rigatti. Dal 1968 questo abitato non è più frazione del lontano co- mune di Ascrea, ma di Varco Sabino. Il piccolo paese è do- minato dal Palazzo Ba- ronale ed è ampiamen- te panoramico sul lato orientale del Lago del Salto e sui monti del Cicolano. La sua storia, al di là del- le famiglie nobiliari che lo hanno governato nei secoli, simboleggia quella di tanti piccoli borghi sparsi sull’Ap- pennino. Una storia che traspira ancora il senso del feudalesimo, testimoniata dagli Statuti medievali giunti fino ai giorni nostri e che sopravvive nella memoria orale dei racconti degli anziani. Una storia di povertà e sacrifici di povere genti di montagna, di doveri e obbligazioni verso potenti e uomini di chiesa, di brigan- ti ed emigrazione per sfuggire alla fame. Dal belvedere posto al margine del paese lo sguardo è in grado di apprezzare l’enorme estensione del paesaggio fore- stale della valle del Salto (la stessa parola latina saltus vuol dire “bosco”, “selva”) in- terrotto solo dalle anse del lago che si insinuano nelle vallette laterali e, sporadicamente, dal si- stema di piccoli insedia- menti e case sparse. Con i suoi circa 7 chilo-

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metri quadrati il Lago del Salto è uno dei maggiori bacini artificiali dell’Italia centrale. Insieme a quello del Turano, suo “gemello” più piccolo da cui riceve le acque attraverso una lunga galleria, costituisce una sorta di unico grande ser- batoio della capacità di 430 milioni di metri cubi (430 mi- liardi di litri) che alimenta la centrale idroelettrica di Coti- lia, posta nella valle del Velino fra Rieti e .

Con poco più di due chi- lometri si arriva a Varco Sabino che compare allun- gato in leggera pendenza ai piedi di un’alta parete roc- ciosa. Il nome del paese de- riva dal fatto che nel me- dioevo, quando vi era solo una piccola chiesa rurale, vi si transitava attraverso una sorta di “valico” per passare dalla zona del Salto – Cicolano alla valle del Turano e alla Sabina. L’origine dell’insediamento risale alla metà del ‘400 quando la popolazione del borgo di Mirandella, scampata ad un vio- lento terremoto, vide nella ripida balza rocciosa del valico un sicuro e agevole riparo alla furia degli elementi. I profughi non vollero però abbandonare del tutto le terre di provenien- za e vi continuarono a portare le greggi al pascolo e ad utiliz- zarne il legname. Ciò diede luogo ad un’interminabile conte- sa con la comunità di Ascrea, nel cui territorio ricadeva Mi- randella, che venne risolta solo alla fine del ‘700 (da cui il nome leggendario di “lite dei tre secoli”) con il riconosci- mento dei diritti di “pascolo e legnatico” per gli abitanti di Varco. Nel nucleo storico, in Via Roma 35, hanno sede gli uffici della Riserva Naturale. Dall’abitato un ripido sentiero pano- ramico sale ad una grotta in cui è stata ricavata una chiesetta rupestre dedicata a S. Michele Arcangelo, patrono del paese.

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From Collato Sabino to Varco Sabino

From Collalto one begins to go down toward Carsoli and, after a couple of kilome- tres, there’s a turn on the left along the way to Collegiove and Marcetelli. Once down the valley floor, after two kilometres more, a flat stretch of land precedes a bridge on a ditch and, just after that, a junction with two country roads is met.

The one on the left leads to the ruins of an ancient water mill, where parking is possible and one can go hiking down for a long tract by the sides of the Riancoli ditch bed, searching for its most secret spots. The route along the ditch is bumpy and it’s an ideal representation of the water power that sculpts, digs and smoothes the hard calcareous rock. One finds many and different surprises: isolated puddles inhabited by amphibians and insect grubs, cyclopean boulders, rocky walls, natural pools, waterfalls. It’s necessary to use caution because during the winter the rushing current forces peo- ple to stay on the slopes which can hardly be walked over for themselves.

Back on the asphalt road, that begins to go up among oaks and maples woods, un- til we get, after about five kilometres, to Collegiove. The name of the village is probably the result of a nearby cult place dedicated to Jupiter (Giove). The area, in fact, was populated since the Roman era as witnessed by the finding of a great ancient bowl made of streaked red marble, nowadays used as holy-water font in the local parish church. The village is a great starting point for hikes on the ridge and the peak of the Cervia Mountain from which boundless and attractive views can be seen.

Almost two kilometres beyond, a dirt path on the left enters an extended forest of chestnut fruit trees, well-kept and rich in secular exem- plars. The chestnut tree, also known as “bread tree”, has been for centuries a primary source of feed- ing during the cold winters, not only for mountain populations but also for their live- stock, especially for pigs. Pork meat was in fact better when pigs were nourished by chestnuts.

After two kilometres and a half more along the way, just by a right sharp bend, on the left side a trail starts leading to the Obito ravine. Just like the one of Riancoli also the Obito’s ditch cuts from east to west the mountain ridge, separating the Navegna range from the one of Cervia and gen- erating a narrow deep ravine cut into the solid limestones.

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The name Obito probably originates from the Latin word “oves” (sheep), indicat- ing an ancient way between the mountains for the flock transhumance. The seclud- ed and prohibitive environments of the ravine lodge several kinds of vegetation and are populated by rare sensitive species such as the peregrine falcon and the dipper.

After two kilometres and a half one enters Marcetelli. The village lies down over a small mountain ridge and has a strategic defensive position with wide views on the valley of the Salto river and its homonymous lake. From the historical centre, through narrow stone paved alleys, one gets to the Piazza della Porta with an oc- tagonal fountain standing in the middle faced by the Palazzo Barberini. Until a few years ago, the people of Marcetelli were considered as renowned coopers. During the winter, once they had chosen the best timber in the chestnut woods, they used to shape staves of any size to make vats, tubs and barrels.

After about four kilometres way down to the Salto lake attention must be paid to the road junction on the left, not indicated by road signs, where one takes the nar- row asphalt road that climbs up to Rigatti. The story of this village symbolizes the one of the many small villages spread all over the Apennine. A story that still transpires the sense of feudalism and survives in the oral memory of elders tales. A story of poverty and sacrifices of poor people of the mountains, of duties and obligations in front of the powerful and the clergymen, of brigands and immigration to run away from famine. From the “belvedere”, that stands just at the edge of the village, one can enjoy the enormous extension of the forest landscape of the Salto valley (the Latin word “saltus” in itself stands for “wood”) just broken off by the bights of the lake. With its 7 sqkm the Salto Lake is one of the biggest artificial basins of Central Italy. Along with the one of Turano, a smaller “twin” from which it receives the water through a long tunnel, it supplies power to a hydroelectric station in the Velino val- ley, close to Rieti.

With a bit more than two kilometres one gets to Varco Sabino that appears stretched at the base of a high rocky wall. The origin of the settlement dates back to the middle of the fifteenth century when the people from the hamlet of Mirandella, once escaped a terrible earthquake, saw the base of the cliff as a safe and practicable shelter from the fury of elements. In the historical core, ad- dressed at Via Roma 35, stand the offices of the Na- ture Reserve. From the built up area a steep panoramic climb goes up to a cave where a rupestrian small church dedicated to S. Michael Archangel, patron saint of the village, has been made into the rock.

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Da Varco Sabino ad Ascrea

Oltre Varco Sabino la strada inizia a salire con alcuni tor- nanti e, dopo circa due chilometri, costeggia il piccolo abita- to di Vallecupola, frazione distaccata del lontano comune di Roccasinibalda. Il villaggio vanta due chiese parrocchiali, S. Croce e S. Maria della Neve. Fino a pochi anni fa quest’ultima custodiva una bellissima croce d’argento lavorato, poi trasferita nel Duomo di Rieti, attribuita a Jacopo Del Duca, collaboratore di Mi- chelangelo. In tempi storici le principali occupazioni degli abitanti erano la pastorizia transumante e un’agricoltura montana di sussi- stenza. Sulle pendici del Monte Navegna a sud ovest del pae-

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se, il carattere estensivo di queste attività, ancora praticate, ha consentito la conservazione integrale di un vasto e bellissimo lem- bo di ambiente rurale di una volta, organizzato se- condo il sistema dei “campi chiusi”.

I “campi chiusi”: un paesaggio come mappa catastale Anticamente i limiti degli appezzamenti erano formati da robuste fasce verdi che contenevano i più comuni alberi e arbusti dei boschi circostanti. In molti casi la “chiusura” nasceva dalla necessità di evitare che greggi e mandrie brade pascolassero sulle terre migliori, spesso di proprietà dei signori. Le siepi erano molto spesse e impenetrabili, garantivano legname in caso di necessità e il loro fogliame (le “frasche”) veniva dato in pasto al bestiame nei lunghi mesi invernali.

Si prosegue verso nord per circa otto chilometri e, dopo due bivi consecutivi in cui occorre tenersi a sinistra, si giunge al paese di Longone Sabino. Situato a 800 metri di altezza, l’abitato ha un centro storico medievale con strette e tortuose vie pavimentate in pietra cal- carea e notevoli scorci sui monti della conca reatina. Nei secoli successivi all’anno 1000 l’insediamento appar- tenne alla vicina abbazia bene- dettina di S. Salvatore Maggiore, all’epoca una delle più importanti del- l’Italia centrale. I santi patroni so- no Cosma e Da- miano, due fratelli medici martirizzati dai romani in Cili-

48 Tratto VICOVARO - VARCO SABINO Varco Sabino Ascrea cia nel IV secolo, cui è dedicata una piccola chiesa inglobata nel cimitero. Chi capitasse in paese la sera del 26 settembre, in occasione della loro festa, avrebbe modo di osservare il rito dei “foconi”, grandi e spettacolari fuochi di fascine secche collocati sulle mon- tagne intorno, pro- babilmente a sim- boleggiare un ulti- mo omaggio alla lu- ce dell’estate appena finita. Per la festa del lavo- ro del 1° maggio a Longone si svolge la “Sagra dei Vertuti”, un gustoso piatto ti- pico locale consistente in una zuppa di legumi, cereali ed er- be, aromatizzati con mentuccia fritta in olio di oliva.

Il percorso continua lungo la provinciale per la diga del Tu- rano seguendo un tracciato sinuoso che ricalca le articolate forme del pendio. In alcuni tratti lo sguardo verso occidente si apre ad abbracciare un vasto panorama che comprende la valle del Tevere, il rilievo isolato del M. Soratte che nel Plio- cene, due milioni di anni fa, era un’isola in un mare caldo e tropicale, e i lontani altipiani vulcanici Sabatino e Cimino – Vicano. Il borgo di Stipes, arroccato a quasi 900 metri di quota, è fra- zione del comune di Ascrea. Dalla ventosa fortezza situata nelle parte alta si gode di una notevole vista sulla Sabina e Rocca Sinibalda, sul ramo terminale del Lago del Turano e sulla diga. Ai primi di ottobre, in occasione della ricorrenza della Ma- donna del Rosario, il villaggio si anima per la “Festa delle Jat- te”, le ragazze ancora in attesa di marito. Non si hanno notizie certe sulle origini del nome. Si sa però che “stipes” è l’inquietante termine latino che indicava il palo di legno verticale infitto nel terreno con cui, attraverso l’ag- giunta del “patibulum” orizzontale, si formava la croce per le esecuzioni capitali.

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Con poco più di due chilometri di discesa si arriva sulle sponde del Lago del Turano all’altezza dello sbarramento che ne ha determinato la formazione. La diga del Turano, in cemento armato, alta 80 metri e lunga 256, è stata costruita in corrispon- denza di ripidi versanti di roccia calcarea che co- stituiscono le “spalle” e il basamento su cui poggia la struttura. La valle, a monte molto ampia e ri- coperta dal lago, qui si restringe e diventa profonda lasciando appena intravedere il paesino di Posticciola sullo sfondo.

Una valle sott’acqua Quando la diga venne chiusa le acque coprirono oltre 500 ettari di campi, pascoli, boschi ed aree abitate, espropriati alla gente locale per poche lire, divenute in breve carta straccia grazie all’inflazione e alla guerra. L’ulteriore aggravamento dei già miseri assetti economici determinò emigrazione e spopolamento in tutti i centri circostanti. Le paratie della diga vennero chiuse nella tarda estate del ‘39. In ottobre, mentre le acque già salivano, i contadini della valle costruirono rudimen- tali imbarcazioni per andare a raccogliere, per l’ultima volta, le pannocchie di mais e i grappoli d’uva non ancora sommersi.

Dopo circa quattro chilometri lungo la provinciale Turanense che costeggia il lago si arriva in vista della penisola su cui sor- ge il paese di . L’insediamento ricopre la sommità di un colle allungato da sud a nord che oggi si protende nell’acqua, ma che un tempo dominava la parte più ampia e fertile della vallata. La sua ori- gine risale probabilmente alle invasioni barbariche quando gli abitanti di Tora, antica città sabina posta nel fondovalle (i cui

50 Tratto VICOVARO - VARCO SABINO Varco Sabino Ascrea ruderi sono ora ricoperti dal lago), si spostarono rapidamente sui rilievi circostanti. Nacquero in questo modo anche Castel di Tora e Monte di Tora (o Antuni). Il nucleo storico del paese è situato sulla punta della penisola, con la piazza, la fontana ed una chiesa del settecento, ma si tratta solo della parte superstite di un abitato più vasto le cui contrade basse sono state sommerse dal lago artificiale. Diversi edifici, anche pubblici, sono poi stati ricostruiti nella zona alta del colle, verso la Turanense. La gloria gastronomica locale è il “fagiolo a pisello”, tenero, sapori- to e praticamente privo di buccia, coltivato in piccoli appezzamenti a circa 800 metri di altezza sui pendii che sovrastano il paese e celebrato collettivamente con una sagra l’ultima domenica di ottobre.

Dopo circa un chilometro il percorso sulla turanense passa accanto al Santuario di S. Anatolia, eretto nel sito in cui vennero rinve- nute le spoglie di questa giovane martire cristiana. Il luogo è silenzio- so e con i suoi alti cipressi induce al raccoglimento. In origine vi era solo una piccola chiesa rurale cui poi si aggiunsero i fabbricati di un con- vento di frati Cappuccini. Fra gli anni ’20 e gli anni ’70 del secolo scorso il complesso fu di proprietà di un collegio di rito greco-bizanti- no che vi ospitava i seminaristi. S. Anatolia è venerata principalmente a Castel di Tora, ma la sua fama travalica la dimensione locale e la rende una figura di riferimento per la fede di tutto il territorio circostante.

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Due chilometri oltre, poco prima di attraversare il lago, la vi- sta si apre sui due rilievi di Castel di Tora, a sinistra, e Antu- ni, a destra, che paiono fronteggiarsi. Per motivi tecnici, all’e- poca della costruzione della diga e delle opere accessorie fu necessario posizionare uno dei piloni del ponte che collega una sponda all’altra esattamente dentro un’antica chiesa di campagna dedicata a S. Rocco. Come parziale misura di compensazione per le comunità locali, la società costruttrice fu obbligata a ripristinare più in alto una piccola “copia” del- l’edificio sacro, che è quella che si vede sulla destra appena prima di accedere al viadotto.

L’antico borgo di Antuni sorge sulla sommità di una peniso- la conica rocciosa che si eleva per 120 metri sulle acque del lago. In tempi remoti questa fortezza arroc- cata ed isolata sovra- stava strategicamente un ampio tratto di valle e costituiva la testimonianza più ti- pica del processo di “incastellamento” nei monti della Sabina. Abitato in condizioni estreme da diverse famiglie fino agli an- ni ’30 del secolo scorso (senza botteghe, scuola, e neanche ac- qua corrente), dopo decenni di abbandono oggi il villaggio è al centro di un ampio progetto di ricostruzione conservativa dei luoghi così come erano nei secoli passati. Incorporato, in- sieme a tutto il colle, nella Riserva Regionale Monte Navegna e Monte Cervia, vi si può accedere solo a piedi e la salita è ampiamente ripagata dalle incredibili vedute sul lago e i monti circostanti.

Come Collalto Sabino, anche Castel di Tora è incluso nei “cento borghi più belli d’Italia”. Le ragioni sono molteplici: Antuni e i paesaggi innanzitutto, ma anche l’aspetto curato e ben conservato del centro storico medievale che culmina nel-

52 Tratto VICOVARO - VARCO SABINO Varco Sabino Ascrea la piazzetta - belvedere, la torre poligonale del secolo XI che vigila sui passanti, la chiesa di S. Giovanni con il campanile su cui crescono mentuccia e violacciocche, la barocca fontana del Tritone nella piazza principale, le mura e le torrette tra- sformate in case, gli archi e le cantine. Secondo una tradizio- ne secolare, la prima domenica di quaresi- ma tutto il paese è in piazza per la “Festa del Polentone”, cotto all’aperto sul fuoco in un ampio calderone e condito con sugo ma- gro di baccalà, aringhe, tonno e alici. Le fette di polenta ven- gono tagliate con uno spago imbevuto nel gustoso olio di oli- va della Sabina.

L’itinerario prosegue sulla Turanense per circa due chilome- tri fino ad un bivio dove si gira a sinistra per salire verso il borgo di Ascrea, autentico balcone naturale sulla valle e sul lago. Appartenuto alla baronia di Collalto fino al XV secolo, que- sto villaggio si trasformò successivamente, sotto una complice protezione dei signori locali, in un temuto presidio di brigan- ti che, nel fondovalle, depredavano i viaggiatori in transito fra Rieti e il Regno di Napoli. La piazza principale con il belvedere è uno dei luoghi migliori per immaginare una ricostruzione del paesaggio della valle prima della sua som- mersione.

Tornati sulla Tura- nense il tracciato co- steggia per alcuni chi- lometri le sponde del

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lago. Quelle meno acclivi e che degradano più dolcemente nel- l’acqua vengono utilizzate in estate per la balneazione. Nei periodi di magra l’intero perimetro lacustre appare circon- dato da una striscia continua di terra nuda sopra la quale inizia la vegetazione. Si tratta del dislivello, di svariati metri, fra i mo- menti di massimo e minimo invaso di acqua nel lago artificiale. Le variazioni stagionali del livello idrico non consentono infatti in questa fascia l’insediamento di una stabile vegetazione di ripa (salici, pioppi, canneto, ecc.), che si troverebbe troppo coperta d’acqua in inverno, o troppo all’asciutto in estate. L’assenza di questa “cintura verde” impedisce il rifugio e la nidifi- cazione di diverse specie di uccelli acquatici, tipi- che dei laghi naturali, come gli aironi e molte anatre. Nel lago tuttavia sono presenti alcuni caratteristici uccelli “tuffatori”, grandi mangia- tori di pesci, come il cormorano e lo svasso maggiore.

Dopo un ponte su un fosso, con un lun- go rettilineo si entra nel territorio del co- mune di Paganico. Il centro abitato è po- sto più in alto, sulle pendici del Monte Cer- via e, come la vicinissima Ascrea, visto da lon- tano assomiglia ad una sorta di sentinella im- mobile rivolta a occidente, messa a guardia della profonda e stretta fenditura dell’Obito.

Proseguendo sulla provinciale e risalendo lungo la valle del Turano si assiste al progressivo restringi- mento del lago, che man mano diventa fiume. Circa due chi- lometri e mezzo dopo il bivio per Paganico, appena sotto la strada, si trova un monumento funerario di epoca romana noto localmente col nome di “Pietra scritta”. Si tratta di un’originale pietra sepolcrale ricavata da un masso crollato dalle rupi calcaree soprastanti, successivamente modellato in forma prismatica e scolpito. La faccia con l’iscrizione è rivolta verso il fiume e segnala i nomi dei tre membri della famiglia dei “Muttini” che vi sono stati sepolti.

54 Tratto VICOVARO - VARCO SABINO Varco Sabino Ascrea

From Varco Sabino to Ascrea

Going over Varco Sabino one reaches the small village of Vallecupola. Back in the days the main occupations of its inhabitants were transhumant sheep-breeding and a subsistence mountain agriculture. On the slopes of the Navegna Mountain, on the south-western side of the village, these activities, nowadays still practised, have en- abled the conservation of a wonderful strip of the past rural landscape, set as a “closed fields” system (fields closed by hedges).

Still further for about 8 kilometres and, after two junctions in a row where one has to keep the left, the village of Longone Sabino is met, from which nice views on the mountains around the Rieti plain can be seen. On the night of the 26th of Septem- ber, during the Saints Cosma and Damiano patrons celebration, it is possible to watch the “foconi” ceremony, big and spectacular fires of dry wood faggots set on the mountains all around.

The route goes along the provincial road to- wards the Turano dam where one finds the village of Stipes, retreated at an altitude of al- most 900 metres. From the windy fortress on the upper side, one enjoys a charming view on the Sabina territory and Rocca Sinibalda, on the terminal arm of the Turano lake and on the dam. At the beginning of October, during the Rosary Madonna celebration, the village becomes lively for the Feast of the “Jatte”, women still waiting for a husband.

With a bit more than two kilometres downhill one gets by the shores of the Turano lake near the damming that determined its formation. The Turano dam, made of reinforced-concrete, has a height of 80 metres and a length of 256. It was built in a place where the valley gets narrow and deep, giving the opportunity to catch a glimpse of the small village of Posticciola in the back- ground. When the dam was closed, in 1939, the water flooded over 500 hectares of fields, pastures and built-up areas, expropriated to the local population for very little mon- ey, that soon became waste paper due to galloping inflation and war.

After about four kilometres on the road that goes along the edge of the lake one gets by the peninsula on which rises the village of Colle di Tora. The settlement covers the top of a stretched hill today leaning forward into the wa- ter, but once dominating the broadest and most fertile part of the valley. The old town centre is placed at the end of the peninsula, with the square, the fountain and a church, but it’s just the surviving part of a vaster inhabited area whose lower quarters have been flooded by the artificial lake.

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Three kilometres beyond, just before crossing from shore to shore, the view opens out on the Castel di Tora hill, on the left, and the Antuni one on the right. The ancient village of Antuni stands on the top of a cone-shaped rocky peninsula that rises 120 metres above the lake waters. In far-off times this castled and secluded fortress strategically overlooked a wide stretch of valley. Populated by several families since the thirties of the past century, after decades of neglect the village is to- day involved in various refurbishments. It is possible to enter only by walk and the climb is abundantly recompensed by the incredible views on the lake and the surrounding mountains.

Like Collalto Sabino, Castel di Tora is also included in the list of the “most beauti- ful villages of Italy”. The settlement, dominated by a polygonal tower dating back to the XI century, has a mediaeval historical centre well-kept and preserved, ending into a small panoarmic square. On the first Sunday in Lent the Polentone’s Feast is celebrated, with polenta cooked outdoor on the fire in a big pot.

After about two kilometres it is possible to turn on the left going up to Ascrea, an authentic natural terrace with a view on the valley and the lake. The central square with its lookout is one of the best places to picture in one’s mind a reconstruction of the valley landscape before its flooding.

Along the shores of the Tu- rano Lake frequent varia- tions of the water level do not allow the presence of a riparian vegetation such as willows, poplars, cane thickets, etc. This prevents the refuge and the nest-building of several species of aquatic birds, typical of natural lakes, like for instance herons and many ducks. Nevertheless in the lake there are some characteristic diving birds, big fish eaters such as the great crested grebe and the cormorant.

Further on, one goes up along the Turano valley looking at the progressive narrow- ing of the lake that slowly becomes a river. About two kilometres and a half beyond the junction to Paganico, just below the road, there’s a rocky funerary monument of the Roman era with some inscriptions, locally known as the “Written Stone”.

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Da Vicovaro a Arsoli

Dall’uscita autostradale di Vicovaro, percorrendo la statale Tiburtina verso l’Abruzzo ci si trova a viaggiare sul fondo della valle dell’Aniene, parallelamente al fiume e alle condotte sot- terranee dell’Acqua Marcia che ricalcano l’antico percorso del- l’acquedotto romano e rappresentano una notevole risorsa per l’approvvigionamento idrico della capitale. Le curve del tracciato ed un paesaggio quieto in cui, data la grande abbondanza di acqua nel sottosuolo, il colore domi- nante in qualsiasi stagione è il verde, non consentono di ac- corgersi che, sparsa nel raggio di pochi chilometri, vi è una manciata di paesi ognuno con una sua originale opportunità di visita.

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Girando a destra dopo la stazione ferroviaria di Mandela, il primo che si può raggiungere è Saracinesco, un borgo con po- co più di 160 abitanti che van- ta il primato di essere fra i co- muni meno popolosi del Lazio, inerpicato su un cocuzzolo a 900 metri di altezza. Il nome deriva dalla fondazione ad opera di musulmani sarace- ni i quali, secondo la tradizione locale, nei decenni prima del- l’anno 1000 si adoperarono in violenti saccheggi ai danni di chiese e monasteri della valle. In realtà è assai probabile che questi “saraceni” fossero profughi dell’Anatolia migrati nel La- zio, predoni per necessità ma mai “infedeli” in conflitto reli- gioso col cristianesimo. In paese ciò sarebbe testimoniato dal profondo culto per S. Michele Arcangelo, da sempre difensore dei principi dell’ortodossia cristiana. In cima al ventoso e arroccato nucleo storico dai vicoli rivestiti di pietra calcarea vi sono i resti di una fortezza dell’XI secolo. Molti e affascinanti gli scorci panoramici, sulla valle dell’Anie- ne a nord ovest e sul crinale dei Monti Ruffi a sud est.

Prima di tornare sulla Tiburtina, una sosta nei pressi del pon- te sull’Aniene consente di avere un primo breve incontro con questa “via d’acqua”, così importante per l’influenza esercitata sul paesaggio ma anche sulla storia e sulla cul- tura dell’uomo; dai tempi degli Equi, attraverso i ro- mani, fino alle comunità contadine sopravvissute per quasi tutto il secolo scorso. Qui il fiume ha ancora un aspetto abbastanza naturale ed è protetto su entrambe le sponde da folte fasce di vegetazione ri- pariale. Vi sarà modo di avvicinarlo di nuovo più avanti, pro- cedendo verso Arsoli.

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Di nuovo sulla Tiburtina, dopo poche centinaia di metri un bivio sulla sinistra porta ad una strada in ripida salita verso l’a- bitato di Mandela. In realtà si tratta, e si è sempre trattato, di due abitati distinti: il borgo di Bardella, bagnato alle pendici dalle fredde acque del torrente Licenza, con un castello, una torre e una chiesa, e il villaggio fortificato di Cantalupo in cima al colle. Per secoli, fino al 1870 con il passaggio dallo Stato Pontificio al Regno d’Italia, il nome uffi- ciale di questo inse- diamento è stato il bi- nomio Cantalupo – Bardella. Salda, ordinata, Mande- la mi saluta con la sua al- ta torre pallida. (Rafael Alberti – Epistole ad Orazio)

La torre richiamata dal poeta è lo slanciato campanile della chiesa di S. Nicola, nella parte alta del paese. Il santo di Bari gode di una notevole venerazione nel territorio (nella diocesi di Tivoli ha ben sei parrocchiali intitolate), ma ciò non ha im- pedito che a Mandela gli venisse affiancata una viva devozione per S. Gregorio. S. Nicola si festeggia la prima domenica di dicembre insieme alla Festa dell’Olio e dell’Oli- vo (coltura cardine per l’eco- nomia del luogo) e alla Sagra della Polenta. I festeggiamenti in onore di S. Gregorio sono invece estivi e si concludono a sera con una “Panarda”, una cena collettiva a base di verdu- re e pesce di fiume cui antica- mente partecipava un membro per famiglia.

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Si prosegue sulla Tiburtina fin quasi al chilometro 56, dove si incontra un incrocio. La strada sulla sinistra sale con una se- rie di tornanti verso l’abitato di Roviano. Stretto su un colle calcareo fra l’autostrada e il fondovalle, il paese offre uno sguardo singo- lare sulla pianura fra Anticoli ed Arsoli e, grazie alla presenza di un curatissimo Museo della Civiltà Contadina ospitato nel Palazzo Baronale, rappresenta una sorta di archivio storico per tutto il territorio circostante. Nel Museo infatti, interpretabi- le come strumento didattico e culturale ma anche come cata- lizzatore della memoria locale, si può sperimentare un percor- so fra lavoro, consuetudini e folklore, nel mondo rurale di una volta e attraverso le progressive trasformazioni che hanno in- vestito le comunità della valle. Nelle varie sale si trovano diverse, efficaci, ricostruzioni di contesti e attività fra cui: pastorizia, lavoro della terra, religio- sità, artigianato, mondo domestico, giochi e scuo- la, canapa e tessuti, feste e festività.

Si torna nel fondovalle, si attraversa la Tiburtina e si prende la provinciale per Anticoli Corrado, che dopo duecento me- tri oltrepassa l’Aniene. La sosta vicino al ponte può rappresentare una seconda occa- sione per vedere da vicino le caratteristiche del fiume: le rive ombrose, l’acqua limpida e ricca di ossigeno, le foglie del se- dano d’acqua mosse dalla corrente. Se l’avvicinamento è sta- to poco rumoroso ci si può imbattere nel becco rosso della

60 Tratto VICOVARO - JENNE Vicovaro Arsoli gallinella d’acqua, frequentatrice del- le anse cespugliose dove il flusso è lento, o in qualche airone cenerino, im- mobile vicino alle sponde in attesa di un pesce da catturare. Sono difatti proprio i pesci i principali abitatori del corso d’acqua: la trota fario, predatore di cro- stacei, insetti e pesci più piccoli, il vairone, il ca- vedano, il barbo, aman- te degli anfratti più profondi dell’alveo.

Anticoli Corrado deve il nome a Corrado di Antiochia, nipote di Federico II di Svevia, che nel XIII secolo lo ereditò come feudo. Cuore del paese e punto di cerniera fra il nucleo storico e la zona di espansione moderna è la Piazza delle Ville, con al cen- tro la moderna fontana dell’Arca di Noè di Arturo Martini (1926). In un angolo la Chiesa di S. Pietro, iniziata nel secolo XI, con struttura romanica e cappelle laterali in stile gotico. Anticoli è situata sul versante settentrionale dei Monti Ruffi e, come la vicina Saracinesco da cui dista appena due chilometri in linea d’aria, era nota nel mondo degli artisti dell’800 e dei primi del ‘900 come “serbatoio” naturale di modelli, maschi e soprattutto femmine, le cui fisionomie hanno ispirato diverse opere (la leggenda vuole che ad Anticoli vi fossero le “donne più belle del mondo”). Non è dunque un caso che nel Palaz- zetto Brancaccio sia ospitato un Museo d’Arte Moderna e Contemporanea che raccoglie numerosi dipinti, sculture e di- segni di artisti che hanno soggiornato e lavorato in paese.

Si torna sulla Tiburtina e, dopo circa un chilometro e mezzo, si gira a destra verso Subiaco. Percorso poco più di un chilo- metro si trova sulla destra una piazzola in corrispondenza di

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un edificio dell’ACEA, al centro della piccola pianura formata dall’Aniene fra Anticoli ed Arsoli. Il luogo può apparentemente non dire molto al viaggiatore di- stratto, ma è necessario essere consapevoli che ci si trova in uno dei siti più ricchi d’acqua di tutto il Lazio, un autentico “giacimento” permeato da un genius loci fresco, trasparente e fluido. Lungo le pendici montuose alla sinistra della strada, infatti, sono allineate moltissime sorgenti attraverso cui scaturisce una parte delle acque della grande falda idrica di base dei Monti Simbruini, alimentata dal carsismo. Il resto della falda si infil- tra nei terreni della pianura alluvionale dell’Aniene, imbiben- doli come una spugna. La portata complessiva delle sorgenti supera gli 8000 litri al secondo. Una quantità enorme (capace ad esempio di riempire una piscina olimpionica in quattro minuti), ben conosciuta nei tempi antichi e che ancora oggi viene captata dall’acque- dotto dell’Acqua Marcia per rifornire la città di Roma. Il com- plesso sistema di raccolta e distribuzione è composto da opere di presa, vasche di decantazione, stazioni di pompaggio, con- dotte e serbatoi.

Si percorre la stessa strada per tornare sulla Tiburtina, dove si gira a destra. In corrispondenza del chilometro 58 si prende una stradina bianca che sale sulla sinistra e, tenendosi sempre a sinistra, dopo poco si arriva in vista di un antico ponte ro- mano. Si tratta del ponte Scotonico, molto ben conservato e recentemente por- tato alla luce per tutta la sua altezza. Rappresenta un tratto originale dell’antica Via Va- leria, importante arteria di collega-

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mento fra Roma e l’Adriati- co attraverso gli Appennini. La volta e i fianchi sono for- mati da grossi blocchi di travertino, mentre il fondo stradale è di basoli calcarei modellati dal passaggio delle ruote dei carri.

Di nuovo sulla Tiburtina si prosegue per due chilometri fino ad incontrare il paese di Arsoli. Più che di paese, si potrebbe forse parlare di cittadina, visti l’armonia del tessuto urbano e l’appellativo di “piccola Parigi” attribuito da Pirandello all’abitato, che era solito frequentare con piacere durante le estati. Il centro storico è dominato dalla mole del Castello, possedu- to da oltre quattro secoli dalla famiglia Massimo di Roma, la cui storia si è profondamente identificata con quella del luogo. Durante il ‘600 questi feudatari illuminati riuscirono a dotare Arsoli di molte importanti opere, tra cui un acquedotto, e a ri- lanciare la vita civile e sociale dopo una devastante epidemia di peste. Fu in quell’occasione che il paese adottò come stem- ma l’araba fenice, l’uccello che rinasce dalle proprie ceneri. Il cuore pulsante del borgo è la Piazza Valeria, dalla forma al- lungata, occupata ad un’estremità da una cinquecentesca fon- tana ottagonale e all’altra da una colonna miliare romana del- l’antica via Valeria, sormontata da una statua della fenice. A mezza costa fra il castello e la piazza vi è la chiesa rinasci- mentale di S. Salvatore, costruita nel 1580 su disegno di Gia-

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como Della Porta. Una lapide sul muro esterno ricorda gli ef- fetti del passaggio della peste nel 1656. Tra i prodotti tipici spicca la “fagiolina arsolana”, legume sec- co a pasta delicata che viene cucinato in zuppa o lesso e condi- to con abbondante olio di oliva locale, uno dei migliori del Lazio.

Per i dotati di curiosità e buo- ne gambe Arsoli offre anche la possibilità di una piacevole escursione lungo il sentiero attrezzato del Pozzo del Dia- volo, che dalle vicinanze del parco del Castello scende nel- la gola del Fosso Bagnatore per terminare sulla provinciale verso Cervara. La passeggiata è breve ma mediamente impegnativa per via di alcuni saliscendi. All’inizio del percorso si incontrano due affascinanti pilastri rocciosi, testimonianze di un’erosione selettiva su calcari mol- to fratturati che ha lasciato intatte alcune parti formate da roc- cia più resistente. Il sentiero prosegue all’ombra di una boscaglia di lecci, carpini ed aceri, fino ad attraversare l’alveo del fosso con diversi affac- ci su gorghi, cascatelle e piscine naturali. I pilastri della “femmena morta” Quando si dice “restare di sasso”! Narra la leggenda che un giorno di Pasqua di tanto tempo fa un pastore e una giovane mas- saia, in barba ai riti festivi e incuranti del rimprovero dei paesani, fossero diretti al fosso, lui col suo gregge, lei per sciacquare il bucato. Con un rombo di tuono la ven- detta divina per il precetto infranto li pie- trificò all’istante, trasformandoli in due bianchi pinnacoli. La giovane donna (fem- mena morta) sarebbe ancora riconoscibile per il cesto dei panni portato sulla testa.

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From Vicovaro to Arsoli

Just off the Vicovaro tollgate, going along the Tiburtina road toward the Abruzzo region, a quiet almost green coloured landscape does not allow to realize that, spread in a circle of few kilometres, a number of villages stand, each one with its own opportunity to be visited.

Turning on the right after Mandela’s station, the first to be reachable is Saraci- nesco, a little village with not more than 160 inhabitants perched on top of a hill at 900 metres altitude. The name takes origin from its foundation by the Saracens that, according to the lo- cal tradition, in the last decades of the X century wildly sacked churches and monas- teries of the Aniene valley. On top of the windy and castled historical core, nearby the ruins of a fortress of the XI century, charming panoramic views are enjoyable.

Back on the Tiburtina road, after a few hundred metres a junction on the left leads to an uphill road that climbs up to the village of Mandela. To say the truth these are two separated settlements: the village of Bardella, run at its slope by the cold waters of the Licenza river and the fortified one of Cantalupo on top of the hill. For centuries, until 1870, the official name of this settlement was made by the combination Cantalupo-Bardella. Mandela has two patron saints. S. Nicola, celebrated on the first Sunday of Decem- ber along with the Feast of the Oil and Olive Tree and the Fair of the “Polenta”. S. Gregorio instead is celebrated in summertime and, in the evening, celebrations end with a common supper based on vegetables and fresh-water fish.

Back again on the Tiburtina road for about eight kilometres till a junction with a road on the left that goes up to Roviano. In the Baronial Palazzo there’s a well-kept Museum of Material Culture representing a sort of historical archive of the whole surrounding territory. Right here in fact a tour into the rural world can be experienced, among work, habits and folk- lore, supported by effective reconstructions of several contexts and activities such as: sheep-breeding, land tilling, religiousness, handicraft, domestic life, toys and school, hemp and textiles, feasts and festivities.

Going back at the valley floor, one crosses the main road and takes the way to Anti- coli Corrado that after 200 metres passes over the Aniene river.

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Here the river still has a natural look and is protected on both sides by a thick strip of vegetation. Banks are shady, water is clear and rich in oxygen and the leaves of fool’s water cress are shaken by the current. If the approach is not much noisy it is possible to sight some grey herons, standing still on the banks waiting for fish to be captured.

Anticoli Corrado’s name is due to Corrado from Antiochia, nephew of Frederick II of Swabia, that in the XIII century inherited it as a feud. Heart of the village and hinge joint between the historical core and the new zone is the Piazza delle Ville, with the modern Noah’s Ark fountain (1926) in the mid- dle. On a corner S. Peter’s Church, with a Romanesque plant and side chapels in gothic style. Anticoli was known in the artists circle of the XIX and the early XX century as a natural “repository” of models, both male and above all female, whose features have inspired several works (the story goes that Anticoli had the “most beau- tiful women in the whole world”).

Coming back on the Tiburtina road, by the 58th kilometer, one takes a narrow dirt road that climbs up on the left reaching an ancient Roman bridge. This is the Scotonico bridge, very well preserved and recently brought to light for its entire highness. It represents an original stretch of the ancient Via Valeria, a very important connecting way between Rome and the Adriatic sea through the Apen- nines. The vault and sides are made of huge blocks of travertine, while the pave- ment is made of calcareous blocks shaped by the crossing of carts wheels.

After two kilometres more one reaches Arsoli. The old town center is dominated by the size of the Castle, owned for over 400 years by the Mas- simo’s family from Rome. The story of the family is deeply identified with the one of this place. During the XVII century these enlightened feudatories were able to provide Arsoli with many important works, such as an aqueduct, and to relaunch civil and social life after a dev- astating plague epidemic. The beating heart of the village is the Piazza Va- leria, with a lengthened shape, occupied at its edge by a sixteenth-century octagonal fountain. Among the typical products stands out the “fagi- olina arsolana”, a dry delicate paste legume that is prepared as a soup or stewed and seasoned with local olive oil, one of the best in Lazio.

In the surroundings of the castle park starts the equipped trail of the Devil Pit, short but quite difficult, that goes down into the ravine of the Bagnatore ditch end- ing on the road to Cervara. At the beginning of the route two charming rocky pin- nacles are met as evidence of a selective erosion on the well fractured limestone that has left intact some of the most resistant rocky parts.

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Da Arsoli a Jenne

La provinciale per Cervara scende da Arsoli fino ad attraver- sare il Fosso Bagnatore per poi salire dolcemente, fra boschi di carpini, aceri e querce, verso il territorio del Parco Regionale dei Monti Simbruini.

Il paese di Cervara di Roma appare come una visione dopo una stretta curva, a oltre 1000 metri di altezza, tutto arroccato sul fianco della montagna ai piedi di un alto spuntone roccio- so. “Una scultura nel cielo che al cielo volerebbe se l’aria la soste- nesse...”, come lo descrisse il poeta Raphael Alberti. Percorrendo i tornanti che vi salgono ci si accorge che il nu- cleo abitato è sviluppato per la maggior parte al di là del roc-

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cione, con una dispo- sizione ad anfiteatro plasmata sulle forme del versante e scandita da un susseguirsi di case appoggiate l’una all’altra, vicoli, gradi- nate e portici. Proprio per questa sua caratte- ristica è impossibile accedervi con le auto, che vanno lascia- te nei parcheggi ai piedi o nella parte alta del paese. Siamo di fronte, dunque, ad un luogo singolare, in cui l’aspra e generosa natura montana ha guidato nel tempo le opere del- l’uomo, che non può che affascinare chi passa da queste parti per la prima volta. E affascinati, da secoli, sono rimasti artisti e poeti di ogni provenienza: dall’americano Morse che vi giunse nell’800 in veste di pittore, e che successivamente inventò il telegrafo elettrico, all’artista austriaco Kokoschka che vi sog- giornò nel 1930. Oggi il borgo si presenta come un vasto “museo figurativo al- l’aperto” grazie ad una serie di sculture su roccia, ma anche poesie e murales ispirati al tema della pace, che ne arricchiscono i muri, gli antichi vicoli e le sca- le, donati a Cervara da un gran numero di artisti negli ultimi trent’anni.

Attraverso una lunga scalinata si può salire alla Rocca, in cima all’impervia rupe calcarea attorno a cui in epoche remote pa- scolavano i cervi (da cui il nome del paese), trasformata nel- l’anno 1000 in una delle prime strutture difensive del territo- rio sublacense. Nei giorni limpidi, dai quasi 1100 metri di altezza lo sguardo può abbracciare un ampio paesaggio che si apre verso occiden- te. Se lo potessimo paragonare ad una scenografia teatrale, le dorsali montuose lontane dei Prenestini, a sud ovest, e dei Lu-

68 Tratto VICOVARO - JENNE Arsoli Jenne cretili, a nord ovest, ne costituirebbero le quinte, il piccolo gruppo dei Monti Ruffi davanti a noi e la valle dell’Aniene, con il suo articolato sistema di insediamenti, il proscenio.

Da Cervara si scende di nuovo fino alla strada di mezza costa e si prosegue verso sud lambendo, dopo una galleria, il margine di una fitta ed estesa lecceta che ricopre tutto il ri- pido versante a monte. Si tratta di una delle formazioni fo- restali più interessanti del Parco, che si spinge fino ad oltre 1200 metri, una quota quasi proibitiva per alberi e arbusti di ambiente tipicamente “mediterraneo”, che però qui rie- scono evidentemente a trovare condizioni climatiche ideali. La direzione verso cui si procede è quella di Subiaco ma, giunti nelle sue vicinanze, non si deve scendere alla cittadi- na che sarà l’ultima meta del percorso, bensì girare a sinistra e salire lungo i ripidi tornanti fino al pianoro di Livata, a 1340 metri di altezza.

Livata è la classica “montagna dei romani”, punto d'arrivo di un turismo massiccio e concentrato nei giorni festivi o in altri brevi periodi dell’anno. Una tendenza che ha portato con sé, prima dell’istituzione dell’area protetta, la proliferazione di “residence” e seconde case là dove prima c’erano i prati di un’ampia conca carsica. È necessario però sapere che da qui si diramano sentieri e percorsi escursionistici verso alcuni dei luoghi più caratteristici del Parco, il quale è presente sul posto con un Centro Visite in cui si possono raccogliere informazio- ni e materiali.

Una possibile desti- nazione è, ad esem- pio, Camposecco, il più vasto pianoro car- sico del Parco, lungo oltre 4 chilometri e raggiungibile facil- mente a piedi in me- no di tre ore.

69 Il Parco Regionale dei Monti Simbruini

Un grande lembo di vero Appennino a un’ora da Roma. Monta- gne autentiche, calcaree, scolpite in superficie e cariate in profondità dal carsismo ma anticamente modellate anche dai ghiacciai durante i lunghi periodi freddi del Quater- nario. Attraversate da un si- stema tridimensionale di grandi e piccole vie d’acqua alimentate da robuste pre- cipitazioni (“Simbruini” deriva dal latino sub imbri- bus, sotto le piogge). Ri- sparmiate in parte dall’espansione turistica indiscriminata degli anni ’70 e, proprio per questo, tutelate dalla più grande area pro- tetta regionale (300 chilometri quadrati), una fra le prime ad es- sere istituite nel 1983. Due di esse (il Viglio, 2156 m, e il Coten- to, 2014 m) fanno parte delle 14 cime “over 2000” del Lazio. Il Parco custodisce una specifica identità naturalistica, culturale e paesaggistica: interminabili faggete, pianori carsici, valloni, sor- genti e fiumi, grotte, la presenza discreta di lupi, aquile e orsi, ma anche santuari, monasteri e radi insediamenti storici, tutti d’impianto medievale, rimasti a presidio di un territorio aspro e dolce allo stesso tempo. Moltissime e diversificate le proposte escursionistiche, realizzabili lungo una fitta rete di sentieri, molti dei quali attrezzati con ap- posita segnaletica, che attraversano tutti gli ambienti più impor- tanti dell’area protetta. Presso gli otto Centri Visita (dislocati in ciascuno dei sette comuni del Parco, oltre a quello di Monte Li- vata) sono disponibili una Carta Escursionistica tradotta anche in inglese e una Guida ai Sentieri. La sede del Parco è a Jenne, ma il centro più importante è Subia- co, piccola capitale dell’alta valle dell’Aniene. Il suo territorio era frequentato dai tempi dei romani per la costruzione degli acque- dotti e lo svago (come attestano i resti della maestosa villa di Ne- rone) ed oggi è un’importantissima meta di pellegrinaggio, per- meata di testimonianze e suggestioni benedettine. Le attività agro-pastorali sono ancora abbastanza diffuse e inte- ressano quasi un terzo della superficie del parco. Le più impor- tanti sono l’allevamento (bovino, ovino ed equino), la produzio- ne casearia e la coltivazione di ortaggi, tra cui alcuni legumi stret- tamente locali come il fagiolo di Vallepietra, detto anche “ciavat- tone” per le sue grandi dimensioni. Fra i prodotti tradizionali sono da segnalare gli ‘ndremmappi di Jenne, una pasta fresca fatta con acqua e farina di grano mista a crusca, che viene ritagliata in striscioline cortissime e condita con sugo di pomodoro e alici. The Regional Park of the Simbruini Mountains Real mountains one hour far from Rome. Sculpted on the surface and deeply dug by karst phenomena. Run across by a tridimensional system of both major and minor water courses supplied by abundant rains (“Simbruini” originates from the Latin words sub imbribus standing for under the rains). Preserved by the vastest Region- al Protected Area (300 square Km), one of the first ones to be established in the year 1983. The Park is characterized by a peculiar naturalistic, cultural and landscape identity: endless beech woods, karst plateaus, gorges, springs and rivers, caves, the quiet presence of wolves, eagles and bears, as well as sanctuaries, monasteries and scattered historical settlements, all with a mediaeval plant. Many and diversified are the excursion offers, practicable along a close net of trails, mostly supplied with proper signs, that run through the most relevant environments. The main town is Subiaco, populated since the Roman era (as witnessed by the ru- ins of the majestic emperor Nero’s Villa) and important pilgrimage destination full of Benedictine appeal. Among the traditional products the “ndremmappi” of Jenne need to be mentioned, fresh pasta made of water and wheat flour mixed to bran, that is cut in very short strips and served with tomato sauce and anchovies. Tratto VICOVARO - JENNE Arsoli Jenne

Si tratta di un ambiente unico dove il senso dello spa- zio aperto si respira nell’aria, accompagnato discreta- mente dalla presenza di sporadici faggi secolari, doli- ne, inghiottitoi e bestiame brado al pascolo. Nei cieli volteggiano alcuni rapaci tra cui il grifone, un raro avvoltoio reintrodotto di recente in Abruzzo, che si ciba esclusivamente di resti di animali morti.

Un “ciak” fra le doline Negli anni ’60 e ’70 il singolare paesaggio di Camposecco ha colpito la fantasia di registi e sceneggiatori dei cosiddetti “western all’italiana”, che lo hanno scelto per girarvi diversi film tra cui la famosa saga di “Trinità”. Alcuni pastori di Camerata Nuova, il paese più vicino da cui si sale al pianoro, ricordano ancora con divertimento il set di “Lo chiamavano Trinità”, con la ricostruzione di un villaggio di Mormoni, la movimen- tata scena di un assalto alla diligenza e la storica frase di Bud Spencer a Terence Hill: “Io vado a ovest... in California. Questo vuol dire che tu vai a est!”.

Impagabile per nitidezza e circolarità delle vedute è la vetta del Monte Autore (1855 m), la cima più alta della provincia di Roma, accessibile a piedi dal vicino Campo dell’Osso. A parte la possibilità di abbracciare con un solo colpo d’occhio quasi un intero bacino idrografico (quello del Torrente Simbrivio, affluente dell’Aniene, che scorre 1000 metri più in basso), da qui nei giorni di chiaro lo sguardo arriva a spaziare pratica- mente su mezza Italia centrale, dal Gran Sasso al Tirreno.

Da Livata si prosegue verso Jenne fino ad incontrare un’altra area di grandi manifestazioni carsiche: la Piana di Fondi, circon- data da faggi e spesso pascolata da mandrie di mucche e cavalli bradi che mangiano le fronde più basse delle piante “potandole” fin dove riescono ad arrivare. Nei pressi di un antico rifugio fore- stale ci si può riposare sui tavoli di un’area picnic. Osservando l’ambiente con occhi curiosi si riescono a cogliere i molti segni del carsismo, ossia della lenta capacità dell’acqua

72 Tratto VICOVARO - JENNE Arsoli Jenne piovana, leggermente acidula, di penetrare nelle fratture del calcare e di scioglierne i legami fra le particelle portandole via con sé. Le doline, depressioni del terreno di varia grandezza e profon- dità, si formano per lo scorrimento concentrato dell’acqua verso un unico punto di assorbimento (inghiottitoio). I piani carsici, grandi conche circondate dai rilievi, si creano nel corso del tempo quando più doline si uniscono insieme. La loro caratteristica principale è l’assenza di qualsiasi traccia di corso d’acqua perché tutta la pioggia che vi cade trova rapi- damente il modo di penetrare in profondità. Scendendo più nel dettaglio gli effetti della corrosione sono visibili anche sui massi isolati e sulle creste rocciose che spun- tano dal terreno, sotto forma di solchi, scanalature e fori. Le acque stagnanti, i muschi, i licheni e le erbe che occupano rapidamente queste piccole cavità costi- tuiscono degli ecosi- stemi in miniatura. Talvolta le “tasche” di suolo che vi si vengono a formare possono ospitare il seme di qualche arbusto o fioriture prima- verili anche di diverse specie di orchidee selvatiche.

A circa un chilometro dalla Piana di Fondi una breve stradina sulla destra porta all’imbocco del Pozzo della Creta Rossa, tutto recintato per motivi di sicurezza. Si tratta di una cavità carsica verti- cale, accessibile solo a speleologi esperti, che si sviluppa in più tratti fino alla profondità complessiva di 117 me- tri dall’apertura.

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La sua presenza, così come quella di molte altre grotte, deriva dal fatto che il processo carsico non si esaurisce in superficie ma prosegue in profondità, nel cuore dei rilievi, dove l’acqua che si infiltra nelle fessure continua a sciogliere e a corrodere le rocce calcaree. Si formano così estesi sistemi di vani sotterranei (pozzi, gallerie, sale, cunicoli), spesso in comunicazione fra loro.

Nel “ventre” del Parco

Agevolato da una piovosità assai superiore alla media e dalla presenza di strati sovrapposti di calcari dallo spessore di oltre 3000 metri, il carsismo profondo è molto sviluppato sui Monti Simbruini. Tra le oltre 100 cavità esplorate dalla paziente e appassionata attività dei gruppi speleologici locali e regionali, le più significative sono la Grotta dell’Inferniglio vicino Jenne, che si sviluppa quasi in piano per circa 1,4 chilometri, e l’Inghiottitoio di Camposecco sopra Camerata Nuova, che fra pozzi e tratti in forte pendenza scende complessivamen- te fino a 415 metri di profondità.

I sistemi carsici sotterranei sono il regno dell’acqua profonda. Possono ospitare autentici fiumi, condotte, laghi e, nelle parti più basse, sono inondati in permanenza dalle falde. Le grotte sono anche dei fragilissimi ecosistemi, abitati da un silenzioso “popolo degli abissi”, eterogeneo e delicato gruppo di animali (pi- pistrelli, crostacei, cavallette), spesso rarissimi e quasi tutti ciechi per- ché adattati alle vita nel- le tenebre.

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From Arsoli to Jenne

From Arsoli one takes the way to Cervara that gently goes up, among hornbeams, maples and oak woods, to the area of the Simbruini Mountains Regional Park.

The village of Cervara di Roma, over 1000 metres above sea level, appears right after a sharp bend, entirely castled on the mountain side at the base of a high rocky cliff. The inhabited core has an amphitheatre disposition shaped by the slope and char- acterized by a succession of houses leaning one over the other, alleys, steps and arcades. Cars are not allowed inside and must be parked either at the feet of the centre or on the upper side. For the last centuries this so particular village has been charming artists and poets from all over. Today it looks like a vast “open-air figurative museum” due to a col- lection of art works (sculptures, frescoes) enriching its walls, antique alleys and stairs, given to Cervara as a gift by a great number of artists in the last thirty years. When days are clear, from the fortress altitude of almost 1100 metres, an overall view takes in a wide panorama at a glance, that opens towards the west.

From Cervara going down again on the road that runs on the hillside, one goes south in the direction of Subiaco. Once reached its surroundings, the town is not to be visited as it will be the last destination of the tour, but rather a turn on the left must be taken climbing along steep hairpin bends towards the plateau of Livata, at 1340 metres altitude.

Livata is the classical “roman people mountain”, arrival point of a mass tourism particularly intense during week ends and other short periods of the year. This is a trend that has generated, before the institution of the Park, the proliferation of lots of buildings where the grassland of a wide karst basin used to stand. From here, nevertheless, getting information at the local Visi- tors Centre, it is possible to reach by walk some of the most characteristic places of the Park.

Camposecco for example, one of these, is easily reachable in less than three hours. It is the vastest karst plateau of the Park, with a length of over 4 kilometres and characterized by the presence of secular beech trees, dolines, swallow-holes and wild cattle grazing around. Back in the seventies this unique location hit the fantasy of movie directors and screenwriters that chose it to shoot several “Italian westerns”.

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Another destination is the top of the Autore Mountain (1855 metres), the high- est peak of the province of Rome, from which it is possible to take in at a glance almost an entire drainage basin (the one of the Simbrivio river) and where in clear days the view sweeps over half Central Italy, from the Gran Sasso peak to the Tyhrrenian sea.

From Livata one carries on toward the village of Jenne till he reaches another area shaped by the karst process and surrounded by beech trees. It is the Fondi Plain where, close to an ancient forest refuge, it’s possible to take a rest sitting at the tables of a pic-nic area. All around there are lots of signs of karst phenomena, caused by the slow rain- water capacity to melt calcareous rocks in order to seep through them. Dolines, ground depressions of variable size and depth, form because of the intense flow- ing of water to one absorption point (swallow-hole). Karst plateaus, big basins surrounded by high grounds and devoid of any water course trace, are generated, as time goes by, when different dolines join up.

About a kilometre after the Fondi Plain a path on the right leads to the entrance of the so called Red Clay Pit, completely fenced for security reasons. It’s a vertical karst well, accessible only by experienced speleologists, that goes down in different parts for a total depth of 117 metres. Its presence, as well as the one of many other caves, is the result of the fact that karst phenomena seep through and go down to depth, in the heart of mountain ranges, where the water, filtering into the cracks, keeps on corroding the limestones. In this way, extended systems of underground spaces form (pits, galleries, rooms, pas- sages), often communicating. Deep karst phenomena are fully developed in the Simbruini area. Among more than a hundred explored cavities the most important are the Inferniglio Cave nearby Jenne, expanding almost at the same level for about 1,4 km, and the Cam- posecco Swallow-hole that goes down to a depth of 415 metres.

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Da Jenne a Subiaco

Si arriva a Jenne dall’alto, entrando nella parte nuova del pae- se dove ci sono anche la sede del Parco e, più in basso, il Cen- tro Visite. Il nucleo storico si trova oltre la piazza, formato da stretti vico- li e case coi portali in pietra, adagiato su un ripiano che culmi- na nella Rocca, a strapiombo sulla valle dell’Aniene. Attraver- sandolo si percepiscono ancora gli echi delle descrizioni di An- tonio Fogazzaro quando vi soggiornò ai primi del ‘900 per ambientarvi un importante episodio del suo romanzo “Il San- to”: ... povero gregge di casupole che il campanile governa. Oggi Jenne, come diversi altri borghi montani dell’area, soffre di un progressivo spopolamento che negli ultimi 40 anni ha

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fatto partire più del 30% degli abitanti. La tendenza è ancora in atto, nonostante le opportu- nità offerte dal Parco, alimenta- ta tra l’altro da esigenze di razio- nalizzazione e accorpamento di alcuni servizi essenziali (la scuo- la ad esempio) che però rischiano di compromettere la vita so- ciale e collettiva. Da non perdere, nei ristoranti locali, una pasta fatta in casa e chiamata ‘ndremmappi che viene anche celebrata con una sa- gra ogni secondo sabato di settembre.

Gli ‘ndremmappi... la pasta della pazienza Farina di grano mista a crusca e acqua tiepida. Sono questi gli ingre- dienti primari di un impasto che viene steso e tagliato a fettucce piutto- sto larghe, le quali vengono poi sovrapposte e ritagliate fino a ottenere striscioline di circa 5 centimetri di lunghezza. Le donne anziane di Jenne, mentre le affettano, canticchiano una fila- strocca che le aiuta a tenere il conto del lavoro fatto: “quindici più quin- dici; la metà di quindici; se non fanno quindici, venili a contà”. Gli ‘ndremmappi si condiscono con un sugo di pomodoro, aglio, olio, prezzemolo, peperoncino e alici, cosparso di abbondante pecorino.

La strada verso Subiaco è stretta e panoramicissima, tutta sca- vata nella roccia alla fine dell’800 a seguire le ripide e movimen- tate forme del versante. Dall’altra parte della valle vi è il piccolo gruppo dei Monti Affilani che costituisce una sorta di “gemello”, satellite in miniatura dell’impo- nente catena Sim- bruina: rocce simili e boschi dello stes- so tipo a ricoprirne i pendii.

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Dopo circa otto chilometri di tornanti, gallerie e scorci di paesaggio, una strada asfaltata sulla destra sale rapidamente verso il Monastero di S. Benedetto, o Sacro Speco. Superato il parcheggio del piazzale, vi si accede a piedi lungo un viottolo che attraversa un piccolo bosco di lecci secolari. L’edificio appare all’improvviso, addossato ad una parete roc- ciosa a strapiombo quasi a sfidare la forza di gravità, tutto co- struito attorno alla grotta (o “speco”) in cui, intorno al 500 d. C., il giovane Benedetto da Norcia si ritirò per tre anni in soli- tudine e meditazione assoluta. Il complesso si compone di due chiese sovrapposte, interamente affrescate dalle più importanti scuole pittoriche italiane del pe- riodo fra il ‘200 e il ‘500, cui sono colle- gate diverse cappelle, un insieme irregolare di passaggi, volte, scale e lembi di nuda roccia affiorante. Pio II lo definì “nido di rondine”, Petrarca “soglia del paradiso”, a testimonianza di come, da secoli, questo intenso e silenzioso luogo dello spirito abbia meravigliato papi, artisti, letterati e milioni di pellegrini.

S.Benedetto, da Subiaco all’Europa Dopo i tre anni di eremitaggio nella grotta, Benedetto si dedicò alla pre- dicazione tra le popolazioni di pastori della valle dell’Aniene e vi fondò 13 monasteri. Nel 529 partì alla volta di Cassino, dove nel 540 scrisse la famosissima “Regola Monasteriorum” improntata alla preghiera, al lavoro e allo spirito pratico (“ora et labora”). Secondo lo storico tedesco Gregorovius fu però proprio nello speco, in questa “selvaggia solitudine fra i monti”, che germogliarono i primi semi spirituali da cui poi si sarebbe diffusa la grande pianta del monachesimo europeo. Scrive poi Gregorovius: “In mezzo alla barbarie di secoli oscuri, i monaci mantennero stretti i rapporti con Roma, posero i germi della civiltà (...) e tennero viva la cultura classica copiando, scrivendo e studiando i codici, alla fioca luce della lampada, nelle loro buie celle”.

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Di nuovo sulla strada per Subiaco, dopo qualche centinaio di metri si arriva al Monastero di S. Scolastica, autentica citta- della benedettina. Inizialmente dedicato a S. Silvestro, il monastero si affermò pre- sto come il più importante fra i tredici fondati da S. Benedetto nella valle, l’unico sopravvissuto fino ai giorni nostri. Nel IX se- colo si salvò da ripetute scorrerie dei Saraceni per diventare, a partire dall’anno 1000, un polo di riferimento spirituale e politi- co per tutto il territorio. Acquisì il nome attuale solo nel XV secolo in onore di Scolastica, sorella gemella del santo eremita. Il complesso monastico è forma- to dall’accostamento di vari edi- fici eterogenei, costruiti o rico- struiti in secoli diversi sempre utilizzando blocchi o conci di “cardellino”, un travertino cava- to localmente. I suoi elementi principali sono il campanile ro- manico dell’XI secolo, uno dei più antichi dell’Italia centrale, e tre chiostri dei quali quello gotico (del ‘300) e quello cosmatesco (del ‘200, tutto in mar- mo di Carrara) sono dei veri gioielli architettonici. La facciata originaria e parte di un chiostro rinascimentale sono invece stati distrutti da un bombardamento durante la seconda guer- ra mondiale. Molti ambienti sono oc- cupati da una ricchissi- ma biblioteca con più di 100.000 volumi oltre a centinaia fra pergamene, manoscritti e rari libri antichissimi. Ed è proprio in virtù della grande attenzione benedettina per lo sviluppo della cultura che nel XV secolo giunsero a S. Sco- lastica due allievi di Gutenberg, maestri nella nuova “arte” del-

80 Tratto VICOVARO - JENNE Jenne Subiaco la stampa. Grazie alla loro opera il monastero fu il luogo in cui, nel 1465, videro la luce i primi libri stampati in Italia.

Si prosegue verso Subiaco e, dopo due tornanti, si gira ad an- golo acuto a sinistra su una stradina asfaltata di fondovalle. Andando avanti per circa mezzo chilometro si giunge ad uno slargo delimitato a sinistra da un’ampia parete calcarea. Da qui si scende a destra lungo un sentiero pedonale fino al fiume, si passa su un ponte di legno e, una volta sull’altra sponda, si piega a sinistra per circa 200 metri. Il percorso potrebbe essere di- sagevole o sconnesso per via di piccoli smottamenti causati dalle piene, ma il Laghetto di S. Benedetto, meta della breve deviazione, ripaga abbondante- mente di ogni eventuale fatica. Si tratta di uno specchio tur- chese, limpido e fresco, alimen- tato da una cascatella fra le roc- ce e circondato da una fitta vegetazione, che interrompe il tu- multuoso corso dell’Aniene creando un ambiente suggestivo dove l’acqua è protagonista. Nei pressi delle sponde fluviali, fra salici, pioppi, noccioli e carpini bianchi, con le orecchie piene del fragore dell’acqua tra i massi, può capitare di assistere alle evoluzioni aeree di qualche coloratissimo martin pescatore.

Tornati allo slargo è possibile pro- seguire per altri 500 metri lungo la strada di fondovalle fino ad incon- trare il primo tratto del Sentiero Coleman, un percorso escursionistico attrezzato che ripercorre

81 Tratto VICOVARO - JENNE Jenne Subiaco il cammino di Enrico Coleman, pittore italo inglese di fine ‘800, da Subiaco a Tivoli attraverso un lungo e avventuroso itinerario montano. Il sentiero, che collega il Parco dei Monti Simbruini con quel- lo dei Monti Lucretili, è tutto segnalato, diviso in 48 tappe, sviluppa più di 100 chilometri e richiede un tempo medio di percorrenza di circa 35 ore. Ulteriori notizie o materiali infor- mativi possono essere richiesti ai Centri Visita del Parco dei Monti Simbruini.

Si torna indietro fino alla provinciale per Su- biaco dove, fatti pochi metri, si arriva in vista dei ruderi della Villa di Nerone, tutti recintati, che rappresentano solo un piccolo frammento di quello che un tempo era un grande complesso di edifici dedicati allo svago e all’ozio del contraddittorio imperatore romano. Tratto VICOVARO - JENNE Jenne Subiaco

Nel 54 d. C., per realizzarlo furono sbancati costoni rocciosi e il corso dell’Aniene venne sbarrato in tre punti, creando altret- tanti laghi sulle cui rive si specchiavano le varie costruzioni.

Gli architetti di Nerone e l’arte dell’impossibile

“Ciò che la natura impedisce si può realizzare con l’artificio”. Questa frase di Tacito riassume bene lo spirito con cui i romani e i loro imperatori intendevano il rapporto con gli ambienti naturali. La villa ne rappre- senta un esempio eccellente. Occupava una vasta area fra l’attuale Monastero di S. Scolastica e la Cartiera di Subiaco. In risposta alla passione di Nerone per il dominio sulla natura e le imprese ardite, i vari padiglioni e le terme annesse erano stati progettati come delle “quinte” alte e sinuose capaci di compene- trarsi con le ripide forme della valle. E’ probabile che sia stato proprio questo schema architettonico ad aver ispirato la realizzazione della Domus Aurea, a Roma, qualche anno dopo.

Nerone non ebbe molto tempo per godersi le estati nella villa. Nel 60, un fulmine caduto su un banchetto all’aperto durante un temporale estivo, interpretato come presagio funesto, lo in- dusse ad abbandonarla e a non farvi più ritorno. Il complesso fu restaurato e nuovamente utilizzato da Traiano (98 – 117 d.C.). Andò poi soggetto a progressiva decadenza ed abbandono fino a quando, agli inizi del VI secolo, un suo edificio fu rioccupato da S. Benedetto per fondarvi il primo dei suoi monasteri.

Subiaco è l’ultima tappa dell’itinerario e ne rappresenta anche il centro più grande ed importante, una sorta di “capitale” del- l’alta valle dell’Aniene. Il nome le deriva dal latino “sub la- cum” per il fatto di essere sorta appena a valle dei laghi realiz- zati da Nerone per la sua villa, oggi del tutto scomparsi. Si accede in città da est, attraverso il rettilineo di Via Papa Braschi, vedendo sullo sfondo la sagoma del centro storico inerpicato su un colle e dominato dalla Rocca Abbaziale.

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Costruita nel 1073 dai monaci benedettini per sancire il loro dominio sul territorio questa fortezza fu per diversi secoli l’emblema di un pote- re feudale, detenuto inizialmente dagli aba- ti di S. Scolastica, in cui si concentravano non solo aspetti spiri- tuali, ma anche politi- ci e civili. Successiva- mente il governo fu affidato a reggenti no- minati dal Papa. Fra questi, alla fine del ‘400, il cardinale Ro- drigo Borgia, futuro Papa Alessandro VI, fece ulteriormente fortificare la Rocca e vi ospitò per diversi anni la sua amante che qui partorì i famosi rampolli Cesare e Lucrezia, destinati a diventare tra le figure storiche più discusse del ‘500 italiano. La città è delimitata verso sud dal corso sinuoso dell’Aniene le cui acque limpide e veloci alimentano delle piccole centrali idroelettriche. Fino a pochi anni fa la loro corrente veniva uti- lizzata per la locale cartiera, una delle più antiche d’Europa (fu impiantata nel ‘600) ed oggi definitivamente chiusa.

L’altro importante ingresso cittadino, quello da ovest, percorso da chi vie- ne dalla Tiburtina e da Roma, è abbelli- to dalla presenza del ponte medievale di S. Francesco, del ‘300, e da un Arco Trionfale eretto dalla popolazione nel 1787 in onore di Papa Pio VI come rin- graziamento per le grandi opere da lui promosse in città quan- do, come cardinale Giovannangelo Braschi, pochi anni prima ne aveva retto le sorti.

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From Jenne to Subiaco

One gets to Jenne from the upper side, entering the most modern area of the village where also the Park offices and, further down, the Visitors Centre are. The old town centre is beyond the square, made of narrow alleys and stone por- tal houses, placed on a rocky terrace above the Aniene valley, with the fortress at its edge. Not to be missed, in local restaurants, a home made pasta of wheat flour mixed to bran known as “ndremmappi”.

The road to Subiaco is narrow and very panoramic, completely dug into the rock at the end of the XIX century. On the other side of the valley there’s the small chain of the Affilani Mountains that is a sort of miniature “twin” of the imposing one of the Simbruini Mountains: similar rocks and same kind of woods covering its slopes.

After about eight kilometres of hairpin bends, tunnels and landscape views, a road on the right goes up to the Monastery of S. Benedict. The building is set against a rocky wall falling sheer, almost challeng- ing gravity force, built around the cave in which, in the 500 a.C., the young Bene- dict from Norcia retired for three years in loneliness and total meditation. The complex is made of two overlapping churches, frescoed by the most important Italian pictorial schools of the period be- tween the XIII and XVI century, with several chapels connected, corridors, vaults, stairs and strips of outcropping bare rock. For centuries this silent spiritual place has been visited by popes, artists, men of letters and millions of pilgrims.

Back again on the road towards Subiaco, after a few hundred metres one gets to the Monastery of S. Scolastica, an authentic Benedictine citadel. Originally born as the most important among thirteen monasteries founded by S. Benedict in the Aniene valley, the only one survived until nowadays, the monastic complex is formed by the joining of various heterogeneous units. Its main elements are the Romanesque bell tower of the XI century, one of the most ancient in Cen- tral Italy, and three cloisters: the goth- ic (XIV century) and the “cos- matesco” (XIII century) ones represent real architectural gems. It’s here that in 1465 the first books printed in Italy saw the light. Many rooms are filled with a valuable li- brary of more than 100.000 volumes and hundreds of parchments, manu- scripts, and very antique rare books.

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Following the route towards Subiaco, after a couple of hairpin bends there’s a sharp bend on the left where a valley floor asphalt road must be taken. After 500 metres the road widens and it is possible to go down, on the right, along a pedestrian trail that leads to the Aniene river, crosses a wooden bridge and, once on the other side, turns on the left for about 200 meters.

Here we come to the small Lake of S. Benedict that interrupts the course of the riv- er as a turquoise sheet of water, clear and fresh, supplied by a little waterfall among the rocks and surrounded by a thick vegetation.

Going back to the widening it is possible to carry on along the road for 500 metres in order to reach the Coleman Trail, an excursion equipped route with a length of over 100 kilometres, divided in 48 stages, that runs along the same way that Enrico Coleman, Italian English painter of the late XIX century, used to walk through the mountains from Subiaco to Tivoli.

Back again on the road to Subiaco where, in a few metres, one gets by the ruins of Nero’s Villa, completely fenced, that represent a small fragment of what once used to be a great buildings complex dedicat- ed to recreation and idleness of this contradictory Roman Emperor. In 54 a.C., in order to realize this great work, some rocky slopes were ex- cavated and the Aniene course was dammed in three different points, creating the same number of lakes whose shores could reflect the various constructions.

Subiaco is the final destination of the route and also the main town to be met, a sort of “capital” of the high valley of the Aniene river. The name derives from the Latin words sub lacum since it rose just below the lakes realized by Nero for his Vil- la, nowadays completely vanished. One enters the town from the eastern side, looking at the shape of the old town cen- tre perched on a hill and dominated by the Abbey Fortress. Built in 1073 by the Benedictine monks, this fortress was for centuries the symbol of a feudal authority that concentrated not only spiritual but also political and civil aspects. Among the several deputies that ruled the place was, at the end of the XV century, Cardinal Rodrigo Borgia, the future Pope Alexander VI. He hosted in the fortress for several years his mistress that here gave birth to the famous offsprings Cesare and Lucrezia, destined to be among the most controversial historical figures of the “Ital- ian Cinquecento”. The other important access to the town, on the western side, is adorned by the pres- ence of the mediaeval bridge of S. Francis, of the XIV century, and of a Tri- umphal Arch erected by the population in 1787 in honour of Pope Pio VI.

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