Studi pesaresi

Rivista della Società pesarese di studi storici

3 2015

il lavoro editoriale © Copyright 2015 by Società pesarese di studi storici

il lavoro editoriale (Progetti Editoriali srl) casella postale 297 - Ancona www.illavoroeditoriale.com

ISBN 9788876637711 ISSN 2280-4293 Indice del volume

Saggi

Chiara Pallucchini L’Ordine domenicano a . Modalità del suo insediamento e un’ipotesi ricostruttiva della perduta architettura medievale della chiesa 7

Studi

Antonio Conti La prima evoluzione dell’arma dei Della Rovere: la generazione di Giovanni signore di Senigallia 51

Mirko Traversari Santa Sofia dentro le mura di Gradara. Analisi delle strutture murarie 70

Francesco V. Lombardi Un fallito parco di caccia di Costanzo Sforza fra la rocca di Pesaro, il monte e il mare 77

Francesco Ambrogiani Le difese del porto di Pesaro dalla fine della signoria malatestiana agli inizi del ducato roveresco 93

Marco Delbianco I mulini di Novilara 115

Marilena Luzietti Inventio crucis: una miniatura alla corte di Francesco Maria II della Rovere 140

Margherita Guerra Cinque storie bibliche femminili in un affresco di Giannadrea Lazzarini in palazzo Mazzolari a Pesaro 149

Federica Maitilasso Tavolette dipinte per la devozione privata in area adriatica 173

Marco Rocchi Francesco Maria Santinelli alchimista e rosacroce 180

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Roberto Domenichini Intorno al soggiorno pesarese del pittore Domenico Peruzzini 190

Stefano Lancioni La contea di Colle degli Stregoni 202

Marta Mancini Pietro Mascagni e il liceo musicale “G. Rossini”. L’avvio dell’attività artistica e didattica (1895-1896) 215

Roberta Martufi I leoni alati di piazzale della Libertà. Dal monumento ai Caduti di Monteciccardo allo Stabilimento balneare di Pesaro 232

Notizie dal territorio

Gianni Volpe I cinquant’anni del Monumento-giardino di Pesaro dedicato alla Resistenza 245

Marco De Santi Vicende storiche dell’organo Callido di Barchi 257

Grazia Calegari Due opere recuperate nella chiesa di San Giovanni in Pesaro 265

Summaries 271 Gli autori 280 Norme redazionali 283

4 Saggi

L’Ordine domenicano a Pesaro Modalità del suo insediamento e un’ipotesi ricostruttiva della perduta architettura medievale della chiesa di Chiara Pallucchini

Se gli Ordini mendicanti, le modalità e i momento che avrebbero prediletto i centri tempi del loro insediamento nelle città sono medio-grandi in grado di offrire maggiori stati temi ampiamente indagati e dibattuti opportunità economiche, politiche e cultu- su un piano generale dalla storiografia ita- rali (in tutte le sono solo diciotto i liana e internazionale 1, non altrettanto può conventi domenicani, dei quali solo dodici dirsi per singole realtà locali, come quella di fondazione medievale); mentre più vi- pesarese, che sono state quasi totalmente cina alla strategia dei Francescani sarebbe “trascurate” dagli studi 2. Non si dispone in- stata quella seguita dagli Agostiniani che, fatti per Pesaro di un’approfondita indagi- mirando a contrastare l’egemonia dei Fran- ne volta alla ricostruzione delle dinamiche cescani, si sarebbero insediati in tutte le insediative degli Ordini mendicanti (Fran- «terre maiores», «magne», in quasi tutte le cescani, Domenicani ed Eremiti di Sant’A- «mediocres» e in parte anche nelle «parve» gostino) in questo contesto urbano, classifi- ma non nelle «minores» (con le uniche ec- cato dal cardinale Egidio di Albornoz nella cezioni di Filottrano e Mondolfo) 4. Descriptio Marchiae Anconitanae, redatta Luigi Pellegrini ha rilevato l’esistenza tra il 1362 e il 1367, tra le «terre magne», le di un contrasto piuttosto stridente tra la di- quali vedono la presenza di tutti e tre gli Or- stribuzione degli insediamenti francescani e dini mendicanti 3. Per quanto concerne l’at- quella dei conventi domenicani nella peni- tuale regione Marche, la storiografia ha ben sola, indicando un rapporto tra Predicatori e sottolineato le differenti “strategie” seguite Minori di quasi uno a cinque 5. Prendendo dai tre Ordini nella loro distribuzione sul le mosse dallo studio di Luigi Pellegrini, territorio: i Francescani si sarebbero stabiliti Letizia Pellegrini spiega perché gli inse- e avrebbero fondato conventi non solo negli diamenti minoritici siano di gran lunga più agglomerati più importanti ma anche in pic- numerosi di quelli domenicani non solo con coli e piccolissimi centri, ovvero, per usare i la capillare presenza e la maggiore consi- termini di Egidio di Albornoz, non solo nel- stenza numerica dell’Ordine francescano le «terre maiores», «magne» e «mediocres» ma anche con le strategie insediative diver- ma anche in quelle «parve» e «minores», se perseguite dai due Ordini e in particola- secondo il principio di una diffusione capil- re con la differente concezione «dell’entità lare sul territorio; differente, quasi opposta, “convento” (e quindi dell’atto di stabilire sarebbe stata la strategia seguita dai Dome- un convento)» 6. Infatti, scrive la studio- nicani, che si potrebbe definire selettiva, dal sa, «nel caso dei Francescani, il convento

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è una trasformazione di un preesistente in- tà d’insediamento; scrive infatti che «nelle sediamento generato occasionalmente dalla Marche il rapporto tra densità di presenza permanenza dei frati per motivi pastorali o agostiniana e francescana, pur restando net- di transito», e dunque quando si giunge a ta la preminenza minoritica, è meno sfavo- costruire un convento entro le mura o nel- revole agli Eremitani che nella media ita- le sue immediate vicinanze i frati appaiono liana; se, nel complesso della penisola, […] già ben inseriti nel contesto urbano 7; nel si sfiora il rapporto 1:3, qui nelle Marche si caso dei Domenicani invece sono i vertici supera l’1:2» 11. dell’Ordine a stabilire ufficialmente il luogo A Pesaro l’insediamento degli Ordini dove fondare un convento, la cui apertura mendicanti risulta essere avvenuto secondo si configura quindi come un atto «più cen- dinamiche analoghe a quelle riscontrabili in tralizzato e strategicamente mirato», anche numerose città italiane del XIII secolo: qui se ciò non esclude l’esistenza di «fasi pre- infatti i Francescani e gli Eremiti di Sant’A- cedenti più informali di stanziamento» du- gostino si stabilirono dapprima fuori dalle rante le quali i frati potevano usufruire di mura cittadine, rispettivamente nel borgo di strutture preesistenti. Diversi studi hanno San Pietro fuori porta Fanestra, a sud della sottolineato come nelle Marche vi siano dif- città, e nel borgo di porta Ravegnana, lungo ferenze piuttosto marcate nelle dinamiche e la direttrice opposta, ovvero a nord; per poi, nella densità d’insediamento tra Francesca- nel caso dei Francescani, trasferirsi entro ni e Domenicani 8. La stessa Pellegrini ha il circuito murario preesistente e, nel caso osservato come i conventi domenicani si degli Eremitani, venire inglobati entro i co- trovino negli stessi centri urbani scelti dai siddetti «stangati», fortificazioni di caratte- Francescani come sedi di conventi capi-cu- re provvisorio in legno erette dalle autorità stodia: infatti Fano, Ancona, , Jesi, comunali a difesa dei nuovi borghi formati- Fermo, Ascoli e Camerino sono anche sedi si al di fuori delle mura cittadine 12. Anche a di conventi domenicani 9. La studiosa nota Pesaro i due Ordini usufruirono in un primo inoltre come nella regione i Domenicani momento di organismi architettonici pree- siano presenti con due conventi in quattro sistenti dati loro in concessione 13, per poi custodie minoritiche: in quella di Fano sono dare avvio nel corso della seconda metà del anche a Pesaro, in quella di Ancona sono Duecento, quando ormai apparivano ben anche a Recanati, in quella di Camerino inseriti e radicati nel contesto urbano, alla sono presenti anche a San Severino e infine costruzione di propri complessi conventuali in quella di Ascoli hanno un convento an- dotati di chiese edificateex novo 14. che a Ripatransone. La Pellegrini propone Nello specifico, i primi ad essersi inse- un’interpretazione di questo dato alla luce diati a Pesaro sembrerebbero essere stati i della Descriptio Marchiae Anconitanae, Francescani15, seguiti, poco più di un decen- ovvero in base alla distinzione qui operata nio dopo, dagli Eremiti di Sant’Agostino 16 tra «terre maiores» e «magne» 10. Roberto e infine dai Domenicani che, pur avendo Lambertini ha sottolineato l’esistenza nella anch’essi usufruito inizialmente di una pic- regione di analogie tra l’Ordine minoriti- cola chiesa preesistente, a differenza dei co e quello degli Eremiti di Sant’Agostino primi due Ordini17, non sembrano aver co- per quanto concerne le strategie e la densi- nosciuto né il passaggio da un primo inse-

8 Chiara Pallucchini L’Ordine domenicano a Pesaro. diamento extramurario ad uno intramurario adiacente al «p[ri]mo Claustro». La data né alcun tipo di inglobamento entro nuove 1287 per l’introduzione dell’Ordine in città strutture difensive, essendosi insediati fin lo stesso Fabbri dichiara di averla desunta dall’inizio nel cuore della civitas medieva- da un’epigrafe, da lui trascritta solo parzial- le, nelle immediate vicinanze dell’attuale mente, posta su un sostegno della chiesa piazza del Popolo, posizione che, come si di San Domenico; scrive infatti: «Questa vedrà, può essere spiegata con il loro in- Chiesa fu reconciliata l’a[nno] 1287. come gresso relativamente tardo in città 18. si legge nella 2a. Colonna Reconciliata In questa sede ho intenzione di concen- divinitate Honorij Pontificis 4. tempori- trarmi, per condurre un’analisi approfondi- bus posita…» 19. Il Fabbri mostra però di ta, solo su uno dei tre Ordini, quello dei frati fraintendere l’epigrafe: egli infatti collega predicatori di san Domenico. La ricostru- l’espressione «reconciliata divinitate» alla zione, in assenza di notizie e dati documen- chiesa. In verità tale espressione, lungi dal tari certi, dei tempi e delle modalità di inse- fare riferimento alla chiesa e alla sua edifi- diamento dei Domenicani a Pesaro, anche cazione, allude semplicemente agli anni tra- in relazione ad altre situazioni esterne e in scorsi, in questo caso 1287, dal momento in particolare della stessa regione, è resa par- cui Dio si è riconciliato con gli uomini, ov- ticolarmente problematica dalla mancanza vero dal momento dell’Incarnazione; il sen- di una ricognizione generale, e soprattutto so dell’epigrafe è dunque il seguente: dalla approfondita, sulla presenza dell’Ordine riconciliazione di Dio con gli uomini erano nelle Marche. Per tentare comunque tale ri- trascorsi 1287 anni quando fu posta questa costruzione disponiamo delle informazioni, epigrafe al tempo del pontefice Onorio IV. seppure scarne, forniteci dagli eruditi locali, Questa iscrizione tuttavia, come già osserva la cui interpretazione ha spesso dato luogo a correttamente l’Olivieri nella seconda metà veri e propri fraintendimenti. del Settecento, non può fare riferimento È Francesco Fabbri il primo erudito che, all’insediamento in città dei frati predica- nella prima metà del Seicento, ricorda la tori. L’Olivieri nota infatti nel passo del presenza dell’Ordine in città e, non senza Fabbri delle contraddizioni. Egli, ritenendo incongruenze e contraddizioni, ne traccia del tutto improbabile che un Ordine religio- una breve storia; anche se è ad Annibale so appena introdotto in città intraprendesse degli Abbati Olivieri che si deve il primo subito l’edificazione ex novo di una grande tentativo di definire con maggiore precisio- chiesa, accoglie l’idea formulata dall’eru- ne e rigore, muovendo dalle informazioni dito seicentesco che i Domenicani, almeno fornite dal Fabbri, le modalità e i tempi in un primo momento, avessero usufruito relativi all’insediamento a Pesaro dei frati di una preesistente piccola chiesa, la cap- predicatori. Il Fabbri afferma che l’Ordine pella di San Giorgio e Santa Caterina, che, domenicano si sarebbe insediato in città nel aggiunge l’Olivieri, sarebbe poi diventata 1287, durante il pontificato di Onorio IV, e «il luogo del Capitolo di quei Religiosi»; che la sua prima sede sarebbe stata una «ca- ma, nello stesso tempo, nota anche delle in- pella», così la definisce, intitolata ai Santi congruenze nelle affermazioni del suo “pre- Giorgio e Caterina, che ai suoi tempi si tro- decessore”: il fatto che la data 1287 fosse vava inglobata nel convento in posizione riportata da un’iscrizione posta su un soste-

9 Studi pesaresi 3.2015 gno della chiesa di San Domenico, mentre suo vescovado, ovvero tra 1283 e 1291 26. la prima chiesa dell’Ordine sarebbe stata Inoltre l’erudito negli Spogli d’archivj, un la già menzionata cappella, per l’Olivieri testo manoscritto contenente le trascrizioni costituisce un forte indizio a favore dell’i- di numerosi documenti ai suoi tempi custo- potesi dell’arrivo dei Domenicani a Pesaro diti nell’archivio di San Domenico a Pesa- prima di quell’anno 20. L’Olivieri infatti ipo- ro, trascrive, seppure parzialmente, un’altra tizza che i Domenicani fossero giunti in cit- lettera di indulgenze, datata contraddittoria- tà già prima del 1279, durante il vescovado mente 1287 nel testo e 1297 nel regesto do- di Francesco (1276-1283) 21, e a dimostra- cumentario (poi corretto in 1287), conces- zione di questa affermazione trascrive par- sa dal vescovo di Camerino, che nel testo zialmente la copia di una bolla (Virtute con- è chiamato Ramboctus mentre nel regesto spicuos) emanata da Clemente IV nel primo Baldassarre, su richiesta, come è specificato anno del suo pontificato (cioè nel 1265) e nel regesto stesso, del priore di San Dome- diretta all’Ordine dei predicatori, copia che nico 27. Le contraddizioni presenti nel testo ai suoi tempi era custodita nell’archivio dei e nel regesto documentario, il quale, con- Domenicani a Pesaro 22. L’erudito però pre- siderata anche la differente calligrafia, po- cisa che la copia di Pesaro era stata ricavata trebbe essere stato aggiunto posteriormente, da un’altra copia realizzata a Jesi durante si risolvono facilmente a favore delle noti- l’episcopato di Uguccione (vescovo di Jesi zie date nel testo: infatti qui viene riportata dal 1267-68), che era stato in precedenza solo l’iniziale «R» del nome del vescovo, presule di Pesaro 23. La copia pesarese in- che sta per Ramboctus (come è specifica- vece era stata realizzata nel 1279, durante to nel margine superiore della carta), un l’episcopato di Francesco, su richiesta ve- presule realmente attestato fra il 1278 e il rosimilmente dell’Ordine domenicano: nel- 1288 28, mentre nel regesto egli è chiama- la copia infatti, redatta nel palazzo vesco- to Baldassarre, nome non documentato fra vile di Pesaro, oltre al vescovo della città i vescovi camerti; inoltre nel testo la data vengono menzionati due frati predicatori 1287 è seguita dal ricordo del pontificato di 24. L’Olivieri considera correttamente que- Onorio IV (1285-1287), un papa già morto sto documento come prova della presenza nel 1297, quando era pontefice Bonifacio dell’Ordine in città già a quella data (1279), VIII. La data 1287 trova conferma anche dal momento che, come sostiene, non vi sa- nel Repertorio, recentemente pubblicato, rebbe stata alcuna ragione di realizzare la contenente i regesti dei documenti relativi copia di una bolla destinata ai Domenicani ai Domenicani di Pesaro conservati alla fine se essi non fossero stati già presenti a Pe- del Settecento nell’archivio del convento. saro 25. L’Olivieri propone invece di riferire Qui proprio all’anno 1287 si legge: «indul- la data 1287 ai lavori di edificazione della genza compartita per mezzo del Vescovo di chiesa di San Domenico e a tal proposito Camerino a chiunque concorresse con pie riporta una lettera di indulgenze concessa limosine all’edificio della nuova Chiesa in- dal vescovo di Pesaro Accursio a chi avesse cominciata nel 1237. - Aperta nel 1287. - fatto elemosine per la fabbrica della chie- Consacrata nel 1420 - come dalla Cartolina sa, lettera purtroppo non datata ma ancora- rosa» 29. È evidente che il compilatore del bile cronologicamente entro i termini del regesto, il priore del convento Paolo La-

10 Chiara Pallucchini L’Ordine domenicano a Pesaro. strico, ha aggiunto a quanto contenuto nel una prima cerimonia di consacrazione (gli documento ulteriori informazioni sui tempi eruditi ricordano solo la consacrazione del di fondazione e costruzione del complesso 1420) della chiesa, a lavori non ancora ul- domenicano 30. timati, cosa quest’ultima non infrequente. Le affermazioni del Fabbri e dell’Oli- Comunque, ammettendo che la data 1287 vieri sono state riprese anche dallo storico faccia riferimento a una prima cerimonia pesarese Domenico Bonamini che mostra di consacrazione, bisognerebbe supporre di condividere l’idea che la prima sede che almeno la zona presbiteriale con l’altar dell’Ordine in città fosse stata la cappella maggiore fosse già in piedi. dei Santi Giorgio e Caterina e che ritiene Le informazioni e le opinioni degli eru- verosimile che i frati predicatori fossero diti sopra esposte sono state sostanzialmen- giunti a Pesaro prima del 1287, durante l’e- te ribadite dallo storico locale della seconda piscopato di Francesco31. Il Bonamini nella metà dell’Ottocento Salvatore Ortolani che sua Cronaca, posteriore al 1797, per la pri- tuttavia, diversamente dal Bonamini, rite- ma volta menziona gli Annali dell’Ordine neva che nel 1287 fossero solo state gettate domenicano, secondo i quali l’edificazione le fondamenta della nuova struttura e che del complesso conventuale sarebbe stata tutt’al più fossero incominciati i lavori di intrapresa già nel 1237, edificazione di cui edificazione 36. L’iscrizione presente nella sarebbe stato incaricato, da papa Onorio III, chiesa dunque avrebbe avuto a suo parere il vescovo di Camerino 32. L’erudito infatti, un valore commemorativo, avrebbe cioè in un altro suo manoscritto, ricorda che gli ricordato l’inizio dei lavori di costruzione. Annali avrebbero addotto come prova della Muovendo dalle informazioni fornite veridicità di questa data (1237) una bolla dagli eruditi, gli studiosi moderni, a partire del pontefice al presule. Egli nota però del- da Giulio Vaccaj 37, hanno tentato una rico- le incongruenze nelle date: nel 1237 infatti struzione storica delle modalità e dei tempi Onorio III, in carica tra 1216 e 1227, era dell’insediamento dell’Ordine domenicano morto da dieci anni 33. Pur menzionando gli a Pesaro. L’idea che i Domenicani, appena Annali, l’erudito mostra di non condividere giunti in città, avessero usufruito di una pic- l’idea che i Domenicani avessero intrapre- cola chiesa preesistente è stata accolta una- so già nel 1237 l’edificazione ex novo di un nimemente dagli studiosi, i quali tuttavia convento e di una chiesa, ritenendo tale data hanno avanzato date differenti per l’inse- troppo precoce; ipotizza invece, basandosi diamento dell’Ordine, propendendo alcuni verosimilmente sull’iscrizione con la data per il 1237 38, altri per il 1278-79 39 e altri 1287 e sulla lettera di indulgenze di Ac- ancora per il 1287 40. La data 1237, riportata cursio, che la costruzione fosse cominciata dagli Annali della Religione domenicana, è qualche anno prima del 1287 e che la chiesa con ogni probabilità frutto di un fraintendi- fosse, almeno in parte, già in piedi a quella mento. Nella chiesa di San Domenico, come data 34. L’erudito ricorda inoltre la presen- già detto, si trovava un’iscrizione recante la za sotto l’iscrizione di una croce che, come data 1287 e il nome del papa allora in carica scrive, «suol vedersi nella Consacrazione Onorio IV: è probabile che per un mero er- delle Chiese» 35. Si potrebbe dunque avan- rore dell’autore o degli autori degli Annali zare l’idea che in quell’anno si fosse svolta tale numero sia diventato 1237. La genesi

11 Studi pesaresi 3.2015 di questo errore può essere spiegata in vari zione della quale, oltre al vescovo Accursio, modi: l’iscrizione recava la data in numeri concesse indulgenze anche il vescovo di romani, come sappiamo dal Bonamini, per Camerino Ramboctus. I vescovi potevano cui se gli annalisti domenicani l’hanno let- inoltre prendere parte a cerimonie di con- ta autopticamente potrebbero aver omesso sacrazione di chiese ubicate fuori dal terri- la “L” di MCCLXXXVII, forse all’epo- torio della diocesi che ricadeva sotto la loro ca consunta e non ben leggibile; se invece giurisdizione. L’affermazione però degli sono ricorsi alla trascrizione del Fabbri, che Annali relativa ad un diretto coinvolgimen- riporta la data in numeri arabi, potrebbero to del vescovo di Camerino nella costruzio- essere incorsi nel refuso di scrivere “3” in ne della chiesa è, a mio parere, frutto di un luogo del corretto “8” o, in alternativa, tale fraintendimento. È probabile che l’autore errore potrebbe essere imputato ad una tra- o gli autori degli Annali abbiano interpre- scrizione intermedia fra il testo del Fabbri e tato la semplice concessione di indulgenze la versione definitiva di quello degli Annali. da parte del vescovo di Camerino nel 1287 La menzione di Onorio III quale pontefice come un intervento più cospicuo del presule in carica nel 1237 sembrerebbe un caso di nei lavori di edificazione della chiesa e che ipercorrettismo: accorgendosi infatti che abbiano arretrato cronologicamente que- in quell’anno non poteva essere in carica sto intervento ponendolo nel 1237, ovvero Onorio IV, un annalista deve aver pensato “adattandolo” alla presunta data di inizio di correggere “IV” in “III”, pensando a tor- dei lavori di costruzione. to che il papa del 1237 fosse Onorio III. Si In alternativa a quanto si è ipotizzato sino tratta comunque di ipotesi che, per quanto ad ora, si potrebbe anche pensare che tali verosimili, restano indimostrabili, dal mo- “errori” siano stati commessi consapevol- mento che né l’iscrizione né, per quanto mi mente. La storiografia moderna infatti ha ben è noto, gli Annali sono giunti sino a noi. sottolineato la tendenza propria degli Ordini A quanto detto bisogna aggiungere mendicanti, o meglio della storiografia ad un’altra affermazione degli Annali, a mio essi legata, ad anticipare la loro diffusione e avviso del tutto inverosimile, ovvero quella il loro insediamento nelle città, spesso attri- secondo cui il vescovo di Camerino sarebbe buendo a san Francesco e a san Domenico in stato incaricato dallo stesso pontefice Ono- persona, o ai loro più diretti seguaci, la fon- rio III di sovrintendere all’edificazione del dazione di innumerevoli sedi 41. convento e dell’annessa chiesa. È del tutto Un’altra data che è stata posta in connes- improbabile che il vescovo di un’altra cit- sione, a partire da Nando Cecini, con l’in- tà, piuttosto distante da Pesaro, avesse ri- gresso a Pesaro dell’Ordine è il 1239. Gli cevuto un tal genere di incarico. I presuli studiosi ricordano tale data come attestata potevano concedere indulgenze per favori- da una bolla di Gregorio IX, dalla quale sa- re l’edificazione di una chiesa o di un com- rebbe risultata la presenza in città dei frati plesso monastico o conventuale all’interno predicatori che avrebbero officiato due cap- del territorio della propria diocesi e talvolta pelle intitolate rispettivamente a San Gior- anche al di fuori di esso: ciò sembrerebbe gio e a Santa Caterina 42. Non sono riuscita essere accaduto proprio per la chiesa di San a trovare alcuna bolla di Gregorio IX diretta Domenico a Pesaro, per favorire la costru- ai Domenicani di Pesaro o contenente qual-

12 Chiara Pallucchini L’Ordine domenicano a Pesaro. che riferimento ad essi. È probabile che Ce- come non si sarebbe mai redatta la copia di cini nel riferire questa data si sia basato su una bolla destinata all’Ordine se esso non una concisa menzione di questa bolla che fosse stato già presente in città. Da quanto ho rintracciato negli Spogli d’archivj della detto sino ad ora, è possibile ipotizzare che Biblioteca Oliveriana di Pesaro. In aper- i frati predicatori fossero giunti a Pesaro al- tura al testo l’Olivieri elenca brevemente, meno un decennio prima del 1287, nel cor- indicando il nome del pontefice e l’anno so degli anni Settanta. di emanazione, una serie di bolle destinate La già più volte menzionata redazione all’Ordine dei predicatori nel suo insieme, nel 1279 della copia della bolla di Clemen- bolle che erano ai suoi tempi custodite in te IV diretta all’Ordine domenicano può copia nell’archivio domenicano di Pesaro. essere a mio avviso interpretata come un Tra queste l’erudito menziona anche quel- indizio dell’inserimento, già a quella data, la del 1239 di Gregorio IX, senza tuttavia dei frati predicatori nel contesto urbano e accennare minimamente al suo contenuto dunque come un indizio a favore dell’ipo- ma limitandosi a riportare la data di ema- tesi che essi fossero giunti a Pesaro alme- nazione e la frase iniziale del documento no alcuni anni prima del 1279. Nel 1287 i (Quia pr[i]ori sunt ab adolescentia hominis Domenicani dovevano avere comunque a sensus), documento in cui, a quanto se ne Pesaro un loro convento. Una conferma di può dedurre, non sono indicati un convento ciò sembrerebbe venire dall’elenco dei con- o una località particolari. L’Olivieri ricorda venti della Lombardia Inferior redatto nel inoltre che di tale bolla venne realizzata una 1303 da Bernardo di Guido che, nell’enu- copia nel 1340 nella chiesa di San Procolo merare le sedi domenicane di tale provincia, a Bologna 43. In questa breve menzione del seguendo, a detta di alcuni storici, l’ordine documento non si trova alcun riferimento ai cronologico della loro fondazione canoni- Domenicani di Pesaro né tantomeno al fatto ca 44, pone Pesaro tra Bolzano (il cui con- che officiassero due cappelle, informazione vento risulta ufficialmente fondato già nel quest’ultima che, se veritiera, avrebbe con- 1287) 45 e Chioggia (in cui la fondazione di traddetto quella degli eruditi locali, secondo un convento venne autorizzata nel 1287) 46. i quali i Domenicani avrebbero officiato una Non sembra essere un caso che il 1287 sia sola cappella recante la doppia intitolazione la stessa data tramandata dalla menzionata a San Giorgio e Santa Caterina. iscrizione relativa probabilmente, come si è Come si è visto, nessuna delle due date visto, a una prima cerimonia di consacra- (1237 e 1239), menzionate l’una dagli An- zione della nuova chiesa di San Domenico: nali e l’altra da alcuni studiosi, può essere in occasione di tale cerimonia l’Ordine po- confermata. Il primo riferimento documen- trebbe aver concesso un suo riconoscimento tario sicuro della presenza dell’Ordine in ufficiale alla rinnovata sede domenicana di città è la già menzionata copia della bolla Pesaro. Al loro ingresso in città comunque realizzata nel 1279 a Pesaro durante l’epi- i Domenicani, stando a quanto dice per la scopato di Francesco. Già l’Olivieri inter- prima volta il Fabbri, avrebbero usufruito di pretava correttamente tale data come ter- una cappella preesistente. L’impiego del ter- minus ante quem per l’arrivo a Pesaro dei mine cappella da parte dell’erudito seicen- Domenicani, osservando plausibilmente tesco può indurre a pensare che si trattasse

13 Studi pesaresi 3.2015 di un luogo di culto di modeste dimensioni no le strutture conventuali, vennero unifi- e che non fosse una chiesa parrocchiale. Un cati, creando in tal modo un grande spazio aspetto importante da sottolineare è l’ubi- rettangolare, mediante la demolizione del cazione centrale (a differenza delle prime braccio trasversale che li divideva, demo- due sedi date in concessione ai Francescani lizione avvenuta tra il 1901e il 1903, quan- e agli Eremiti di Sant’Agostino) di tale cap- do fu presa la decisione di porre nel nuovo pella, posta a pochi passi di distanza dalla grande spazio così ottenuto il mercato del- platea magna medievale corrispondente le erbe 49. Per tentare dunque una ricostru- all’incirca all’antico foro: quest’ultima era zione dell’architettura della chiesa occorre fiancheggiata sul lato orientale dal palazzo partire dalle informazioni e dai dati, già in comunale; sul lato occidentale venne in se- gran parte analizzati, forniti dagli erudi- guito edificato il fianco est della chiesa di ti, essendo stato l’edificio medievale, con San Domenico (1287 circa), mentre sul ver- l’eccezione della facciata e del suo portale, sante settentrionale fu ancora più tardi co- completamente distrutto in seguito alla sua struita la residenza malatestiana (XIV-XV destinazione a ufficio postale. secolo) poi inglobata nell’attuale Palazzo Per quanto concerne i tempi di costru- Ducale 47. Un’analoga posizione centrale zione della chiesa, non si dispone di una delle chiese domenicane è riscontrabile, data certa né per l’inizio né per la conclu- nell’ambito della Lombardia Inferior, in sione dei lavori. In merito alla datazione altre località: nelle Marche a Urbino e Re- dell’edificio gli studiosi hanno formulato, canati, dove le sedi dell’Ordine sorsero a basandosi sulle informazioni fornite dagli pochi passi di distanza dai centri del potere eruditi, svariate ipotesi. politico, e in Emilia a Modena 48. Giulio Vaccaj, prendendo le mosse In questa sede vorrei soffermarmi sui dall’iscrizione con il nome del committente tempi di edificazione della chiesa e sulla (Malatesta dei Sonetti) e la data 1395 incisa sua architettura. Prima di affrontare questi sull’architrave del portale di facciata, rite- aspetti è però importante accennare alle tra- neva che tale data fosse da riferire solo alla sformazioni subite dal complesso domeni- realizzazione di quest’ultimo e non all’edi- cano nei secoli, trasformazioni che hanno ficazione dell’intera chiesa, da lui ritenuta interessato tanto la chiesa quanto l’annesso giustamente precedente. In maniera però convento, alterandone fortemente e in gran piuttosto contraddittoria scriveva che «la parte cancellandone l’originaria facies me- costruzione della chiesa sarebbe stata un rin- dievale. Ai primi due decenni del Novecen- novamento di altra cominciata ad edificare, to risalgono le maggiori e più nefaste tra- nel medesimo posto, fin dal 1291» e qualche sformazioni: all’interno dell’ex chiesa, già pagina dopo specificava che i Domenicani dichiarata nel 1866 non più necessaria al avrebbero iniziato ad edificare la loro chiesa culto, si decise nel 1911 di ricavare la sede nel 1283. Lo studioso quindi, in modo piutto- degli uffici delle Poste e dei Telegrafi; nei sto ambiguo, riteneva la chiesa attuale prece- locali del convento soppresso fu installata dente all’intervento malatestiano (1395) ma dopo il 1901 la Scuola d’arte, poi spostata al tempo stesso sottolineava come essa fosse negli anni Sessanta in palazzo Mengaroni; frutto di «un rinnovamento» successivo alla i due chiostri, attorno ai quali si articolava- fine del Duecento 50. Nessuna delle due date

14 Chiara Pallucchini L’Ordine domenicano a Pesaro. riportate dal Vaccaj (1283 e 1291) è inoltre costruito potrebbe venire da un testamen- attestata dagli eruditi: si potrebbe pensare to datato 1292, trascritto per la prima vol- però che lo studioso abbia fatto confusione ta dall’Olivieri, in cui una certa Guiborga o che si tratti di errori di stampa e quindi che dalle Ripe disponeva un cospicuo lascito la data 1283 sia da considerare come 1287 testamentario a favore della fabbrica della e 1291 come 1292 (data di un testamento in chiesa, cosa quest’ultima che potrebbe sug- cui veniva predisposto un lascito per la fab- gerire la presenza ancora di un cantiere in brica della chiesa 51). corso, e chiedeva inoltre di essere qui se- Raffaele Elia, basandosi sulla concessio- polta 56. Una tale richiesta acquista un senso ne di indulgenze del vescovo Accursio e sul solo ipotizzando che la chiesa fosse in par- testamento del 1292, riteneva che la chiesa te già in piedi e che in quel giro di anni vi fosse in corso di edificazione nell’ultimo fosse già la previsione di accogliere a breve decennio del Duecento 52. Antonio Brancati, delle sepolture. Se infatti nel 1287, come seguito da Aldo Amatori e Dante Simoncel- sosteneva l’Ortolani, della chiesa fossero li, ipotizza che la costruzione della chiesa state gettate solo le fondamenta, la stessa avesse avuto già inizio nel 1292, mentre richiesta avanzata da Guiborga di essere Dante Trebbi e Bruno Ciampichetti ritengo- sepolta nella chiesa sarebbe stata difficil- no che l’edificazione fosse stata intrapresa mente attuabile e soprattutto prematura. Da proprio in quell’anno 53. quanto detto emerge dunque che, con ogni Gli eruditi, come già detto, ricordano l’i- probabilità, l’iscrizione doveva fare riferi- scrizione, oggi non più esistente ma un tem- mento ad una tappa relativamente avanzata po posta su uno dei sostegni della chiesa, dei lavori di edificazione. con la data 1287, che, secondo la trascrizio- La presenza inoltre nella lettera di in- ne del Bonamini, così recitava: A RECON- dulgenze di Accursio, priva di data ma an- CILIATA DIVINI/TATE MCCLXXXVII/ corabile tra il 1283 e il 1291 (anni del suo HONORII PONTIFICIS QUARTI/ TEM- vescovado), dell’espressione Ecclesiam PORIBUS POSITA 54. Sempre agli anni Ot- edificare inceperint opere plurimum sump- tanta del Duecento risalgono inoltre le due tuoso 57 (“avevano incominciato a edificare già menzionate concessioni di indulgenze la chiesa in modo molto sontuoso”), con il a chi avesse fatto elemosine per la fabbrica verbo coniugato al passato, potrebbe esse- della chiesa da parte del vescovo di Pesaro re plausibilmente interpretata come un ul- Accursio e da parte di quello di Camerino teriore indizio a favore dell’ipotesi che in Rambotto. Si tratta di punti di riferimento quegli anni l’edificazione della chiesa fos- utili per fissare la cronologia del comples- se cominciata già da qualche tempo. Non so domenicano e in particolare quella della è possibile stabilire con esattezza in quale chiesa. La presenza in quest’ultima dell’i- occasione l’iscrizione con la data 1287 sia scrizione induce a pensare, come già ipo- stata apposta a uno dei sostegni della chiesa tizzava il Bonamini, che la chiesa nel 1287 ma si potrebbe avanzare l’idea, muovendo fosse, se non ultimata, in via comunque di dall’affermazione del Bonamini relativa edificazione e forse già officiabile - dapar alla presenza di una croce sotto l’epigrafe, te dei frati 55. Una conferma del fatto che a che in quell’anno si fosse svolta una prima quella data l’edificio fosse già parzialmente cerimonia di consacrazione della chiesa a

15 Studi pesaresi 3.2015 lavori non ancora ultimati. Ammettendo che tutto improbabile, dal momento che la chie- si fosse svolta tale cerimonia, bisognerebbe sa pesarese rappresenterebbe un unicum nel supporre, come già accennato, che almeno panorama delle chiese domenicane e più in la zona presbiteriale con l’altar maggiore generale mendicanti d’Italia 61. fosse in piedi. Non essendo nota però l’esat- L’ipotesi di un ampliamento trecentesco ta ubicazione del sostegno con l’iscrizione, della chiesa va a mio avviso rivista alla luce non è possibile stabilire con esattezza quale dell’iscrizione con la data 1287, di cui la settore della chiesa fosse già in piedi a quel- critica ha completamente trascurato l’im- la data, se solo quello dell’area presbiteriale portanza per la ricostruzione dell’icnogra- e prossimo ad essa o anche quello contiguo fia della chiesa duecentesca. Nella maggior alla facciata. Il Fabbri parla infatti generi- parte dei casi le iscrizioni presenti nelle camente della «2a. Colonna» senza specifi- chiese medievali hanno un valore comme- care in quale dei due colonnati della chiesa morativo, serbano cioè la memoria di deter- si trovasse il sostegno e quale fosse il suo minati eventi, quali la fondazione, la posa punto di osservazione nel contare i sostegni, della prima pietra, la consacrazione, l’inizio ovvero se si trattasse della «2a. Colonna» a o la fine dei lavori di edificazione, e in ge- partire dall’ingresso principale della chiesa nere la loro realizzazione è successiva all’e- o se invece a partire dall’altar maggiore 58. vento da esse ricordato e celebrato, come L’ubicazione dell’iscrizione su un sostegno si evince spesso dalle stesse espressioni della chiesa non è un elemento privo di si- impiegate (si pensi alle epigrafi riguardanti gnificato per tentare di comprendere quale lavori architettonici in cui spesso ricorrono fosse l’originaria icnografia della chiesa. La formule espressive come hoc opus factum storiografia – muovendo da un’affermazio- est o factum fuit, in cui il verbo è coniugato ne del Vaccaj, secondo il quale in occasio- al passato ad indicare che si tratta di eventi ne della realizzazione del portale nel 1395 trascorsi e conclusi). Nel nostro caso invece su commissione di Malatesta dei Sonetti la il verbo posita e l’indicazione di papa Ono- chiesa sarebbe stata anche accresciuta di rio IV (1285-1287), durante il cui pontifi- una navata a «volti puntati» – ha sostenuto cato l’epigrafe venne apposta, consente di all’unanimità l’ipotesi di un ampliamento affermare con buona sicurezza che l’iscri- trecentesco della chiesa, la quale, secondo zione venne realizzata contemporaneamen- alcuni, sarebbe stata originariamente ad te all’evento da essa commemorato. Il soste- aula unica e poi ingrandita con l’aggiunta di gno su cui l’epigrafe era affissa costituisce due navatelle mentre, secondo altri, sarebbe dunque un indizio a favore dell’ipotesi che stata a due navate e successivamente am- la chiesa di San Domenico fin dall’origine pliata a tre 59. Se l’ipotesi che la chiesa tar- avesse una pianta a tre navate. Si potrebbe do duecentesca fosse a una sola navata non obiettare comunque che solo in occasione è di per sé improbabile, trattandosi di una del presunto ampliamento trecentesco della tipologia architettonica piuttosto frequente chiesa l’epigrafe sia stata posta su uno dei nelle chiese mendicanti che ben si accorda- sostegni e che in precedenza avesse potuto va con gli ideali di semplicità e austerità dei trovarsi in un altro punto della chiesa. La nuovi Ordini 60, l’ipotesi invece di una ori- presenza tuttavia, ricordata dal Bonamini, ginaria icnografia a due navate appare del di una croce sotto l’iscrizione può essere

16 Chiara Pallucchini L’Ordine domenicano a Pesaro. assunta come un indizio a favore dell’o- et fabrica Ecclesie d[i]c[t]orum Fr[atr]um riginaria collocazione dell’iscrizione sul de Pensauro) 64, quello di Martinelli lascia sostegno; se infatti fosse stata rimossa da aperte due possibilità, secondo una prassi una precedente collocazione e posta solo consueta nel formulario notarile dell’epo- successivamente sul sostegno non si spie- ca: ovvero che l’eredità fosse destinata alla gherebbe la presenza della croce sottostan- fabbrica e/o a lavori di acconcio, termine te che con ogni probabilità doveva essere quest’ultimo da intendersi come lavori di dipinta. Le affermazioni degli studiosi in completamento, rifinitura o abbellimen- merito ad un presunto ampliamento trecen- to. L’impiego di tale espressione potrebbe tesco della chiesa possono essere spiegate indurre a pensare che l’edificazione vera e con il fraintendimento di una notizia, ripor- propria, o almeno il grosso dei lavori, fosse tata dall’autore del Repertorio dell’archivio ultimata e che rimanessero da compiere pic- di San Domenico e dal Bonamini, relativa coli interventi di natura imprecisata. alla costruzione nel 1490 di una «navata a La chiesa doveva essere interamente co- volti puntati» (Bonamini) o «puntuti» (La- struita nel 1420 quando fu consacrata. Un’i- strico) 62. Si vedrà come tale notizia debba scrizione, posta sul sostegno successivo a essere riferita non alla costruzione di una quello recante l’epigrafe con la data 1287 navata ma all’edificazione di una serie di e riportata dagli eruditi del Sei e Settecento, cappelle lungo il fianco sinistro (est) della commemorava tale evento 65. Come in molti chiesa prospiciente piazza del Popolo. altri casi, non è necessario ipotizzare che le Tornando all’epoca di edificazione della cerimonie di consacrazione coincidessero chiesa, si è visto come la data 1287, data di con lavori architettonici importanti, che per una possibile prima cerimonia di consacra- quanto riguarda San Domenico dovevano zione, possa essere plausibilmente assunta essere conclusi da almeno un secolo. Tal- come terminus ante quem almeno per l’edi- volta infatti si approfittava dell’occasionale ficazione dell’area presbiteriale e come il te- presenza di un papa o di un cardinale per stamento di Guiborga (1292), con la richie- fargli consacrare chiese appena iniziate op- sta di essere sepolta in chiesa, possa fornire pure concluse da tempo, come ad esempio un’indicazione del fatto che i lavori fossero è avvenuto, per quanto riguarda il secondo giunti ad uno stadio relativamente avan- caso, a Firenze per Santa Maria Novella, zato. La mia convinzione che alla fine del consacrata proprio nel 1420 da papa Mar- Duecento-inizio del Trecento il grosso dei tino V, e per Santa Croce, consacrata nel lavori architettonico-costruttivi fosse com- 1443 da papa Eugenio IV. piuto parrebbe essere messa in discussione L’Ordine domenicano di Pesaro fu de- dal testamento di tal Giovanni Martinelli, stinatario fra Tre e Quattrocento di nume- datato 1332, nel quale si disponeva il lasci- rosi lasciti testamentari, la cui importanza to di tutta l’eredità all’Ordine domenicano e è spesso per noi molto marginale, non es- per precisione «alla Fabbrica, e all’acconcio sendo specificato per che cosa dovessero della Chiesa» 63. A differenza del testamento essere utilizzati. Al fine della nostra ricerca di Guiborga tuttavia, in cui il lascito era de- risultano interessanti due testamenti data- stinato esclusivamente alla costruzione del ti rispettivamente 1415 e 1430: nel primo complesso domenicano (in constructione di questi una Maddalena Ranolfi «lascia

17 Studi pesaresi 3.2015 erede il Convento di S[an] Domenico con e Tommaso d’Aquino nella Chiesa di S[an] obbligo, che mantenga un frate sacerdote, D[omeni]co» 69, nel secondo invece a colo- e l’un altro chierico, per celebrare in per- ro che avessero visitato o fatto offerte alla petuo la messa nella cappella della mede- cappella della Vergine nella stessa chiesa 70. sima testatrice» 66; nel secondo invece un Se la seconda lettera di indulgenze è piut- Francesco di Giovanni Lello degli Almerici tosto vaga, attestando solamente l’esisten- lasciava 10 ducati in casu quo dicti fratres za di una cappella intitolata alla Vergine, la faciant acuire campanile dictae ecclesiae prima specifica invece che le elemosine sa- 67, dunque per il completamento del cam- rebbero state destinate a lavori di costruzio- panile che figura nella veduta di Pesaro di ne o di decorazione della cappella. La sua Francesco Mingucci del 1626 (inserita nel probabile ubicazione nell’area presbiteriale Codice Barberiniano Latino 4434 della Bi- mi induce tuttavia a pensare che essa fos- blioteca Apostolica Vaticana) e in quella di se già stata costruita, probabilmente ancor Joan Blaeu del 1663 (inserita nel Theatrum prima del 1287, e che dovesse magari es- civitatum et admirandorum Italiae) con sere rimaneggiata o affrescata. Per quanto una guglia maggiore attorniata da quattro concerne l’ubicazione delle due cappelle, minori. Nel 1430 veniva pure concesso un è improbabile che esse sorgessero sul lato contributo di quattro ducati per l’acquisto di destro (ovest) dell’edificio, dal momento una vetrata 68. che era quello contiguo alla galleria est del Dal primo testamento sembrerebbe chiostro e difficilmente vi sarebbe stato lo potersi dedurre l’esistenza già nel 1415 – spazio necessario per edificarvi delle cap- ben prima dunque degli anni Novanta del pelle; in linea teorica avrebbero potuto es- Quattrocento, quando il Bonamini ricorda sere ubicate lungo il fianco sinistro (est) ma, la costruzione di una «navata a volti pun- come si è già accennato, il Bonamini, la cui tati» – di una cappella di cui deteneva i di- affermazione è confermata dalla documen- ritti di patronato Maddalena Ranolfi. Ma tazione superstite, pone negli anni Novanta come è frequente in quest’epoca, il termine la costruzione della «navata a volti puntati», cappella non necessariamente doveva im- espressione che è da intendersi come edifi- plicare uno spazio architettonico, riferen- cazione di una serie di cappelle sul fianco dosi stricto sensu all’istituzione di messe in sinistro. Si potrebbe dunque ipotizzare che suffragio dei defunti di una determinata fa- le due cappelle sorgessero nell’area presbi- miglia, messe che potevano essere celebra- teriale accanto ad una cappella maggiore. È te presso semplici altari. Diverso è il caso possibile dunque che la chiesa fosse chiusa delle cappelle menzionate in due conces- da tre cappelle, di cui la centrale, intitolata sioni di indulgenze datate rispettivamente con ogni probabilità a San Domenico, do- 1427 e 1460 che sembrano invece attestare veva essere più sporgente e poteva avere l’esistenza, già nella prima metà del Quat- terminazione rettilinea o essere chiusa da trocento, di cappelle interpretabili come un’abside poligonale, mentre ai lati doveva- spazi architettonici. Nel primo documento no trovarsi due cappelle, di minori dimen- venivano concesse indulgenze a chi avesse sioni e verosimilmente a terminazione ret- contribuito «alla Fabbrica, o all’ornamento tilinea, intitolate l’una alla Vergine e l’altra della Capella de’ S[anti] Stefano, Lorenzo ai Santi Stefano e Lorenzo, intesi probabil-

18 Chiara Pallucchini L’Ordine domenicano a Pesaro. mente, essendo protomartiri, come rappre- mento della chiesa mediante l’aggiunta di sentativi dell’intera categoria dei martiri 71. una o due navate potrebbero verosimilmente L’intitolazione di quest’ultima cappella essere partiti dall’espressione del Bonamini anche a San Tommaso d’Aquino, privo di e averla fraintesa; inoltre la datazione nel qualsiasi rapporto con i due santi protomar- corso del XIV secolo, da loro generalmen- tiri, deve essere stata aggiunta con ogni pro- te proposta per tale ampliamento, potrebbe babilità in un secondo momento, o in occa- essere stata condizionata dal fatto che nel sione della sua canonizzazione avvenuta nel 1395 venne realizzato il portale su commit- 1323 o successivamente. Proprio l’insolita tenza di Malatesta dei Sonetti, come ricorda combinazione delle intitolazioni depone a l’epigrafe incisa sull’architrave 74. favore dell’esistenza di una cappella dedi- L’espressione impiegata nei due testi si cata ai soli protomartiri prima del 1427, dal riferisce invece all’edificazione di una se- momento che è improbabile che la cappella rie di cappelle lungo il fianco sinistro della recasse fin dall’inizio tale intitolazione con- chiesa, come sembrerebbero dimostrare una giunta. In un accordo fra il priore del con- serie di documenti dell’Archivio di Stato di vento e il capomastro muratore Tiberio di Pesaro pubblicati di recente da Paride Be- Bartolomeo da Fabriano del 1493, relativo rardi e alcuni regesti di documenti contenuti soprattutto a lavori nel primo chiostro, veni- nel già menzionato Repertorio. Proprio un va fissato anche il compenso per lavori già regesto del 1481 riassume una lettera di svolti dal maestro in aptamine capelle […] Costanzo Sforza alla moglie Camilla nella Sancte Marie et Sancti Laurentii aptate per quale le scrive: «che intimi un annuo asse- dictum magistrum Tiberium (frase piuttosto gnamento di 200. Lire a pro dé Domenica- ambigua, il cui scorretto latino va inteso ni, onde aggiustino il Convento loro; ed ob- probabilmente così: aptamine capellarum blighi a fare la Cappella a chi tocca» 75. Le Sanctae Mariae et Sancti Laurentii, aptatae chiede cioè di imporre di costruire ciascuna per dictum magistrum Tiberium, visto che cappella (così probabilmente va inteso l’u- le cappelle erano due) 72. Nel contesto della so del singolare) «a chi tocca», ovvero alle costruzione delle nuove cappelle sul fianco famiglie che ne avrebbero detenuto i dirit- sinistro della chiesa si sentì probabilmente ti di patronato. Se ne ricava dunque che il l’esigenza di ammodernare (aptare) anche progetto di ampliare la chiesa con la costru- le cappelle presbiteriali laterali, cosa con- zione di una serie di cappelle si deve a una clusa entro il 1493. decisione di Costanzo Sforza. Il Bonamini e l’autore del Repertorio, il Non è qui il caso di soffermarsi nell’ana- priore del convento Paolo Lastrico, sono i lisi dei documenti relativi all’edificazione primi a ricordare l’edificazione nel 1490 di delle singole cappelle che ci condurrebbe una «navata a volti puntati» (Bonamini) o troppo lontano dall’argomento e dal perio- «puntuti» (Lastrico), espressione non priva do trattati. Da uno di questi documenti si di una certa ambiguità 73: il termine nava- ricava però un’informazione interessante ta potrebbe indurre infatti a pensare che la per la ricostruzione della facies medievale chiesa fosse stata allargata con l’aggiunta di della chiesa. Infatti in un’annotazione del una navatella. Gli studiosi dunque che, come 17 novembre 1496 del diario di Giovanni si è visto, sostengono l’ipotesi di un amplia- Germani, patrono e fondatore di una cap-

19 Studi pesaresi 3.2015 pella intitolata a Santa Maria Maddalena, in moderna copertura 80. Pur tenendo conto cui il notaio registra il patto con due maestri dell’uso di una terminologia architettonica muratori per la costruzione della cappella e non troppo precisa e comunque differente della sua volta, si dice che il lavoro avreb- da quella oggi impiegata, mi sembra piutto- be comportato il «tagliare la volta et archo sto improbabile che tale espressione possa de le sepulture vecchie» 76. Da quest’ultimo indicare il tipo di copertura. Essa potrebbe passo si può dedurre la presenza sul fian- invece fare riferimento agli archi divisori co sinistro di una serie di avelli destinati ad fra le tre navate che, risalendo probabil- ospitare delle tombe, come si possono vede- mente ancora alla chiesa tardo-duecentesca, re ancora oggi nella parte bassa della faccia- avranno avuto un profilo archiacuto; gli ar- ta. Si trattava dunque di tagliare le imbotti chi di accesso alle cappelle invece è impro- degli arcosolii dei vecchi avelli posti lungo babile che avessero avuto tale profilo, es- la parete che doveva essere sfondata per ad- sendo state edificate in età rinascimentale, dossarvi la nuova cappella. quando ormai era invalso l’uso dell’arco a A partire dalla metà del Seicento e so- pieno centro. Nel 1660 quindi, con l’inten- prattutto tra Sette e Ottocento la chiesa fu to di rimodernare la chiesa, potrebbe essere fatta oggetto di notevoli interventi, con- stata presa la decisione di conferire agli ar- clusisi con la sua riduzione ad aula unica, chi delle navate una sagoma a pieno centro come attesta la pianta di Pesaro del catasto più consona al gusto dell’epoca 81. gregoriano (voluto da Gregorio XVI), in cui Non sappiamo se tale operazione aves- la chiesa presenta tre grandi campate oblun- se comportato una demolizione degli ar- ghe voltate a crociera, cui segue un’esedra chi e una loro successiva ricostruzione ma semicircolare che immette nel lungo presbi- è molto probabile di no, dal momento che terio vistosamente non in asse con la navata nei documenti non si fa menzione di lavo- 77. Nel 1660, come si apprende da un regesto ri di grossa entità. È probabile invece che del Repertorio, venne stipulata una «licen- tale intervento fosse consistito in un sem- za di rimodernare la chiesa» 78. Nel Saggio plice rivestimento in stucco delle originarie preliminare inoltre il compilatore del Re- strutture che avrebbe comunque consenti- pertorio elenca una serie di fatti importanti to di rinnovare le forme della chiesa. Nel per la storia della chiesa, tra i quali ricorda, contesto di tali rifacimenti anche i sostegni nel 1660, la sua riduzione «ad archi roton- potrebbero essere stati stuccati, cosa che di», trasformazione per la quale venne sti- spiegherebbe perché il Bonamini ricorda le pulata una convenzione con un capomastro due iscrizioni con la data 1287 e 1420 risco- nello stesso anno. L’autore specifica come perte sotto l’intonaco nel 1797, in occasione tale trasformazione non avesse riguardato di ulteriori lavori alla chiesa 82. la «navata», da intendersi verosimilmente Nella seconda metà del Settecento ven- come la serie di cappelle aperte sul fianco ne infatti intrapresa la demolizione delle sinistro, bensì la chiesa 79. L’espressione cappelle sul fianco sinistro. Alle complesse «archi rotondi» è stata riferita fino ad oggi e travagliate vicende che portarono a tale da alcuni studiosi al tipo di copertura della demolizione e alla costruzione dell’attuale chiesa. Essi sostengono infatti che nel 1660 prospetto ha dedicato un esaustivo studio la chiesa avrebbe ricevuto una nuova e più Marco Battistelli 83. La documentazione

20 Chiara Pallucchini L’Ordine domenicano a Pesaro. degli anni 1784-1787 attesta soprattutto il «nell’altra colonna seguente», informazio- fatiscente stato di conservazione dell’inter- ne quest’ultima confermata anche dal Bo- no della chiesa, definito nel 1784 di «cattiva namini che la dice riscoperta nella «terza struttura» e «pressoché indecente al sacro colonna in alto» 89. Da quanto detto si dedu- ministero» e che nel 1787 si progettava di ce che le epigrafi dovevano essere murate sopraelevare e di rendere più decoroso 84. in due sostegni contigui l’uno all’altro. Ci Tutto ciò fa pensare che i lavori svoltisi si potrebbe domandare dove fossero ubicati nel 1660 non abbiano comportato un rifa- tali sostegni, se in prossimità della facciata cimento delle coperture che dunque dove- o dell’area presbiteriale, e soprattutto quale vano essere ancora quelle originarie. Infatti forma avessero, se fossero cioè colonne o se l’interno fosse stato del tutto rimodernato pilastri, e in quest’ultimo caso se avessero poco più di un secolo prima difficilmente si sagoma cilindrica o quadrata. Si tratta di sarebbero usate espressioni così catastrofi- domande a cui è difficile dare una risposta che sullo stato conservativo e giudizi così non essendo rimasto nulla dell’antica chie- sprezzanti sui caratteri estetici dell’edificio. sa. Per quanto riguarda l’ubicazione dei due Nel 1789 fu poi portata a termine la de- sostegni, se è impossibile stabilire in quale molizione delle cappelle del fianco sinistro colonnato si trovassero, si può tuttavia ipo- 85. Ben presto sorsero controversie tra l’Or- tizzare che fossero collocati in prossimità dine e il Comune sulla proprietà del suolo dell’ingresso, dove le due iscrizioni sareb- e sull’uso da farne 86. I lavori di sistema- bero state di più immediata visibilità per zione della chiesa ebbero inizio, nel con- coloro che entravano in chiesa: la maggior testo dell’occupazione militare francese, parte delle descrizioni delle chiese infatti, il primo marzo 1797 sotto la direzione del fatta eccezione per le visite pastorali, già frate converso dello stesso convento di San per lo meno dal Settecento, tenendo conto Domenico e architetto Pietro Paolo Belli, del punto di vista dello spettatore, muove il cui progetto prevedeva la riduzione della dall’ingresso verso la zona presbiteriale. chiesa ad aula unica con cinque altari me- Per quanto riguarda la sagoma dei soste- diante la demolizione dei sostegni e delle gni, l’Ortolani, in un suo testo manoscritto soprastanti arcate 87. Durante questi lavori, successivo al 1860, quando i sostegni era- che probabilmente comportarono una ri- no comunque già stati demoliti e la chiesa mozione degli intonaci e stucchi seicente- ormai trasformata a navata unica, scrive: schi, che sembrerebbero, come si è detto, «Parimenti si vede che veniva scolpita la aver occultato anche i sostegni della chiesa, seguente iscrizione per ricordarci la erezio- emersero tre iscrizioni, tra le quali le due ne della Chiesa di San Domenico; la quale già menzionate con la data 1287 e 1420 88. iscrizione prima dell’ultimo ristauro di essa Si tratta di due iscrizioni la cui esatta ubi- si leggeva in una pietra murata in una delle cazione all’interno della chiesa non è facile sue paraste, ma che presentemente non si da stabilire, essendo le informazioni degli ritrova più» 90. L’impiego del termine para- eruditi assai poco precise in questo senso. sta, che significa semipilastro ovvero lesena Il Fabbri, come già detto, ricorda la prima a sezione rettangolare, sembra inappropria- iscrizione (con la data 1287) affissa alla «2a. to dal momento che si trattava sicuramen- Colonna» e la seconda (con la data 1420) te di un sostegno isolato e non adiacente

21 Studi pesaresi 3.2015 a un muro. Del resto lo stesso Ortolani in infatti, come ricorda il compilatore del Re- un altro passo del manoscritto, a proposi- pertorio, i frati furono costretti ad abbando- to dell’iscrizione relativa alla cerimonia di nare il convento. Il compilatore scrive poi consacrazione del 1420, afferma che «pri- che un’analoga sorte toccò anche agli Ago- ma che [la chiesa] fosse ristaurata e ridotta stiniani e ai Camaldolesi, che «tutto si levò ad altra struttura leggevasi infissa ad uno dai Con[ven]ti» e che ciò avvenne proprio de’ pilastri la seguente breve iscrizione…» quando «a proprie spese si era avanzato il 91. Che si trattasse di pilastri è confermato Ristoramento di più della metà dell’antica da un’annotazione del Repertorio relativa al Chiesa: il quale a comune giudizio riusciva rinvenimento di una lapide recante un’iscri- vago, sodo, ed elegante» 94. La chiesa fu adi- zione (trascritta nel Repertorio) nel 1797, in bita a scuderia per i cavalli e il convento a occasione dello smantellamento del «pila- caserma delle truppe napoleoniche 95, men- stro esistente tra l’alt[are] di S[anta] Rosa e tre i beni che vi erano contenuti, dei quali fu il pulpito» 92. Se si ammette un uso generico redatto un inventario per conto della muni- della parola colonna da parte del Fabbri e cipalità dal notaio Mariano Gili, conservato del Bonamini, il quale si basa sul Fabbri, all’Archivio di Stato di Pesaro, furono ven- il termine parasta impiegato dall’Ortolani duti all’asta; l’archivio e quasi tutti i volumi come sinonimo di pilastro potrebbe forni- della biblioteca furono distrutti e le opere re un prezioso indizio sull’originaria sago- d’arte considerate più significative requisite ma dei sostegni che sarebbero dunque stati dalle truppe francesi 96. Comunque la sop- non colonne monolitiche a pianta circolare, pressione del convento e della chiesa non che sono del tutto infrequenti nelle chiese fu definitiva, poiché già nel 1803 i Domeni- mendicanti (un’eccezione nel contesto della cani poterono rientrarne in possesso 97. Fra provincia della Lombardia Inferior, sotto la le prime iniziative che essi dovettero allo- cui giurisdizione ricadeva anche il territorio ra prendere vi era la soluzione dell’annosa dell’attuale regione Marche, è rappresentata controversia col Comune riguardo alla pro- dalla chiesa di Santa Corona a Vicenza), ma prietà del suolo già occupato dalle cappelle, pilastri in muratura probabilmente a pian- suolo di cui i Domenicani si rassegnarono ta quadrangolare. I piloni cilindrici invece, a cedere i diritti di proprietà al Comune al pure spesso definiti pilastri, sono ricorrenti quale chiesero in cambio mille e duecento soprattutto in chiese basilicali di grandi di- scudi più l’annuo canone di venti libbre di mensioni coperte da volte a crociera, come cera 98. L’altra questione ancora più urgente quelle mendicanti del Veneto, e anche in era il completamento dei lavori architetto- chiese pseudo-basilicali coperte da tetto a nici alla nuova chiesa a navata unica, lavori capriate, come quelle dell’Umbria e delle che nel febbraio 1798 erano giunti quasi a Marche meridionali, tutti edifici con i quali metà 99. In tale contesto si spiega l’esigenza la chiesa pesarese non sembra imparentata di completare il «nuovo muro» interno si- tipologicamente93. nistro della chiesa dal lato della piazza, in- Tornando alle vicende del tardo Sette- tervento che era necessario concordare col cento, i lavori alla nuova chiesa, intrapresi Comune, al quale i Domenicani chiesero di il primo marzo del 1797, erano destinati ad eseguire un’analoga operazione dalla parte essere presto interrotti. L’11 febbraio 1798 esterna, in corrispondenza degli «archi della

22 Chiara Pallucchini L’Ordine domenicano a Pesaro. navata [ovvero delle cappelle] abbattuta per della costruzione delle cappelle avviata ne- impedire che l’acqua piovana penetri nella gli ultimi decenni del Quattrocento e di tre chiesa» 100, cosa che fa supporre che fino a cappelle presbiteriali. È plausibile che le quel momento vi fosse stata una tamponatu- cappelle presbiteriali minori presentassero ra provvisoria delle arcate da cui si accedeva terminazione rettilinea e che quella cen- un tempo alle cappelle. Anche se non viene trale fosse chiusa da un’abside poligonale, riferito esplicitamente, tali lavori all’inter- cosa quest’ultima che sembrerebbe potersi no della chiesa dovevano ancora seguire il dedurre dalla raffigurazione di una chiesa progetto del Belli che, con ogni probabilità, vista dal retro, per la quale è stata proposta doveva prevedere la copertura della nuova con qualche margine di dubbio l’identifi- navata con volte a crociera, verosimilmente cazione con San Domenico, in una veduta realizzate con la tecnica dell’incannicciato. di Pesaro rappresentata in una delle tarsie Come si è già visto, prima del 1797 sembra degli stalli tardo-quattrocenteschi del coro che ancora sopravvivesse, benché in cattivo di Sant’Agostino a Pesaro (fig. 1)103 . Anche stato, la copertura della chiesa medievale, se sull’effettiva identificazione della chiesa con ogni probabilità a capriate. Sebbene raffigurata con San Domenico rimangono costruite da poco le volte erano già perico- dei dubbi, una tale articolazione del presbi- lanti nel 1833, come apprendiamo dall’ulti- terio comunque risulterebbe perfettamente ma annotazione del Repertorio (terminante in linea con l’architettura mendicante del con i fatti del 1798), aggiunta da una mano tardo XIII e del XIV secolo in Italia centro- successiva. In quell’anno venne intrapresa settentrionale 104. Rimane invece aperta la la ricostruzione delle volte che furono poi questione di come le cappelle presbiteriali inaugurate l’anno seguente, come comme- si raccordassero con le tre navate, ovvero morava un’iscrizione 101. Nella pianta di se vi fosse uno pseudo-transetto (transetto Pesaro del catasto gregoriano la chiesa fi- non sporgente ma visibile in alzato), dal gura infatti articolata in tre grandi campate momento che è del tutto da escludere la pre- oblunghe voltate a crociera. La nuova chie- senza di un transetto sporgente 105. La sua sa ebbe tuttavia vita breve, essendo chiusa assenza è infatti dimostrata dal fatto che l’a- al culto già nel 1860 e spogliata dei suoi rea presbiteriale della chiesa era immediata- arredi con delibera comunale del 1862, e mente adiacente a destra alla sacrestia e al infine nel 1866 ufficialmente dichiarata non campanile, a loro volta affiancati dalla sala più necessaria al culto 102. capitolare. Analogamente non sappiamo se Dall’esposizione delle a tratti desolanti vi fosse prima dell’età controriformistica un trasformazioni e demolizioni subite dalla vero e proprio tramezzo o un setto divisorio chiesa sono emersi alcuni dati importan- più semplice fra la parte adibita ai laici e ti per la ricostruzione della sua origina- quella riservata ai frati 106. Non è facile inol- ria facies medievale: le tre navate, la pre- tre stabilire quale fosse la conformazione senza di pilastri verosimilmente a pianta in alzato della chiesa pesarese: un aiuto in quadrangolare, di archi divisori in origine questo senso è fornito dalla veduta, sia pure probabilmente a sesto acuto, la probabile approssimativa, del Blaeu del 1663 (fig. 2), presenza di una copertura a capriate prima in cui, se è poco chiara l’articolazione e la del 1797, di avelli sul fianco sinistro prima distinzione fra la copertura della navatel-

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Figura 1 – Pesaro, chiesa di Sant’Agostino, coro ligneo, tardo XV secolo, dettaglio di tarsia. la sinistra e quella delle cappelle, è invece e delle Marche meridionali 107. L’alzato di raffigurato molto chiaramente il cleristorio, tipo basilicale è invece ampiamente diffuso privo di contrafforti, con le sue finestre, il nelle grandi chiese domenicane del Vene- che dimostra che la chiesa aveva un alzato to, dove tuttavia, con l’eccezione di Santa di tipo basilicale ed era probabilmente pri- Corona a Vicenza (dove vi sono colonne), va di volte almeno nella navata centrale e, i sostegni sono massicci piloni cilindrici si può plausibilmente ipotizzare, anche in che sorreggono volte a crociera costolona- quelle laterali. te (poi sostituite nel XV secolo nella nava- In tal modo viene subito ad escludersi ta centrale di San Nicolò a Treviso da un qualsiasi rapporto della nostra chiesa con soffitto a carena di nave) 108. Nella ben più quelle a sala e pseudo-basilicali diffuse stretta chiesa pesarese, invece, difficilmen- nell’architettura mendicante dell’Umbria te avrebbero potuto trovar posto massicci

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Figura 2 – Joan Blaeu, veduta di Pesaro in Theatrum civitatum et admirandorum Italiae, 1663, dettaglio.

25 Studi pesaresi 3.2015 piloni cilindrici o grandi pilastri ottagona- transetto su cui si aprivano varie cappelle, li (presenti nelle chiese pseudo-basilicali di cui le tre presbiteriali sono state plausi- delle Marche meridionali), che avrebbero bilmente ricostruite nel 1909 da Igino Ben- creato un effetto di soffocamento, mentre, venuto Supino come cappelle a terminazio- a quanto si deduce dagli scarni riferimenti ne rettilinea disposte a scalare 112. La parte documentari sopra esaminati, sembrerebbe- alta del disegno del Dotti (fig. 3) mostra la ro esservi stati pilastri a sezione quadrango- sezione longitudinale della chiesa orientale lare. Questi ultimi sarebbero stati inadatti a con volte a crociera, menzionate anche nel- sostenere pesanti volte a crociera e invece la descrizione dell’Alberti che specifica che idonei a una copertura con capriate lignee. vi era un dislivello tra le volte della navata Una tale articolazione spaziale a tre na- centrale e «le basse volte da li lati» 113. La vate di diversa altezza con pilastri a sezione chiesa occidentale invece, che nel Cinque- quadrata o rettangolare e copertura a capria- cento aveva un soffitto ligneo piano, doveva te richiama il modello della più importante essere in origine coperta da tetto a capriate. e prestigiosa chiesa domenicana della Lom- La ricostruzione delle vicende architetto- bardia Inferior e in generale una delle più niche dell’edificio medievale è quanto mai importanti dell’Ordine, ovvero San Dome- controversa ma l’ipotesi a mio avviso più nico a Bologna, custode del corpo dello stes- plausibile è che la nuova chiesa, edificata a so santo fondatore 109. L’interno a tre navate partire almeno dal 1228, fosse quella posta a della chiesa si presenta oggi in gran parte est della preesistente San Nicolò delle Vigne nell’aspetto conferitogli dalla ricostruzione 114. Questa ipotesi, recentemente contraddet- (1727-1733) dell’architetto Carlo France- ta, appare tuttavia verosimile sia sul piano sco Dotti, mentre l’esterno conserva mura- dell’interpretazione dei documenti 115 sia ture perimetrali medievali che mostrano di considerando le proporzioni insolitamente appartenere a diverse fasi costruttive. Dalla allungate dell’edificio, spiegabili a mio av- descrizione di Leandro Alberti in Delle hi- viso solo come risultato di una giustappo- storie di Bologna (1541) e da un disegno del sizione di due chiese distinte e di epoche Dotti (fig. 3 in basso) 110 sappiamo che San diverse allineate tra loro. La nuova chiesa Domenico era costituita, fino alla sua rico- era caratterizzata da pianta di tipo cistercen- struzione settecentesca, da due chiese a tre se con transetto con bracci più bassi della navate allineate tra loro: a ovest una corta navata centrale – come si evince dalle trac- basilica a tre navate, che l’Alberti descrive ce dei livelli originari nelle murature ester- come «tutta coperta di quadroni di legno ne 116 – e tre cappelle presbiteriali voltate a dorati et dipinti con varie et curiose figure» terminazione rettilinea e presentava pilastri (cioè con soffitto piano a cassettoni dipin- a sezione quadrata. Sull’originaria coper- ti) e della quale il Dotti disegna le colon- tura delle navate le opinioni divergono ma ne dalla sagoma circolare; a est una chiesa personalmente ritengo verosimile l’ipotesi sempre a tre navate introdotta da una cop- di Supino, resa plausibile anche da tracce di pia di «colonne grosse di matoni», come le sopraelevazione nelle murature esterne, che definisce l’Alberti, poste «ove finiscono le esse fossero inizialmente coperte a capriate, volte» 111. La parte est era sostenuta da pila- come sembrerebbe suggerire anche la pre- stri a pianta quadrata e si concludeva con un senza dei pilastri a sezione quadrata, e che

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Figura 3 – Carlo Francesco Dotti, sezione longitudinale e pianta della chiesa di San Domenico a Bologna, 1728, Gabinetto dei disegni e stampe della Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna. solo in un secondo momento, a partire dal trasformata in sala capitolare, per quanto 1298 (quindi dopo il 1287, data indicativa concerne il fianco verso il convento (dove per la chiesa pesarese), fossero state costrui- dovevano trovare posto anche il campanile te le volte a crociera. e la sacrestia). Comunque sia, la ricostru- Quindi l’architetto che progettò San Do- zione qui prospettata per il perduto interno menico a Pesaro poco prima del 1287 po- della chiesa di San Domenico a Pesaro e l’i- teva vedere ancora la situazione originaria dea di una sua dipendenza dalla pure in gran delle tre navate di San Domenico a Bologna parte perduta chiesa duecentesca di San Do- e trarne spunto, rinunciando però al transet- menico a Bologna rimane ipotetica, anche to sporgente, assente anche in altre chiese se essa è a mio avviso resa plausibile dalla domenicane della Lombardia Inferior. Tale parentela formale, che approfondirò in altra assenza nel caso di Pesaro è in ogni caso im- sede, tra la superstite facciata della chiesa putabile ai condizionamenti urbanistici, per pesarese (fig. 4) e quelle, sia pure fortemen- quanto concerne il fianco dell’edificio verso te restaurate, di alcune chiese di Bologna, la piazza 117, e alla presenza nelle immedia- tra cui proprio quella di San Domenico (fig. te vicinanze della chiesa della preesistente 5) e di San Giacomo, con la quale già Luigi cappella dei Santi Giorgio e Caterina poi Serra aveva individuato delle affinità118 .

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Figura 4 – Pesaro, chiesa di San Domenico, facciata.

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Figura 5 – Bologna, chiesa di San Domenico, facciata.

29 Studi pesaresi 3.2015

1 Sulle modalità di insediamento degli Ordini abruzzese, ovvero nell’area geografica articolata mendicanti nelle città italiane basso-medievali tutt’o- nelle antiche circoscrizioni francescane della Provin- ra fondamentali sono gli studi di E. Guidoni, La città cia S. Francisci, della Provincia Marchie Anconitane dal Medioevo al Rinascimento, Laterza, Bari 19893, e della Provincia Pennensis. pp. 123-158; Id., Città e Ordini mendicanti. Il ruolo 5 Pellegrini, Insediamenti francescani cit., p. dei conventi nella crescita e nella progettazione ur- 163. bana del XIII e XIV secolo, in “Quaderni medievali”, 6 Letizia Pellegrini, Il convento di Ripatranso- II, 1977, 4, pp. 69-106. ne e l’apostolato di Giovanni da Pistoia: un saggio sul- 2 Cfr. E. Delsignore, Gli insediamenti degli le Marche dei Domenicani tra XIII e XV secolo, in “Stu- Ordini mendicanti a Pesaro, in “Pesaro città e contà”, dia picena”, LXXII, 2007, pp. 43-82, alle pp. 47-48. 2005, 21, pp. 61-67. 7 Sulle dinamiche e tipologie d’insediamento 3 E. Saracco Previdi (a cura), Descriptio Mar- dei frati minori cfr. L. Pellegrini, Gli insediamenti chiae Anconitanae, (Fonti per la storia delle Marche, degli Ordini mendicanti e la loro tipologia. Conside- n. s., III), Ancona 2000, pp. XIII-XIV, 53-56. Nella razioni metodologiche e piste di ricerca, in “Mélan- Descriptio i centri delle Marche risultano classificati ges de l’École française de . Moyen-Âge, temps in base alla loro estensione in «terre maiores» (Anco- modernes”: Les Ordres mendiants et la ville en Italie na, Fermo, Camerino, Ascoli e Urbino), «magne» centrale, LXXXIX, 1977, 2, pp. 563-573, specie alle (Pesaro, Fano, Fossombrone, Cagli, Jesi, Recanati, pp. 564-568. Macerata, Fabriano e San Severino), «mediocres», 8 Cfr. A. Montironi, Strategie urbane degli «parve» e «minores». Dal testo emerge chiaramente insediamenti agostiniani in alcuni centri delle Mar- come la realtà urbana delle Marche si configurasse che, in Arte e spiritualità nell’Ordine agostiniano e il secondo un panorama articolato, dal momento che convento di San Nicola a Tolentino, atti conv. “Arte e erano considerate «terre» anche piccoli e piccolissimi spiritualità negli Ordini mendicanti” (Tolentino, 1-4 centri, purché fortificati. In tale contesto così vitale e settembre 1992), Àrgos Edizioni, Roma 1994, pp. sfaccettato avevano fatto il loro ingresso circa un se- 117-124, a p. 118; R. Lambertini, Gli Ordini mendi- colo prima gli Ordini mendicanti. canti nelle Marche: per un’ipotesi di confronto a par- 4 L. Pellegrini (Insediamenti francescani tire dalla rete insediativa, in “Atti e memorie della nell’Italia del Duecento, Laurentianum, Roma 1984, Deputazione di st. p. per le Marche”: Istituzioni e so- pp. 164-169) e M. G. Del Fuoco (La provincia fran- cietà nelle Marche (secc. XIV-XV), atti conv. (Anco- cescana delle Marche: insediamenti francescani, re- na-Camerino-Ancona, 1-2-3 ottobre 1998), CIII, altà cittadina e organizzazione territoriale (secoli 1998, pp. 479-491, alle pp. 480-484. Sulla diffusione XIII-XIV), in L. Pellegrini, R. Paciocco (a cura), I dei conventi domenicani nella regione cfr. R. Elia, Francescani nelle Marche: secoli XIII-XVI, Silvana San Domenico nel Piceno (appunti storico-iconogra- Editoriale, Cinisello Balsamo 2000, pp. 24-37, a p. fici), in “Studia picena”, X, 1934, pp. 133-161, alle 24) hanno ben sottolineato il rapporto esistente tra la pp. 137-160; Id., L’Ordine domenicano nelle Marche, distribuzione degli insediamenti mendicanti, in parti- in “Memorie domenicane”, LXXXVI, 1969, 1, pp. colare di quelli francescani, e il tessuto agglomerativo 43-49; L. Cinelli, Insediamenti domenicani nelle delle singole regioni. Un’attenta indagine sulle moda- Marche (secc. XIII-XV), in Gli Ordini mendicanti lità e strategie insediative dei Francescani nell’Italia (secc. XIII-XVI), atti XLIII conv. di studi maceratesi del XIII-XIV secolo è stata condotta da Pellegrini (Tolentino, Abbadia di Fiastra, 24-25 novembre (ibid., pp. 163-164) che ha posto l’accento sulla diffu- 2007), Macerata 2009, pp. 155-168, alle pp. 158-165. sione capillare dell’Ordine minoritico, rilevando, sul- 9 Pellegrini, Il convento di Ripatransone cit., la base dei dati offerti dal Provinciale Vetustissimum pp. 48-49. di Paolino da Venezia, come la maggiore densità inse- 10 Ibidem. Scrive infatti: «Verificando nellade- diativa si abbia nelle valli dell’Appennino umbro- scriptio lo statuto delle sette città capo-custodia fran- marchigiano e nel versante adriatico marchigiano- cescane, si registra come cinque di esse siano definite

30 Chiara Pallucchini L’Ordine domenicano a Pesaro. maiores (Urbino, Ancona, Fermo, Camerino, Ascoli) adattamento o di ampliamento. La concessione di ter- e due magnae (Fano e Jesi); ma sono magnae anche reni ed edifici in cui i frati trovavano stabile insedia- Recanati, San Severino e Pesaro, dove pure i Dome- mento spesso era preceduta «da una fase di assesta- nicani posero un proprio convento: ciò vale a dire mento nel contesto urbano più o meno lunga, durante che, in tutta la Marca, la distribuzione degli insedia- la quale soggiornavano in residenze precarie spesso menti mendicanti riflette la gerarchia “socio-politica” di difficile identificazione…» e la cui localizzazione fissata nella descriptio albornoziana. Occorre infine poteva corrispondere o meno a quella della sede defi- notare […] che tutte le città in cui sono presenti i Do- nitiva ricevuta in donazione. Solo in un secondo mo- menicani (oltre che i Francescani e gli Agostiniani) mento, tra la seconda metà del XIII e il XIV secolo, sono anche sedi diocesane, con la sola eccezione pro- gli Ordini mendicanti avrebbero cominciato ad edifi- prio di Ripatransone; ma non tutte le sedi diocesane care monumentali organismi architettonici, quando sono occupate: […] i Domenicani non allestirono ormai apparivano ben inseriti e radicati nei differenti conventi nelle sedi diocesane di Macerata, Senigallia, contesti urbani (cfr. Montironi, Strategie urbane cit., Fossombrone, San Leo e […] a tutto il XIV secolo, p. 118). Risulta difficile stabilire, come ha sottolinea- anche di Osimo». to la Villetti, i tempi di costruzione dei grandi edifici 11 Lambertini, Gli Ordini mendicanti, cit., pp. chiesastici oggi visibili che, nella maggioranza dei 484-489, p. 488 per la citazione. La distribuzione dei casi, sono stati preceduti da «chiese date in conces- conventi agostiniani nelle Marche è stata ampiamente sione ai frati, oppure da modeste fabbriche iniziali»; indagata da R. Cicconi, Gli insediamenti agostiniani la studiosa ha riscontrato in numerosi casi l’esistenza nelle Marche e le relazioni del 1650, in Arte e spiri- di un notevole scarto cronologico tra il costituirsi di tualità cit., pp. 139-146; Id., Insediamenti agostiniani una sede stabile e la fabbrica definitiva della chiesa, nelle Marche del XVII secolo: le relazioni del 1650 e scarto che poteva raggiungere anche l’entità di un se- la soppressione innocenziana, Biblioteca Egidiana, colo e più. La Villetti sostiene convincentemente Tolentino 1994, pp. 8-10. come l’edificazione della maggior parte delle chiese 12 Su tempi e modalità di insediamento dei mendicanti oggi visibili sia da collocare nel corso Francescani e degli Eremiti di Sant’Agostino a Pesa- della seconda metà del Duecento, tra 1260 e 1290 cir- ro, così come sulle posizioni della critica in merito a ca, fase di massima espansione dell’edilizia france- tali temi, cfr. C. Pallucchini, La chiesa e il convento scana e domenicana che sarebbe poi proseguita anche di San Domenico a Pesaro: il contesto, il monumento, nei primi decenni del secolo successivo. il portale, tesi di laurea triennale, rel. F. Cervini, Uni- 14 Sull’architettura mendicante in Italia e sui versità degli Studi di Firenze, a.a. 2012/2013, pp. 18- suoi tempi di costruzione cfr. G. Villetti, Legislazio- 91 (depositata presso la Biblioteca Oliveriana e l’Ar- ne e prassi edilizia degli Ordini mendicanti nei secoli chivio e Biblioteca Diocesana di Pesaro). XIII e XIV, in R. Bonelli (a cura), Francesco d’Assi- 13 G. Villetti (L’edilizia degli Ordini mendi- si: chiese e conventi, Electa, Milano 1982, pp. 23-31, canti: prospettive di ricerca, in J. Raspi Serra (a alle pp. 24-28; Ead., Quadro generale dell’edilizia cura), Gli Ordini mendicanti e la città: aspetti archi- mendicante in Italia, in Lo spazio dell’umiltà, atti tettonici, sociali e politici, Guerini, Milano 1990, pp. conv. di studi sull’edilizia dell’Ordine dei minori 179-193, alle pp. 179-182), indagando il tema dell’e- (Fara Sabina, 3-6 novembre 1982), Fara Sabina 1984, dilizia mendicante, ha sottolineato come i membri dei pp. 225-274, alle pp. 225-228. Su tali tematiche cfr. tre Ordini, in particolare Francescani e Domenicani, anche R. Bonelli, Introduzione, in Francesco d’Assi- al momento del loro insediarsi nelle città non intra- si cit., pp. 7-12, alle pp. 10-12; Id., L’insediamento prendessero immediatamente la costruzione di nuovi francescano: legislazione, cronologia, linguaggio, complessi conventuali ma usufruissero di terreni, poetiche, in “Storia della città”: I Francescani in case, semplici cappelle, chiese o veri e propri com- Emilia, atti conv. (Piacenza, 17-19 febbraio 1983), plessi monastici preesistenti dati loro in concessione, VIII, 1983, 26-27, pp. 15-20, alle pp. 18, 20). Lo svi- che potevano poi essere fatti oggetto di interventi di luppo dell’edilizia domenicana del Duecento è stato

31 Studi pesaresi 3.2015 indagato da G. G. Meersseman (L’architecture domi- di storia e di spiritualità, in F. Mariano (a cura), Gli nicaine au XIIIe siécle. Legislation et pratique, in Agostiniani nelle Marche: architettura, arte, spiritua- “Archivum fratrum praedicatorum”, XVI, 1946, pp. lità, Federico Motta Editore, Milano 2004, pp. 15-43, 136-190) che enucleava tre fasi: un primo momento, a p. 25. dallo studioso definito della «gestazione» (1216- 17 I Francescani si insediarono inizialmente nel 1240), in cui i Domenicani avrebbero usufruito di preesistente monastero di San Pietro fuori porta Fane- chiese preesistenti, un secondo, definito dell’«infan- stra, documentato già nel 1188, per poi dare avvio zia» (1240-1263), in cui l’Ordine avrebbe intrapreso negli anni Sessanta-Settanta del Duecento alla costru- l’edificazione di proprie chiese di medie dimensioni e zione di una propria chiesa, precedente l’attuale, en- un terzo momento, definito dell’«adolescenza» tro il perimetro murario della città, cfr. A. Carile, (1264-1300), in cui sarebbero state ampliate le chiese Pesaro nel Medioevo. Problemi di storia delle istitu- precedentemente costruite o ne sarebbero state edifi- zioni e della società, in Pesaro tra Medioevo e Rina- cate altre di grandi dimensioni. scimento, (Historica Pisaurensia, II), Marsilio, Vene- 15 Per l’arrivo dei Francescani a Pesaro si di- zia 1989, pp. 3-54, a p. 22; M. Frenquellucci, La spone di un sicuro terminus ante quem: un testamento storia urbana di Pesaro nel Medioevo: mille anni di redatto nel 1244 in cui un tale Avidolo di Ravenna, trasformazioni, ibid., pp. 149-175, a p. 157. La chiesa residente a Pesaro, predisponeva un lascito di due sol- di San Lorenzo, menzionata da F. Fabbri (Historia di alla cattedrale e di tre soldi ai frati di San France- della vita et morte del glorioso S. Terentio martire ti- sco. Per il testamento cfr. A. Olivieri (Memorie per la tulare della catedrale et protettore della città di Pesa- storia della Chiesa pesarese nel secolo XIII, Pesaro ro, Bop, ms. 204, c. 94r) come «loco dell’hospedale» 1779, p. 106) che riporta solo parzialmente il docu- e oggi non più esistente, che fu concessa all’Ordine mento ma mostra di considerarlo un terminus ante degli Eremiti di Sant’Agostino nel 1258, come ho quem per l’arrivo in città dei Francescani, scrive in- tentato di dimostrare nella tesi di laurea, doveva sor- fatti che i frati minori «v’erano anche prima del gere all’incirca nell’area dove attualmente si trova la 1244». Il testamento è stato parzialmente pubblicato chiesa di Sant’Agostino e precisamente tra l’antica anche da M. Faloci Pulignani, La chiesa e il conven- porta Ravegnana, il cui arco scavalcava l’odierno cor- to di S. Francesco di Pesaro, in “Miscellanea france- so XI Settembre tra via Zanucchi e via Barignani, e scana di storia, di lettere, di arti”, XI, 1909, 5, pp. l’abbazia di San Cassiano. Il borgo di porta Ravegna- 173- 187, alle pp. 173-174. na, il più ampio fra i borghi sorti fuori dalle quattro 16 La data più verosimile, come ho tentato di porte urbiche, si estendeva a forma di triangolo fino al dimostrare nella tesi, per l’insediamento in città degli vecchio ponte sul fiume Foglia, cfr. L.M ichelini Toc- Eremiti di Sant’Agostino, già presenti fin dal 1238 in ci, Pesaro sforzesca nelle tarsie del coro di S. Agosti- territorio limitrofo con la fondazione brettinese di no, Pesaro 1971, p. 13. La prima menzione dell’am- Santa Maria (poi San Nicola) di Valmanente, è il pliamento del recinto urbano con «stangati», cioè con 1258, data tramandata dal cronista cinquecentesco T. fortificazioni di carattere provvisorio in legno, risale Diplovatazio (Chronicon Pisauri - copia del 1755 di al 1314 (cfr. Olivieri, Memorie cit., p. 69), anche se è Annibale Olivieri -, Biblioteca Oliveriana di Pesaro - da una rubrica dei non pervenuti statuti del 1347, ri- d’ora in poi Bop - , ms. 389, t. XII, c. 19v). Tale data portata dal Diplovatazio (il passo del cronista è stato ben si accorda con quanto sostenuto dalla storiografia trascritto da Vaccaj, Pesaro pagine di storia e topo- recente, secondo la quale il fenomeno dell’inurba- grafia, Pesaro 1909, cur. R. MARTUFI, Editrice Flami- mento avrebbe assunto una dimensione generalizzata nia, Pesaro 1984, pp. 16-17, appendice I, Traduzione a partire dalla ‘Grande Unione’ del 1256 per prose- dei brani latini, p. 147), che si apprende con precisio- guire poi per tutto il XIII secolo, cfr. Cicconi, Gli in- ne che due erano i borghi cinti da «stangati»: quelli sediamenti agostiniani cit., p. 142; Id., Insediamenti sorti fuori porta Curina e porta Ravegnana, cfr. anche agostiniani cit., pp. 8-9; Montironi, Strategie urbane G. Mori, Pesaro: caratteri, vita ed evoluzione di una cit., p. 118; P. Bellini, L’Ordine agostiniano. Spunti città, (Pubblicazioni dell’Istituto di Scienze Geografi-

32 Chiara Pallucchini L’Ordine domenicano a Pesaro. che dell’Università di Pisa, XXV-XXVI), Giardini, testimonianze che consentano di provare tale tesi è Pisa 1978-1979, p. 27; Frenquellucci, ibid., pp. 159- ribadita anche da L. L. Loreti (Nuova storia di Pesa- 163. G. Vaccaj (Pesaro, Italia artistica, XLII, Berga- ro: dalle origini alle vedute di Francesco Sforzini mo 1909, p. 12) riteneva tuttavia, senza fornire spie- 1684, Annesio Nobili, Pesaro 1992, p. 129) che evi- gazioni, che tali fortificazioni fossero state realizzate denzia inoltre un’incongruenza nelle affermazioni del prima della podestaria di Gianciotto (o Giovanni) Gozze. Lo studioso ritiene infatti che l’antico foro Malatesta detto lo Sciancato che fu per la prima volta fosse situato «all’intorno dell’angolo tra i palazzi Du- podestà di Pesaro nel 1285; Frenquellucci (ibid., p. cale e del Comune», quindi all’angolo opposto al 159) propone invece una datazione anteriore al 1291 complesso domenicano. per il loro impianto, adducendo come prova il fatto 19 Fabbri, Storia cit., c. 46; Id., Historia della che in quell’anno viene menzionato l’Hospitalis S. vita et morte cit., c. 85v. Iohannis de Porta nova, nome che nei documenti 20 Olivieri, Memorie cit., p. 114. quattrocenteschi designa la porta urbica che dava ac- 21 L’Olivieri (ibidem) ritiene che fosse stato cesso al porto fluviale. proprio il vescovo Francesco ad aver «o invitati, o 18 Secondo gli eruditi seicenteschi Fabbri (Hi- accettati in Pesaro i Frati dell’Ordine de’ Predicato- storia della vita et morte cit., c. 85v; Id., Storia di ri». Tale idea è stata accolta da N. Cecini, E. Preziosi, Pesaro, Bop, ms. 320, c. 46) e M. A. Gozze (Delle P. Manzetti (La cattedrale di Pesaro e la serie dei memorie della città di Pesaro, Bop, ms. 1147, t. VIII, suoi vescovi, Pesaro 1986, p. 28 n. 34) e da A. Amato- cc. 14v-15r) il convento domenicano sarebbe sorto ri, D. Simoncelli (La Chiesa pesarese dalle origini ai sulle rovine di un tempio romano dedicato a Giove. nostri giorni, Herald, Roma 2003, p. 63) che danno Marco Antonio Gozze ritiene che nel 174 a. C., appe- per fatto accertato che Francesco fosse stato il promo- na dieci anni dopo la fondazione della colonia romana tore della venuta a Pesaro dei Domenicani, quando si di Pisaurum, si fosse dato avvio alla costruzione del tratta solo di una congettura dell’Olivieri. tempio di Giove, attribuendone il merito al censore 22 Olivieri, Memorie cit., pp. 115-116. Fulvio Flacco, tempio che sarebbe sorto in prossimità 23 Olivieri, ibid., p. 115. Uguccione fu vescovo del foro e a dimostrazione di tale localizzazione addu- di Pesaro dal 1257 al 1267 e venne poi trasferito alla ce la consuetudine dei Romani di erigere gli edifici diocesi di Jesi. Secondo l’Olivieri (ibid., p. 109) tale più importanti nei punti centrali delle città, ovvero trasferimento sarebbe avvenuto nel 1267, secondo in- nelle vicinanze del foro. La tesi secondo cui il con- vece G. Cappelletti (Le chiese d’Italia dalla loro ori- vento dei Predicatori sarebbe sorto sulle rovine di un gine sino ai nostri giorni, vol. III, Venezia 1845, p. antico tempio, come ha ben sottolineato A. Brancati 358) e P. B. Gams (Series Episcoporum Ecclesiae (Un triste caso di trasformismo architettonico: la Catholicae, Regensburg 1873-1886, ediz. cons. rist. chiesa di San Domenico in Pesaro, in Id., Una statua, anast., Graz 1957, p. 700) nel 1268. Sulla figura di un busto e una fontana di Lorenzo Ottoni: pagine di questo vescovo cfr. anche Cecini, Preziosi, Manzetti, storia pesarese, Pesaro 1981, pp. 393- 442, a p. 421 La cattedrale cit., p. 28 n. 31; Amatori, Simoncelli, nota 1), non risulta confermata da alcuna prova; an- La Chiesa pesarese cit., p. 63. che I. Zicari (voce Pisaurum, in A. F. Von Pauly, G. 24 Olivieri, Memorie cit., pp. 115-116. La bolla Wissowa (a cura), Realencyclopädie der klassischen è menzionata anche nel manoscritto, compilato alla Altertumswissenschaft, supplemento XI, Stuttgart fine del Settecento dal priore Paolo Lastrico ma con 1968, col. 1092, ediz. it. cons. in “Studia Oliveriana”, alcune aggiunte successive dovute ad altre mani, con- XVII, 1969, pp. 26-30), pur riconoscendo a Fulvio tenente i regesti dei documenti relativi al complesso Flacco il merito di aver eretto a Pesaro un tempio in domenicano, conservato un tempo presso l’archivio onore di Giove, non fa alcun riferimento alla tesi del del convento e oggi presso l’Archivio diocesano di Gozze, respingendola quindi e silentio, dal momento Pesaro, e recentemente pubblicato in L. Fontebuoni, che non è giunta a noi alcuna testimonianza né arche- A. Frank-Kiss, Il Repertorio dell’archivio di S. Do- ologica né epigrafica atta a confermarla. L’assenza di menico di Pesaro, in “Frammenti. Quaderni per la ri-

33 Studi pesaresi 3.2015 cerca”, V, 2000, pp. 49-148, alle pp. 49, 54 (per la Relligiosi avevano cominciato ad edificare la Chiesa struttura del manoscritto), 80 (per la bolla). Nel Re- col molto dispendio. L’Olivieri […] opina che avanti pertorio, fra le bolle regestate, compare infatti all’an- dell’anno 1287 venissero i Domenicani in Pesaro, e no 1265 la «bolla di Clem[ente] IV. Virtute conspi- con molto fondamento». cuos etc. Copia autentica approvata da f[ra] Francesco 32 Il Bonamini (Cronaca cit., t. II, c. 50) scrive Vescovo di Pesaro nel 1279. Le manca il sigillo». infatti all’ano 1237: «Se si potesse sicura prestar cre- 25 Olivieri, Memorie cit., p. 116. denza agli Annali della Religione Domenicana, vo- 26 L’Olivieri (ibid., pp. 114-115) riporta solo i gliono quelli, che in quest’anno si cominciasse a fa- passi più significativi della lettera di indulgenze di bricare il loro Convento e Chiesa, avutane già la Accursio. Per la trascrizione integrale del documento delegazione il Vescovo di Camerino negl’anni innan- cfr. A. Olivieri, Spogli d’archivj, Bop, ms. 376, t. II, zi dal Pontefice Honorio III». L’erudito prosegue poi c. 512r-v. Sulla figura del vescovo Accursio, che con- affermando: «Io per me nol credo, sapendo che la loro cesse indulgenze anche per il rifacimento della catte- Chiesa non fu aperta, se non che nell’anno 1287. In drale di Pesaro, cfr. Cecini, Preziosi, Manzetti, La 60 anni di fabrica si fanno gran cose». Gli Annali cattedrale cit., p. 28 n. 35; Amatori, Simoncelli, La dell’Ordine, identificabili probabilmente col Libro Chiesa pesarese cit., pp. 63-65. Croce e il Libro Rosso usati pure dal compilatore del 27 Olivieri, Spogli cit., t. II, cc. 513 (testo), Repertorio Paolo Lastrico (vedi nota 30), sono men- 611v-612r (regesto). zionati dal Bonamini, sempre in relazione alla data 28 Cfr. Gams, Series Episcoporum cit., p. 679. 1237, anche in un altro suo testo manoscritto, cfr. Id., 29 Fontebuoni, Frank-Kiss, Il Repertorio cit., Memorie ecclesiastiche cit., par. XXIX. p. 64. 33 Ibidem. 30 Le considerazioni sui tempi di fondazione e 34 Vedi nota 32. Il Bonamini accenna solo bre- costruzione del complesso domenicano coincidono vemente alla concessione di indulgenze di Accursio, con quelle esposte nel Saggio preliminare con cui si cfr. Bonamini, Memorie ecclesiastiche cit., par. apre il Repertorio nel quale Lastrico dichiara di di- XXXIV; Id., Le chiese di Pesaro, Bop, ms. 456, t. I, c. pendere dalle notizie contenute in due testi mano- 282r. scritti già conservati nell’archivio del convento e oggi 35 Bonamini, Cronaca cit., t. II, c. 73. perduti: il Libro Croce e il Libro Rosso, cfr. Fonte- 36 S. Ortolani, Della Chiesa pesarese inco- buoni, Frank-Kiss, Il Repertorio cit., p. 64. Il compi- minciando dalla sua origine fino al 1860. Memorie latore scrive che la chiesa di San Domenico sarebbe storico-critiche compilate sui manoscritti di Teofilo stata «incominciata» nel 1237, «aperta» nel 1287, Betti, Bop, ms. 1663, t. I, cc. 462v-463v. «terminata» nel 1390 e «consagrata» nel 1420. 37 Vaccaj (Pesaro pagine cit., p. 29) accoglie 31 Nella sua cronaca D. Bonamini (Cronaca la data 1237, riportata dai già menzionati Annali, per della città di Pesaro, Bop, ms. 966, t. II, c. 66) si limi- l’insediamento dell’Ordine in città e, muovendo dalle ta a menzionare le opinioni del Fabbri e dell’Olivieri affermazioni del Fabbri e dell’Olivieri, sostiene che i sulla cappella di San Giorgio e Santa Caterina e a tra- Domenicani avessero usufruito inizialmente di una scrivere l’iscrizione con la data 1287 presente in chie- piccola chiesa preesistente, la cappella di San Giorgio sa, senza però prendere posizione. In un altro suo te- e Santa Caterina, che sarebbe poi stata trasformata in sto manoscritto invece l’erudito (Id., Memorie sala capitolare in seguito all’edificazione della chiesa ecclesiastiche pesaresi, Bop, ms. 968, par. XXXIV) attuale. mostra di condividere l’opinione dell’Olivieri in me- 38 La data 1237 per l’ingresso a Pesaro dei frati rito all’arrivo dei Domenicani a Pesaro prima del predicatori è stata accolta, oltre che da Giulio Vaccaj 1287, scrive infatti: «1287. Credesi che in quest’anno (vedi nota 37), da N. Cecini (Pesaro, Pesaro 1973, p. fosse introdotta in Pesaro la Relligione de PP. Dome- 32), R. Bertozzi (Il gotico-cortese e la politica cultu- nicani, trovandosi nel loro Archivio […] la Patente rale dei Malatesta a Pesaro e a Fano, in F. Battistel- del Vescovo Acursio, nella quale si dice che i detti li (a cura), Arte e cultura nella provincia di Pesaro e

34 Chiara Pallucchini L’Ordine domenicano a Pesaro.

Urbino: dalle origini a oggi, Marsilio, Venezia 1986, dal connubio tra tradizione devozionale e storiogra- pp. 113-126, a p. 116), Amatori, Simoncelli (La Chie- fia locale scaturisse l’improbabile figura di un «Fran- sa pesarese cit., pp. 82-83) e con una certa cautela cesco dotato di multilocazione per far fiorire conven- anche dalla Delsignore (Gli insediamenti cit., p. 62). ti ad ogni piè sospinto dei suoi ininterrotti e frenetici 39 Cfr. R. Elia (Memorie domenicane a Pesaro, viaggi». In un contributo recente T. di Carpegna Fal- in “Memorie domenicane”, L, 1933, 2, pp. 91-98, alle conieri (Per una storia degli insediamenti mendican- pp. 91-92; Id., San Domenico cit., p. 139) che, basan- ti nel Montefeltro, in C. Cerioni, T. di Carpegna Fal- dosi sull’Olivieri, ritiene che la data più probabile per conieri (a cura), I conventi degli Ordini mendicanti l’arrivo dei frati in città sia il 1278 e che sia stato il nel Montefeltro medievale. Archeologia, tecniche di vescovo Francesco, proveniente dalle fila dell’Ordine costruzione e decorazione plastica, Firenze Univer- minoritico, ad averli qui introdotti, rinnovando in tal sity Press, Firenze 2012, pp. 9-19), occupandosi del- modo, secondo lo studioso, «il gesto di amicizia fra- la tradizione relativa alla presenza di san Francesco terna che unì i Santi Fondatori dei due Ordini». nel Montefeltro nel 1213 (quando si sarebbe recato a 40 Cfr. D. Trebbi, B. Ciampichetti, Pesaro: sto- San Leo, dove avrebbe ricevuto in donazione da Or- ria di una città, Pesaro 1984, p. 130 (che ritengono lando da Chiusi il monte della Verna) e verso il 1224, erroneamente che i Domenicani stessi avessero edifi- e dei conventi francescani di quell’area, tende a con- cato nel 1287 la cappella di San Giorgio e Santa Ca- siderare attendibile la presenza del santo ma si mo- terina); A. Marchi, Una scheda per il portale di San stra cauto sulla fondazione da parte dello stesso o di Domenico a Pesaro, in F. Panzini (a cura), Il restauro suoi diretti seguaci di conventi, le cui prime attesta- del portale della chiesa di San Domenico a Pesaro, zioni sono comprese tra il 1244 (Sant’Igne) e il 1297 Pesaro 2000, pp. 8-19, a p. 10. Brancati (Un triste (Sassocorvaro). Per quanto concerne invece l’Ordine caso cit., p. 393) ha mostrato invece una certa cautela domenicano, un’attenta ed esaustiva ricognizione sulla data dell’introduzione dell’Ordine in città, limi- delle tradizioni fiorite in numerose città marchigiane tandosi a sostenere che esso sarebbe stato presente a relative alla presenza di san Domenico nella regione Pesaro nel 1287 e «forse anche prima». Sulla scia di e alla fondazione da parte dello stesso di numerose Brancati anche Frenquellucci (La storia urbana cit., sedi (tra cui quelle di Fano, Ancona, Jesi, San Seve- p. 157) resta su posizioni un po’ vaghe, affermando rino e Fermo) è stata condotta da Elia (San Domeni- che i frati predicatori sarebbero giunti a Pesaro prima co cit., pp. 135-137) che tuttavia sottolinea come tali del 1291. tradizioni non trovino alcun riscontro nei documenti 41 Per quanto concerne le Marche e l’Ordine e nelle fonti. minoritico, L. Fontebuoni (Chiese e conventi degli 42 Cfr. Cecini, Pesaro cit., p. 32. La bolla del Ordini mendicanti e gli edifici gotici dei centri mag- 1239 è stata menzionata anche da altri studiosi suc- giori e dintorni, in Arte e cultura cit., pp. 97-102, a p. cessivi che non specificano però la fonte dell’infor- 97), la Del Fuoco (La provincia francescana cit., p. mazione, cfr. Bertozzi, Il gotico-cortese cit., p. 116; 25) e L. Marcelli (Gli insediamenti dei frati minori Delsignore, Gli insediamenti cit., p. 62 (che ritiene nella Provincia Marchiae Anconitanae (secc. XIII- che i frati predicatori avessero officiato una sola cap- XIV): problemi di “fondazione agiografica”, in Gli pella). Brancati (Un triste caso cit., p. 421 nota 1), Ordini mendicanti cit., pp. 169-197) ricordano una pur non accennando esplicitamente a tale documen- serie di conventi che secondo la storiografia locale, to, informa che negli Spogli d’archivj si trovano tra- rappresentata da studiosi quasi sempre appartenenti scritte «per mano di Annibale degli Abbati Olivieri all’Ordine, e secondo tradizioni di carattere devozio- Giordani alcuni privilegi dell’Ordine domenicano nale sarebbero stati fondati dallo stesso san France- compresi tra il 1239 e il 1530, oltre a numerose per- sco o dai suoi più diretti seguaci. Già Pellegrini (In- gamene riguardanti gli “interessi” di quella comunità sediamenti francescani cit., pp. 190-191), religiosa». analizzando alcuni casi di conventi veneti la cui fon- 43 Olivieri, Spogli cit., t. II, c. 1r. Probabilmen- dazione era attribuita al santo di Assisi, notava come te l’Olivieri si è servito di un elenco di bolle (già cu-

35 Studi pesaresi 3.2015 stodite in copia nell’archivio del convento domenica- Guido di Limoges è stata pubblicata in J. Quetif, J. no di Pesaro) analogo verosimilmente a quello Echard, Scriptores Ordinis Praedicatorum, t. I, Lute- contenuto nel già menzionato Repertorio redatto dal tiae Parisiorum 1719, pp. IV-XV, specie a p. VII (per priore Lastrico. Per quanto concerne il Medioevo, le l’elenco dei conventi della Lombardia Inferior). I bolle elencate nel Repertorio (cfr. Fontebuoni, conventi domenicani dislocati all’inizio del XIV se- Frank-Kiss, Il Repertorio cit., pp. 80-81) risalgono colo sul territorio della Marca Anconetana citati da rispettivamente al 1239 («bolla di Greg[orio] IX. Bernardo sono undici: Jesi, San Severino, Fermo, Quia pr[i]ori sunt ab adolescentia hominis sensus», Ascoli, Ancona, Fano, Recanati, Ripatransone, Pesa- in copia autenticata del 1340 fatta a Bologna), al 1260 ro, Urbino e Camerino. Su questo elenco, nel quale («bolla di Ales[sandro] IV. Meritis Religionis vestrae non compare il convento di Osimo, citato però in una inducimur», in copia autenticata del 1375 fatta a bolla di Onorio IV del 13 febbraio 1286 diretta al ve- Fano), al 1265 («bolla di Clem[ente] IV. Virtute con- scovo della città, con la quale veniva concesso ai fra- spicuos», in copia autenticata del 1279 fatta a Pesa- ti predicatori il pieno possesso del preesistente mona- ro), al 1290 («bolla di Nicolò IV. Cum olim ex parte stero di San Fiorenzo, cfr. Lambertini, Gli Ordini vestra», in copia semplice), al 1300 («bolla di mendicanti cit., p. 482; Pellegrini, Il convento di Ri- Bonif[acio] VIII. Super cathedram praeminentiae patransone cit., p. 46; Cinelli, Insediamenti domeni- pastoralis», in copia semplice), al 1304 («bolla di cani cit., pp. 156-157. Sull’ipotesi che Bernardo di Bened[etto] XI. Inter caeteros ordines, quos coelestis Guido abbia seguito nell’elencare i conventi l’ordine agricola», in copia autenticata fatta a Fano) e al 1396 cronologico della loro fondazione canonica cfr. Pel- («bolla di Bonifacio IX. Religionis zelus», in origina- legrini, ibid., p. 51. le). Tali bolle sono le stesse menzionate anche dall’O- 45 Sulla storia dell’insediamento dei Domeni- livieri (ibid., cc. 1r-2v) in apertura al suo testo. A un cani a Bolzano cfr. C. Longo, I Domenicani a Trento controllo effettuato su A. Bremond, T. Ripoll (Bulla- e a Bolzano nel sec. XIII tra due mondi e due culture, rium Ordinis FF. Praedicatorum, t. I, Romae 1729, in F. Dal Pino, D. Gobbi (a cura), Istituzioni monasti- pp. 390, 452; Eid., Bullarium Ordinis FF. Praedicato- che medievali nelle diocesi di Trento e di Bressanone/ rum, t. II, Romae 1730, pp. 30, 95, 356) è risultato Mittelalterliche Stifte und Klöster in den Diözesen che la bolla del 1260 (con cui il papa annullava le Trient und Brixen, atti conv. (Trento, 19 aprile 1996), sentenze di scomunica, di sospensione a divinis e di (Studi e testi. Supplemento, XII), Civis, Trento 1996, interdetto comminate da arcivescovi e vescovi a frati pp. 61-86, alle pp. 79-85; W. Schneider, Prospetto domenicani), quella del 1265 (con cui il pontefice cronologico, in S. Spada Pintarelli, H. Stampfer (a confermava una serie di privilegi all’Ordine e ne con- cura), Domenicani a Bolzano, cat. mostra (Bolzano, cedeva altri), quella del 1290 (con la quale il papa, 20 marzo-20 giugno 2010), (Quaderni di storia citta- confermando un privilegio di Clemente IV, dichiara- dina, II), Bolzano 2010, pp. 14-15, a p. 14. La costitu- va che i Domenicani potevano entrare in possesso di zione ufficiale del convento si ebbe tra il 1286 e il eredità testamentarie), quella del 1304 (con la quale il 1287: l’insediamento domenicano di Bolzano viene pontefice esentava i conventi domenicani dalla giuri- infatti per la prima volta definito convento in un do- sdizione dei vescovi) e quella del 1396 (con la quale cumento datato 14 novembre 1287 con il quale Mai- il papa concedeva ai Domenicani la libertà di poter nardo II concedeva ai Domenicani l’esenzione doga- usufruire dei lasciti testamentari) riguardano tutto nale per generi alimentari e mercanzia necessari per il l’Ordine domenicano nel suo insieme e in nessuna di loro sostentamento e vestiario. In verità per Bolzano esse si fa riferimento a conventi e località specifiche. non si dispone dell’atto ufficiale di fondazione del Nei due tomi del Bullarium non compaiono invece le convento; Longo (ibid., p. 84) avanza tuttavia una bolle del 1239 e del 1300 ma si può verosimilmente plausibile datazione al 1286 sulla base di un capitolo supporre che anche queste riguardassero questioni generale tenutosi a Parigi in quell’anno che aveva au- generali. torizzato l’apertura di un convento nella provincia di 44 L’opera del famoso inquisitore Bernardo di Lombardia senza però specificare la località.

36 Chiara Pallucchini L’Ordine domenicano a Pesaro.

46 Per l’insediamento dei Domenicani a Chiog- presenza sotto l’iscrizione di una croce che, come scrive, gia e per la loro chiesa cfr. T. Salvagno, Il santuario «suol vedersi nella Consacrazione delle Chiese». di S. Domenico di Chioggia: note storiche e artisti- 56 Il testamento è stato parzialmente trascritto che, Chioggia 1961, pp. 1-2. La fondazione del con- dall’Olivieri (Memorie cit., pp. 116-117; Id., Spogli vento di Chioggia fu autorizzata dal capitolo generale cit., t. II, c. 514r). In questa sede riporto del documen- di Bourdeaux del 1287, cfr. Longo, I Domenicani a to i passi più significativi al fine del nostra ricerca: Trento cit., p. 84. relinquo loco Fr[atr]um Predicatorum de Pensauro, 47 Sulla problematica ricostruzione dell’esten- ubi iubeo corpus meum sepeliri 500. libr[as] sione e della facies della platea magna medievale e Rav[ennates] et Ancon[itates] qui denarii expendi rinascimentale cfr. M. Frenquellucci, Il Palazzo Du- debeant in constructione et fabrica Ecclesie d[i]c[t] cale sulla scena della piazza di Pesaro all’epoca dei orum Fr[atr]um de Pensauro nec alibi, nec alio Malatesta e degli Sforza, in M. R. Valazzi (a cura), modo. Guiborga nomina poi come fidecommissari il La corte di Pesaro: storia di una residenza signorile, priore dei Domenicani e sua figlia Lucia: volo et iu- Panini, Modena 1986, pp. 57-66; Id., La storia urba- beo meos fideicommissarios fore Fr[atr]em Filippum na cit., pp. 151-154. Per la residenza dei Malatesta si Priorem Fr[atr]um Predicatorum de Pens[auro], vel vedano le differenti opinioni in merito alla sua ubica- alium qui esset pro tempore, et Luciam meam filiam. zione e alla sua epoca di edificazione di Vaccaj (Pe- La donazione alla chiesa di San Domenico è confer- saro pagine cit., pp. 18-20, 30-33) e di S. Eiche (La mata anche nel sunto del testamento premesso al co- corte di Pesaro dalla case malatestiane alla residen- dicillo aggiunto nell’anno 1300, trascritto sempre za roveresca, in La corte di Pesaro cit., pp. 13-31, alle dall’Olivieri (Spogli cit., t. II, c. 515r), in cui si dice: pp. 20-21). In Xpi N[omine] 1300 […]. Cum d[omi]na Guiburga 48 La chiesa di San Domenico a Modena venne […] in suo testam[ent]o reliquerit 600. libras et ultra distrutta nel 1707-1708 per il completamento del con- pro eius anima distribuendas silicet 500. libras pro tiguo Palazzo Ducale, la cui costruzione era stata in- fabrica loci S[an]cti D[omi]nici Fr[atr]um Predica- trapresa nel 1635 per volere di Francesco I d’Este torum distribuendas per d[omi]nam Luciam suam fi- sull’area precedentemente occupata dal medievale liam, et per Fratrem Phylippum Priorem loci Fr[atr] Castello Estense. La chiesa domenicana fu ricostruita um Predicatorum de Pesauro vel per priorem qui pro poco distante e inaugurata il 7 gennaio 1731, cfr. M. tempore erit Prior in d[ict]o loco S[an]cti Dominici. Ardovini, La chiesa di San Domenico, in G. Soli, La Si può notare che mentre nel testamento del 1292 si chiesa di S. Domenico, (Le chiese di Modena, VII), parla semplicemente della costruzione e della fabbri- Edizioni Il Fiorino, Modena 1992, pp. 5-8, a p. 5. ca di una chiesa dei frati predicatori senza alcun rife- 49 Per tali vicende cfr. Brancati, Un triste caso rimento all’intitolazione della chiesa, nel sunto pre- cit., pp. 410, 413; Trebbi, Ciampichetti, Pesaro: sto- messo al codicillo è riportata l’intitolazione a San ria cit., pp. 130-131; Loreti, Nuova storia cit., p. 136. Domenico del nuovo edificio chiesastico. Il testamen- 50 Vaccaj, Pesaro cit., pp. 20, 26. to è regestato stranamente sotto l’anno 1299 nel Re- 51 Vedi nota 56. pertorio tardo-settecentesco dell’archivio di San Do- 52 Elia, Memorie domenicane cit., pp. 91-92; menico, cfr. Fontebuoni, Frank-Kiss, Il Repertorio Id., San Domenico cit., p. 139. cit., p. 91. 53 Brancati, Un triste caso cit., p. 393; Amato- 57 Vedi nota 26. ri, Simoncelli, La Chiesa pesarese cit., p. 153; Treb- 58 Fabbri, Historia della vita et morte cit., c. bi, Ciampichetti, Pesaro: storia cit., p. 130. 85v; Id., Storia cit., c. 46. 54 Cfr. Bonamini, Cronaca cit., t. II, c. 73; Id., 59 Vaccaj (Pesaro pagine cit., p. 29), sostenen- Le chiese cit., t. I, c. 283 (a cui si deve la trascrizione do in modo contraddittorio rispetto a quanto afferma- integrale dell’iscrizione, riportata invece solo parzial- to in un altro suo studio (vedi nota 50) la tesi dell’am- mente dal Fabbri). pliamento tardo-trecentesco della chiesa, sorvolava 55 Il Bonamini (Cronaca cit., t. II, c. 73) ricorda la però su quante navate essa avesse avuto prima di tale

37 Studi pesaresi 3.2015 intervento. La tesi di Vaccaj ha avuto ampio seguito interpretazione, in “Storia della città”, III, 1978, 9, nella critica, cfr. Elia, Memorie domenicane cit., p. pp. 5-15, specie alle pp. 5-10), A. Cadei (Architettura 92 (che, sebbene implicitamente, suggerisce l’ipotesi mendicante: il problema di una definizione tipologi- che la chiesa in origine fosse a due navate; afferma ca, in “Storia della città” cit., 1983, pp. 21-32, specie infatti che in seguito all’aggiunta di una navata «a a p. 23) e H. Dellwing (Le chiese degli Ordini mendi- volte puntate dové la chiesa risultare a tre navi»); Ce- canti nelle Marche: tipologia e forma, in Arte e spiri- cini, Pesaro cit., p. 44 (che in maniera più sfumata, tualità negli Ordini mendicanti. Gli Agostiniani e il senza attribuire direttamente all’intervento malate- Cappellone di S. Nicola a Tolentino, Àrgos Edizioni, stiano l’ampliamento della chiesa, sostiene che nel Roma 1992, pp. 71-76) hanno sottolineato come nes- corso del XIV secolo l’edificio fosse stato allargato sun Ordine mendicante si sia mai attenuto scrupolosa- assumendo «la forma a tre navate»); Brancati, Un mente a norme prestabilite e a uno schema architetto- triste caso cit., p. 393 (secondo il quale la chiesa, ori- nico fisso ma come al contrario l’architettura ginariamente ad una navata, sarebbe stata oggetto nel mendicante si sia spesso confrontata con le diverse corso del Trecento di «alcune importanti modifiche tradizioni architettoniche locali, evidenziando dunque strutturali, la più vistosa delle quali fu quella dell’am- la difficoltà di enucleare un linguaggio autonomo, ca- pliamento a tre navate»); Trebbi, Ciampichetti, Pesa- ratteristico e distintivo dell’architettura degli Ordini ro: storia cit., p. 130 (secondo i quali la chiesa sareb- mendicanti. Questi studiosi hanno riscontrato comun- be stata in origine a navata unica e solo in un secondo que una prevalenza della tipologia a navata unica nel- momento, che i due studiosi non specificano, amplia- le chiese mendicanti, soprattutto francescane, dell’I- ta mediante la costruzione di due navatelle); Bertoz- talia centrale, tipologia che, in virtù della sua zi, Il gotico-cortese cit., p. 116 (secondo la quale du- semplicità, avrebbe ben espresso lo spirito pauperisti- rante la signoria di Malatesta dei Sonetti la chiesa co di tale Ordine. Per quanto concerne le Marche, sarebbe stata rinnovata e ampliata con la costruzione, Dellwing (ibid., p. 72) osserva come la maggior parte oltre che del portale di facciata, di due navate latera- delle chiese mendicanti edificate nella regione tra Due li); Loreti, Nuova storia cit., p. 129 (che si limita ad e Trecento siano del tipo a navata unica senza volte affermare che durante la signoria di Malatesta dei So- ma con copertura a capriate a vista. Anche L. Barto- netti la chiesa sarebbe stata «ampliata a tre navate»); lini-Salimbeni (Resti monumentali e modelli architet- F. Panzini, Le metamorfosi di una chiesa, in Il restau- tonici francescani fino all’Osservanza, in I France- ro cit., pp. 20-25, a p. 21 (che ripropone l’ipotesi che scani cit., pp. 124-151, a p. 135), che ha condotto una nel corso dei lavori promossi dal signore di Pesaro ricognizione delle chiese francescane della regione sarebbero state aggiunte alla chiesa «due modeste na- con il preciso intento di riscontrarvi caratteri comuni, vate laterali»); Amatori, Simoncelli, La Chiesa pesa- nota come la maggior parte delle chiese databili tra il rese cit., p. 153 (i quali affermano che la chiesa, ori- quarto decennio del Duecento e i primi due decenni ginariamente a una sola navata, sarebbe poi stata del Trecento presentino, pur con lievi differenze, ca- allargata di un’altra navata nel corso dei lavori pro- ratteristiche tipologiche comuni (chiese a navata uni- mossi dal Malatesta, assumendo in tal modo un’icno- ca con copertura a tetto); l’unica ricerca formale e grafia a due navate). costruttiva avrebbe riguardato il coro «dove compare 60 Sulle tipologie architettoniche adottate dagli il sistema voltato e, almeno agli inizi, si concentra la Ordini mendicanti esiste un’ampia bibliografia. In decorazione sotto forma di vetrate e affreschi». Del- questa sede mi limito a menzionare solo alcuni studi lwing (ibid., pp. 71-72), pur notando per il Due-Tre- sia di taglio generale che rivolti all’analisi della regio- cento la preponderanza nella regione di chiese a nava- ne che qui interessa. R. Wagner-Rieger (Zur Typolo- ta unica, non ritiene tuttavia questa tipologia esclusiva; gie italienischer Bettelordenskirchen, in “Römische sottolinea infatti come i Mendicanti adottassero nella historische Mitteilungen”, II, 1957-1958, pp. 266- costruzione delle loro chiese anche una differente ti- 298, alle pp. 266, 288-289), A. M. Romanini (L’archi- pologia, quella a tre navate. La scelta di un determina- tettura degli Ordini mendicanti: nuove prospettive di to tipo sarebbe stata condizionata da una molteplicità

38 Chiara Pallucchini L’Ordine domenicano a Pesaro. di fattori, fra cui lo spazio urbano disponibile: la scar- 62 Bonamini, Le chiese cit., t. I, c. 283; Fonte- sità di spazio potrebbe aver indotto all’adozione della buoni, Frank-Kiss, Il Repertorio cit., p. 64. tipologia a navata unica, in quanto generalmente tali 63 Cfr. ibid., p. 91. edifici sono di minori dimensioni (sebbene esistano 64 Vedi nota 56. anche chiese ad una navata di grandi dimensioni) ri- 65 Per il testo dell’iscrizione cfr. Fabbri, Histo- spetto a quelli a tre navate. Anche il desiderio di rag- ria della vita et morte cit., c. 85v; Id., Storia cit., c. giungere la massima semplicità, in accordo con gli 46; Bonamini, Cronaca cit., t. II, c. 181; Id., Memorie ideali di povertà e umiltà, potrebbe aver giocato un cit., par. L. La notizia della consacrazione del 1420 è ruolo nella scelta dell’aula unica. Pellegrini (Gli in- riportata anche nel Saggio preliminare del Repertorio sediamenti degli Ordini mendicanti cit., pp. 568-573) e nel commento al regesto relativo alla concessione di ha ben illustrato la varietà di fattori che poteva influire indulgenze da parte del vescovo di Camerino nel sulla scelta di una determinata tipologia di insedia- 1287, cfr. Fontebuoni, Frank-Kiss, Il Repertorio cit., mento da parte degli Ordini mendicanti e la conse- p. 64. guente difficoltà di enucleare una serie tipologica di 66 Cfr. ibid., p. 91. tali insediamenti. Dellwing (ibid., p. 71) rigetta l’i- 67 Cfr. Vaccaj (Pesaro pagine cit., p. 30). Il dea, espressa in passato, dell’esistenza di un tipo ita- passo è commentato da Loreti (Nuova storia cit., p. liano di chiesa mendicante a navata unica così come il 130) che, notando l’assenza della parte alta del cam- tentativo di ricercare il prototipo di tale tipologia e di panile nella presunta veduta della chiesa in una delle dimostrare la derivazione delle chiese da esso. tarsie del coro di Sant’Agostino a Pesaro, da lui data- 61 Tale tipologia è frequente invece nelle chiese te al 1484, ritiene il campanile ultimato dopo tale data mendicanti francesi, specie domenicane, a partire da ed entro il 1663 (veduta del Blaeu). Il campanile con Saint-Jacques di Parigi, chiesa ricavata entro un pree- la sua copertura compare comunque già nella veduta sistente ospedale di cui l’Ordine domenicano era en- della città di Pesaro del Mingucci del 1626. La data- trato in possesso nel 1218 e di cui aveva ottenuto il zione delle tarsie di Sant’Agostino non era fino a po- titolo di proprietà nel 1221 (cfr. W. Schenkluhn, Ar- chi anni fa nota. Solo grazie alla pubblicazione dei chitektur der Bettelorden. Die Baukunst der Domini- documenti sugli artisti attivi a Pesaro in età malate- kaner und Franziskaner in Europa, Wissenschaftli- stiana e sforzesca da parte di Paride Berardi la que- che Buchgesellschaft, Darmstadt 2000, ediz. it. cons. stione della datazione degli stalli e delle tarsie della Architettura degli Ordini mendicanti. Lo stile archi- chiesa agostiniana è stata sostanzialmente chiarita. P. tettonico dei Domenicani e dei Francescani in Euro- Berardi (Arte e artisti a Pesaro. Regesti di documen- pa, Editrici Francescane, Padova 2003, pp. 29-31). Se ti di età malatestiana e di età sforzesca, in “Pesaro nel caso della chiesa parigina, distrutta durante la Ri- città e contà”, 2000, 12, p. 77; Id., Arte e artisti a voluzione francese, la presenza dell’insolita tipologia Pesaro. Regesti di documenti di età malatestiana e di a due navate si spiegherebbe, secondo lo studioso, età sforzesca, in “Pesaro città e contà”, 2002, 16, pp. con il riutilizzo del preesistente edificio ospedaliero, a 150, 152), basandosi su alcuni documenti del 1484 e Saint-Jacques di Tolosa invece l’adozione di tale tipo- del 1487, precisa una datazione tra il 1487 e il 1490 logia dipenderebbe proprio dalla presa a modello del per gli stalli, date queste ultime riportate anche dai prototipo parigino (cfr. ibid., pp. 53-54, 164-165). La graffiti che vi sono incisi. L’idea che una tarsia del Francia vanta numerose altre chiese domenicane a coro di Sant’Agostino raffiguri una veduta di Pesaro due navate, in parte progettate fin dall’origine con da est e che in essa sia rappresentata in forte scorcio e tale icnografia, come Saint-Jacques di Agen (cfr. dal lato dell’abside la chiesa di San Domenico col suo ibid., pp. 54-55), e in parte costruite inizialmente a campanile non ancora ultimato risale a Michelini una navata e poi ampliate con l’aggiunta di una se- Tocci (Pesaro sforzesca cit., pp. 49-50) che però la- conda, come quelle di Amiens, Orléans, Chartres, scia aperta anche la possibilità che si tratti della chie- Châlons-sur-Marne, Langres, Beauvais, Compiègne e sa non più esistente di San Michele Arcangelo. Lore- Blois (cfr. ibid., pp. 163-164). ti (Nuova storia cit., pp. 130, 137 nota 14) riporta un

39 Studi pesaresi 3.2015 documento del 1475, conservato all’Archivio di Stato co, la cappella dei Confessori e la committenza dei di Pesaro, relativo alla rottura e al conseguente rifaci- Bardi. A proposito di un libro recente, in “Prospetti- mento della campana (ovviamente quella del campa- va”, 2000, 98-99, pp. 58-103, a p. 62. La cappella dei nile) del convento di San Domenico. Sulle vicende Santi Martiri, di patronato della famiglia Pulci Berar- più antiche del campanile, demolito nel 1912 (cfr. di, è di fatto dedicata ai Santi Protomartiri Stefano e Elia, Memorie domenicane cit., p. 93), rimangono Lorenzo, di cui Bernardo Daddi ha raffigurato verso il aperti numerosi interrogativi: non sappiamo se dav- 1330 i rispettivi martirii sulle due pareti laterali. vero nel 1430 sia stata costruita la cima del campani- 72 Cfr. Berardi, Arte e artisti cit., 2002, p. 137. le; non è chiara l’entità dei danni cui fa cenno il docu- 73 Vedi nota 62. mento del 1475, che potrebbero essere stati provocati 74 Vedi nota 59. da un fulmine o da un terremoto e che potrebbero 75 Cfr. Fontebuoni, Frank-Kiss, Il Repertorio aver interessato anche la parte architettonica; non è cit., p. 65. sicuro infine che la tarsia rappresenti davvero la chie- 76 Cfr. Berardi, Arte e artisti cit., 2002, pp. sa e il campanile di San Domenico e, anche se così 131-132. fosse, non è detto che la raffigurazione sia precisa. 77 Per le trasformazioni subite dalla chiesa tra 68 Cfr. Loreti (Nuova storia cit., pp. 130, 137 Sette e Ottocento cfr. Brancati, Un triste caso cit., note 10-11) che collega a questa notizia, tratta da un pp. 399-413; M. Battistelli, “L’onore della città esi- manoscritto di A. Olivieri (Rogita Nicolai de Monte- ge il marmo”. Sulla fabbrica (1784-1848) della fac- sicardo ab anno 1422 ad 1432, Bop, ms. 932, t. VI, c. ciata di piazza addossata alla chiesa di San Domeni- 33), la menzione in un atto notarile del 1465, conser- co a Pesaro, in “Pesaro città e contà”, 2001, 13, pp. vato all’Archivio di Stato di Pesaro, di sex cassis vi- 77-93; G. Volpe, La città neoclassica, in Pesaro tra treorum teotonicorum a fenestris diversorum colo- Risorgimento e Regno Unitario, (Historica Pisauren- rum in San Domenico. Probabilmente nel 1465 si sia, V), Marsilio, Venezia 2013, pp. 203-226, alle pp. stava lavorando alle vetrate della chiesa con vetri co- 206-207. lorati importati dalla Germania o dalle Fiandre. 78 Cfr. Fontebuoni, Frank-Kiss, Il Repertorio 69 Cfr. Fontebuoni, Frank-Kiss, Il Repertorio cit., p. 66. cit., p. 65. 79 Cfr. ibid., pp. 64, 66. Il Bonamini (Le chiese 70 Cfr. ibidem. cit., t. I, c. 283), fraintendendo probabilmente la noti- 71 Si può citare a confronto l’intitolazione delle zia, riferisce invece tale trasformazione proprio alle cappelle di Santa Croce a Firenze, edificate tutte in- cappelle, annota infatti all’anno 1660: «ridotta nel sieme e secondo un progetto unitario nel contesto del- corpo ad archi rotondi nelle capelle». È però impro- la ricostruzione della basilica avviata nel 1295. Come babile che tale trasformazione abbia riguardato le ha sottolineato I. Hueck (Stifter und Patronatsrecht. cappelle del fianco sinistro. Tale intervento alla chie- Dokumente zu zwei Kapellen der Bardi, in “Mittei- sa è stato menzionato anche da Vaccaj (Pesaro pagi- lungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz”, ne cit., p. 30) e da Elia (Memorie domenicane cit., p. XX, 1976, pp. 263-270, alle pp. 267-268), le intitola- 94) che tuttavia non propongono alcuna interpretazio- zioni delle dieci cappelle di Santa Croce rispondono a ne dell’espressione «archi rotondi». In tempi più re- un piano unitario fissato probabilmente dagli stessi centi Amatori, Simoncelli (La Chiesa pesarese cit., p. Francescani e in cui i detentori del giuspatronato non 153) hanno parlato genericamente di «modificazioni sembrano aver potuto interferire. Qui le cappelle ai […] apportate alla chiesa nel 1660». lati della maggiore, intitolata alla Santa Croce, sono 80 Cfr. Loreti (Nuova storia cit., p. 135) che state dedicate, oltre che a San Francesco e a San Lu- afferma che «le vecchie capriate della navata centrale dovico di Tolosa, alle principali categorie dei santi: furono sostituite nel 1660 con archi rotondi». Lo stu- Arcangeli, Vergine Maria, Apostoli, Martiri, Dottori dioso mostra di considerare l’espressione «archi ro- della Chiesa, Vergini e Confessori, cfr. R. Bartalini, tondi» come un tipo di copertura, analogamente a “Et in carne mea videbo Deum meum”: Maso di Ban- quanto fanno Fontebuoni, Frank-Kiss (Il Repertorio

40 Chiara Pallucchini L’Ordine domenicano a Pesaro. cit., p. 50) che interpretano tale espressione come vol- Ch[ies]a ad Archi rotondi…1660»; «demolita (colla te a botte, sostengono infatti che nel 1660 la chiesa Capella [del Rosario] tutta) la Navata…1788». Ne sarebbe stata rimodernata con una copertura a botte. risulta che per Lastrico, come per Bonamini, la «na- 81 Il riferimento dell’espressione «archi roton- vata a volti puntuti» o «puntati», cioè coperta con di» agli archi divisori tra la navata centrale e quelle volte a crociera, corrisponde all’insieme delle cappel- laterali sembrerebbe confermato dal regesto di un do- le e non alla navatella sinistra. Battistelli (ibid., p. cumento relativo alla convenzione stipulata nel 1660 78), muovendo erroneamente dall’assunto della de- con un falegname per la realizzazione di un «corni- molizione della navata sinistra, fraintende il progetto cione di legno sopra gli archi suddetti», cfr. Fonte- dell’Antinori che, a suo dire, sarebbe consistito nel buoni, Frank-Kiss, Il Repertorio cit., p. 66. Il termine lasciare «ad uso di chiesa la sola navata centrale», cornicione potrebbe essere inteso come una sorta di suggerendo in tal modo, seppure implicitamente, l’i- trabeazione continua, magari dorata, che doveva cor- dea di una progettata demolizione della navata destra rere sopra agli archi. o di un suo inglobamento nel convento. Invece l’in- 82 Cfr. Bonamini, Cronaca cit., t. II, cc. 73 (per tenzione, poi attuata, era di eliminare i sostegni della l’iscrizione del 1287), 181 (per l’iscrizione del 1420); chiesa per ottenere una sola grande aula dallo spazio Id., Le chiese cit., t. I, c. 283; Id., Memorie ecclesia- prima suddiviso in tre navate, cosa che le avrebbe stiche cit., par. L. In quest’ultimo testo manoscritto il conferito una maggiore ariosità. Del resto, essendo Bonamini precisa che ai suoi tempi si era conservata incaricato proprio dal padre generale dei Domenica- solo parte dell’iscrizione con la data 1420, per la tra- ni, l’architetto Antinori non avrebbe certo messo a scrizione della cui parte mancante dichiara di essersi punto un progetto consistente nella drastica riduzione basato su quella del Fabbri (Historia della vita et delle dimensioni della chiesa, quale è appunto quello morte cit., c. 85 v; Id., Storia cit., c. 46). ricostruito da Battistelli. 83 Vedi nota 77. 85 Di tale demolizione dà notizia una frase del 84 Cfr. Battistelli, “L’onore della città esige il Saggio preliminare del Repertorio (cfr. Fontebuoni, marmo” cit., pp. 77-78. Nel 1786-1787 veniva for- Frank-Kiss, Il Repertorio cit., p. 64) e anche un rege- mulato un progetto per la sistemazione della chiesa da sto e un’annotazione dello stesso testo relativi alla parte dell’architetto Giovanni Antinori che prevedeva cappella del Rosario, sulle cui vicende in questa sede i seguenti interventi (cfr. ibid., p. 78): la sostituzione non è il caso di soffermarsi, e alla cosiddetta «nava- della «piccola navata», vale a dire delle cappelle, con ta», relativi cioè alla serie di cappelle del fianco sini- un «casamento con diverse botteghe»; l’apertura di stro, cfr. ibid., pp. 75, 77. La stessa notizia è riportata un nuovo portale al centro del «casamento» che per- anche dal Bonamini (Cronaca cit., t. IV, c. 223; Id., Le mettesse l’accesso alla chiesa; l’erezione della torre chiese cit., t. I, c. 283) che nella sua Cronaca all’anno dell’orologio sopra al nuovo portale; la sistemazione 1789 ricorda che venne «gettata a terra l’antica Nava- della chiesa a una sola navata che sarebbe stata alzata ta della Chiesa di S. Dom[eni]co verso la Piazza». e abbellita internamente. Il termine navata, impiegato 86 Portata a termine la demolizione delle cap- da Bonamini (Cronaca cit., t. IV, c. 223; Id., Le chiese pelle l’Antinori gettò le fondamenta del nuovo pro- cit., t. I, c. 283) e da Lastrico (cfr. Fontebuoni, Frank- spetto verso la piazza, preparando anche il materiale Kiss, Il Repertorio cit., p. 64) e acriticamente ripreso necessario alla realizzazione della prevista zoccolatu- dalla letteratura successiva, fra cui dallo stesso Batti- ra, cfr. Fontebuoni, Frank-Kiss, Il Repertorio cit., pp. stelli, deve essere inteso non come la navata sinistra 120-121. Secondo Battistelli (“L’onore della città della chiesa bensì come la serie di cappelle edificate esige il marmo” cit., pp. 78-79), nello stesso anno i negli anni Novanta del Quattrocento. Tale considera- pesaresi avrebbero manifestato il desiderio di inclu- zione si deduce dalle seguenti espressioni impiegate dere la nuova area nella piazza per ampliarla, invece da Lastrico nel Saggio preliminare del Repertorio di costruirvi case e botteghe. I Domenicani finirono (cfr. ibidem): «accresciuta [la chiesa] d’una Navata a coll’acconsentire a tale intenzione, a patto che il suo- Volti puntuti…1490»; «ridotta, non la Navata, ma la lo, già occupato dalle cappelle, rimanesse di loro pro-

41 Studi pesaresi 3.2015 prietà. Dopo la decisione di non costruire più case e dare inizio alla nuova fabbrica domenicana. Brancati botteghe, sempre l’Antinori venne incaricato di rea- tuttavia sottolinea come ciò non sia inspiegabile, dal lizzare un nuovo progetto per il fianco che doveva momento che sia il comandante delle truppe francesi essere più arretrato verso ovest, progetto che fu ap- che i municipalisti – da cui i frati erano stati sollecita- provato dal pontefice, dal padre generale dei Domeni- ti a dare avvio alla fabbrica – avevano interesse a dare cani e dai frati del convento. Ben presto tuttavia il lavoro ai disoccupati presenti in città, evitando così il padre generale ci ripensò, ponendo per la propria ap- pericolo di rivolte. L’apertura inoltre di un cantiere di provazione la condizione che «volendo col tempo i tal genere avrebbe avuto la funzione di far apparire il religiosi edificare nuovamente la chiesa, possano nuovo regime meno anticlericale, attenuando le accu- estenderla in tutto o in parte all’area che ora si lascia se ad esso rivolte dagli ambienti cattolici e conserva- ad uso di piazza» (ibid., p. 79). Ne nacque di nuovo tori. In tal modo la fabbrica della nuova chiesa si po- una situazione di stallo che durò di fatto fino all’inizio neva come un efficace strumento di propaganda dell’occupazione francese nel 1797 (su questa situa- politica. zione e sulle nuove controversie tra i Domenicani e il 87 Cfr. Fontebuoni, Frank-Kiss, Il Repertorio Comune cfr. ibid., pp. 79-80). La situazione si sbloc- cit., p. 64; Bonamini, Cronaca cit., t. IV, c. 262; A. cò nel febbraio 1797 con l’occupazione di Pesaro da Antaldi, Notizie di alcuni architetti, pittori, scultori parte dei Francesi, quando fu istituita la nuova muni- di Urbino, Pesaro e de’ luoghi circonvicini [fine cipalità approvata da Napoleone, di cui faceva parte XVIII secolo], cur. A. Cerboni Baiardi, Il Lavoro anche il priore domenicano Paolo Lastrico. Come si Editoriale, Ancona 1996, p. 27; Brancati, Un triste legge in un’annotazione di quell’anno nel Repertorio caso cit., pp. 403-404; Battistelli, “L’onore della (cfr. FONTEBUONI, FRANK-KISS, ibid., p. 71), «questa città esige il marmo” cit., p. 80. Brancati (ibid., p. Municipalità mandò lettera ai Religiosi Domenicani 403), muovendo dall’assunto che la navata sinistra d’intimazione di non lasciare inoperosi i Muratori, fosse stata demolita assieme alle cappelle nel 1789, giaché si sa che ritengono denaro ozioso risserbato a pensa che il progetto del Belli, consistente nella siste- qualche edificio nella Chiesa vecchia, e turpe. Evvi il mazione della chiesa a navata unica con cinque altari, Carteggio della Municipalità col Convento». La stes- avrebbe comportato l’inclusione della navata destra sa notizia è riportata anche da Bonamini (Cronaca nel convento, proposito del quale tuttavia non vi è cit., t. IV, c. 262) che scrive: «pare incredibile, ma traccia nelle fonti. In realtà, come si è visto (vedi nota pure fu vero. In questo torno di tempo [nell’anno 84), il progetto fin dai tempi dell’Antinori prevedeva 1797], in cui tutto respirava soldati, guerra […], fu l’accorpamento delle tre navate in una sola mediante dato principio alla Chiesa interna di S. Dom[eni]co la demolizione dei sostegni e delle soprastanti arcate. sulla Piazza. Contribuì alla Fabrica di questa Chiesa 88 Vedi nota 82. la speranza, ch’ebbero quei Religiosi d’andare così 89 Fabbri, Historia della vita et morte cit., c. esenti dagl’alloggi delle truppe […]. Era anche Muni- 85v; Id., Storia cit., c. 46; Bonamini, Cronaca cit., t. cipalista […] Lastrico[...], e non poté resistere alle II, c. 181; Id., Memorie ecclesiastiche cit., par. L. richieste a lui fatte dai Compagni nella Municipalità, 90 Ortolani, Della chiesa pesarese cit., t. I, cc. ed ebbe in questo anche riguardo a sollevare la povera 462v-463r. gente oppressa allora dal non trovare in che impiegar- 91 Ibid., t. II, c. 161r. si». Tali avvenimenti sono ricordati anche da Elia 92 Cfr. Fontebuoni, Frank-Kiss, Il Repertorio (Memorie domenicane cit., p. 94), Brancati (Un tri- cit., p. 77. ste caso cit., p. 404), Loreti (Nuova storia cit., p. 93 Sull’architettura delle chiese mendicanti del 135) e Battistelli (“L’onore della città esige il mar- Veneto cfr. H. Dellwing, Studien zur Baukunst der mo” cit., p. 80). Vaccaj (Pesaro cit., p. 16) si meravi- Bettelorden im Veneto: die Gotik der monumentalen gliava che nel contesto dell’occupazione francese, Gewölbebasiliken, Dt. Kunstverl., Berlin 1970. Sulle che in altri casi si era dimostrata estremamente ostile chiese pseudo-basilicali dell’Umbria e delle Marche nei confronti di chiese e conventi, si fosse deciso di meridionali cfr. W. Krӧnig, Hallenkirchen in Mitteli-

42 Chiara Pallucchini L’Ordine domenicano a Pesaro. talien, in “Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte”, Pesaro, Artioli, Modena 2003, pp. 49-65, alle pp. 51- II, 1938, pp. 1-139, alle pp. 115-125; Id., Note sull’ar- 53, 57). chitettura religiosa medioevale delle Marche, in Atti 97 Cfr. Battistelli, “L’onore della città esige il dell’XI congresso di storia dell’architettura (Marche, marmo” cit., p. 80. Elia (Memorie domenicane cit., p. 6-13 settembre 1959), Roma 1965, pp. 205-232, alle 94) scriveva invece a torto che il convento e la chiesa pp. 226-230; Id., Caratteri dell’architettura degli Or- sarebbero stati adibiti a scopi profani fino alla restau- dini mendicanti in Umbria, in Storia e arte in Umbria razione del dominio pontificio, cioè fino al 1815, nell’età comunale, atti VI conv. di studi umbri (Gub- quando sarebbero iniziati i lavori alla chiesa diretti bio, 26-30 maggio 1968), 1971, vol. I, pp. dal Belli. 165-198, alle pp. 183-186. Le chiese pseudo-basilica- 98 Cfr. Brancati, Un triste caso cit., p. 407; li (indicate coi termini tedeschi Stufenhalle, Staf- Battistelli, “L’onore della città esige il marmo” cit., felkirche o pseudobasilikale Hallenkirche) sono edifi- p. 80. ci coperti a capriate lignee e caratterizzati da uno 99 Cfr. Brancati, ibid., p. 404; Battistelli, ibi- scarso dislivello tra la navata centrale e quelle latera- dem. li: tra le navate vi è dunque un setto murario divisorio 100 Per le estenuanti vicende del prospetto sulla ma privo di un cleristorio ovvero di un finestrato. Se- piazza, del quale si continuò a discutere per tutta la condo Wolfgang Krönig tale tipologia architettonica prima metà dell’Ottocento fino alla costruzione da avrebbe riscosso una certa fortuna tra gli Ordini men- parte dell’architetto Luigi Poletti dell’attuale facciata dicanti dell’Italia centrale e nello specifico dell’Um- prospiciente piazza del Popolo (edificata tra 1846 e bria e delle Marche. Le chiese pseudo-basilicali indi- 1848), cfr. Battistelli, ibid., pp. 81-93. viduate dallo studioso sono San Francesco a Gubbio 101 Cfr. Fontebuoni, Frank-Kiss, Il Repertorio (con pilastri ottagonali), San Francesco a Fermo (con cit., p. 78. piloni cilindrici), San Francesco ad Ascoli (con pila- 102 Vedi nota 49. stri ottagonali) e San Pietro Martire ad Ascoli (con 103 Cfr. Michelini Tocci (Pesaro sforzesca cit., piloni cilindrici). In tali chiese, tuttavia, sono state poi p. 50, tav. XXII) che lascia però aperta in alternativa introdotte volte a crociera in rimaneggiamenti databi- l’identificazione della chiesa con quella oggi non più li per lo più tra il XVI e il XVIII secolo. esistente di San Michele Arcangelo. 94 Cfr. Fontebuoni, Frank-Kiss, Il Repertorio 104 In ambito mendicante presentano una tale cit., p. 72. Tali avvenimenti sono ricordati anche da articolazione le cappelle presbiteriali di San Domeni- Bonamini (Cronaca cit., t. IV, c. 289), Brancati (Un co e San Francesco a Imola, San Domenico a Modena triste caso cit., pp. 404, 435 nota 29), Loreti (Nuova (chiesa oggi non più esistente), Santa Croce a Firen- storia cit., p. 136) e Battistelli (“L’onore della città ze, San Domenico a Foligno, San Francesco a Monte- esige il marmo” cit., p. 80). falco, San Francesco a Trevi, San Francesco a Terni, 95 Cfr. Bonamini, Cronaca cit., t. IV, c. 289; San Domenico a Fabriano, San Domenico e San Brancati, Un triste caso cit., p. 404; Loreti, Nuova Francesco a Fermo. storia cit., p. 136. 105 Nella veduta del Blaeu manca qualsiasi ac- 96 Cfr. Brancati, ibid., p. 435 nota 29; Loreti, cenno tanto a un transetto quanto a uno pseudo-tran- ibidem. Un’attenta indagine e ricostruzione della sor- setto, mentre sembra essere indicata in forte scorcio te di alcuni dipinti del complesso domenicano nel una rientranza del cleristorio – da identificare forse contesto dell’occupazione francese è stata condotta con la parete di testata posteriore della navata centra- da C. Giardini (La cupidigia di Verre. Asportazioni, le al cui centro si apriva la cappella presbiteriale mag- requisizioni (e qualche restituzione) del patrimonio giore – resa in modo quanto mai generico e allusivo storico-artistico ecclesiastico nella provincia di Pe- dal disegnatore. saro e Urbino nel periodo napoleonico, in B. Cleri, 106 Un’indicazione in tal senso potrebbe venire C. Giardini (a cura), L’arte conquistata: spoliazioni dalla vicenda relativa allo spostamento all’interno del- napoleoniche dalle chiese della legazione di Urbino e la chiesa domenicana dei resti del beato Marco da Mo-

43 Studi pesaresi 3.2015 dena. Nel 1510 il vicario generale aveva dato licenza rico della Fratta concesse ai Domenicani la chiesa di di trasferire il corpo del beato, in origine posto proba- San Nicolò delle Vigne con annessa casa canonica, bilmente in prossimità dell’area presbiteriale, in un cfr. I. B. Supino, L’architettura sacra in Bologna nei luogo diverso dell’edificio, presumibilmente nella na- secoli XIII e XIV, Bologna 1909, p. 6; V. Alce, Il con- vata destra verso l’ingresso, «dove il concorso del po- vento di San Domenico nel secolo XIII, in “Culta Bo- polo non turbasse l’ufficiatura», cfr. Fontebuoni, nonia”, IV, 1972, 2, pp. 127-174, a p. 140. Nel 1221 Frank-Kiss, Il Repertorio cit., p. 73. È a questo avve- in questa chiesa fu sepolto san Domenico, la cui tom- nimento che si riferisce un regesto documentario sen- ba si trovava, come ricorda nel XVI secolo padre Pre- za data contenuto negli Spogli d’archivj, cfr. Olivieri, lormo, dietro l’altare maggiore, cfr. Supino, ibid., pp. Spogli cit., t. II, c. 632r-v. Vi si legge: «M[on]s[ignor] 14, 16. La nuova chiesa di San Domenico venne co- Bernardino Pico durantino Vicario Gen[era]le di struita a partire almeno dal 1228 circa, data di una Mons[ignor] Albertino della Rovere Vescovo di lettera di indulgenze «pro fabrica» emanata il 12 set- Pes[ar]o dà licenza ai frati di S. Dom[eni]co di Pes[ar] tembre 1228 dal cardinale legato Guiffredo, cfr. Supi- o di trasferire […] il Corpo del Ven[erabi]le e divoto no, ibid., p. 7; Alce, ibid., p. 152. Essa doveva essere Religioso Fra Marco (da Modena) del med[esim]o or- già in parte costruita nel 1233, quando vi vennero dine, perché per la frequenza de’ Fedeli che per divo- traslati i resti del santo, poi ulteriormente spostati nel zione vanno al suo sepolcro nei Cancelli del Coro, non 1267 nell’arca di Nicola Pisano, cfr. Supino, ibid., pp. si disturbino gli ufficj divini». Il terminecancelli è una 7-8; Alce, ibid., p. 154. L’intitolazione della chiesa a parola che nel linguaggio del tempo, come mi ha sug- San Domenico è attestata per la prima volta nel 1235, gerito Guido Tigler, designa abitualmente i plutei e data di una lettera di indulgenze concessa dal patriar- muretti delle recinzioni presbiteriali (il termine si tro- ca di Aquileia e legato pontificio Alberto, cfr. Alce, va ad esempio diffusamente impiegato nella docu- ibid., p. 157. La chiesa doveva essere quasi intera- mentazione relativa al coro del duomo di Pistoia fra mente completata nel 1238, quando papa Gregorio IX XII e XVII secolo, cfr. G. Tigler, Alla ricerca dell’a- concesse indulgenze a chi l’avesse visitata nel giorno spetto originario del coro e del pulpito di maestro Gu- di san Domenico o nella settimana successiva (cfr. glielmo nel Duomo di Pistoia I, in “Commentari d’Ar- Supino, ibid., p. 7; Alce, ibid., pp. 157-158), e fu so- te”, XLIX, 2011, pp. 8-28, alle pp. 10, 12-13). lennemente consacrata da papa Innocenzo IV nel 107 Sulle chiese pseudo-basilicali vedi nota 93; 1251 (anno intorno al quale viene datata la grande su quelle a sala, contraddistinte dalla presenza di vol- croce dipinta di Giunta Pisano). Sulla storia dell’inse- te a crociera della stessa altezza o quasi nelle tre na- diamento dei Domenicani a Bologna e sulla costru- vate, cfr. Krönig, Hallenkirchen cit., pp. 73-115; Id., zione della loro chiesa cfr. anche S. Farina, I conven- Caratteri dell’architettura cit., pp. 187-198. Per ti mendicanti nel tessuto urbanistico di Bologna, in quanto concerne tale tipologia architettonica in Italia “Storia della città” cit., 1978, pp. 56-61, a p. 56; H. W. centrale e in ambito mendicante le chiese menzionate Hubert, Architettura e urbanistica nel Duecento a dallo studioso sono San Fortunato a Todi e San Do- Bologna, in M. Medica (a cura), Duecento: forme e menico Nuovo a Perugia. A tale tipologia si attennero colori del Medioevo a Bologna, cat. mostra (Bologna, poi fuori dall’ambito mendicante anche la cattedrale 15 aprile-16 luglio 2000), Marsilio, Venezia 2000, pp. di Perugia e quella di Ascoli. Per quest’ultima chiesa, 3-23, alle pp. 15-17; B. Borghi, San Domenico: un non menzionata da Krönig, cfr. F. Cappelli, Il com- patrimonio secolare di arte, fede e cultura, Minerva, plesso episcopale di Ascoli Piceno, in P. De Vecchi (a Argelato 2012, pp. 34-41. cura), Beni ambientali, beni architettonici, (Atlante 110 Cfr. Borghi, ibid., p. 96 fig. in basso. dei beni culturali dei territori di Ascoli Piceno e di 111 Cfr. Supino, L’architettura cit., pp. 17-19; Fermo, I), Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo Dellwing, Studien zur Baukunst cit., pp. 24-25. 1998, pp. 104-105. 112 Cfr. Supino, ibid., p. 25 fig. 3, p. 30. 108 Vedi nota 93. 113 Cfr. ibid., p. 19. 109 Il 14 marzo 1219 il vescovo di Bologna En- 114 L’Alberti, che ignorava l’esistenza della

44 Chiara Pallucchini L’Ordine domenicano a Pesaro. chiesa di San Nicolò, pensava che la parte più antica mento che l’intervento attuato in una sola settimana della chiesa domenicana in piedi ai suoi tempi fosse da due persone non sembra aver avuto niente a che quella orientale, «cominciando dalle due colonne fare con la costruzione di coperture ma più probabil- grosse di matoni, ove finiscono le volte […] et tra- mente essere consistito in un semplice rinnovo delle scorrendo insino alla metà della capella maggiore tegole e dei coppi del tetto. Nel 1932 Supino (L’arte (che hora si vede)», cfr. Supino, L’architettura cit., p. nelle chiese di Bologna, vol. I: secoli VIII-XIV, Bolo- 19. F. Malaguzzi Valeri (La chiesa e il convento di S. gna 1932, p. 176) cambiava opinione, ipotizzando Domenico a Bologna secondo nuove ricerche, in che la parte più antica dell’edificio disegnato dal Dot- “Repertorium für Kunstwissenschaft”, XX, 1897, ti fosse quella ovest, da identificare con la preesisten- 172-193, alle pp. 174-175) ipotizzava che la preesi- te chiesa di San Nicolò, alla quale tra 1221 e 1233 stente chiesa di San Nicolò fosse la parte est e che sarebbe stata aggiunta a est la nuova chiesa di San negli anni Venti del XIII secolo fosse stata ampliata Domenico. Così lo studioso (ibid., p. 164) spiegava con l’edificazione della parte ovest. Secondo Supino perché la tomba di san Domenico (morto nel 1221), (ibid., p. 7) i lavori di costruzione della nuova chiesa che si trovava nella zona absidale di San Nicolò, si di San Domenico sarebbero cominciati non molto sarebbe trovata esposta alle intemperie: quella parte dopo il 1221 nei pressi della preesistente San Nicolò del vecchio edificio sarebbe stata infatti demolita per e sarebbero stati in gran parte ultimati nel 1233. Lo congiungerla alla nuova chiesa. In merito alla coper- studioso (ibid., pp. 12-13) riteneva che San Nicolò (a tura della parte orientale, ovvero della chiesa duecen- suo dire ubicata a est) fosse stata demolita con la co- tesca, Supino (ibid., pp. 165, 168-169, 176) ipotizzava struzione della nuova chiesa. A dimostrazione della che le volte a crociera delle navate fossero frutto di un sua ipotesi citava due testimonianze (cfr. ibid., pp. 14, intervento trecentesco avvenuto posteriormente 16): quella dello scrittore domenicano Fra Giordano all’ampliamento della cappella presbiteriale maggio- di Sassonia (1185-1237), secondo il quale durante la re e al rifacimento della sua volta cui fa riferimento costruzione della nuova chiesa la tomba del fondatore un testamento del 1298 in cui veniva predisposto un sarebbe rimasta per qualche tempo esposta alle in- lascito per la realizzazione della copertura della cap- temperie, cioè privata della copertura di un tetto, e pella. Concorda in parte con le opinioni espresse da quella di padre Prelormo cui si è già accennato. Inol- Supino nel 1932 R. Wagner-Rieger (Die italienische tre Supino (ibid., p. 14) citava un documento del 1230 Baukunst zu Beginn der Gotik, vol. I: Oberitalien, in cui si faceva riferimento alla chiesa dei Domenica- Böhlau, Graz 1956, p. 92; Ead., Zur Typologie cit., ni nei seguenti termini: ecclesia Sancti Nicholaj fra- 1957-1958, p. 272), seguita da Dellwing (Studien zur trum predicatorum noviter facta. Secondo lo studioso Baukunst cit., p. 22). Guardando attentamente la (ibid., pp. 18, 30) la nuova chiesa sarebbe stata la par- pianta settecentesca, si vede che la nuova chiesa di te orientale dell’edificio visibile nella pianta del Dot- San Domenico aveva pilastri a sezione quadrata, ti: essa avrebbe avuto volte a crociera impostate su come già aveva notato Supino (L’architettura cit., pp. pilastri a pianta quadrata e la facciata in corrispon- 19, 30), e non circolare, come sostenuto invece dalla denza delle due «colonne grosse di matoni». Intorno Wagner-Rieger (ibidem, 1957-1958), seguita da alla metà del Trecento la chiesa sarebbe stata amplia- Dellwing (ibid., pp. 24-28). I piloni cilindrici sareb- ta a ovest coll’edificazione del corpo anteriore a tre bero stati particolarmente adatti a sostenere delle vol- navate. Quest’ultimo accrescimento viene collegato te a crociera, non altrettanto invece i pilastri a sezione da Supino (ibid., p. 17) a un documento del 1352 rela- quadrata. La Wagner-Rieger (ibid., 1957-1958, pp. tivo al pagamento di quattro lire a due maestri qui 272-273) ipotizza, sulla base dei disegni settecente- coperierunt ecclesiam in VIII diebus, in base all’argo- schi, che la nuova chiesa avesse piloni cilindrici e mentazione che le altre coperture della chiesa erano fosse fin dall’origine integralmente voltata a crociera. già state realizzate. Il collegamento operato da Supi- Sulla base poi della disposizione dei sostegni, la stu- no tra il presunto allungamento della chiesa verso diosa ricostruisce un’articolazione della chiesa in ovest e tale documento è del tutto arbitrario dal mo- campate, dove a una campata rettangolare nella nava-

45 Studi pesaresi 3.2015 ta centrale ne corrisponde una quadrata per ognuna te marcate dalla presenza del tramezzo. Le ipotesi delle navatelle. Questo è il sistema adottato nell’ab- dello studioso dipendono in larga misura dalle sco- bazia cistercense di Morimondo presso Milano della perte documentarie di V. Alce (Documenti sul con- fine del XII secolo, abbazia dalla quale la studiosa vento di San Domenico in Bologna dal 1221 al 1251, ipotizzava una filiazione della chiesa bolognese.D el- in “Archivum Fratrum Praedicatorum”, XLII, 1972, lwing (ibid., pp. 23-25) si accorge in realtà che i so- pp. 5-45) che aveva dimostrato che i terreni acquista- stegni disegnati dal Dotti e già descritti dall’Alberti ti dai Domenicani nel 1219 e nel 1221 comprendeva- nel 1541 sono quadrati ma ipotizza un errore da parte no l’area in cui si trovava la chiesa di San Domenico di entrambe le fonti, cosa ritenuta giustamente inve- (quella posta a est nella pianta del Dotti), mentre il rosimile proprio dalla stessa R. Wagner-Rieger (re- terreno da loro acquistato nel 1231 corrispondeva censione a Dellwing, Studien zur Baukunst cit., in all’area occupata dalla chiesa posta a ovest nella pian- “Zeitschrift für Kunstgeschichte”, XXXIV, 1971, pp. ta del Dotti, tradizionalmente identificata con la pree- 296-300, a p. 298), seguita da A. Cadei (Si può scri- sistente San Nicolò. Sulla base dei dati documentari vere una storia dell’architettura mendicante? Appun- da lui scoperti, Alce (Il convento di San Domenico ti per l’area padano-veneta, in Tomaso da Modena e cit., pp. 151-154, 169-170) pensa che la chiesa dise- il suo tempo, atti conv. internazionale di studi per il gnata in pianta dal Dotti sia stata costruita unitaria- VI centenario della morte (Treviso, 31 agosto-3 set- mente dal 1228 al 1238. Secondo lo studioso la lun- tembre 1979), Treviso 1980, pp. 337-362, a p. 348), ghezza esagerata della basilica dipenderebbe dal fatto da G. Tigler (recensione a H. Dellwing, Die Kir- che si trattava di due spazi liturgicamente distinti: a chenbaukunst des späten Mittelalters in Venetien, ovest la chiesa dei laici, a tre navate coperte a capria- Worms 1990, in “Venezia arti”, 1995, pp. 177-178, a te, e a est quella dei frati, fin dall’inizio voltata a cro- p. 177) e da M. Merotto Ghedini (La chiesa di ciera, separate da un pontile. La prima parte ad essere Sant’Agostino in Padova: storia e ricostruzione di un costruita dal 1228 al 1233 sarebbe stata quella orien- monumento scomparso, ITI, Padova 1995, p. 37). Ri- tale, la cui edificazione avrebbe comportato, proba- mane il problema dell’inadeguatezza dei pilastri qua- bilmente dopo il 1231, la demolizione dell’abside di drati per un sistema voltato per il quale sarebbero San Nicolò, di cui sarebbe rimasto in piedi il corpo stati più adatti robusti piloni cilindrici o pilastri a fa- longitudinale che sarebbe stato abbattuto poco dopo, scio. Non è quindi da escludere che in origine la chie- entro il 1238, per far posto alla chiesa dei laici. sa avesse tetto a capriate, come già sostenuto da Supi- Schenkluhn (Ordines studentes: Aspekte zur Kirche- no nel 1932, e che le volte a crociera disegnate dal narchitektur der Dominikaner und Franziskaner im Dotti risalissero a un rimaneggiamento successivo, 13. Jahrhundert, Mann, Berlin 1985, pp. 92-99), se- analogamente a quanto è accaduto per esempio nel guito da Hubert (Architettura e urbanistica cit., pp. duomo di Modena, dove le volte vennero realizzate 15-17; Id., cat. 8, in Duecento cit., pp. 40-42), vede nel Quattrocento. La Villetti (Quadro generale cit., nella parte est dell’edificio, ovvero nella chiesa dei pp. 238, 260-261 nota 56) condivide le ipotesi formu- frati, una dipendenza dall’architettura cistercense late da Supino nel 1932, da lei riassunte in nota, che lombarda e nello specifico da Chiaravalle Milanese, la nuova chiesa di San Domenico, dalla studiosa defi- ritenendo pertinenti all’edificio degli anni Venti- nita «superiore», fosse stata edificata a est della chie- Trenta del Duecento le lesene che, stando alla sezione sa di San Nicolò, che fosse stata inizialmente coperta longitudinale disegnata dal Dotti, raccordavano i so- a capriate e che avesse ricevuto una copertura con stegni con le volte a crociera da lui giudicate come volte a crociera solo nel Trecento. Schenkluhn (Ar- originarie. Né Schenkluhn né Hubert si pongono il chitettura degli Ordini mendicanti cit., pp. 34-35) ri- problema dell’anomalia di una chiesa voltata a cro- tiene invece la chiesa edificata unitariamente a partire ciera su sostegni a pianta quadrata, che sarebbe stata dal 1228-1229 e già praticabile nel 1233-1234, spie- un unicum nel contesto dell’architettura domenicana gando le differenze di copertura delle parti est e ovest della Lombardia Inferior, così come non si meravi- con le differenti funzioni liturgiche che sarebbero sta- gliano più di tanto delle dimensioni insolitamente al-

46 Chiara Pallucchini L’Ordine domenicano a Pesaro. lungate dell’edificio, da loro creduto realizzato in sere stata semplicemente riadattata (con l’eccezione tempi ravvicinati secondo un unico progetto che della facciata databile al secondo quarto del Duecen- avrebbe previsto la separazione fra uno spazio voltato to) e raccordata con la nuova chiesa a est. destinato ai frati a est e uno non voltato destinato ai 116 Cfr. Supino, L’architettura cit., p. 21 fig. 2. laici a ovest. Il confronto istituito da Schenkluhn con 117 Non si sa se la piazza avesse già nel XIII se- Chiaravalle Milanese non è convincente, visto che colo l’attuale estensione o se fosse più piccola come è quella chiesa è caratterizzata dalla presenza di grandi stato ipotizzato da Frenquellucci (La storia urbana campate quadrate nella navata centrale a cui ne corri- cit., pp. 152-153; Id., L’età dell’autonomia comunale, spondono due più piccole in ciascuna delle navatelle, in Id. (a cura), Forma Urbis. Ricostruzione per imma- mentre a Bologna, come a Morimondo, ad ogni cam- gini e note della storia urbana di Pesaro, Apsa Edi- pata rettangolare nella navata centrale ne corrisponde zioni, Pesaro 1991, pp. 35-44, alle pp. 35-36). una quadrata per navatella. 118 Sui rimaneggiamenti e restauri subiti dalla 115 Come si è in parte già visto analizzando le facciata di San Domenico a Bologna cfr. G. Zucchini, modalità d’insediamento dei Mendicanti, spesso i La verità sui restauri bolognesi, Bologna 1959, pp. membri dei tre Ordini si stanziavano in un primo mo- 98-99. La facciata subì un radicale rimaneggiamento, mento in chiese preesistenti non di loro proprietà ma che la alterò profondamente, intorno al 1756 ad opera appartenenti al clero secolare o ad altri Ordini religio- del Dotti. Nel 1894 poi venne messo a punto un pro- si. È frequente che in una seconda fase tali chiese, getto di ripristino. L’attuazione del progetto fu affida- inizialmente solo concesse in uso ai frati, fossero loro ta ad Alfonso Rubbiani che realizzò in questo caso un donate o che venissero da loro acquistate. In tal senso ripristino non arbitrario ma abbastanza coerente con non vedo perché i tempi dell’acquisizione dei terreni quella che doveva essere la situazione originaria. Sul- da parte dei Domenicani di Bologna, ricostruiti da la facciata della chiesa agostiniana di San Giacomo a Valentino Alce, dovrebbero inficiare la storia costrut- Bologna, databile agli ultimi due decenni del Duecen- tiva della chiesa ricostruita nel 1932 da Supino. to, cfr. M. Fanti, Gli Agostiniani a Bologna e la chie- Quando ai Domenicani fu concesso l’uso della chiesa sa di San Giacomo, in C. Volpe (a cura), Il tempio di di San Nicolò, essi, nel 1219 e 1221, acquistarono dei San Giacomo Maggiore in Bologna: studi sulla storia terreni posti dietro a quella chiesa con l’intento di co- e le opere d’arte, Bologna 1967, pp. 1-35, alle pp. struirvi il loro convento e una nuova chiesa di loro 19-22; G. Piconi Aprato, L’architettura della chiesa proprietà, cosa poi avvenuta a partire dal 1228; in se- di San Giacomo, ibid., pp. 37-72, alle pp. 43-46. Sul guito, nel 1231, i frati poterono comprare anche San restauro di cui fu oggetto la facciata negli anni Cin- Nicolò, prima semplicemente concessa loro in uso, quanta del Novecento cfr. Zucchini, ibid., p. 159. Il che negli anni successivi adattarono a chiesa dei laici confronto tra la facciata di San Giacomo e quella di unendola al nuovo edificio con la costruzione del tra- San Domenico a Pesaro è stato avanzato per la prima mezzo, costruzione che avrebbe implicato la distru- volta da L. Serra (L’arte nelle Marche: l’architettura zione dell’abside di San Nicolò e la traslazione nel gotica, in “Rassegna marchigiana per le arti figurati- 1233 delle reliquie del santo. Non vi è infatti alcun ve, le bellezze naturali, la musica”, V, 1926-1927, pp. motivo di pensare che la chiesa a ovest disegnata nel- 435-464, a p. 459; Id., L’arte nelle Marche, vol. I: la pianta del Dotti sia stata costruita ex novo sull’area Dalle origini cristiane alla fine del Gotico, Pesaro già occupata da San Nicolò, che potrebbe invece es- 1929, p. 207).

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Studi

La prima evoluzione dell’arma dei Della Rovere: la generazione di Giovanni signore di Senigallia

di Antonio Conti

Nel numero 23 di “Pesaro città e con- tà” 1 ci occupammo dell’origine del- lo stemma dei Della Rovere di Savona (d’azzurro alla rovere sradicata fogliata e ghiandata d’oro, con i rami passati in doppia decusse) fino all’uso che ne fe- cero i fratelli Raffaele e Francesco (papa Sisto IV). In questa sede ci occuperemo dell’evoluzione dell’arma avvenuta con la generazione successiva, rappresentata dai figli di Raffaele: Giuliano, Bartolomeo, Giovanni e il cugino di questi, Leonardo. Tra costoro: i prelati mantennero l’arma originaria, mentre gli altri l’incrementa- rono per concessione o per alleanza. Sarà Figura 1 – Senigallia, S. M. delle Grazie, nostra cura precisare alcuni aspetti meno stemma di Giuliano cardinale. conosciuti a chi non si occupa di araldica ed altri non ancora considerati negli studi sulla materia 2, con particolare attenzione Senigallia e il monastero di Fonte Avellana alla rappresentazione araldica nei domini del quale Giuliano fu abate commendatario marchigiani di Giovanni della Rovere. dal 1474 al 1503. Restano anche quelli pre- senti sui suoi sigilli 3, quelli sulla tomba di Sisto IV e quelli scolpiti a Sant’Agata fuori 1. Giuliano della Rovere le mura a Roma o nella rocca di Ostia. Nu- merosissime sono anche le testimonianze Giuliano (1443-1513), frate minore con- araldiche di Giuliano eletto papa col nome ventuale, venne creato cardinale il 16 di- di Giulio II il 31 ottobre 1503: naturalmente cembre 1571 da suo zio, papa Sisto IV. gli stemmi miniati nei codici, quelli murati Del suo cardinalato rimangono numero- in numerose rocche del dominio pontificio si stemmi. Ricordiamo quelli scolpiti presso come Castiglion del Lago, Civita Castella- diversi edifici: il convento di Santa Maria na, Imola e Ostia, oppure in edifici desti- delle Grazie di Senigallia (fig. 1), la rocca di nati al culto come Santa Maria del Popolo

51 Studi pesaresi 3.2015

a Roma (fig. 2) o agli ambienti residenziali della corte papale. Alcuni di questi stemmi sono associati alle opere di Lorenzo Lotto e Raffaello Sanzio in Vaticano. L’arma di Giulio II, con quella del pon- tefice regnante e del comandante in carica, campeggia ancora oggi sulla bandiera della Guardia svizzera pontificia, che il Della Ro- vere costituì nel 1506 4. Lo stesso stemma decora i morioni della divisa di gala i cui colori, giallo e azzurro, sono un richiamo a quelli rovereschi. Al di là del mutamento degli elementi esteriori, dal galero alla tiara con le chiavi, l’arma di Giuliano non pone problemi. Figura 2 – Roma, S. Maria del Popolo, vetrata, stemma di Giulio II. 2. Leonardo della Rovere

Leonardo (+1475), strumento della poli- tica di suo zio 5 papa Sisto IV, fu nominato prefetto di Roma con bolla del 17 febbraio 1472 6 e poco dopo sposò Giovanna d’Ara- gona figlia naturale del re di Napoli Ferdi- nando I 7. L’atto araldicamente rilevante per Leonardo fu l’aggregazione nella fa- miglia del re di Napoli, con il diritto di aggiungere il cognome d’Aragona e di inserire nel proprio stemma quello della casa reale. Di tale concessione rimane il diploma originale datato 28 marzo 1472 che mostra la bella miniatura dell’arma con l’incre- mento regio nel primo e nell’ultimo quarto così come doveva essere usato per prescri- zione del sovrano (fig. 3)8 . In seguito, con atto separato, Ferdinando I investì il genero dei feudi di Arce e di Sora Figura 3 – Archivio di Stato di Firenze, col titolo ducale 9. stemma di Leonardo della Rovere nel diploma Dunque l’incremento araldico di Leo- di concessione di Ferdinando I d’Aragona. nardo non aveva alcuna valenza feudale.

52 Antonio Conti La prima evoluzione dell’arma dei Della Rovere

Con la concessione di Ferdinando I 2.1. L’arma degli Aragona di Napoli il blasone dell’arma di Leonardo risulta come segue. Inquartato: nel I e IV, con- Gli Aragona avevano un antico e presti- troinquartato: nel 1° e 4° interzato in gioso stemma: d’oro a quattro pali di rosso. palo: a) fasciato d’argento e di rosso di Il più antico esemplare si trova nei sigilli otto pezzi, b) d’azzurro seminato di gigli di Raimondo Berengario IV, conte di Bar- d’oro, c) d’argento alla croce potenziata cellona (+1162) 14, ma avrebbe origini più d’oro accantonata da quattro croci dello risalenti, addirittura provenzali 15. stesso; nel 2° e 3° d’oro a quattro pali di Gli Aragona non mancarono di incre- rosso; nel II e III, d’azzurro alla rovere mentare il loro stemma con altre armi in sradicata fogliata e ghiandata d’oro, con chiave del tutto politica. Nel 1282 Pietro III i rami passati in doppia decusse. d’Aragona conquistò la Sicilia, rivendican- Non abbiamo elementi per stabilire se do i diritti di sua moglie Costanza Hohen- gli smalti della rovere, diversi dal con- staufen. Le sue monete portano sul recto sueto, siano il frutto di un errore o erano i pali aragonesi e sul verso l’aquila degli realmente quelli. Certamente Leonardo Svevi di Sicilia. In seguito Giacomo II unì non avrebbe avuto alcun interesse a dif- questi stemmi in un classico inquartato 16, ferenziarsi araldicamente dallo zio ponte- che Federico III modificò in decusse (fig.4), fice che aveva la classica rovere d’oro 10. creando l’arma che poi caratterizzerà la co- Va segnalato che nelle miniature dei corali rona di Sicilia 17 anche con Alfonso V che della cattedrale di Ferrara commissionati sul finire del 1442 conquistò il Regno di dal vescovo Bartolomeo della Rovere l’al- Napoli. bero è d’oro 11. Per il nuovo dominio re Alfonso as- La miniatura mostra con tutta eviden- sunse l’ordinale primo in luogo di quinto za anche l’assenza del lambello rosso nel e abbandonò lo stemma siciliano per uno punto d’azzurro ai gigli d’oro che è una che inquartava i pali aragonesi con l’arma costante delle armi degli Aragona di Na- di Giovanna II d’Angiò-Durazzo alla quale poli, sul tema torneremo fra breve. No- era succeduto 18 (fig. 5). nostante ciò il lambello è rappresentato Così a Napoli l’arma siciliana si rintrac- in diversi stemmi rovereschi postumi 12 e cia solo negli scudi dei soldati aragonesi tanta è la convinzione che debba esserci raffigurati nell’arco di Castelnuovo che ce- che viene addirittura blasonato là dove lebra la vittoria sugli Angioini e l’ingresso non c’è 13. Conosciamo un’unica rappre- trionfale del sovrano in città nel febbraio sentazione delle armi roveresche col lam- 1443 (fig. 4). bello: è uno stemma di Guidobaldo II del- La posizione dei quarti aragonesi e di la Rovere collocato nella cosiddetta sala quelli angioini nel nuovo stemma reale na- del trono di palazzo ducale di Urbino che, poletano non fu costante, specie con i primi per l’epoca, esula dall’oggetto del nostro due sovrani. Dall’esame degli stemmi nelle intervento. monete dei re di Napoli dal 1442 al 1501 si È invece importante soffermarci sulla evince quanto segue: Alfonso I pose i pali genesi dell’arma reale napoletana concessa d’Aragona in misura eguale sia nei quarti al Della Rovere. 1° e 4° sia negli altri due; Ferrante li collocò

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per lo più nel 2° e nel 3°; questa fu l’unica posizione adottata da Alfonso II e da Fer- dinando II; Federico III, invece, invertì la posizione che ormai pareva stabilizzata 19. Aggiungiamo che Carlo VIII di Francia usò l’arma di Francia moderna, tutt’al più in- quartata con quella di Gerusalemme 20, mai con l’arma d’Angiò-Durazzo 21. Unendo l’arma propria con quella di Giovanna II, Alfonso volle esprimere aral- dicamente la legittimità al trono di Napoli che ebbe un’origine travagliata 22. Adottato l’anno prima, nel 1421 Alfonso V fu nominato erede da Giovanna II, ma la convulsa vicenda del regno della sovrana fece sì che alla morte di questa, nel 1435, risultò erede Renato d’Angiò le cui truppe occuparono il regno 23. Ma Alfonso, ritenendo l’adozione del 1421 un atto giuridico irrevocabile, mosse guerra, sconfisse Renato d’Angiò, ed entrò 24 Figura 4 – Napoli, Maschio angioino, trionfalmente a Napoli nel febbraio 1443 . stemma Aragona-Sicilia. 2.2. L’antefatto Angioino

L’arma di Giovanna II d’Angiò-Durazzo che Alfonso I unì alle proprie e che Ferdi- nado I concesse ai Della Rovere, era a sua volta composta da armi prestigiose. Il Codice di Santa Marta 25, offre un qua- dro bellissimo (per quanto forse non molto preciso) delle armi degli ultimi Angioini di Napoli 26. Tra queste vediamo lo stemma di Giovanna II interzato in palo: nel 1° l’arma d’Ungheria 27, nel 2° l’arma di Angiò-Napo- li, nel 3° quella di Gerusalemme (fig. 6)28 . Questo stemma potrebbe essere stato composto dal padre di Giovanna, Carlo III d’Angiò-Durazzo. Originariamente Carlo ebbe solo l’arma della sua casata, cioè l’arma reale francese (d’azzurro se- Figura 5 – Carlino di Alfonso I. minato di gigli d’oro) brisata 29 per Angiò

54 Antonio Conti La prima evoluzione dell’arma dei Della Rovere con l’aggiunta del lambello di rosso e ul- teriormente brisata per i conti di Gravina (poi duchi di Durazzo) con una bordura d’argento e di rosso 30. Quando nel 1381 fu incoronato re di Napoli da Urbano VI, Carlo aggiunse l’arma di Gerusalemme che caratterizzava la linea angioina della corona napoletana cui era nei fatti asse- gnata la pretensione del Regno di Terra Santa fin dal 127731 (fig. 7). Alcuni autori sostengono che, incoro- nato re d’Ungheria nel 1385, Carlo creò lo stemma interzato 32, ma il regno di Carlo durò solo due mesi. Sappiamo per certo, che suo figlio La- Figura 6 – Archivio di Stato di Napoli, dislao usò l’arma interzata e che in questa codice di Santa Marta, non furono presenti brisure: né la bordura arma di Giovanna d’Angiò-Durazzo. durazzesca, né il lambello angioino 33. L’e- liminazione delle brisure (tecnicamente brisura anch’essa 34) non parrebbe essere dovuta a problemi relativi alla rappresen- tazione dell’arma 35. Potrebbe esserci stata, invece, un’influenza dell’arma degli Angiò d’Ungheria che sempre omisero il lambello e unirono l’arma pura capetingia a quella con le fasce d’Ungheria 36. Luigi Borgia ri- tiene che la contestuale presenza dei punti d’Ungheria e Gerusalemme, ma anche il ri- dursi dell’arma reale francese a soli tre gigli fin dal regno di Carlo V (1364-1380), fu- rono probabilmente i fattori che portarono all’eliminazione delle brisure nell’arma dei sovrani napoletani 37. Questa, in sintesi, la vicenda araldica che sta a monte della concessione arago- nese ai Della Rovere. Naturalmente, in quanto eredi dei diritti degli Angiò-Du- razzo, anche gli Aragona di Napoli si defi- niranno re d’Ungheria e di Gerusalemme, ma si trattò di mere pretensioni, essi non Figura 7 – Archivio di Stato di Napoli, assunsero quelle armi a rappresentare dei codice di Santa Marta, regni perduti 38. arma di Carlo II d’Angiò-Durazzo.

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3. Giovanni della Rovere Le diciture “IO PRE” o “IO DUX” 46 che accompagnano spesso le armi di Giovanni, Quanto ora esposto riguardo le armi ag- sono la dichiarazione della titolarità dell’uf- giunte allo stemma di Leonardo vale, tale e ficio di prefetto di Roma e del titolo di duca quale, per le armi di Giovanni (1457-1501). di Arce e di Sora che il signore di Senigallia L’11 novembre 1475 Leonardo muore mantenne sostanzialmente fino alla morte, senza lasciare eredi e suo cugino Giovanni pur con qualche drammatica discontinuità nel giro di pochi mesi lo sostituirà nei titoli dovuta all’aver seguito la politica di suo e negli onori. fratello il cardinale Giuliano 47. Non è stato rintracciato il documento La corona, che talvolta timbra lo scu- originale col quale re Ferdinando I aggregò do, costituita da un semplice cerchio d’o- Giovanni nella sua famiglia concedendo- ro gemmato, è prerogativa ducale adottata gli il cognome e l’incremento dello stem- negli stessi anni dal suocero Federico di ma, così gli studiosi si sono diversamente Montefeltro duca di Urbino. L’arma, inve- espressi: per Passerini 39 e per Murano 40 la ce, non reca traccia della carica prefettizia concessione avvenne con l’atto di protezio- che infatti non comportava alcun incremen- ne del 1477, mentre per Bonvini Mazzanti to araldico 48. Così è scorretto rappresentare 41 risalirebbe al conferimento del ducato di l’arma di Giovanni col palo della Chiesa Sora del 24 novembre 1475. (di rosso con le chiavi e l’ombrellino) attri- L’esame del diploma d’infeudazione 42 buendo a questo la funzione di rappresen- e di quello di protezione 43 esclude che la tare la prefettura 49. Giovanni non usò mai concessione sia avvenuta nelle menzionate il palo della Chiesa e così fece anche suo occasioni e d’altra parte Giovanni aveva figlio Francesco Maria I (anch’egli prefetto) già il cognome d’Aragona il 24 novembre fin tanto che non ebbe diritti sul Ducato di 1475. Invece, se l’iter fu analogo a quello Urbino 50. seguito per Leonardo la concessione po- Giovanni della Rovere fu nominato an- trebbe essere avvenuta pochi giorni pri- che capitano generale della Chiesa da papa ma dell’investitura: il 20 novembre. È a Innocenzo VIII il 27 dicembre 1484 51 ma, quella data che ci rimanda il ms. 443 della stando alle fonti, ciò non comportò l’inseri- Biblioteca Oliveriana di Pesaro: «Arme, mento del palo che non era insegna di que- e cognome della famiglia d’Aragonia si- sto ufficio, come rilevammo occupandoci di milmente concesse da Ferdinando re so- Guidobaldo di Montefeltro 52. praddetto a Giovanni della Rovere nipote di Sisto quarto, et a’ figli, et successori 3.1. L’arma dei Montefeltro suoi il dì 20 novembre 1475. Nella città di Caleno etc. Scrittura in proprio originale Con Giovanni si assiste ad un altro in- sottoscritta dal medesimo re con l’impres- cremento araldico. Tra le manovre politiche sione dell’arme donata di sotto» 44. Anche di Sisto IV che coinvolsero Giovanni ci fu il in questo caso la concessione araldica non matrimonio di questi con Giovanna di Mon- ha natura feudale. A Giovanni andrà anche tefeltro, figlia di Federico duca di Urbino. la prefettura romana conferita da Sisto IV Preannunciato il 10 ottobre 1474, pochi con bolla del 17 dicembre 1475 45. giorni dopo l’elevazione di Federico al ran-

56 Antonio Conti La prima evoluzione dell’arma dei Della Rovere go ducale, il matrimonio venne celebrato ne sulla base dello stemma di Giovanni, nella primavera del 1478 53. Sempre nell’ot- attualmente murato in via Mastai a Seni- tobre del 1474, precisamente due giorni gallia ove pare sorgesse l’abitazione del dopo l’annuncio del fidanzamento, Giovan- signore (fig. 8). ni ottenne dallo zio la signoria di Senigallia Tuttavia, quello stemma non rende giu- e del Vicariato di Mondavio, confinanti coi stizia alla tesi della massima valutazione domini del futuro suocero 54. dell’arma montefeltresca che doveva fare i A seguito di questi avvenimenti l’arma conti con due necessità: a) lasciare in posi- di Giovanni venne incrementata, non con le zione preminente l’arma di concessione re- armi territoriali dei domini acquisiti, cosa ale; b) lasciare l’arma originaria del titolare aliena all’uso dei signori del Quattrocen- in luogo riconoscibile e consono. In virtù di to, ma con l’arma dei Montefeltro: banda- ciò in quello stemma l’arma dei Montefel- ta d’azzurro e d’oro, la seconda caricata di tro trova spazio nel 3° quarto, sostanzial- un’aquila di nero coronata del campo 55. mente l’ultimo. Non conosciamo un documento di con- cessione araldica, ma quella dei Montefel- tro appare un’arma di alleanza. Allo stato, in mancanza dell’atto di con- cessione e di documenti araldici relativi agli anni tra il 1474 e il 1478, non sappiamo se l’incremento avvenne in occasione del fi- danzamento o in occasione del matrimonio, com’è più probabile. Su questo incremento Marinella Bon- vini Mazzanti scrisse: «Quanto egli fosse, anche in futuro, fiero di questa parentela è testimoniato dalla preminenza dell’ar- me dei Montefeltro rispetto a quella dei Della Rovere, nello stemma di Giovanni. Le bande azzurre e d’oro e l’aquila fel- tresca che compaiono con frequenza nei monumenti della sua epoca sembrano quasi ostentare il nobilissimo legame con l’antica Casa urbinate», quindi in nota specificò che: «l’arme della parentela, di solito, è posto a sinistra (ossia, a destra di chi guarda) mentre nello stemma inquar- tato di Giovanni della Rovere è posto a destra (ossia a sinistra di chi guarda) nel terzo quarto, riservato all’arme della pro- 56 pria Casata» . Figura 8 – Senigallia, L’autrice svolge questa considerazio- arma di Giovanni della Rovere.

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Come vedremo quello considerato è solo uno dei diversi modi di comporre l’arma di Giovanni. Non mancano esempi ove quella montefeltresca occupa il primo e l’ultimo quarto (ma in queste occasioni non c’è mai la concessione Aragonese) e sono questi i luoghi ove Giovanni volle mostrare tutto il valore del legame con i Montefeltro (fig. 9). Il bandato montefeltresco e l’arma reale napoletana, costituirono il massimo incre- mento dello stemma dei Della Rovere pri- ma della successione nel Ducato di Urbino (1504-1508).

Figura 9 – Senigallia, Rocca roveresca, 3.2. La forma degli scudi arma di Giovanni della Rovere Nel tardo Quattrocento gli scudi dei ca- valieri sui quali nacque e si propagò il si- stema araldico a partire dalla metà del XII secolo, erano ormai scomparsi dai campi di battaglia, ma l’araldica continuava ad avere un ruolo di rilievo. Così, come d’uso, Giovanni collocò le proprie insegne araldiche in molteplici luo- ghi. Noi ci occuperemo di quelle scolpite per decorare le residenze e contrassegnare le fortificazioni. Si tratta di manufatti di gran moda che all’epoca rispecchiavano il gu- sto delle corti rinascimentali italiane. Era la moda che influenzava la scelta di determina- te forme di scudo nelle decorazioni architet- toniche. Era ampiamente usato lo scudo a te- sta di cavallo nelle sue diverse forme (tipico di quegli anni) e di moda era anche lo scudo veneziano, ma persisteva l’uso di quello a targa, con tacca per la lancia, in omaggio alla tradizione cavalleresca. Esso è infatti sempre rappresentato con l’elmo, il cimiero e un ric- co corredo di lambrecchini svolazzanti. Figura 10 – Senigallia, Santa Maria delle Grazie, Era in uso, anch’esso dall’epoca medie- arma di Giovanni della Rovere. vale, lo scudo a mandorla che sembrerebbe

58 Antonio Conti La prima evoluzione dell’arma dei Della Rovere assente negli apparati rovereschi, ma che Negli ambienti residenziali della rocca compare in modo discreto e insolitamente abbiamo contato ventinove fregi araldici collocato, nei capitelli di due semicolonne (per lo più armi) presumibilmente realizzati nel convento di Santa Maria delle Grazie entro il 1480 60. Di questi fregi: tre rappre- (fig. 10). sentano solo la rovere (una delle quali af- fiancata da due figure chimeriche, associate 3.3. La rocca di Senigallia a teste con caratteristiche del dio Pan); uno rappresenta l’arma bandata dei Montefeltro; La rocca di Senigallia, venne interessata uno raffigura l’arma del cardinale Giuliano da radicali lavori di ampliamento ed ammo- della Rovere con una bordura a nostro giu- dernamento per iniziativa di Giovanni della dizio di nessun significato araldico; mentre Rovere. La zona residenziale vide impegna- cinque rappresentano aquile in diverse pose. to l’architetto Luciano Laurana tra il 1476 e Si tratta di documenti interessanti, ma il 1479 57 e sono note le forti analogie stili- per l’argomento che stiamo affrontando, stiche col palazzo ducale di Urbino, mentre cioè l’evoluzione dell’arma roveresca, ci la cortina ed i torrioni angolari furono opera interessano soprattutto le armi composte dell’architetto Baccio Pontelli operante ne- con la tecnica dell’inquartatura che sono gli anni immediatamente successivi. complessivamente diciannove. Quattro Gli stemmi che analizzeremo (in parti- inquartano le armi d’Aragona e Della Ro- colare le armi inquartate) sono distribuiti tra vere (fig. 11); sei quelle dei Montefeltro il pianoterra ed il primo piano 58, collocati e dei Della Rovere (v. figura 9); otto in- in diverse posizioni, prevalentemente nei quartano Aragona, Della Rovere e Monte- medaglioni dei soffitti, negli architravi dei feltro (fig. 12). portali ed in misura minore nei peducci del- le volte che sono per lo più ornati da altri motivi classici. All’esterno grandi lastre rettangolari murate nei torrioni mostrano quel che resta di stemmi abrasi, certamente simili a quello murato in via Mastai (v. figura 8). Noteremo che scudi a targa con cimiero sono sempre collocati sulle fortificazioni con una forte valenza militare cavalleresca, ma anche un richiamo alla autorità pubblica. Se è vero che in quegli anni il suocero faceva mura- re scudi a testa di cavallo con la corona, è anche vero che era tradizione antica (anche per i magistrati) murare l’arme di questa ti- pologia di sapore tardogogico 59. Nel cortile interno si individuano due stemmi scolpiti sull’architrave delle finestre Figura 11 – Senigallia, Rocca roveresca, e due nella vera del pozzo. arma di Giovanni della Rovere.

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Altri due fregi vedono rappresentata la sfinge (cimiero dell’arma di Giovanni) af- fiancata da due stemmi: in un caso dall’ar- ma roveresca e dall’arma montefeltresca; nell’altro dall’arma inquartata Aragona - Della Rovere e da quella dei Montefel- tro (fig. 13). La presenza del cartiglio e la sua frequente rappresentazione autonoma 61 quasi riconducono quella sfinge alla tipolo- gia delle imprese. Nel cartiglio del cimiero si legge sempre «Hinc nostras licet estimare», nella base della lapide di via Mastai si legge inoltre «Seram haec semper nec mors mihi seva negabit». Per Bonvini Mazzanti il riferi- mento è alle virtù: «di qui si possono va- lutare le nostre» e «le conserverò sempre, né la morte crudele me le toglierà» 62. Cec- carelli suggerisce un riferimento alle «no- bili imprese» individuando nei serpenti gli «astiosi detrattori» 63. L’assenza di una fon- te interpretativa certa, lascia qualche incer- tezza sull’esatta interpretazione. Un dato è certo: il cimiero-impresa di Giovanni sarà abbandonato dai discendenti Figura 12 – Senigallia, Rocca roveresca, i quali preferirono crearne di nuove o attin- arma di Giovanni della Rovere. gere piuttosto al patrimonio della casa di Montefeltro cui succedettero nel 1508 64. Appare interessante segnalare che, no- nostante la discreta quantità di stemmi, nel- la rocca non se ne trova alcuno con le armi di papa Sisto IV, morto nell’agosto 1484. L’osservazione degli stemmi inquarta- ti mostra che, coerentemente con le regole dell’araldica, la concessione reale aragonese (quando è presente) occupa immancabilmen- te il 1° quarto, il più importante, mentre nel secondo è sempre posta l’arma con la rovere. Se a queste è unita l’arma dei Montefeltro, essa troverà posto nel 3° quarto invece della ripetizione dell’arma roveresca come avvie- Figura 13 – Senigallia, Rocca roveresca. ne in cinque casi (v. figura 11), oppure tro-

60 Antonio Conti La prima evoluzione dell’arma dei Della Rovere verà posto nell’ultimo quarto in luogo della Un altro fenomeno, meno rilevante e ripetizione della concessione reale, come ac- tipico di una certa corruzione nella rappre- cede in tre casi. sentazione araldica, è quello per il quale un Appare davvero sorprendente un altro inquartato contro interzato si trasforma in aspetto della tecnica compositiva che ri- un troncato interzato di tre, accade in uno guarda la rappresentazione della concessio- stemma nell’appartamento degli ufficiali70 . ne reale. Ricordiamo che non abbiamo il diploma 3.4. Il convento di Santa Maria delle col modello di stemma cui Giovanni avreb- Grazie di Senigallia be dovuto attenersi (fatti salvi gli usi e gli stili araldici), e ricordiamo anche che Fer- Un altro luogo araldicamente interes- rante non ebbe un solo modo di collocare i sante è il chiostro maggiore del convento di quarti d’Agiò-Durazzo e d’Aragona. Santa Maria delle Grazie di Senigallia 71. Esistono tuttavia delle consuetudini per Il complesso venne realizzato in un am- le quali, quando si compone uno stemma pio arco temporale 72. Una cronaca locale inquartato, dovendo ripetere un’arma in più afferma che i lavori cominciarono nel 1491 quarti, lo si fa in modo identico. Invece, ne- e che le prime strutture di pianoterra attorno gli stemmi di Giovanni l’ultimo quarto ri- al chiostro maggiore vennero consegnate ai sulta quasi sempre speculare al primo 65. Lo francescani nel 1492 quando il portico non stesso accade quando il quarto aragonese è era edificato73 . controinquartato 66. Ciò comporta la rappre- Nel chiostro troviamo dodici stemmi sentazione dell’interzato angioino-durazze- scolpiti e leggibili. Due sono attribuibili a sco con le partizioni invertite 67. Sisto IV 74. Due stemmi timbrati dal cappel- Sia chiaro, tutto ciò non ha nulla a che lo prelatizio ed accollati ad una croce astile fare con i compromessi compositivi dovu- (v. figura 1), sono stati talvolta attribuiti al ti alla particolare forma degli scudi 68 ed vescovo Marco Vigerio I della Rovere 75; è qualcosa di più (forse) che il semplice tuttavia, se è vero che il cappello con sei capo rivolto di un’aquila, come accade, per fiocchi per lato 76 e la croce 77 sono attributi esempio, in alcuni esemplari dello stemma vescovili, è anche vero che quell’arma non d’Aragona-Sicilia nei quali le aquile guar- è quella dei Vigerio di Savona, composta dano entrambe al centro dell’arma. da un incappato abbassato ad un capo con Analoghi incrementi aragonesi, negli l’aquila, sul quale peraltro le fonti senigal- stemmi di altre famiglie (per esempio Ac- liesi e quelle savonesi non concordano ap- quaviva, Orsini e Sforza pesaresi 69) non pieno 78. mostrano inquartature speculari. Si possono Si tratta invece dell’arma del cardinale rintracciare corruzioni ed errori nella com- Giuliano della Rovere 79. Quale vescovo posizione araldica, ma si tratta sempre di era legittimato all’uso della croce, quanto eccezioni in un quadro di conformità agli ai fiocchi del galero si deve tenere presente usi dell’araldica. Nel caso dei Della Rove- che per i cardinali, dopo un lungo periodo re, invece, la specularità sembrerebbe una d’incertezza, il numero dei fiocchi venne regola, della quale confessiamo di non riu- definitivamente fissato in quindici per lato, scire ad apprezzare una logica, se ci fu. ma solo nel 1832 80, così tra il XV e il XVI

61 Studi pesaresi 3.2015 secolo sono numerosi i galeri cardinalizi Certo la presenza di questo stemma è in- con solo sei fiocchi per lato. dicativa dello stato dei lavori 83, ma in que- I rapporti tra Giovanni della Rovere e sta sede è opportuno precisarne la valenza. Carlo VIII re di Francia, intercorsi dalla fine La corona che timbra lo scudo chiarisce del 1494 81, sono testimoniati dall’arma re- che si tratta di un omaggio di Giovanni a ale di Francia 82 scolpita due volte nei fregi Carlo VIII e non di una concessione d’ar- del chiostro: in un peduccio sul lato sud e ma di quest’ultimo al primo, come è stato nel capitello di una semicolonna dell’ango- detto 84. La valenza è la stessa delle armi di lo sud-est (fig. 14). Ferdinando I d’Aragona e di Sisto IV nella cosiddetta sala del trono del Palazzo ducale di Urbino. Anche lì gli stemmi dei sovrani sono rispettivamente timbrati dalla corona regia e dalla tiara con le chiavi. Nel pilastro dell’angolo opposto del chio- stro (nord-ovest) è collocata l’arme inquarta- ta Della Rovere-Montefeltro 85. La presenza di questi stemmi nei capitelli (e l’assenza dei quarti reali aragonesi) è politicamente rilevante. Per quanto di modesta dimensio- ne, questi due stemmi sono collocati sempre alla destra dell’osservatore sia in entrata che in uscita dal chiostro. La destra è soven- te il punto d’onore anche nella collocazione degli stemmi in contesti definiti. In partico- lare, entrando dall’antico ingresso principa- le (a sud, ora tamponato) si individuava a destra l’arma francese; entrando dall’in- gresso nord quella roveresca-feltresca. Il chiostro maggiore ebbe certamente una fun- zione pubblica signorile, è riduttivo affer- mare che «era destinato ai frati» 86, quello minore aveva invece una dimensione priva- ta: non ci sono fregi araldici se non lievi de- corazioni con ghiande in alcuni capitelli come nel chiostro maggiore. Si può rilevare come il lato sud del por- ticato raccolga nei peducci le armi poli- ticamente più significative: Carlo VIII, il cardinale Giuliano, un “emblema” france- scano e l’arma di Giovanni. A giudizio di Figura 14 – Senigallia, S. M. delle Grazie, Benelli, era questo il lato più frequentato arma di Carlo VIII. nelle occasioni pubbliche 87. Il lato est ap-

62 Antonio Conti La prima evoluzione dell’arma dei Della Rovere pare dedicato alla famiglia, vi sono le inse- gne di Giuliano, di Sisto IV, un san Fran- cesco, l’Agnus Dei e l’arma di Giovanni. Il terzo lato, in ordine d’uso, ma non ul- timo per importanza scenica è il lato nord con insegne di Giovanni (arme e sfingi) e francescane (monogrammi bernardiniani). I peducci del lato ovest sono invece più de- corativi: non stemmi ma figure totemiche: un elmo col cimiero di Giovanni e una pic- cola aquila di sapore feltresco. Gli stemmi con l’intero patrimonio aral- dico di Giovanni, assenti dai due capitelli citati, sono presenti nei peducci e nell’ar- chitrave del portale ad est (fig. 15). Come si è visto sono quelle inquartate Aragona, Della Rovere e Montefeltro. Furono predi- sposte, se non addirittura installate, prima del novembre 1494? Forse, ma possiamo dire che quanto era acquisito al patrimonio araldico familiare restava a prescindere dai contingenti mutamenti delle alleanze politi- che che, nel caso di Giovanni, riguardarono direttamente gli Aragona (soprattutto dopo il 1494) ma anche, seppur indirettamente, Figura 15 – Senigallia, S. Maria delle Grazie, arma di Giovanni della Rovere. i Montefeltro a cominciare dalla guerra di Ferrara (1482-84) 88. La vera del pozzo è priva di due stemmi 3.5. Gli stemmi nei castelli su sei. Oltre ai già citati di Sisto IV e del cardinale Giuliano, un altro stemma mostra Ottenuti i domini marchigiani, Giovanni l’inquartato Aragona - Della Rovere, men- provvide a riorganizzarne il sistema difensi- tre un piccolo lacerto di un quarto scudo a vo 89, e naturalmente fece murare il proprio testa di cavallo sostanzialmente distrutto stemma sopra gli ingressi dei circuiti murari permette di stabilire che vi era rappresenta- dei castelli. Orciano 90 e Mondavio 91 mostra- ta solo la rovere. no nelle porte superstiti l’arma rovinata di Presso il convento, tutti i quarti aragone- Giovanni della Rovere nella composizione si sono composti con la tecnica dell’ultimo dello stemma di via Mastai a Senigallia, ma quarto speculare al primo. Anche qui, come è certamente degno di nota quello, particola- nella rocca di Senigallia (ma non sempre a re, di Sant’Andrea di Suasa (fig. 16), dove la Mondolfo) il punto di Gerusalemme è rap- concessione aragonese è rappresentata solo presentato in una particolare forma sempli- dai pali, secondo un uso più raro 92, ed anche ficata (v. figura 15). la sfinge ha caratteristiche piuttosto diverse.

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4. Giovanna di Montefeltro della Rovere

In conclusione l’arma di Giovanna di Montefeltro (c. 1464-1514) moglie di Gio- vanni e figlia di Federico duca di Urbino. Una sua lettera inviata ai capitani reg- genti di San Marino nel 1511 93 reca un sigillo con uno stemma riconducibile a Giovanni tra le iniziali I e P. Le iniziali po- trebbero essere anche di Giovanna, cui spet- tava il titolo di prefettessa 94, ma lo stemma no (inquartato: nel I e IV controinquartato: nel 1° e 4° Aragona, nel 2° e 3° Angiò-Du- razzo; nel II Della Rovere; nel III Monte- feltro), lo scudo è timbrato da una corona circolare. Le donne sposate portavano uno stemma partito con a destra le armi del ma- rito e a sinistra quelle del padre. Così non è in questo sigillo. Lo stemma di Giovanna si rintraccia, in- vece, a nostro giudizio, nel magnifico piatto in maiolica pesarese (fig. 17) custodito al Victoria and Albert Museum di Londra 95. Fino ad ora l’arma è stata attribuita a Gio- vanni o a suo figlio Francesco Maria nel pe- Figura 16 – Sant’Andrea di Suasa, riodo tra il 1504 e il 1508 (tra l’adozione da arma di Giovanni della Rovere. parte dello zio Guidobaldo di Montefeltro e la successione nel Ducato di Urbino), dopo il quale il titolare avrebbe spostato a destra la partizione montefeltresca 96. Si tratta, invece, dello stemma di una donna sposata che rispetta la citata consue- tudine araldica. Così a destra troviamo l’ar- ma di Giovanni e a sinistra quella di Federi- Della rocca di Mondolfo definitivamen- co di Montefeltro, seppur rappresentata dai te smantellata nel XIX secolo restano diver- soli quarti 1° e 3° dell’originario inquartato si fregi lapidei, alcuni conservati al Victoria 97. Una scelta invero singolare presente non and Albert Museum di Londra. Si tratta di solo negli stemmi dei Della Rovere duchi di meravigliosi reperti testimonianti l’esisten- Urbino (come inteso da Cioci) ma anche in za di un vero e proprio palatium. Anche in un sigillo di Elisabetta Gonzaga, vedova del questo caso lo stemma è inquartato con la duca Guidobaldo 98. tecnica già descritta. Anche la decorazione che circonda lo

64 Antonio Conti La prima evoluzione dell’arma dei Della Rovere scudo richiama Giovanna. Le argomen- l’anello potrebbe avere anche valenza di tazioni proposte da Cioci 99 per legare a fede nuziale. Circa la corona, abbiamo te- Francesco Maria l’anello e il drago (ve- stimonianze dell’uso del diadema da parte rosimilmente sforzeschi), valgono a mag- delle successive duchesse Della Rovere gior ragione per sua madre Giovanna, che 100, e quindi non appare incompatibile spe- era figlia di Battista degli Sforza pesaresi. cialmente con le due figure muliebri reg- Nel contesto della decorazione del piatto gistemma.

Figura 17 – Londra, Victoria and Albert Museum, stemma di Giovanna di Montefeltro della Rovere.

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1 Antonio Conti, L’origine dell’arma dei Della 11 Fabrizio Lollini, I libri corali della Catte- Rovere, in “Pesaro città e contà”, n. 23, 2003, pp. 7-15. drale, in Berenice Giovannucci Vigi, Giovanni Sassu 2 Si vedano per esempio: Giacomo Bascapè, (a cura), Museo della Cattedrale di Ferrara. Catalo- Marcello Del Piazzo, Insegne e simboli. Araldica go generale, Ferrara 2010, p. 166, nota 10. Ringrazio pubblica e privata medievale e moderna, Ministero per la collaborazione Giovanni Sassu, curatore del per i beni e le attività culturali, Roma 1999, pp. 290 Museo della Cattedrale di Ferrara. e 312; Lucino Ceccarelli, “Non mai”, Accademia 12 Litta, Passerini, Famiglie celebri cit., tav. Raffaello, Urbino 2002, p. 184. I; i disegni di G. Vichi, in Alberto Polverari, Mon- 3 Si veda quello impresso nel 1486, Giulio davio. Dalle origini alla fine del Ducato di Urbino Nepi, Sigillo pendente del cardinale Giuliano Della (1631), Tecnostampa, Ostra Vetere 1984, tavv. 1 e ss. Rovere, in I Della Rovere, Electa, Milano 2004, p. 13 Daniele Diotallevi, Stemma, in Dal Pog- 268. Qui lo scudo a testa di cavallo contiene la rovere getto, I Della Rovere cit., pp. 454-455. ed è timbrato da un galero con quindici fiocchi per 14 Ignacio Vicente Casante, Heraldica gene- lato (dieci visibili), non c’è la croce astile a quell’e- ral y fuentes de las armas de Espana, Salvat Editores, poca elemento araldico episcopale non ancora stabi- Barcelona 1956, p. 413. lizzato. 15 Mario Cignoni, La spada e il leone, Giam- 4 Bruno B. Heim, L’araldica nella Chiesa cat- piero Pagnini Editore, Firenze 1998, pp. 55-56. tolica, Città del Vaticano 2000, p. 137. 16 Vicente Casante, Heraldica cit., pp. 423 e 5 La paternità di Leonardo è stata attribuita a 424. Bartolomeo, fratello di Sisto IV e di Raffaele, Mari- 17 Luigi Borgia, Lo stemma del Regno delle nella Bonvini Mazzanti, Giovanni Della Rovere. Un Due Sicilie, Polistampa, Firenze 2002, p. 13. “Principe nuovo” nelle vicende italiane degli ultimi 18 Eduard Mira, Lasciando da parte lo stile dei anni del XV secolo, Edizioni 2 G, Senigallia 1983, trovatori, in, Gennaro Toscano (a cura), La Bibliote- p. 14 e Paolo Cherubini, Leonardo Della Rovere, in ca Reale di Napoli al tempo della dinastia Aragonese, Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell’En- La Imprenta, Valencia 1998, p. 53. L’arma inquartata ciclopedia Italiana, Roma 1989, vol. 37, p. 360; altri fu usata per la prima volta in una bandiera per la ca- l’attribuiscono a Raffaele, Pompeo Litta, Luigi Passe- valcata rituale seguita alla cerimonia di adozione nel rini, Famiglie celebri d’Italia, I Della Rovere di Savo- 1420, Giuseppe Galasso, Il Mezzogiorno angioino e na, duchi di Urbino, tav. II, 183; Giovanni Murano, aragonese: 1266-1494, Storia d’Italia, UTET, Torino Colligite fragmenta, Accademia Raffaello, Urbino 1992, p. 297. 2003, p. 41 19 Corpus Nummorum Italicorum, vol. XIX, 6 Archivio di Stato di Firenze (d’ora in poi Italia meridionale continentale:Napoli 1, dal Ducato Asf), Diplomatico, Urbino Pesaro, 17 febbraio 1471 napoletano a Carlo V, Ed. Colombo, Roma 1940. (si tratta del 1472 nello stile comune). 20 L’unione di queste armi, in un partito, risali- 7 Bonvini Mazzanti, Giovanni Della Rovere va alla prima casa d’Angiò Napoli con Carlo I. cit, p. 18. 21 Corpus Nummorum Italicorum cit. 8 Asf, Diplomatico, Urbino Pesaro, 28 marzo 22 Mira, Lasciando da parte, cit., pp. 53-54. 1472, ringrazio Sara Cambrini per l’aiuto prestato Alfonso usò contare gli anni del suo regno, non dalla nella lettura del documento; con data 25 marzo 1472, conquista di Napoli (1442), né dal riconoscimento pa- in Repertorio di scritture, Biblioteca Oliveriana di pale (1443), ma dalla morte di Giovanna II avvenuta Pesaro, ms. 443, p. XVr. nel 1435, ivi, p. 54. 9 Asf, Ducato di Urbino, cl. I, fil. XVII, n. 23 Galasso, Il Mezzogiorno cit., pp. 297-307. 2, pergamena del 30 marzo 1472; cfr. Repertorio di 24 Ibid., pp. 561-587. scritture cit., doc. 445, p. CCXII. 25 Il codice raccoglie le pergamene con gli 10 Peraltro l’oro era smalto più appropriato, stemmi dei membri del Collegium Disciplinatorum stando alle generali regole dell’araldica. Sanctae Marthae, istituito nel 1400 in onore dell’ex

66 Antonio Conti La prima evoluzione dell’arma dei Della Rovere sovrano Carlo III. È custodito presso l’Archivio di della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici del- Stato di Napoli. le Marche”, n. 1, Quattroventi, Urbino 2000, p. 61 26 Gennaro Toscano, La miniatura ai tempi di 39 Litta, Passerini, Famiglie celebri d’Italia Renato d’Angiò (1438 e il 1442), in Toscano, La Bi- cit, tav. II. blioteca Reale di Napoli cit., pp. 330-331. 40 Murano, Colligite fragmenta cit., p. 40. 27 È l’arma della più antica dinastia degli 41 Bonvini Mazzanti, Giovanni Della Rovere Árpád. Le fonti ungheresi mostrano per lo più l’or- cit., p. 58. dine degli smalti rosso-bianco, mentre nelle armi 42 Copia in Archivio Segreto Vaticano, Archi- angioine e quindi aragonesi e roveresche l’ordine è vio Boncompagni-Ludovisi, 28, fasc. 1, ff. 12r-19v. invertito. È una corruzione divenuta consuetudine. 43 Asf, Ducato di Urbino, Cl. I, Fil. XVII, n. 3, 28 Codice di Santa Marta, Archivio di Stato di 20.03.1477. Napoli, f. 7. L’argento dell’arma ungherese è reso con 44 Repertorio di scritture cit., p. XVr, questo una lamina metallica scurita per ossidazione. documento attesta che nel 1758 esisteva ancora la 29 La brisura è la consapevole modificazione pergamena originale presso l’Archivio ducale. Ivi., di uno stemma volta a crearne uno nuovo che alluda p. CCXIIr si dà notizia dell’investitura correttamente chiaramente al primo: tecnica usata per i rami cadetti, datata 24 novembre 1475. come in questo caso. 45 Asf, Diplomatico, Urbino Pesaro, 17 dicem- 30 Sulle brisure di secondo grado si veda Mi- bre 1475. chel Pastoureau, Traité d’héraldique, Picard, Paris 46 Cfr. Marinella Bonvini Mazzanti, Seni- 2003, pp. 185-186. gallia, Quattroventi, Urbino 1998, pp. 53-55, che 31 Borgia, Lo stemma cit., pp. 19-20. Il pannel- fornisce un’esauriente spiegazione delle diciture. lo dipinto del cassone nuziale custodito al Metropoli- Aggiungiamo solo che nelle bolle di nomina è scritto tan Museum di New York, che rappresenta la conqui- Prefecrus Almae Urbis e non Praefectus. sta di Napoli del 1381, mostra questo stemma, nella 47 Vedi infra, nota 80. versione corretta con la bordura limitata alla parte 48 Sull’arma dei Prefetti di Vico e sulle impli- durazzesca. cazioni araldiche in senso lato, si veda Antonio Con- 32 Ottfried Neubecker, Araldica. Origini, sim- ti, Note di araldica: i della Faggiola e i di Vico, in boli e significato, Mondadori, Milano 1980, p. 100; Anna Lia Ermeti, Daniele Sacco (a cura), Archeolo- ripreso da Borgia, Lo stemma cit., p. 20 gia del paesaggio medievale nel territorio di Castel- 33 A Napoli gli stemmi: nel suo sepolcro in S. delci - Montefeltro: il Castello di Faggiola “Nuova”, Giovanni in Carbonara, a palazzo Penne, a palazzo prime indagini, anni 2005-2007, ArcheoMed, n. 2, Pappacota e in una moneta. Lo stemma nel Codice di 2007, pp. 21-29 Santa Marta non ha il lambello, ma la bordura, con la 49 Come nei disegni di G. Vichi pubblicati in stessa estensione, anomala, vista nello stemma pater- Polverari, Mondavio cit., tavv. 1-2. no. Gli elementi brisanti sono indicati in Neubecker, 50 Anche questo sarà oggetto di un nostro pros- Araldica cit., p. 100 simo intervento. 34 Pastoureau, Traité cit., p. 186. 51 Bonvini Mazzanti, Giovanni Della Rovere 35 Ibid., p. 186.. cit., p. 102. 36 Neubecker, Araldica cit., pp. 99-100; Bor- 52 Cecil H. Clough, Antonio Conti, Guidobal- gia, Lo stemma cit., p. 20 do da Montefeltro, duca di Urbino: fu mai gonfalo- 37 Borgia, Lo stemma cit., p. 21 niere di Sancta Romana Ecclesia?, in “Studi Monte- 38 Bonvini Mazzanti, Giovanni Della Rovere feltrani”, n. 27, 2006, pp. 115-121. cit., p. 82; Agnese Vastano, Stemma di Francesco 53 Bonvini Mazzanti, Giovanni Della Rovere Maria II Della Rovere, in Paolo Dal Poggetto, Be- cit., p. 66. nedetta Montevecchi (a cura), Gli ultimi Della Ro- 54 Asf, Urbino, cl. I, fil. I, n. 21. vere: Il crepuscolo del Ducato di Urbino, “Quaderni 55 Così configurato lo stemma dei Montefeltro

67 Studi pesaresi 3.2015

è documentato per la prima volta con Speranza (+ Sforza (1447-1483), Link 3, Società pesarese di studi 1340), era anche stemma di Urbino almeno dall’inizio storici, Pesaro 2003, pp. 76-77, nota 44. del Cinquecento, come abbiamo illustrato nella con- 70 Architrave portale della seconda sala, le par- ferenza “I Montefeltro come non li avete mai visti”, tizioni inferiori sono poste pseudo specularmente ri- Urbino 5 giugno 2013. Non compare nello stemma spetto alle superiori. di Giovanni come arma di Urbino come affermato in 71 Ora sede del Museo di Storia della Mezza- Bonvini Mazzanti, Giovanni Della Rovere cit., p. 82. dria “Sergio Anselmi”. 56 Ibid., p. 48 e la nota 125. 72 Francesco Benelli, La storia della costru- 57 Claudia Caldari, Presenze architettoniche e zione del conventi e della chiesa di Santa Maria delle opere d’arte di committenza roveresca nella città di Grazie a Senigallia, da Baccio Pontelli a Gerolamo Senigallia, in Dal Poggetto (a cura) , I Della Rovere Genga, in “Annali di Architettura”, 14, 2002. cit., p. 188. 73 Benelli, La storia cit., pp. 95-96. 58 All’ultimo piano si trova un solo stemma, in 74 Si noti che Sisto IV era morto sei anni prima un architrave. dell’inizio dei lavori, Giuliano sarà eletto papa nel 59 Sull’uso del cimiero in questo contesto si 1503. vedano: Cennino Cennini, Fabio Frezzato (a cura) Il 75 Caldari, Presenze architettoniche cit., p. 190. libro dell’arte, Neri Pozza Editore, Vicenza 2003, p. 76 Heim, L’araldica cit., pp. 68-71. 188; Franco Sacchetti, Davide Puccini (a cura), Il 77 Ibid., pp. 73-75. trecento novelle, Utet, Torino 2004, pp. 407-409 78 D’argento incappato d’azzurro, col capo del 60 Bonvini Mazzanti, Giovanni Della Rovere primo all’aquila di nero, per le fonti di Senigallia, Al- cit., p. 77. berto Polverari, Cronotassi dei vescovi di Senigallia, 61 Solo in un peduccio a S. Maria delle Grazie Editrice Fortuna, Fano 1992, pp. 87-97 (che riprende è posta sull’elmo. In epoca precedente i cimieri veri e il Giuseppe Tiraboschi, Armi gentilizie de vescovi di propri erano sempre rappresentati con l’elmo, si pensi Senigaglia, ms, Archivio capitolare di Senigallia. Le solo a palazzo ducale di Urbino. fonti savonesi attestano l’oro in luogo dell’argento: 62 Bonvini Mazzanti, Giovanni Della Rovere Armi de Famiglie Savonesi raccolti e posti insieme cit., pp. 81-82. da Giò: Vincenzo Verzellino. 1621, Archivio di Stato 63 Ceccarelli, “Non mai” cit., p. 184. di Savona, p. 4. 64 Emerge chiaramente in Marcello Luchetti, 79 Correttamente attribuito in Benelli, La sto- Le “imprese” dei Della Rovere: immagini simboliche ria cit., p. 104. tra politica e vicende familiari, in Pesaro nell’età dei 80 Heim, L’araldica cit., p. 69. Della Rovere, Marsilio Editori, Venezia 1998, pp. 57- 81 Giovanni seguì la politica del fratello Giulia- 93; ed anche in Ceccarelli, “Non mai” cit., p. 184. no anche nell’alleanza con Carlo VIII e nella contrap- 65 Per esempio accade nella vera del pozzo del posizione con Alessandro VI e a re Ferrante. Nel no- cortile. È così anche nell’arma in via Mastai. vembre 1494, scomunicato, divenne uno dei capitani 66 Così nel rosone di due sale dell’appartamen- del re di Francia. Rimase poi sempre politicamente to ducale. legato ai re francesi, con tutte le conseguenze descrit- 67 Sono confuse nel 1° quarto dello stemma te in Bonvini Mazzanti, Giovanni, cit., pp. 240-241, sullo stipite dei in portale dell’appartamento ducale. 256 e ss. 68 Talvolta una partizione è rappresentata in 82 È l’unico stemma rappresentato nel recto del- parte o addirittura omessa nei quarti inferiori degli le sue monete, Corpus Nummorum cit, pp. 228-232. stemmi a testa di cavallo, così nei due stemmi nel- 83 Benelli, La storia cit., p. 96. la sala grande dell’appartamento ducale. È evidente 84 Contrariamente a quanto affermato in Bonvi- anche il fenomeno dell’inversione, solo nell’ultimo ni Mazzanti, Senigallia cit., p. 68. quarto, giacché nel 1° non c’è un inquartato. 85 In questo caso l’arma roveresca ha il posto 69 Francesco Ambrogiani, Vita di Costanzo più importante, diversamente da quanto visto negli

68 Antonio Conti La prima evoluzione dell’arma dei Della Rovere stemmi della rocca. In questi anni i Montefeltro e i storico-ecclesiastica, da S. Pietro ai nostri giorni, Della Rovere erano schierati in campi opposti. Venezia 1852, Vol. LV, p. 118. Così risulta anche dalla 86 Cfr. Claudia Caldari, Gli apparati deco- sottoscrizione apposta sulla sua corrispondenza. rativi e le opere d’arte mobili di Santa Maria delle 95 London, Victoria and Albert Museum, mu- Grazie: considerazioni e restauri, in Marinella Bon- seum number 5475-1859. vini Mazzanti, Gilberto Piccinini (a cura), La quercia 96 Francesco Cioci, I Della Rovere di Senigal- dai frutti d’oro. Giovanni Della Rovere (1457-1501) lia e alcune testimonianze ceramiche, in “Faenza”, a. e le origini del potere roveresco. Atti del convegno di LXVII, f. V-VI, 1982, pp. 251-252. studi, Senigallia 23-24 novembre 2001, Tecnostampa 97 Sull’origine dell’inquartato Antonio Conti, Edizioni, Ostra Vetere 2004, p. 259. L’araldica nei sigilli di Oddantonio da Montefeltro, 87 Benelli, La storia cit., p. 104. in “Nobiltà”, a. XVIII, settembre-ottobre 2010, n. 98, 88 La contingenza di queste situazioni politico pp. 429-440. militari si rileva anche dall’interessamento Federico 98 Asrsm, Carteggio della Reggenza, b. 90/2, di Montefeltro nell’indurre il re di Napoli al rispetto lettera del 13 ottobre 1513. della promessa di protezione di Giovanni risalente al 99 Cioci, I Della Rovere cit., p. 252-253. 1477, Bonvini Mazzanti, Giovanni Della Rovere cit., 100 Così i sigilli di Giulia Varano, Vittoria Farne- pp. 86-87. se, Lucrezia d’Este, di cui tratteremo in un prossimo 89 Sul tema si vedano gli interventi di Paola intervento. Raggi, Francesco Paolo Fiore, Gianni Volpe e Fabio Mariano in Bonvini Mazzanti, Piccinini, (a cura), La quercia cit. Immagini 90 Nel 1° quarto, controinquartato, non si ha Figg. 1, 10, 14 e 15 Aut. Dir. Museo “Anselmi” specularità nella composizione. del 24.10.13; fig. 2 tratta da D.L. Galbreath, Manuel 91 Arma quasi illeggibile, ultimo quarto certa- du blason, Losanna 1942; fig. 3 aut. Asf 6284/609; mente controinquartato. fig. 4 di Vincenzo Lerro; figg. 6 e 7 aut. Asn 26/2013; 92 Un esempio magnifico: lo stemma di Rober- fig. 8 tratta da M. Bonvini Mazzanti, Giovanni Della to Sanseverino (+ 1487) nel duomo di Trento. Rovere, Senigallia 1983; figg. 9, 11, 12 e 13 aut. prot. 93 Archivio dello Stato della Repubblica di San 13466/2007 Soprintendenza per i beni architettonici e Marino (d’ora in poi Asrsm), Carteggio dei Capitani paesaggistici delle Marche; fig. 16 dell’autore; fig. 17 reggenti, b. 90, 20 luglio 1511 in conformità ai termini d’uso del Victoria and Albert 94 Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione Museum di Londra.

69 Santa Sofia dentro le mura di Gradara Analisi delle strutture murarie

di Mirko Traversari

La cura d’anime della comunità di Gra- tiva e di riferimento territoriale della pieve dara da sempre è stata prerogativa della di Santa Sofia, antecedente di almeno cen- pieve di Santa Sofia, fin dalle sue origini tocinquant’anni rispetto alle evidenze docu- inserita nell’elenco diocesano di Pesaro. Di mentali del castrum. Le registrazioni delle questo elenco, poco più che una decina di decime del XIII e inizi XIV secolo ci pro- strutture, solo pochissime arretrano oltre pongono un quadro relativamente stabile il X secolo, mentre la grande maggioran- della capacità economica di Santa Sofia, gli za delle pievi si attesta dal XI-XII secolo emolumenti dovuti, anche se in alcuni casi in poi 1. L’attuale fabbrica di Santa Sofia, di molto inferiori ad altre pievi pesaresi, ri- situata in posizione eccentrica rispetto al mangono stabili, anzi sul finire del 1200, la borgo di Gradara, si trova a circa 2 km dal richiesta aumenta, così pure come le decime paese, in località Pieve Vecchia, toponimo che Santa Sofia impone al suo territorio di che chiaramente si riferisce alla prima fase competenza 4. Durante il XIV sec. abbiamo dell’insediamento plebano gradarese, ab- traccia della partecipazione dell’archipre- bandonato in favore di una sistemazione in- sbiter plebis Sancte Sophie da Gradaria tra muros, come vedremo. Relativamente in Giovanni, ad almeno due riunioni sinoda- linea con le altre pievi pesaresi, Santa Sofia li per dirimere alcune importanti questioni compare per la prima volta nei documenti fiscali concernenti il monastero pesarese di nel 1030, ulteriori rimandi si susseguono Santa Maria Maddalena 5. L’importante fase negli anni 1032, 1051 e 1137 2, si tratta per malatestiana che fece di Gradara un baluar- la quasi totalità di atti privati, concessioni do contro i rivali Montefeltro, portò signi- e donazioni di beni sui quali è evidente la ficative modifiche al borgo e, nonostante le presenza della chiesa di Ravenna. In que- continue conflittualità tra Malatesta, Mon- gli anni non è chiaro se sul colle occupato tefeltro e Stato pontificio, non venne modi- dal castello di Gradara già esistesse qualche ficato sostanzialmente nell’assetto plebano tipo di fortificazione o meno, i documenti preesistente; saranno invece le devastazioni ci danno un sicuro termine ante quem solo francesi a suggerire il necessario trasferi- dal 1182 quando alcuni possedimenti situati mento della sede plebana all’interno del nelle vicinanze del castrum Credarie ven- castello durante il pontificato di Giulio II 6. nero restituiti dal conte di Pesaro Enrico ai La generale insicurezza e stravolgimento portuensi ravennati 3, appare probabile a che la discesa francese procurò su tutto il questo punto intuire una funzione coagula- territorio controllato dai Malatesta, procurò

70 Mirko Traversari Santa Sofia dentro le mura di Gradara notevoli modificazioni strutturali agli inse- giunta dell’aggettivo “vecchia” per distin- diamenti autoctoni, così anche sul castello guere la fabbrica esterna, lungo la strada per di Gradara osserviamo dapprima un gene- Monteluro-Tavullia, dalla nuova struttura 9; rale depauperamento sviluppatosi in segui- il nuovo complesso funzionale restituito al to ai feroci assedi della fine del XV sec. su borgo con funzione plebana comprendeva, cui intervenne in maniera decisa Giovanni oltre alla chiesa, la canonica e un ambien- Sforza 7, una volta espugnato il castello, con te ipogeo scavato nel tufo a doppi corridoi ristrutturazioni alle merlature e rifasciature paralleli, uniti da un elemento trasversale; alle cortine esterne, operazioni consone ad le intersezioni e i bracci, forniti di nicchie una rocca ormai votata ad una funzione laterali, avevano un impianto quasi sempre residenziale piuttosto che di baluardo stra- speculare; le incamiciature laterizie appli- tegico 8. La chiesa matrice di Santa Sofia cate contro terra, soprattutto nelle volte e venne quindi trasferita all’interno della cin- nelle intersezioni dei vari rami, erano spes- ta muraria del borgo, prendendo residenza so impreziosita da decorazioni a carattere all’interno di una piccola chiesa, sua suc- simbolico e religioso 10. Santa Sofia entro le cursale; il trasferimento richiese allora l’ag- mura continuò ad officiare, non senza dis-

Figura 1 – Santa Sofia – Fronte N-E della fabbrica di Santa Sofia dentro le mura prima della demolizione definitiva (daD . Bischi, E. Cucchiarini, Le mura di Gradara, Fano 1996, p. 57).

71 Studi pesaresi 3.2015

Figura 2 – Fronte W interno – la parete originariamente interna alla fabbrica, conserva ancora elementi decorative in stucco (foto Mirko Traversari). sidi sulle celebrazioni delle principali fun- intatto offrendo così gli stucchi interni alle zioni, con la vicina chiesa di San Giovanni intemperie; non fu abbattuta la canonica Battista, per almeno quattro secoli. che rimase in funzione per parecchi anni I danni prodotti dai rovinosi terremoti ancora come abitazione arcipretale 12, così del 1916 e 1930 11 convinsero i gradaresi a come l’ambiente ipogeo sottostante, sfrut- spostare nuovamente la sede di Santa So- tato a cantina. fia all’esterno del borgo, ancora in località Ciò che oggi ci rimane della Santa Sofia Pieve Vecchia. La defunzionalizzazione dentro le mura è un cortile rifunzionalizzato del fabbricato interno alle mura, dovuta ai come ristorante, ricavato nei perimetrali in danni del sisma, determinò la demolizio- parte demoliti della chiesa, posto all’incro- ne di gran parte degli alzati della chiesa; cio tra via Dante Alighieri e via delle Mura, da questa operazione vennero risparmiati porzione di borgo ad impianto ortogonale parte dei muri perimetrali per un altezza sviluppatosi all’esterno del primo insedia- di circa due metri sul fronte est e facciata mento a sviluppo anulare contenuto dalle fronte sud, mentre l’interno del perimetra- vie Roma, Rubini e Malatestiana (la riorga- le ovest, addossato alla canonica, rimase nizzazione a sviluppo ortogonale del borgo

72 Mirko Traversari Santa Sofia dentro le mura di Gradara pare coincidere con la fase malatestiana di tardo XIII primo XIV sec., anni in cui Gra- dara venne dotata della cinta muraria che ancora oggi vediamo) 13. Sezioni originali degli alzati attualmente le incontriamo sul fronte sud, su cui era originariamente collo- cato il portale; è da considerarsi moderna la strombatura attuale realizzata a servizio del cortile adibito a ristorante, realizzata me- diante elementi laterizi assolutamente omo- genei, di modulo moderno, la cui uniformi- tà cromatica dovuta ad un’unica operazione di posa si discosta energicamente rispetto alle porzioni laterali più antiche. Ai lati del moderno accesso, il fronte è ancora integro per un alzato di circa due metri con alcune risarciture moderne piuttosto evidenti, rea- lizzato con conci laterizi abbastanza omo- genei per dimensione e per caratteristiche cromatiche: l’oscillazione massima delle Figura 3 – Fronte E – perimetrale esterno, è anco- misure alla testa dei mattoni è contenuta tra ra individuabile la lesione dovuta ai sismi i 13 e i 17 cm (rari), con una preponderan- sul rinforzo di sostruzione al precedente za di elementi di 16 cm; i fianchi oscillano campanile a vela (foto Mirko Traversari). piuttosto regolarmente tra i 27 e i 29 cm, l’altezza dei corsi è di circa 5 cm mentre il letto di posa, piuttosto curato, è di 0,5-1 cm; la facciata, come testimoniato da alcu- ne fotografie di inizio 900, era valorizzata da corniciature lievemente aggettanti di cui troviamo ancora traccia; sono ancora visi- bili le quattro importanti lesene che, a gui- sa di colonne, poggiavano su di un plinto sempre in laterizio, tre dei quali completa- mente abrasi 14; tra la lesena e le basi, erano inseriti elementi di pregio quali laterizi in cotto che simulavano un piccolo toro liscio, dal colore rosato con numerosi inclusi rossi all’interno. Lo spazio compreso tra le lese- ne è ulteriormente decorato da una cornice congiunta tramite elementi circolari che ne Figura 4 – Brano murario lungo la cortina E della addolciscono le connessioni tra elementi cinta di difesa al borgo in cui si conservano alcuni verticali e orizzontali. corsi laterizi originali (foto Mirko Traversari).

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Le risarciture moderne sono ben visibili totalmente dilavata, nei pochi brani residui nella parte a destra dell’entrata; è riconosci- si apprezza una colorazione grigiastra con bile un intervento caratterizzato da malta buona depurazione. Il fronte est, qualitati- recente a struttura cementizia sulla sezio- vamente più scadente e impreciso rispetto ne esterna in prossimità del fronte est, che alla facciata (fronte sud), è completamente ospitava il campanile a vela, su cui sono an- liscio fatta eccezione per il corpo in aggetto cora riconoscibili i segni dei terremoti che nell’angolo sud-est che, come detto, ospi- determinarono l’abbattimento della chiesa. tava alla sommità il campanile a vela 15; la Sempre la sezione destra della facciata è ca- misura in testa dei laterizi oscilla in questo ratterizzata da una tamponatura che oblitera caso dai 13 agli 11 cm, mentre i fianchi di in parte il motivo volumetrico della corni- 27/29 cm confermano il modulo già visto ciatura, frutto di un’operazione di rinforzo sulla facciata, l’altezza dei corsi varia dai alla sezione superiore del muro. I corsi del 4 ai 5 cm mentre il letto di posa varia no- fronte sud sono allettati su malta giallo/gri- tevolmente dai 4 a 0,5 cm, determinando giastra moderatamente sabbiosa, la malta in alcune sezioni un andamento irregolare di stuccatura originale invece è stata quasi dell’apparecchiatura laterizia; anche in que-

Figura 5 – Fronte E esterno – Laterizio con decorazioni digitali a crudo (foto Mirko Traversari).

74 Mirko Traversari Santa Sofia dentro le mura di Gradara sto caso la malta di posa è di colore giallo/ va nella facciata la parte di pregio, mag- grigiastra, mentre la stuccatura, veramente giormente curata sia a livello artistico sia a molto rara, è di colore grigiastro; numero- livello costruttivo: foto d’epoca ci mostrano sissime le risarciture interlineari in cemento addirittura rialzamenti della facciata che moderno e alcune aree completamente rico- dovevano renderla ancora più imponente di perte da una sorta di intonacatura cementi- quello che in realtà era, mentre la parete est, zia tendente a ridare una omogeneità della che fungeva anche da delimitatrice della superficie. Gli aspetti mensiocronologici strada, era completamente liscia, aggraziata trattati attribuiscono le strutture residue di solo da tre finestroni quadrangolari e strom- Santa Sofia dentro le mura almeno dal XIV bati poco sotto la linea di gronda, comun- secolo 16. Questo brano di muratura pare que realizzata con minor cura rispetto alla aver subito maggiormente i danni dai sismi, facciata 19; così come il fronte absidale, che tanto che sono ben visibili diversi lacerti a si affacciava su di un cortiletto interno, lon- carattere fluttuante che portano memoria tano dalla strada, semplice e privo di qualsi- del moto opposto dei capi strutturali 17 della asi elemento di decoro. In conclusione, dun- chiesa, con conseguente sviluppo di crepe que, l’analisi integrata delle fonti storiche lungo tutta l’altezza della muratura, dovuti e dei dati materiali ancora desumibili dalle all’allontanamento dei corsi laterizi; a que- murature superstiti di Santa Sofia dentro le sto si deve probabilmente la presenza piut- mura pare confermare una realizzazione tosto massiccia di cemento sia come malta strutturale del XIV sec., così come l’acco- sia come legante superficiale. Della parete stamento del modulo laterizio trova dirette nord non rimane traccia, abbattuta per uni- analogie con i brani superstiti delle mura di ficare lo spazio risultante con quello che pieno XIV sec., anch’esse pesantemente ri- fu l’esterno della chiesa; abbiamo tuttavia maneggiate e in moltissimi tratti ricostruite, una foto del 1930 che ritrae proprio questo ma ancora rintracciabili nei canoni originali scorcio e che ci mostra un’evidente tam- in alcuni brani lungo la cortina est. ponatura laterizia dell’arco trionfale, con conseguente riduzione della zona absidale, sintomi di una precedente operazione strut- turale tesa a eliminare il catino absidale in favore di un impianto quadrangolare della zona presbiteriale 18. Del fronte ovest, va- lutabile nell’affaccio interno della chiesa, rimane gran parte dello sviluppo fino alla linea di gronda; si sono conservati due ar- chi ora tamponati, che anticamente serviva- no cappelle laterali, e numerosi stucchi di gusto neoclassico. La fattura artigianale dei laterizi impiegati, è sottolineata dalla pre- senza di alcuni mattoni recanti decorazioni Figura 6 – Fronte E esterno – Laterizio digitali e impronte prodotte a crudo. con decorazioni digitali a crudo In generale la chiesa di Santa Sofia ave- (foto Mirko Traversari).

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1 C. Curradi, Da Gabicce a Gradara nel- di Firenze (Architettura), rel. prof. ssa C. Pietramella- le pergamene altomedievali, in Gabicce, un paese ra, a. a. 1990-1991. sull’Adriatico tra Marche e Romagna (atti 1° conve- 11 Ricordiamo, oltre a quelli citati, i terremoti gno di storia gabiccese), Gabicce 1986, pp. 153-207. del 14 aprile 1672 e 24 aprile 1741. 2 Biblioteca Oliveriana di Pesaro, ms 456/III, 12 L. Moretti, Gradara solo ieri, ma così lon- c. 103; Archivio Arcivescovile di Ravenna, caps. F. tana, Cattolica 2007, pp. 83-84. 1980 [A], 2074 [A]; A. 296 [A]; A. Abati Olivieri 13 Monti, La Rocca di Gradara cit., pp. 43-52. Giordani, Memorie di Gradara, terra del contado di 14 È ancora parzialmente visibile nei suoi volu- Pesaro, Pesaro 1775, pp. 45-47 (ried. Rimini 1980). mi originali la base della lesena esterna a est, di cui 3 Archivio Arcivescovile di Ravenna, Archivio rimane parte dell’ingombro. Portuense, B. 539 [A]. Delio Bischi in Id., Gradara 15 Il motivo dell’aggetto su un elemento che nella storia, nell’arte, nel turismo, Rimini 1985, p. ospitava un campanile a vela è da ricercarsi nella 43, avanza l’ipotesi del 1150 come prima attestazione necessità di ottenere una canalizzazione interna alla documentale riguardo il castello di Gradara, ma non è sezione del muro, in cui far decorrere le funi per il chiara la fonte primaria di questa datazione. funzionamento delle campane senza indebolire la 4 Per una visione d’insieme completa sulle de- struttura complessiva e al contempo e senza ingom- cime di quegli anni: P. Sella (a cura), Rationes De- brare l’interno della chiesa con strutture di servizio. cimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Marchia, Città 16 N. Leoni, Le mura basso medievali di Rimi- del Vaticano 1950, n. 130, 178, 248, 283, 355 e 402. ni: analisi archeologiche, tesi di laurea, Università Cà 5 Un’edizione recente dei documenti del 24 Foscari Venezia, rel. prof. S. Gelichi, a. a. 2011-2012; settembre 1373 e 15 gennaio 1381 in A. Falcioni, G. A. Augenti, A, Fiorini, M. Montanari, M. Sericola, Patrignani (a cura), Il fondo diplomatico della Bi- A. Urcia, F. Zaffagnini; Archeologia dell’architettu- blioteca Oliveriana di Pesaro (secoli XIII-XV), Pesa- ra in Emilia-Romagna: primi passi verso un progetto ro 2007, pp. 28-33 e pp. 60-79, edizione a cura di L. organico, in “Ocnus”, 17, 2009, pp. 65-76; D. Fiora- Ballante e G. Fania. ni, Lo studio della geometria e delle dimensioni, in 6 M. L. De Nicolò (a cura), Terra di Gradara. Ead., Restauro architettonico e strumento informati- Temi per una storia della Comunità, Gradara 2001, co, Napoli 2004, pp. 48-49; M. Altini, J. Bogdani, F. pp. 53-59. Boschi, E. Ravaioli, M. Silani, E. Vecchietti, Prime 7 D. Bischi, E. Cucchiarini, Le mura di Gra- esperienze del Laboratorio di Rilievo Archeologico: dara, Fano 1996, pp. 37-52. la Fortezza di Acquaviva Picena (AP) e il castrum 8 Si veda in questo senso il paragone con le romano di Burnum (Drniš, Croazia), in “Ocnus”, 13, operazioni di ristrutturazione dello Sforza su un nodo 2005, pp. 9-34. strategico fondamentale come Pesaro, dove assistia- 17 Le fratture del fronte est fanno ipotizzare, mo ad elevazioni e ristrutturazioni di assoluta moder- quantomeno per il sisma del 1930, un andamento on- nità per il tempo; A. Monti, La Rocca di Gradara: dulatorio con linea di oscillazione sud-nord. ricostruzione evolutiva, il Castrum Gradarie, in “Ca- 18 Probabilmente rimane traccia di questa siste- stellum”, 48, 2005, pp. 43-52. mazione interna nei gradini che ancora oggi si posso- 9 La necessità di aggettivare la primitiva sede no vedere nel cortile del ristorante plebana con “vecchia”, che poi caratterizzerà il topo- 19 Sono evidenti le assenze di qualsiasi elemen- nimo stesso del luogo, pare essere sorta dopo il 1512, to in aggetto come lesene o archeggiature, non vi è v. L. Moretti, Archivio parrocchiale di Santa Sofia a l’impiego di elementi plastici cromaticamente diffe- Gradara, in “Pesaro città e contà”, 2, 1992, p. 121. renti, troviamo invece letti di posa più alti rispetto 10 C. Caldari, E. Cucchiarini, Il fenomeno ipo- alla facciata e una generale irregolarità se paragonata geo tra Marche e Romagna, tesi di laurea, Università al rigore del fronte sud.

76 Un fallito parco di caccia di Costanzo Sforza fra la rocca di Pesaro, il monte e il mare di Francesco V. Lombardi

Questo saggio è stato abbozzato anni fa, Introduzione ad un programma d’immagine ma per varie ragioni è rimasto sospeso nel signorile cassetto, perché l’autore era a conoscenza della fase di stesura di un’ampia ricerca do- Una delle minori angolazioni, che può cumentaria su Costanzo Sforza (1447-1483) servire ad introdurre questo nuovo aspetto da parte di Gian Galeazzo Scorza, allora di- e a collegarlo con la sua fisionomia di si- rettore dell’Archivio di Stato di Pesaro, poi gnore rinascimentale, può essere appunto il edita postuma nel 2005 1. Nel frattempo, in progetto ambizioso di far nascere un parco via parallela, quel lavoro era stato prece- di caccia alle porte di Pesaro, dalla parte di duto – come pubblicazione autonoma sullo levante (1477-1479), “convincendo” decine stesso argomento – da una monografia di di possidenti privati alla cessione delle loro Francesco Ambrogiani (2003) 2. Tali ampie, proprietà situate nella zona designata all’o- documentatissime e specifiche opere, ognu- perazione di accorpamento. na con un proprio taglio storiografico, hanno Occorre quindi premettere un breve ac- inquadrato la figura di Costanzo Sforza pre- cenno alle più attinenti vicende che presup- minentemente, se non quasi esclusivamen- pongono e connotano in generale questo te, sulle sue vicende politiche signorili e di periodo di Costanzo Sforza e della signoria condottiero d’armi, nei suoi rapporti esterni di Pesaro. Già nel 1470, 1471, 1472, fra i 23 con le potenze italiane del suo tempo, spe- e i 25 anni d’età, egli percepisce 10/12 mila cie dal momento in cui egli successe al padre ducati dalla Chiesa e dal ducato di Milano Alessandro nella signoria di Pesaro (1473). come condottiero di armi al loro servizio in A parte vi erano già varie pubblicazioni che pace e in guerra. Nel 1473 succede al padre trattavano la sua figura quale promotore di Alessandro nella signoria di Pesaro, sempre opere pubbliche civili e militari 3, nonché di come vicario della Santa Sede 5. Fa coniare committenza artistica 4. A fronte di ciò, forse anche proprie monete (figg. 1 e 2). manca ancora un approfondimento delle sue Da tale data fino al 1479 è al servizio del relazioni con le istituzioni locali, civili ed ec- re di Napoli e della repubblica di Firenze e clesiastiche (comune cittadino, comunità del la sua condotta stipendiale sale via via da contado, episcopato, enti religiosi) oltre che 16 mila a 33 mila ducati l’anno 6: natural- dei suoi rapporti di carattere privatistico con mente per sé e per le sue milizie. Ma, come i suoi sudditi sul piano giuridico e sul piano è noto, queste entrate erano integrate dalle economico. prede di guerra, dal riscatto dei prigionie-

77 Studi pesaresi 3.2015 ri, da elargizioni varie. Anche se tutto ciò è difficilmente scomponibile e quantificabile, resta indiscutibile che la signoria di Pesaro aveva allora un’entrata finanziaria del tutto rilevante. Con tali risorse egli poteva pro- muovere opere di utilità pubblica e privata, ma anche di magnificenza autocelebrativa. Sotto questo aspetto bisogna ricordare che Costanzo aveva ricevuto una educa- zione umanistica e rinascimentale 7 e quin- di anche sul piano culturale e dell’arte fu influenzato dal famoso suo cognato, cioè il conte Federico da Montefeltro, duca d’Ur- bino dal 1474, in modo particolare sul piano della strategia difensiva. Infatti, in modo analogo al signore di Pe- saro si presentarono problemi di difesa mi- Figura 1 – Moneta di Costanzo Sforza, recto. litare del suo stato, tenuto conto che spesso era assente per le campagne di guerra. La città era protetta a ovest dal fiume Foglia, ma sguarnita a levante, dalla parte di Fano, che era soggetta direttamente alla Chiesa. Così nel 1474 (10 febbraio) Costanzo Sfor- za fa iniziare una fortezza militare fuori di porta Fanestra, dove già esisteva la “torre del Tentamento”, fra le mura e il rio Ge- nica 8. In molti documenti viene chiamato castellum, forse ad imitazione del malate- stiano “castel Sismondo” di Rimini, ma poi prevarrà il nome più originale di “Rocca Costanza”. Nel 1475 (28 maggio) a 28 anni d’età, Costanzo Sforza sposa la nipote ex sorore di Ferdinando d’Aragona, re di Napoli e di Sicilia 9. La giovane – che aveva nome Cubella ma che a Pesaro sarà sempre chia- mata Camilla – aveva 16 anni. Come nar- ra una memoria contemporanea, l’arrivo della giovane sposa fu salutato da tutta la popolazione con feste e apparati scenogra- fici eccezionali. La preparazione era stata certamente ideata e curata da esperti corti- Figura 2 – Moneta di Costanzo Sforza, verso.

78 Francesco V. Lombardi Un fallito parco di caccia di Costanzo Sforza giani e approvata – se non suggerita – dallo de Colle servitore dello illustrissimo Signor stesso Costanzo. L’entrata nel territorio di Costantio». Il titolo della tavola n. 20 è: Pesaro avvenne sotto Novilara, dove il cor- Monte de Cortexiani 15 (fig. 3). teo fu ricevuto da una messinscena silvestre Secondo la descrizione, l’immagine si in cui la dea Diana cacciatrice, con paggi riferisce ad un gigantesco modello in legno e cavalieri, «faciendo vista de venire da le dipinto, che il lunedì (28 maggio 1475) del- selve circumstante caciando, li presentoro- la settimana dedicata alle feste degli spon- no alcune lepore et vulpe» e le recitarono il sali, fu presentato agli ospiti a pranzo nella primo madrigale di felicitazioni nuziali 10. “sala grande” del palazzo di città. Esso era Tutti pernottarono a Novilara. Poi il giorno coperto «di arbori e de verdure et de diversi dopo, fra festeggiamenti e tripudi di appa- animali como lepore, capreoli, cervi, orsi». rati allegorici, scesero panoramicamente Da questo grande carro allegorico usciva verso la città ed entrarono nel palazzo sfor- «uno homo salvatico» che dava la caccia zesco. ad una bestia feroce rappresentata in movi- Forse proprio per accogliere la sposa, mento da due uomini mimetizzati sotto una il signore pesarese aveva già fatto allarga- pelle leonina 16. Forse in quella occasione re un’ala di questo palazzo prospiciente la balenò in mente a Costanzo l’idea di realiz- piazza grande, che l’anno dopo veniva chia- zare fra il piano e il colle di Monte Granaro mata “residentia nova” 11. All’interno del un vero e reale parco di caccia. complesso architettonico c’era già un viri- darium, cioè un giardino 12. Lì di fianco la giovane sposa aveva le proprie stanze. Fuo- ri delle mura di ponente, fra porta Curina e porta del Ponte sul Foglia, c’era un altro viridarium fin dall’epoca malatestiana 13, a fianco del “Barchetto” che era originaria- mente dei frati francescani dell’Osservan- za, o di San Giovanni 14: da dove nel secolo seguente si estenderà il parco chiamato Mi- ralfiore. Questi recinti, anche per animali, non erano parchi venatori, per cui i veri e ben più ampi territori di caccia erano lonta- ni dalla città. Forse un immaginifico e stilizzato pa- norama di un colle disseminato di piante e animato da selvaggina, ci rimane in una di quelle splendide miniature del codice vati- cano che riporta proprio la cronaca favolosa delle nozze dello stesso Costanzo con Ca- milla d’Aragona, la cui stesura originaria risale al 1475, anche se questo esemplare è datato 1480 «scripto de mano de Lionardo Figura 3 – Miniatura del “Monte de Cortexiani”.

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Bisogna ricordare che la caccia è sem- la differenza d’età e di prestigio, quanto di pre stata uno dei passatempi preferiti dai diventarne poco a poco l’emulo e l’erede signori medievali e rinascimentali. Ma essa virtuale sotto questo profilo, il seguace an- era anche un mezzo di sostentamento per le che in questa angolazione di apparati corte- popolazioni civili, per cui si temeva la ra- si. Cioè Costanzo volle imitare il più illustre refazione della selvaggina. Già al tempo di cognato non solo nel costruire un palazzo Alessandro Sforza, il 14 aprile 1459, veniva residenziale cittadino, non solo nell’erigere emanato un bando una rocca su disegno di un illustre architetto come Luciano Laurana, ma anche nel creare che niuno possa pigliare né pernici, un parco in cui tenere animali selvatici per né fagiani, né starne, con qualsivoglia gli svaghi di corte. sorte di reti, fosse, cogolli, né panno ros- Certamente uno dei moventi del suo de- so, ma solo con cane e rete dal cane, e siderio di costruire un simile apparato fu col sparviero e simil altro uccello di rapi- anche quello di fornire alla propria corte na. E più che non si possa prendere lepri principesca, e alla propria giovane moglie, con lacci, balestra o altra sorta d’inganni un luogo di delizie, come non ce n’era in al- e con le mani. E più che non si possino cun’altra corte italiana: cioè in riva al mare. pigliare rondini con reti, palotto o arco, Nell’autunno del 1477 sembrava che né meno tirare alli loro nidi 17. la situazione generale dei conflitti italiani si fosse un po’ placata, anche se per poco. Come il padre, anche Costanzo Sforza L’inverno imminente faceva comunque so- era amante della caccia. A 19 anni, nel 1466, spendere le attività belliche. In questo cli- in un periodo di stasi bellica nel bolognese, ma, dopo il rinnovo della sua condotta con egli scrive al cugino Galeazzo Maria, duca il re di Napoli per 10 mila ducati in tempo di Milano, se poteva mandargli due sparvie- di pace e di 16 mila in tempo di guerra pro- ri e due cani per la caccia. Poco più di un prio a fianco del duca di Urbino 20, si venne mese dopo scrisse addirittura a Lorenzo de’ a maturare e a prendere corpo in Costan- Medici per chiedergli due cani da lepre 18. zo la ricorrente idea della costituzione di Già in quegli anni Federico da Montefel- un parco di caccia. Questa idea, come si è tro, signore di Urbino, aveva fatto recintare accennato, dovette balenargli in mente già una grande tenuta vicino a Fossombrone, in occasione degli apparati per la sua festa che conserva ancora il nome di “Barco” nuziale. Certo è – come vedremo – che nel- dove, a testimonianza di Vespasiano da Bi- la prima metà del 1477 era già intervenuto sticci «sono molti animali di diverse gene- presso il padre generale degli Agostiniani di razioni, ma i più daini». Lo stesso personag- Venezia contro i frati locali di quell’ordine, gio ricorda anche il parco di Casteldurante sicuramente riottosi a cedere la loro vigna. (poi Urbania) 19. Inoltre, da uno stralcio delle “Memorie” È chiaro che il giovane Costanzo non di Battista Vandi (uno dei più attivi mercan- poteva non essere suggestionato dalla ma- ti di ogni genere dell’epoca) si ricava in sin- gnificenza del vicino grande signore, suo tesi, già sotto la data del 14 marzo 1477, che affine di primo grado. Forse non aveva tan- egli dovette vendere per forza a Spilimber- to l’intenzione di rivaleggiare con lui, data to, per conto di Costanzo Sforza un canne-

80 Francesco V. Lombardi Un fallito parco di caccia di Costanzo Sforza to fuori porta Fanestra, a lato di quello dei Come si è accennato, il fondo catasta- frati 21. Questi risultano i primi terreni per il le del Contacchio o Peschiera era appunto costituendo parco venatorio. fuori porta Fanestra, oltre l’antico corso del Infatti, secondo il suo progetto, questo rio Genica che allora correva non lontano doveva sorgere a levante della città, a ini- dalla rocca in costruzione. Di lì si partiva la ziare dai fondi suburbani Genica e Peschie- “strada pubblica” cioè la antica via Flami- ra (o Contacchio), che un erudito pesare- nia per Fano, verso Muraglia e Trebbianti- se del XVII secolo definiva «hora detto il co, e di lì si diramava una via vicinale che Monte dell’Arditio»; così come si chiama arrivava solo alla riva del mare 24. ancor oggi: e vedremo il perché. È certo comunque che il lato perimetrale sud dell’ideato parco lasciava fuori l’edifi- cio della chiesa eremitale di Santa Maria di Le fasi del progetto esecutivo Monte Granaro (già da allora, sembra, chia- mata delle Grazie) situata poco distante, in La fonte documentaria di questa ope- quanto lo stesso Costanzo nel 1476 aveva razione si fonda massimamente sugli atti confermato la richiesta di esenzione tributa- originali contenuti nei protocolli del più au- ria di quegli eremiti 25. torevole notaio pesarese di quel tempo: ser In tutta questa zona, che dal piano si alza Sepolcro, la cui famiglia era originaria di gradatamente verso la collina, nel corso dei Borgo San Sepolcro (1436-1484) 22. secoli è sorto un intero quartiere, soprattutto È comprensibile come il signore di Pe- con l’inurbamento dell’ultimo dopoguerra, saro si fosse servito di questo esperto e ac- che ha preso il nome dall’altomedievale creditato curiale data la molteplicità e la va- fondo principale 26, cioè quello di Monte rietà delle transazioni da fare e da registrare Granaro. Ma nel Quattrocento la città di per un unitario assemblaggio di immobili. Pesaro era ancora racchiusa dentro le mura Infatti, come si vedrà, nella zona prescelta malatestiane e poi sforzesche, e anche in se- c’erano innumerevoli proprietari privati ed guito – dal Cinquecento in poi – in questa ecclesiastici da contattare e da convincere, parte si estese poco più rispetto al suo nu- perché – almeno formalmente – anche il si- cleo urbano e suburbano, segnato dalle più gnore era soggetto alla legge civile nei suoi ampie mura roveresche. rapporti privatistici. Quindi a quell’epoca tale parte orientale Siamo a metà novembre dell’anno 1477. della città, oltre la rocca che si veniva co- Costanzo Sforza, provvisoriamente libe- struendo, al di là di qualche casupola pode- ro da impegni militari, è a Pesaro. Il 17 rale era del tutto disabitata, specie dal fos- novembre è presente di persona nel fondo sato del Genica alla cima del monte, detto detto Contacchio situato appena fuori cit- anticamente Catiliano, e giù fino fosso di tà, nella vigna dei frati di S. Agostino, che San Jorio (cioè l’ospedale - ospizio di San aveva ai lati i beni del conte Bernabeo (Pic- Claudio), detto poi popolarmente Fosso cioni), una strada interpoderale e la riva del Sejore 27, oltre che lungo tutta la ripa che mare: ubi hoc presenti die illustris dominus strapiombava sul mare (fig. 4). La strada noster infrascriptus incepit construi facere litoranea “Sottomonte” che oggi si per- barcum pro animalibus extruendis 23. corre verso Fano era di là da venire, per-

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Figura 4 – M. Ardizio immagine ‘900 elaborata.

ché ancora le onde battevano direttamente dei Giovannini, podestà di Pesaro, dandogli sulla scogliera. Ecco perché, secondo l’im- mandato di fare acquisti di terreni e di fare maginazione del signore di Pesaro, tutto il transazioni immobiliari dirette o finalizzate comprensorio si prestava ottimamente per a tale operazione, fino all’ammontare di 500 realizzarvi un grande e inimitabile parco di ducati 28. caccia, partendo proprio dalle porte della E così, nel medesimo giorno tornato in città, con panorami ineguagliabili sul mare città, nell’Ufficio della Mercanzia lo stes- dalle ripe soprastanti. Con questa operazio- so podestà, in veste di procuratore del Si- ne Costanzo Sforza voleva creare un luogo gnore, permuta con il nobiluomo Antonio di delizie a portata di corte signorile e pote- Pardi due pezzi di terra olivata in corte di va pensare di sbalordire i propri ospiti che Gradara, con un terreno a fieno nel fondo ne avrebbero diffuso la meraviglia presso Genica, detto anche Bregno. Sembrereb- tutte le altre corti italiane. In quest’ottica be uno scambio sfavorevole, ma nel conto fantastica, poteva ben immaginare di supe- del Pardi c’erano anche 35 mila mattoni rare il vicino signore di Urbino. che Costanzo Sforza aveva avuto dalla sua Nello stesso giorno della “inaugurazio- fornace: evidentemente per il cantiere della ne”, cioè il 17 novembre 1477, Costanzo rocca 29. Sforza nomina suo procuratore Giacomo Sempre nella stessa giornata, il nobiluo-

82 Francesco V. Lombardi Un fallito parco di caccia di Costanzo Sforza mo Roberto Ondedei, come padre e ammi- Come si vede la ragnatela delle transa- nistratore dei beni dei figli pervenuti loro zioni era complessa, sia perché i proprietari dalla defunta madre, permuta con il podestà non volevano cedere quei loro comodi pos- un pezzo di vigna di circa 200 tessere, ubi- sedimenti suburbani in cambio di terre mol- cata nella periferia di Pesaro, in fondo Pe- to più periferiche, sia perché a volte c’erano schiera ossia Contacchio, confinante con il ritardi nel reperimento di fonti finanziarie. terreno del conte Bernabeo Piccioni, i beni E forse c’era anche il naturale istinto da par- di Elisabetta moglie di Girolamo Regnaroli, te dei cessionari di tirare sul prezzo, visto la via e la ripa del mare 30. Questi due primi che il signore ci teneva tanto a quei terreni e contratti furono i più facili, perché entrambi che per lui era necessario accorparli tutti per i cessionari erano uomini di corte e spesso il progetto da realizzare. ambasciatori del Signore presso i vari po- Queste resistenze si intravvedono anche tentati italiani 31. dal contratto per l’acquisizione dei già ac- Dieci giorni dopo, il 27 novembre, è la cennati terreni del conte Bernabeo Piccio- volta della confinante nobildonna Elisabet- ni. Esso è datato 7 febbraio 1478, e inizia ta su citata, la quale riceve una casa ac- con la premessa che tali terreni «nel tempo quistata da Costanzo nel quartiere di San passato furono più volte richiesti e solleci- Terenzio, in cambio della cessione di un tati dall’illustre e potente signor nostro, il proprio terreno coltivato a vigna, sempre signor Costanzo Sforza de Aragonia, comes in fondo Peschiera o Contacchio, che pure Cotignole, Pisauri dominus»: perché queste arrivava alla riva del mare. Tale appezza- erano le sue qualificazioni ufficiali35 . mento risulta confinante anche con i beni E così, anche in questo caso (non si saprà del signore di Pesaro, a conferma che dalla mai se con pressioni o minacce), il nobile parte del monte e delle Ripe egli aveva già conte Bernabeo cede la propria possessione una vasta estensione in proprio o fors’an- sempre nel fondo Contacchio o Peschiera, che di natura demaniale 32. Da questo con- con la sua vigna, una casa agricola, terre da tratto sembra che ci sia stata prima tutta grano, terreni a fieno, e la propria “peschie- una serie di case vendute a catena, per po- ra del Contacchio”, da cui evidentemente ter accontentare la donna e convincerla a aveva preso nome tutto il fondo stesso. In cedere la sua proprietà. cambio gli viene data un’altra possessione A quanto pare, poi, le operazioni ven- in corte di , fondo Tombaccia, nero sospese e ripresero il 23 gennaio del con casa e colombaro, vicino al Foglia, ec- successivo anno 1478. In tale data, con due cetto la fornace e le remorte del fiume che distinti atti, i fratelli Francesco e Marco il signore riservava per sé. Naturalmente del fu Bartolo da Monte Luro vendono al il nobile Bernabeo non gestiva in proprio podestà, sempre in veste di procuratore, i quella possessione. Risulta infatti che ven- loro rispettivi terreni in fondo del Contac- ti anni prima l’aveva data parzialmente in chio, confinanti con don Giacomo Giordani, affitto usque ad panteriam 36. Quindi, oltre per 75 e 110 ducati 33, che vennero sborsati alla “peschiera”, per la coltura dei pesci dall’ebreo Gionata di Alevuccio, il quale te- d’acqua dolce, c’era anche una pantiera che neva un deposito dal ricavato della vendita – come è noto – è una zona paludosa con di una possessione nella zona di Gradara 34. attrezzature sospese in legno per la caccia

83 Studi pesaresi 3.2015 di uccelli acquatici. Anche a Pesaro doveva essere ben conosciuto il manuale di agro- nomia del bolognese Pier de’ Crescenzi (1233-1320), che dedica un lungo capitolo alle “pantiere” e un altro alle “peschiere” 37 (figg. 5 e 6). Il luogo prescelto, quindi si prestava già in partenza e già allo stato na- turale per un “barco” eccezionale. Contacchio doveva essere il nome più antico, prima che vi si costruisse la peschie- ra derivando l’acqua dal vicino Rio Genica 38. D’altra parte, “Genica” non è affatto – Figura 5 – Pantiera, disegno del ’500. come si potrebbe pensare a prima vista – il nome di uno scarico di rete fognante, secon- do l’assonanza moderna. È stato dimostrato che il toponimo e il correlativo idronimo, derivano da un termine greco, che designa- va un fondo fiscale o demaniale della am- ministrazione bizantina, cioè ghenicòn 39. Anche Contacchio (Contaculum) dovrebbe avere una propria remota matrice nel dimi- nutivo del termine greco kontòs che signifi- cava palo o pertica in rapporto con l’acqua. Si tenga sempre presente che Pesaro restò sotto il dominio dei bizantini dal 540 al 752 dopo Cristo e che vari abitanti risultano di Figura 6 – Peschiera, disegno del ’500. lingua grecofona 40. Dopo un mese di sospensione il deus ex machina preposto alle transazioni risulta il del valore di 150 ducati. In cambio riceve famoso giurista e umanista Pandolfo Colle- un appezzamento in corte di Montecchio, in nuccio, principale consigliere di Costanzo. fondo Pantanelli 42. Il 10 marzo egli firma la procura a questo Il secondo concedente è Giovanni di suo vicario per fare transazioni fino a 500 Limata, che aliena un altro pezzo di vigna ducati 41. Già il 14 marzo successivo si con- con canneto e casa con terreno a frutteto tratta in casa del giurista, nel quartiere di nello stesso fondo, avente a lato i beni dei San Terenzio davanti alla piazza del vesco- Canonici di Pesaro, del valore di 70 ducati, vado. Qui per primo mastro Lodovico pel- in cambio di terreni in corte di Montecchio, lipario vende appunto al Collenuccio, per oltre a un conguaglio in denaro 43. Per terzo conto del signore pesarese, un pezzo di vi- troviamo addirittura il nobile Cristoforo del gna, con casa e olivi e un pezzo di canneto, conte Guido Almerici che cede poche pio- sempre in fondo del Contacchio, confinante vine di terra in fondo Genica, in cambio di con Tommaso fiorentino e la riva del mare, 28 tornature nella corte di Gradara, fondo

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Piano della Pantiera 44. Il 6 aprile seguente cioè al papa stesso. Infatti, con bolla di Si- è il citato Tommaso di Antonio fiorentino sto IV del 13 maggio 1478 47 si disponeva che permuta altre 10 piovine dietro conces- sione di una osteria a Montelabbate, rione nobis nuper exhibita petitio conti- del Mercatale 45. È interessante notare che nebat, quod si nonnulla petie terrarum, in questo atto il terreno risulta situato «in loci Genice Pensauriensis diocesis ad fundo Contachij sive Monte Granario». Pensauriensem et sancti Johannis Bap- E qui arriviamo agli enti religiosi che, tiste ac Beate Marie de Gradicie [Grati- a quanto risulta, erano molto restii ad alie- is] dicte diocesis Ecclesias, ac Mensam nare i propri beni, anche perché occorreva Capitularem Pensauriensem, nec non l’autorizzazione canonica superiore. Ma Canonicatum et prebendam quos ipse Costanzo aveva i suoi santi anche nel “pa- Jacobus in dicta Ecclesia Pensaurense radiso” terrestre. Pochi mesi prima (15 gen- obtinet, et Hospitalis Pietatis, nec non naio 1478) 46 ci fu un drammatico capitolo Conventum et Fratres Domus sancti dei frati del convento di Sant’Agostino che Francisci Ordinis Fratrum Minorum, – come si è visto – possedevano beni nella et nonnullos preceptores quorundam zona più accessibile del costruendo parco preceptoriarum, hospitalis sancti Jo- faunistico. Di qui si capisce anche che l’i- hannis Jerosolimitani respective spec- dea, il progetto e i preparativi erano già di tantes et pertinentes eidem Constantio dominio pubblico ben prima dell’inaugura- venderentur … (fig. 7). zione del 17 novembre 1477. Infatti, d’ordine del priore, un laico chia- E così, con un solo atto, tutti gli enti re- mato mastro Cristoforo – appositamente ligiosi furono autorizzati dal sommo pon- delegato dal ministro generale dell’Ordine, tefice a cedere le loro proprietà senza resi- cioè frate Ambrogio del convento generali- stenze per il costruendo parco signorile, con zio di Santo Stefano di Venezia, lesse una l’obbligo di reimpiegare il corrispettivo in sua lettera datata il 20 agosto 1477, nella immobili di altrettanto valore. quale avvertiva il priore di far cessare le Come risulta dal retro della pergamena, insolenze (evidentemente verbali durante le il 14 gennaio 1479 questa bolla fu prodotta prediche) e castigare le debolezze dei fra- da Pandolfo Collenuccio al tribunale vesco- ti, specie riguardo l’operazione di trattative vile, composto dal vicario Giacomo degli con il signore di Pesaro, che si era rivolto a Ariosti di Ferrara e da Aloisio abate di San lui. E così, scornati e obtorto collo, i dieci Decenzio, che ne prendono atto per l’ese- frati dànno il loro assenso alla cessione del- cuzione. Tuttavia il vicario stesso delega il la vigna in corte di Pesaro, fondo del Con- preposito della cattedrale, perché dichiara tacchio che arrivava fino al mare, e più un che egli su questo affare aveva in corso una altro pezzo di terreno in fondo Genica, rice- propria causa civile personale contro Co- vendo come corrispettivo due campi in cor- stanzo Sforza, signore di Pesaro. te di Gradara, oltre a 120 fiorini in contanti. Copia della bolla di Sisto IV, con inequi- D’altra parte non bisogna meravigliarsi vocabili precisazioni di essa, fu poi esibita di queste pressioni diplomatiche di Costan- nel capitolo dei frati minori del convento di zo Sforza. Egli era arrivato ben più in alto, San Francesco, tenutosi il giorno 20 febbra-

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Figura 7 – Bolla di Sisto IV. io 1479. In esso i cinque religiosi, ubbidien- seu pedemontis iuxta viam publicam, lit- ti e concordi, per trenta ducati cedettero allo tora maris, Rivum Genice etc. Il prezzo di Sforza tramite il suo procuratore Pandolfo 182 ducati e 30 soldi fu pagato dal solito Collenuccio tre tornature di terra in fondo banchiere ebreo di fiducia del signore, cioè il Ponticello, dove peraltro risultano altri Gionata di Alevuccio 49. precedenti acquisti per allargare la futura Dunque l’operazione di accorpamento a tenuta di caccia in quella zona 48. quasi due anni dal suo inizio non era anco- Infine, almeno dalla documentazione re- ra terminata. Tutto ciò dimostra le difficoltà perita, c’è un atto del seguente 12 maggio incontrate specie, come si è accennato e via 1479. Con esso il canonico Giacomo Gior- via anche dimostrato, a causa della proprie- dani, anche a nome del nipote Francesco, tà altamente frazionata in quella zona. Per vende al procuratore Giacomo dei Giovan- di più essendo essa vicino alla città, era di nini, di nuovo espressamente delegato, un comodo accesso, sicuramente redditizia, la- pezzo di terreno a fieno, in fundo Genice vorata direttamente o in affittanza. Chiara-

86 Francesco V. Lombardi Un fallito parco di caccia di Costanzo Sforza mente molte transazioni erano state portate avrebbe favorito la mimetizzazione di po- alla lunga per la riluttanza dei molti possi- tenziali nemici che provenissero proprio da denti. quella parte e potessero arrivare di nascosto Bisogna tenere presente che il versante fin sotto la rocca non ancora terminata. O collinare occidentale di Montegranaro, che fors’anche era troppo occupato all’esterno è rivolto verso la città, già dal medioevo – dalle operazioni politiche e militari a causa come suggerisce il toponimo – era in gran di un periodo di ripresa bellica fra i potenta- parte disboscato e coltivato a cereali. Una ti italiani. Fatto sta che dalla seconda metà riserva signorile di caccia avrebbe dovuto del 1479 in poi non risultano più operazioni convertire questo ambiente in un habitat di acquisizione di nuove aree, né risulta che adatto agli animali selvatici, con macchie, nel parco stesso siano stati immessi gli ani- boschetti cespugliati intervallati da radure, mali preventivati. per favorire le battute o le osservazioni del- la selvaggina. Nel frattempo Costanzo Sforza stava an- L’alienazione del mancato comprensorio cora facendo portare avanti la costruzione faunistico della rocca inserita ad angolo alle mura, ma in parte esterna 50, prospiciente i margini di Come si è detto, Costanzo Sforza morì a questo nuovo comprensorio da ristruttura- soli 36 anni, il 19 luglio 1483, forse per un re a parco venatorio. Proprio nell’agosto avvelenamento, mentre stava allestendo le 1479 papa Sisto IV – che sei anni prima gli truppe nel consueto accampamento militare aveva confermato il vicariato alla morte del di Montelabbate, prima di partire al servizio padre e che lo aveva avuto al suo servizio della repubblica di Venezia. Era stato signo- per molto tempo – lo scomunica assieme ad re di Pesaro per dieci anni. altri signori della vicina Romagna per aver Con prontezza di spirito e sicuramente portato aiuto militare a Lorenzo de’ Medici, con l’appoggio dei consiglieri, della aristo- politicamente avversario della Sede aposto- crazia e di tutte le popolazioni cittadine e lica 51. Costanzo quindi cominciò a temere del contado che non avevano alcun inte- che il papa volesse privarlo del vicariato e resse ad essere assorbite dallo Stato della annettere con le armi la città di Pesaro e il Chiesa, la venticinquenne vedova Camilla suo contado al diretto dominio della Chie- prende le redini del governo per il figliastro sa, al pari di Fano, o concederlo al proprio Giovanni ancora minorenne 52. nipote ex sorore Girolamo Riario. E proprio Per fortuna la situazione di Pesaro, dopo dalla parte di Fano egli temeva che prove- molte incertezze, come riflesso delle altre nissero gli assalti da parte delle truppe pon- corti italiane si stabilizza. Ma non ci sono tificie. Questo stato di incertezza durò fino più le entrate finanziarie provenienti dalle al luglio 1480, quando le diplomazie italia- condotte militari, mentre i lavori alle ope- ne convinsero il papa a far spostare le mire re pubbliche, avviati o di manutenzione del Riario su Forlì. (nuovo porto, lavori alla rocca, alle mura, Forse in questo tormentato periodo sto- alla chiusa sul Foglia, al vallato dei Mulini) rico Costanzo Sforza si rese conto che un’a- dovevano essere continuativamente portati rea come quella adibita a parco venatorio avanti. Al di là dei debiti lasciati da Co-

87 Studi pesaresi 3.2015 stanzo. In questo contesto Camilla, tramite stesso nel marzo del 1477 si adoperò per i suoi ministri, inizia una opera di conteni- farla maritare con Giovanni Brandolini, mento delle spese, di recupero di crediti 53, suo capo squadra militare, con una cospi- di vendite di beni immobili 54 non essenziali cua dotazione, subito devoluta al coniuge 59 al governo dello stato. Fra questi rimase a Ma gli immobili allora concessi risultano a lungo sospeso il problema del territorio ac- Sant’Angelo in Lizzola e a Montelabbate: quistato per il parco che probabilmente era anche per tenere la donna lontana dalla cit- in stato di abbandono e privo di ogni attivi- tà 60. Ovviamente non c’erano terreni della tà lavorativa 55. Per oltre dieci anni si andò zona destinabile al parco. Solo nel 1495 il avanti così. Brandolini, su petizione per sé e per la mo- Poi, come è noto, nel 1490 Camilla si glie, ebbe dal “figliastro” la donazione di ritirò nel feudo di Torricella di Parma, e una vigna, chiaramente detta “nel Barcho” Giovanni – ormai maggiorenne – assunse alle rive del Genica, che nel suo testamen- direttamente il dominio di Pesaro 56. Ma non to (1510) è citata ancora come fuori porta essendo un signore dedito al mestiere delle Fanestra, “sottomonte” 61. Ecco perché egli armi alla pari del padre, si trovò a fare i con- risulta già confinante nell’istrumento nota- ti con bilanci finanziari sempre più passivi. rile del 5 marzo 1496, con il quale Gio- Fra le altre alienazioni, risulta che nel corso vanni Sforza vende tutto il rimanente della degli anni fu costretto a fare una prima scor- estesa possessione, comprendente ancora porazione e cessione di parte di tutto quel (secondo la descrizione del contratto) ter- grande possedimento che Costanzo Sforza reni a vigna, terre da grano e da fieno, pan- con tanta fatica aveva cercato di compattare tiera, peschiera, casa con colombaro, fuori per un utopistico progetto di grandiosa im- Porta Fanestra, in fondo del Genica o altro magine rinascimentale. vicino, fino alla riva del mare62 . Questo smembramento del possedimen- L’acquirente era Gian Francesco Ardizi, to per frange esterne risulta dalla presenza dottore in medicina come il padre Gaspari- di almeno due altri proprietari confinanti, no degli Ardizi, originario di Milano e me- allorché egli si decise alla vendita di tutta dico prima di Alessandro e poi di Costanzo la massa principale. Uno di essi è Antonello Sforza, nonché di tutta la comunità. Già suo scalco (cioè colui che aveva l’incarico tre mesi prima il cedente Giovanni Sforza di sovrintendere alla corte), al quale – con aveva ricevuto 300 fiorini dalla nobildonna ogni probabilità – aveva concesso un pezzo Pacifica Samperoli, matrigna del compra- di terreno in sconto dei servizi resi, non po- tore, perché già moglie di Gasparino, dopo tendolo compensare diversamente 57. essere stata a lungo l’amante di Alessandro Il secondo è Giovanni Brandolini, ori- Sforza 63. Dopo varie compensazioni fra ginario di Forlì, suo patrigno acquisito. crediti e debiti il prezzo fu fissato in 1130 Bisogna ricordare che nel 1466 Costanzo fiorini. Sforza ebbe il figlio Giovanni (e poi anche È interessante notare che in quei tempi il fratello minore Galeazzo) da donna Fio- il corso del rio Genica costeggiava il fondo re (in vari documenti detta Flora) di Barto- catastale omonimo. E così nel contratto, per lo Boni, di famiglia borghese 58. In vista di evitare oneri fondiari previsti dagli statu- sposarsi con Camilla d’Aragona, Costanzo ti 64, il compratore pretese che le riparazioni

88 Francesco V. Lombardi Un fallito parco di caccia di Costanzo Sforza e le ripuliture periodiche del fossato conti- Per la verità già all’epoca del padre nuassero a rimanere a carico del demanio Francesco Maria I si registrava che pubblico, o forse meglio della comunità. Da allora, per molto tempo, tutto il com- Parcum post Conventum beati Joan- plesso fondiario rimase di proprietà della nis Baptiste diversis animalibus pleri- famiglia Ardizi 65. In una divisione fra gli sque antea incognitis, piscium ornatis- eredi di Gian Francesco dell’anno 1543 e in simo vivario incluso, quo ex superiori una permuta del 1565 quel loro fondo del valato aque sub terram deffluunt, ipso Genica era designato anche come “Barco” principe iubente absolutum / inspicimus, 66. Ma, come si è detto, nel secolo seguente, que et decori civitatis et solatio cedere Giovan Battista Almerici lo definiva solo civium non ambigimus 70. “Monte dello Arditio” 67. E così si è anche comprovato come, La vicenda del fallito parco di caccia quando e perché tutto il rilievo collinare sforzesco doveva essere ancor viva nei fasti che strapiomba sul mare a oriente della città di corte, e quindi si volle realizzare l’imma- si è venuto a chiamare fino ad ora Monte ginazione di avere un parco di delizie, for- Ardizio. se un po’ diverso, dalla parte opposta della Fra le successive vendite immobiliari di città, a lato del fiume Foglia. Esso prese la Giovanni Sforza ci fu anche quella dell’an- poetica denominazione di Miralfiore, di cui tico viridario fuori porta Curina, in luogo rimane il nome e un nucleo da pochi decen- detto “La Torretta” (3 gennaio 1505) 68. ni destinato a verde pubblico 71. Dell’antico Dopo una serie di passaggi di proprietà e di parco venatorio e cortigiano di Costanzo accessioni esso pervenne alla nuova dina- Sforza, morto sul nascere, nessuno si è più stia dei signori di Pesaro, e in particolare al ricordato. duca Guidobaldo II della Rovere (1559) 69.

1 G. G. Scorza, Costanzo Sforza Signore di F. Mariano, Note e commenti sulla fondazione e re- Pesaro 1473- 1483, Fondazione Cassa di Risparmio, stauro della Rocca Costanza e l’opera di Antonio Pesaro 2005, con allegata documentazione in CD. Marchesi da Settignano, in “Studia Oliveriana”, XI 2 F. Ambrogiani, Vita di Costanzo Sforza (1991), pp. 107-175; Id., Rocca Costanza. Nuove no- (1467 – 1483), “Pesaro Città e contà Link 3”, Pesaro tizie fra storia e restauro, in “Pesaro città e contà”, 11 2003. Ad esso ha fatto seguito Id., Vita di Giovanni (2000), pp. 45-58; G. Scatena, La Rocca Costanza di Sforza (1460 – 1510), “Pesaro Città e contà, Link 6”, Pesaro, Cagli 2000. Pesaro 2009. 4 P. Castelli, Cronache dei loro tempi. Le «al- 3 Abati Olivieri, Lettera sopra un medaglio- legrezze» degli Sforza di Pesaro. 1445-1512, in Pesa- ne non ancora osservato di Costanzo Sforza, Signo- ro tra Medioevo e Rinascimento, vol. II di “Historica re di Pesaro, Pesaro 1781; L. L. Loreti, Monumenti Pisaurensia”, Venezia 1998, in particolare pp. 235- malatestiani e sforzeschi (regesti), Pesaro 1985; M. 241; cfr. soprattutto la ripubblicazione dell’inventario Luchetti, Il Palazzo Ducale di Pesaro, Pesaro 1986; delle opere d’arte requisite dal Valentino a Giovanni

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Sforza, molte delle quali attribuibili alla committenza re, Romagna, 166 (1466, agosto 11); Archivio di Sta- di Costanzo, ibid., p. 249, nota 62. to di Firenze, Mediceo avanti il Principato, f. XXII, 5 Ambrogiani, Vita di Costanzo cit., p. 70. n. 75 (1466, sett. 25). Probabilmente tali richieste 6 Ibid., p. 214. fanno intravvedere l’insofferenza di Costanzo alla 7 M. Filetico, Jucundissimae disputationes, coatta inattività bellica nel contado di Bologna. cur. G. Arbizzoni, Modena 1992. 19 Vespasiano da Bisticci, Vite di uomini illu- 8 Loreti, Monumenti cit., n. 106, pp. 61-62. stri del secolo XV, cur. P. D’Ancona e H. Aeschli- 9 Una minuziosa narrazione delle feste nuzia- mann, Milano 1951, p. 225. li, di 44 carte, fu pubblicata a stampa subito dopo a 20 Ambrogiani, Vita di Costanzo cit., pp. 93-94. Vicenza il 9 novembre 1475. Ne rimangono una deci- 21 Bop, ms. 937, X, BQ, c. 52r. Francesco di na di esemplari. T. De Marinis, Le nozze di Costanzo Bartolomeo da Crespellano bolognese, detto Spilim- Sforza e Camilla d’Aragona celebrate a Pesaro nel berto, era camerarius et famulus di Costanzo Sforza. maggio 1475, per Nozze Ricasoli-Firidolfi / Ruffo di Cfr. Archivio di Stato di Pesaro, Notarile di Pesaro, Guardialombarda, Firenze 1946, p. X, nota 1. notaio Fattori Gaspare, n. 70 (1475 – 76), c. 750r (25 10 Ibid., p. 1. settembre 1477). 11 Archivio di Stato di Pesaro, Notarile di Pe- 22 Su questo primario personaggio dell’ambien- saro, notaio Ser Sepolcro di Borgo Sansepolcro (d’o- te cittadino di Pesaro del ‘400, cfr. F. V. Lombardi, ra in poi solo Ser Sepolcro con il n° del protocollo Ser Sepolcro da Borgo San Sepolcro notaio in Pesaro e anni relativi) 19, (1475-76), c. 280r (23 dicembre (1436-1484), in “Pesaro città e contà”, 15 (2002), pp. 1476). 7-16. Come è noto agli studiosi non paleografi, la sua 12 Ivi, c. 173r (19 aprile 1476). tipica grafia è di faticosa decifrazione, per ilcursus spi- 13 Biblioteca Oliveriana Pesaro (d’ora in poi goloso e per le innumerevoli abbreviazioni. Bop), Giovan Battista Almerici, Squarci, ms. 937, 23 Ser Sepolcro, 18 (1477-78), cc. 123rv. t. VIII, squarcio AR, c. 6v (2 luglio 1425): teste ser 24 Id., 21 (1482-84), c. 115r (3 aprile 1483): Antonio q. Jacomo castaldo del Viridario fuori Porta Costanzo Sforza acquista un pezzo di orto vicino al Curina (d’ora in poi si citeranno, in successione, solo casotto di porta Fanestra, sulla strada pubblica. Ma le abbreviazioni essenziali della raccolta manoscritta questo spazio serviva probabilmente per ampliare dell’Almerici: manoscritto, tomo, squarcio, carte). l’area antistante la rocca. Cfr. Bop, ms. 937, VII, AI, All’epoca di Costanzo Sforza questo “verziero con c. 19r: un testamento fu rogato fuori porta Fanestra, pantiera” già chiamato della “Torretta”, figura molte sulla strada che andava al mare. volte nelle riparazioni dovute ai danni provocati dal 25 A. Abati Olivieri, Memorie della chiesa di fiume Foglia. Bop, Archivio Storico del Comune di S. Maria di Monte Granaro fuor delle mura di Pesa- Pesaro, XIV. b. 7. Depositeria 1477 -78, cc. 110 rv; ro, Pesaro 1777, p. 26. 113r; 122r. 26 A. Abati Olivieri, Memorie di Gradara terra 14 Bop, ms. 456/II, fasc. III, cc. 373r-386v. del contado di Pesaro, in Pesaro 1775, app. II, p. 102. 15 Biblioteca Apostolica Vaticana, Cod. urb. Ex Arch. Arc. Ravenna, Caps. F. 2346: 954, gennaio lat., n. 899, f. 84v. Cfr. C. Stornajolo, Codices urbi- 7: l’arcivescovo Pietro dà in enfiteusi a due notabili nates latini, vol. II, Romae 1912, n. 899, pp. 624-626; fratelli montem qui dicitur Granario in integrum cum De Marinis, Le nozze cit., tav. 20. planicie qui ibi reiacet […] a tercio latere rivo qui 16 Ibid., pp. 33- 34. vocatur Genica atque a quarto latere litus maris. Nel 17 Bop., ms. 937, XI, BI, c. 45v. “Compendii medioevo questo grande latifondo si venne a frazio- estratti da un altro libro delle Riformationi ò Risolu- nare in vari fondi catastali minori. tioni fatte da Consigli Generali e di Credenza della 27 Sulla evoluzione glottologica del toponimo Città di Pesaro, cominciando dal Anno 1459 al 1462”. cfr. F. V. Lombardi, Da un ‘ospedale’ medievale il 18 Ambrogiani, Vita di Costanzo cit., p. 48, ex nome di Fosso Sejore, in “Pesaro. Città e contà”, 5 Archivio di Stato di Milano, Sforzesco, Potenze este- (1995), pp. 19-26.

90 Francesco V. Lombardi Un fallito parco di caccia di Costanzo Sforza

28 Ser Sepolcro, 18 (1477-78), c. 123rv. fianco della basilica di San Decenzio (poi cappella del 29 Ivi, c. 123v. Cimitero) e ora conservata nel Museo Oliveriano. 30 Ivi, cc. 125v-126rv. 41 Ser Sepolcro, 18 (1477-78), cc. 197v-198r. 31 Ambrogiani, Vita di Costanzo, pp. 90, 130, Per il personaggio cfr. la voce Collenuccio Pandol- 138, 191, 213. fo, in “Dizionario biografico degli Italiani”, vol. 27, 32 Ser Sepolcro, 18 (1477-78), cc. 130rv. Al Roma 1982, pp. 1-5 [E. Melfi]. momento dell’acquisto della Signoria (1445) gli 42 Ser Sepolcro, 18 (1477-78), cc. 199rv. Sforza avevano incamerato anche tutti i possedimenti 43 Ivi, cc. 202rv. allodiali di Galeazzo ultimo dei Malatesti del ramo 44 Ivi, cc. 203rv. di Pesaro. Una precedente transazione del 1379 (2 45 Ivi, cc. 213v- 214r. dicembre) riguardava proprio terreni nel fondo del 46 Ivi, cc. 164r-166r. Contacchio, confinanti con le proprietà di Malatesta 47 La bolla originale è in Bop, Fondo pergame- di Pandolfo, padre di Galeazzo. Bop, ms. 937, VII, ne, n. 827. Trascrizione in Bop, ms. 376 / VII, cc. AK, cc. 10v-11r. È probabile quindi che Costanzo 94r- 96r. La memoria è anche nello spoglio di un li- Sforza avesse già un ampio possedimento terriero in bretto “scritto di mano di Costanzo Sforza”, in Bop, loco. ms. 382, c. 31r. Più recentemente la bolla stessa è 33 Ivi, cc. 175rv-176rv. stata pubblicata da A. Falcioni, Note d’archivio per 34 Ivi, cc. 166v-167r.; cfr. anche c. 186v. Sulla la biografia politica e diplomatica di Pandolfo Colle- presenza di innumerevoli famiglie di feneratori giu- nuccio, in “Atti del convegno tenuto in occasione del dei in loco cfr. F. V. Lombardi, Gli ebrei a Pesaro V centenario della morte (1504-2004)”, Sassoferrato nel XIV e XV secolo, in “Studia Picena”, LXIV-LXV - Pesaro 2005, pp. 55 -57. (1999-2000), pp. 95-150. 48 Ser Sepolcro, 20 (1479-81), cc. 2v-4rv. Per al- 35 Ser Sepolcro, 18 (1477-78), cc. 185rv-186v. tre precedenti vendite, sempre in fondo Ponticello fuori 36 Id., 11 (145- 62), cc. 255rv. (20 dicembre porta Fanestra, a lato del Fossatone, cfr. ivi, 18 (1477- 1456). 78), cc. 198 rv; 204v, 204v-205r (tutte a data 14 mar- 37 Le pantiere erano disciplinate già dagli sta- zo 1478). Questo fondo è da tenere distinto da un altro tuti malatestiani di Pesaro dell’anno 1413 e seguenti, omonimo che era in corte di Candelara e di Tresole. confermati dagli Sforza. Bop, ms. 1166, L. III, R. 155, 49 Ser Sepolcro, 20 (1479-81), cc 97rv. Di que- (c. 94v): «De panteriis factis et fatiendis». Per Pier sta vendita c’è anche una annotazione di credito nella de’ Crescenzi cfr. una posteriore redazione dell’opera “Memoria mei Francisci domini Johannis de Jorda- tradotta in volgare, conservata alla Bop, incunabolo nis”, in Bop, ms. 691, c. 73v. Giovanni e Giacomo del n. 183: Piero Crescentio, De Agricultura, Venetiis fu ser Bartolo Giordani possedevano unum petium fe- 1495, L. X, cap. XVII (pantiere); L. VIII, cap. III, nati cum panteria posit. in curte Pisauri, et fundo Ge- (peschiere): «Anco si faccia la peschiera nella quale nice, iuxta vias publicas, viam vicinalem, Bartholum diverse generationi di pesci si nutriscano e vi si met- de Monte Luro, fossatum Genice, Petrum Mainardi et tano ancora le lepri, i ciervi, i caprioli…». lictus [sic] maris. Id., 14 (1463-65), cc. 193v- 195r (7 38 Nel XVII secolo G. B. Almerici precisava: e 10 aprile 1464). «Genica, fosso che scende da S. Angelo del Gatto e 50 G. Vaccaj, Pesaro. Pagine di storia e di to- sbocca in mare tra M. Granaro e la città». Bop. 937, pografia, Pesaro 1909, pp. 91-102. XVII, c. 395v. 51 Ambrogiani, Vita di Costanzo cit., pp. 121- 39 A. Carile, Pesaro nel medioevo. Problemi di 130, e bibliografia ivi citata. storia delle istituzioni e della Società, in Pesaro tra 52 Ibid., pp. 200 ss.; Id., Vita di Giovanni cit., Medioevo e Rinascimento, vol. II di “Historica Pisau- pp. 27-57. Cfr. anche Bop, ms. 382, c. 33r: “Spogli rensia”, Venezia 1998, p. 27 e p. 53, nota 224. dal diario di Pietro Marzetta (1429-1571)”. 40 Si veda l’epigrafe funeraria in lingua greca 53 Ser Sepolcro, 21 (1482-84), cc. 204rv (10 della “celeste Anna” trovata proprio in quell’area, a maggio 1484) e seguenti cc. 205r-208v.

91 Studi pesaresi 3.2015

54 Ivi, cc.159rv (1° dicembre 1483) e seguenti coll. I. c. 2. Decreti, Libro I (1456-1565), c. 62v (12 e cc. 172v-187v. 16 giugno 1495). Il regesto del testamento del Bran- 55 Forse era addetto alla tenuta dell’Imperiale dolini è in Bop, ms. 937, XIII, BS, c. 22v. quel Giovanni d’Alemagna che nel suo testamento 62 Regesto in Bop, ms. 937, XII, BP, c. 29r. (3 luglio 1485), si qualifica soprastante alle vigne di La pergamena originale in Bop, Fondo pergamene, madonna Camilla e del signor Giovanni Sforza. Bop, n. 957 (5 marzo 1496). Trascrizione di pugno di A. ms. 937, IX, AS, cc. 11v-12r. Abati Olivieri, in ms. 376 / VII, c. 123. 56 Ambrogiani, Vita di Costanzo cit., p. 255. 63 Su Pacifica Samperoli cfr.A . Abati Olivieri, 57 Antonello “siniscalco” risulta originario di Memorie di Alessandro Sforza signore di Pesaro, Pe- Tortona. Bop, 937, II, G, c. 15 (5 giugno 1492); ivi, saro 1785, pp. 93-97. XII, BP, c. 29r (5 marzo 1496). 64 Cfr. gli statuti manoscritti di Pesaro della 58 Bop, ms. 382, c. 32v. prima metà del ‘400, Bop, ms. 1166, L. V, R. 71 (c. 59 Ambrogiani, Vita di Costanzo cit., pp. 49 e 120r): “De fossatis communibus scargandis”. 199. Cfr. una lettera di Camilla al marito del 14 giu- 65 Sullo spoglio della documentazione inedita gno 1482, nella quale – forse con un po’ di astio – lo di questa famiglia, cfr. Bop, ms. 376 / IX, fasc. III, informava che il Brandolini era il meno ordinato a “Archivio di Casa Ardizi”, cc. 211r e ss: in particola- mettere assieme i soldati. Bop, ms. 937, II, cc. 32rv. re “Notizie della famiglia” e “Memorie sopra li beni Per la sua qualifica di “squadriero di corte”: ivi, X, antichi della famiglia Ardizi”, cc. 236- 261. BE, c. 24r (29 maggio 1490). Dopo la partenza defi- 66 Ivi, cc. 260rv. nitiva di Camilla da Pesaro (7 maggio 1490), un per- 67 Bop, ms. 937, XIX, c. 1284r. sonaggio di corte fuggiasco denunciava che anche il 68 Bop, ms. 380, III, c. 111: Giovan Matteo Pi- Brandolini faceva parte del gruppo di sicari, istigati gna, Vita di Tommaso Diplovatazio. da Giovanni Sforza, di uccidere la signora che fino 69 Vaccaj, Pesaro Pagine di storia cit., pp. allora aveva governato con lui: Ambrogiani, Vita di 155-157. Giovanni cit., p. 105. 70 Statuta Pisauri noviter impressa 1531: Let- 60 Ser Sepolcro, 18 (1475-76), cc. 33r-34v; e c. tera dedicatoria premessa da Emilio Mancini ai Con- 35rv. Cfr. i regesti e le annotazioni di G. B. Almerici, soli e Consiglieri di Pesaro, datata da Senigallia 27 in Bop, ms. 937, VI, AD, cc. 8v -9r. (18 marzo 1477), ottobre 1530. ove ricorda che “Fiore fu la Donna volgarmente detta 71 C. Tarca, Miralfiore. Il Parco immaginato, la Puttana”. Pesaro 1977. 61 Bop, Archivio storico del Comune di Pesaro,

92 Le difese del porto di Pesaro dalla fine della signoria malatestiana agli inizi del ducato roveresco

di Francesco Ambrogiani

Nella seconda metà del quattrocento Pe- alle mura, verso la spiaggia 4. La palata di saro si inserì fruttuosamente nella rete com- San Giorgio era quella sulla riva sinistra del merciale che univa le zone di produzione e fiume5 , dove c’erano solo dune ed erba sec- di consumo dell’Italia centrale ai fondachi ca (si ignora la ragione per cui quella zona dell’Adriatico orientale 1; questa vocazione fosse chiamata col nome del santo cavalie- mercantile trova riscontro nei registri del re 6). Infine, la palata del Tentamento pren- Comune, dai quali è ben percepibile l’atten- deva il nome dalla torre omonima situata sul zione che i consiglieri dedicarono costante- lato meridionale della cinta urbana, in pros- mente alla salvaguardia della zona portuale: simità dello spigolo formato dalle muraglie inserendo a bilancio una somma variabile allineate alle porte Fanestra e Mare (in un da 600 a 800 lire all’anno, e stipendiando il libro di spese del 1461 fu registrato un in- «capitano del porto», un ufficiale che aveva tervento al «turrone del Tentamento» 7). compiti di amministrazione e di vigilanza La palata di Santa Maria fu indicata an- sui navigli e sugli equipaggi in transito, e che con altri nomi; ad esempio, in un libro il «maestro del porto», addetto alla manu- di spesa del 1466 troviamo l’espressione tenzione. «palata grande del porto verso la cità» 8, I lavori che più frequentemente ricor- o «quella del porto de lato de qua», con- rono nelle spese del porto riguardano le tre trapposta a quella di San Giorgio 9; le due palate, indicate con i nomi di «Santa Ma- palate di Santa Maria e San Giorgio furo- ria», «San Giorgio» e «Tentamento», cioè no chiamate anche «palate de la bocca del le palizzate di protezione e contenimento porto» 10. degli argini, a cui venivano ormeggiate le Possiamo individuare le palate nel rilie- imbarcazioni. vo realizzato nel 1528 da Pier Francesco da La palata di Santa Maria dovette il Viterbo, l’ingegnere a cui il duca Francesco nome a due chiese che si trovavano nella Maria della Rovere affidò la progettazione zona compresa fra le mura cittadine e il Fo- delle difese cittadine (fig. 1) 11. Esse sono glia, entrambe a Lei dedicate; la prima era immediatamente riconoscibili, perché Pier chiamata «Santa Maria della scala» 2, ed era Francesco le disegnò con file di piccoli situata in prossimità della confluenza fra il cerchi raffiguranti le sezioni in pianta dei torrente Vallato 3 e il Foglia; la seconda, che pali: quelle di Santa Maria e San Giorgio era annessa ad un monastero, era chiamata fiancheggiano la «bocca del porto», mentre «Santa Maria del porto», e si trovava vicino la palata del Tentamento si trova dietro la

93 Studi pesaresi 3.2015

Figura 1 – Rilievo di Pier Francesco da Viterbo - 1528 (elaborazione dell’autore). rocca nuova, che aveva inglobato la torre rappresenta una situazione non dissimile da preesistente. quella esistente alla metà del quindicesimo Ritroviamo le palate anche nel disegno secolo 13. realizzato verso la metà del cinquecento da Essendo sottoposte alla perenne ero- Giovanni Battista Belluzzi, un architetto al sione delle onde e delle correnti marine, le servizio del duca di Firenze. Oltre alle mura palate richiedevano continui lavori di ma- roveresche fino a quel momento costruite, e nutenzione, consistenti nell’inserimento di il circuito murario più antico (che coincide nuovi pali in sostituzione di quelli usurati, e con quello di Pier Francesco da Viterbo), il rifacimento degli argini 14. Per conficcare Belluzzi rilevò le palate disposte sulle rive i legni sul fondo si usava una macchina de- del Foglia (fig. 2), ma non quella del Tenta- nominata castello, che permetteva di battere mento che, evidentemente, in quel momen- l’asta dall’alto con mazze di ferro («ficcare to era stata dismessa 12. i pali a castello», cioè in verticale, è un’e- Per avere un’idea delle palate si può os- spressione usata da Francesco di Giorgio servare l’aerea veduta di Pesaro realizzata Martini nei suoi trattati di architettura 15). Il da Francesco Mingucci negli ultimi anni del castello era montato su un’imbarcazione, o ducato roveresco; la lunga fila di tronchi di su una zattera, e veniva spostato sull’acqua legno strettamente affiancati, disegnati in (nel dicembre 1449 è annotata una spesa primo piano sull’argine destro del fiume, fatta per «regare el castello dalla palata del

94 Francesco Ambrogiani Le difese del porto di Pesaro

Figura 2 – Rilievo di Giovanni Battista Belluzzi - 1547 (elaborazione dell’autore).

Tentamento a la ponta del porto per ficare della signoria sforzesca, arrivava talmente certi pali» 16). I pali erano strettamente uniti vicino alla riva destra del Foglia, da essere fra loro tramite caviglie di ferro, in modo preso come riferimento topografico per de- da costituire un’armatura di contenimento scrivere il tratto di palata da riparare; la sua del terreno, che veniva riempita con pietra presenza è confermata da un atto notarile matta, cioè con ciottoli provenienti dalle vi- del 1461, i cui testimoni si diedero conve- cine rive di Fiorenzuola e Casteldimezzo 17, gno «nel porto di Pesaro su la palata della oppure ghiaia, o frasche. Foglia fora del muro di ditto porto» 20. Quello che si è detto finora serve a in- Qui, l’espressione «fora del muro», sug- trodurre due scritture tratte da un libro delle gerisce, per analogia alla cinta urbana, il uscite del 1450, che contengono la retribu- confine fra uno spazio interno, protetto, e zione di alcuni operai che avevano lavorato uno esterno, verso la spiaggia. quattro giorni a batter pali per «reparare la L’esistenza di questa muraglia, che è palata del porto cioè parte dal muro verso la finora sfuggita ai ricercatori di storia citta- bocca del porto» 18 e per «riempire la palata dina, consente di stabilire un collegamento del porto cioè dal muro verso la ponta del con la notizia riferita da Giorgio Vasari nel- porto» 19. le sue Vite, secondo cui Filippo Brunelle- L’elemento di spicco di queste brevi re- schi «fece il modello della fortezza del por- gistrazioni è quel «muro» che, già agli inizi to di Pesaro» 21. Ad un soggiorno pesarese

95 Studi pesaresi 3.2015 del celebrato architetto accennò Domenico costituì il primo stralcio del progetto dise- Bonamini nella sua cronaca risalente alla gnato dall’architetto fiorentino per proteg- fine del settecento; Bonamini, citando un gere l’area estesa fra le mura della città e la documento notarile ora scomparso, scrisse riva destra del Foglia. che nel 1468 fu iniziata la costruzione di Il muro del porto ritorna in una scrittura una torre «che molti anni addietro aveva contabile del dicembre 1461, che contiene ideato un Malatesta e fatto fare il disegno spese per «fare uno rastello al muro del porto da Filippo Brunelleschi fiorentino in quei a canto la catena» 25. Nello stesso mese fu giorni abitante pesarese» 22. effettuato un pagamento per fare «uno pezo Sappiamo che Filippo Brunelleschi sog- di steccato a Santa Maria del porto 26. Le due giornò nelle terre di Sigismondo Pandolfo registrazioni suggeriscono che l’estremità Malatesta fra l’agosto e l’ottobre del 1438, del muro era poco distante dal punto dove per una consulenza sullo stato delle prin- era attaccata la catena del porto e che, per cipali rocche della sua signoria, estesa fra chiudere il varco esistente, fu realizzato, o Marche e Romagna 23.. Assumendo come rifatto, un rastello, cioè uno steccato; l’esi- veritiere le informazioni tramandate da Va- stenza di un rastello in questa zona del por- sari e Bonamini, si può supporre che, nel to è ribadita da due pagamenti del 1463, per corso degli spostamenti, l’architetto fioren- fare un «rastello sopra la catena del porto», tino fece sosta a Pesaro, ospite dei tre fratel- e un «rastello in la palata sopra la catena» 27. li Malatesta (Galeazzo, Carlo e Pandolfo), Anche la «catena del porto» figura in che allora reggevano la città, e che questi numerose liste di spese, per la fornitura di gli commissionarono il progetto di fortifica- piastre di ferro, ferramenta, e cavi di canapa zione dell’area portuale. per il tiro 28. Filippo Brunelleschi fu poco innovati- L’uso di catene sugli imbocchi dei porti vo in materia di architettura militare; i suoi era una pratica usuale nelle città marinare. interventi più noti, a Malmantile, Vicopisa- A Ragusa (oggi Dubrovnik, in Croazia), si no e Staggia (località tutte in Toscana) non ha notizia, nel 1398, di una deliberazione mostrano particolari sperimentalismi; però consiliare per rifarne una, poiché la prece- gli è stata riconosciuta la capacità di avere dente si era slegata ed era caduta nel fon- saputo cogliere le caratteristiche del terre- dale 29. Sempre a Ragusa, è conservato un no in relazione alle strutture difensive, e di dipinto, risalente alla fine del quattrocento, coordinare efficacemente elementi naturali che raffigura il patrono cittadino, San Bia- e architettonici 24. Sulla scorta di queste os- gio, mentre sorregge un modellino della servazioni, si può ritenere che Brunelleschi città vista dal mare; uno dei particolari più ideò, per il porto di Pesaro una «fortezza» interessanti della veduta è proprio la catena composta da un insieme di muraglie e torri del porto: essa è fissata a una torre tramite opportunamente disposte fra le mura citta- un anello, scende nell’acqua, passa in un dine, il fiume e il mare. secondo anello conficcato all’estremità del Partendo da queste considerazioni, si molo che delimita l’ingresso dello scalo, e può dedurre che il muro menzionato nel ritorna alla torre, entrando in essa attraverso registro del 1450 fu realizzato negli ultimi una finestra, al di là della quale si può im- anni della signoria malatestiana, e che esso maginare l’argano di tiro 30.

96 Francesco Ambrogiani Le difese del porto di Pesaro

A Pesaro non sappiamo come fosse si- usata dal capitano 35 e dalle guardie 36. Altri stemata la catena; probabilmente vi erano documenti, di cui si parlerà più avanti, con- due basamenti di pietre e mattoni situati sentono di dedurre che il fortilizio si trova- sulle due «palate de la bocca del porto», va nelle vicinanze della chiesetta di Santa cioè Santa Maria e San Giorgio, a cui erano Maria della scala e del Vallato. fissate piastre di ferro con anelli (nel 1463 venne pagato un «petrone de la catena del Durante il periodo della signoria di Ales- porto» 31). sandro Sforza, alla «torre della guardia del La zona portuale situata fra le mura di porto» ne fu affiancata una seconda, la cui porta Nova e la riva destra del fiume era costruzione fu segnalata da Domenico Bo- sorvegliata da una torre, segnalata per la namini nella cronaca manoscritta di cui si è prima volta in un pagamento del 16 aprile parlato sopra: 1461 per una fornitura di tavole per «el tor- rion del porto» 32; nell’agosto di quello stes- Trovo registrato che in quest’anno so anno l’edificio fu chiamato «turresino di [1468] fu posta la prima pietra della for- Sancta Maria del porto» 33, e nel dicembre tezza o sia rocchetta del porto, che molti del 1462 «torre della guardia del porto» 34; anni addietro aveva ideato un Malatesta non distante dalla torre vi era una casetta e fatto fare il disegno da Filippo Brunel-

Figura 3 – La zona portuale verso il 1465 (elaborazione dell’autore).

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leschi fiorentino in quei giorni abitante spostare il cantiere della scarpa nella zona pesarese. Ser Sepolcro Sepolcri né suoi portuale, all’estremità del muro proteso instrumenti col suo pessimo carattere è verso la palata di Santa Maria. autore di tale notizia 37. La nuova torre, secondo la cronaca di Domenico Bonamini, era stata prevista nel La cronaca non riporta alcun articolo del «disegno» eseguito da Filippo Brunelle- contratto, né accenna alla sua provenienza schi: ciò significa che i fogli da lui prepa- (probabilmente la notizia fu tratta da un vo- rati trent’anni prima («molti anni addietro») lume con i verbali delle sedute consiliari, non solo si erano conservati, ma erano con- ora scomparso): ma Bonamini è conside- siderati ancora validi. rato un diligente ricercatore di storie patrie La torre alla foce del Foglia costituì l’ul- 38, sicché pare improbabile una svista, o un timo lavoro, di cui si ha notizia, realizzato errore di trascrizione; la stessa annotazione al tempo della signoria di Alessandro Sfor- circa il «pessimo carattere», cioè la grafia za. Dopo la sua morte, avvenuta nell’aprile illeggibile, del notaio rogante, ser Sepolcro, del 1473, il vicariato di Pesaro passò al fi- assicura che lo storico ebbe modo di leggere glio Costanzo. di persona il documento. Appena succeduto al padre, il nuovo si- Anche la datazione, il 1468, si accor- gnore decise di costruire una nuova rocca, da bene con i lavori di restauro della cinta destinata a diventare residenza in tempo di urbana, realizzati fra il 1459 e il 1467, di guerra e di disordini, speculare al palaz- cui siamo informati grazie ad alcuni super- zo di corte, da abitare in tempo di pace. stiti registri dell’archivio storico comunale. L’avvio dell’opera fu celebrato con diver- In quel torno di anni il Comune di Pesaro, si medaglioni, il più celebre dei quali fu spronato da Alessandro Sforza e dai suoi quello realizzato da Gianfrancesco Enzo- luogotenenti, appaltò la ristrutturazione del- la, che reca il disegno della fortezza, con la scarpa (termine usato nei libri comunali la scritta INEXPUGNABILE CASTELLUM per indicare le muraglie e le torri del peri- CONSTANTIUM PISAURIENSE SALUTI metro urbano): furono rifatti alcuni tratti di PUBLICÆ. mura deteriorate, e, nella cortina muraria Ai fini di questa ricerca, è importante un rivolta verso la campagna, furono inseriti secondo medaglione, che mostra una ve- torrioni di moderna concezione, con base duta di Pesaro a volo d’uccello, attorniata tronco conica, parte superiore cilindrica se- dalla scritta CONSERVAT[OR] URB[IS] parata da quella sottostante con un cordolo SUÆ; nella raffigurazione la città appare di pietra di sezione toroidale, coronamento protetta da mura, torri, e dalla nuova rocca, alla sommità con merli e beccatelli 39. ubicata nella zona dove sorgeva la torre del Le ultime scritture contenute nel registro Tentamento (fig. 4). del 1467 riguardano il rifacimento del tor- Abati Olivieri sostenne in un primo mo- rione di Santa Chiara, situato in prossimi- mento che l’opera risaliva al 1483 40; suc- tà dell’omonimo convento, non lontano da cessivamente, avendo notato che il nome di porta Fanestra; dopo il suo completamento, Costanzo compariva senza il titolo «de Ara- avvenuto sul finire del 1467 o nei primi gonia», adottato dopo il fidanzamento con mesi dell’anno successivo, Alessandro fece la principessa aragonese Camilla Marzano,

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dedusse che il medaglione era stato realiz- zato fra l’aprile del 1473, dopo la successio- ne al padre, e il giugno del 1474, quando il re di Napoli Ferdinando d’Aragona conces- se al condottiero il privilegio di servirsi del nome della casa reale 41. Questa seconda ipotesi appare la più convincente; in effetti, dopo il giugno del 1474, tutte le lettere e i documenti sotto- scritti dal signore di Pesaro recarono sem- pre la firma «Costantio de Aragonia», e ciò Figura 4 – Medaglione del 1474 con la veduta indipendentemente dai vincoli di alleanza della città a volo d’uccello con la corona napoletana; ad esempio, nella (elaborazione dell’autore). condotta del 1479 con i fiorentini, o in quel- la del 1483 con i veneziani, che collocarono il condottiero pesarese sul fronte opposto a quello di re Ferdinando, Costanzo continuò a firmarsi «de Aragonia». Stabilito l’intervallo temporale (fra l’a-

Figura 5 – La zona portuale nel 1473 (elaborazione dell’autore).

99 Studi pesaresi 3.2015 prile 1473 e il giugno 1474), ne consegue mostrano una torre rotonda a base scarpa- che il medaglione fu realizzato per mostra- ta (che però è in gran parte interrata) con re, come in un plastico, l’ubicazione della cordolo di pietra, senza il coronamento nuova rocca e il suo collegamento con le superiore di beccatelli e merli, che furono mura cittadine esistenti. sicuramente eliminati in occasione delle ri- Il medaglione mostra nitidamente i strutturazioni roveresche; le fotografie sono solchi che segnavano il perimetro urbano, molto nitide, e consentono di determinare il il Vallato e i piccoli crateri che stanno ad diametro del fabbricato, che risulta essere indicare la sommità delle torri cilindriche di 11 metri circa, e l’altezza dal cordolo di costruite nel corso degli anni sessanta nel pietra alla sommità, che misura 8,2 metri 44. tratto fra il ponte sul fiume Foglia e porta Fanestra; dalla parte del mare è ben visibile Gli sconfinati vuoti che si sono - aper il muro citato nel registro di spesa del 1450, ti nel corso del tempo nella serie dei libri che parte dalla cinta urbana e arriva fino al comunali non permettono di sapere se, nel fiume, dove è presente una robusta torre corso degli anni settanta, Costanzo Sforza rotonda con una marcata base scarpata: la proseguì l’opera paterna. La presenza, in stessa che, stando alla cronaca di Domeni- un documento notarile del 1474, di Lello di co Bonamini, fu iniziata da Alessandro nel Raniero Almerici e Zongo di Giacomo On- 1468. dedei, indicati come soprastanti alla scarpa La torre compare anche nei rilievi di Pier 45, fa supporre che il giovane condottiero, Francesco da Viterbo (fig. 1) e di Giovanni almeno agli inizi della signoria, si fece an- Battista Belluzzi (fig. 2); nel primo si può che lui promotore della ristrutturazione di osservare, alla foce del fiume, un cerchiet- altri tratti di muraglia deteriorati e della co- to con la scritta «torrione del porto», colle- struzione di nuove torri; ma la mancanza, gato al perimetro urbano, la terra vecchia, dal registro delle uscite del 1477, di uno con una linea indicata come «muro nuovo» specifico capitolo dedicato alla scarpa, fa («nuovo», ovvero più recente, rispetto alla ritenere che, almeno in quell’anno, venisse data di costruzione delle mura cittadine, ul- meno il pungolo del signore nei confronti timate agli inizi del quattrocento, al tempo del consiglio cittadino. dei Malatesta 42); anche nel secondo è dise- Troviamo altre sporadiche notizie sul- gnato un cerchietto, ma senza alcuna anno- le difese del porto nelle spese del 1477: il tazione. pagamento ad un calderaio «per stagnare Sovrapponendo ora i disegni del meda- el pennello del torrione de la porta del por- glione e delle due planimetrie roveresche to» 46, e a un muratore per riparare il «tetto con un rilievo della Pesaro sei o settecen- de la torre del porto» 47 (però non si riesce a tesca, si può agevolmente constatare che il distinguere in quale torre i due svolgessero «torrione del porto» coincide con il forti- il loro mestiere). lizio che, già ai tempi di Abati Olivieri, fu Alla fine della primavera del 1479 Co- indicato col nome di Rocchetta. stanzo si recò in Toscana al servizio della Conosciamo la Rocchetta grazie a due repubblica di Firenze, che in quel momento fotografie, scattate poco prima della sua era attaccata dagli eserciti congiunti di papa demolizione, avvenuta nel 1926 43; esse Sisto IV e del re di Napoli Ferdinando d’A-

100 Francesco Ambrogiani Le difese del porto di Pesaro ragona. Durante la sua assenza il consiglio che «Questo signore cum summa diligentia comunale, temendo incursioni da parte di attende a fortificare questa città e le castelle soldati ecclesiastici provenienti da Fano, sue de fora» 51; in altre due lettere successi- fece sistemare merli e parapetti delle mura ve, del 6 luglio e del 22 agosto, Nicodemo prospicienti la campagna 48. ribadì che «attendiamo a fortificarse quanto Fra il maggio e il giugno del 1480 la si- più se po’» 52. gnoria di Pesaro divenne l’epicentro di una Nei libri delle spese del Comune sono crisi che, a un certo punto, portò le poten- rimaste numerose testimonianze degli inter- ze italiane sull’orlo di un nuovo conflitto venti effettuati in quel periodo: tra luglio e 49. La turbolenza fu originata dal pontefice settembre furono registrate forniture di pali Sisto IV il quale, dopo avere scomunicato per fare dei «ripari» a porta Curina, e in altri Costanzo, ordinò a un esercito ecclesiastico luoghi imprecisati 53. di muovere contro Pesaro per cacciare gli Il lavoro più consistente fu la costru- Sforza e assegnare la città al nipote Giro- zione di un nuovo muro a difesa della zona lamo Riario; nei piani del papa l’attacco portuale: a maggio troviamo un pagamen- doveva procedere sia da terra che da mare, to a favore di un Michele Schiavo per «10 usando imbarcazioni mandate apposita- barcate de petra macta conducta per fare el mente dai veneziani. muro appresso la chiesa de Santa Maria al Per difendersi dall’imminente assedio porto» 54; a luglio 9 lire per «20 barcate de Costanzo iniziò a fortificare la città e i ca- petra macta tolta per fare el muro al porto stelli del contado; nel gennaio 1480 un ora- dietro a la chiesa de Santa Maria» 55. tore mantovano residente alla corte urbinate Contestualmente al trasporto della pietra scrisse che «El signore Constanzio fa uno matta, che era usata per le fondazioni, iniziò grande rimondare di fossi e grande lavora- l’edificazione della muraglia. In agosto si re a la rocca» 50. Ma nonostante questo gran trova un pagamento per Giovanni Guarda- lavorìo l’oratore non lasciò molte speranze basso, ovvero Giovanni di Marco Fontana e commentò che se «Dio non l’aiuta […] el da Como, un maestro muratore frequente- fatto suo sta male». mente citato nei documenti del tempo: L’impresa di Sisto IV suscitò l’opposi- zione di Ludovico Sforza, signore di Mi- a mastro Giohanne Guardabasso mu- lano, che intervenne risolutamente nella ratore lire venticinque de bolognini per contesa fornendo aiuti militari a Costanzo e avere facto el muro che traversa el fosso minacciando lo scoppio di una nuova guer- dreto a la chiesa de Santa Maria quale ra se il papa si fosse ostinato a cacciare gli muro fo canne 25 a bolognini 20 la canna Sforza dalla signoria adriatica. Nicodemo a sue spese 56. Tranchedini, un cancelliere milanese che in quei mesi soggiornò a Pesaro per coa- «El fosso dreto a la chiesa de Santa Ma- diuvare Costanzo nell’organizzazione del- ria», è il Vallato, che, come si vede dalla le opere di difesa, accennò ripetutamente sovrapposizione dei rilievi di Pier France- agli interventi di rafforzamento dei fortilizi sco da Viterbo e Giovanni Battista Belluz- cittadini e dei castelli del contado; in una zi, scorreva in prossimità della chiesetta di lettera dell’11 giugno il cancelliere scrisse Santa Maria della scala.

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Il cantiere toccò anche una delle due tor- a beneficio del Cristianesimo, e in ri del porto: particolare de le terre de la Santa Chiesa in questa parte, perché quando li turchi [a maestro] Guardabasso lire 3 de obtenessero questa città, che non è forte bolognini per aver murato l’uscio de la da la banda de mare, non se caveriano da torre al porto e per aver murato de l’atro questo golfo senza grandissima difficul- canto de la torre per fare l’altro uscio e tà, e spesa 60. per fare 4 bombardiere 57. Per provare il suo zelo, l’8 giugno 1481 Nell’estate del 1480, mentre gli am- Costanzo allestì una cerimonia per la posa basciatori delle potenze italiane discute- della prima pietra di una nuova torre da co- vano sul modo di porre fine ai contrasti struire in prossimità del Foglia («in portum fra il pontefice e il suo vicario, accadde Pisauri iuxta et prope flumen Folee […] a un avvenimento talmente straordinario latere dictae Folee») 61. Alla cerimonia di da mettere in secondo piano la questio- fondazione prese parte il vicario del ve- ne di Pesaro: ad agosto una flotta turca scovo, il quale, nonostante la scomunica proveniente dalla vicina Albania sbarcò che gravava sul condottiero, volle pubbli- in Puglia e conquistò la città di Otranto. camente encomiare gli sforzi intrapresi per L’invasione destò un’enorme impressio- proteggere la città contro i turchi; vista la ne in tutta Italia, e soprattutto nell’area particolare situazione attraversata dalla si- adriatica; papa Sisto IV, temendo sbarchi gnoria, si può supporre che il fortilizio fu sul litorale marchigiano, inviò commissa- iniziato anche per impressionare favorevol- ri pontifici nella regione per controllare le mente le autorità ecclesiastiche cittadine, e fortezze e allertare le popolazioni rivie- indurle a propiziare il perdono del papa. rasche; ad Ancona il Comune fece pulire Nella tarda primavera del 1482 i vene- i fossati attorno alle mura ed erigere due ziani attaccarono la città di Ferrara, per an- nuovi rivellini, uno al porto e l’altro pres- netterla ai propri domini; papa Sisto entrò so la porta di San Marco 58. in guerra al fianco della repubblica, mentre Costanzo cercò di approfittare della mi- Firenze, Milano e Napoli intervennero per naccia turca per indurre il papa a rimuovere aiutare Ercole d’Este; da parte sua Costanzo la scomunica che gli era stata comminata ricevette il comando dell’esercito fiorenti- l’anno prima, e per ottenere la remissione no, ed ebbe il compito di invadere il conta- del pagamento dei censi che ancora doveva do di Perugia, nello stato della Chiesa. versare; in una lettera del 12 settembre 1480 A giugno, mentre si trovava in Toscana, egli dichiarò di essere in grande affanno il condottiero ricevette da sua moglie Ca- «per la grave spesa fatta da parecchi mesi in milla una lettera, in cui si accennava alla qua per fortificare questa città de la banda peste che aveva ricominciato a infestare […] del mare per lo sospecto de li turchi» la città, e che aveva spaventato gli operai 59. Poi, facendo leva sulla paura di possibili impiegati nei cantieri, al punto che molti di incursioni nemiche sulle coste marchigiane essi erano fuggiti via; ciononostante, Ca- e romagnole, fece sapere che i lavori avviati milla assicurò che al muro del porto si stava in città andavano: facendo un «gran lavoriere», e si disse certa

102 Francesco Ambrogiani Le difese del porto di Pesaro che «quando el vederite ve farà stare de bo- ta nel giugno del 1481 «in portum Pisauri nissima voglia» 62. iuxta et prope flumen Folee», la cui costru- Per rappresaglia alle incursioni di Costan- zione era proseguita fino all’innalzamento zo in Umbria, alla fine di ottobre del 1482 un della base scarpata, e che poi era stata inter- contingente ecclesiastico tentò di assalire Pe- rotta, forse a causa della peste. saro: ma anche in quell’occasione l’impresa Il contratto prevedeva di ripartire con la non ebbe successo. Il timore di un attacco dal posa del «cordone», cioè del cordolo che mare, condotto questa volta non più dai tur- separava la parte inclinata da quella a piom- chi ma dai pontifici e dai veneziani, indusse bo, per salire con un muro di venti piedi, poi il condottiero ad affrettare il completamento cinque per i beccatelli, e infine altri tre piedi delle opere iniziate nell’estate del 1480 al e mezzo fino al piano superiore, per un to- porto. Nel febbraio del 1483 fu stipulato un tale di ventotto piedi e mezzo, equivalenti a contratto fra Cherubino di Giovanni da Mi- circa dieci metri; aggiungendo poi sei metri lano ingegnere, Zongo di Giacomo Ondedei per la parte dal «cordone» a terra 64, si arriva e Antonio dal Panno soprastanti, da una par- ad una quota di sedici metri; infine, si deve te, e dall’altra il maestro muratore Giovanni tenere conto del «torresino» sommitale, di Guardabasso 63. cui non conosciamo le dimensioni, ma che Il contratto comprese quattro opere: il doveva avere un’altezza non inferiore a tre completamento della «torre principiata al o quattro metri. porto», la realizzazione del «revelino de In definitiva, si comprende che si trattò la cadena del porto», il proseguimento del di un fortilizio piuttosto alto, tale da giu- «muro principiato dal magazzeno di Pier- stificare il monito scolpito su una lapide paulo da Spene fino alla torre del porto e da che venne collocata all’esterno: PRÆSI- la dicta torre per sino a la terra», e la costru- DIUM NAUTIS PAX CIVIBUS HOSTIBUS zione di un torrione all’angolo delle mura, TERROR NUMINE CONSTANTI SUM FA- verso porta Gattolo. BRICATA DUCIS 65. La prima opera fu così descritta: Il progettista dell’opera fu Cherubino di Giovanni, un muratore-ingegnere che, negli andare sopra el cordone venti pè et lì anni precedenti, aveva lavorato al cantiere se ha comenzare a mettere li beccatelli della rocca del Tentamento assieme a Lu- de petra de concio de tri pezzi l’una che ciano Laurana; non è un caso, quindi, che la seranno alti piè cinque, et […] uno ba- torre presenti caratteristiche che la imparen- stone de grosezza de mezzo piè […] et tano strettamente ai torrioni d’angolo della poi se dè andare alto piè tre per spianare rocca nuova; ad esempio, la descrizione del el muro de li curidori et […] dapoi sopra coronamento superiore è del tutto simile a el piano del dicto torrone se glie dato che quella utilizzata in un contratto del 1478 per lui abbia affare uno turresino, overo uno la fornitura di pietre per capitelli e beccatel- maschio. li da destinare al cantiere del Tentamento; anche il «torresino» da realizzare alla som- Benché il brano non fornisca alcuna in- mità richiama quelli dei torrioni della for- dicazione sulla torre da ultimare, si può so- tezza, raffigurati in uno dei pannelli della stenere che essa coincise con quella inizia- chiesa di Sant’Agostino 66.

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Il contratto con maestro Guardabasso nente a un tal Pierpaulo da Spene; il muro non contiene alcuna informazione sulla lo- doveva quindi ripartire da lì, proseguire calizzazione e sulla funzione del fortilizio; parallelamente alla riva del fiume verso la ma alcuni frammenti (di cui si parlerà più torre del porto più antica, e infine ritornare estesamente in seguito) trascritti da Giovan- verso la terra, vale a dire verso il perimetro ni Battista Almerici nelle sue memorie, ci cittadino; in questo modo si sarebbe rea- forniscono una risposta convincente: la tor- lizzato un recinto chiuso, a protezione dei re fu innalzata sulla riva di San Giorgio, e magazzini e degli edifici legati all’attività serviva a tenere una delle due estremità del- portuale. la catena che sbarrava l’imbocco del porto. Infine, l’ultima opera appaltata consi- La seconda opera inserita nel contratto stette nella realizzazione di una nuova torre con maestro Guardabasso consistette nella rotonda, posta allo spigolo delle mura fra le realizzazione di un «rivellino della catena porte Gattolo e Nova (la si vede nei rilievi di del porto». Gli estensori del contratto utiliz- Pier Francesco da Viterbo e Giovanni Bat- zarono l’espressione «rivellino della catena tista Belluzzi); considerate le poche righe del porto», senza fornire altre spiegazioni. che, nel contratto, sono ad essa dedicate, è Nell’architettura militare del quattrocen- da ritenere che si trattasse di un fortilizio to il termine rivellino stava a indicare una di semplice esecuzione, simile a quelli già struttura staccata dalla cinta muraria princi- realizzati al tempo di Alessandro. pale, che serviva a proteggere una porta, o A questo punto, non si può fare a meno un punto debole; ad esempio, nei superstiti di evidenziare lo stretto rapporto funzio- libri delle uscite del Comune, si trova l’e- nale e planimetrico fra il «muro verso la spressione «revellino di porta del Ponte»67, bocca del porto» documentato a partire dal per indicare la torre posta di là del ponte 1450, e il «muro principiato dal magazze- del Foglia, a protezione della porta omo- no di Pierpaulo da Spene» del contratto del nima. Vista la sinteticità della frase, si può 1483; questo nesso induce a ritenere che la supporre che il «rivellino della catena del Rocchetta iniziata da Alessandro Sforza nel porto», fosse un’opera di semplice esecu- 1468, e i lavori avviati nel 1480, costituiro- zione, che non richiedeva una descrizione no stralci successivi di quel «modello della dettagliata; probabilmente, esso consistette fortezza del porto di Pesaro» disegnato da in un robusto basamento di pietre e mattoni Filippo Brunelleschi. L’idea di sistemazio- realizzato sull’argine destro del Foglia, che ne del porto, sorta sul finire della signoria doveva servire ad ancorare un capo della malatestiana, si mostrò talmente confacente catena (a supporto di questa interpretazio- alla natura della città e alle aspirazioni della ne, si segnala che, in un libro di spese del sua comunità, da essere tenacemente perse- 1498, è registrato il salario di un muratore, guita, in uno sforzo pluridecennale. per avere lavorato al «muro del rastello de Costanzo Sforza non fece in tempo a la catena» 68). vedere la realizzazione dei suoi progetti, La terza opera riguardò il completamen- perché morì improvvisamente nel luglio del to del muro iniziato nell’estate del 1480, 1483, a trentasei anni d’età. all’apice della crisi con papa Sisto IV, che Nelle settimane seguenti Camilla Sforza, era arrivato vicino a un magazzino apparte- che prese possesso della signoria assieme a

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Giovanni, figlio naturale dello scomparso libro delle spese del 1479-1480 c’è un vuoto signore, abbandonò l’alleanza con i vene- di quindici anni) non permette di conoscere ziani, ricondusse lo stato pesarese nell’al- lo sviluppo e la consistenza e delle opere veo della tradizionale amicizia con il duca- realizzate al porto; però il vuoto può esse- to di Milano, e di devozione alla Chiesa. A re in parte colmato grazie alle informazio- coronamento dei propri sforzi, a novembre ni che è possibile trarre dall’analisi di una Camilla ottenne da papa Sisto IV la ricon- delle tarsie conservate nel coro della chiesa ferma del vicariato apostolico per sé e per pesarese di Sant’Agostino: quella che raffi- Giovanni; un mese dopo la lega costituita gura la città vista dalla riva di San Giorgio dalla signoria di Firenze, dal re di Napoli, (fig. 6)70 . dal duca di Milano e dal papa, prese sotto la La tarsia presenta in primo piano una propria protezione lo stato di Pesaro, men- lingua di terreno, dietro alla quale emer- tre milanesi e napoletani assoldarono Gio- gono le sagome scure di diverse imbar- vanni 69. cazioni; sulla sinistra vi è il fiume, con Il mutamento di alleanze consentì a Ca- l’argine segnato da una palificazione (la milla di allontanare le nubi di guerra che da palata di Santa Maria); sempre sulla si- mesi gravavano sulla città; ciononostante, nistra è raffigurata la torre (cioè la Roc- la signora non fece venire meno l’impegno chetta) iniziata da Alessandro Sforza nel di completare le fortificazioni iniziate dal 1468, con le strette fessure delle bom- marito negli ultimi anni della sua signoria. bardiere disegnate sulla base scarpata; da La perdita della maggior parte dei registri essa parte un muro che arriva a una co- delle uscite e dei verbali consiliari (dopo il struzione massiccia, squadrata, con tetto

Figura 6 – Disegno tratto dalla tarsia della chiesa di Sant’Agostino di Pesaro con la veduta del porto In grigio: la torre iniziata nel 1468 (la Rocchetta); il muro del porto iniziato nel 1480 e terminato nel 1483; la torre malatestiana e il rastello (elaborazione dell’autore).

105 Studi pesaresi 3.2015 a falda. La veduta richiama fedelmente che tiene la catena del porto, e questo fu il testo del contratto del febbraio 1483; il il giorno di Santa Lucia 72. muro è quello «principiato dal magazzeno di Pierpaulo da Spene», mentre l’edificio a e, la seconda: sezione rettangolare coincide con la «torre del porto», cioè quel «turresino di Sancta le sue fondamenta [della torre abbat- Maria del porto»71, documentato in un pa- tuta dalla fiumana] sono restate sepolte gamento dei primi anni sessanta (la forma de là della rocchetta nella cassa del porto rettangolare suggerisce una costruzione vecchio abbandonato da Francesco Ma- risalente al periodo malatestiano, o anche ria della Rovere ultimo duca di Urbino 73. più antico); in corrispondenza di questa torre, quasi sovrapposto ad essa, si nota L’espressione usata da Almerici, «torre un rastello. che tiene la catena del porto», consente di Dietro le fortificazioni a ridosso del Fo- localizzare l’edificio, e comprenderne la glia è disegnata la vecchia cinta muraria funzione. edificata in epoca malatestiana, o comuna- All’inizio di questa ricerca si è visto che le, con torri a sezione rettangolari, con due la zona portuale fuori porta Nova era pro- varchi alla base (forse si tratta di magazzi- tetta da un muro che, partendo dalla cinta ni ricavati alla base delle torri, che, in quel urbana, arrivava fino alla palata di Santa tratto, avevano perduto la funzione milita- Maria, e che, allineato ad esso, vi erano un re); più arretrate vi sono altre mura, quelle rastello e una catena di sbarramento tesa- più antiche, che proteggevano la città prima ta in acqua fra le due rive del Foglia. Nel che il borgo di Sant’Agostino venisse in- 1468, all’estremità del muro fu eretta una globato all’interno della cinta malatestiana; torre (la Rocchetta). Nel 1480 fu iniziata sullo sfondo chiese, torri e case; invece non la costruzione di un tratto di muro paralle- si scorgono la chiesa e il convento di San- lo al fiume, fra la Rocchetta e la torre del ta Maria perché, in seguito alla costruzione porto più antica. L’anno successivo fu fon- della muraglia parallela alla riva del fiume, data una nuova torre, sulla riva sinistra del rimanevano nascoste a un osservatore posto fiume, di fronte alla torre più antica; conte- sulla riva di San Giorgio. stualmente, la catena fu arretrata, e i suoi Nella veduta della tarsia vi è un’assenza estremi furono fissati alla nuova torre e a un di cui occorre dare conto: la «torre princi- nuovo basamento, detto «rivellino della ca- piata al porto» nel 1481, e inclusa nel con- tena del porto»; il varco fra il rivellino e la tratto del febbraio 1483. L’assenza può es- torre antica fu chiuso con un nuovo rastello, sere spiegata grazie a due memorie raccolte che è ben visibile nella veduta della tarsia. dal pesarese Giovanni Battista Almerici, Ma le fondamenta della torre iniziata nel vissuto nel ‘600; la prima afferma che: giugno del 1481 «in portum Pisauri iuxta et prope flumen Folee», furono scavate trop- Adì 11 dicembre 1487 piovè tre dì e po vicine al fiume, in un terreno non suf- tre nocte in modo che coperse tutto il pia- ficientemente compatto, sicché la violenta no e venne così gran fiumana che menò fiumana del dicembre 1487 ne provocò il via le barche, e le palate, e spaccò la torre crollo. Secondo le memorie di Almerici, le

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Figura 7 – La zona portuale verso il 1485 (elaborazione dell’autore).

sue rovine riaffiorarono in seguito ai lavori tere della costruzione di un muro vicino alla promossi all’inizio del seicento dall’ulti- torre del porto 74). mo duca roveresco Francesco Maria, che, facendo deviare il corso del Foglia, ripor- Nel ventennio compreso fra il 1490 e tò alla luce quello che giaceva nel vecchio il 1510 la signoria di Pesaro fu ininterrot- alveo. tamente governata da Giovanni Sforza, ad Per completare l’esame della tarsia, si esclusione degli anni dal 1500 al 1503, du- deve constatare che essa non consente di rante i quali la città entrò a fare parte del dire nulla sull’esistenza del muro che dove- nuovo stato di Cesare Borgia; di quel pe- va andare «da la dicta torre [del porto] per riodo sono rimasti quattro libri con le regi- sino a la terra», cioè del muro che, partendo strazioni delle spese effettuate dal Comune, dalla torre quadrangolare, doveva arrivare relative agli anni 1495, 1498, 1501 e 1502; i fino alla cinta urbana, in modo da chiudere volumi sono in buono stato di conservazio- il recinto della zona portuale; probabilmen- ne, ma contengono poche informazioni sui te, questa parte delle opere incluse nel con- lavori riguardanti la scarpa. tratto del 1483 non venne realizzata (lo si Anche gli eventi bellici che accompa- deduce dal fatto che, in un verbale del con- gnarono la formazione e il rapido disfaci- siglio di credenza del 1509, si tornò a discu- mento del ducato di Cesare Borgia hanno

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Figura 8 – La zona portuale verso il 1490, dopo il crollo della torre iniziata nel 1481 (elaborazione dell’autore). lasciato poche tracce riguardanti le struttu- dello stato della Chiesa, le quali temettero re difensive cittadine. Nel dicembre 1499 di subire incursioni di barche veneziane Giovanni Sforza, nell’angosciosa attesa di provenienti dai porti della Romagna, che un attacco da parte dell’esercito ecclesiasti- in quel periodo era sotto il dominio del- co, che in quel momento si trovava a Imola, la repubblica di San Marco. Da Ancona il scrisse ai signori di Mantova annunciando cardinale Sigismondo Gonzaga, che so- «Io attendo ad fortificarmi da ogni canto al vrintendeva alla difesa delle città marchi- meglio che posso »75. giane, fece sapere che: Non sappiamo in cosa consistettero que- ste opere di fortificazione; probabilmente per dubio che veneziani mi vengi- si trattò di bastioni in legno e terra battuta, no ad assaltar cum l’armata, quale han- miranti a rafforzare alcuni punti del circuito no fuori grossa, e a torre questa cità di murario considerati deboli. Ancona, e a danificare questa provincia, Nell’aprile del 1509 iniziò la guerra come hano già cominciato molestarla a che oppose la lega costituita da Chiesa, Fano e Senogallia 76. Impero e regno di Francia alla repubbli- ca di Venezia. I movimenti degli eserciti Anche Pesaro fu coinvolta negli eventi misero in apprensione le città rivierasche bellici. In aprile Giovanni Sforza, per mez-

108 Francesco Ambrogiani Le difese del porto di Pesaro zo del luogotenente, sollecitò il consiglio di l’imponente piano di mobilitazione com- credenza affinché provvedesse alla tutela e portò l’abbandono delle città e dei castelli alla sicurezza della città. Nella seduta del di Romagna, fra cui Faenza, Ravenna e Ri- 13 aprile 1509 i consiglieri posero all’ordi- mini. ne del giorno la fabbricazione di due spin- Non sappiamo se la scomparsa dei sol- garde da collocare al porto, e la costruzio- dati di San Marco dai porti romagnoli fece ne di un muro vicino alla torre del porto venire meno l’impegno preso dal consiglio dove, in quel momento, risiedeva il capita- comunale nelle settimane precedenti; in ef- no («murus iuxta et prope turrem portus in fetti, nel rilievo di Pier Francesco da Viter- qua nunc habitat capitaneus») 77; nel corso bo è disegnato un segmento che va da por- dell’assemblea, i presenti decisero di eleg- ta Nova alla chiesetta di Santa Maria della gere tre soprastanti, che ebbero il compito scala: però, potrebbe anche trattarsi del ca- di constatare di persona lo stato dei luoghi nale Vallato. dove si intendeva intervenire. Un paio di settimane dopo, 26 aprile, fu Il 1512 segnò la fine della signoria sfor- convocata un’altra adunanza per ascoltare zesca su Pesaro. L’anno successivo, il pon- dai soprastanti il rendiconto dei sopral- tefice Giulio II assegnò la città al nipote, il luoghi; essi riferirono di avere esaminato duca di Urbino Francesco Maria della Ro- il fossato esistente fra le mura urbane e il vere. porto, cominciando dal terreno di un tale Comunque, le nuove autorità ducali non Antonio Giuntini, fino a porta Nova, e di smisero di sollecitare la comunità pesarese averlo trovato pieno di piante e fango; ap- perché provvedesse al rafforzamento della prese queste cose, i consiglieri deliberaro- cinta urbana, come risulta, ad esempio, dal no di rivolgersi al luogotenente, per stabi- verbale della seduta consigliare del 14 gen- lire con lui gli interventi da realizzare per naio 1516, durante la quale fu avanzata la sistemare la fossa. Queste indicazioni, per proposta di realizzare dei bastioni 78. quanto vaghe, fanno supporre che i con- Il termine bastione si diffuse in Italia siglieri volessero completare l’intervento a partire dai primi anni del cinquecento; promosso da Costanzo Sforza un quarto di esso indicava una difesa di terra pressata, secolo prima, e racchiudere l’area portuale delimitata nella parte esposta da strutture con un muro che andava dall’antica torre di contenimento di mattoni, pietra, o anche a sezione quadrata alla terra, verso porta legname; si trattava in definitiva di grandi Nova. terrapieni, in grado di assorbire i proiettili Mentre a Pesaro si discuteva sul modo di pietra o ferro delle artiglierie che, non di realizzare la nuova opera, il 14 maggio essendo a quell’epoca ancora esplosivi, 1509, ad Agnadello, nel cremonese, l’eser- si conficcavano senza provocare crolli e cito del re di Francia inflisse una durissima brecce 79. sconfitta ai veneziani. In preda al terrore, A Pesaro, troviamo per la prima volta il senato della repubblica ordinò a tutte le la parola bastione nel libro delle uscite del forze disponibili di concentrarsi attorno alla 1501, per un pagamento effettuato per «bu- città lagunare, per difenderla dagli attacchi tar in terra el bastion a porta del ponte» 80; congiunti di francesi, imperiali e pontifici; nel settembre del 1503, Giovanni Sforza,

109 Studi pesaresi 3.2015 da poco rientrato in città, ne fece costruire dreto le mura secondo se andava muran- alcuni per bombardare la rocca, che in quel do») 87. momento era tenuta da una guarnigione di Il governatore pontificio non fece però soldati rimasti fedeli a Cesare Borgia 81. in tempo a vedere la fine dell’opera perché, Nel giugno del 1516 Francesco Maria agli inizi del 1522, in seguito alla morte di della Rovere, a causa dei contrasti avuti con papa Leone X, Francesco Maria della Ro- papa Leone X, fu costretto ad abbandonare i vere riuscì a riprendere possesso del ducato. suoi domini, e a recarsi in esilio; il ducato di Tuttavia, il cambio dinastico non interruppe Urbino passò dapprima ai Medici, e poi, nel i lavori; nel maggio del 1525 il luogotenen- 1519, fu incamerato dalla Chiesa 82. te ducale impose ai castelli del contado di La situazione di permanente bellige- mettere a disposizione degli uomini da im- ranza acuì l’inadeguatezza delle strutture piegare nel cantiere della scarpa, probabil- difensive dell’area portuale prospiciente mente per gli scavi e le movimentazioni del il Foglia, che rimaneva esposta al lancio terreno 88. di proiettili sparati da cannoni posizionati L’opera era ancora in corso nella prima- sulla riva sinistra del fiume, cioè su quel- vera del 1527, quando in Italia si diffuse la la di San Giorgio. Per rafforzare questo notizia della calata di un esercito imperiale, tratto della cinta urbana, nel gennaio del diretto alla volta di Roma per punire il pon- 1521 il governatore pontificio, Roberto tefice regnante; il 12 maggio il luogotenen- Boschetti, esortò il consiglio cittadino a te esortò la comunità a portare a termine la eleggere i soprastanti dei lavori e a stan- cinta bastionata («quod bastioni perfician- ziare le somme necessarie per riparare o tur et securiores reddantur ab omnibus of- rifare le mura dall’ultimo torrione verso fensionibus») 89; l’8 giugno, per procedere porta Sale (cioè porta Gattolo) fino a por- più speditamente, il consiglio comunale ta Ponte («ab ultimo turrione prope por- deliberò di assoldare quotidianamente 40 tam Salsam usque ad scarpam inceptam uomini del contado 90. versum porta pontis» 83). Il disegno di Pier Francesco da Viterbo Il 13 marzo Giorgio Almerici, uno dei del 1528 (che riporta un’unica linea conti- soprastanti 84, riferì ai consiglieri che, se- nua che va da porta Gattolo a porta Ponte condo una stima effettuata dal maestro mu- passando per il torrione del porto) dimostra ratore Andrea di Girolamo Marangone, la che il maestro muratore Andrea Marangone spesa per la fabbrica della scarpa ammonta- era riuscito a ultimare i lavori. va a circa 2.000 lire 85; ma gli astanti, nono- Ma i bastioni furono una soluzione prov- stante le sollecitazioni del governatore, de- visoria, perché il duca Francesco Maria, liberarono di destinare all’opera un importo giudicando obsolete le strutture difensive di non più di 400 lire all’anno, da finanziare della sua capitale, affidò a Pier Francesco tramite il dazio delle olive 86. da Viterbo il compito di progettare nuove I lavori a cottimo furono appaltati l’8 mura alla moderna, con baluardi ai vertici luglio 1521 allo stesso Andrea Marangone, del nuovo poligono pentagonale, e cavalieri che si impegnò ad iniziare la muraglia dalla posti lungo i tratti rettilinei 91. parte di porta Ponte, e a riempirla di terreno L’opera fu appaltata il 27 agosto 1528 ad nella parte retrostante («rempire de tereno Andrea Marangone che, con il nuovo affi-

110 Francesco Ambrogiani Le difese del porto di Pesaro damento, si confermò impresario di fiducia torre rotonda del porto (la Rocchetta) e la del duca 92; questa data è degna di memoria, rocca nuova del Tentamento: la prima in- perché segnò l’inizio delle demolizioni del- globata nel baluardo del porto, la seconda le difese che, per secoli, avevano protetto riadattata per diventare essa stessa uno dei la città; di esse, sopravvissero solamente la cinque baluardi del pentagono roveresco.

1 L’affermazione si basa sulle ricerche con- «Chiesa nuova», mentre nel borgo del porto non fu dotte da Maria Lucia De Nicolò, Tartanon pesarese indicato alcun edificio religioso (però compare un un veliero adriatico. Costruzione governo attività usi edificio con un colonnato); in quella del 1708 di Vin- marittimi, Banca Credito Cooperativo Gradara, Villa cenzo Coronelli fu disegnata solo la chiesa dei mo- Verucchio 2005. naci camaldolesi; in un disegno settecentesco, senza 2 Si ricorda che, ancora oggi, il termine «sca- data, che raffigura gli edifici del borgo del porto, è la» ha lo stesso significato di «scalo». Sull’uso di presente una chiesa (però senza nome) nello stesso questo termine si porta un esempio tratto da Marco punto dove Johan Blaeu raffigurò l’edificio con co- Moroni, L’impero di San Biagio. Ragusa e i commer- lonne (Nando Cecini, La bella veduta, Amilcare Piz- ci balcanici dopo la conquista turca (1521-1620), Il zi, Cinisello Balsamo 1987, p. 77); nella veduta del Mulino, Bologna 2011, laddove si parla (p. 139) della 1790 di Giovanni Stefani fu indicata una chiesa dei nuova «scala» di Spalato, fatta costruire dai venezia- monaci camaldolesi dedicata a Regina degli Angeli ni, nella seconda metà del cinquecento, per fare con- e, nel borgo, una dedicata alla Madonna del porto; correnza ai mercanti di Ragusa. nella pianta “laica” di Romolo Mengaroni, del 1894, 3 Il Vallato era il corso d’acqua deviato dal la chiesa camaldolese appare già trasformata in «Casa Foglia tramite una chiusa situata sotto Montelabbate, penale», mentre permane la chiesa del porto. che arrivava in città verso porta Curina, ne usciva ver- 5 La destra e la sinistra di un fiume sono defi- so porta Nova, e si immetteva nuovamente nel Foglia nite ponendosi con le spalle alla sorgente. poco prima dello sbocco al mare. Il termine Vallato 6 Il toponimo «San Giorgio» indicò anche la ricorre in Biblioteca Oliveriana di Pesaro (in seguito zona dove avvenivano le esecuzioni. Nel 1450 venne Bop), Archivio Storico del Comune (in seguito Asc), registrata una fornitura di legname per «fare le forche XI-b-16, 1452. Libri di depositeria, salariati, 3 di- a San Giorgio» (Bop, Asc, XII-b-8, 1450. Depositeria cembre 1452, c. 83r; ivi, XIV-b-9, 1461-1463. Libro del Comune di Pesaro, libro di entrata e uscita, 27 degli introiti e delle spese del Comune di Pesaro, cit., aprile 1450, c. 65v). Quasi cinquant’anni dopo, nel 22 novembre 1461, c. 144r; ivi, XIV-b-7, 1477-1478. 1495, si ha notizia di un impiccato «a la marina de là Depositaria liber redditus et expensarum illustris do- del porto» (Bop, Asc, XII-b-9, 1495. Bollette di depo- mini Constantii, 19 novembre 1477, c. 113r. siteria, 14 maggio 1495), p. 121. Il toponimo rimase 4 La chiesa di Santa Maria della scala era po- in uso anche nel periodo ducale, come risulta da un sta a ridosso del fiume, come indicato nel disegno di decreto del 1558 (Abati Olivieri, Memorie del porto Pier Francesco da Viterbo; quella tenuta dai monaci, di Pesaro, cit., p. 62). era più accostata alle mura cittadine, sul lato del mare 7 Bop, Asc, XIV-b-9, 1461-1463, cit. 22 no- (Annibale Abati Olivieri Memorie del porto di Pe- vembre 1461, c. 144. saro, Pesaro 1774, pp. 55-56). Questi due luoghi di 8 Bop, Asc, II-a-4, 1462-1467. Liber deposita- culto, pur cambiando nome e aspetto architettonico, rie, portuo, scali, clusee et scarpe comunis civitatis sono sopravvissuti fino ad oggi, come risulta dalla ra- Pisauri, 6 giugno 1466, c.46v; la «palata grande del pida ricognizione che segue; nella veduta secentesca porto» è citata anche in ivi, 14 e 20 agosto 1463, c. di Johan Blaeu la chiesa conventuale fu indicata come 21v; 28 settembre 1463, c. 23r.

111 Studi pesaresi 3.2015

9 Ivi, 28 settembre 1463, c. 23r. la fabbriche malatestiane in relazione a documento 10 Bop, Asc, II-a-4, 1462-1467, cit., senza data, inediti, in Filippo Brunelleschi. La sua opera e il suo ma 1466, c. 41r. tempo. II, Firenze 1980, pp. 973-984. 11 Il disegno è stato pubblicato in Massimo Fre- 24 Carlo Perogalli, Rocche e forti medicei, quellucci, La storia urbana di Pesaro nel medioevo: Rusconi, Milano 1980, p.1 21. mille anni di trasformazioni, in Pesaro tra medioevo 25 Bop, Asc, XIV-b-9, 1461-1463, cit., 31 di- e rinascimento, Marsilio, Venezia 1989, p. 160. Uno cembre 1461, c. 146r. dei maggiori pregi del disegno risiede nella sovrappo- 26 Ivi. sizione della nuova cinta urbana di forma pentagona- 27 Ivi, 19 aprile 1463, c. 167r; 31 aprile 1463, c. le, a quella preesistente, la terra vecchia, un poligono 167r. irregolare avente uno dei vertici in corrispondenza 28 Bop, Asc, II-a-4, 1462-1467, cit., data non del ponte sul Foglia. leggibile (probabilmente 1467), c. 11r («petrone per 12 Il disegno è riprodotto anche in Tomma- la catena del porto»); Bop, Asc 1477-1478, 12 aprile so Scalesse, Le fortificazioni roveresche, in Pesaro 1477, c. 106v («ferro […] per la catena del porto»); nell’età dei Della Rovere, Marsilio, Venezia 1998, p. 12 gennaio 1478, c. 119r («piastre per la catena del 227, nota 20. porto»); Bop, Asc, XII-b-9, 1495, cit., 31 dicembre 13 La veduta è riprodotta in Città e castella. 1495, p. 154 («cavo novo […] per tirare la catena del Tempere di Francesco Mingucci pesarese, ERI Edi- porto»); Bop, Asc, X-f-14, 1501, cit., 27 luglio 1501, zioni RAI, 1991. c.n.n., Spese straordinarie («canapo [per] la catena 14 Fra le innumerevoli registrazioni riguardanti del porto”); 31 dicembre 1501, c.n.n., Spese del porto i pali per il porto, si segnalano due contratti di fornitu- (« [ferramenta] per la catena del porto»). ra, trascritti in Bop, Asc, I-a-28, 1463-1467. Reforma- 29 Barisa Krekic, Le port du Dubrovnik (Ra- tionum (liber decretorum et consiliorum), 19 marzo guse), enterprise d’état, plaque tournante du com- 1464, cc. 126v-127v, e ivi, 1466, cc. 130r-131r. merce de la ville (XIIIe-XVIe siècle), in Dubrovnik: a 15 Francesco di Giorgio Martini, Trattati di Mediterranean Urban Society, 1300-1600, Variorum, architettura civile e militare, cur. Corrado Maltese, Ashgate 1997, p. 659. Milano 1967, p. 188. 30 La veduta fa parte di un trittico oggi conser- 16 Bop, Asc, II-a-3, 1449-1450. Libro de le spe- vato nel museo del convento di San Domenico della se e entrate del porto di Pesaro, 1 dicembre 1449, c. città croata. L’autore del dipinto è Nikola Božidarević. 30r. 31 Bop, Asc, II-a-4, 1462-1467, cit., data non 17 Maria Lucia De Nicolò, Le Pietre di Foca- leggibile (probabilmente 1467), c. 11. ra, in “Pesaro. Città e contà”, 17, 2003, p. 105. 32 Bop, Asc, XIV-b-9, 1461-1463, cit., 13 aprile 18 Bop, Asc, XII-b-8, 1450, cit., 24 marzo 1450, 1461, c. 140r. c. 89r. 33 Ivi, 14 agosto 1461, c. 142r. 19 Ivi, 31 maggio 1450, c. 89v. Altre registra- 34 Ivi, 31 dicembre 1462, c. 162r. zioni riguardanti questo lavoro: ivi, 31 maggio 1450, 35 Bop, Asc, XIV-b-9, 1461-1463, cit., 31 di- c. 90r e 7 giugno 1450, c. 90v. cembre 1461, c. 146r. 20 Bop, ms. 937, Spogli Almerici, vol.IV, Squar- 36 Bop, Asc, XI-b-16, 1452, cit., 11 novembre cio P, regesti del notaio ser Sepolcro, 24 aprile 1461. 1452, c. 81r. 21 Giorgio Vasari, Vite scelte, cur. Anna Maria 37 Bonamini, Cronaca, cit., ad annum. Brizio, Torino 1978, p. 172. 38 Domenico Bonamini, Abbecedario degli ar- 22 Domenico Bonamini, Cronaca della città di chitetti e pittori pesaresi, cur. Giovanna Patrignani, Pesaro. Tomo 2. Dal 1000 al 1512, Bop, ms. 996, vol. in “Pesaro città e contà”, 6, 1996, p. 22. II, ad annum. 39 Francesco Ambrogiani, La ristrutturazione 23 Gastone Petrini, Indagine sui sopralluoghi della cinta muraria di Pesaro durante la signoria di e le consulenze di Filippo Brunelleschi nel 1438 per Alessandro Sforza in “Pesaro città e contà, 19, 2004.

112 Francesco Ambrogiani Le difese del porto di Pesaro

40 Abati Olivieri, Memorie del porto di Pesa- 50 Archivio di Stato di Mantova (in seguito ro, cit., p. 58. Asmn) Archivio Gonzaga (in seguito Ag), busta 846, 41 Annibale Abati Olivieri, Lettera sopra un 31 gennaio 1480, c. 414, Matteo da Volterra a Federi- medaglione non ancora osservato di Costanzo Sfor- co Gonzaga, da Urbino. za, signore di Pesaro, Pesaro 1781, pp. VII-VIII. 51 Archivio di Stato di Milano (in seguito 42 Ambrogiani, La ristrutturazione, cit. Asmi), Sforzesco Potenze Estere (in seguito Spe), 43 Nando Cecini, Pesaro. L’immagine di una Marca, b.150, 11 giugno 1480, Nicodemo Tranchedi- città nelle fotografie di un secolo (1880-1980), Pesa- ni ai duchi di Milano, da Pesaro. ro 1986, pp. 72-73. Numerose immagini riguardanti 52 Ivi, 6 luglio e 22 agosto 1480, Nicodemo la rocchetta sono riprodotte in Giovanna Sabbatini, Tranchedini ai duchi di Milano, da Pesaro. La demolizione delle mura di Pesaro nel XIX secolo. 53 Bop, Asc, XII-b-4, 1479-1480, cit., 15 luglio Proposte di valorizzazione dei tratti esistenti, Uni- 1480, c.n.n.; ivi, 22 luglio 1480, c.n.n.; ivi, 15 settem- versità degli studi di Firenze, facoltà di Architettura, bre 1480, c.n.n. a.a. 2007/2008, tesi di laurea, collocazione Bop A- 54 Ivi, 24 maggio 1480, c.n.n. 25-2b-31, allegato 12. 55 Ivi, 22 luglio 1480, c.n.n. 44 Nella fotografia pubblicata inC ecini, Pesaro 56 Ivi, 22 agosto 1480, c.n.n. Notizie su ma- cit., pp. 73, si possono contare, sull’asse di simmetria, estro Guardabasso sono in Paride Berardi, Arte e 14 mattoni in un centimetro; considerato che l’altezza artisti a Pesaro. Regesti di documenti di età mala- di un mattone era di 5,5 centimetri, e che la malta testiana e sforzesca. Parte Terza, in “Pesaro città e aveva uno spessore di 1,5 centimetri, risulta che a un contà”, 16, 2002, p. 109. La provenienza da Como è centimetro misurato sulla fotografia corrispondono indicata in Leon Lorenzo Loreti, Pesaro. Monumenti 5,5x14+1,5x13=96,5 centimetri reali. Stabilita la sca- Malatestiani e sforzeschi, Urbania 1985, p. 75, rege- la della fotografia, è possibile calcolare il diametro sto n. 157. Nel contratto del 14 febbraio 1483 (Bop, della costruzione e l’altezza dal cordolo alla sommità. Asc, I-c-2, 1454-1565. Liber decretorum, cc. 18r-19r) Per calcolare il diametro si deve risolvere la propor- maestro Guardabasso fu chiamato «de Mediolanum». zione 1:96,5=11,5:x, dove 11,5 è il diametro in cen- 57 Ivi, 3 luglio 1480, c.n.n. Il 6 ottobre fu re- timetri misurato sulla fotografia (il risultato è 1.109 gistrato il pagamento per tavole acquistate per fare centimetri, equivalenti a 11 metri circa). Analoga- l’uscio alla torre. mente, per calcolare l’altezza dal cordolo alla sommi- 58 Lazzaro Bernabei, Croniche anconitane, in tà si deve risolvere la proporzione 1:96,5=8,5:x, dove Collezione di documenti storici antichi e inediti ed 8,5 è l’altezza in centimetri misurata sulla fotografia editi rari delle città e terre marchigiane, cur. Carisio (il risultato è 820 centimetri, equivalenti a 8,2 metri). Ciavarini, Ancona 1870, p.195. 45 Bop, ms. 937, Spogli Almerici, vol.V, Squar- 59 Asmi, Spe, Marca, b.150, 12 settembre 1480, cio AB, regesti del notaio ser Sepolcro, 30 agosto Nicodemo Tranchedini ai duchi di Milano, da Pesaro. 1474, c. 29r. 60 Ivi. 46 Bop, Asc, XIV-b-7, 1477-1478, cit., 19 otto- 61 Archivio di Stato di Pesaro (in seguito Asps), bre 1477, c.111v e 31 dicembre 1477, c. 115v. Archivio Notarile (in seguito An), Sepolcro di ser Se- 47 Ivi, 13 dicembre 1478, c. 115v. polcro, b. 20, anni 1479-1481, 8 giugno 1481, cc. 48 Bop, Asc, XII-b-4, 1479-1480. Libro della 407v depositaria, entrata e uscita del Comune di Pesaro, 62 Bop, ms. 374, Originali della storia dei du- 12 settembre 1479, c.n.n.; ivi, 28 settembre 1479, chi di Urbino. Tomo I, cc. 60-61, lettera di Camilla c.n.n; ivi, 31 ottobre 1479, c.n.n. Sforza a Costanzo Sforza, pubblicata in Ciro Antal- 49 Sui contrasti fra Costanzo Sforza e Sisto di, Lettera di Camilla Sforza al marito, pubblicata IV si veda Francesco Ambrogiani, Vita di Costanzo in occasione delle nozze Carnevali Porta, Pesaro Sforza (1447-1483), “Pesaro città e contà”, Link 3, 1877. 2003, cap. VII. 63 Bop, Asc, I-c-2, 1454-1565, cit., cc. 18r-19r.

113 Studi pesaresi 3.2015

64 Si è preso un valore uguale a quello dei tor- Laterza, Bari 1996, p. 142 e Angiolo Lenci, Il Leo- rioni di angolo della rocca nuova del Tentamento. ne, l’aquila e la gatta. Venezia e la lega di Cambrai. 65 La frase è riportata in Teofilo Betti, Delle Guerra e fortificazioni dalla battaglia di Agnadello cose pesaresi. Dall’anno 1449 all’anno 1519, tomo all’assedio di Padova del 1509, Il Poligrafo, Padova IV, Bop, ms. 944, p. 168v, e in Bonamini, Cronaca, 2002, cap. V, dedicato alle fortificazioni di Padova nel cit., p. 280. 1509. 66 Su rocca Costanza vedi Francesco Ambro- 80 Bop, Asc, X-f-14, 1501. Bollette dei salaria- giani, Ipotesi sui progettisti di rocca Costanza, in ti, pennacchi chiusa e porto, 10 aprile 1501, c.n.n. “Pesaro città e contà”, 21, 2005, pp. 83-101. 81 Asmn, Ag, b.1065, 21 settembre 1503, c. 515, 67 Bop, Asc, XIV-b-9, 1461-1463, cit., 9 set- Giovanni Sforza a Francesco Gonzaga, da Pesaro. tembre 1462, c. 154v. 82 Su queste vicende vedi Luigi Celli, Le for- 68 Bop, Asc, XI-b-15, 1498, Depositeria - Usci- tificazioni di Urbino, Pesaro e Senigallia del secolo ta, 31 ottobre 1498, c.n.n. XVI, in “Nuova Rivista Misena”, anno VIII, Arcevia 69 Sulla successione di Camilla e Giovanni 1895, pp. 67-83, pp. 101-121, pp. 138-158, e Angelo Sforza a Costanzo vedi Francesco Ambrogiani, Vita Turchini, Il Ducato d’Urbino, Pesaro e i Della Ro- di Giovanni Sforza (1466-1510), “Pesaro città e con- vere, in Pesaro nell’età dei Della Rovere, Marsilio, tà”, Link 6, 2009, cap. II. Venezia 1998, pp. 3-56. 70 Luigi Michelini Tocci, Pesaro sforzesca nel- 83 Bop, Asc, II-b-2, 1519-1536. Libro dei con- le tarsie del coro di S.Agostino, Pesaro 1971, pp. 39- sigli, 25 gennaio 1521, c. 46r. 41 e 49-51. 84 La nomina dei soprastanti è ivi, 19 gennaio 71 Bop, Asc, XIV-b-9, 1461-1463, cit., 14 ago- 1521, cc. 45v-46r. sto 1461, c. 142r. 85 Ivi, 13 marzo 1521, c. 49r. 72 Bop, ms 383, Memorie di Pesaro, tomo VI, 86 Ivi, 19 marzo 1521, c. 50v. p. 62. 87 Bop, Asc, I-c-17, 1514-1534. Liber exem- 73 Bop, ms 937, volume 6, Squarci Almerici, pliorum (licenze, norme, bandi), 8 luglio 1521, cc. Squarcio AG, s.nn., commento a p. 62. 135r-v. 74 Bop, ms. 1177, 1503-1512. Libro dei decreti 88 Celli, Le fortificazioni, cit., pp. 77-78. e dei consigli, sedute del 13 e 26 aprile 1509, cc. 65v- 89 Bop, Asc, II-b-2, 1519-1536, cit., 12 maggio 67r. 1527, c.141v, citato in Celli, Le fortificazioni, cit., p. 80. 75 Asmn, Ag, b. 1065, 5 dicembre 1499, Gio- 90 Ivi, 8 giugno 1527, c. 143r. vanni Sforza a Francesco Gonzaga, da Pesaro. 91 In quegli anni il duca di Urbino aveva rice- 76 Asmn, Ag, b. 858, 18 maggio 1509, c.265, Si- vuto dalla signoria di Venezia l’incarico di dirigere i gismondo Gonzaga a Francesco Gonzaga, da Ancona. lavori di fortificazione delle città di terraferma. Vedi 77 Bop, ms. 1177, 1503-1512, cit., sedute del il paragrafo dedicato a Francesco Maria della Rovere 13 e 26 aprile 1509, cc. 65v-67r. in Antonio Fara, La città da guerra, Einaudi, Torino 78 Bop, Asc, II-b-1, 1512-1518. Libro dei con- 1993, pp. 54-61. sigli, 14 gennaio 1516, c. 95v. 92 Bop, Asc, I-c-17, 1514-1534, cit., 12 maggio 79 Riccardo Luisi, Scudi di pietra. I castelli 1527, cc. 219v-221r, citato in Celli, Le fortificazioni, e l’arte della guerra tra Medioevo e Rinascimento, cit., pp. 101-102.

114 I mulini di Novilara

di Marco Delbianco

La più antica documentazione esisten- novilaresi ne conservarono il possesso per te sui mulini di Novilara è indubbiamente molti anni dopo l’assoggettamento del ter- quella riportata nel catasto dei forestieri del ritorio di Sant’Andrea alla municipalità di castello di Novilara, compilato nel 1348 Fano 2. per volere di Galeotto Malatesti, nell’am- Il primo mulino da grano era situato bito della catastazione generale di Fano 1. in monte Armignolo, ovvero alle pendici Purtroppo ci è pervenuta soltanto la catasta- dell’odierno monte Castagneto tra il ponte zione riguardante il tratto fanese del corso detto di Varano e Casa Simoneta e appar- dell’Arzilla mentre è andata perduta la cata- teneva per ¼ a Perutius Fuschetti de Nubi- stazione pesarese della stessa epoca, per cui laria pro indiviso con Casaleta Tome e do- non abbiamo documentazione relativa alla mina Vanella notabili di Fano. Dallo stesso parte più alta del fiume. Il fatto che i mulini catasto sappiamo che Peruzzo Fuschetti presi in considerazione risultino in territorio alias dictus Garavello possedeva nella val- fanese non rende impropria l’attribuzione ai le dell’Arzilla terreni per un totale di 10.962 novilaresi poiché dalla lettura del catasto canne e pagava un estimo di 133 lire, 10 citato, risulta che oltre 2/3 del territorio di soldi e 6 denari. Da altre fonti sappiamo che Sant’Andrea, situato sulla sponda sinistra Fuschetti era stato tra i possessores fonda- dell’Arzilla, era posseduto dai novilaresi tori del castello di Novilara voluto dai Ma- e i proprietari dei mulini abitavano effet- latesti e dalla sua famiglia prendeva nome tivamente a Novilara. Come esposto in un il quartiere sud ovest del castello stesso 3. precedente saggio, in antico il territorio di Vicino al primo possedeva, sempre in fundo Novilara si estendeva fino all’Arzilla e i montis Armignoli, anche ¼ di un secondo

Figura 1 – Catasto dei forestieri del castello di Novilara, c. 10r.

115 Studi pesaresi 3.2015 mulino pro indiviso con Rodolfo domini rio di Catiliano (oggi fosso Sejore) e nella Ugolini, Nicoluccio Boteghe e Casaleta toponomastica ottocentesca che attribuisce Tome 4 (fig. 1) come già da allora esistesse al fosso dei Condotti il termine di rio Mo- nei pressi di ponte Varano un fundo Iscleti linello 9. È anche verosimile che tra Santa ovvero querceto corrispondente all’attuale Maria dell’Arzilla e Fenile esistessero altri bosco Severini 5. Un terzo mulino da gra- impianti molitori vista la presenza di este- no era situato sempre sull’Arzilla, in fundo se superfici destinate alla cerealicoltura. In Calvarole, poco più a monte dei preceden- realtà, come evidenziato nel saggio di F. ti ed apparteneva a Samperolus Zannis de Daenens 10 i mulini erano in gran parte di Nubilaria. A differenza di Fuschetti, Zannis proprietà signorile per cui non risultavano possedeva anche una casa signorile a Fano censiti nei catasti. Dopo la devoluzione del ed era molto legato ai Malatesti: da un libro ducato roveresco allo Stato della Chiesa nel di campagna del 1348 si nota come molte 1631 la Camera Apostolica, per questioni di sue proprietà fossero contigue a quelle di bilancio, mise all’incanto l’affitto dei muli- Galeotto e il mulino stesso fosse in compro- ni e in alcuni casi anche la proprietà. prietà cum domino Gallaocto et filiis Gotii domini Thomagini. Tutto fa supporre che fosse un castaldo o un fattore di Galeotto 6. Mulino Maggiotti Questi mulini rimasero di proprietà dei novilaresi fino verso la metà del ‘400 quan- Il mulino Maggiotti fu costruito come do cambiò l’assetto politico del territorio e, mulino privato nel 1598 da don Gerolamo a causa di dominazioni diverse, tra Pesaro e e Antonio Masetti in società con i Raffaelli. Fano insorsero questioni di confine. Uno dei È lo stesso don Gerolamo a menzionare la mulini di monte Armignoli infatti fu vendu- concessione di «Sua Altezza Serenissima… to nel 1445 da Tomasso di Chimente di No- di contruere et edificare da fondamenti un vilara a Tommaso di Bartoletto di Fano per molino da grano nel fiume dell’Arzilla, et pagare la taglia del figlio ser Pietro, cattu- loco detto le Fornace, et prendere l’acqua rato da Sigismondo Malatesti durante l’at- di Fonte Nova et altri luoghi circumvicini tacco al castello di Novilara 7. Documenti per poter macinare secondo detta grazia» 11. notarili del 1500 e del 1600 dimostrano che Il luogo prescelto apparteneva all’antico questi mulini divennero proprietà di fami- fondo Simigliano citato nel catasto sfor- glie fanesi quali i Palazzi e i Simonetti e da zesco su cui la famiglia Alberti alla fine questi ultimi derivò il toponimo ancora oggi del ‘400 aveva costruito una fornace. Don riportato sulle carte IGM 8. Gerolamo si incaricò di portare l’acqua al Considerata la distanza che separa il mulino captandola non dall’Arzilla, come borgo di Novilara dal corso dell’Arzilla è sembrerebbe ovvio e come avverrà più tar- verosimile che in antico i novilaresi abbia- di, ma dal fosso di Fonte Nuova (detto an- no cercato di sfruttare anche corsi d’acqua che di Novilara). Fu facilitato nel compito più vicini quali il fosso Sejore e il fosso dei sia dalla sua autorità ecclesiastica che dalla Condotti. Di questo abbiamo solo docu- parentela con il parroco don Pietro Manci- mentazioni indirette in una pergamena del ni possessore delle terre su cui si sarebbe ‘200 in cui si citano alcuni aquimolis sul scavato il fossato di derivazione, lungo la

116 Marco Delbianco I mulini di Novilara strada di confine con il comune di Fano. Magio derivò al casato il cognome Masetti Prima di dare inizio all’opera venne fatta con la frequente variante Magiotti. Le for- una prova poi, dopo aver verificato che la tune della famiglia iniziarono nel ‘500 con condotta di dette acque ad esso molino tor- Antonio figlio di Maso, marangone, ovvero nava bene commodo, fu completata l’opera maestro d’ascia specializzato nel coltivare e e la parrocchia fu risarcita con una superfi- sagomare tronchi di roveri per la costruzio- cie di terreno equivalente. ne di barche. A questo si aggiunse un’accor- I Masetti avevano una lunga storia alle ta politica matrimoniale o di orientamento spalle: un loro antenato, Antonio di Simone alla vita religiosa delle figlie femmine e al da l’Isola (del Piano) era arrivato a No- sacerdozio dei maschi cadetti. Don Gerola- vilara intorno alla metà del ‘400 e aveva mo Masetti (1530-1610) figlio di Tomasso, acquisito beni a cavallo del confine con uomo di grandi capacità intellettuali, dive- Fano, sul versante sud dell’altura detta Ca- nuto canonico della cattedrale di Pesaro si stelvecchio. Dal figlio di Antonio, Maso o era procurato un ingente patrimonio immo-

Genealogia dei Masetti

117 Studi pesaresi 3.2015 biliare grazie al quale potè intraprendere la territorio pesarese che fanese. La società costruzione di un nuovo mulino. resse per oltre mezzo secolo sebbene esi- Anche la famiglia Raffaelli era molto stessero tra le due famiglie profonde dif- antica e aveva una discendenza pressoché ferenze. I Raffaelli erano molto legati alla sterminata. Il cognome era di origine patro- terra, amavano risiedere in una grande casa nimica derivando da un tale mastro Raffa- di campagna 12 con più nuclei familiari, cir- ello (1480-1556) uomo di grande saggezza condati da abbondante servitù secondo le e prolificità, padre di dieci figli, quattro usanze della piccola borghesia agricola, se- maschi e sei femmine, tutti ben accasati o guendo i ritmi lenti della campagna. indirizzati alla vita religiosa. Il suo nome I Masetti invece erano più attratti dalla completo, risultante dal catasto sforzesco città in cui era possibile perseguire affari del 1506, era magister Baptistae più lucrosi in vista di un’ascesa nella sca- quondam Petri Ser Michaelis e numerose la sociale e dell’ingresso nella nobiltà cit- carte d’archivio indicano che discendeva tadina. Infatti, come riportato dal Bertozzi, che da Ser Michele Mattioli, antico notaio Domenico e don Tommaso nipoti di Gio. novilarese. Una figlia di mastro Raffaello, Maria nel 1662 ottennero la cittadinanza Margherita, era stata concessa in sposa a fanese, si costruirono una casa signorile a Tomasso Masetti per cui era madre di don Fano (tuttora esistente in via Montevecchio, Gerolamo. 104) e acquisirono il diritto di fregiarsi del La gestione dell’impianto fu affida- blasone nobiliare 13 (fig. 2). ta al caporal Raffaello in società con Gio. Maria Masetti, entrambi nipoti di don Una ragione per spiegare la stabilità e il Gerolamo,proprietari di molti terreni sia in progressivo incremento patrimoniale dei

Genealogia dei Raffaelli

118 Marco Delbianco I mulini di Novilara

Avendo don Domenico ricevuto una quota di beni all’atto dell’ordinazione sacerdota- le come patrimonio ecclesiastico il mulino fu attribuito pro indiviso a Gio. Batta e Mi- chele, in ragione di 3/8 ciascuno come do- cumentato nel catasto di Novilara del 1690 14. Non abbiamo immagini o descrizioni Figura 2 – Arma dei Masetti. dettagliate del mulino nel ‘600 tuttavia un documento del 1692 riguardante una con- Masetti e più in generale di molte famiglie troversia tra i proprietari del mulino Torre nobiliari del XVII sec. è il frequente ricorso di e la Camera Apostolica ri- all’istituto del fedecommesso (o maggio- porta: «Li Massetti e Raffaelli di Novilara rascato) nelle disposizioni testamentarie in alla pendice del fiume dell’Arzilla hanno un virtù del quale il testatore vincolava i beni mulino che prende l’acqua da fossi né gode ereditari dei propri discendenti maschi per niun comodo del fiume e paga di risposta più generazioni, cosicché tali beni diventa- stara quattro l’anno» 15. Ora osservando la vano inalienabili e non potevano uscire dal- prima planimetria disponibile che è quella la famiglia. Il primo dei Masetti a ricorrere del Catasto pontificio si può notare che in al fedecommesso fu Gio. Maria che alla sua effetti il mulino era costituito da due cor- morte, avvenuta nel 1637, lasciò il mulino pi di fabbrica distinti di cui quello più a ed altri beni al figlio primogenito Tommaso. nord prendeva l’acqua dal fosso di Cerreto Questi a sua volta, non avendo figli, nomi- e di Novilara (Fonte Nuova) mentre quel- nò eredi i nipoti Domenico e don Tommaso lo più a sud dall’Arzilla. Si può ipotizzare con una particolare clausola testamentaria quindi che in antico esistesse solo la parte in cui precisava: «Et perché desidera, vuole nord, che solo successivamente fu aggiunta et intende che la sua parte et porzione del la parte sud con presa d’acqua dall’Arzilla mulino da grano posto nella corte di Novi- e che alla fine dell’800 i due corpi furono lara in comune et pro indiviso con altri […] uniti in un solo fabbricato così come risulta restino e si conservino in perpetuo nella sua nella planimetria definitiva16 (figg. 3 e 4). casa di Massetti o Maggiotti […] nominò Sebbene proprietari di ¾ del mulino e et instituì sopra detti beni vulgarmente et di una grande quantità di terreni i Raffaelli, pupillarmente e per fidecommisso i discen- forse per la scarsa attitudine agli affari, non denti maschi di legittimo matrimonio pro- ebbero grande fortuna e anzi si indebitaro- venienti». no progressivamente tanto che Gerolamo, Di tutt’altro tenore il testamento del ca- figlio di Gio. Batta, fu costretto a chiedere a poral Raffaello, molto succinto e con po- don Tommaso e Domenico, figli di Andrea chissimi legati sebbene possedesse beni di Masetti, un prestito di 1300 scudi che non importo non inferiore a quelli dei Masetti. riuscì mai a restituire 17. Non avendo poi Non vi è alcun cenno al mulino o a vincoli Gerolamo figli maschi non ebbe altra scel- di fedecommesso ma si dispone che tutto il ta che dare in sposa la sua unica figlia ad patrimonio venga diviso in parti uguali tra i Andrea Masetti, consegnando quindi tutto il figli don Domenico, Gio. Batta e Michele. patrimonio al casato dei consuoceri. Anche

119 Studi pesaresi 3.2015

Figure 3 e 4 – Estratti di mappa del Catasto pontificio, 1826 e 1890. i figli di Michele Raffaelli non seppero far «perché la mente umana è variabile et am- fruttare la loro parte di capitale ma, indebi- bulatoria sino alla morte e per li vari suc- tatisi come i cugini, vendettero nel 1728 la cessi conviene mutare parere». Sappiamo loro quota di mulino per il prezzo (decisa- dal Bertozzi che Maria, dopo la morte del mente sottovalutato) di 281 scudi a Maria marito avvenuta nel 1727, viveva per buona Raffaelli cosicché i Masetti entrarono in parte dell’anno nella villa di Novilara con possesso di tutto il mulino 18. A questo pun- il cognato Tommaso, celibe, e i tre figli don to assistiamo ad un piccolo giallo nella suc- Gio. Batta, Antonio e Camilla, per cui è cessione ereditaria: Maria Raffaelli, entrata più verosimile che abbia preso la decisione in possesso di tutti i beni del padre e del de- dietro loro sollecitazione. Ma a differenza funto marito, compreso il 100% del mulino, di Gerolamo, Antonio non si sposò e non decise di cambiare il testamento dettato nel ebbe figli per cui alla sua morte, nel 1756, 1718, diseredando il figlio Gerolamo e no- lasciò la sua parte di beni ad Andrea figlio minando eredi universali soltanto don Gio. di Gerolamo 20. Una parte molto consisten- Batta, Antonio e Camilla. Nel testamento, te di beni provenienti dall’eredità Raffaelli, scritto nel 1731, viene ripetuto per due volte compresa la casa natìa di via Casale, rimase «che il signor Gerolamo debba prendere e in possesso di Camilla che visse fin oltre i conseguire la sola legittima nella quantità 90 anni ma non avendo figli testò anch’essa di ragione dovutale» per cui il mulino an- a favore dei Masetti. ziché a Gerolamo venne assegnato ad An- Come tutti i possessori di mulini anche tonio, avendo il primogenito don Gio. Batta i Masetti-Raffaelli erano tenuti a riscuote- ricevuto come patrimonio ecclesiastico la re la famosa gabella sul macinato istituita villa e il fondo di Fagnano 19. da Urbano VIII nel 1630 21. Per far questo Non si sa se il ripensamento sia sta- erano tenuti a dotarsi di un bollettario e ad to dettato da un torto ricevuto da parte di applicare ad ogni sacco di grano o di farina Gerolamo oppure da un capriccio come da una bolletta con su scritte le quantità al fine lei stessa affermato nei codicilli del 1727 di riscuotere la relativa imposta. Ci è perve-

120 Marco Delbianco I mulini di Novilara nuto un atto notarile del 1721 in cui Andrea numerose famiglie risiedettero nel mulino Masetti e Raffaello Raffaelli si impegnano fino al 1860. Nel 1861 assunse la gestione a eseguire tutte queste procedure e a versare dell’impianto Secondo Ciavarini da Mon- l’incasso a Gio. Batta Tebaldi di Trebbian- teguiduccio e l’anno successivo chiamò a tico, subappaltatore della gabella del maci- se anche i fratelli Giuseppe e Fortunato. Il nato del grano per il castello di Novilara 22. 26 dicembre 1862 insieme decisero di ac- Per tutto il ‘700 il mulino restò in mano quistare il mulino con l’intermediazione ai Masetti, divenuti ormai personaggi molto di Giuseppe Mancini geometra di Pesaro. in vista della nobiltà fanese. Come accen- L’atto riporta che i Ciavarini acquistarono nato sopra, si erano costruiti nel fondo di «due molini a grano in vocabolo Maggiotti Fagnano, poco lontano da Novilara un “ca- o Arzilla, situati nel Comune di Novilara, sino di villeggiatura” splendidamente de- lungo il Torrente Arzilla, l’uno di una ma- corato e con un grande scalone di accesso cina e l’altro di due macine, distinti nel vi- in cui, oltre a risiedere per alcuni periodi gente Catasto urbano dai numeri di mappa dell’anno, amavano anche dare feste e rice- 1625 e 1626». Quindi nel 1862 il mulino era vimenti per il meglio della nobiltà fanese e ancora costituito da due corpi distinti come pesarese. Tuttavia, dopo un secolo e mezzo illustrato nella mappa più antica del Catasto di vita agiata tra privilegi nobiliari e lussi pontificio ed era ancora attivo il vallato più cittadini, i discendenti dei marangoni di antico verso Novilara poiché più avanti si Novilara avevano smarrito completamente dice: «si intendono trasferiti ai signori Cia- il proprio carattere solerte e intraprendente varini tutti i diritti goduti dal signor Manci- per cui non seppero adattarsi ai mutamenti ni sull’acqua, che proveniente dal fosso di sociali di fine ‘700. In una società in cui si Novilara detto Borghetto ed avente princi- richiedeva intraprendenza negli affari essi pio nel vallatino, passa sui beni Servici». Il continuarono a sfruttare le proprie le rendite prezzo convenuto fu di 8.512 lire, fraziona- patrimoniali, credendole inesauribili, senza te in otto rate annuali di 1.060 lire, più un investire nel nuovo. Fu così che si carica- canone annuo di 95,76 lire da pagarsi alla rono progressivamente di debiti senza mai contessa Giuditta Cantoni vedova Gaddotti invertire il ciclo negativo. L’inventario dei di Faenza 24. beni compilato nel 1862 alla morte di Lu- Nonostante l’ammontare delle rate i igi, ultimo della famiglia, mostra impieto- Ciavarini non ebbero eccessive difficoltà a samente il disfacimento di un patrimonio pagare, certamente favoriti dal fatto di abi- immobiliare costituitosi in oltre tre secoli di tare nell’opificio e di lavorare in proprio. Lo storia. Le passività assommano a lire italia- dimostra il fatto che giusto otto anni dopo, ne 8.935 superando di ben 341 lire i cespiti nel 1871, sborsarono altre 1.000 lire per ac- attivi 23 (fig. 5). quistare dallo stesso Mancini un pezzo di Il mulino insieme ai fondi circostanti fu terreno contiguo al loro. L’unione dei due uno dei primi beni ad essere venduto, nel corpi del mulino avvenne tra il 1886 e il 1820, verosimilmente per onorare un debito 1890 come illustrato dal Cessato Catasto contratto con Giuseppe De Angelis di Fano. Fabbricati in cui si vede che il mulino a Questi lo affittò ai fratelli Mattioli Vincen- nord (n. mappa 1625) costituito da un solo zo e Sante di Novilara che insieme alle loro vano più la casa di abitazione venne unito a

121 Studi pesaresi 3.2015

si bruciavano legna, stracci o altri materiali 26. Poi fu la volta della turbina azionata ad acqua per produrre energia elettrica e questa a sua volta usata come forza motrice per le macine. I Ciavarini se ne dotarono nel 1920 predisponendo nei pressi del mulino una torretta per l’alloggiamento delle apparec- chiature. Infine l’innovazione che trasformò completamente l’arte molitoria fu l’introdu- zione del mulino a cilindri. I Ciavarini se ne dotarono nel 1950 ma, data la complessità e l’ingombro delle apparecchiature, fu neces- saria un’importante elevazione e amplia- mento dello stabile 27 (fig. 6). L’attività molitoria artigianale cessò ovunque di esistere negli ultimi decenni del Figura 5 – Villa Masetti ai primi del ’900. ’900. Gli ultimi mugnai in vita, tra cui Er- cole Ciavarini, sono preziose fonti di cono- scenza di un’arte ormai consegnata definiti- vamente alla storia.

Mulini da olio

Sebbene meno complessi come mec- canica di impianto e meno rilevanti come attività produttiva, anche i mulini da olio rappresentavano un’importante risorsa eco- nomica per il paese, gestita da famiglie fa- Figura 6 – Mulino Ciavarini oggi. coltose e sotto il controllo signorile. A diffe- renza dei mulini da grano localizzati lungo i corsi d’acqua, quelli da olio erano per lo quello sud (n. mappa 1626) per formare un più localizzati nel centro abitato ed erano unico mulino di cinque vani e una casa di azionati da forza motrice animale, cavalli o dodici vani 25. asini. Con l’avvento del XX secolo si affaccia- È sorprendente rilevare dai dati del ca- rono nuove tecnologie a sostituire il mille- tasto sforzesco come tra il castello e la villa nario uso della forza motrice dell’acqua e di Novilara fossero presenti contemporane- delle macine in pietra. La prima innovazio- amente nel corso del XVI sec. ben quatto ne fu l’introduzione nel 1906 del motore a mulini gestiti da famiglie autoctone. Questo gas povero, ossia alimentato con gas pro- fa pensare da una parte che la produzione di dotto in casa mediante un gasogeno in cui olive avesse raggiunto livelli superiori agli

122 Marco Delbianco I mulini di Novilara attuali e dall’altra che gli impianti di spre- occupare le prime sei carte del catasto stes- mitura non fossero granché efficienti. so. È possibile che molti beni li possedes- È interessante notare anche come il mu- sero già dall’epoca dei Malatesti e all’arri- lino non avesse solo una funzione stretta- vo degli Sforza abbiano giurato fedeltà ai mente operativa ma rappresentasse anche nuovi dominatori in cambio dell’esenzione un punto di incontro dove si concludeva- di metà del dazio sulla molitura. Visto che no affari e si redigevano atti notarili, basti la supplica del 1481 inoltrata da ser Matteo ricordare due atti regestati dall’Olivieri: Ricci, figlio di Antonio Ceccolini (Ricci) 1468, Actum in molendino Ciccolini et fra- era andata a buon fine, nel 1486 decisero trum in burgo Nubilarie e 1485, Actum in di chiedere anche il trasferimento dell’esti- burgo castri Nubilarie comitatus Pisauri mo alla città di Pesaro per essere esentati ante domum molendini ab oleo Tome Do- dall’imposizione per le spese del castello. minici Cerne de dicto castro sitam in burgo La risposta di Camilla fu ancora positiva, ipsius castri iuxta stratas a duobus , domum ma viste le vibrate proteste dei massari la heredis Franciancie et alia 28. magnifica signora aggiunse la postilla non liberando supplicante a fortificatione castri nostri Nubilarie, ossia permise di trasferi- Mulino Mascarucci re l’estimo ma non li esentò dagli oneri del castello 30. Il più antico mulino da olio di Novilara Dall’atto di divisione stipulato l’anno è il mulino Ceccolini, risalente alla seconda successivo tra gli eredi di Antonio Ceccoli- metà del ‘400, conosciuto nella prima metà ni apprendiamo che i mulini erano in realtà del ‘900 come mulino Mascarucci dal nome due, affiancati tra loro, di cui uno apparte- dell’ultimo proprietario e oggi completa- nente a Giacomo figlio di Antonio e l’altro mente smantellato. Oltre al rogito citato so- per metà a Gaspare Ceccolini e l’altra metà pra, abbiamo notizie di questo mulino nel a Giuliano e Cristoforo Ceccolini. Più che 1481 perché i fratelli Antonio e Giacomo un atto legale la divisione sembra una de- Ceccolini beneficiari di una speciale esen- cisione collegiale degli anziani della comu- zione fiscale sul dazio, avendo smarrito la nità, riuniti davanti al mulino sotto la por- copia del rescritto ducale furono denunciati ta del castello alla presenza del notaio ser dall’esattore Antonio dal Panno al Vicario Matteo Ricci, zio degli interessati, che stilò delle Gabelle e condannati a pagare tutti i l’atto in una casetta davanti alla porta del dazi non pagati negli ultimi trent’anni. castello 31. Allora i Ceccolini rivolsero una supplica La fortuna dei Ceccolini non durò a lun- a Camilla d’Aragona, moglie di Costanzo go poiché all’arrivo del Valentino, nel 1500, Sforza rivendicando la loro «antiqua fede si trovarono forse non del tutto spontane- in verso de Vostra Illustrissima Signoria el amente a parteggiare per il nuovo signore longo tempo de havere goduto dicta fran- di Pesaro. Notiamo infatti che nel Consiglio chitie» 29. Dal catasto 1506 sappiamo che del 1501 Giacomo è capo dei massari e il erano un clan familiare molto in vista nel figlio ser Francesco vicario del capitano del castello, tanto da essere registrati per primi castello 32. Questa scelta di campo incrinò e possedevano una quantità di beni tale da irrimediabilmente il rapporto con gli Sfor-

123 Studi pesaresi 3.2015 za cosicché, passata la bufera valentinia- dal momento che l’importo dell’imposizio- na, Giacomo si vedrà costretto a vendere il ne era tale che solo con la vendita dei mulini mulino a Ludovico di Giacomo Agostini, al si sarebbe potuta pagare. Così gli Agostini modico prezzo di 90 fiorini33 . persero tutti i mulini e a beneficiarne furo- Il nuovo acquirente apparteneva ad una no i Pianosi, una famiglia originaria di Pisa famiglia che da oltre mezzo secolo si era a cui Guidobaldo aveva affidato la gestio- affermata nel settore dei mulini e ne aveva ne della zecca ducale. Dalle carte catastali assunto il monopolio tanto da essere citato di Sebastiano Pianosi, alter ego del duca, in alcuni documenti come Ludovico alias si nota come la politica di acquisizione dei dicto del molino. Oltre ai mulini di porta mulini fosse iniziata fin dall’inizio della Curina possedeva anche i mulini da olio signoria di Guidobaldo, iniziando da quel- di Mombaroccio, Monteciccardo e Cande- li più periferici di Monteciccardo e Monte lara e si era arricchito così tanto con l’arte Santa Maria per arrivare, con il decreto del molitoria da assicurarsi un posto nel consi- 1560, ai mulini della città 35 (fig. 7). glio di Credenza e nella nobiltà cittadina 34. Il mulino di Novilara passò da France- Nell’ambito della controversia tra Comune sco, figlio di Ludovico Agostini ad Anniba- e Signoria riguardo ai diritti sui mulini era le Pianosi, fratello di Sebastiano Pianosi nel riuscito a mantenere una saggia equidistan- 1560, verosimilmente per intermediazione za, molto proficua per i suoi affari. di ser Cristoforo Vezi e lo troviamo regi- Le fortune della famiglia cessarono con i strato tra le prime partite del suo estimo: successori di Ludovico, tra il 1560 e il 1562, «Item ha nella corte di Novilara et fondo non per colpa loro ma per volontà di Gui- del Borgo apresso la via da doi lati, li beni dobaldo II che, per sopperire ad impellenti de mastro Aniballe barbiero et li beni del necessità finanziarie, decise di richiedere ai capitan Piero Bonaventura da Urbino un proprietari dei mulini i canoni per l’uso del- mollino da l’olio estimato lire 0-0-0» 36. le acque pubbliche non corrisposti da oltre Tuttavia non restò a lungo in mano ai Pia- 150 anni. Ciò equivaleva ad un esproprio nosi poiché, dopo la morte di Annibale, nel

Figura 7 – Vista di Novilara da sud (1914). Sotto la porta sulla destra il mulino Mascarucci (Archivio Stroppa-Nobili).

124 Marco Delbianco I mulini di Novilara

1579 la moglie Cornelia lo cedette a Severo corte del castello di Novilara con tutti gli Mangili tesoriere di Francesco Maria II per ordinamenti e finimenti spettanti all’eserci- 40 scudi, cifra irrisoria, forse per compenso tio di detto mulino e con tutte le pertinenze dotale dal momento che Severo aveva spo- sue insieme con una casetta e vigna vicino sato Ottavia, nipote di Annibale 37. al detto mulino posto appresso li beni del- La famiglia Mangili era una ricca fami- la Communità di detto castello, i beni degli glia di mercanti provenienti da Bergamo heredi del quondam messer Antonio Gen- che aveva realizzato grandi fortune a Pesa- ga, la strada ed altri lati… del valore di 500 ro ed era riuscita a entrare negli ambienti di scudi» 38. L’ingente patrimonio immobilia- corte. Il passaggio del mulino avvenne più re, valutato ben 18.750 scudi e acquistato in o meno negli stessi anni in cui la tesoreria società da due facoltosi pesaresi, Francesco ducale passò dai Pianosi a Severo Mangi- Maria di Antonio Tomasi e Traiano Mainar- li. Anche costui non possedette a lungo il di portò valuta preziosa nelle asfittiche cas- mulino perché, scopertosi nel 1604 un am- se del duca 39 e fu certamente vantaggioso manco nelle finanze del duca, si dette alla per il Tomasi. Infatti il nuovo status sociale fuga e morì lontano da Pesaro. Nel 1608 gli permise di imparentarsi con i Santinelli Francesco Maria II, dopo aver imprigiona- dando in sposa la nipote Orsola ad Alfonso to Gio. Antonio Mangili, figlio di Severo, senior. Il mulino di Novilara fu inserito tra i dette ordine al suo maggiordomo Ranuccio beni dotali della contessa Orsola e nel 1648 Santinelli di vendere tutti i beni del Man- pervenne ad Alfonso Santinelli iunior per gili tra cui «Un mulino da olio posto nella successione ereditaria.

Genealogia degli Stefani

125 Studi pesaresi 3.2015

sprimento fiscale, i bilanci si erano talmente ridotti da risultare conveniente l’alienazio- ne (fig. 8). La famiglia Stefani era arrivata a Novi- lara nel 1583 da Ginestreto ed aveva fatto fortuna con la macelleria. Avendo buone disponibilità di contante i fratelli Giovan- ni e Stefano, figli di Gerolamo avevano acquistato alcune case nel castello e fondi nel contado. Oltre ad essere commercianti erano persone molto religiose: Gio: Batta si era fatto frate nel convento dei gerolamini Figura 8 – Edificio ricavato dall’antico mulino di Novilara e ne era diventato priore, e mol- Mascarucci. ti altri della famiglia avevano abbracciato la vita religiosa. Dopo la morte del conte Alfonso iunior, Giovanni, insieme a Tommaso Masetti e avvenuta nel 1662, la vedova Minerva Fer- Gerolamo del Papa, aveva fondato nel 1627 retti, nonostante avesse due figli di 15 e 11 la confraternita di San Giuseppe a ridosso anni, chiese la restituzione delle sue doti per della propria abitazione e del convento dei poter convolare a nuove nozze con il conte gerolamini. Dai gerolamini e dai loro idea- Ludovico Montani. Si trattava di una cifra li di povertà e rinuncia alle cose mondane enorme, pari a 9.200 scudi, per cui il giudi- avevano tratto ispirazione anche per un’e- ce nominato a tutela dei minori non avendo tica familiare sobria ed essenziale. Signifi- la famiglia sufficiente liquidità assegnò alla cativi, a questo proposito, sono i testamenti contessa varie proprietà40. Tra queste vi fu di Gerolamo (1625) e di Stefano (1649) in il mulino che venne venduto dalla contes- cui è espressamente dichiarato il rifiuto del sa pochi mesi dopo alla famiglia Stefani di fedecommesso ritenuto causa di diseguale Novilara. distribuzione dei beni familiari e origine di La decisione dei Santinelli di vendere ingiustificati accumuli di ricchezza nelle un bene patrimoniale di rilievo ad una fa- mani di poche persone 41. miglia borghese segue indubbiamente un Mentre Stefano seguì le orme del padre, percorso inverso rispetto a quello subito dai macellaio, Agostino decise di cambiare me- mulini nel secolo precedente, quando erano stiere e verso la metà del ‘600 prese in affit- passati dai piccoli borghesi dei castelli ai to il mulino degli eredi Buratelli, all’interno nobili dell’entourage del principe. Ma con del castello, insieme con Terenzio Fattori la devoluzione del ducato alla Chiesa i fidu- suo parente. I due personaggi, l’uno capi- ciari del duca si trovarono allo scoperto e tano del castello e l’altro massaro, seppero alle prese da una parte con una legislazione cogliere egregiamente il momento di crisi farraginosa e contraddittoria e dall’altro con dei mulini, gestiti stancamente dai notabi- affittuari sempre più pretenziosi. Mentre nel li cittadini, e misero a frutto la loro intra- secolo precedente il mulino garantiva un prendenza e il loro prestigio. In particolare certo reddito ora, anche a causa dell’ina- lo Stefani seppe muoversi talmente bene da

126 Marco Delbianco I mulini di Novilara essere in grado in pochi anni di acquistare il stituire, insieme ad altri beni, i patrimonio mulino Santinelli. sacro a don Pietro Carlo 46. Sfortunatamente Nell’atto stipulato il 23 dicembre 1664 si il sacerdote morì a soli 42 anni, ma il pa- legge che la contessa Minerva Ferretti, ve- trimonio ritornò in seno alla famiglia e, dal dova Santinelli, a nome e per conto dei figli momento che né Gio. Francesco né Agosti- Pierantonio e Clemente ancora minorenni, no ebbero figli, si concentrò tutto nelle mani vendette ad Agostino, Paolo e don Domeni- di Giuseppe. La cattiva sorte a questo punto co Stefani un mulino da olio «di sotto alla si accanì contro gli Stefani poiché entram- porta» del castello. Questa indicazione ci bi i figli maschi di Giuseppe morirono nel permette di identificare con certezza l’edifi- giro di pochi anni, Carl’Antonio nel 1751 a cio, ancora oggi esistente, sebbene adattato 21 anni e Gerolamo nel 1753 a 30 anni. Il a civile abitazione. Dei mille scudi pattuiti patrimonio venne così diviso tra le sorelle Agostino, a nome anche dei fratelli, ne pagò Diambra, Caterina e Margherita. 500 in contanti, si accollò un censo passivo Il mulino toccò a Margherita sposata con del conte Alfonso con Giulia Gozze per altri l’abate Vincenzo Zacconi figlio di Ubaldo 450 e promise di pagare i restanti 50 scudi che ovviamente non era prete ma abate se- entro un anno 42. L’esborso seppur rilevan- colare, titolare di benefici ecclesiastici tra- te non causò particolari problemi agli Ste- mandati dai suoi antenati monsignori e ve- fani, ormai all’apice della propria potenza scovi 47. Dalle disposizioni testamentarie di economica grazie non solo alle capacità di Margherita, vissuta tre anni più del marito, Agostino ma anche a don Domenico, cap- possiamo immaginare tra quali lussi nobi- pellano della ricca confraternita del Sacra- liari vivesse: «lascio oltre al filo di perle mento. Infatti continuarono ad acquistare già consegnato… a Marianna una delle mie case e terreni anche negli anni successivi figlie, la mia rosetta di diamanti… Item la- all’acquisto del mulino 43. Il momento di scio alle altre due Laura e Serafina la mia maggior fortuna degli Stefani lo troviamo croce di diamanti compreso il filo di perle rappresentato nel catasto del 1690, in cui consegnato a ciascheduna di esse io mede- l’estimo degli eredi di Agostino è unito a sima vivente». Per «tutta l’assistenza rice- quello di don Domenico e comprende i 2/3 vuta» il figlio Gerolamo, dottore in legge del mulino mentre l’altro terzo è possedu- e vice-governatore, venne premiato con la to da Stefano figlio di Paolo 44. Da questo metà dei suoi beni mentre l’altra metà ven- momento in poi gli affari iniziarono a dimi- ne divisa tra gli altri quattro figli48 . nuire, Stefano si indebitò al punto da dover Il mulino insieme ad altri beni nei din- vendere, nel 1699, il suo terzo di mulino ai torni di Novilara fu compreso nella parte di cugini Gerolamo e Stefano e anche questi Gerolamo ma pochi anni dopo, nel 1806, ultimi furono costretti a stabilire un censo passò a Fratacci e nel 1813 a Gennari fin- passivo sul mulino di 12 scudi annui a fa- ché nel 1825 fu acquistato dalla baronessa vore di Giampietro Brigi in cambio di una Vittoria Pergami, moglie del conte Gaetano somma di 275 scudi 45. Tuttavia non perse- Belluzzi, patrizio sammarinese. Nel Cessa- ro di vista l’importanza per la famiglia di to Catasto Fabbricati il mulino è registrato avere un nuovo prete, per cui utilizzarono il a nome di Gaetano Belluzzi di Francesco, terzo del mulino ricevuto da Stefano per co- usufruttuario, e Vittoria Pergami fu Bar-

127 Studi pesaresi 3.2015 tolomeo coniuge, in via Borgo 4, piani 2, gia 51. Mascarucci con il mulino non ebbe vani 12, con annesse tre unità abitative cor- grande successo forse perché non valutò rispondenti al n. civico 2, 6, 8 49. Lo stato l’importanza di investire in nuove tecnolo- d’anime parrocchiale ci dimostra che le tre gie che andavano modificando radicalmen- unità abitative furono costantemente abitate te l’arte molitoria, come i motori elettrici, nel corso dell’800. La baronessa morì nel le presse idrauliche, ect. Così con la sua 1892 non senza aver fatto testamento a fa- scomparsa nel 1936 cessò anche l’attività vore delle figlie Giuseppina e Livia mentre del mulino e l’antico edificio fu trasformato l’unico figlio maschio, Carlo Emilio (che in elegante casa di abitazione. per la verità non amava tanto), era morto qualche anno prima di lei. Per sua sfortu- na le figlie, entrambe sposate, non ebbero Mulino Vichi eredi per cui tutti i suoi beni andarono alla vedova e alle figlie di Carlo Emilio. Que- La fondazione del mulino Vichi, l’unico ste signore, contessa Maria Guglielmina in ancora in funzione, è documentata nel cata- Baldi e marchesa Carlotta Amalia in Marsili sto sforzesco di Novilara ed è databile intor- Rossi, si erano trasferite a Bologna e poco no al 1553: Cristoforus Mancini habet… in o nulla sapevano della gestione dei beni di castro Nubilarie una cum m.ro Raphaelle ser campagna affidata a fattori ed affittuari. Nel Michaellis unam domum Sebastiani Flore, frattempo il mulino dagli iniziali 12 vani era unam ipotecam Francisci Dominici Tonsi, stato ridimensionato a 4 e dai restanti 8 vani unam domum Mathei Joannis Matioli, unam era stata ricavata una casa da affittare. Poi- domum Ritii Calvisii de Nubilaria, unam do- ché le rendite andavano progressivamente mum ser Thomasini de Leporibus de Pisauro diminuendo gli eredi decisero, nel 1908, di iuxta viam a duobus et bona Turris Comunis vendere il mulino ad Adelelmo Mascarucci, et Sebastiani Matioli in quibus fecit molendi- un facoltoso possidente di Carignano che da num ab oleo extimatum libris 0.0.0 52. Il rife- circa trent’anni si era trasferito a Novilara. rimento nella laterazione alla torre comunale A soli 25 anni, nel 1877, il Mascaruc- tuttora esistente rende certa ed inequivocabi- ci aveva acquistato una casa nel castello le l’identificazione del mulino. poco lontano dal convento dei Gerolamini e Il costruttore, don Cristoforo Mancini, aveva preso in moglie Adele Bonaparte, di- era una figura singolare di notaio prete, scendente di una delle più antiche famiglie notarius et clericus pisaurensis come lui di Novilara. Era così versato negli affari che stesso amava definirsi. La presenza di un nel corso dei successivi dieci anni guadagnò parroco notaio non era del tutto nuova a No- una somma tale da poter partecipare all’asta vilara; c’era stato già nel secolo precedente del fondo Castelvecchio dei Masetti con il l’arciprete-notaio don Giovanni Antonioli, coetaneo Ercole Vichi 50. Né l’uno né l’altro ma risiedeva ed esercitava in città e tene- la spuntarono ma con il denaro risparmiato va la parrocchia come beneficio affidandola entrambi acquistarono un mulino, in più il ai cappellani 53. Don Cristoforo invece fu il Mascarucci si aggiudicò nel 1918 anche la primo parroco a risiedere a Novilara ancor prestigiosa villa Stramigioli-Ciacchi, che prima che fossero emanate le disposizioni intestò direttamente ai figli Agostino e Ar- del concilio di Trento; per questo e per la

128 Marco Delbianco I mulini di Novilara grande stima che godeva presso i parroc- la Repubblica di Venezia. Poiché godeva chiani fu elogiato dal visitatore apostolico della fiducia di Guidobaldo II è verosimi- mons. Ragazzoni nella relazione sulla dio- le che l’acquisto del mulino rientrasse nel cesi di Pesaro 54. disegno del principe di controllare i mulini. La famiglia Mancini era presente a No- Alla morte di Leonardo, nel 1592, il mulino vilara fin dagli inizi del ‘400 e prendeva passò al figlio Francesco ma questi, forse nome da un certo Giovanni di Cristoforo per pagare i debiti contratti dal figlio Ales- alias del Mancino. Il padre di don Cristo- sandro, fu costretto a venderlo nel 1603 a foro, già benestante, aveva incrementato mastro Sante di Guido da Mombaroccio, re- ulteriormente il proprio patrimonio sposan- sidente a Novilara, per 560 fiorini58 (fig. 9). do Lucia di Battista Ser Michelis, sorella di Il mulino restò in possesso di mastro mastro Raffaello (vedi mulino Maggiotti) Sante fino al 24 aprile 1621 quando il duca per cui aveva potuto avviare senza problemi Francesco Maria II, appena un mese prima il figlio agli studi notarili ed ecclesiastici. di lasciare il ducato al figlio, riabilitò Ales- Don Cristoforo iniziò la professione nota- sandro bandito da Pesaro vent’anni prima 59. rile proprio a Novilara, passando di casa in Così Alessandro rientrò in possesso di tutti casa e portandosi dietro i libri delle scrittu- i suoi beni e godette la rendita del mulino re che per questo motivo appaiono usurati fino al 1634, data della sua morte dopo di ai bordi e con varie macchie di inchiostro, che passò al fratello capitan Leonardo fino al unto e acqua 55. In caso fosse chiamato da 1636, poi al nipote Alessandro 60. Alessandro un parrocchiano malato poteva esercitare Angeli iunior nel 1661 vendette al colonnel- entrambe le funzioni, raccogliere le volontà lo Gerolamo Arduini il mulino da olio nel testamentarie e impartire l’estrema unzione. castello e una possessione di circa un ettaro Rogitava spesso in parrocchia in domo san- nella Villa del Sasso, al prezzo di 1500 scudi cti Michaelis de eodem connexa cum dicta ducali su cui il colonnello costruì quella che ecclesia e a volte anche nel mulino dall’o- sarà poi la famosa villa Olivieri 61. Non aven- lio: actum in molendino ab oleo mei nota- do il colonnello Arduini eredi, il suo estimo ri”56. Non potendo occuparsene di persona don Cristoforo affidò la conduzione del mulino al fratello Agostino, tuttavia nono- stante la buona redditività dopo una decina d’anni decisero di venderlo. Ad acquistarlo, nel 1566, furono due facoltosi signori di Pe- saro, Leonardo di Leonardo Angeli e Gero- lamo di mastro Antonio Sabbatini, al prezzo di 250 fiorini ciascuno. Appena dieci mesi dopo, nel luglio 1567, forse il tempo neces- sario per reperire il denaro, Leonardo An- geli acquistò anche la metà del Sabbatini 57. La famiglia Angeli era arrivata a Pesaro nel 1453 in seguito alla caduta di Costan- Figura 9 – Antica dimora dei Fattori poi tinopoli dopo aver servito per molti anni villa Stramigioli-Ciacchi, oggi villa Mascarucci.

129 Studi pesaresi 3.2015 dopo varie intermediazioni passò a Pompeo sco Maria aveva ben appreso il mestiere dal Mazza il quale nel 1689 vendette il mulino padre e quando gli si presentò l’occasione a don Tommaso Fattori di Novilara 62. Pos- opportuna approfittò per acquisire il muli- siamo vedere in questo passaggio lo stesso no. È molto probabile che sia stato lui anzi- fenomeno osservato a proposito del mulino ché il figlio don Tommaso, appena trenten- Mascarucci tornato in possesso di una fami- ne, a trattare l’acquisto del mulino nel 1689 glia di borghesi del castello dopo secoli di e a pagarne il relativo importo, preferendo proprietà nobiliare. poi intestarlo al figlio sacerdote perché, fi- I Fattori abitavano a Novilara dal ’400 gurando come patrimonio ecclesiastico, sa- ed erano diretti discendenti di quel Matheus rebbe stato esente dalle imposte. Purtroppo quondam Dominici Jacobi alias dicto del don Tommaso morì dopo pochi anni per cui Factore registrato nel catasto sforzesco. Già nel 1708 il mulino fu riportato nell’estimo benestanti dall’inizio del ‘500, si erano ul- del padre 64. Negli anni successivi scompar- teriormente arricchiti nel secolo successivo vero anche Francesco Maria e l’altro suo grazie al matrimonio di Antonio con Santa di figlio Domenico, per cui il mulino passò Nicola Mazza e avevano acquisito gran parte a Francesco Maria iunior che lo tenne fin dei fondi a nord-ovest del castello. Oltre alla verso la fine del ‘700. Passò quindi al figlio casa padronale in zona Leccia si erano costru- Giuseppe fino al 1824, quando venne ven- iti una dimora signorile in località Casaletto duto insieme alla casa di villeggiatura a una o fonte Castagna, sulla strada per Candelara, società di cui facevano parte Antonio Ric- dove risiederanno ininterrottamente fino al ci fu Andrea, Antonio Stramigioli fu Tom- 1824 63. Il loro benessere più che sulle rendite maso, Alessandro D’Ancona fu Abramo, fondiarie era fondato su valide capacità arti- Moisè Gentilomo fu David Abram, tutti di gianali e su un’infaticabile laboriosità. Pesaro 65 (fig. 10). Nel 1658 Terenzio Fattori, figlio di An- Negli anni successivi il conte Strami- tonio, aveva preso in affitto con Agostino gioli concentrò i suoi interessi sulla villa Stefani suo parente il mulino degli eredi del acquisendone l’intera proprietà e lasciò il cavalier Vincenzo Buratelli e l’aveva tenuto mulino a vari acquirenti. Sembra che per anche dopo l’uscita dello Stefani. France- alcuni anni il mulino sia rimasto inattivo e sia passato per diverse aste pubbliche. A riprova vi sarebbe la descrizione riporta- ta nel Cessato Catasto Fabbricati del 1876 come “casa civile” di due piani e 16 vani, contraddistinto coi n. di mappa 478-479- 480-481, in piazzale Sacramento 1 66. In realtà fu venduto come mulino all’asta nel 1868 a Giuseppina Pucci in Giminiani, poi ancora all’asta nel 1872 a Angelo Mancini fu Giuseppe. Questi nel 1879 rivendette a Gennari Raffaele, Raffaele Della Costanza, Giuseppe Sili «un fabbricato a uso mulino Figura 10 – Scorcio del mulino Vichi. da olio composto di cinque vaste camere

130 Marco Delbianco I mulini di Novilara

Genealogia dei Fattori

al piano terreno contenenti tutti gli attrezzi I Vichi erano arrivati a Novilara nella necessari per la macinazione delle olive più seconda metà del ‘700 ed è curioso notare otto camere al piano superiore. In mezzo a come nello stato d’anime siano registrati detto fabbricato esiste il campanile comu- come Vichi mentre nel catasto del 1690, nale» al prezzo di lire 2.750 67. Anche questi 1778 e 1809 come Bastianoni alias Vichi, a acquirenti si trovarono in grande difficoltà riprova della variabilità dell’onomastica nei nel pagare il debito per cui, dopo aver fat- secoli passati 68. La compravendita del mu- to vari tentativi di sottoscrivere cambiali e lino fu perfezionata nel 1894 e nell’atto si costituire ipoteche, rivendettero il mulino legge che Gennari Raffaele vendette a Vichi a un signore molto solido dal punto di vi- Ercole «un fabbricato ad uso mulino da olio sta finanziario: Ercole Vichi. Questi dopo ed in parte anche ad uso d’affitto compo- la morte del padre, aveva preso in mano le sto di piani due e vani tredici con cisterna e redini della famiglia e aveva concluso affari grotta… al prezzo di lire italiane 3000 qua- molto vantaggiosi vincendo aste pubbliche. li il signor Gennari dichiara e liberamente Possedeva varie case nel castello e abitava confessa di aver intieramente ricevute pri- proprio di fronte al mulino, in una casa poi ma di questa stipulazione» 69. Ercole quindi distrutta per eventi bellici. non ebbe difficoltà a pagare e, a riprova del-

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di sindaco del castello di Novilara fino al 1467 71 (fig. 11). Il mulino era situato all’interno del ca- stello, annesso ad una grande casa, infatti nelle registrazioni catastali si parla di domus cum molendino ab oleo. Nel 1510 il mulino insieme alla casa venne frazionato e venduto a diversi acquirenti. Un quarto fu acquistato da Antonio Bretta, possidente novilarese il quale lo rivendette pochi anni dopo a Ce- sare Alberti e a ser Francesco Clementi 72. Un altro quarto fu acquistato da Ludovico Figura 11 – Antica casa dei Buratelli Agostini, lo stesso che alcuni anni prima cui era annesso il mulino. aveva acquistato dai Ceccolini il mulino sotto la porta del castello, sperando forse di le ottime condizioni finanziarie, risulta che acquistare il resto in un secondo tempo 73. appena quattro anni dopo acquistò anche un Ma le cose andarono diversamente poiché altro fondo. nel 1526 se lo aggiudicò per intero il suo La gestione diretta del mulino da parte concorrente Gerolamo dal Panno, nipote di della famiglia Vichi fu subito redditizia e quell’Antonio esattore del dazio che alcuni lo fu ancor di più dopo le innovazioni in- decenni prima aveva preso di mira i Cec- trodotte nel ‘900 quali i motori elettrici e colini 74. Anche Gerolamo dal Panno come le presse idrauliche. Fino al giorno d’oggi l’Agostini si era arricchito con i mulini e gode di grande prestigio e per le sue eccel- si era conquistato un posto nel consiglio di lenti capacità tecniche è un punto di riferi- Credenza. Tuttavia non riuscì a sottrarsi agli mento per tutto il territorio. espropri di Guidobaldo, per cui il mulino nel 1540 passò a Vincenzo di Giovanni Buratel- li, uomo di fiducia del duca 75. I Buratelli Mulino Buratelli erano una famiglia di mercanti di pellami tra i più attivi di Pesaro a cui spesso Guidobal- Molto antico è anche il mulino Buratelli, do ricorreva per esigenze finanziarie e poi ben documentato archivisticamente sebbe- ricompensava con favori e cariche. Vent’an- ne abbia cessato la sua attività nella secon- ni più tardi, nel catasto del 1560, ritroviamo da metà del ‘700. I primi proprietari noti il mulino nell’estimo del cavalier Vincenzo furono i fratelli Niccolò, Paganello, Pietro e Giovanpaolo del cav. Gerolamo Buratel- e Ottaviano Paganelli nipoti di ser Nicolò li poi nel 1584 assegnato per divisione tra Paganelli, notaio originario di Ostra (Mon- fratelli a Giovanpaolo con l’aggiunta di sei tebodio) e attivo a Novilara dopo il 1440 70. pertiche (circa 150 mq) di orto 76. Con i proventi della sua professione aveva Con l’avvento dello Stato pontificio cam- acquistato case nel castello e terreni in fon- biò la gestione dei mulini: mentre prima era- do Fagnano poi nel 1463 si era trasferito no i duchi attraverso i loro emissari a con- a Pesaro continuando a ricoprire la carica trollare l’attività dei mulini, nominalmente

132 Marco Delbianco I mulini di Novilara intestati a fiduciari della famiglia ducale, ora di cui era rimasto affittuario Francesco Ma- il controllo ricadeva sulla municipalità im- ria Fattori e il nipote Santino i quali, secon- brigliata in un intricato rapporto giuridico e do quanto da loro dichiarato, dopo il 1670 fiscale con il potere pontificio. I proprietari macinavano appena 15–20 giorni all’anno e cittadini cresciuti all’ombra dei duchi perse- pagavano di affitto soltanto una soma d’o- ro autorità ed emersero gli affittuari. lio. Marcantonio Buratelli a questo punto Per rimediare all’incertezza delle leggi inviò una supplica al legato per ottenere la e prevenire le frodi che spesso avvenivano riduzione di 2/3 del dazio ma il suo impian- a danno del fisco camerale nel 1657 il card. to ormai usurato e alloggiato in un edificio Homodei, legato di Urbino, aveva «fatto una fatiscente non era più in grado di reggere la composizione tra li padroni delli molini da concorrenza. A Marcantonio succedette nel olio e questa Comunità per il dazio» stabi- 1708 il figlio Vincenzo ma dopo l’uscita di lendo che i molinai avrebbero dovuto pagare Francesco Maria e Santino Fattori, anch’es- «un sesino per quarto d’oliva» 77 e sarebbe si messisi in proprio, non sembra che il mu- stato loro consegnato «un libro bollato nel lino abbia avuto un’attività significativa79 . quale detti padroni erano obligati a notare Nel 1777 l’eredità dei Buratelli passò tutti quelli che andavano a macinare, e la per volontà testamentaria di Vincenzo 80 al quantità delli quarti d’olive che si macinava- marchese Carlo Mosca-Barzi e la casa di no e dell’olio che se ne cavava» 78. Sorpren- Novilara fu venduta nel 1809 a Vincenzo dentemente il legato aveva condotto la trat- Pascelucci Rossi del fu Pietropaolo di Fano, tativa anziché con i padroni con gli affittuari che già possedeva l’edificio accanto81 . del mulino Buratelli, che in quel periodo era- Nel 1876 la casa risulta intestata all’ul- no Terenzio Fattori e Agostino Stefani. Poi- tima discendente dei Rossi, Caterina coniu- ché quest’ultimo era capitano del castello al gata con il fanese Fucci, fino alla sua morte cardinale era parso un interlocutore affidabi- avvenuta nel 1885, dopo di che subentraro- le e rappresentativo anche degli altri molinai, no i figli Ezio ed Ersilia Fucci 82. Quando i disposti ad accettare analoghe condizioni. Fucci nel 1909 misero in vendita lo stabile Calcolando che il mulino macinava circa insieme agli oltre 300 mq di scoperto Erco- due mesi all’anno, nel gennaio 1658 Ago- le Vichi fiutò subito l’affare e l’acquistò al stino Stefani firmò un documento in cui si prezzo di lire 3.000. Lo destinò, insieme ad «obbligava di pagare ogni anno all’Ill.ma un ricchissimo corredo, a costituire il fondo Comunità di Pesaro e suoi esattori, per il dotale della figlia Eufemia, secondo la pro- dazio dell’oliva, scudi tre» ovvero 18 paoli, messa fattale il giorno delle nozze 83. Pur- risultanti all’incirca dalla somma dei sesini troppo la sfortunata sposa morì nove anni di cui sopra. Per quanto riguarda l’affitto lo dopo a soli 39 anni, lasciando eredi il mari- Stefani corrispondeva al Buratelli 2-3 some to Pannunzio Ricci e i figli. d’olio all’anno (1 soma = 77,7 litri ca.) ma essendo scarsa la concorrenza degli altri due mulini lo Stefani fece affari e ricavò il dena- Mulino Cerna-Abbati ro per acquistare, nel 1664, il mulino sotto la porta di cui si è detto sopra. Mettendosi Dell’ultimo dei quattro mulini storici in proprio tolse lavoro al mulino Buratelli non è rimasta alcuna traccia muraria e non

133 Studi pesaresi 3.2015 se ne conosce l’esatta l’ubicazione, tuttavia il mulino di don Cristoforo per cui il mulino seguendo le laterazioni catastali lo si può Abbati con attrezzature ormai vecchie e obso- collocare nella parte della Villa verso la pie- lete non avrebbe potuto reggere la concorren- ve. Come accadeva per gli altri mulini, anche za in un ambito così ristretto. questo veniva usato a volte come ufficio no- tarile come nel caso di un rogito del 1485 per mano di ser Francesco di Giovanni da Mon- Mulino Ricci-Bertozzini tegaudio 84. Il proprietario del mulino era Tommaso di Domenico Cerna, possidente Intorno al 1860, vista l’incostante attività novilarese e massaro del castello dal 1484 85. dei mulini del castello, un facoltoso possi- Nel 1501 era stato eletto sindaco dal consi- dente di Novilara di nome Antonio Ricci im- glio generale del castello, insieme a Bartoli- piantò un mulino da olio in contrada Fagnano. no di Andrea Angeli, con l’incarico di offrire Questi nel 1835 aveva acquistato molti terreni le chiavi di Novilara in segno di sottomissio- dell’appannaggio Beauharnais tra cui quelli ne e obbedienza, agli emissari di Cesare Bor- requisiti al monastero di Santa Maria degli gia Ramiro de Lorqua e Agabito de Berardi- Angeli, per cui l’impianto era assai funzionale nis 86. Al ritorno degli Sforza dopo la caduta alle sue proprietà. Il mulino, detto anche “di del Valentino Tommaso ebbe delle difficoltà Stortino” era annesso ad una casa colonica nella gestione del mulino per una questione dove abitava l’affittuario. Il complesso rimase di società con un tal Capellano fu Antonio di proprietà di Ricci fino al 1873, anno in cui di mastro Giacomo da Candelara e dovette fu acquistato all’asta pubblica da Francesco ricorrere a un arbitrato 87. Non è chiaro se ab- Mariani e successivamente rivenduto a Fran- bia preso la decisione di vendere in seguito cesco Bertozzini possidente di Pesaro 89. Que- alla controversia o per l’ostilità di Giovanni sti nel 1886 lo ampliò costruendo un nuovo Sforza. Di fatto nel 1529 ritroviamo il muli- fabbricato e installando due macine. A seguito no in possesso di Biagio di Gaspare Angeli della morte di Francesco nel 1892 il mulino di Mombaroccio, poi di ser Cristoforo Vezzi passò al fratello Crispino e nel 1900 a Riccar- e infine, nel 1545 di Luca degli Abbati gon- do, figlio di Crispino90 . faloniere cittadino 88. Nel frattempo i mulini di Novilara ave- Come già osservato per gli altri mulini si vano ripreso a pieno ritmo la loro attività ripeté, anche in questo caso, il passaggio da per cui Riccardo Bertozzini ritenne più utile un piccolo proprietario del contado ad un ma- spostare l’attività nella vicina Sant’Andrea. gnate cittadino, possessore di altri mulini, in Dopo aver acquistato dagli Antici Mattei questo caso del mulino delle Gualchiere, fuo- l’antica villa Borgogelli, ne cambiò in parte ri le mura di porta Curina. Da Luca Abbati il la destinazione installando a pian terreno un mulino passò ai figli Giulio Cesare e Fabio, mulino per cereali e un altro per l’olio 91. dopo di che se ne perdono completamente le tracce; il catasto del 1560 non riporta alcuna cancellazione o trasferimento di proprietà né è Mulino Lugli presente nelle partite catastali degli eredi, per cui è verosimile che abbia cessato l’attività. I discendenti di Stefano Stefani (citato D’altra parte nel 1553 aveva iniziato l’attività sopra) dopo la cessione del terzo di mulino

134 Marco Delbianco I mulini di Novilara a Gerolamo e Stefano loro parenti nel 1699, casino di villeggiatura situato, insieme alla fecero fortuna con altre attività economi- casa colonica, in località la Casina 93. che. Pasquale Stefani (1692-1772) si ar- La stima eseguita da Antonio Ceccarini ricchì con l’attività di perito agrimensore e lo descrive con “due macine, due torchi, ti- dopo il 1714 si trasferì in città. Il figlio Vin- nelle n.15, barili n.25, botti n.8, due toppi, cenzo si arricchì con la coltura del baco da un bigonzo, due caldari…” per un valore di seta e insieme con la possessione di Monte 367 scudi. Gambone, oggi via S. Egidio, ricevette in Negli anni successivi alla divisione eredità anche un mulino da olio. Francesco Stefani tornò ad abitare a Novi- Il mulino era in attività già nel 1767, lara ma «nella sua non molto fresca età e poichè nelle disposizioni testamentarie di nella mancanza di ascendenti e discendenti Pasquale è scritto: «Item ordino, voglio e risolse di procacciarsi un maggior lucro con comando che Stefano mio figlio li suoi figli fare su di quel stabile un contratto di vitali- e loro eredi vadino a macinare l’oliva rac- zio sul pericolo di sua vita» ossia cedette la colta nelli beni che ai medesimi aspetteran- possessione, il casino e il mulino in cambio no di parte, al molino di Novilara che lascia di un vitalizio ai fratelli Antonio e Giovan- colli beni a parte a Vincenzo» 92. ni Lugli 94. Questi erano contadini che per Acquisito per censo il titolo di aba- alcuni decenni avevano abitato nella casa te, Vincenzo lasciò un patrimonio di oltre colonica dello Stefani ed erano riusciti, gra- 12.000 scudi comprendente numerose pos- zie allo loro intraprendenza, ad acquistare sessioni rustiche, censi attivi ed una elegan- alcuni fondi tra cui quello contiguo apparte- te casa in città. nente agli eredi Santinelli. Dalla divisione dei beni effettuata nel Con il contratto, perfezionato il 1800 tra la vedova di Vincenzo Stefani, 19/1/1832, i Lugli acquistavano in blocco Cinzia Lettimi e i figli Giuseppe e France- tutta la proprietà dello Stefani per la som- sco sappiamo che il mulino era annesso al ma complessiva di 2000 scudi di cui 600 in

Figura 12 – Antica casa del mulino Lugli.

135 Studi pesaresi 3.2015 contanti e il resto in rate annuali di 72 scudi sito in via Pantano 26, attualmente via Ca- «fino alla naturale mancanza» del venditore. stagneto 51, dove oggi sorge l’agriturismo Nonostante l’importo della spesa i Lugli Parco del Grillo 96. Era annesso ad un’an- riuscirono a farvi fronte grazie anche alla tica casa colonica con colombara intestata scarsa attività dei restanti mulini del paese. nel catasto 1690 al marchese Raimondo Nella revisione catastale del 1890 il mu- Mosca, poi Carlo Mosca-Barzi. Una ni- lino, situato in via S.Egidio n. 6 e 7 (attual- pote di Carlo, Francesca, aveva sposato il mente n.13), risultava avere ancora due ma- cav. Roberto Sassatelli di Imola, per cui il cine, segno di piena attività e una famiglia fondo della Leccia verso la metà dell’800 residente nello stesso edificio che insieme era pervenuto in eredità alla figlia Vittoria, ai Lugli si occupava della molitura 95. Nel sposata con il cav. Luca Rosselli del Turco 1913, morti i coniugi Luigi ed Erminia Lu- di Firenze. gli, il mulino passò in eredità al nipote Pa- Nel brogliardo del 1818 la casa è riclas- gnini Ettore ma nell’arco di alcuni decenni sificata come “Casa con corte di villeggia- cessò definitivamente l’attività. Fino agli tura” e al posto del mulino (n. di mappa anni ‘90 era presente una macina nel giardi- 594) è ancora presente la legnaia 97. Nel no dell’abitazione mentre oggi rimangono 1885 su mandato della contessa Vittoria, soltanto gli archi delle grotte in cui si con- residente a Firenze, il figlio Tommaso si servava l’olio (fig. 12). trovava a Pesaro per trattare la vendita di alcune proprietà. Il mulino fu venduto a Raffaele Fabbri, un mediatore che pochi Mulino Sassatelli-Fabbri giorni dopo lo rivendette a Gioacchino Spinaci. L’impianto tuttavia rimase attivo Il Cessato Catasto Fabbricati registra solo fino al 1888, poi fu riclassificato come un ulteriore mulino da olio a due macine fabbricato agricolo 98.

1 Antico Archivio comunale Fano (Aacf) pres- letam Thome, dominam Vanellam, quartam partem so la Sezione di Archivio di Stato di Fano (Sasf), Ca- unius molendini pro indivisa cum supradictis et sep- tasti, reg. 35, Arbitratus forensium de castro Nubila- tuaginta quinque cannas terre culte. Extimata (sine rie. molendino) decem octo soldis et novem den. 2 Marco Delbianco, Sugli antichi confini tra Item in dicta curte et fundo iuxta viam Casaleta Pesaro e Fano in base ad un catasto del XIV secolo , Thome, Arzillam, quartam partem unius molendini in “Pesaro città e contà” 26, 2008, pp. 7-23. pro indivisa cum Rodulfo domini Ugolini et Nicolutio 3 Si fa riferimento al quartiere “Garavelli” in Boteghe, Casaleta Thome videlicet duodecim cannas una pergamena del 1413 del notaio Angelo Clementi: busche. Ext. novem den. Biblioteca Oliveriana di Pesaro (Bop), Fondo diplo- 5 Aacf, Catasti, reg. 35, c. 3 e 23; reg. 10, c. 42. matico, pergamena n. 432). Inoltre nel giuramento di 6 Aacf, Catasti, reg. 35, c. 7: Samperolus Zan- fedeltà al Card. Albornoz i figli di Peruzzo Fuschetti, nis de Nubilaria… habet in dicta curte in fundo Ar- Tomassolo e Giacomo sono registrati ai primi due posti. zille iuxta viam, Massium Paulutii, Arzillam, Peruzo- 4 Aacf, Catasti, reg. 35, c. 9v e 10r: Perutius lum Marzoline, unum campum cum pastine et cum Fuschetti de Nubilaria… habet in dicta curte (Fani) medietate unius molendini pro indiviso cum domino in monte Armignolo, iuxta viam, Arzillam, Chasa- Gallaocto et filiis Gotii domini Thomagini, videlicet

136 Marco Delbianco I mulini di Novilara mediam plovinam et quinquaginta cannas pastini 17 Il dato emerge dal testamento di Andrea Ma- unius anni et centum nonaginta quinque cannas terre setti, Asp, Np, Francesco Berarducci, 16/11/1727. culte et septuaginta cannas vincareti. Ext. sex libris, 18 Atto di vendita di 3/8 del mulino di Raffaello quinque soldis et undecim denariis. Ext. molendinum Raffaelli a Maria Raffaelli, Asp, Np, Francesco Be- triginta duabus libris pro sua parte; Aacf, Catasti, rarducci, 27/11/1728. reg. 7, c. 10 e seg. 19 Il primo testamento di Maria Raffaelli è da- 7 Marco Delbianco, Ser Angelo Clementi da tato 26/11/1718, Asp, Np, Francesco Berarducci, a Novilara notaio e maestro di grammatica , in “Pesaro cui seguono dei codicilli in data 16/11/1727, Asp, Np, città e contà”, 25, 2007, pp. 81-96. Francesco Berarducci; il secondo testamento è data- 8 http://www.lavalledelmetauro.org/ to 6/6/1731, Asp, Np, Pietro Viti. L’assegnazione dei standard.php?lingua=it&id_sezione=21&id_ vari beni è confermata dal catasto di Novilara, citato sottosezione=10&record sopra. 9 Archivio Arcivescovile di Ravenna, Caps. 20 Per il testamento di Antonio e Camilla vedi I, n. 4573, 25/3/1200, regestata da A. degli Abbati Sasf, Nf, Sabatino Bargnoni, 11/5/1756. Olivieri, Memorie di Novilara, pag. 80-81; sul rio 21 Tassa camerale istituita da Urbano VIII di 3 molinello è documentata la presenza di un mulino da baiocchi su ogni rubbio di grano macinato nelle co- grano nel catasto del 1690, XV d 10 c. 55. munità pontificie, per finanziare le spese straordinarie 10 Francine Daenens, I mulini di Pesaro tra co- relative alla difesa dello Stato. Poichè tali spese erano mune e signori: una conflittualità di lunga durata, in in rapida ascesa Urbano VIII istituì oltre sessantatré “Pesaro città e contà”, 17, 2003, pp. 71-100. imposte di consumo, in buona parte su beni di prima 11 Archivio di Stato di Pesaro, Notarile Pesa- necessità, acquistandosi l’epiteto di “papa gabella”: ro (Asp, Np,) Giovanni Battista Rossi, vol XXI c.76, Georg Lutz, Urbano VIII, in Enciclopedia dei Papi, 22/10/1598. Su segnalazione di Silvio Picozzi. Istituto dell’Enciclopedia italiana, Roma 2000, I vol., 12 In via Casale, 29 nel giardino di una villa di ad vocem. recente costruzione esiste ancora il pozzo e la grotta 22 Asp, Np, Domenico Marcheggiani, dell’antica casa Raffaellli 27/01/1721 e 27/09/1721. 13 Biblioteca Federiciana di Fano, ms F. Ber- 23 Asp, Np, Alessandro Giovanelli, 28/11/1862. tozzi n.10, protocollo S (famiglie cittadine) c. 177 ss. 24 Asp, Np, Luigi Bertuccioli, 26/12/1862. 14 Il primo testamento di Giomaria Masetti è 25 Asp, Cessato Catasto Fabbricati (Ccf) Novi- datato 11/6/1611 in Archivio di Stato di Pesaro (Asp), lara, partita n. 141. Notarile Pesaro (Asp, Np) Francesco Ricci, vol. IV, c. 26 Asp, Ccf Novilara, partita n. 321 . 105-106; il secondo 8/9/1634 in Asp, Np, Francesco 27 G. Lucerna, Ruote sull’acqua. Mulini idrau- Ricci, vol. IV, c. 342-346; per il testamento di Tom- lici della provincia di Pesaro e Urbino, Bologna maso Masetti vedi Sasf, Notarile Fano (Nf), G.F. Bat- 2007, p. 186; L. Blasi et al., I sentieri dell’acqua, i tisti, 24/6/1658, per il testamento Raffaelli Asp, Np, segni dell’uomo lungo il bacino del torrente Arzilla, Giacomo Ciacca, 7/9/1636; per il catasto di Novilara Pesaro 2001, pag. 72. 1690: Bop, Archivio storico del comune di Pesaro 28 Bop, ms. 376/II, c.422 e 476. (Ascp), XV d 10, c.52, 86, 121. 29 Ascp, Liber decretorum, I c 2, c. 33r. 15 Asp, Legazione Apostolica, lettere della Co- 30 Ascp, Liber decretorum, I c 2, c. 33v. munità, b. 51. Nel documento è scritto che le tasse 31 Asp, Np, Matteo Ricci, 13/8/1487, bs.319, c. camerali sui mulini dell’Arzilla per lo sfruttamento 24. dell’acqua erano mediamente di 8 staia di grano annue 32 Asp, Np, Francesco Bonifazi, 8/7/1501, b. (lo staio ha una capacità di 24 litri ca.) I Masetti-Raffa- 106, c. 90-93 elli usando soltanto l’acqua del fosso pagavano la metà. 33 Asp, Np, Giovanni Germani, 7/5/1504, b. 16 Asp, Catasto Pontificio Pesaro (1815-1926), 338, c. 276-278. serie mappe, foglio XV. 34 Ascp, XV c 3, c.72, Item habet in dicta curte

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Nubilarie et fundo Burgi iuxta vias a duobus lateri- 9/5/1574; v. anche G. Allegretti, La visita apostoli- bus, bona heredum Gasparis Cicolini, bona Johannis ca nella diocesi pesarese (1574), in “Frammenti”, 2, Petri Mazze de Parma, perticas octo domus cum mo- 1997, pp. 45-125, in part. pp. 108-110. lendino oleareo, libre 0-0-0. 55 In Asp sono presenti 12 volumi di rogiti di 35 Ascp, XV c 4, c. 193, estimo di Sebastiano formato “tascabile” 14x20 cm che vanno dal 1525 al Pianosi. 1580, mentre nell’archivio parrocchiale di Novilara è 36 Ascp, XV c 6, c. 58. presente un volumetto in cui sono registrati i battesi- 37 Asp, Np,Agostino Conti, 23/11/1579, b. mi, le cresime e le polizze matrimoniali dal 1564 al 1131, c. 86. 1580. 38 Asp, Np, Raniero Montani, 8/02/1608. 56 Asp, Np, Cristoforo Mancini, b. 603, c. 143, 39 Ascp, XII e 1, c. 24, estimo di Antonio To- 18/12/1553, b. 604, c.29, 5/12/1560, b. 604, c.62, masi. 28/11/1561 40 Asp, Np, Cesare Sperandio, 28/05/1664. 57 Ascp, XV d 12, c. 93. La vendita di Mancini 41 Asp, Np, Francesco Mancini, 1/01/1625 (te- ad Angeli e Sabbatini avvenne il 19/10/1566, quel- stamento di Gerolamo Stefani) e Asp, Np, Giacomo la di Sabbatini ad Angeli il 10/07/1657, in Asp, Np, Ciacca, 2/09/1649 (testamento di Stefano Stefani). Antonio Ubaldi da Candelara, b. 1220, c. 247. Sulla 42 Asp, Np, Cesare Sperandio, 23/12/1664. famiglia Angeli vedi D. Bonamini in Bop, ms 1063, 43 Ascp, XV d 8, c. 136. c. 17. 44 Ascp, XV d 10, c. 27, estimo di Don Dome- 58 Ascp, XVI c 1, c. 43; Asp, Np, Terenzio nico Stefani per la metà e Don Gio:Batta, Gerolamo Alberti, bs. 2269, c. 12, 4/6/1603, Dominus Franci- e Stefano d’Agostino Stefani per l’altra metà; alla c. scus quondam domini Nardi de Angelis de Pisauro 114 estimo di Stefano di Paolo Stefani. sponte etc, omni etc, quibus etc, vendidit… m.ro Santi 45 Asp, Np, Gio.Francesco Ciacca, 24/1/1699; quondam m.ri Guidonis de Monte Birotio Nobilarie Asp, Np, Domenico Marcheggiani, 29/1/1699. habitatore presenti ac ementi pro se etc. unum mo- 46 Ascp, XV d 10, c. 141. lendinum ab oleo una cum domibus ei anexis et cum 47 Ascp, XV d 10 c. 118, estimo di Margherita omnibus rebus… cum reservationibus infrascriptis vi- Stefani e c. 66 estimo di Vincenzo Zacconi. delicet il detto sign. Francesco si riserva tutte le rob- 48 Asp, Np, Mariano Gili, 22/10/1803. be e mobili che sonno in detta casa attacata al detto 49 Asp, CCF Novilara, partita n. 6. Vittoria era mollino, tutto il nochio che si trova in detto mollino, la figlia del famoso barone Bartolomeo Pergami della tre orci con l’olio, tutto il lettame e 15 o 20 censolei Franchina che fu al servizio di Carolina di Brunswick, d’albero novi, cedens eique emptori. moglie di Giorgio IV d’Inghilterra, nel periodo in cui 59 Ascp, XV d 12, c. 221. dimorò a Pesaro. Da lei prende nome Villa Vittoria, 60 Ascp, XVI c 5, c. 157 e 216. residenza prima della principessa poi di Vittoria. 61 Asp, Np, Bartolo Giunta, 15/06/1661; Bona- 50 Asp, Np, Napoleone Ripari, 09/11/1887. mini D., Abecedario degli architetti e pittori pesaresi, 51 Asp, CCF Novilara, partita n. 481 e 494. in Bop, ms 1009, c. 5 52 Ascp, XV d 1 c.104. Nonostante il capo d’e- 62 Ascp, XIV c 3, c.104, estimo di Pompeo stimo sia definito in comune con mastro Raffaello Ser Mazza; Ascp, XV d 12, c. 120: «Don Tomasso Fattori Michelis, zio di don Cristoforo, sappiamo dal catasto ha…dall’estimo di Pompeo Mazza nel libro di S. Te- del 1560 (XV d 12, c.93) e dalla vendita successiva renzio a c.104 posto qui per virtù d’instrumento roga- che il mulino apparteneva a don Cristoforo e ai fratel- to da Ondedeo Ondedei li 21 aprile 1689 come appare li Agostino ed Antonio. per detto instrumento veduto letto e restituito alla par- 53 Ascp, Liber Reformationum, I a 31, c. 83- te. Ha nel castello di Novilara appresso il campanile 84, 4/7/1461. della Comunità di Novilara e la strada commne da tre, 54 Archivio Segreto Vaticano, S. Congregazio- una casa con bottega e mulino dall’oglio estimata lire ne del Concilio, Visite Apostoliche, n. 31, c. 107-110, 0.0.0».

138 Marco Delbianco I mulini di Novilara

63 Il dettaglio è deducibile dal testamento di ni pagando tre scudi dichiarava di macinare circa 360 Antonio Fattori in Asp, Np, Alessandro Fattorini, quarte. 24/6/1639 e riscontrato in Ascp, XV d 8, c.119; XV d 78 Asp, Legazione Apostolica, lettere della Co- 10, c 40, 129. La villa divenne proprietà Stramigioli munità, b. 51. nel 1824 poi Mascarucci nel 1916. 79 Ascp, XVI c 9, c.206 – XV d 10, c. 209. 64 Ascp, XV d 10, c. 120 e 129. 80 Asp, Np, Domenico Mancini, 28/08/1777. 65 Ascp, XI e 12 (variazioni al catasto 1809) 81 Ascp, XV c 1, c.12 (1778): «Buratelli eredi. 10/6/1824, c. 48, 154, 172. Possiedono nel castello di Novilara, lati la strada da 66 Asp, CCF Novilara, partita n. 46. due, Pietro Paolo Rossi e Gerolamo Fastiggi dall’altra 67 Asp, Np, Paride Mondaini, 30/05/1879. e per fine la Comunità e casa Carletti di Novilara can- 68 Ascp, XV d 12, c. 89: «Sebastiano e Dome- ne 12 di orto. 1809 subentra Pascelucci Rossi Vincen- nico fratelli e figli del q. Giovanni Bastianoni»; XV c zo del fu PietroPaolo di Fano (not. Antonio Mancini). 1 c. 9: «Bastianoni Sebastiano, Sebastianoni Domeni- 82 Asp, CCF Novilara, part n. 72 e 128: Casa co detto Vichi»; XI e 12 c. 9 «Bastianoni Sebastiano civile, via Rossi n. 30-32, piani 2, vani 14, n. mappa quondam…». 441, con orto n. mappa 442. 69 Asp, Np, Alfonso Rossi, 11/8/1894 83 Asp, Np, not. Alfonso Rossi, 12/08/1909. 70 Ascp, XII d 4, c. 2: Nicolaus, Paganellus, 84 Bop, ms 376/II, c. 476; pergamena n° 847 Petrus et Otavianus fratres et filii quondam Marci - 2/10/1481: Dominicum quondam Jacobi vulgariter Antonii de Paganellis habent… in castro Nubilarie dicto de Cerna de Nubilaria. iuxta vias publicas a tribus lateribus Vincentium Ni- 85 Ascp, XV d 2, c. 18: Thomas quondam colai de Bossnia, heredes Sanctis Johannis Cristo- Dominici Cerne... habet in curte Nubilarie et fundo phori unam domum cum molendino ab oleo extimata burgi iuxta vias publicas a tribus lateribus, bona he- libris 0.0.0. redum Angeli Franciancie perticas sex domus cum 71 Marco Delbianco, Il Comune di Novilara molendino oleareo extimatas libris 0-1-2. tra ‘400 e ‘500 , in “Pesaro città e contà” 21, pag. 73 86 Asp, Np, Francesco Bonifazi, b. 106, c. 91- 72 Ascp, XV d 2 c. 29: Antonius Jacobi Petri 93, 8/7/1501. alias dicto de Bretta habet... de estimo heredum Mar- 87 Asp, Np, Francesco Bonifazi, b. 105, c. 44, ci Antonii Paganelli in libro S. Arcangeli in castro 23/1/1505. Nubilarie iuxta vias publicas a tribus lateribus Vin- 88 Asp, Np, Cristoforo Mancini, b. 599, c. 9, centium Nicolai de Bosigna, heredes Sanctis Johan- 29/01/1529, Ascp, XV c 2, c. 175. nis Cristophori quartam partem unius domus extima- 89 Asp, Catastino Novilara 1855, mutazioni tam libris 0.0.0. Vedi anche XII e 3, c. 12 (Francesco 299 e 277. Clementi) e XII d 4 c. 280 (Cesare Alberti). 90 Asp, CCF Novilara, partita 7, 264 e 349. 73 Ascp, XV c 3, c. 72. 91 http://www.lavalledelmetauro.org/ 74 Ascp, XII d 4, c. 226 - Hieronimus Gabrielis standard.php?lingua=it&id_sezione=8&id_ dal Panno, 26 aprile 1526. sottosezione=31&id_sottosottosezione=10&reco 75 Ascp, XV c 5, c. 232. rd=5598. 76 Ascp, XV c 7 c.68; XVI c 2 c.186: «Gio- 92 Asp, Np, Giuseppe Perotti, 21/08/1772. vampaolo del già cav. Gerolamo Buratelli… ha nel 93 Asp, Np, Domenico Cecchini, 3/2/1800. castello di Novilara appresso la strada pubblica da tre 94 Asp, Np, Luigi Perotti, 19/1/1832. lati e Bastiano di Silvestro Balzarini di Bergamo una 95 Asp, CCF Novilara, partita 44, 130, 452 e 464. casa con il molino da l’olio con pertiche 6 di horto per 96 Asp, CCF Novilara, partita 73 e 180. propria confessione della parte, estimata 1.9.0.». 97 http://www.cflr.beniculturali.it/Gregoriano/ 77 Il sesino corrispondeva a 2 quattrini o metà brogliardi.php?lar=1280&alt=768. di un soldo, la quarta era una misura di capacità per 98 Asp, Catastino Novilara 1855, mutazione aridi corrispondente a 73,6 litri circa, quindi lo Stefa- 459; Asp, Np, Lorenzo Sellari, 26/2/1885 e 4/3/1885.

139 Inventio crucis: una miniatura alla corte di Francesco Maria II della Rovere

di Marilena Luzietti

Nel corso di una ricerca sul culto e sulle chsess von Waldburg, del quale compaiono, rappresentazioni della vera croce nell’età al di sopra dell’iscrizione, l’insegna (un pel- della controriforma, sono venuta a cono- licano che nutre i suoi pulcini) e il motto scenza di due illustrazioni raffiguranti l’In- (Sic his qui diligunt). venzione della vera croce, tra loro forte- Ostile al protestantesimo e veemente mente simili seppure appartenenti a contesti sostenitore della riforma cattolica in Ger- storici e geo-culturali diversi 1. Si tratta di mania, Truchsess promosse l’arte figurativa un’acquaforte incisa da Giovan Battista de’ come strumento di affermazione della Chie- Cavalieri nel 1569 (fig. 1) e di una miniatu- sa di Roma e del pensiero controriformato. ra realizzata alla corte di Francesco Maria Parla da sé la presenza del suo stemma nel II della Rovere nell’ultimo ventennio del soffitto ligneo dell’oratorio del Gonfalone a XVI secolo, attualmente conservata nella Roma, probabilmente connesso, come sug- Galleria Palatina di palazzo Pitti a Firenze gerisce la critica, agli affreschi dipinti in (fig. 2). loco dal suo protetto Livio Agresti (1571- Della stampa del De’ Cavalieri ho po- 1572) 2. Insieme al gesuita Pietro Canisio, tuto osservare due copie, conservate l’u- il cardinale di Augusta introdusse la con- na nell’Istituto nazionale per la grafica di troriforma nella sua diocesi, in particolare Roma (numero di inventario 45348) e l’al- nella città di Dillingen sul Danubio, dove tra, pubblicata in questa sede, nel British fondò un’università cattolica, una casa tipo- Museum di Londra (numero di inventario grafica e un insolito tempio: una torre sa- V, 10.82). Notizie sull’incisione sono rica- cra di cinque piani, interamente affrescata vabili direttamente dalla breve scritta che da un’équipe di artisti tra il 1565 e il 1566 la correda in entrambe le copie in basso a sotto la direzione del forlivese Livio Agre- destra: Opus Linij Agresti Forolinien Telin- sti, che Truchsess aveva condotto con sé da gu / iussu Ill[ustrissi]mi et R[everendissi] Roma. Un incendio distrusse l’edificio nel mi Car. August / ROMAE / Incidebat Ioa. 1595, ma una puntuale ricostruzione degli Bap[tis]ta de Cavallerijs / Cum privilegio, ambienti, di cui si è recentemente occupata Anno D[omi]ni 1569. Le prime parole se- Maria Giulia Aurigemma, è possibile gra- gnalano che la stampa è tratta da un’ope- zie alla descrizione fattane dall’umanista ra dipinta da Livio Agresti a Dillingen sul belga Hannardus Gamerius in Turris Sacra Danubio su commissione del cardinale di Dilingana, un poema in versi pubblicato a Augusta (Augsburg, in Baviera), Otto Tru- Dilingen nel 1567 3. La lettura del testo di

140 Marilena Luzietti Inventio crucis: una miniatura alla corte di Francesco Maria II della Rovere

Gamerius aiuta a comprendere le ragioni della singolarità architettonica dell’edificio, la cui struttura evocava l’invulnerabilità di una fortezza inespugnabile, che gelosamen- te serbava tra le sue mura i tesori del catto- licesimo: uno sconfinato repertorio di ico- nografia cristiana, testi patristici e liturgici, reliquie di Cristo e dei santi, negli anni in cui, al di fuori della torre, imperversava la distruzione delle immagini sacre e delle re- liquie, aizzata a più riprese nelle città di lin- gua tedesca, come Zurigo (1523), Colonia (1530) e la stessa Augusta (1537). Ecco che alla torre, edificio di difesa per eccellenza, spettava il compito di preservare dall’an- nientamento un universo di dogmi e di tra- dizioni sul quale per secoli si era sorretta la Chiesa cattolica. In un vasto ambiente al secondo piano, preposto alla custodia delle reliquie della croce e dei santi appartenute agli imperatori del Sacro Romano Impero, campeggiava l’Invenzione della vera croce di Livio Agresti: l’episodio del ritrovamen- to del sacro legno ad opera di Elena, madre Figura 1 – Giovan Battista de’ Cavalieri, dell’imperatore Costantino, condivideva la Invenzione della vera croce da Livio Agresti, programmatica finalità della sala, volta alla 1569, acquaforte, Londra, British Museum. dimostrazione delle comuni radici dell’Im- pero e della Chiesa di Roma. L’incisione del De’ Cavalieri tratta dall’affresco di Livio Agresti circolò am- piamente tra le mani di artisti, collezioni- sti e devoti, come testimoniava nel 1657 lo scrittore d’arte Francesco Scannelli: «[Livio Agresti] fu poscia condotto in Germania dal Cardinale d’Augusta, dove lasciò l’opere della migliore età, come a noi promettono anche di lontano i rari intagli delle stampe, e di tal sorte sono l’historie dell’invention delle croci» 4. Forse ancora più vicino alle Figura 2 – Simonzio Lupi (?), Invenzione della fattezze dell’originale è un disegno specula- vera croce, ultimo ventennio del XVI secolo, re all’incisione, attribuito a Livio Agresti e miniatura, Firenze, palazzo Pitti, conservato nel Gabinetto dei disegni e delle Galleria palatina e Appartamenti reali.

141 Studi pesaresi 3.2015

un’austera imperatrice Elena. Nell’immagi- nifica cittadina dello sfondo sono collocate alcune monumentali rovine antiche, mentre il tempio circolare al centro è una rivisita- zione occidentale in chiave orientaleggiante della basilica del Santo Sepolcro di Gerusa- lemme, fatta erigere da Costantino sul luo- go dove Elena ritrovò il sacro legno 5. Il prodigioso riconoscimento della vera croce è tramandato da molteplici fonti, che ne restituiscono versioni differenti. Le sto- rie ecclesiastiche di Rufino, Socrate Scola- stico e Teodoreto di Cirro, databili all’inizio del V secolo, affidano al vescovo di Gerusa- lemme Macario la scelta di porre una croce alla volta sul corpo di una nobildonna in fin di vita, guarita al contatto con la vera reli- quia, così riconosciuta in quanto tale 6. L’E- pistola XXXI di Paolino di Nola risalente all’anno 403 riporta invece il racconto del- la resurrezione di un morto: in questo caso l’assenza del vescovo Macario rafforza il Figura 3 – Livio Agresti, Invenzione della vera potere decisionale dell’imperatrice Elena 7. croce, 1565-1566 ca., matita nera, penna Nel corso del V secolo la storia convogliò e inchiostro su carta, Firenze, nell’apocrifa – a tratti antisemita – leggenda Galleria dei disegni e delle stampe. di Giuda Ciriaco, che grande fortuna otten- ne nella liturgia e nell’iconografia nel me- dioevo occidentale, come riferiva l’autore stampe degli Uffizi di Firenze (numero di della Legenda aurea Jacopo da Varazze 8 e inventario 15090F), dove il fluido tratteggio come dimostrano, alle soglie dell’età mo- a penna dona naturalezza e vivacità ai gesti derna, gli affreschi di Piero della Francesca e alle espressioni delle figure (fig. 3). nel ciclo di San Francesco ad Arezzo. In L’Inventio crucis di Livio Agresti con- questa versione l’artefice del ritrovamento densa due episodi consequenziali: il ritrova- delle tre croci e della verifica della vera cro- mento delle tre croci e il miracolo della vera ce è l’ebreo Giuda, convertitosi al cristiane- croce. In primissimo piano alcuni robusti simo con il nome di Ciriaco. operai estraggono una croce da una buca, La raffigurazione di Livio Agresti è intorno alla quale sono deposti gli strumen- chiaramente plasmata sul racconto di Paoli- ti dello scavo. Il miracolo è raffigurato alle no di Nola. L’assenza del vescovo Macario loro spalle, dove un individuo siede a mani e di Giuda Ciriaco è compensata dalla seve- giunte sulla vera croce, circondato dai te- ra e monumentale figura dell’imperatrice. Il stimoni dell’avvenimento e affiancato da suo gesto risoluto ne richiama la posizione

142 Marilena Luzietti Inventio crucis: una miniatura alla corte di Francesco Maria II della Rovere di comando sottolineata da Paolino di Nola: al linguaggio artistico europeo continen- «Il Signore […] infuse [ad Elena] l’ispira- tale 13. È oltremodo rilevante la presenza zione di questo consiglio, di ordinare cioè di questa tipologia iconografica nella pre- che fosse ricercato e portato colà un uomo della del trittico di Francesco Menzocchi, morto di recente» 9. Al di sopra del mona- commissionato dalla confraternita di Santa cale velo, che secondo San Paolo autorizza Croce di Urbino nel 1543 14 e in due opere la donna a pregare e profetizzare eguaglian- di Giorgio Picchi databili all’ultimo quar- dola all’uomo 10, Elena indossa una corona to del XVI secolo: gli affreschi della volta di tipo imperiale: questi attributi, insieme dell’oratorio di Santa Croce a Urbino e la all’aureola, legittimano il potere spirituale pala eseguita per l’oratorio della Croce di e temporale della madre di Costantino, pre- Mercatello sul Metauro 15. In questa serie sentata come Mater Ecclesiae. si inserisce l’Inventio crucis dipinta nella Il miracolato indossa un sudario legato sacra torre di Dillingen da Livio Agresti, ai piedi, che ne suggerisce la condizione conterraneo e allievo di Francesco Men- appena trascorsa di defunto. Osservando la zocchi. Tanto nella predella del Menzoc- stampa del de’ Cavalieri, risulta difficile ri- chi quanto nell’affresco dell’Agresti il conoscerne il sesso, ben segnalato, invece, risorto veste un sudario bianco che lo ri- nel disegno dell’Agresti, dove l’individuo copre interamente, aderendo alle forme seduto sulla croce porta una lunga barba. Il del corpo. Soluzione anacronistica, questa, racconto di Paolino di Nola era noto anche in un’epoca in cui si privilegiava la vista con la variante della donna risorta 11 e non è della carne del corpo risorto, tanto nelle da escludere l’ipotesi che in fase di esecu- raffigurazioni dell’Inventio crucis quanto zione l’Agresti abbia eliminato il dettaglio nelle più celebri resurrezioni di Lazzaro. della barba per restituire alla figura un’i- Il risorto dell’Agresti siede pacatamente, dentità sessuale incerta, al fine di estendere privo della dinamica vitalità che lo carat- all’umanità intera il significato di redenzio- terizza nel Menzocchi e in altre rappresen- ne attribuito alla croce. tazioni coeve. La sua composta fermezza La rara tipologia iconografica del mi- conduce ad ipotizzare un’ascendenza te- racolato seduto sul sacro legno è connessa desca, provabile mediante il confronto con dalla studiosa Barbara Baert ad un passo svariate opere quattrocentesche prodotte dello Speculum Ecclesiae di Onorio di nella Germania del sud, dove il quieto ri- Ratisbona, dove si narra che il defunto re- sorto indossa un lenzuolo panneggiato che suscitò dopo essere stato posto sulla cro- lo ricopre dalla testa ai piedi 16. ce di Cristo 12. Tale tipologia si sviluppò La scelta della fonte, forse suggerita nell’Europa d’oltralpe del Quattrocento dal committente, collima con la tendenza, parallelamente al motivo del Cristo se- propria della cultura controriformata, al re- duto sulla croce poco prima di essere in- cupero dei testi patristici dei primi anni del chiodato e approdò, allo scadere del se- cristianesimo e al rigetto della letteratura colo, negli affreschi del catino absidale apocrifa. Pochi anni prima, anche il ciclo di Santa Croce in Gerusalemme a Roma, con storie della vera croce dipinto da Danie- attribuiti ad Antoniazzo Romano e aiuti, le da Volterra nella cappella Orsini in Tri- in parte debitori, com’è stato dimostrato, nità dei monti a Roma (1454-1548) traeva

143 Studi pesaresi 3.2015 ispirazione dall’Epistola XXXI di Paolino di la rappresentazione permette di collocare la Nola, in aperta rottura con la tradizione ar- miniatura non oltre il 1602, anno in cui Cle- tistica del passato, ancora in parte vincolata mente VIII emendò l’edizione post-tridenti- alla leggenda di Giuda Ciriaco 17. na del Breviario romano, dove la nuova li- Anche uno sguardo approssimativo sa- turgia dell’Inventio crucis, sollecitata dagli prebbe cogliere la somiglianza, finora sotta- studi sulle fonti di Cesare Baronio raccolti ciuta dalla critica, tra l’invenzione di Livio nel terzo volume degli Annales (1592), pre- Agresti e la miniatura roveresca conservata sentava quale unica versione dei fatti quella a palazzo Pitti. Questa faceva parte di un narrata da Rufino, Socrate Scolastico e Te- libro d’ore commissionato da Francesco odoreto di Cirro, che contemplava la par- Maria II ad uno dei maestri miniatori at- tecipazione del vescovo di Gerusalemme tivi nel palazzo ducale di Pesaro. La loro Macario e la guarigione di una nobildonna identità, rivelata dai rendiconti di spesa malata 22. Come ho argomentato nella mia appuntati personalmente dal duca, è nota tesi di dottorato, a partire dagli anni No- sin dallo studio di Georg Gronau (1936) 18. vanta del XVI secolo le rappresentazioni Più recente è il lavoro attributivo e di com- dell’Inventio crucis si adeguarono a que- parazione tra i dati archivistici e le pagine sta versione, approdando, dopo un lungo miniate condotto da Silvia Meloni Trkulja periodo di sperimentazioni, ad una defini- (1981), Erma Hermens (2001) e Stefa- tiva tipologia iconografica, consacrata dal no Casciu (2003) 19. Sono quarantasette le fortunato modello di Gregorio Pagani per miniature conservate a palazzo Pitti, pro- la chiesa del Carmine a Firenze (1592) 23. venienti dalla collezione che Vittoria della Derivando dall’invenzione di Livio Agresti Rovere, nipote ed erede di Francesco Maria a sua volta ispirata alla Epistola XXXI di Pa- II, condusse con sé a Firenze a seguito della olino di Nola, la miniatura di palazzo Pitti devoluzione del ducato di Urbino allo Sta- è pertanto databile entro la fine degli anni to pontificio (1631). Appartenuti in origine Novanta del XVI secolo. a tre distinti libri d’ore, i fogli di palazzo Del libro di preghiere di cui faceva parte Pitti furono spaginati e incorniciati nella se- la miniatura rimangono a palazzo Pitti die- conda metà del XVII secolo. Se condivisa ci illustrazioni caratterizzate da intonazioni dalla critica è l’assegnazione di uno dei tre cromatiche fredde, acidule e da un sobrio codici al raffinato artista Valerio Mariani di equilibrio compositivo, ove la figura uma- Pesaro, l’attribuzione degli altri due oscilla na, come colta in un passo di danza, appare tra Simonzio Lupi, bergamasco documen- bloccata in un imperturbabile distacco dalla tato a Pesaro dal 1591 al 1605, e Simone realtà, pur nella violenza che evocano certe fiammingo, attivo tra il 1586 e il 1602, del scene di martirio. Come ha puntualizzato quale però non si conoscono opere sicure 20. Silvia Meloni Trkulja, queste raffigurazio- L’Inventio crucis, appartenente ad uno dei ni si dichiarano stilisticamente debitrici alla due libelli di paternità incerta, fu realizza- cultura figurativa romana, in particolare ta non prima del 1582: soltanto a partire zuccaresca, ben conciliandosi con le aspet- da quell’anno, infatti, i registri di spesa del tative di Francesco Maria II, il quale, secon- duca segnalano la presenza di un miniatore do i documenti d’archivio, aveva espressa- alla sua corte 21. L’analisi iconografica del- mente richiesto un miniatore proveniente da

144 Marilena Luzietti Inventio crucis: una miniatura alla corte di Francesco Maria II della Rovere

Roma 24. Nonostante il gruppo di miniature ne di Francesco Maria II verso la croce e il mostri una certa omogeneità stilistica, le crocifisso, che entrò in dialogo con le com- iconografie attingono a un composito ma- mittenze delle confraternite, per le quali fu- teriale grafico-pittorico: la Vocazione di rono realizzate opere raffiguranti l’Inventio Sant’Andrea 25 cita il dipinto di Federico crucis che raramente omettono la partecipa- Barocci realizzato nel 1583 per l’oratorio di zione dell’imperatore Costantino, chiaro ri- Sant’Andrea a Pesaro (Bruxelles, Musées mando al duca 30. L’ingerenza di Francesco Royaux des Beaux Arts de Belgique); il Maria II della Rovere nella scelta di temi Martirio di San Tommaso 26 si ispira ad e iconografie è ragionevole se si considera una stampa dell’incisore fiammingo Julius il suo acceso interesse per le arti grafiche Goltzius, tratta da un’invenzione di Maer- e lo zelo operato da costui nella ricerca di ten de Vos 27; l’Ultima cena deriva da un di- miniatori di alta levatura, come emerge dai pinto di Pieter Coeck van Aelst, tradotto in documenti pubblicati dal Gronau 31. incisione nel 1585 da Hendrick Goltzius 28. Nonostante le evidenti analogie tra l’ac- L’Inventio crucis, infine, è desunta dalla quaforte del De’ Cavalieri e l’illustrazione stampa del De’ Cavalieri ricavata dall’af- di palazzo Pitti, quest’ultima rivela alcune fresco di Livio Agresti. Sia la miniatura che scelte stilistiche e iconografiche autonome l’incisione, infatti, sono ribaltate a specchio rispetto al modello. rispetto al disegno degli Uffizi. Dovendo adattare la scena al formato Accanto alle scene cristologiche e maria- orizzontale del libro, l’artista roveresco re- ne (Trinità, Ultima cena, Crocifissione, Re- distribuì nello spazio i gruppi di personag- surrezione, Ascensione di Cristo, Assunzio- gi, causando un certo effetto di dispersione, ne della Vergine) e alle storie degli apostoli ben rimarcabile al confronto con la salda (San Marco, San Tommaso, Sant’Andrea), compattezza del gruppo concepito dall’A- la presenza dell’Inventio crucis denuncia la gresti. Le figure dell’illustrazione rovere- partecipazione del duca alla scelta dei sog- sca, inoltre, perdono massa e monumenta- getti rappresentati, come si evince anche lità, complice anche un punto di vista meno nelle pagine dell’altro libro d’ore anonimo, ribassato rispetto all’invenzione agrestiana. effigianti Sant’Ubaldo, San Francesco e Per quanto riguarda l’iconografia, una San Diego d’Alcalà, verso i quali France- presenza sconosciuta alla stampa del De’ sco Maria II volgeva una profonda devozio- Cavalieri è stata aggiunta nella miniatura: ne 29. D’altra parte, come ho trattato nella si tratta del singolare personaggio in piedi mia tesi di dottorato, le numerose raffigu- a destra della buca dalla quale viene estratta razioni della vera croce nei domini di Fran- una croce. É questi il turco: ha labbra carno- cesco Maria II della Rovere segnano i con- se, pelle scura, capelli e barba neri e indossa fini geo-culturali di una devozione che, pur un berretto frigio. Il motivo del turco è caro facendo appello ai formalismi e all’icono- alle rappresentazioni dell’Inventio crucis in grafia imposta dai modelli artistici romani, età pretridentina, alle quali spesso soggiace manifesta una propria interna vitalità, sulla un preciso messaggio politico. In questi casi quale agivano da un lato il riflesso del culto la raffigurazione della leggenda della vera di San Ciriaco, protettore del vicino duomo croce era finalizzata alla promozione di una di Ancona, e dall’altro la privata devozio- crociata, come attesta il ciclo di Piero del-

145 Studi pesaresi 3.2015 la Francesca nella chiesa di San Francesco compimento l’impresa crociata già avviata ad Arezzo, interpretato da Carlo Ginzburg da suo nonno Francesco Maria I. D’altra quale manifesto antiturco 32. Nell’Invenzio- parte il turco rappresentava una effettiva ne della vera croce del ciclo aretino il tur- minaccia alla sicurezza del ducato, sovente co è visto di spalle e collocato all’interno esposta al rischio di incursioni piratesche della fossa da cui sono recuperate le croci. lungo la costa e nei porti di Pesaro e Seni- Nel XVI secolo le raffigurazioni della vera gallia 35. croce si avviarono verso una ineluttabile, Un’altra divergenza rispetto alla stam- seppure lenta, trasformazione iconografica pa del De’ Cavalieri è la fisionomia della rispetto alla tradizione medievale, volta, cittadina nello sfondo, ora privata dei suoi come si è detto, al ripristino dei fatti con- elementi simbolici, come la basilica gero- siderati storici 33. Questo mutamento incon- solimitana del Santo Sepolcro e le rovine trava la necessità della sopravvivenza del romane antiche. La cittadina d’invenzione soggetto, immesso, come esemplarmente elaborata da Livio Agresti per la torre sacra testimonia l’affresco perduto di Livio Agre- di Dillingen evocava la continuità tra Geru- sti, nel vivo del dibattito teologico e storio- salemme e Roma, rispondendo all’urgenza grafico tra cattolici e riformati, che toccava di decretare il primato della Chiesa catto- la questione dell’adorazione della reliquia lica. D’altra parte, l’evocazione di Roma della croce e della sua immagine. Il turco quale “nuova Gerusalemme” nella raffigu- non aveva motivo di esistere in questo tipo razione dell’Inventio crucis non è un caso di rappresentazioni, dalle quali infatti ven- isolato negli anni intorno al Concilio di ne espunto. Parte della produzione artistica Trento, come dimostrano anche un disegno nel ducato roveresco all’epoca di Francesco di Giorgio Vasari conservato agli Uffizi di Maria II riattualizzava invece l’antico con- Firenze e gli affreschi di Sebastiano Fiori nubio tra le raffigurazioni della vera croce a Terni (San Francesco, cappella della Cro- e il tema della crociata 34. Ad esempio, al- ce Santa, 1575), dove alle spalle dell’av- cuni uomini con barba scura e turbante do- venimento staziona l’obelisco vaticano 36. minano la scena dell’adorazione della croce La scelta da parte del miniatore di eludere in una pala di Benedetto Nucci realizzata i monumenti simbolici priva lo sfondo del negli anni Sessanta del XVI secolo per la suo significato legato all’ideologia controri- chiesa dell’ospedale degli esposti di Gub- formata e ricolloca l’Inventio crucis al di là bio (Gubbio, Pinacoteca civica) e assistono di una città fortificata immersa nella foschia al miracolo della vera croce in un dipinto azzurrina dell’orizzonte: un prodotto, forse, di Virgilio Nucci (Gubbio, Santa Croce in della fantasia dell’artista, ma certamente foce, 1580 ca.). La scelta operata dal minia- volto a riflettere la realtà urbanistica e pae- tore roveresco risulta pertanto motivata da saggistica locale. ragioni storiche e geo-culturali. Nel 1571, La «continuità e variazione nel signifi- avendo Guidubaldo II aderito alla Lega san- cato delle immagini» di cui parlava Fritz ta promossa da Pio V, il giovane Francesco Saxl 37 è ben esemplificata dal confronto Maria II partecipò alla battaglia di Lepanto, apportato tra le due opere. Pur nell’osse- dalla quale tornò trionfante con un bottino quiosa aderenza al modello, infatti, la mi- di ventiquattro schiavi turchi, portando a niatura di palazzo Pitti rivela una propria

146 Marilena Luzietti Inventio crucis: una miniatura alla corte di Francesco Maria II della Rovere autonomia di significato, che la sgancia intervento diretto in merito alle scelte ico- dal messaggio controriformato apportato nografiche. La miniatura concretizza per- dall’invenzione agrestiana e la riconte- tanto una preghiera intima e privata, che stualizza nel proprio luogo e nel proprio trae vigore da un culto ben localizzato e di tempo, legandola alla devozione del duca radicata tradizione, nel quale si riconosce- Della Rovere, del quale non si esclude un va un’intera collettività.

1 I risultati della ricerca sono editi in Mari- 9 Paolino di Nola, op. cit., XXXI, 5, p. 215. lena Luzietti, Culto e rappresentazioni della Vera 10 «Ma ogni donna che prega e profetizza sen- Croce nell’età della Controriforma. Itinerario nei za velo sul capo, manca di riguardo al proprio capo, territori dello Stato Pontificio, Pubblicazioni aper- poiché è lo stesso che se fosse rasata (1Cor 11, 4)». te digitali della Sapienza, http://padis.uniroma1.it/ Sull’argomento si veda Giancarlo Biguzzi, Velo e si- handle/10805/2278, 2013. lenzio: Paolo e la donna in 1 Cor 11, 2-16 e 14, 33b- 2 Luciana Cassanelli, Oltre Raffaello: aspet- 36, EDB, Bologna 2001. ti della cultura figurativa nel Cinquecento romano, 11 Danil Egumeno, Itinerario in Terra Santa, Multigrafica Editrice, Roma 1984, scheda 6.4, pp. cur. Marcello Garzaniti, Città Nuova, Roma 1991, 154-155. p. 92; Giovanni Tarcagnota, Istorie del mondo, 3 Maria Giulia Aurigemma, Sacra in Tower: Giunti, Venezia 1585, p. 179. Un approfondimento the Cardinal of Augsburg’s Paintings and Reliqua- sulla questione in Marilena Luzietti, Culto e rappre- ries in 1566, in Gail Feigenbaum (a cura), Sacred sentazioni della Vera Croce cit., p. 92. Possessions: Collecting Italian Religious Art 1500- 12 Barbara Baert, A Heritage of Holy Wood: 1900, Getty Research Institute, Los Angeles 2011, The Legend of the True Cross in Text and Image, pp. 91, 93. Brill, Leiden-Boston 2004, p. 252. 4 Francesco Scannelli, Il microcosmo della 13 Marilena Luzietti, Culto e rappresentazioni pittura overo Trattato diviso in due libri, Neri, Cese- della Vera Croce cit., pp. 119-133. na 1657, p. 190. 14 Matteo Ceriana, Tre schede marchigiane, in 5 Per l’iconografia della basilica del Santo Luigi Banfi, Studi letterari ed artistici, Istituti edito- Sepolcro in Occidente si veda Damiano Neri, Il S. riali e poligrafici internazionali, Pisa 1999, pp. 53-57. Sepolcro riprodotto in Occidente, Franciscan Print. 15 Massimo Moretti, Giorgio Picchi da Ca- Press, Gerusalemme 1971. steldurante, in Anna Maria Ambrosini Massari (a 6 Rufino, Storia Ecclesiastica, cur. Lorenzo cura), Nel segno di Barocci, Motta, Milano 2005, pp. Dattrino, Città Nuova, Roma 1997, X, 7-8, pp. 81- 198-219, in particolare pp. 205, 219. Sulla decora- 83; Socrate di Costantinopoli, Histoire ecclésiasti- zione della volta dell’oratorio della Croce di Urbino: que, cur. Pierre Perichon, Pierre Maraval, Les édi- Cristian Camanzi, La volta dipinta dell’oratorio di tion du Cerf, Parigi 2004, I, XVII, 1-13, pp. 174-181; S. Croce: analisi tecnico-conservativa, tesi di lau- Teodoreto di Cirro, Storia Ecclesiastica, cur. An- rea, rel. Elena Billi, Università degli studi di Urbi- tonino Gallico, Città Nuova, Roma 2000, I, XVII- no, 2004-2005. Sulla pala di Mercatello sul Metauro: XVIII, pp. 111-115. Luciano Arcangeli, Giorgio Picchi, in Paolo Dal 7 Paolino di Nola, Le Lettere, cur. Giovanni San- Poggetto, Le arti nelle Marche al tempo di Sisto taniello, LER, Napoli 1991, XXXI, 4-6, pp. 214-217. V, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 1992, pp. 8 Jacopo da Varazze, Legenda Aurea, cur. 336-338; Alessandro Marchi (a cura), Seicento ec- Alessandro Vitale Brovarone, Einaudi, Torino centrico, Giunti, Firenze 1999 p. 76, scheda a cura di 2007, LXVIII (L’Invenzione della croce), p. 383. Bonita Cleri; Francesco de Carolis, Giorgio Picchi

147 Studi pesaresi 3.2015 a Mercatello sul Metauro, Centro studi “G. Mazzini”, 24 Silvia Meloni Trkulja, I miniatori di Fran- Fermignano 2007. cesco Maria II cit., pp. 33-38; Georg Gronau, Docu- 16 Si veda il cospicuo materiale iconografico menti artistici urbinati cit., pp. 55-56. edito in Barbara Baert, A Heritage of Holy Wood 25 Firenze. Palazzo Pitti, Galleria Palatina e ap- cit., pp. 194-228. partamenti reali, Inventario 1890, n. 705. 17 Carolyn Valone, Elena Orsini, Daniele da 26 Ivi, Inventario 1890, n. 696. Volterra and the Orsini Chapel, in “Artibus et Histo- 27 Una copia della stampa, facente parte di una riae: an art anthology”, 22, 1990, pp. 79-87; Mari- serie intitolata Crocifissione e martirio degli apostoli, lena Luzietti, Culto e rappresentazioni della Vera è conservata nel British Museum di Londra con il nu- Croce cit., pp. 190-204. mero di inventario 1863, 0509.672. 18 Georg Gronau, Documenti artistici urbina- 28 Una copia della stampa è conservata nel Bri- ti, Firenze 1936, pp. 55-56. tish Museum di Londra con il numero di inventario 19 Silvia Meloni Trkulja, I miniatori di Fran- 1989, 0722.42. cesco Maria II della Rovere, in Galleria Nazionale 29 Sulla devozione del duca verso San Didaco: delle Marche, 1631-1981: un omaggio ai Della Ro- Massimo Moretti, Artisti e committenze roveresche vere, Arti grafiche editoriali, Urbino 1981, pp. 33-38; nella Casteldurante di Francesco Maria II, in Paolo E. Hermens, Memories of Beautiful Colours. The Ma- Dal Poggetto (a cura), I Della Rovere: Piero della riani treatise and the practice of miniature painting, Francesca, Raffaello, Tiziano, Electa, Milano 2004, landscape drawing and botanical illustration at the pp. 195-201, in part. pp. 199-201. Pesaro court in early seventeenth-century Italy, PhD 30 Sull’argomento: Marilena Luzietti, Culto e thesis, Università di Leida 2001; Marco Chiarini, Se- rappresentazioni della Vera Croce cit., pp. 366-392. rena Padovani, Stefano Casciu, La Galleria Palatina 31 Georg Gronau, Documenti artistici urbinati e gli appartamenti reali di Palazzo Pitti, Centro D, Fi- cit., pp. 55-56. renze 2003, pp. 238-240, schede a cura di S. Casciu. 32 Carlo Ginzburg, Indagini su Piero: il Batte- 20 Georg Gronau, Documenti artistici urbinati simo, il Ciclo di Arezzo, la Flagellazione di Urbino, cit., pp. 55-56. Einaudi, Torino 1981, pp. 15-49. 21 Ibidem. 33 Marilena Luzietti, Culto e rappresentazioni 22 Cesare Baronio, Annales Ecclesiastici auc- della Vera Croce cit., pp. 156-162. tore Cesare Baronio sorano e Congregatione Orato- 34 Ibid., pp. 366-367. rii… Tomus tertius (1592), Laurentii Basilii et Anto- 35 Massimo Moretti, La celebrazione dei nii Tivani, Venezia 1707, XLI-XLIX, pp. 292-294. Della Rovere in due dipinti di Giorgio Picchi, Sulla liturgia dell’Inventio crucis: Annibale Bugnini, in Bonita Cleri (a cura), Luoghi e opere d’arte, La liturgia della croce, in Enciclopedia Cattolica, IV, Quattroventi, Urbino 2002, pp. 141-166, in parti- Città del Vaticano 1950, p. 961. colare p. 159. 23 Luciano Berti, La chiesa di Santa Maria del 36 Marilena Luzietti, Culto e rappresentazioni Carmine a Firenze, Firenze 1992, p. 138, f. 43. Sulla della Vera Croce cit., pp. 312-342. fortuna dell’opera di Gregorio Pagani si veda Mari- 37 Fritz Saxl, La storia delle immagini (1957), lena Luzietti, Culto e rappresentazioni della Vera Laterza, Roma-Bari 2005, cap. 1, Continuità e varia- Croce cit., pp. 160-161. zione nel significato delle immagini.

148 Cinque storie bibliche femminili in un affresco di Giannadrea Lazzarini in palazzo Mazzolari a Pesaro

di Margherita Guerra

Una stanza ariosa, ampiamente illumi- Avviato ad una formazione pittorica nata, che affaccia su due delle più impor- presso alcuni modesti artisti locali, subito tanti vie della città, via Rossini e via Maz- dopo l’ordinazione sacerdotale, il Lazzarini zolari, dalle dimensioni modeste rispetto lascia la città natale per raggiungere la più agli enormi spazi degli ambienti attigui. vivace realtà romana, presso la quale sog- Pareti bianche, spoglie, se non per qualche giornerà per diciotto anni dal 1734 al ’48. piccolo quadro appeso senza troppa impor- Riceve in questo periodo una solida forma- tanza, contorni lignei cesellati alle finestre e zione, di stampo antiquario e classicista, ri- alle due porte d’ingresso, pavimento in cot- manendo comunque strettamente legato al to. Un ambiente anonimo, come tanti altri contesto marchigiano anche entrando a far all’interno di quei numerosi palazzi signori- parte della bottega del conterraneo France- li di cui la città di Pesaro è popolata. sco Mancini. Una volta rientrato a Pesaro, La presenza di un affresco sulla volta il Lazzarini inizia un periodo di intensa della stanza cattura l’attenzione di chi vi attività, mettendo in pratica tutti quegli in- entra, portando lo sguardo in alto, ad incu- segnamenti e quell’esperienze accumula- riosirsi per quelle scene veterotestamentarie te durante il periodo romano. Inizia così a di cui si è perso il significato, la storia, il collaborare con due delle più eminenti per- nome. Palazzo Mazzolari Mosca in Pesaro sonalità locali del tempo, Annibale degli è il contenitore, lo scrigno di questo affre- Abbati Olivieri e Giovan Battista Passeri, sco di cui, tanto i pesaresi quanto gli studio- con lo scopo comune di rendere la perife- si, sembrano aver perso conoscenza o non rica città di Pesaro una piccola Atene 2, un averne mai avuta. centro ricettivo rispetto alle più vivaci e in- Autore e ideatore dell’affresco, come teressanti influenze culturali del tempo. La dell’intero programma iconografico del pa- grande erudizione dei tre pesaresi fa sì che lazzo è la celebre personalità del canonico e l’ambiente locale possa rimanere al passo pittore Giannandrea Lazzarini. La fama, lo con i più grandi centri culturali settecente- spessore culturale ed intellettuale, oltreché schi, primo fra tutti Roma. religioso del Lazzarini sono ampiamente All’interno di un clima culturale parti- note agli studiosi, che riconoscono a tale colarmente florido e vivace per la città di figura il merito di aver notevolmente contri- Pesaro, quindi, si inserisce la committenza buito alla cultura eclettica della Pesaro del e la realizzazione, da parte del Lazzarini, Settecento 1. del palazzo Mazzolari e di conseguenza an-

149 Studi pesaresi 3.2015

che quella dell’affresco oggetto di studio. A partite dal 1763 vengono, infatti, avviate le pratiche per l’inizio del cantiere del palazzo, commissionato da Antonio Maria Mazzola- ri al Lazzarini che ne elaborò il progetto. La famiglia Mazzolari, di cui Antonio Maria è a questa data il capofamiglia, non era originaria di Pesaro, ma proveniva, se- condo quanto attestato dai documenti dello studioso Domenico Bonamini, dalla città di Cremona «dove si erano distinti quali ricchi ed onorati commercianti» 3, quindi una fa- miglia di origine non nobile che si era creata da sola la propria fortuna. Il Bonamini non riporta la data o il periodo in cui la famiglia si trasferisce a Pesaro, ma si deve ritenere, grazie ad altri documenti, che questa fosse in città già intorno al 1760. Al momento della commessa ricevuta dal Mazzolari, il Figura 1 – G. Lazzarini, Lazzarini era già stato coinvolto in attivi- palazzo Mazzolari, Pesaro. tà a carattere architettonico e nella realiz- zazione di opere pittoriche. Prima di tale data, infatti, aveva già progettato e realizza- to palazzo Olivieri-Machirelli 4, quello che oggi è il Conservatorio Rossini, dell’amico Annibale Abbati Olivieri, curandone anche l’aspetto decorativo. Il Mazzolari, dunque, fu sicuramente spinto dagli esempi e dai precedenti positivi che il Lazzarini aveva già realizzato a Pesaro, e dalla garanzia che questa nuova committenza potesse essere altrettanto significativa. Il palazzo Mazzolari (figg. 1-2) ha una struttura che si allontana per forma e per impostazione progettuale dalle precedenti fabbriche delle stesso architetto, essendo molto meno barocco e più classicheggiante. In particolare, la parte centrale della faccia- ta ben esemplifica queste caratteristiche: la superficie, leggermente aggettante, è realiz- Figura 2 – G. Lazzarini, zata attraverso un bugnato liscio, arricchito palazzo Mazzolari, Pesaro. dalla presenza di quattro colonne bianche

150 Margherita Guerra Cinque storie bibliche femminili in un affresco di Giannadrea Lazzarini che si staccano dalla parete e dividono la zona in tre sezioni, di cui quella centra- le è più ampia per la presenza del portale d’ingresso, conferendo inoltre ritmo all’an- damento lineare della facciata. I due piani superiori riprendono la scansione proposta al pian terreno. Il piano nobile risulta però ulteriormente arricchito dall’apertura di una grande finestra a serliana e dalla presenza di un balcone e di paraste ioniche in asse con le colonne sottostanti. La parte termi- nale della facciata è piuttosto confusa, si nota, infatti, una sorta di asimmetria nelle varie componenti, che spezza il ritmo ini- ziato al pian terreno, ma che non rovina la linearità dell’insieme. Il restante della fac- ciata presenta caratteri equilibrati e sontuo- si. Mantenendosi fedele ai canoni architet- tonici classici, gli elementi decorativi della facciata vanno scandendosi per piani, così Figura 3 – Lazzarini, Scalone, palazzo Mazzolari. che al pian terreno si trova l’ordine dorico, al secondo quello ionico e al terzo quello corinzio. La fascia centrale risulta essere la più ricca di decorazioni, mentre le restanti zone sono più sobrie, con la solo incornicia- tura delle finestre. L’intera struttura del palazzo si articola intorno al grande cortile interno, che funge da perno per i diversi corpi di fabbrica. Ad esso si accede percorrendo il vasto andro- ne coperto con volta a botte. Il Lazzarini propone attraverso la congiuntura ingresso- androne-cortile un impianto prospettico a cannocchiale in cui il visitatore ha una vi- sione d’insieme dilatata ed allungata. Altra condizione di forte originalità all’interno del palazzo Mazzolari è data dallo scalone principale (figg. 3-4). Questa componente, che risulta essere uno degli elementi di- stintivi del Lazzarini architetto, segna un momento di superamento rispetto alle pre- cedenti costruzioni più barocche. In questo Figura 4 – Lazzarini, Scalone, palazzo Mazzolari.

151 Studi pesaresi 3.2015 caso le quattro snelle colonne ioniche, con secondo luogo per la necessità giudiziaria capitelli lapidei ornati da ghirlande di fiori, di mantener fede al progetto originale. si impostano ai vertici del pozzo centrale e Nonostante esistano lettere e documen- sorreggono da sole il peso delle rampe su- ti che attestino le vicende legali e in parte periori, conferendo un senso di aerea leg- anche quelle architettoniche legate a palaz- gerezza, accentuata dal motivo degli archi zo Mazzolari, non si riscontra a tutt’oggi rampanti. Ogni rampa di scale, per un totale alcuna documentazione che possa fornire di quattro, è caratterizzata da volte a vela informazioni circa l’apparato decorativo in- inclinate, i pianerottoli invece sono decorati terno. Ciò che colpisce maggiormente è il con semplici volte a vela arricchite da sfon- fatto che l’intera struttura, ad eccezione del dati nei pennacchi. pian terreno, presenti varie tipologie deco- L’organizzazione degli spazi interni rative, di buona esecuzione, che inducono dell’edificio è perfettamente combinata con ad ipotizzare la presenza di una progettazio- le varie componenti architettoniche esterne. ne alla base. Si deve considerare che prima Il piano nobile si apre con una loggia, che della vertenza e dell’abbandono del cantiere richiama lo spazio del loggiato sottostan- pesarese, con molta probabilità il Lazzarini te e che funge da disimpegno per il piano, aveva già indicato le linee guida per la de- chiusa con vetri colorati alla fine del secolo corazione pittorica, che verrà poi eseguita scorso. A questo spazio è accostata una gal- dai suoi allievi. Si potrebbe, però, supporre leria, che il Lazzarini definisce come l’am- che la mancanza del maestro alla direzione biente più importante del piano nobile. In dei lavori, possa comunque aver determi- totale il piano si compone di 24 stanze, tra nato una non omogeneità del programma grandi e piccole, due cucine, due corridoi e pittorico, che presenta, infatti, differenti due latrine 5. tipologie decorative nei vari ambienti del A partire già dalla prima fase dei lavo- palazzo. ri il rapporto tra il Lazzarini e il Mazzolari La prima sezione decorativa che si in- entra, però, in crisi, tanto che l’architetto contra entrando nel piano nobile è quella abbandona il cantiere ed intenta una causa della loggia (fig. 5), che propone motivi d’i- che verrà discussa anni dopo al Tribunale spirazione pompeiana e decorazioni a grot- di Roma 6. Il ruolo di direttore dei lavori tesche. Anche nella piccola galleria (fig. 6) viene allora affidato a Tommaso Biccia- sono presenti, decorazioni di gusto neoclas- glia, allievo del Lazzarini, che è chiamato sico. Questi primi due spazi presentano una a mantenersi fedele ai progetti del maestro forte omogeneità che andrà poi perdendosi e a dimostrare, più tardi, l’ortodossia del nelle stanze successive. suo lavoro rispetto al modello originale. Il Secondo la disposizione generale degli fatto che il Lazzarini abbia lasciato la fab- ambienti del piano nobile, lo spazio imme- brica ancora nella sua fase iniziale non ha diatamente successivo alla galleria è quello in realtà pregiudicato la resa conclusiva dei del salone centrale (fig. 7), la cui decorazio- lavori. In primo luogo poiché, come testi- ne è però riferibile al periodo della marche- moniato dalla corrispondenza tra il Lazza- sa Vittoria Mosca 8, ossia alla seconda metà rini e il Bicciaglia 7, il maestro continuava dell’Ottocento, in quanto nella fase sette- ad informarsi sullo sviluppo dei lavori, in centesca la volta non presentava decorazio-

152 Margherita Guerra Cinque storie bibliche femminili in un affresco di Giannadrea Lazzarini

Figura 5 – G. Lazzarini, Loggia del piano Figura 6 – G. Lazzarini, Galleria piano nobile, palazzo Mazzolari. nobile, palazzo Mazzolari.

Figura 7 – G. Lazzarini, Salone piano nobile, Figura 8 – G. Lazzarini, Affresco con scene palazzo Mazzolari. veterotestamentarie, palazzo Mazzolari.

153 Studi pesaresi 3.2015 ni. Sempre di derivazione lazzariniana è la za, dietro questa specifica decorazione, di decorazione che precede la sala dell’alcova; una necessità o forse di una richiesta del si tratta di un ambiente non troppo grande in tutto particolari. cui si ripropone il motivo delle grottesche, La formazione religiosa e teologica del legato ad una componente decorativa tardo Lazzarini fornisce subito una legittimazione roccocò. Una decorazione simile si ritrova alla presenza e alla natura stessa dell’affre- nella stanza a destra del salone principale, sco, in linea con altre decorazioni parietali ancora caratterizzata dalla presenza di amo- dello stesso artista, come quelle presenti a rini che si muovono in una sezione di cielo, palazzo Gradari 9. Completamente diver- dove ancora più forte è la componente neo- sa risulta però la natura e la composizione classica, resa in maniera più sobria ed ele- dell’affresco di palazzo Mazzolari, nel quale gante del precedente spazio. Sempre legato vengono raccontate all’interno di scomparti al motivo delle grottesche è l’impianto de- ottagonali cinque storie dell’Antico Testa- corativo del soffitto di un’altra sala del pia- mento. Indagando con più meticolosità è no nobile, comunicante con il salone dorato stato possibile arrivare alla comprensione dove un complesso apparato di sfingi, volu- dell’iconografia che, aspetto ancor più inte- te, erme, inserti floreali arricchisce e deco- ressante, risulta legato in prevalenza a vicen- ra l’ambiente. Si allontana dalla sobrietà e de e figure femminili del Vecchio Testamen- dall’equilibrio dello stile neoclassico la sala to. Questa è sicuramente una novità nella dell’alcova, legata alla fase settecentesca produzione lazzariniana, poiché non si rin- dei lavori, in cui si rintracciano ascenden- tracciano precedenti illustrazioni di questo ze roccocò e festosità barocche. Il soffitto tema nelle opere del pittore, benché il Lazza- è tutto giocato su illusionismi prospettici, rini non fosse sicuramente estraneo a questa come l’apertura di un piccolo oculo nella tipologia di soggetti. Tutto lascia ipotizzare zona centrale ad intravedere l’azzurro del che alla base di questa scelta, vi sia stata una cielo, finte mensole, ghirlande che sembra- richiesta precisa dei committenti. no sospese, e nicchie a conchiglia ricoperte A questo proposito risulta necessario di fiori. avere maggiori informazioni sulla famiglia Ultima, ma non per importanza, la stan- Mazzolari, al fine di delineare meglio le ra- za attigua alla sala dell’alcova, nella quale gioni delle scelte architettonico-decorative per la prima volta compare, tra le decora- del palazzo. zioni parietali dell’edificio, un affresco a Attraverso le analisi condotte dallo stori- carattere religioso (fig. 8). Nello specifico, co Bonanimi è possibile conoscere la fami- la decorazione si sviluppa nella volta con glia committente, grazie alla ricostruzione scene dell’Antico Testamento. Particolar- del suo albero genealogico. Il capostipite, mente significativo è il fatto che non siano Filippo Mazzolari, agli inizi del Settecento, presenti all’interno del palazzo altre deco- si unisce in matrimonio con Cecilia Some- razioni con tematiche a carattere sacro. Al zia, dalla quale ebbe tre figli maschi: Giu- contrario l’intero programma iconografico seppe, Antonio Maria e Giovanni 10. Dei tre mostra un’impostazione lontana dal carat- solo Antonio Maria si sposò ed ebbe a sua tere moraleggiante delle scene veterotesta- volta dei figli, mentre gli altri due fratelli mentarie. È dunque ipotizzabile la presen- vengono segnalati quali uomini di chiesa,

154 Margherita Guerra Cinque storie bibliche femminili in un affresco di Giannadrea Lazzarini affiliati alla Compagnia di Gesù. Antonio una scimitarra come sola arma di difesa per Maria si sposò con Maria Zoglio ed ebbe da il suo viaggio. Con uno slancio del corpo questa un solo figlio maschio, il cav. Fran- si rivolge alla giovane che ha davanti, in cesco Mazzolari. La committenza del pa- una mano tiene dei gioielli e fiori bianchi, lazzo Mazzolari è legata a uno degli ultimi simbolo di purezza, con l’altra indica i suoi componenti della famiglia, Antonio Maria, cammelli. In questa maniera il pittore co- che si trasferirà con moglie e figlio presso la niuga insieme momenti separati del raccon- nuova residenza 11, realizzata appositamen- to. Rebecca offre dell’acqua a Eleazar e ai te per lui. suoi cammelli, per ristorarlo dopo il lungo Non esistendo documentazione di sorta viaggio, pur essendo per lei uno straniero. che attesti eventuali accordi tra il Lazzarini Il comportamento della giovane illumina e il Mazzolari, né altre forme d’intesa re- Eleazar: i gesti altruisti e puri di Rebecca lative tanto alla componente architettonica gli permettono di riconoscere in lei la futura quanto a quella decorativa del palazzo, ci moglie per il figlio del suo padrone, colei è possibile, dunque, avanzare solo delle che stava cercando. ipotesi sulla base dell’analisi iconografica Del tutto fedele al contesto biblico, l’af- dell’affresco veterotestamentario. fresco propone come unico elemento d’in- L’impostazione delle scene avviene se- ventiva pittorica il paesaggio nello sfondo. condo uno schema ordinato, geometrico, Qui si intravede una città fortificata, circon- di ascendenza neoclassica. I cinque scom- data da mura con un’alta torre, ancor più parti ottagonali che compongono la volta, in lontananza un altro borgo. La resa dei insieme ad altri elementi decorativi, vanno personaggi risulta molto naturale, plastica, letti secondo un preciso percorso. Il pun- chiaramente leggibile. to di partenza è sicuramente rintracciabile Altre tre figure si inseriscono nella com- nell’ottagono centrale, che presenta dimen- posizione: due donne, una accovacciata a sioni maggiori rispetto agli altri, e nel quale terra, di spalle, che si volta ad osserva la viene rappresentata la scena con Rebecca al scena, l’altra con una brocca in testa, e un pozzo (fig. 9). L’episodio viene raffigurato ragazzo che controlla i cammelli. La resa attraverso una ripresa filologica del testo dell’episodio risulta particolarmente feli- biblico 12. All’interno di un contesto pae- ce, nonostante si articoli all’interno di uno saggistico assai semplice, geograficamente spazio serrato e rigido. La composizione ha riconducibile ad una zona desertica, il per- il suo fulcro nella parte centrale, là dove si sonaggio di Rebecca appare con i tratti di muovono e animano i personaggi. Il pozzo, una giovane pudica, di bell’aspetto, sem- come sempre accade nelle raffigurazioni plice, innocente. Frontalmente al pubblico, di questo episodio, è il fulcro dell’azione, Rebecca versa dell’acqua in una brocca l’anello di congiunzione, è l’elemento sim- posta ai suoi piedi, indossa abiti modesti, bolico di purezza ma anche della fecondità una sorta di turbante sui capelli, ha un viso matrimoniale 13. L’impostazione generale pulito, candido. Il personaggio di Eleazar è dell’episodio è molto semplice, votata ad raffigurato di spalle, il volto di profilo sotto- una lettura chiara, diretta, immediatamente linea l’espressione di muta richiesta, porta comprensibile. Questa forma di semplifi- un lungo abito azzurro, calzari alla romana, cazione, di asciugatura, di pulitura da ogni

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Figura 9 – G. Lazzarini, Rebecca al pozzo, palazzo Mazzolari, sala con scene veterotestamentarie.

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Figura 10 – F. Solimena, Rebecca al pozzo, San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage.

157 Studi pesaresi 3.2015 elemento superfluo è di fatto comune alla appare semplice, chiara e ordinata nella produzione lazzariniana, e risponde ai det- distribuzione dei personaggi, d’immedia- tami teorici dello stesso pittore 14. to impatto visivo. È molto probabile che il Analizzando con attenzione l’episodio Lazzarini abbia tenuto conto e preso in con- dell’affresco lazzariniano, si riscontrata una siderazione l’opera del Poussin per la rea- certa somiglianza, solo per quanto concerne lizzazione della scena di Rebecca al pozzo la scelta iconografica, con l’opera Rebecca nell’affresco pesarese. Non a caso, infatti, al pozzo del pittore napoletano Francesco si nota una certa somiglianza nelle pose e Solimena 15 (fig. 10). Lontana in realtà dai nei gesti dei personaggi, nell’impostazione fasti barocchi che sono tipici del pittore na- generale dell’opera. poletano, la scena di Rebecca al pozzo del L’episodio biblico di Rebecca al pozzo Lazzarini si incontra con quella del Solime- gode di un’ampia diffusione nella storia na nella disposizione dei personaggi, nelle dell’arte. Sin dal Medioevo il personaggio pose di questi, nell’originalità della com- di Rebecca viene connotato quale modello posizione. Se si confrontano le due opere coniugale, di profondo e radicato “senso al- si nota soprattutto una forte analogia per trui”, di disponibilità e generosità sincera, quanto riguarda i gesti e le espressioni dei meriti e qualità che la identificano come la due protagonisti. Al tono teatrale ed esube- moglie perfetta. Ecco allora che la scelta di rante del Solimena, sembra sostituirsi nella tal soggetto avrebbe dovuto instillare nella composizione del Lazzarini una dimensio- donna, nella moglie, che leggeva o osser- ne più parca, dimessa, sobria che il pittore vava le vicende del personaggio biblico, pesarese ricava da un altro grande del suo un’ossequiosa forma di imitazione. tempo, il francese Nicolas Poussin 16. L’in- Si fa strada a questo punto l’idea che teresse che il Lazzarini ebbe per questo pit- l’ambiente e la destinazione dell’affresco si- tore è di fatto già evidente nella sua Disser- ano da collegarsi ad un componente femmi- tazione sulla Pittura 17, dove Poussin viene nile della famiglia Mazzolari, poiché come segnalato come uno dei modelli supremi, si vedrà anche oltre, la scelta degli episodi e le cui opere debbano essere disegnate dagli dei personaggi si confanno molto più ad una allievi come primo esercizio. Dal Poussin, donna che ad un uomo. I pochi documenti il Lazzarini ricava il senso di equilibrio, legati alla ricostruzione della famiglia Maz- l’eleganza compositiva, i toni calibrati che zolari, forniscono comunque un dato interes- vengono impiegati nella composizione in sante, in particolare negli Stati d’anime della maniera armoniosa. Cattedrale del 1768, si attesta la presenza Tutto ciò emerge anche nel dipinto raf- presso palazzo Mazzolari della moglie del figurante Rebecca ed Eleazar di Poussin proprietario, Anna Maria di 37 anni e del fi- (fig. 11), realizzato nel 1648 per il banchie- glio Francesco di 7 anni 18, inducendoci ad re Jean Pointel. Il dipinto è un esito maturo ipotizzare che questa sala fosse legata pro- della produzione dell’artista, in cui si espri- prio alla figura della moglie del Mazzolari. me chiaramente il classicismo rigoroso, lo Continuando nella lettura dell’affresco si studio archeologico condotto durante il sog- passa all’analisi di un altro episodio, quello giorno romano e l’elaborazione delle forme raffigurante Rebecca lascia la casa paterna e degli ideali del mondo antico. L’opera (fig. 12). La scena si articola all’interno di

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Figura 11 – N. Poussin, Rebecca ed Eleazar, Parigi, Musée du Louvre.

Figura 12 – G. Lazzarini, Rebecca lascia la casa paterna, palazzo Mazzolari, sala con scene veterotestamentarie.

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Figura 13 – F. Solimena, Rebecca lascia la casa paterna, Aiaccio, Musée Fesch. uno sfondo architettonico ben studiato, uno tuel, padre della giovane, anche lui in abiti scorcio di palazzo che fa da cornice all’e- signorili, con una sorta di berretta rossa sul vento. In primo piano è la figura di Rebecca, capo, si avvicina alla figlia, l’abbraccia e che appare come decontestualizzata rispetto lascia che parta per il suo viaggio. Oltre al al tempo della narrazione, è resa, infatti, sia personaggio di Rebecca e a quello del pa- nell’abito che nell’acconciatura molto più dre, protagonisti dell’episodio, compaiono simile a una donna del Settecento che a una altre figure: una di queste è probabilmente figura biblica. I suoi abiti, particolarmente la madre, che come una matrona romana, sontuosi e ricercati così come la presenza di raccolta in ampie vesti, osserva attenta l’e- un’acconciatura di piume intorno al capo, vento. segnalano inoltre un momento importante Non esistono molte raffigurazioni di nella vita della donna. Un paggetto le si- questo momento della storia di Rebecca, stema il rigonfiamento della gonna e ne ac- che è sicuramente un episodio meno diffuso compagna i passi. Con un inchino Rebecca nella tradizione iconografica del soggetto. bacia la mano del padre, dal quale riceve la In una chiave di lettura più quotidiana l’e- benedizione prima di partire per raggiunge- pisodio mette in luce un momento signifi- re la casa del futuro sposo, Isacco 19. Be- cativo per la vita di qualsiasi donna, quello

160 Margherita Guerra Cinque storie bibliche femminili in un affresco di Giannadrea Lazzarini del passaggio dalla casa paterna a quella co- senza bisogno di grandi modifiche rispetto niugale. Si tratta di un “viaggio” importan- al dipinto del napoletano, così come per la te che segna un cambiamento nell’intimità componente architettonica. femminile, una crescita e un passaggio dal La scelta di questo episodio biblico toc- mondo giovanile a quello adulto. La forza ca corde personali, intime e si rivolge forse del personaggio di Rebecca esemplifica in alla donna che in questo palazzo entrò come maniera chiara e diretta lo spessore del mo- moglie, compagna del proprietario, abban- mento, il cambiamento che tocca l’interiori- donando la veste di figlia per intraprende- tà della donna. Il momento del saluto è reso re il ruolo, più difficile, di moglie e poi di con grande trasporto: per la partenza della madre. giovane si raccolgono i parenti ma anche Il terzo tassello nell’affresco pesarese altre figure che partecipano con emozione è costituito dall’episodio con Rachele che al commiato. nasconde gli idoli del padre (fig. 14). La Ma l’aspetto più interessante è il fatto vicenda biblica va collocata all’interno del che l’episodio sia costruito con uno speci- viaggio di ritorno di Giacobbe presso la ter- fico riferimento all’opera Rebecca lascia la ra paterna, Canaan 20. Dopo aver prestato casa paterna del pittore Francesco Solime- lavoro per quattordici anni presso il suocero na (fig. 13). La somiglianza tra le due ope- Làbano, Giacobbe decide, spinto dalla se- re e l’attenzione che il Lazzarini dimostra conda moglie, Rachele, di tornare presso la verso la produzione dell’autore napoletano terra natale e portare con sé la famiglia e le mettono in luce il forte legame con la pro- ricchezze accumulate negli anni di servizio. duzione barocca del tempo, che viene però Prima della partenza Rachele, all’insaputa qui riadattata a canoni più composti e meno del marito, ruba al padre gli idoli pagani a impetuosi. Prendendo a riferimento l’opera cui è profondamente devoto e li nasconde del Solimena, il Lazzarini concentra l’at- nella gobba del suo cammello. Venuto a tenzione solo sulla parte centrale del dipin- conoscenza della partenza di Giacobbe e to, riportando questa sezione nell’episodio non trovando più i suoi idoli Làbano decide pesarese. Viene, infatti, scelto di eliminare d’inseguire il gruppo, già in viaggio da tre tutta la parte di contorno, che non solo non giorni. Una volta raggiunto inizia a cerca- avrebbe trovato spazio nella limitata corni- re la refurtiva senza però trovarla, poiché ce dell’affresco, ma sarebbe risultata super- la figlia, fingendosi mestruata, riesce a na- flua. A dispetto del dipinto del Solimena, scondere sotto di sé gli idoli. L’episodio ha l’affresco del Lazzarini, nasce con lo scopo una certa diffusione nell’ambito artistico e di colpire lo spettatore con la sua immedia- può venir letto come un tentativo da parte tezza, senza bisogno di fronzoli eccessivi. di Rachele di convertire o allontanare dal Di qui la scelta di prendere come modello paganesimo il padre. il pittore napoletano che grazie all’impo- La rappresentazione dell’episodio nenza e alla forza espressiva delle sue opere nell’affresco pesarese si articola all’interno riesce a catturare l’attenzione del pubblico. di una cornice ottagonale, in una dimensio- La figura di Rebecca, quella del padre, della ne paesaggistica molto più aperta rispetto a madre e degli altri tre personaggi vengono quella delle altre vicende. La figura di Ra- riprodotte con ugual pose ed espressioni chele è seduta al di sopra di un sacco e tiene

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Figura 14 – G. Lazzarini, Rachele nasconde gli idoli del padre, palazzo Mazzolari, sala con scene veterotestamentarie. al suo fianco un bambino completamente della donna, che con una certa nonchalan- nudo. Accanto a lei una serie di oggetti di ce nasconde la refurtiva. Il personaggio di vario tipo, tra cui anfore e brocche sparse Rachele esprime con questo gesto, come a terra. Due personaggi maschili, nei qua- attestato dalla tradizione, un profondo amo- li si potrebbero riconoscere i personaggi re nei confronti del marito e una pungente di Làbano, il più anziano tra i due, e Gia- astuzia, impiegata per raggirare il padre. cobbe in abito blu, frugano all’interno di Ciò che colpisce a questo punto è il fat- un baule, nel quale sembrano cercare degli to che l’episodio affrescato dal Lazzarini oggetti. Dietro di loro altri uomini con ba- abbia una pressoché totale somiglianza con stoni e cammelli, a ricordare il viaggio che un’incisione dell’artista Jacopo Amigoni sta compiendo la comitiva. Molto ben resa (fig. 15) 21 Osservando con attenzione le due è la componente paesaggistica della scena opere si nota la forte identità tra i soggetti, della quale si notano le montagne che fanno affinità impressionante sia nell’idea gene- da sfondo, gli alberi e i cespugli in primo rale della composizione che nei dettagli. In piano. La composizione pesarese non si di- questo caso il Lazzarini non apporta nessuna scosta dalla tradizione iconografica dell’e- modifica, ma al contrario rimane totalmente pisodio biblico, in cui centrale è la figura fedele al modello dell’Amigoni. Con molta

162 Margherita Guerra Cinque storie bibliche femminili in un affresco di Giannadrea Lazzarini probabilità l’incisione del pittore napoletano rispondeva in maniera diretta a quelle esigen- ze di semplicità, forte impatto visivo e chia- rezza comunicativa che il Lazzarini ricercò e adottò nell’intero affresco pesarese. Questa condizione non solo permette di sottolineare i legami che il pittore e canonico intratteneva con la città partenopea, ma in linea più gene- rale, il connubio culturale esistente tra la città pesarese e i centri artistico-intellettuali della Napoli del tempo. Figura 15 – J. Amigoni, Rebecca nasconde gli idoli al padre Làbano, Monza. Le incisioni erano allora sicuramente il mezzo più rapido e pratico per la diffusio- ne e la conoscenza delle opere artistiche e dalla sorella del Faraone. Questa lo fa allat- lo stesso Lazzarini, ne siamo a conoscenza, tare da una balia e una volta cresciuto lo fa era in possesso di una cospicua raccolta 22. riconoscere come uno dei figli del Faraone, Tra gli artisti più apprezzati dal pesare- chiamandolo Mosè, poiché lei lo aveva sal- se troviamo Raffaello, Poussin (Poussino, vato dalle acque. come era chiamato in Italia), numerosi ar- L’affresco pesarese è costruito proprio tisti rinascimentali, ma non possiamo certo attorno al personaggio della figlia del Fa- escludere la presenza di artisti napoletani. raone, che emerge dal gruppo per il fare La scelta dell’episodio di Rachele che elegante. La donna si trova al centro della nasconde gli idoli del padre per l’affresco composizione avvolta in un ampio mantello pesarese è sicuramente legata alla forte ca- blu, un piccolo turbante in capo, con vesti rica emotiva del personaggio femminile. raffinate e sontuose che segnalano la sua Innanzi tutto bisogna sottolineare la tradi- condizione regale. Con fare deciso e digni- zionale natura positiva del personaggio di toso osserva la cesta al cui interno si muove Rachele, in secondo luogo ricordare le qua- il piccolo Mosè. Le fanno da contorno le lità attribuibili alla donna come la sua in- sue ancelle, una delle quali è inginocchiata traprendenza, l’attenzione che rivolge alle sulla riva del fiume per sollevare dall’acque vicende della sua famiglia, la fedeltà e la la cesta con il bambino. Si notano all’inter- devozione al marito. Da sole tutte queste no dell’affresco due figure di bambini che caratteristiche tracciano un modello di fem- osservano divertiti l’accaduto. Sullo sfondo minilità esemplare. appare un insieme di edifici tra i quali è ben Altro episodio raffigurato nell’affresco riconoscibile la presenza di una piramide, a pesarese è quello di Mosè salvato dalle ac- contestualizzare il luogo e l’epoca. que (fig. 16). Nel passo dell’Esodo23 si rac- Ancora una volta i toni calibrati, compo- conta come, abbandonato dalla madre per sti e razionali alla base dell’episodio lazza- via della persecuzione del Faraone, Mosè riniano, testimoniano il legame che l’artista venga adagiato sulle acque del Nilo all’in- pesarese ha con gli esempi e le forme neo- terno di un canestro di giunchi, e salvato classiche del suo tempo, ma ancor più par-

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Figura 16 – G. Lazzarini, Mosè salvato dalle acque, palazzo Mazzolari, sala con scene veterotestamentarie,

Figura 17 – N. Poussin, Mosè salvato dalle acque, Parigi, Musée du Louvre.

164 Margherita Guerra Cinque storie bibliche femminili in un affresco di Giannadrea Lazzarini lano del riferimento ai moduli pittorici del glie Maria ebbero un unico figlio maschio, Poussin. L’opera Mosè salvato dalle acque Francesco, al quale destinarono tutte le (fig. 17) del pittore francese viene con mol- ricchezze e i beni di famiglia, compreso il ta probabilità presa a riferimento dal Lazza- palazzo. La nascita di Francesco avvenne rini, per la resa asciutta, semplice, al fine di relativamente tardi, quando la madre ave- una diretta comunicazione e comprensione va ormai trent’anni, una nascita fortemente dell’episodio. Si nota una certa somiglianza desiderata, attesa, ancor più gradita per il tra l’opera del Poussin e l’affresco pesarese, sesso maschile del bambino 24. Si può così soprattutto nella scelta dei soggetti, nella meglio comprendere il possibile legame loro disposizione, nel richiamo paesaggi- biografico tra l’episodio in questione, dove stico della piramide sullo sfondo che con- il salvataggio di Mosè dalle acque e l’ado- testualizza la scena. Altri elementi vengono zione del bambino a figlio del faraone, ha al contrario eliminati, come la presenza an- un suo corrispettivo nelle vicende della fa- tropomorfa del fiume Nilo, e l’uomo sulla miglia Mazzolari, ossia nella nascita tanto piccola barca che raggiunge la riva. attesa del primogenito Francesco. Continuando a mantenere come ipote- L’ultima scena dell’affresco lazzarinia- si di base l’idea che l’affresco e la stanza no è quella con l’episodio di Tobia che gua- in cui questo è inserito, fossero destina- risce il padre con le viscere del pesce (fig. ti ad una donna, si può leggere l’episodio 18). La scena in questione è l’unica delle con Mosè e la principessa egizia come una cinque che compongono la volta, a presen- parentesi “materna”. Il Mazzolari e la mo- tare un cattivo stato di conservazione e più

Fig. 18 – G. Lazzarini, Tobia che guarisce il padre con le viscere del pesce, palazzo Mazzolari, sala con scene veterotestamentarie.

165 Studi pesaresi 3.2015 strati di ridipintura. Nonostante questo dato Lazzarini con l’aiuto degli allievi, rappre- l’episodio risulta ancora leggibile e permet- sentò l’intera storia del personaggio prima te di riconoscere il soggetto narrato. L’epi- dell’affresco pesarese, in una serie di otto sodio viene pensato all’interno di una casa tavole da collocare in un convento di Osi- della quale sono riconoscibili la finestra e mo 25. Si riscontra, quindi, come il Lazzari- alcune parti dell’arredo. Il personaggio di ni e la sua bottega conoscessero già questa Tobia, o Tobiolo, affianca la figura del pa- specifica iconografica, avendola utilizzata dre anziano. Quest’ultimo si avvicina con per commesse precedenti a quella del Maz- il braccio al figlio, come ad abbracciarlo e zolari. lascia che sparga su i suoi occhi l’unguento Non volendo scartare l’ipotesi di una ricavato dalle viscere di un pesce. L’anzia- affezione personale dei committenti alla fi- no padre è seduto su una sedia, porta i segni gura dell’Arcangelo, si potrebbe al tempo della stanchezza e della vecchiaia, come le stesso riconoscere nell’episodio un riman- rughe, la barba e capelli grigi. Un cappello do alla devozione filiale, una cura e un in- rosso, una veste lunga, bianca, e una spe- teresse per il benestare della famiglia. La cie di coperta verde sulle gambe che tocca vicenda parla di una guarigione miracolosa il pavimento. Tobia viene presentato come avvenuta per tramite divino, che potrebbe un giovane di bel aspetto, dai gesti amore- aver riguardato la stessa famiglia Mazzola- voli e premurosi verso la figura paterna. Il ri, la quale cerca in un secondo momento di Lazzarini lo pensa con una tunica marrone ringraziare e gioire per la ritrovata salute di chiaro, un mantello più scuro indossato alla uno dei suoi componenti. romana, e dei calzari ai piedi. La figure del Sempre sull’affresco di palazzo Mazzo- padre e quella del figlio, sono collocate cen- lari a Pesaro, ora che si è meglio delineata tralmente nella scena, al fine di costituirne il la natura e la funzionalità delle storie vete- fulcro, le loro braccia sembrano intrecciarsi rotestamentarie, è possibile avanzare alcuni e incrociarsi, a dimostrazione dell’affetto ipotesi sulla presenza di una mano differen- e dell’intimità della scena raccontata. Due te, alla base della realizzazione dell’affre- donne accompagnano il racconto. Una di sco, che non sia quella del Lazzarini. Dopo queste, forse una serva, prende dell’acqua aver visualizzato tutti gli episodi, averli all’interno di un tinello, l’altra invece, la analizzati e messo in atto confronti tra que- madre di Tobia, segue da vicino la guari- sti e altre decorazioni locali del Lazzarini, gione dell’anziano, incredula per quello che è possibile notare come esista una sottile, sta accadendo, come dimostrano le braccia ma palpabile differenza tra gli esiti artistici rivolte al cielo. Al fine di una diretta com- del maestro e la mano dei suoi allievi nel- prensione dell’episodio, il pittore inserisce la realizzazione del medesimo affresco. Il la figura dell’angelo, al quale vengono mes- fatto che il Lazzarini abbia abbandonato il se le ali e una veste bianca, nonostante il cantiere Mazzolari già nella sua prima fase racconto precisi le sue mentite spoglie. di realizzazione, deve aver comportato un Le vicende e la storia di Tobiolo o Tobia lavoro maggiore, se non totale da parte dei sono particolarmente conosciute e rappre- suoi collaboratori. Infatti, la parte architet- sentate artisticamente, tanto nel Rinasci- tonica del progetto venne affidata in toto mento come nei secoli successivi. Lo stesso al Bicciaglia, che continuerà a rimanere in

166 Margherita Guerra Cinque storie bibliche femminili in un affresco di Giannadrea Lazzarini contatto con il maestro. Si può dunque rite- opere. Il programma iconografico di palazzo nere che anche per quanto riguarda l’aspetto Montani è in realtà impostato su una linea della decorazione pittorica si sia verificata di rimando mitologico e classicheggiante, una condizione simile. Un intervento inte- mentre le decorazioni di palazzo Mazzolari ressante da parte di Maria Rosaria Valazzi presentano soggetti e tematiche tra loro dif- mette in luce come la bottega o scuola del ferenti. Ma ciò che li accomuna è lo schema Lazzarini fosse particolarmente florida e vi- di base, la presenza di stilemi neoclassici, vace 26. I collaboratori del Lazzarini, infatti, l’impostazione geometrica, e soprattutto le lavoravano fianco a fianco nelle commesse scene di narrazione, evidenziano una mano del pittore, specializzandosi ognuno in un comune, un atteggiamento unitario. Emerge settore, e lavorando come una vera e pro- un senso della figura bilanciato, chiaro, ma pria catena di montaggio. La direzione era più dinamico rispetto alla resa intellettuale comunque affidata al maestro, il quale me- del Lazzarini. I soggetti veicolano i loro diava il rapporto con i committenti, trattava sentimenti, mostrano maggiormente la loro le condizioni di pagamento, era il centro fo- interiorità, forse anche grazie al soggiorno cale delle operazioni, ma lasciava al tempo bolognese, alla conoscenza del mondo car- stesso una certa libertà d’inventiva a suoi raccesco che il Paolucci utilizza nelle sue allievi. Il rapporto esistente tra il Lazzarini esecuzioni. e i suoi collaboratori era quindi molto stret- Interessante è il fatto che proprio mentre to, e anche quando questi si trovavano a la- viene avviato il cantiere di palazzo Mazzo- vorare in totale autonomia non mancavano lari, presso il vicino palazzo Olivieri il Laz- di rivolgersi al maestro al fine di avere con- zarini con gli allievi Pietro Tedeschi, Carlo sigli o approvazioni. Esiste inoltre un fitto Paolucci e il nipote Placido Lazzarini rea- carteggio che attesta il legame profondo tra lizza la decorazione delle stanze dell’edifi- i collaboratori e il pittore pesarese 27. cio. È possibile che questo gruppo di lavoro Questa parentesi permette di considerare trovi spazio anche per la commessa Mazzo- l’ipotesi che il programma iconografico di lari, in misura ancora maggiore nel momen- palazzo Mazzolari sia stato progettato dal to in cui il Lazzarini lascia il cantiere. Lazzarini, ma l’esecuzione degli affreschi Se la gestione architettonica viene af- affidata invece ai suoi collaboratori. L’af- fidata al Bicciaglia, nel momento in cui il fresco veterotestamentario sembra ricor- maestro abbandona il cantiere, sembra lo- dare la mano di Carlo Paolucci, uno degli gico ipotizzare che anche per l’apparato allievi più brillanti del Lazzarini, particolar- decorativo fosse presente una direzione dei mente ferrato nella decorazione parietale. Il lavori. D’altro canto, come testimoniato in Bonamini e Antaldo Antaldi 28, forniscono varie lettere, è possibile che l’impianto ge- una serie di indicazioni sulla vita e la pro- nerale della decorazione fosse già stato con- duzione del pittore 29. cordato dal Lazzarini con il Mazzolari e che Per quanto successive rispetto alle de- gli allievi abbiano solo dato vita alle idee corazioni di palazzo Mazzolari, quelle pre- del maestro. senti nell’edificio dei Montani 30, che con Sempre di mano del Paolucci sono le de- certezza sono attribuibili al Paolucci, per- corazioni per palazzo Almerici, soprattutto mettono di avanzare un parallelo tra le due quella della sala dei manoscritti, in cui si

167 Studi pesaresi 3.2015 evidenzia un senso di leggerezza pondera- in certa misura il legame con le pitture del ta, di armonia nell’uso del colore, una fre- maestro, soprattutto nei paesaggi in cui si schezza compositiva che conferisce ariosità intravedono elementi antiquari. Non è pos- e naturalezza alla volta (fig. 19). sibile in mancanza di documenti certi, forni- Questi riferimenti, comprese le tavole re con sicurezza l’identità della persona che osimane con la storia di Tobia, permettono realizzò l’affresco di palazzo Mazzolari, di mettere insieme una serie di esempi e te- ma ci è stato possibile avanzare delle ipo- stimonianze che avvicinano la mano del Pa- tesi, che speriamo diano slancio a un futuro olucci all’ancora ignoto autore dell’affresco approfondimento su questa figura, per ora Mazzolari. solo abbozzata. Ci auguriamo che la nostra La resa dell’affresco di palazzo Maz- ipotesi circa la possibile commissione del- zolari presenta una plasticità, una morbi- la stanza da parte di una figura femminile, dezza nella composizione delle figure, una ad esempio la stessa Maria Zoglio, moglie vivacità nell’impostazione d’insieme che del Mazzolari, ed i soggetti e le simbologie si allontana dalla regolarità e dalla sobrie- così femminili dell’affresco, possano tro- tà delle composizioni lazzariniane. D’altra vare conforto in una precisa testimonianza parte non si può certo negare l’influenza o documentaria.

1 Per una conoscenza più approfondita della zione dei vari spazi, grazie anche alla collaborazione figura di Giannandrea Lazzarini si veda lo studio di degli allievi del Lazzarini tra cui si ricordano i nomi A. Cerboni Baiardi, La pittura colta di Giannandrea del Paolucci, del Tedeschi e del nipote Placido, fino Lazzarini (1710-1801) in Pesaro dalla Devoluzione al 1796. Si veda: L. Fontebuoni , Vicende architetto- all’Illuminismo, “Historica Pisaurensia” IV/2, Marsi- niche e decorative di Palazzo Olivieri in I centodieci lio, Venezia, 2009, pp. 395-465. anni del Liceo Musicale Rossini (1882-1992) oggi 2 Definita al tempo come Atenella delle Mar- Conservatorio in Pesaro, cur. A. Brancati, Pesaro che, così viene precisato da F. Battistelli, L’architet- 1992, p. 96. tura a Pesaro nei secoli XVII-XVIII, in Pesaro dalla 5 Archivio di Stato di Pesaro, Notarile di Pe- devoluzione all’illuminismo, “Historica Pisaurensia” saro, notaio Bernardo Paolucci, rep. 406, atto del IV/1, Marsilio, Venezia 2005 pp. 187-204. 8/9/1885, all. 72, lett. E, c. 609r e ss., documento ri- 3 D. Bonamini, Alberi genealogici delle fa- portato per intero in G. Calegari (a cura), Palazzo miglie Pesaresi di Consiglio e d’alcune non ascritte Mazzolari Mosca, Pesaro 1999, pp. 47-48. Va preci- al consiglio della città, 1800, Biblioteca Oliveriana sato che al momento della stima eseguita dal suddetto di Pesaro (d’ora in poi Bop), ms. 1430, c. 124v; alla notaio gli ambienti interni del palazzo non avevano voce “Famiglia Mazzolari”. subito modifiche di sorta, se non un’aggiunta deco- 4 Tra gli edifici storici più importanti per l’i- rativa per il secondo piano; si può quindi prendere dentità cittadina pesarese, quello che è oggi il Con- per attendibile la suddivisione degli spazi e la loro servatorio Rossini, in origine palazzo Olivieri, viene destinazione d’uso, quando riportata. commissionato al Lazzarini dall’amico e collabora- 6 Il Mazzolari riteneva esorbitante la cifra che tore Annibale degli Abbati Olivieri. Il cantiere viene l’architetto pesarese aveva richiesto per il completa- avviato intorno al 1747 e proseguirà con la decora- mento del palazzo, tanto che aveva a sue spese fatto

168 Margherita Guerra Cinque storie bibliche femminili in un affresco di Giannadrea Lazzarini

Figura 19 – C. Paolucci, Inverno, palazzo Almerici.

169 Studi pesaresi 3.2015 realizzare alcune piante che testimoniavano lo stato Due dei tre fratelli sono uomini di chiesa, le figlie dei lavori realizzati fino ad allora. Inoltre aveva ri- femmine vengono tutte tranne una indirizzate alla chiesto i disegni originali per dimostrare gli errori e vita monastica, per non dimenticare la grande religio- l’eccesso della cifra richiesta, che si aggirava sui 169 sità della moglie del capostipite, Cecilia Somezia. Il scudi, sicuramente esigua per il patrimonio in posses- documento del Bonamini riporta in calce al foglio, so dal Mazzolari e per l’imponenza del palazzo. La indicazioni sulle figlie femmine di Filippo Mazzola- vertenza venne seguita a Roma dall’archivista vatica- ri, tutte educate dalla religiosissima madre Cecilia e no Callisto Marini, nipote del Lazzarini, e si concluse diventate poi monache in conventi locali. Bonamini, il 26 aprile 1768 con l’obbligo da parte del Mazzolari Alberi genealogici cit., c. 124v. di pagare i 169 scudi e con l’obbligo da parte del Laz- 11 Stati d’anime della Cattedrale dell’anno zarini, di consegnare al cav. Mazzolari i 12 disegni 1778, citato in A. Paci, Giannadrea Lazzarini, ar- originali, legati alla fase progettuale del palazzo pe- chitetto (Pesaro 1710-1801) e la sua scuola, tesi di sarese: Calegari, Palazzo Mazzolari Mosca cit., pp. laurea, Università degli studi di Bologna, a.a. 1993- 11-12 e 50. 1994, rel. D. Lenzi, p. 73. Il documento attesta la pre- 7 Sulla corrispondenza tra il Lazzarini e il senza stabile della famiglia Mazzolari nel contado del Bicciaglia, sullo svolgimento dei lavori del cantiere Duomo. Mazzolari si veda Calegari, Palazzo Mazzolari Mo- 12 Genesi 24, 15. sca cit., p. 50.; M.R. Valazzi, Note sulla bottega laz- 13 Il pozzo è un elemento ricorrente nella nar- zariniana: il pittore e i suoi “scolari” in Pesaro dalla razione biblica, quale luogo privilegiato d’incontri e Devoluzione all’Illuminismo cit., pp. 467-471. simbolo allegorico, come suggerito da Louis Réau in 8 Sulla figura di Vittoria Toschi Mosca si veda Iconographie de l’Arte Chrétien, Presses universitai- E. Bacchielli, Vittoria Mosca Toschi: amantissima res de France, Paris 1916, pp. 139-141. delle arti belle. Tra intimità poetica e filantropia , 14 F. Becci, Catalogo delle pitture che si conse- Gradara 2013; Calegari, Palazzo Mazzolari Mosca ruano nelle chiese di Pesaro. Si aggiunge la Disserta- cit., p. 17; C. Barletta C., A. Marchetti, Il mondo zione sopra l’arte della pittura del sig. canonico Gio. privato e l’eredità pubblica della Marchesa Vittoria Andrea Lazzarini, Pesaro 1783. Toschi Mosca, “Donne a Pesaro” 1, Pesaro 1994. 15 Francesco Solimena, Rebecca ed Eleazar, 9 Costruito intorno al 1599 su progetto dell’ar- 1700 ca., San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage. Ani- chitetto Guidubaldo del Monte, palazzo Gradari, era matore indiscusso della pittura napoletana del primo la residenza di Giulio Cesare Mamiani della Rovere. Settecento, il Solimena si forma presso la bottega del Nel tempo si susseguono varie famiglie gentilizie: nel padre Angelo, dal quale apprende le forme e i modi 1693 i Medici, nel 1698 i Gavardini cui si devono le della pittura guariniani e orientate al naturalismo me- maggiori trasformazioni del complesso architettoni- ridionale. Trasferitosi definitivamente a Napoli nel co, nel 1852 i Reggiani che impongono il loro stemma 1674, inizia qui ad avvicinarsi alla produzione dei sul portale rinascimentale, infine i Gradari che lo ce- già celebri Luca Giordano e Mattia Preti, rimanendo dono al Comune nel 1940. Tra le decorazioni interne folgorato dagli stilemi barocchi del tempo. Si veda F. si ricorda l’affresco siglato nel 1747 da Giannandrea Bologna, Francesco Solimena, Napoli 1958. Lazzarini, con episodi biblici, le Quattro stagioni 16 Nicolas Poussin, Rebecca ed Eleazar, 1648, in stucco e quattro medaglioni con fanciulli accom- Parigi, Musée du Louvre. Noto in Italia con il nome pagnati da simboli classici e cristiani: D. Trebbi, S. di Niccolò Pussino, il pittore francese di piena impo- Bruscia, A. Nori, G. Calegari, Palazzo Gradari già stazione classica divenne per i contemporanei modello Palazzo Mamiani della Rovere. Indagini e scoperte di chiarezza, logica e ordine compositivo. Le forme dopo il restauro, Pesaro 2004. Oggi l’edificio è sede equilibrate della sua produzione, che recuperavano gli degli uffici comunali e del Rossini Opera Festival. stilemi rinascimentali di Raffaello, furono celebrate e 10 Non va, infatti, dimenticata la forte incli- seguite con ammirazione da artisti successivi. J. Thuil- nazione religiosa che vige all’interno della famiglia. lier, L’opera completa di Poussin, Milano 1974.

170 Margherita Guerra Cinque storie bibliche femminili in un affresco di Giannadrea Lazzarini

17 A. Cerboni Baiardi La pittura colta di Gian- drea Lazzarini (1710-1801) cit., pp. 395-465. nandrea Lazzarini (1710-1801) cit., pp. 403-404. 23 Esodo 2,1-10 18 Altri dati interessanti che potrebbero suppor- 24 T. Casini, Pesaro nella Repubblica Cisalpi- tare questa ipotesi, vengono forniti dal Bonamini, il na, estratto dal Diario di Domenico Bonanimi, Pesa- quale ricorda la profonda religiosità in cui la famiglia ro 1892. L’autore propone una biografia su Francesco Mazzolari era immersa, avendo tra i suoi componenti Mazzolari segnalando anche la sua attività politica. sia maschi che femmine, appartenenti a diversi ordini 25 Nel 1767 il Lazzarini viene chiamato nella religiosi. Bonamini, Alberi genealogici cit., c. 124v. città di Osimo a dipingere, insieme ai suoi giovani 19 Genesi 24, 54-67. collaboratori, l’abside del duomo. A causa di gravi 20 Genesi 31,34. problemi di salute il pittore è costretto a prolungare 21 Jacopo Amigoni, Rachele nasconde gli idoli la sua permanenza nella città, ma una volta ristabi- al padre Làbano, Monza, Raccolta di Incisioni, Ser- litosi riceve altre commissioni che lo impegnano più rone Villa Reale. L’ideatore della scena è Amigoni, di quanto si aspettasse, tanto che il suo soggiorno si l’incisore Gabrieli Amedeo. Pittore napoletano che protrae anche per l’anno seguente. Tra queste com- opera nella prima metà del Settecento, Jacopo Ami- missioni va segnalata quella di suora Maria Teresa goni si forma presso la scuola di Francesco Solimena, Guarnieri, nipote del vescovo, per la quale vengono a Napoli. Successivamente raggiunge la città di Ve- realizzate otto tavole con le Storie dell’Arcangelo nezia dove soggiornerà per un lungo periodo, avendo Raffaelle. La suora volle che le tavole andassero a de- così la possibilità di conoscere la pittura veneta del corare la cappella del convento in cui questa viveva, tempo e i grandi pittori della laguna. Nella sua pro- e come precisato in una serie di lettere che invia al duzione pittorica si risentono echi del Piazzetta e del Lazzarini «deve il perito dipintor far sì, che delle sue Tiepolo, ma anche influenze della pittura francese, figure i moti, i gesti, le fattezze, gli affetti, gli abiti, di quella romana e napoletana, e un certo interesse e ogni altro somigliante amminicolo dell’espressiva per la pittura di Luca Giordano. Non è un caso che facciano allo spettatore da se stesso, e senz’altro com- ancora una volta l’ambito pittorico napoletano possa mento tutta la dipinta azione del Quadro chiaramente trovare spazio tra le tessiture dell’affresco pesarese. comprendere». La storia di Tobiolo e l’angelo viene Si fa dunque più chiaro il legame esistente con que- raccontata nel Libro di Tobia, manoscritto di origine sta specifica produzione pittorica, anche se per il caso greca che viene accolto nella Bibbia cattolica: il gio- dell’Amigoni il suo raggio d’azione è rivolto un po’ vane Tobia viene incaricato dal padre ormai sul finire a tutta Europa (raggiunse paesi come la Francia, le dell’età, di riscuotere dei denari lasciati ad un paren- Fiandre, la Germania, l’Inghilterra e la Spagna), quin- te come deposito; durante il viaggio Tobia incontra di solo la sua prima formazione può dirsi napoletana. Sara, la donna che sposerà, e l’arcangelo Raffaele L’incisione, che va datata dopo il 1749, mostra tutti che sotto mentite spoglie si propone come guida; al gli elementi e le componenti dell’affresco pesarese, ritorno dal viaggio Tobia riconsegna i soldi al pa- la somiglianza è in realtà totale, non ci sono diver- dre e, su consiglio della guida, cosparge su gli occhi genze, sembra quasi trattarsi di un esercizio d’imita- dell’anziano un unguento ricavato dall’interiora di zione. A. Scarpa Sonnino, Jacopo Amigoni, Soncino un pesce, che guarisce il padre dalla cecità; la guida 1994; U. Thieme, F. Becker, Allgemeines Lexikon der si svela infine nella sua vera natura. L’episodio con bildenden Kunstler von der Antike bis zur Gegenwart l’incontro tra Tobia e l’angelo viene realizzato dal herausgegeben , I, Leipzig 1907, pp. 407-408. Lazzarini svariate volte, nel 1759 per l’avv. Orlandi 22 Sulla raccolta d’incisioni e di disegni del di Terni, in data imprecisata per il conte Raimondo Lazzarini si veda G. Calegari (a cura), Disegni ine- Santinelli, che lo donò ad una suora di Cagli, e an- diti di Giannandrea Lazzarini: i taccuini ritrovati, cora in data non precisata un dipinto per la chiesa di Pesaro 1989; Ead. (a cura), I taccuini ritrovati. Gian- San Cassiano (Opere del canonico Giovanni Andrea nandrea Lazzarini e il settecento pesarese, Pesaro Lazzarini, I, Gavelli, Pesaro 1806, pp. 61-65). Questi 1989; Cerboni Baiardi, La pittura colta di Giannan- dati permettono di sottolineare come la conoscenza e

171 Studi pesaresi 3.2015 la diffusione dell’iconografia fossero ben note tanto sono chiaro sintomo della stima nei confronti della al Lazzarini quanto ai suoi allievi, che nell’esperien- sua personalità artistica, messa in campo in così bre- za osimana per la prima volta si cimentarono su tale ve tempo. L’attività del Paolucci viene inoltre dire- tema. Le analisi di Grazia Calegari hanno permesso zionata anche sulle decorazioni di palazzo Almerici di riconoscere in ognuna delle otto tavole la mano di e su quella di palazzo Montani a Pesaro (fig. 20), un allievo lazzariano, tra questi si trova anche il Pao- nelle quali sappiamo lavorò senza la collaborazione lucci che realizza due episodi, la partenza del giovane del maestro. Queste indicazioni permettono di rico- e l’uccisione del pesce nel fiume Tigri: G. Calega- noscere il raggio d’azione del pittore che concentrò ri, Note su una “collezione recuperata” in Il filo di gran parte della sua attività nella città pesarese. G. Arianna. Raccolta d’Arte dalla Fondazione Casse di Calegari, Pitture di Carlo Paolucci, allievo del Laz- Risparmio Marchigiane Jesi, Macerata, Pesaro, cur. zarini in Pesaro dalla devoluzione all’illuminismo, A.M. Ambrosini Massari, Federico Motta Editore, “Historica Pisaurensia” IV/2, Marsilio, Venezia 2009, Milano 2000, pp. 190-197). pp. 467-486. 26 Valazzi, Note sulla bottega lazzariniana cit., 30 A. Brancati (a cura), Il Palazzo e la Fami- pp. 467-471. Nel suddetto articolo si pone una diffe- glia Montani a Pesaro. Un restauro architettonico e renziazione tra il termine scuola e quello di bottega un recupero di memorie per la storia della città, Pe- relativamente all’ambiente del Lazzarini. I termini saro 1992. potrebbe venir usati in simbiosi poiché da una par- te si sviluppa una forma di educazione soprattutto culturale, che definirebbe la cerchia dei collaboratori come una vera e propria scuola; dall’altra si delinea un approccio pratico, d’esercizio rivolto direttamente all’esecuzione delle opere commissionate al pittore. 27 Ibidem, per informazioni sul carteggio esi- stente tra il Lazzarini e i suoi allievi 28 A. Antaldi, Notizie di alcuni architetti, pit- tori, scultori di Urbino, Pesaro e de’ luoghi circonvi- cini, cur. A. Cerboni Baiardi, Ancona 1996, pp 136, nota 347. 29 Carlo Paolucci nasce a Monte Ulivo nel 1738 e riceve la sua prima formazione presso la bottega di Michelangelo Dolci, sarà lo stesso Dolci a presentare il suo allievo al Lazzarini con una lettera del 1762. Da subito il giovane dimostra le sue capacità artistiche, tanto che lo si trova a collaborare insieme al maestro presso palazzo Olivieri. La scelta del giovane, che en- tra a far parte della équipe lazzariniana, e l’ospitalità Figura 20 – C. Paolucci, Episodio dell’Eneide, offertagli dallo stesso Olivieri presso il suo palazzo, palazzo Montani-Antaldi.

172 Tavolette dipinte per la devozione privata in area adriatica

di Federica Maitilasso

Durante il restauro effettuato su una ta- esemplare conservato nella Pinacoteca civi- vola lignea policroma di piccole dimensioni ca di Ripatransone (fig. 5). La visione delle di proprietà del comune di Urbino, in segui- tavole conferma l’appartenenza ad una pro- to alla ricerca portata avanti per l’occasio- duzione seriale, come suffragato da ricerche ne, è emersa, sul territorio marchigiano, la che hanno permesso di individuare una in- presenza di opere d’arte simili per dimen- tera raccolta di elementi simili nel Museo sione, tecnica pittorica e soprattutto per la Nazionale di Ravenna (che conta diverse struttura delle scene rappresentate. decine di pezzi), non inferiore a nessuna in Si tratta di una tavoletta di piccole di- Italia, compresa quella tanto più nota della mensioni (cm 34,5 x cm 34,2) raffigurate Pinacoteca Vaticana 2. Le tavolette ritenute l’Adorazione dei pastori: la Vergine, all’im- più significative sono esposte al pubblico, bocco della capanna dal tetto di paglia, altre collocate nei depositi: provengono solleva il lenzuolo bianco per mostrare il dalla raccolta dell’Accademia di Belle Arti, neonato, un pastore si inginocchia mentre dove giunsero nel 1827 quando fu fondata l’altro si toglie il cappello, alle loro spalle l’istituzione; prelevate da vari luoghi (con- San Giuseppe adora il Bambino (fig. 1). Il venti, chiese, fondi privati) che è possibile fulcro della composizione è costituito dal identificare solo in alcuni casi: delle tavo- piccolo Gesù messo in evidenza dal candi- lette portano scritta sul verso la località di do lenzuolo mentre è d’effetto la gestualità provenienza (ad es. Bertinoro). teatrale dei personaggi: ci si trova di fronte Corrado Ricci ne tratta in un saggio dal ad un prodotto di bottega senza particolari titolo Tavolette greco-bizantine 3, dove rac- accenti di originalità, finalizzato a devozio- coglie la bibliografia degna di nota sull’ar- ne privata, come suggeriscono le dimensio- gomento: i dipinti sono a tempera su legno ni e il fatto che sia pervenuto al comune di e, salvo eccezioni, mediocremente con- Urbino dalla famiglia Boghi. servati; molti sono stati ridotti alla forma Le ricerche hanno evidenziato la presen- attuale con sacrificio di una parte della ta- za di materiali simili in tre tavolette prove- vola effettuata da chi li possedeva prima nienti dalla collezione di Giovanni Verna- che divenissero patrimonio pubblico. Molti recci 1, collocate nella Pinacoteca civica di esemplari provengono probabilmente dalla Fossombrone: due rappresentano l’Adora- raccolta dei Padri Classensi di Ravenna, se zione dei pastori (figg. 2-3), una dei Magi è ad essi che si riferisce Luigi Lanzi quando (fig. 4) alla quale si è aggiunto un ulteriore descrive pitture «manifestamente greche» 4.

173 Figura 1 – Adorazione dei pastori, Figura 2 – Adorazione dei pastori, Urbino, palazzo comunale. Fossombrone, Pinacoteca civica.

Figura 3 – Adorazione dei pastori, Figura 4 – Adorazione dei pastori, Fossombrone, Pinacoteca civica. Fossombrone, Pinacoteca civica.

174 Federica Maitilasso Tavolette dipinte per la devozione privata in area adriatica

Le datazioni proposte dagli studiosi, vo- lutamente oscillanti soprattutto nelle reda- zioni più vernacolari, sono un’inevitabile conferma dell’utilizzo degli stessi moduli formali nel corso di diversi secoli, proprio perché non è esistita evoluzione: sono pre- senti attestazioni iconografiche singole, strettamente d’ambito della scuola o addi- rittura di altri ambiti culturali, o dichiara- tamente venete o occidentali, ma si tratta di casi singoli. Tra le tavole della raccolta di Ravenna quelle in foggia di icona tipi- ca, rappresentanti la Vergine col bambi- no, sola o accompagnata da angeli e santi, hanno la prevalenza assoluta: su un totale di circa centottanta (tante sono le tempere sicuramente cretesi-veneziane: a Venezia non senza ragione i pittori cretesi furono Figura 5 – Adorazione dei pastori, chiamati Madonneri) se ne possono conta- Ripatransone, Pinacoteca civica. re centoventi: i due terzi dell’intera colle- zione. I temi più rappresentati, in tempere abbastanza rozze, sono la Sacra Famiglia gente, nella veste esterna concettualmente o il Presepe: l’Adorazione dei magi era una più significativa per il contesto in cui con- delle più antiche e care figurazioni riprese tinuavano a dialettizzarsi e a vivere. Tavo- dall’iconografia orientale-bizantina, che lo le, queste, ritenute degne di essere ripetute stesso Costantino il Grande aveva fatta di- e conservate accanto ad esempi genetica- pingere all’esterno della basilica della Nati- mente affini come tematica concettuale, ma vità di Betlemme. ormai del tutto diverse da essi, organizzate L’importanza della collezione ravenna- per un nuovo contesto sociale. I paesaggi te risulta fondamentale nella ricchezza di delle scene di natività e di adorazione dei esempi su cui è possibile seguire un nuovo magi e dei pastori sono forse il più imme- farsi della struttura su segni meno aulici, diato esempio dell’influsso di esperienze meno connaturati all’estetica e alla forma venete coeve, mentre il loro comporsi sce- del mondo bizantino, segni certamente più nico generale indica influssi veneti o vene- poveri formalmente ma pronti e validi a to-lombardi in genere. documentare l’emotività spicciola, quoti- Dalla ricerca effettuata è emerso, sotto diana, per la quale le tavole nascevano. Le la denominazione Adorazione dei pasto- tipologie della Vergine Madre amorevole, ri e dei Magi d’ambito veneto-cretese, un protettrice e nutrice, insieme alla Natività numero considerevole di opere che, per le e all’Adorazione dei Magi e dei pastori, si simili caratteristiche iconografiche e com- prestavano a raccogliere tali aspirazioni in- positive, possono essere paragonate e con- timistiche, a calarsi nella redazione contin- frontate con quelle prese in considerazio-

175 Studi pesaresi 3.2015

ni di nuclei greci in Italia meridionale: em- blematico è il caso della Puglia, diventata luogo di commercio non solo di merci, ma anche di opere d’arte. I mercanti pugliesi furono mediatori per Venezia tramite i com- merci di icone “alla greca”, come testimo- niano ricerche archivistiche che ricordano grandi commissioni di icone fino al numero di 700 5: è certo, quindi, che le icone impor- tate nella laguna venissero distribuite lungo il litorale adriatico e l’isola di Creta diven- tò il maggior centro di produzione pittorica bizantina; i pittori cretesi erano attirati dal fascino di Venezia, e facilitati dal viaggio via mare di relativa breve durata. Essi dal- la seconda metà del Quattrocento erano in grado di dipingere tanto alla greca quanto “all’occidentale”; Venezia ha rappresenta- to la cinghia di trasmissione della pittura cretese in Italia, per la quale la produzione Figura 6 – El Greco, Adorazione dei pastori, di icone era diventato un affare redditizio, pannello sinistro di trittico, Modena, tanto che la presenza di pittori greci aveva Galleria estense. suscitato proteste da parte dei locali. A Otranto una bottega consistente fu ne fino a questo punto; una parte di esse è quella di Angelo Bizamano il quale, forma- documentata nei cataloghi dei musei delle tosi a Creta e portatore dei valori figurativi regioni italiane a cui appartengono, nei ca- bizantini, non impiantò l’attività a Venezia taloghi delle case d’aste e nei siti internet ma in Puglia, esprimendo una pittura vene- degli antiquari. Certe soluzioni, come la zianeggiante in anticipo rispetto alle espe- mano alzata del re mago moro che regge rienza di El Greco (fig. 6). Giovanni Maria e mostra il dono portato a Gesù, sono sor- Scopula, con bottega anche lui ad Otranto, prendentemente comuni a una grande quan- firmava un numero notevole di tavolette di- tità di materiali, il che sottolinea e rende pinte con la funzione di capoletto, i quali evidente la non casualità della condivisione insieme con altaroli portatili nella loro se- della stessa tematica anche nei particolari. rialità mettono in evidenza la produzione di Il collegamento tra le località adriatiche botteghe specializzate, che ripetevano con ha permesso la veicolazione di tavole bi- poche o nessuna variante lo stesso tema. I zantineggianti e Venezia è stato il punto di piccoli capoletto fanno supporre che fossero irradiazione, avendo ereditato il ruolo del- parte del corredo nuziale delle spose e che i la capitale dell’impero bizantino a seguito poco più grandi altaroli, con scene della vita della caduta di Costantinopoli nel 1453; in di Maria e di Cristo, servissero alle preghie- quel periodo si effettuarono forti migrazio- re quotidiane in uso ben prima del culto ma-

176 Federica Maitilasso Tavolette dipinte per la devozione privata in area adriatica riano di fine Cinquecento. Il ripetersi delle e realizzata in controparte rispetto all’origi- stesse rappresentazioni e scene fa supporre nale (fig. 8). l’esistenza di laboratori che disponevano di Nella considerazione che i pittori veneti un repertorio fisso, sorta di campionario nel siano stati riferimento privilegiato per tali quale il committente poteva scegliere quan- artigiani-pittori, si segnalano anche le edi- to più gli piaceva e gli risultava funzionale. zioni sul tema di Jacopo Bassano, signifi- Per il dipinto dell’Adorazione di pasto- cativa è quella della Adorazione dei magi ri, dal quale ha preso avvio la presente ri- conservata nel Kunstistorisches Museum 8 cerca, ritengo che il riferimento per la sua di Vienna. realizzazione possa essere identificato nello I manufatti, che abbiamo definito di cul- stesso soggetto dipinto da Tiziano per i du- tura veneto-cretese, presentano la caratte- chi di Urbino 6 (fig. 7), del quale esiste una ristica di una straordinaria ripetitività tale copia d’epoca nella chiesa di sant’Agosti- che non permette di dar loro una datazione no di Mondolfo (PU). Il dipinto di Tiziano certa, poiché vengono proposti gli stessi ha funzionato da prototipo anche attraverso stilemi dal Cinque al Settecento: ci si trova la xilografia di Giovanni Britto 7, databile di fronte ad una sorta di arte senza tempo, attorno al 1540 e di più certa accessibilità, sfuggente, non incasellabile in determinate monogrammata in lastra in basso a sinistra categorie figurative.

Figura 7 – Tiziano, Adorazione dei pastori, Figura 8 – Giovanni Britto, Adorazione dei Firenze, palazzo Pitti, Galleria palatina. pastori, Milano, Museo Poldi Pezzoli

177 Studi pesaresi 3.2015

Appendice

Scheda di restauro due parti della tavola sono state ricongiunte accostandole tra loro cercando di restituirne la L’opera in esame è un dipinto a olio su ta- curvatura omogenea, posizionate dunque sul- vola di dimensioni 34,5 cm di altezza, 34,2 cm la controforma e fissate con dei morsetti al ta- di larghezza e 1,3 cm di spessore. Il supporto è volo di lavoro. Lungo la frattura del supporto costituito da un unico asse di abete rosso con è stato eseguito uno scasso per procedere con taglio tangenziale, l’identificazione della specie il risanamento strutturale. Nel frattempo da un lignea è stata possibile grazie all’osservazione pezzo di legno della stessa specie dell’origi- di un campione prelevato dal retro della tavo- nale sono stati creati i cunei, fissati con colla la al microscopio ottico a scansione (SEM); la vinilica al supporto. Infine sono stati piallati riflettografia nel vicino infrarosso (NIR) ha per- e rifiniti a scalpello per portarli al livello del messo inoltre di osservare la presenza di un di- supporto originale. segno preparatorio sulla superficie del dipinto. La pellicola pittorica era ricoperta da una Alcuni elementi dei personaggi sono arricchiti patina di colore giallo/bruno che il Test di Cre- con l’uso dell’oro applicato con la tecnica della monesi e soprattutto l’analisi effettuata in spet- doratura a conchiglia. trofotometria infrarossa (FTIR) ha identificato L’evidente problema strutturale, ovvero una essere costituita da una sostanza a base protei- frattura longitudinale del supporto che aveva ca e da gommalacca. Identificate le sostanze è portato alla sua rottura in due parti, ha richiesto stata creata una prima emulsione, efficace nella una serie di interventi preliminari per assicura- rimozione dello strato più superficiale di “spor- re e preservare, data la fragilità e precarietà, gli co”, lasciando la superficie ricoperta da una strati preparatori e la pellicola pittorica. Il con- patina gialla, probabilmente una vernice che è solidamento degli strati preparatori è stato ese- stata rimossa utilizzando una seconda misce- guito lungo le lacune con iniezioni di acqua e la. Completata la pulitura della superficie sono alcool etilico denaturato e dove è stato possibile state effettuate le stuccature delle lacune con un sono state fissate le scaglie di pellicola pittorica, impasto a base di Gesso di Bologna e colla di precedentemente cadute, con iniezioni di una re- coniglio. Si è deciso con la direzione dei lavori sina acrilica in dispersione acquosa con l’ausilio nella veste della Sovrintendenza, di non stuc- di un termocauterio. care e quindi lasciare il legno a vista in alcune Per poter lavorare agevolmente sul sup- zone in cui sarebbe stato difficile ricostruire la porto fortemente imbarcato è stata creata una pellicola pittorica rischiando di falsificare la let- controforma della tavola lavorando due assi tura dell’opera. di legno fino ad arrivare alla curvatura deside- Nelle piccole lacune e abrasioni il ritocco rata, precedentemente rilevata sulla deforma- pittorico, ad acquarello prima e a vernice poi per zione assunta ad oggi dalla tavola. In seguito equilibrare il risultato estetico, è stato eseguito a le parti ricavate sono state adeguatamente iso- velatura mentre lungo la frattura si è optato per late per proteggere la pellicola pittorica. Le una reintegrazione a tratteggio.

178 Federica Maitilasso Tavolette dipinte per la devozione privata in area adriatica

1 Giovanni Vernarecci (Fossombrone 1901- 5 P. Belli d’Elia, Fra tradizione e rinno- 1981), nipote di Augusto Vernarecci, studiò nel semi- vamento: le icone dall’XI al XIV secolo, in Ead. (a nario di Fossombrone. Ordinato sacerdote nel 1925, cura), Icone di Puglia e Basilicata dal Medioevo al fu cappellano nell’Ospedale civile, parroco e canoni- Settecento, cat. mostra, Milano 1988, p. 28. co della Cattedrale, nonché docente. Entrato nella bi- 6 Il dipinto, confluito nelle raccolte medicee blioteca civica “Passionei” come collaboratore di don al seguito di Vittoria Della Rovere, sposa del gran- Luigi Danielli, allora direttore, gli subentrò nell’inca- duca di Toscana, è ora conservato nella Galleria rico nel 1941; diresse anche il Museo civico, fondato degli Uffizi a Firenze; fu la prima opera commis- dallo zio Augusto e a lui intitolato. Dopo i gravi danni sionata a Tiziano da Francesco Maria I della Rovere subiti da biblioteca e museo nel 1944, si prodigò per in occasione della nascita del figlio Giulio nel 1533 la loro ricostruzione, i restauri e l’istituzione di una (G. Gronau, Documenti artistici urbinati, Firenze sezione moderna della biblioteca, aperta nel 1955. 1936, p. 87). Il dipinto non è chiaramente identifica- Nel luglio 1966, per limiti d’età venne collocato a bile negli inventari rovereschi antecedenti il 1631; riposo. Socio dell’Associazione italiana biblioteche viene poi citato nella Nota dei quadri buoni che (Aib) forse già dal 1940, quando intervenne al sesto sono in Guardaroba d’Urbino (1631) al n. 44 con la congresso nazionale a Napoli, partecipò assiduamen- sommaria descrizione «Una Natività di Christo in te alle sue attività negli anni Cinquanta e Sessanta. tavola…di Tizziano o Raffaelle» (Firenze, Archivio Collaboratore di giornali e riviste marchigiane, pub- di Stato, Ducato di Urbino, cl. III, filza XXIV, f. blicò studi di storia locale. Fu ispettore onorario ai 88). Nonostante alcune lacune, la qualità pittorica monumenti. Donò alla Biblioteca “Passionei” la pro- riscontrabile nei brani superstiti, in particolare nel pria libreria privata e ai Musei civici le collezioni ar- gruppo della Madonna col Bambino, nei due pastori cheologiche, numismatiche e artistiche. Scheda AIB e nel paesaggio, non lascia dubbi sull’autografia del http://www.aib.it/aib/editoria/dbbi20/vernarecci.htm; dipinto, che è da identificarsi con l’originale esegui- v. anche G. Ceccarelli. Giovanni Vernarecci, in “Atti to nel 1533. e memorie” della Deputazione di st. p. le Marche, 88 7 M. Muraro, D. Rosand, Tiziano e la silogra- (1983), pp. 495-496. fia veneziana del Cinquecento, Vicenza 1976. 2 S. Bettini, Pitture cretesi-veneziane slave e 8 Marco Boschini aveva visto il dipinto nella italiane del Museo nazionale di Ravenna, Ravenna collezione dell’arciduca Guglielmo Leopoldo d’Au- 1940, pp. 27-29; P.A. Martinelli, Le icone della colle- stria ove, come testimonia un catalogo del 1659, era zione classense di Ravenna, Bologna 1982, pp. 27-31. detto opera del giovane Bassano anche se per un 3 In “Raccolte artistiche di Ravenna”, Berga- certo periodo era prevalsa l’attribuzione a El Greco mo 1905, pp. 26-27. (cfr. R. Pallucchini, Da Tiziano a El Greco: per la 4 L. LANZI, Storia pittorica della Italia, Bas- storia del Manierismo a Venezia, 1540-1590, Mila- sano 1809, vol. V, p. 10. no 1981).

179 Francesco Maria Santinelli alchimista e rosacroce*

di Marco Rocchi

Francesco Maria Santinelli ha avu- to una vita particolarmente intensa e avventurosa 1: di famiglia originaria di Sant’Angelo in Vado, nella Massa Traba- ria, nasce a Pesaro il 20 aprile 1627, da una famiglia della piccola nobiltà, da cui eredita il titolo di conte della Metola e di marchese di San Sebastiano, due località nei pressi di Sant’Angelo in Vado. Com- pie i suoi studi tra Pesaro e Roma e pre- sumibilmente intorno al 1648 il Santinelli inizia le sperimentazioni alchemiche. Del dicembre 1655 è l’incontro che muterà i suoi orizzonti: la regina Cristina di Sve- zia, di passaggio a Pesaro nel suo viaggio verso Roma, è ospitata a palazzo Santi- nelli. Francesco e il fratello Ludovico si Figura 1 – Due rare immagini fanno notare al punto che sono di lì a poco di Francesco Maria Santinelli. nominati rispettivamente Cameriere mag- giore e Comandante della Guardia del per impedire il matrimonio e la promessa Corpo di Cristina, e la seguono a Roma. sposa, nell’imminenza delle nozze, è fatta Nel 1657 Francesco conosce Anna Ma- rapire dalla famiglia e viene rinchiusa in ria Caterina Aldobrandini, sposa di France- convento. Il Santinelli, dopo averla sposata sco Maria Cesi, duca di Acquasparta e di per procura, tra il 1658 e il 1666 compirà Ceri, e se ne innamora. Di lì a breve il Cesi numerosi tentativi di rapire Anna Maria, muore in circostanze misteriose e il Santi- senza successo. nelli viene sospettato di averlo fatto avve- Nel 1659 Francesco è inviato a Vienna lenare. L’anno seguente Francesco Santi- da Cristina di Svezia, dietro esortazione del nelli e Anna Maria Aldobrandini decidono cardinal Mazzarino, per omaggiare l’impe- di sposarsi, contro il volere della famiglia ratore del Sacro Romano Impero Leopoldo di lei; anche papa Alessandro VII, solleci- I d’Austria. Rimarrà alla corte imperiale, tato dai parenti di Anna Maria, interviene con il titolo di Cameriere della Chiave d’O-

180 Marco Rocchi Francesco Maria Santinelli alchimista e rosacroce ro e Consigliere aulico imperiale, almeno suo tramite che Cristina di Svezia si avvici- fino al 1667. Nel 1666 pubblica a Venezia la nò a questi studi esoterici. sua opera più importante, la Lux obnubilata La Lux obnubilata è senza dubbio l’o- suapte natura refulgens, con lo pseudonimo pera che ne ha sancito il successo e perpe- di fra’ Marcantonio Crassellame Chinese, tuato la memoria in ambito alchimistico. un anagramma di marchese Francesco Ma- Attraverso tre canzoni, vi sono descritti – ria Santinello (probabilmente come richia- seppure in modo inevitabilmente sommario mo a Sancio Santinello, il capostipite della – i concetti basilari dell’opera alchemica, casata). unendo una competenza della disciplina Il 12 febbraio 1667 è a Napoli, dove riesce finalmente a rapire Anna Maria Al- dobrandini, con l’aiuto del marchese Della Torre. I due fuggono e durante il viaggio si sposano a Castiglion della Pescaia. In se- guito si stabilisce con la famiglia prima a Venezia, poi a Mantova, e infine a Roma ove muore il 22 novembre 1697. Personaggio alquanto eclettico, il Santi- nelli fondò a Pesaro nel 1645 a soli diciotto anni, insieme al fratello Ludovico, l’Acca- demia dei Disinvolti, ove assunse lo pseu- donimo di Cleumante Avveduti e quello di Fievole. Fu anche membro – sempre parti- colarmente attivo – di numerose altre acca- demie, fra cui di particolare interesse è la sua adesione all’Accademia dei Pacifici di Venezia e a quella degli Scomposti di Fano, entrambe note per gli interessi esoterici dei suoi membri. Scrittore di romanzi, di opere teatrali e musicali, di sonetti, di poemi, il Santinel- li meriterebbe tuttavia di essere ricordato soprattutto per le sue opere di interesse al- chemico, che notevole successo riscossero nell’intera Europa del XVII secolo, e la cui eco è giunta ai nostri giorni: la Lux obnubi- lata 2 innanzitutto, e poi l’Androgenes Her- meticus (composto dalle due opere Minera philosophorum e Radius ab umbra) e nu- merosi sonetti alchemici. A Roma frequentò assiduamente il gruppo degli alchimisti di Figura 2 – Frontespizio della prima edizione Villa Palombara 3, e fu probabilmente per della Lux obnubilata (1666).

181 Studi pesaresi 3.2015

(che gli sarà riconosciuta da tutti i maggiori trasmutatorie, si delinea sempre più come alchimisti, non solo del XVII, ma anche dei ponte tra la filosofia e una forma moderna secoli seguenti) a una notevole abilità sti- di spiritualità, tra fisica e metafisica, tra listica e una spiccata facilità di verseggio, operatività e speculazione. Ed è proprio nel che gli furono riconosciute tra gli altri da panorama della nascente alchimia spiritua- Giosue Carducci. le che la Lux si pone come vero e proprio Dopo numerose edizioni e traduzio- compendio poetico. Ecco che allora alcuni ni, in francese e in tedesco, l’ode entra di passaggi dell’opera, rivolti agli “alchimisti prepotenza nella tradizione massonica, per inesperti”, diventano più chiari se interpre- opera del barone Louis Henri Théodore de tati sotto questa luce: Tschudy, che la riporta interamente nel suo Catechismo ermetico-massonico della Stel- O voi, che a fabricar l’Oro per Arte la Fiammeggiante 4 del 1766. Dal punto di Non mai stanchi trahete vista storico si tratta di un’informazione De continuo carbon fiamme incessanti, fondamentale, perché è esattamente qui che E i vostri misti in tanti modi. E tanti la Massoneria fa propria in modo ufficiale Hor fermate, hor sciogliete, la tradizione alchemica, che si va così a co- Hor tutti sciolti, hor congelati in parte, niugare a tutte le altre tradizioni esoteriche Quindi in remota parte andando sincreticamente a costituire quella Farfalle affumicate, e notte, e giorno via iniziatica tradizionale che è la cifra cul- State vegliando a’ stolti fochi intorno; turale caratteristica della filosofia liberomu- ratoria. Dall’insane fatiche homai cessate: Poi anche Oswald Wirth, nell’opera Il Né più cieca speranza simbolismo ermetico 5 del 1909 – conside- Il credulo pensier col fumo indori, rata generalmente di fondamentale impor- Son l’opre vostre inutili sudori, tanza nell’ambito degli studi massonici – a Ch’entro squallida stanza distanza di due secoli e mezzo dalla prima Sol vi stampan sul volto hore stentate. edizione della Lux obnubilata, non solo la A che fiamme ostinate? riporta assieme a tutto il Catechismo erme- Non carbon violento, accesi Faggi tico dello Tschudy, ma commentandola non Per l’Hermetica Pietra usano i Saggi. esita a dichiarare, riprendendo le parole del barone, che essa è un «riassunto di tutta la Col foco, onde sotterra al tutto giova scienza dei Filosofi». Natura, Arte lavora, Per capire lo sfondo culturale sul quale Che immitar la Natura Arte sol deve: si colloca l’ode, bisogna partire dal presup- Foco che è vaporoso, e non è leve, posto che nel XVII secolo si vanno differen- Che nutre, e non divora, ziando due linee di sviluppo dell’alchimia Ch’è naturale, e l’Artificio il trova; (entrambe prendendo le mosse comunque Arrido, e fa che piova; dalla tradizione): da una parte una filoso- Humido, e ogni hor disecca, Aqua che stagna fia chimica che si svilupperà nella chimica Aqua che lava i corpi, e Man non bagna. moderna e dall’altra una alchimia spiritua- le che, abbandonando le finalità operative Con tal foco lavora Arte seguace

182 Marco Rocchi Francesco Maria Santinelli alchimista e rosacroce

D’infallibil Natura, Tanti misti a che prò? l’alta scienza Ch’ove questa mancò, quella supplisce: Solo in una radice Incomincia Natura, Arte finisce, Tutto restringe il Magisterio nostro. Che sol l’Arte depura Questa, che già qual sia chiaro v’ho mostro Ciò che a purgar Natura era incapace. Forse più che non lice, L’arte è sempre sagace, Due sostanze contien, c’hanno un essenza, Semplice è la Natura, onde, se scaltra Sostanze che in potenza Non spiana Una le vie, s’arresta l’Altra. Sono argento, e son oro, e in atto poi Vengono, se i lor pesi uguagliam noi. Dunque a che prò tante sostanze, e tante In ritorte, in lambicchi, Sì, che in atto si fanno argento et oro; S’unica è la materia, unico il Foco? Anzi uguagliate in peso Unica è la materia, e in ogni loco, La volante si fissa in solfo aurato. L’hanno i poveri e i ricchi, Oh Solfo luminoso, Oro animato A tutti sconosciuta, e a tutti innante. In te dal Sole acceso Abietta al volgo errante, L’operosa Virtù ristretta adoro. Che per fango a vil prezzo ogni hor la vende, Solfo tutto tesoro, Pretiosa al filosofo, che intende. Fondamento de l’Arte, in cui Natura Decoce l’Or, e in Elissir matura. E Crassellame-Santinelli può permet- tersi allora di apostrofare – e sbeffeggiare Gioverà anche ricordare che Carl Gustav – questi “affumicatori di farfalle”: Jung dedica un paio di pagine al commento della Lux nel suo Mysterium coniunctionis 6 Ma voi senza osservar, che un sol Composto (sebbene non riconosca ancora l’identità Al Filosofo basta, dell’autore in Santinelli). Anche Newton Più ne prendete in man, Chimici ignari, apprezzò molto l’opera dell’alchimista pe- Ei cuoce in un sol vaso ai Rai Solari sarese, come è testimoniato dal fatto che tra Un vapor, che s’impasta, le molte note manoscritte alchemiche recu- Voi mille paste al foco havete esposto. perate dall’eredità dello scienziato inglese Così mentre ha composto ne figurano almeno due che si riferiscono Dal nulla il tutto Iddio, voi finalmente esplicitamente alla Lux di Santinelli. Si trat- Tornate il tutto al primitivo niente. ta in particolare dei manoscritti denominati rispettivamente Out of La lumiere sortant Non molli gomme, od escrementi duri; des tenebres 7 e Ex lumina de tenebris 8, nei Non sangue, o sperma umano, quali Newton traduce di suo pugno, chio- Non uve accerbe, o Quintessenze Erbali, sa, commenta e riassume i principi che il Non acque acute o corrosivi Sali, Santinelli espone nella Lux. Inoltre, nel ma- Non vitriol Romano, noscritto Three lists of alchemical writers Arridi Talchi, od Antimonii impuri: and works 9, in cui Newton stila una vera e Non Solfi, non Mercuri; propria classifica dei più importanti scrittori Non metalli del volgo, al fin adopra alchemici e delle loro opere, il Santinelli – Un artefice esperto a la Grand’Opra. seppure non citato come tale, ma come l’au-

183 Studi pesaresi 3.2015 tore anonimo dell’opera La lumière sortant O del divino Hermete par soy même des ténèbres – figura al sesto Emoli Figli, a cui l’Arte paterna posto. Fa, che Natura appar senza alcun Velo, Non dobbiamo dimenticare che New- Voi sol, Sol voi sapete, ton fu per tutta la vita ossessionato dal- Come mai fabricò la Terra e ’l Cielo, la ricerca delle modalità con le quali Dio Da l’indistinto Chaos la destra eterna agisce nel mondo, una ricerca che lo con- La grande Opera vostra dusse dapprima a riconoscere tali moda- Chiaramente vi mostra, lità nel principio attivo degli alchimisti – Che Dio nel modo istesso, onde è prodotto lo spirito mercuriale – e, in una seconda Il Fisico elissir, compose il Tutto. fase, ad identificare tale principio con la luce. Ed è proprio in questa seconda fase Newton studiò a fondo il concetto di che Newton lesse e commentò l’opera di principio attivo nei testi alchemici della sua Santinelli, che dichiarava a chiare lettere ricca biblioteca, e talvolta sembrò identifi- sin dal titolo (la cui traduzione in italia- carlo con la luce del Fiat lux della Creazio- no suona: La luce oscurata risplendente ne, insomma proprio con quella lux obnubi- per sua stessa natura) l’identità tra luce e lata di cui egli lesse nell’ode di Santinelli: spirito attivante. L’incipit della Lux recita si tratta dell’agente di Dio nel mondo che infatti: Newton per tutta la vita cercò di identifica- re, il mezzo attraverso il quale Dio opera Era dal Nulla uscito quotidianamente nell’Universo. Il tenebroso Chaos, Massa difforme Poi, forse, a legare lo scienziato inglese Al primo suon d’Onnipotente Labro: all’alchimista pesarese era anche una co- Parea che partorito mune esperienza rosacrociana. Che Newton Il Disordin l’havesse, anzi che Fabro fosse perlomeno vicino alla confraternita Stato ne fosse un Dio; tanto era informe, dei Rosacroce è testimoniato dal fatto che Stavano inoperose la sua biblioteca contiene i manifesti rosa- In lui tutte le cose, crociani, nonché dai suoi contatti con nu- E senza Spirto Divisor, confuso merosi personaggi la cui appartenenza rosa- Ogni Elemento in lui stava racchiuso. crociana è documentata. Lo stesso Leibniz, che con Newton ebbe una feroce polemica Hor chi ridir potrebbe per la primogenitura del calcolo infinite- Come formossi il Ciel, la Terra, e ’l Mare simale, lo accusò di appartenere alla setta Si leggieri in lor stessi, e vasti in mole? dei Rosacroce, con l’intento di screditarne Chi può svelar com’hebbe l’ortodossia religiosa 10. Non va taciuto, in- Luce, e moto lassù, la Luna e ’l Sole fine, il fatto che alcuni autori riconoscono Stato, e Forza quaggiù quanto n’appare? una matrice rosacrociana in quell’Invisible Chi mai comprender, come College che sarà il nucleo della Royal So- Ogni cosa hebbe nome, ciety, di cui Newton sarà presidente a par- Spirito, quantità, legge e misura tire dal 1703. Tutto ciò farà affermare alla Da questa Massa inordinata e impura? Yates: «Non sembra dunque storicamente fantasioso prendere in considerazione come

184 Marco Rocchi Francesco Maria Santinelli alchimista e rosacroce ipotesi […] la possibilità che un elemen- dine, di analizzare alcuni aspetti specifici, to “rosacrociano”, indubbiamente in una pur nella consapevolezza che difficilmente forma riveduta o mutata, possa aver parte si potrà tracciare un quadro esaustivo, ma nell’interesse di Newton per l’alchimia» 11. sapendo anche che gli archivi potrebbero Quanto al Santinelli, la migliore testimo- ancora riservare sorprese e contenere inso- nianza della sua appartenenza ai Rosacroce, spettabili informazioni. o più precisamente all’ordine dell’Aurea E per fare un po’ d’ordine, dunque, oc- Rosa Croce, è data dal Carlo Quinto, un po- corre necessariamente partire dai cosiddetti ema iniziatico che egli dedicò a Leopoldo Manifesti Rosacrociani che vedono la luce I, che narra il naufragio di Argio e Carlo V nel triennio 1614-1616. Si tratta di tre ope- (gli alter ego nel poema di Santinelli 12 e re, che recano i titoli di Fama Fraternitatis Leopoldo I, rispettivamente); a offrir loro Rosae Crucis (1614), Confessio fraternita- ospitalità e rifugio saranno Arnaldo da Vil- tis (1615), e Nozze chimiche di Christian lanova, che inizierà Argio all’arte alchemi- Rosenkreutz (1616); quest’ultima è opera ca, e Raimondo Lullo, che accoglierà l’im- di Johannes Valentin Andreae, cui spesso si peratore nel suo palazzo e gli donerà l’elisir attribuiscono per estensione anche le prime di lunga vita. Ebbene, nel Carlo Quinto, si due. In queste opere si narra di un leggenda- legge: rio ordine dei Rosacroce che sarebbe stato attivo in Europa sin dal XV secolo (e pre- Qui l’Estraneo 13 l’abbraccia, e «andiam» gli dice cisamente dal 1407) e che, ispirandosi a un «Ch’amico Ciel ti benedisse in Cuna. cristianesimo esoterico, vedeva nella chiesa Sarai, se ’l vuoi de nostri. A me non lice cattolica un’antagonista e avrebbe dunque Più mai celarti esperienza alcuna. offerto una facile sponda ai movimenti pro- Vieni che t’alzo a l’ordine felice testanti. De la mia Rosea Cruce aurea fortuna Tuttavia, nessuna traccia documentale Entriam l’Albergo, in cui fia suo costume rimane di questo leggendario ordine. È solo Benché uomo fral, filosofar da Nume». a partire dalla pubblicazione dei Manifesti Rosacrociani che si manifesta tutto un sus- Del Carlo Quinto esistono appena quat- seguirsi di opere e confraternite che ad essi tro esemplari manoscritti 14 e l’opera non è si ispirano 15. Finché, nel 1710, il pastore mai stata riprodotta integralmente a stampa. della Slesia Salomon Richter pubblica – Ma a questo punto è bene fare un pas- sotto lo pseudonimo di Sincerus Renatus – so indietro, e tentare di fare chiarezza nella la regola del Gold und Rosenkrutz Order 16 complicata genealogia dei movimenti ro- (Ordine della Rosa Croce d’Oro) che – nel sacrociani, avendo però la consapevolezza periodo di fioritura degli alti gradi – diven- che dipanare l’intricato groviglio di sette, terà poi la base di un ordine massonico, fon- confraternite, ordini, associazioni, obbe- dato attorno al 1760 da Hermann Fichtuld, dienze massoniche che nei secoli si sono più che prevedeva nove stadi iniziatici, di cui o meno direttamente ispirati alla tradizione l’ultimo era quello denominato Magus. dei Rosacroce, e che si possono contare in Fino a pochi anni or sono sarebbe stato qualche decina, è impresa pressoché dispe- difficile trovare un legame, un filo comune rata. Si può solo cercare di fare un po’ d’or- in grado di legare i movimenti rosacrociani

185 Studi pesaresi 3.2015 immediatamente susseguenti alla pubblica- mato che «tali riferimenti sparsi [Santinelli, zione dei Manifesti e l’ordine della Rosa Palombara, ecc., n.d.a.] corroborano l’ipo- Croce d’Oro. E invece, sorprendentemente, tesi che, tra gli alchimisti italiani, si fosse studi recenti hanno messo in luce dei lega- sviluppata un’identità rosicruciana – iden- mi piuttosto chiari, la cui vicenda si snoda tità che può essere considerata come una quasi esclusivamente entro i confini italiani. prefigurazione del Gold und Rosenkreutz Ma andiamo con ordine: tanto per co- Order fondato da Sincerus Renatus (Salo- minciare nel 1616 (con le pagine dei Ma- mon Richter) nel 1710» 22, tutto sommato si nifesti Rosacrociani ancora umide d’inchio- trattava di prove incerte e nel complesso la stro) l’alchimista Robert Fludd scrive una presenza rosacrociana in Italia era più indi- apologia in difesa della confraternita dei ziaria che manifesta. Rosacroce 17 (Trattato apologetico in dife- Almeno finché, dagli Archivi di Stato di sa dell’integrità della Società della Rosea Venezia, sono saltati fuori dei documenti Croce) nella quale rivela l’esistenza di due concernenti un’indagine dell’Inquisizione livelli nell’ordine, in base ai quali i fratelli su Federico Gualdi 23, sospettato di pratica- rosacrociani si dividono in Aureae Crucis re arti magiche. Su questo personaggio sono Fratres e in Rosae Crucis Fratres. La sud- stati scritti interi volumi. Basterà qui ricor- divisione, che prefigura almeno nel nome dare la sua fama di alchimista che aveva l’ordine dell’Aurea Rosacroce, viene con- prodotto l’elisir di lunga vita (gli si attribu- fermata indirettamente da Petrus Mormius iva un’età di 400 anni nonostante l’aspetto che nel 1630 pubblica a Leiden l’opera giovanile; e vantava un ritratto di Tiziano, Arcana totius naturae secretissima 18 dove vissuto due secoli prima); gioverà ricorda- parla di un Collegio Rosiano e da Adrian re che anche a distanza di un secolo la sua Von Mynsicht che nel 1621 nell’opera Au- fama era immutata, se si pensa che Caglio- reum Seculum Redivivum 19 si definisce un stro proclamava orgogliosamente di esserne Aureae Crucis Frater. Ma, per quanto con- la reincarnazione. Ebbene, in questa indagi- cerne la presenza dell’Aurea Rosacroce in ne dell’Inquisizione – datata 1676 – viene Italia, fino a pochi anni fa le tracce, seppure riportata una dettagliata testimonianza di tal presenti, erano piuttosto labili ed indizia- Francesco Giusto che frequentava il Gual- rie: c’era ad esempio la dichiarazione del di e il Santinelli a Venezia, e che riferisce marchese di Palombara che nella sua opera l’esistenza di un’Aurea Rosa Croce compo- più celebre, La bugia 20 del 1656, ne faceva sta in Italia da 84 confratelli, suddivisi tra menzione rivelando i due livelli della Con- Croce d’Oro e Rosea Croce. I primi, indi- fraternita: «una compagnia intitolata della cati come filosofi e teosofi, quindi operanti Rosea Croce, e come altri dicono dell’Au- su un piano speculativo, erano 12 in tutto, e rea Croce». La confraternita veniva anche fra questi si annoveravano il Santinelli e il citata nella lettera che un tal abbate G.F. Gualdi, quest’ultimo al vertice della confra- Laurentij di Pesaro scrive a Santinelli 21. ternita con il titolo di Imperator. Gli altri, in Infine, c’era la già riportata dichiarazione numero di 72, erano invece alchimisti di la- autobiografica del Santinelli nel suo Carlo boratorio, dediti quindi più alla pratica che Quinto. alla speculazione filosofica. Sebbene Susanna Åkerman abbia affer- Il testimone riportava inoltre alcune af-

186 Marco Rocchi Francesco Maria Santinelli alchimista e rosacroce fermazioni del Gualdi e del Santinelli che la dell’ordine dell’Aurea e Rosa Croce: il li ponevano in odore di eresia, come quelle primo (del 1678, conservato alla Biblioteca attribuite al primo e sostenute dal secondo, nazionale di Napoli) proviene dal convento secondo cui «le religioni sia cristiane che partenopeo di San Domenico Maggiore 25; il altre sono tutte cabale inventate dai principi secondo è conservato all’Archivio massoni- per il governo politico» 24, e quelle secon- co di Stoccolma (la cui provenienza potreb- do cui i due personaggi affermavano che be essere un fondo attribuibile a Cristina di si dovrebbe credere e confidare solo nella Svezia, protettrice e sodale di Santinelli) e Natura. Quanto alla diffusione geografica, il terzo (di provenienza incerta) si trova nel- oltre a Venezia, il Giusto citava confratelli la Biblioteca di Alnwick Castle 26. Ebbene, di Mantova, Roma e Napoli. Da altri docu- il confronto tra i documenti italiani (quasi menti emergono presenze rosacrociane an- perfettamente sovrapponibili tra loro) a che nella Marca, con particolare riferimento quello tedesco riportato da Sincerus Rena- ad Ancona (indicata come la casa principale tus nel 1710 mostra la chiara discendenza dell’ordine in terra italiana, accanto a quella di quest’ultimo dai primi. tedesca di Norimberga). Ecco dunque che il legame mancante Chi abbia in mente gli spostamenti di tra il rosacrocianesimo delle origini e quel- Santinelli in Italia, sopra riferiti, non può lo del Gold und Rosenkreutz Order sembra fare a meno di osservare una sovrapposizio- trovarsi proprio in Italia; e Gualdi e San- ne tra le città in cui sono attestate presenze tinelli sembrano essere i principali motori rosacrociane e quelle che a vario titolo ve- italiani del movimento, almeno nella secon- dranno la presenza del poeta alchimista. E da metà del secolo XVII. In definitiva, le a questo punto le ipotesi sono due (esclusa nuove acquisizioni documentali sanciscono quella della mera coincidenza, evidente- il ruolo di questi personaggi, e attraverso mente poco plausibile): o Santinelli nelle di essi confermano il ben noto legame tra sue peregrinazioni faceva del fruttuoso pro- la Rosacroce e il mondo alchemico (di cui selitismo, oppure – e sembra francamente Gualdi e Santinelli erano esponenti di pri- più probabile – Santinelli sceglieva di spo- missimo piano), che si palesa anche in una starsi preferibilmente proprio laddove una visione della Natura come divinità e della rete di confratelli gli garantiva sostegno e conoscenza della Natura come religione. protezione. E allora ecco – oltre a Pesaro e Emerge dalle regole dell’ordine una fi- Ancona – le città di Roma (con il Palomba- losofia particolarmente tollerante (basterà ra e il suo circolo alchemico), di Mantova sottolineare che ai membri era vietato fare (dove risiedeva monsù Tuer, aiutante del domande circa la religione dei confratelli), Duca), Napoli (patria del cavalier Riche- ispirata a un cristianesimo esoterico con de- sensi e città in cui svolgeva i suoi affari rive panteistiche. Pietro Andrea Andreini, entrambi membri Non meraviglia quindi che la Masso- del circolo di Gualdi a Venezia e citati dal neria, che a partire dalla seconda metà del Giusto), e naturalmente Venezia stessa. Ma Settecento e per tutto l’Ottocento – nel co- le sorprese d’archivio non sono terminate. siddetto periodo degli alti gradi – era alla Ben tre documenti seicenteschi, tutti redat- ricerca di spunti e suggestioni sulle origini ti in lingua italiana, documentano la rego- dell’istituzione (quasi un’opera di mitopo-

187 Studi pesaresi 3.2015 iesi) si sia lasciata affascinare dalla tradi- comprovata genealogia. Alcuni Riti masso- zione rosacrociana, che sembrava riunire in nici ancora praticati hanno – nel loro per- sé molte delle caratteristiche liberomurato- corso iniziatico – gradi che si riferiscono rie: la tolleranza (in primis quella religiosa), alla tradizione Rosacrociana: è il caso, ad l’estrema riservatezza, la pratica esoterica esempio, del XVIII grado del Rito Scozzese in generale e quella alchemica in particola- Antico ed Accettato (denominato Cavaliere re. Diversi ordini massonici (l’Ordine del- della Rosa+Croce) e dell’XI Grado dell’An- la Rosa Croce d’Oro fondato da Herman tico e Primitivo Rito di Memphis e Misraim Fichtuld nel 1760; l’Ordine Cabalistico del- (denominato Principe Rosa+Croce). la Rosa Croce fondato da Joséphin Péladan Ma è bene concludere con una nota di e Stanislaus de Guaïta nel 1888; l’Ordine cautela: bisogna avere la consapevolezza della Rosa Croce, del Tempio e del Graal che la storia dei Rosacroce è ancora ben fondato dal visconte de Lapasse nel 1893, lungi dall’essere scritta, e che gli archivi solo per citarne alcuni) trovarono quindi il possono rivelare aspetti poco noti e colmare loro fondamento sulla tradizione rosacro- almeno alcune della lacune temporali e ge- ciana, senza che questo tuttavia attesti una ografiche ancora esistenti.

* Il presente lavoro è stato presentato al convegno la société des Francs-maçons, considérée sous tous “Giordano Bruno e la cultura rosacrociana in Italia e les aspects, s.l. (Francoforte?) e s.d. (1766?). in Europa”, Perugia, 12 marzo 2011. 5 O. Wirth, Le Symbolisme Hermétique dans 1 Per una biografia sintetica ma piuttosto com- ses rapports avec l’alchimie et la franc-maçonnerie, pleta si rimanda a: E. Veterani, M. Rocchi, France- Paris 1909. sco Maria Santinelli: cronologia della vita e delle 6 C.G. Jung, Mysterìum coniunctionis, Torino opere in G.O.I. - R.L. Antonio Jorio Or. Pesaro, As- 1989, pp.347-348. sociazione Culturale Voltaire – Pesaro, Francesco 7 Indicato nella classificazione corrente con Maria Santinelli. Alchimista della Massa Trabaria, la sigla Yahuda Mss Var. 1 Ms.30, e conservato alla Sesto San Giovanni 2009, pp. 51-57; M. Rocchi, San- Jewish National and University Library, Jerusalem, tinelli, Newton e l’alchimia: triangolo di luce, Urbino Israel. Tale manoscritto risulta tuttavia incompleto, a 2010, pp. 26-31. causa di un malaugurato mescolamento di fogli, e ad 2 Per una storia completa della complessa vi- esso fa seguito il manoscritto classificato con la sigla cenda editoriale della Lux si rinvia a M. Rocchi, E. Babson Ms 414B, conservato entro la Sir Isaac New- Veterani, La vicenda editoriale della Lux e l’attribu- ton Collection presso i Babson College Archives, zione a Francesco Maria Santinelli in Rocchi, Santi- Babson Park, Massachuttes. nelli, Newton e l’alchimia cit., pp. 42-44. 8 Indicato nella classificazione corrente con la 3 Nel gruppo di alchimisti di Villa Palomba- sigla Babson Ms 414A, conservato entro la Sir Isaac ra – oltre al padrone di casa, Massimiliano Savelli Newton Collection presso i Babson College Archi- marchese di Palombara, e al Santinelli – si ricordano ves, Babson Park, Massachuttes. tra gli altri l’astronomo Giovanni Domenico Cassini, 9 Indicato nella classificazione corrente con la il padre gesuita Athanasius Kircher e il suo allievo sigla Keynes Ms 13, e conservato presso il King’s Col- Francesco Borri. lege di Cambridge, è collocato dalla Dobbs all’ultimo 4 L.H.T. de Tschudy, Étoile Flamboyante ou periodo (1693-1727) e più precisamente al diciottesi-

188 Marco Rocchi Francesco Maria Santinelli alchimista e rosacroce mo secolo (B.J.T. Dobbs, Isaac Newton scienziato e al- 16 R. Sincerus, Die wahrhafte und vollkomme- chimista, Roma 2002, p. 138), mostrando così chiara- ne Bereitung des philosophischen Steins der Brüder- mente che a quell’epoca Newton stimava ancora come schaft des Gülden- und Rosen-Creutzes, Breslau particolarmente significativa l’opera di Santinelli. 1710. 10 D’altra parte le simpatie di Newton per l’ere- 17 R. Fludd, Apologia compendiaria fraterni- sia ariana sono comprovate dall’analisi dei suoi ma- tatem de Rosea-Cruce suspicioni set infamiae ma- noscritti. culis aspersam, veritatis quasi fluctibus abluens et 11 F.A. Yates, L’Illuminismo dei Rosa-Croce, abstergens, Leiden 1616. Torino 1976, p. 238. 18 P. Mormius, Arcana totius naturae secretis- 12 A conferma del carattere autobiografico del sima, nec hactenus unquam detecta, a collegio Rosia- personaggio di Argio, si consideri che “nacque in no in lucem produntur, Leiden 1630. Oraspe” (anagramma di Pesaro), “per lungo ordine 19 Il testo, pubblicato sotto lo pseudonimo ana- d’avi Argio si pregia / del Gran Sancio del Pino alta grammatico di Hinricus Madathanus, è confluito in propago” (Sancio Santinello è il capostipite della M. Merian, Musaeum hermeticum reformatum et am- casata), e che “dell’intrepida Amira egli arde tanto” plificatum, omnes sopho-spagyricae artis discipulos (Amira, vedova di Cerito, tenuta segregata dai paren- fedelissime erudiens, Francofurti 1678. ti, è la chiara trasposizione di Anna Maria, duchessa 20 Si tratta di un’opera manoscritta, ma recen- di Ceri, che diventerà, dopo mille impedimenti, mo- temente pubblicata: M. Palombara, La bugia, rime glie del Santinelli). ermetiche ed altri scritti: dal Codice reginense del 13 È Arnaldo da Villanova, che non si è ancora sec.XVII, Roma, 1983. palesato. 21 È una lettera datata Pesaro, 13 maggio 1677; 14 Del Carlo Quinto restano poche copie ma- cfr. il saggio introduttivo di Alessandro Boella e An- noscritte: il manoscritto Oliveriano 317, conservato tonella Galli in F. Gualdi, Philosophia Hermetica, presso la Biblioteca Oliveriana di Pesaro, in sei canti; Roma 2008, pp.72-73. il manoscritto presentato all’imperatore Leopoldo I, 22 Citato in www.memphismisraim.it/id51.htm. conservato a Vienna (classificato come Filologi 23), 23 Il Gualdi, tedesco di Augusta, si trova a Ve- anch’esso composto da sei canti; il manoscritto 620 nezia tra il 1650 e il 1682, dove frequenta tra gli altri della Biblioteca Corsiniana di Roma, pure in sei canti; Santinelli. il manoscritto XIII - c.27, in venti canti (forse un rima- 24 Riportato in Gualdi, Philosophia Hermeti- neggiamento), proveniente dal Fondo Albani, e conser- ca. cit., p. 59. vato presso la Biblioteca Vittorio Emanuele di Napoli. 25 Lo stesso convento che vide Giordano Bruno 15 Gioverà qui ricordare che l’esoterista René tra i propri confratelli. Guenon invitava a non confondere i movimenti rosa- 26 Per maggiori dettagli cfr. Gualdi, Philoso- crociani con la Rosacroce delle origini. phia Hermetica. cit., pp. 81-83.

189 Intorno al soggiorno pesarese del pittore Domenico Peruzzini

di Roberto Domenichini

Storici dell’arte e cultori di storia locale, zione, rimanendo così quasi negletto, per anche del recente passato, hanno sostenuto vari motivi. Anzitutto nel documento par- che vi sarebbero alcuni periodi oscuri 1 nel- rocchiale manca la qualifica di Domenico la vicenda biografica di Domenico Peruz- per cui, in mancanza di altri riscontri, reste- zini, uno dei più attivi e poliedrici pittori rebbe non del tutto certa la sua identifica- e disegnatori marchigiani del XVII secolo. zione. È da rilevare tuttavia che pure negli Uno di questi periodi, che si colloca tra la altri documenti pesaresi rinvenuti manca la fine del secondo decennio e la fine del ter- qualifica, l’indicazione dell’attività eserci- zo (ma c’è chi allarga la fase da chiarire tata dal Peruzzini 5. Occorrerà attendere il ai primi anni Trenta), coincide con l’ipo- 1639 (ancor meglio, un atto notarile, del tizzato soggiorno pesarese del Peruzzini, 1655) per scoprire, tra le carte anconitane, del quale mancano tracce documentali, e l’attributo di pittore che connota la sua prin- del suo presunto apprendistato nella botte- cipale attività 6. ga di Gian Giacomo Pandolfi2 . Tale lacuna Un altro motivo che può spiegare la documentaria appare quasi paradossale in mancata considerazione di questo atto è che considerazione del fatto che il pittore, pur sembra venisse data per scontata la notizia, nato a Castel Durante (Urbania dal 1636) ripresa dai più, secondo cui il primogenito suole definirsi “pesarese”, non solo duran- di Domenico sarebbe nato a Castel Durante te gli anni prossimi al suo trasferimento in nell’aprile 1629 7. Ma, alla luce dei docu- Ancona, ma anche nella fase della sua ma- menti pesaresi, il piccolo Giulio risulta es- turità, almeno fino al 16613 . sere il secondogenito; inoltre, la già docu- Eppure almeno un documento dell’Ar- mentata presenza della famiglia Peruzzini a chivio della cattedrale di Pesaro avrebbe Castel Durante nel quadriennio 1629-1632 forse dovuto attirare l’attenzione degli stu- appare legata a fattori contingenti, sebbene diosi dell’artista: infatti il primo maggio di fondamentale importanza per Domenico: 1626 Luigi Cenci, curato della parrocchia vale a dire a committenze di opere affidate del duomo, impartisce il battesimo a Lucre- al pittore da famiglie e chiese della sua ter- zia, figlia di “mastro” (?) Domenico Peruz- ra di origine. Sono infatti gli anni nei quali zini e della signora Camilla sua moglie 4. egli realizza la tela di Peglio nonché “L’Im- Tale documento, forse non sfuggito alla macolata” e “La Crocifissione” nella chiesa consultazione di qualcuno, probabilmente di Santa Chiara di Castel Durante 8. Tornan- non è stato tenuto nella dovuta considera- do alla documentazione pesarese, questa ci

190 Roberto Domenichini Intorno al soggiorno pesarese del pittore Domenico Peruzzini informa che Domenico si era sposato l’anno rese al fine di ottenere qualche committenza precedente la nascita della piccola Lucre- abbia avuto successo in quel momento. Si è zia, con una giovane pesarese, Camilla 9 e, del parere infatti che proprio la difficoltà di dopo il matrimonio, sembra che la famiglia farsi conoscere ed apprezzare come artista e abitasse nella parrocchia di Santa Lucia, pittore nella Pesaro che contava, da un lato quindi in una zona prossima alla cattedra- e, dall’altro, la maggior facilità di aggiudi- le 10. Vedremo come l’unione con Camilla, carsi committenze nella sua terra di origi- tra l’altro proprietaria di alcuni beni immo- ne, siano state le ragioni che hanno indotto bili in Pesaro, si rivelerà importante. Domenico a tornare temporaneamente a Il matrimonio con Camilla fa ipotizzare Castel Durante tra il 1629 ed il 1632. Pro- indirettamente che Domenico (o suo padre babilmente la Pesaro di quegli anni, almeno Giulio 11) avesse già intrecciato nella città fino alla devoluzione del ‘31, era dominata ducale una certa rete di amicizie con alcune dalle figure del Pandolfi 15 ed, in parte, del famiglie locali, facendo anche supporre che Trometta, di Giulio Cesare Begni e di Fran- Domenico sia stato presente a Pesaro e qui cesco Mingucci, il quale, secondo quanto abbia abitato già alcuni anni prima del ma- riferisce il Bonamini, «fiorì» proprio negli trimonio, forse dall’inizio degli anni Venti anni Venti del secolo 16. Non sembra quindi o prima ancora. Alla luce di questi docu- vi fosse spazio per un artista in fondo anco- menti dunque, esce rafforzata l’ipotesi (o ra molto giovane e poco conosciuto come il tesi) “tradizionale” secondo cui Domenico Peruzzini. si sarebbe recato a Pesaro, forse ancora ado- Il quadriennio durantino è ricordato oltre lescente, imparando l’arte di dipingere nella che per le menzionate opere pittoriche, an- bottega di Gian Giacomo Pandolfi (questi, che per la nascita dei figli Giulio, del quale come noto, era tornato a Pesaro nei primi s’è già scritto, e Margherita (1632). È da ri- anni del Seicento dopo il suo soggiorno re- levare, tuttavia, che in questo periodo i Pe- atino 12). Non solo: l’analisi dell’atto di bat- ruzzini (in particolare, credo, il padre Giu- tesimo della piccola Lucrezia rivela indiret- lio e la moglie Camilla) non interrompono tamente che il Peruzzini, forse anche grazie i legami con Pesaro. Tra l’altro, essi hanno al suo matrimonio, abbia tentato di intrec- e devono curare vari interessi nella città. Se ciare amicizie con esponenti della nobiltà ne ha una prova, sia pur indiretta, in un atto pesarese, famiglie che ricoprivano magari notarile, l’unico, di quegli anni, sinora repe- anche cariche pubbliche o che contribui- rito a Pesaro, rogato da Montano Montani il vano ad amministrare confraternite ed enti 6 agosto 1633. Esso non solo testimonia i di assistenza nella città. Dal battesimo del contatti di cui sopra, ma consente forse – la maggio 1626, infatti, risulta che la neonata forma dubitativa in questo caso è d’obbligo viene tenuta al Sacro Fonte dal nobiluomo – di riconsiderare quanto scritto riguardo ai Giuseppe Giulio Barignani e dalla nobil- contatti di Domenico con ambienti e perso- donna Alessandra Hondedei 13, due membri naggi dalmati, in specie ragusei, contatti e di famiglie aristocratiche, piuttosto influenti relazioni che sarebbero sorti non in ambienti nella società pesarese del tempo 14. anconitani 17, ma pesaresi, in considerazio- Tuttavia, non sembra che il tentativo di ne del fatto che proprio nel 1633, anno nel Domenico di far breccia tra la nobiltà pesa- quale dipinge la “Pentecoste” per Celopeci

191 Studi pesaresi 3.2015 di Ragusa (Dubrovnik) 18, stipula un atto col Giovanni 23, il quale, almeno dalla fine degli capitano Pietro de Gozze, nobile pesarese anni Cinquanta fino agli inizi dei Settan- di chiare origini ragusee; ma veniamo al ta, affiancherà il padre nell’arte pittorica. rogito. Si tratta, in fondo, di una semplice Pressato dunque da necessità economiche, quietanza: Domenico aveva contratto un il Peruzzini sarà indotto ad inseguire, quasi debito, che ora deve saldare, col capitano a catturare, committenze pressoché ovun- Pietro de Gozze di 50 scudi. È da rilevare que, in ambiente metaurense, in Dalmazia un particolare importante: all’atto di resti- ed ora, dopo il suo arrivo in Ancona, in tutta tuire la somma Domenico non è presente; la Marca da Ancona ad Ascoli, «che n’è il tale assenza non dovrebbe sorprendere: è confine», come scrive il Ricci 24. Come si noto infatti che in quel periodo egli si trova vedrà, tra gli obiettivi della ricerca di cui in Ancona per dipingere la tela che dovrà sopra non mancherà Pesaro, in particolare inviare a Celopeci di Ragusa 19. Pertanto al alcune importanti famiglie ed istituzioni re- posto di Domenico paga, saldando il debito, ligiose pesaresi 25. il padre Giulio, che, evidentemente si pre- In questa sorta di strategia, messa in atto stava a curare gli interessi del figlio e, quasi da Domenico per ottenere commesse anche certamente –come riveleranno i documenti fuori dei suoi ambiti, per così dire, tradi- anconitani – abitava in famiglia 20. zionali, credo vada considerato il trasferi- È lecito a questo punto domandarsi: mento suo e della sua famiglia nella città perché Domenico si era indebitato così da di Ancona. Riguardo a ciò, uno dei nodi da chiedere in prestito, una somma di denaro al sciogliere si riferisce alla data ed alle moda- Gozze, persona che evidentemente il pittore lità di questo trasferimento. Come è noto gli (e/o qualche altro membro della famiglia, storici anconetani tendono ad anticipare tale come Camilla o il padre Giulio) conosceva? data. I più fissano il trasferimento al 1633, La risposta ci viene data da una supplica lo stesso anno nel quale Domenico dipin- che Camilla, moglie di Domenico, indirizza ge «in Ancona», come egli stesso scrive, la tra il febbraio ed il marzo del ‘33 al legato “Pentecoste” di Celopeci 26. D’altra parte, pontificio, che ha sostituito il rappresentan- studiosi pesaresi, come il Bonamini, collo- te del duca dopo la devoluzione 21: sarebbe- cano la partenza del Peruzzini da Pesaro ad ro stati infatti motivi di natura familiare (la Ancona addirittura intorno al 1660, quindi morte della madre di Camilla e la difficoltà in una fase più che avanzata dell’attività pit- o impossibilità di far fronte alle spese per il torica del nostro 27. La tesi che, semplifican- funerale) che avrebbero indotto Domenico do, viene definita degli anconitani sembra a chiedere il prestito al Gozze. Il rogito del trovare ostacoli nonostante poggi su indubi- 1633, dunque, con i suoi allegati 22, sembra tabili note o iscrizioni apposte dallo stesso rivelarci, sia pur indirettamente, che le con- Domenico sulle tele di Celopeci (1633), di dizioni economiche di Domenico e della Varano di Ancona (1634) 28; per non par- sua discretamente numerosa famiglia non lare poi delle incisioni alcune delle quali, dovrebbero essere state rosee in quel pe- come quella del catafalco per il governatore riodo. Ciò spiegherebbe anche la quasi fre- Altieri (1644), risultano realizzate in An- netica attività pittorica e, più ampiamente, cona 29. Da questo punto di vista il rogito professionale di Domenico e di suo figlio pesarese dell’agosto 1633 non costituisce

192 Roberto Domenichini Intorno al soggiorno pesarese del pittore Domenico Peruzzini uno di tali ostacoli perché, s’è visto, Do- Pellegrino, è annotata la morte del si- menico non era presente al momento della gnor Giulio «Bruzzino» (sic) da Pesa- redazione dell’atto. Gli ostacoli principali ro, «d’anni 70 incirca» 35; concernono la mancanza di documenti: gli - in mezzo alle due registrazioni ve ne studiosi anconitani, anche quelli che si sono è un’altra, per alcuni aspetti, ancor avventurati in lunghe ricerche d’archivio 30, più interessante delle altre: l’8 feb- hanno sostenuto che non vi sono riscontri braio 1639, sempre nella parrocchia documentali circa la presenza del Peruzzini di S. Pellegrino, muore una bambi- in Ancona né sono stati rinvenuti atti circa na («de minor età»), Lucia, figlia di la committenza di opere d’arte da parte di mastro Domenico «Brunzini» (sic), famiglie nobili (ad esempio, i Ferretti 31) o «pittore» 36. chiese e conventi, come i Cappuccini 32. La Nonostante la distorsione del cognome presente indagine ha permesso di chiarire ed anche la mancata indicazione della pro- punti ritenuti oscuri: in concreto, sono stati venienza di Domenico 37, non credo vi siano rinvenuti alcuni atti notarili che documen- molti dubbi circa l’identificazione del padre tano ampiamente la presenza ed, in parte, della piccola Lucia col nostro Domenico l’attività di Domenico nella città dorica che qui, per la prima volta, è qualificato soprattutto dagli anni Cinquanta del seco- come pittore. lo 33. Qualche problema potrebbe persistere Correlando questi tre documenti de- in particolare circa il periodo precedente: gli anni Trenta-Quaranta, si può dedurre e il riferimento è alla lamentata assenza di chiarire che Domenico, forse già presente documenti degli anni Trenta del secolo che in Ancona nell’estate del 1633 38, ha quasi impedirebbe di definire con chiarezza tempi certamente trasferito la sua famiglia (inclusi e modi del trasferimento dei Peruzzini da i suoi genitori) tra la fine del 1633 e gli inizi Pesaro alla dorica. Ma, in questo caso, se del seguente 1634. Come aveva ipotizzato mancano documenti inerenti direttamente Fabiola Brugiamolini, già direttrice della Domenico, si può spostare la ricerca sui Pinacoteca d’Ancona 39, la famiglia, almeno membri della famiglia Peruzzini. Così pro- in questo periodo40, abita sul Guasco, sotto cedendo, infatti, dai registri dei morti della il duomo, ed è qui, nella medesima parroc- città di Ancona sono emersi tre interessanti chia di San Pellegrino, che, quasi certamen- atti che, messi in relazione tra loro, possono te, nasceranno i due figli, di Domenico en- dirimere i dubbi sul trasferimento dei Pe- trambi pittori: Giovanni (n. tra il 1634-5 ed ruzzini: il 1638 41) e Anton Francesco (n. post 1639), - anzitutto il 20 settembre 1634 viene che faranno fortuna soprattutto nel nord Ita- registrato il decesso, nella parrocchia lia 42. Purtroppo la perdita quasi totale dei di San Pellegrino (quindi la defunta “libri” parrocchiali di San Pellegrino per abita sul colle Guasco, sotto il duomo eventi bellici impedisce di verificare que- di Ancona) della signora Giovanna, ste notizie, che tuttavia, alla luce di quanto moglie di mastro Giulio «Prozzino” esposto non appaiono semplici ipotesi. (sic) da Pesaro, «d’anni 50 incirca» 34; - dodici anni più tardi, nel febbraio A questo punto, è lecito chiedersi se 1646, nella stessa parrocchia di S. dopo il trasferimento nella città dorica si

193 Studi pesaresi 3.2015 siano interrotti i rapporti dei Peruzzini con quelli professionali. Probabilmente fin dalla Pesaro e con l’ambiente metaurense. Con fine degli anni Cinquanta, Domenico en- quest’ultimo, è stato ampiamente dimostra- tra in stretto contatto con Francesco Maria to, i legami persistono; lo dimostrano am- Bonamini, noto estimatore del Peruzzini 49. piamente il dipinto di Urbania del 1651 43 e Evidentemente la fama di Domenico è cre- le due tele, per altrettante chiese di Sant’An- sciuta e ora Pesaro, sua patria d’elezione, gelo in Vado, realizzate tra la fine degli anni lo reclama; egli qui, in città, lascia varie Sessanta e gli inizi dei Settanta 44. opere: nella chiesa dei Filippini 50, nel mo- Ma i documenti anconitani, in questo nastero delle Convertite (ora l’opera è nella caso notarili, rivelano che anche negli anni pinacoteca civica 51) e, ovviamente, nella Cinquanta del secolo Domenico e, soprat- medesima quadreria Bonamini 52. Risulta, tutto, la moglie Camilla, mantengono le- comunque che pure altre quadrerie pesaresi gami con Pesaro, con l’antica città ducale. conservassero opere di Domenico e, sem- Si tratta, anzitutto di legami di natura patri- bra, anche di suo figlio Giovanni53 . moniale che riguardano Camilla, la quale, Tuttavia appare riduttivo circoscrivere almeno dagli anni Cinquanta del Seicento l’attività di Domenico al solo ambito pitto- risulta proprietaria di una casa in Pesaro, rico. È risaputo che egli non fa solo il pit- nel quartiere di San Giacomo, di un ap- tore. Almeno fin dal 1636 inizia una profi- pezzamento di terra «nella corte di Pesaro, cua attività come incisore, sulla quale esiste su dietro alla foglia» (sic), e infine di “una una sufficientemente ampia bibliografia alla piantata”, sempre nella medesima «cor- quale si rinvia 54. te» 45; Domenico, in qualità di legittimo am- Ma le importanti carte anconitane testi- ministratore dei beni della moglie concede moniano anche di un’altra attività di questo tali beni in affitto a certo Antonio Donini da poliedrico e prolifico artista: quella di archi- Pesaro 46 per quattro anni. I beni pesaresi di tetto. A dir il vero, di tale interesse parla il Camilla, dunque, costituivano una piccola pesarese Domenico Bonamini nel suo Ab- fonte di reddito per i Peruzzini. becedario 55 e la notizia, sia pur in veste di Più complesso appare un altro atto del ipotesi, è stata ripresa di recente 56; è manca- 13 gennaio 1657 col quale donna Camilla, ta in passato una prova documentale di ciò. con la presenza e consenso di Domenico Testimonianza che ora invece viene fornita suo marito, nomina il figlio Giulio47 legitti- da un atto del notaio anconitano Gian Fi- mo procuratore e, come tale egli è autoriz- lippo Leonardi del 1659 57 riguardante pro- zato anche ad alienare beni immobili, inclu- prio Domenico, chiamato, nel caso specifi- sa la casa, di proprietà di Camilla in Pesaro. co, dai conti Bonarelli di Ancona a stimare Inoltre dà allo stesso Giulio facoltà di esple- alcune sue proprietà (diversi appezzamenti tare tutti gli adempimenti onde prendere e di terra). In tale atto, che pur rivela come recuperare i 450 scudi in moneta ducale, già Domenico è in grado di svolgere attività depositati nel monte di pietà di Pesaro, onde quasi di agrimensore, il notaio qualifica il investirli dove lo stesso procuratore riterrà nostro come architectus. Vero è che que- più conveniente 48. sti e i successivi anni Sessanta si rivelano A questi interessi patrimoniali si affian- piuttosto intensi per Domenico e, aggiungo, cheranno più tardi, negli anni Sessanta, per suo figlio Giovanni. Essi non si limita-

194 Roberto Domenichini Intorno al soggiorno pesarese del pittore Domenico Peruzzini no a soddisfare richieste di nobili pesaresi quanto sopra e, di fatto, smentisce quasi tut- o metaurensi; come già accennato, le loro te le ipotesi sul decesso di Domenico 62. In opere (spesso infatti i due collaborano) or- effetti, mentre sono noti il luogo e la data mai raggiungono le chiese di Ancona 58 e di di morte e sepoltura della moglie Camilla tutta la Marca da nord a sud, da Corinaldo 63, ancora non si sa nulla su quelli del ma- ad Ascoli 59. rito Domenico. Il mancato reperimento di In particolare, Domenico appare quasi questi dati nelle registrazioni dei defunti di instancabile tanto che egli non smette di di- Ancona, farebbe persino ipotizzare – sia- pingere neppure a tarda età, neanche dopo mo nel campo delle mere ipotesi – un ul- la partenza dei due figli, Giovanni ed Anton timo ritorno dell’anziano pittore nelle terre Francesco, nel 1672 60. La tela di Moglia- dell’antico ducato. no, nell’entroterra maceratese 61, conferma

195 Studi pesaresi 3.2015

Appendice documentaria

- documento n. 1: Pesaro, matrimonio di Pesaro et alli medemi constituenti spettanti Domenico Peruzzini; fonte: Archivio par- et attinenti, spontaneamente non per forza rocchiale di San Cassiano di Pesaro, Ma- alcuna , et in ogn’altro miglior modo etc, trimoni, lib. A, anni 1619-1660, c. 30v.: dà, loca et haver concede in affitto ad Anto- nio di Donnino da... [sic] assente e per lui al Adì 24 di Agosto 1625. Messer Dome- sig. Gio. Filippo Leonardi Notaro pubblico nico Peruzzini e madonna Camilla Tombac- anconitano, presente, accettante e stipulan- ci furno congiunti in matrimonio per parole te procuratore del detto Antonio conduttore, di presente da me Matteo Ghibellini di li- come costa per mandato di procura rogato cenza di Monsignor Illustrissimo Vescovo, il sig. Bartolomeo Gionta Notaro pubblico fatta una sola pubblicazione, presenti furno di Pesaro al quale etc. l’infrascritti beni da a tal congiungimento messer D. Bartolomeo fatto [?] da specificarsi cioè Rondola e messer Francesco Maria Janni et Primieramente una casa posta in Pesaro il Sig. Giorgio Aiberti. nel quartiere di S. Jacomo appresso li beni da un lato di mastro Cesare Dominici sarto- - documento n. 2: Ancona, locazione dei re, dall’altro li beni di mastro Bernardo … beni immobili, siti in Pesaro, della signo- [sic] la strada pubblica et altri lati con tutte ra Camilla, moglie di Domenico Peruz- le sue pertinenze. zini; fonte: Archivio di Stato di Ancona Un campo di terra arativa, nella corte di (d’ora in poi Asan), Notarile Ancona, n. Pesaro, su dietro alla foglia confinante con 1458, not. Oliviero Scalamonti: li beni della chiesa di S. Rocco di Pesaro, il detto fiume foglia et altri lati etc. con tutte le Anni 1655, indizione 8^. Locatio. Die 2^ sue pertinenze, frutti et entrate come sopra. Mensis Augusti. Una piantata nella corte di Pesaro, ap- Costituito personalmente avanti di me presso li beni di Marco Cappanna, li beni Notario pubblico e testimonij infrascritti il del sig. Arcidiacono Carlo Stefano Arderi- sig. Domenico Peruzzino pittore da Pesaro ni con tutte le sue pertinenze, frutti, entrate habitante in questa città d’Ancona, marito e raccolte come sopra ad havere, godere, e legittimo amministratore della signora come delle cose simili si suol fare, con clau- Camilla Ricci [sic] sua moglie parimente sola et effetto del constituto in forma etc. da detto luogo, il quale tanto in suo nome Quale affitto di detti beni, le dette par- proprio, quanto in nome e vice della det- ti fecero e fanno per anni quattro prossimi ta Sig.ra Camilla sua moglie […], et anco da incominciarsi finite le raccolte prossime come procuratore della medema constitui- passate dell’anno 1654 di tutti li frutti di to per gli atti del sig. Giovan Filippo Leo- detti pezzi di terra e come segue da finire nardi Notario pubblico anconitano a pote- di maniera tale che detto conduttore deb- re in detti nomi affittare qualsivoglia sorte ba havere in ciascuno di detti beni quattro de beni esistenti nel territorio della città di raccolte intiere di tutte l’entrate, e ciò le

196 Roberto Domenichini Intorno al soggiorno pesarese del pittore Domenico Peruzzini dette parti convenirono per annuo affitto e patto etc. Et il residuo di detto affitto, cioè risposta di scudi dicidotto di grossi vinti per scudi dicidotto ducali per l’ultimo anno il scudo di moneta ducale da pagarsi si come detto conduttore promette parimente pagare il detto Donnino conduttore promette pa- al detto locatore nel principio dell’ultimo gare di anno in anno anticipatamente et a anno e non altrimente. conto del qual prezzo et in sconto di quello Convengono in’oltre le parti che in il detto Donnino conduttore diede e sborsò evento di grandine, foco, inondazione, de- liberamente e senza lite alcuna al detto sig. vastazione di guerra et incursione de popoli Domenico Peruzzini locatore presente etc. sopra detti beni, sii tenuto il detto sig. loca- scudi cinquanta quattro in tanti pavoli e te- tore defalcare et far buono al detto Donnino stoni di moneta ducale per le mani del sig. conduttore tutto il danno, spese et interesse Gio: Filippo Leonardi suo procuratore per che per la cause suddette il medesimo con- pagamento di detto affitto di tre anni antici- duttore possi patire a stima de periti da el- pati, come costa per ricevuto fatto dal detto leggersi tra esse parti... sig. Domenico esistente nelle mani di detto Actum Anconae in officio mei sito in pa- conduttore de quali scudi cinquanta quattro, rochia Sancti Nicolai juxta etc. ibidem pre- come sopra sborsati e ricevuti il detto Sig. sentibus illustris et ad[modum] excellenti d. Domenico Peruzzini locatore presente ne Hiacinto de Alexandris causidico anconita- fece e fa al detto Donnino conduttore as- no et Petro de Dormientibus testibus. Olive- sente e per lui al detto sig. […] Leonardi rius Scalamonti (?) notarius rogatus. presente etc. fine e generale quietanza per

1 Cfr. in particolare J. T. Spike, Un’attribuzio- in “Pesaro città e contà”, 6, 1996, p. 133; le nostre ne e alcune note sulla biografia di Domenico Peruz- citazioni fanno riferimento a questa edizione. Anche zini, in B. Cleri et al., Restauri per Domenico Peruz- il Ricci ha scritto che Domenico fu «educato nel di- zini, Biblioteca e Museo civico, Urbania 1997, p. 71. pingere dal pesarese Pandolfi», cfr.A . Ricci, Memorie L’autore parla esplicitamente di periodo «oscuro» che storiche delle arti e degli artisti della Marca d’An- «coincide esattamente con gli anni probabili dell’ap- cona, Macerata 1834, II, p. 273. È da dire tuttavia prendistato e della carriera da giovane di Peruzzini». che Amico Ricci ritiene Domenico Peruzzini fratello Di «molte incertezze» nella vicenda biografica di Do- e non padre di Giovanni e questa confusione è rimasta menico aveva parlato anche M. Cellini, Domenico tale per lungo tempo. Sull’«alunnato» presso il Pan- Peruzzini (Urbania 1602-Ancona 1673?), in Aa.vv., dolfi cfr. anche A. Ottolini, I disegni di Domenico Federico Barocci, Giovanni Francesco Guerrieri, Peruzzini, in “Arte cristana”, n.s., LXXI, 1984, fasc. Domenico Peruzzini. Tre disegnatori delle Marche 700, p. 25; B. Cleri, Gian Giacomo Pandolfi a S. nella collezione Ubaldini, Biblioteca e Museo civico Angelo in Vado, in “Notizie da palazzo Albani”, XII di Urbania, Urbino 1994, pp. 131 ss. (1983), p. 186; Ead., Sulle tracce di Domenico Peruz- L’autore ringrazia Giovanna Patrignani, Marco Dro- zini, dall’entroterra metaurense al mare, in Restauri ghini e la collega dell’Archivio di Stato di Pesaro, per Domenico Peruzzini cit., pp. 24-25; Cellini, Do- Sara Cambrini, per gli utili consigli da essi ricevuti. menico Peruzzini cit., p. 132; Spike, Un’attribuzione 2 Di tale apprendistato aveva a suo tempo par- cit., p. 71; C. Costanzi, M. Massa, La tradizione pit- lato D. Bonamini nel suo Abbecedario degli architetti torica dei Peruzzini nelle Marche: da Domenico ad e pittori pesaresi, pubblicato a cura di G. Patrignani, Antonio Francesco, in Antonio Francesco Peruzzini,

197 Studi pesaresi 3.2015 cat. mostra (Ancona, 28 luglio-9 novembre 1997), del parroco di San Cassiano di Pesaro o ancora che cur. M. Gregori e P. Zampetti, Milano 1997, p. 63. questi, nell’atto, per indicare il casato della sposa, ab- 3 Cfr. Spike, Un’attribuzione cit., pp. 71, 77-78 bia voluto quasi rimarcare la provenienza della fami- 4 L’atto si trova nell’Archivio storico diocesa- glia. Da questo punto di vista potrebbe apparire forse no di Pesaro, Parrocchia del duomo, battesimi, libro interessante notare come uno dei primi, noti membri XI (dal 1625 al 1634), c. 18. della famiglia Ricci, Ludovico, poeta della “colonia 5 Gli altri documenti “pesaresi” sono: l’atto pesarese”, era stato a lungo pievano del castello di di matrimonio (24 agosto 1625) e il rogito del notaio Tomba tra Cinque e Seicento (cfr. N. Cecini, Cultura Montano Montani del 6 agosto 1633 (vol. 3, n. 90). e letteratura nei centri maggiori e minori tra Rina- Tenuto conto della mancanza della qualifica di cui so- scimento e Barocco, in Arte e cultura nella provincia pra, è plausibile ritenere che negli anni Venti-Trenta di Pesaro e Urbino dalle origini a oggi, cur. F. Batti- del secolo, nell’ambiente pesarese, Domenico non stelli, Venezia 1986, p. 351) Il tema del cognome di fosse ancora conosciuto come pittore (né tantomeno, Camilla meriterebbe comunque un approfondimento come pure vedremo, come architetto). ulteriore. 6 Cfr. Asan, Archivio storico comunale di An- 10 Infatti, nell’atto di battesimo della piccola cona (d’ora in poi Acan), n. 6032: Registro dei morti Lucrezia si legge che Domenico e donna Camilla sua della città di Ancona, compilato dal cappellano del moglie abitavano nella «cura di S. Lucia» (la segna- locale ospedale della SS.ma Annunziata, c. 102v, 8 tura dell’atto è alla nota 4). febbraio 1639; Ivi, Notarile Ancona, n. 1458, Olivie- 11 È noto il che il padre di Domenico, Giulio, ro Scalamonti, a.1655, c. 157v. pesarese, era stato il cuoco dei duchi di Urbino, dei 7 Cfr. Ottolini, art. cit., p. 29, nota 8; Spike, Della Rovere, secondo quanto ha reso noto per primo Un’attribuzione cit., p. 77. C. Leonardi nel suo Margherita Panezia e il suo ri- 8 Cfr. Cleri, Sulle tracce..., cit., p. 17. tratto dipinto da Domenico Peruzzini in Santa Chiara 9 L’atto di matrimonio, del 24 agosto 1625, di Urbania, in Restauri per Domenico Peruzzini cit., è trascritto nell’appendice del presente saggio. C’è pp. 88, 91. una sorta di piccolo “giallo” intorno al cognome (e 12 Cfr. in merito Cleri, Gian Giacomo Pandol- quindi al casato) della sposa. Nell’atto di matrimonio fi... cit., 177; e anche G. Calegari, Apporti esterni (in Archivio parrocchiale di San Cassiano di Pesa- e cultura locale nella pittura del Seicento, in Arte e ro, Battesimi, I, c. 30v) si legge chiaramente che il cultura cit., p. 392 e la relativa voce in Dizionario cognome di Camilla era Tombacci. Nei restanti do- storico-biografico dei marchigiani, cur. G.M. Claudi cumenti pesaresi, come si vedrà, Camilla è indicata e L. Catri, II, Ancona 1993, p. 107. sempre e solo come moglie di Domenico Peruzzini; 13 La segnatura archivistica dell’atto di battesi- allo stesso modo anche in vari documenti anconita- mo è riportata alla nota n. 4. ni, incluso l’atto di morte (del 22.05.1672, in Asan, 14 Sulla nobiltà pesarese del tempo cfr. G. Pa- Acan, n. 6034: Registro dei morti cit., c. 40). Ma in trignani, La nobiltà civica di Pesaro nell’Enciclo- due atti rogati in Ancona la moglie di Domenico è pedia storico nobiliare italiana di Vittorio Spreti, qualificata «Camilla Ricci» (cfr. il già citato rogito di in “Quaderni dell’Accademia fanestre”, 9, 2010, O. Scalamonti, Notarile Ancona, n. 1458, c. 157v); pp. 381-420. È da notare tuttavia che in un elen- addirittura nell’atto rogato da Gio. Filippo Leonardi co, sia pur informale, di “nobiluomini” pesaresi del 13 gennaio 1657, si legge espressamente: «don- che verosimilmente ricoprivano cariche pubbliche na Camilla filia quondam domini Julii de’ Riccis de nella città di Pesaro attorno al 1631, anno della de- Pisauro et uxor domini Dominici Peruzzini de eodem voluzione, non compare alcun Ricci. Ciò farebbe Anconae incola». È molto probabile si tratti di un supporre – siamo nel campo delle ipotesi – che tale caso di cambiamento di cognome, peraltro non del famiglia abbia iniziato a ricoprire ruoli rilevanti in tutto infrequente in antico regime, a meno che non si città dopo la devoluzione. L’elenco di cui sopra è voglia ipotizzare un errore di registrazione da parte in Archivio di Stato di Pesaro (d’ora in poi Asp),

198 Roberto Domenichini Intorno al soggiorno pesarese del pittore Domenico Peruzzini

Notarile Pesaro, notaio Federico Amici, n. 9, anni alla nota n. 21 – mentre ne restituisce al Gozze 50, diversi, cc. n. n. avendo fatto tuttavia una “compagnia d’ufficio” per 15 Dopo il soggiorno a Rieti fino al suo decesso 50 scudi). (avvenuto – sembra – dopo il 1636) è sempre presente 20 I genitori di Domenico, Giovanna e Giulio, in città e, dopo il 1631, nel suo contado. quasi certamente vivevano con la famiglia di Dome- 16 Su Niccolò Martinelli, detto il Trometta, cfr., nico perché, quando questi si trasferirà in Ancona, oltre il cit. Abbecedario di D. Bonamini, pp. 139-141, i genitori lo seguiranno; infatti Giovanna e Giulio anche L. Fontebuoni, Il manierismo metaurense, in moriranno entrambi in Ancona. Su tale argomento si Arte e cultura cit., pp. 298-300. Sul Begni cfr. Bona- veda più avanti. mini, Abbecedario cit., pp. 96-100; A. Fucili Barto- 21 La supplica può essere considerata un al- lucci, La scuola baroccesca, Claudio Ridolfi e i suoi legato del rogito ed è in Asp, Notarile Pesaro, not. epigoni; e Calegari, Apporti esterni..., cit.: entrambi Montano Montani, n.3, c. n. n. Le suppliche, come è pubblicati in Arte e cultura nella provincia..., cit., ri- noto, non sono datate; recano però l’annotazione di spettivamente alle pp. 320 e 392-394. Su Francesco ed recezione, in questo caso la data dell’8 marzo 1633. altri membri della famiglia Mingucci di Pesaro cfr. G. 22 Oltre il rogito e la supplica di Camilla, si Allegretti, Mercanti, agricoltori, pittori: i Mingucci conserva anche una sorta di bozza, o nota informale, di Pesaro negli anni della devoluzione, in “Pesaro cit- dell’atto (ivi). tà e contà”, 7, 1996, pp. 45-56; il noto vol.: Città e ca- 23 Su Giovanni, una volta ritenuto erroneamen- stella (1626). Tempere di Francesco Mingucci pesare- te fratello minore di Domenico, non si hanno ancora se, Torino-Roma 1991, che riproduce il ms. Barb. Lat. notizie dirette. Dalla presente ricerca, dai documenti 4434 della Biblioteca apostolica vatican. Cfr. anche emersi, relativi a Domenico e alla sua famiglia, si può A. Brancati, I castelli di Gabicce e dintorni attraver- notare che egli è quasi certamente nato ad Ancona so gli acquarelli di Francecso Mingucci (sec. XVII), poco dopo il trasferimento della famiglia nella città Convegno di storia locale organizzato dall’Ammin. dorica, cambiamento di sede che, come si vedrà, sa- Comunale di Gabicce Mare, Pesaro 1981. rebbe avvenuto tra la fine del 1633 e l’inizio del ‘34. 17 Questa è la tesi, per così dire, tradizionale, Cfr. Cellini, Domenico Peruzzini cit., p. 131 (l’autri- condivisa ad esempio da Cleri, Sulle tracce di Do- ce pone la nascita nel 1636 o intorno «al 1644»); e menico Peruzzini cit., p. 17 (la committenza della tela D. Ferriani, Giovanni Peruzzini (?-Milano 1694), in sarebbe derivata certamente «dall’ambiente ancone- Nuovi restauri a Urbino e nelle Marche, cur. P. Dal tano»); Spike, Un’attribuzione cit., p. 71. Poggetto, Soprintendenza per i Beni artistici e storici 18 A dir il vero, l’autore dell’articolo sulla delle Marche, Urbino 1995, pp. 54-55. “Pentecoste” propone come data di realizzazione 24 Ricci, Memorie storiche cit., II, p. 271. A dir l’anno 1653, ma l’immagine (la foto) non sembra la- il vero, il Ricci attribuisce tale attivismo a Giovanni sciare margini di dubbio di lettura; cfr. in merito K. Peruzzini, che definisce «pesarese» e che, equivo- Prijatelj, Nota su due dipinti di Domenico Peruzzi- cando, ritiene essere il fratello di Domenico. L’opera ni in Dalmazia, in “Notizie da Palazzo Albani”, XII del Ricci, in effetti, pur altamente meritoria in quan- (1983), n. 1-2, pp. 193-195. Già Bonita Cleri aveva a to rappresenta il primo serio tentativo di illustrare la suo tempo notato l’errore di lettura, cfr. quanto scrive storia dell’arte nella Marca dal medioevo alla fine del Spike, Un’attribuzione cit., p. 72. secolo XVIII, non appare immune da fraintendimenti, 19 Sorge quasi spontanea l’ipotesi – siamo nel che non sono di certo sfuggiti agli storici maceratesi campo delle congetture – che Domenico possa aver (cfr. L. Paci, L’arte, in Storia di Macerata, cur. A. dipinto questa tela in parte per pagare gli interessi del Adversi, D. Cecchi, L. Paci, III, Macerata 1973): si debito contratto col Gozze (e forse anche, per il pa- veda in proposito R. Domenichini, Rogiti di notai lo- gamento di parte del funerale della madre di Camilla retani per Cristoforo Roncalli, il Pomarancio, e suoi – si veda più avanti – a causa del quale Domenico si collaboratori (G.A.. Scaramuccia, P.P. Jacometti ed era indebitato per 60 scudi – vedi la supplica citata altri), in Il notariato in area umbro-marchigiana.

199 Studi pesaresi 3.2015

Esperienze professionali e produzione documenta- 35 Ibid., n. 6033, c. 116. Anche in questo caso ria. Secoli X-XVIII, cur. G. Giubbini, Perugia 2011, p. l’età del defunto è compatibile con quella del padre di 159. Domenico. 25 Riguardo a tali relazioni cfr. in particolare 36 Ibid., n. 6032, c. 102v. il più volte citato Abbecedario di D. Bonamini, pp. 37 Caso questo, peraltro, unico; negli altri do- 134-135. A testimonianza di tali relazioni restano cumenti, come si vedrà, Domenico è sempre indicato varie opere, talora eseguite, forse, in collaborazione come pesarese o viene usata la locuzione “da Pesaro”. col figlio Giovanni, cfr. ibidem e A. Becci, Catalogo 38 Come già riferito, al momento della reda- delle pitture che si conservano nelle chiese di Pesa- zione dell’atto col de Gozze, Domenico era assente; ro, Pesaro 1783, in part. p. 65 (anche il Becci ritiene quasi certamente era fuori Pesaro. D’altra parte nel che Giovanni sia il fratello di Domenico); Cellini, medesimo 1633 egli firma e data, da Ancona, la tela Domenico Peruzzini cit., p.135. Costanzi, Massa, La di Celopeci. tradizione pittorica cit., pp. 66-67. 39 Brugiamolini, Un documento inedito cit., p. 26 Cfr. Spike, Un’attribuzione cit., p. 71; Co- 6. L’ipotesi era stata forse formulata sulla base dell’u- stanzi, Massa, La tradizione pittorica cit., pp. 63-64; nico documento da lei rinvenuto (cfr. nota 30) che F. Brugiamolini, Un documento inedito per Antonio dà Domenico presente, pur momentaneamente, nel- Francesco Peruzzini. Le due tempeste marine del la parrocchia di San Pietro, prossima a quella di San pittore anconitano al Museo Pinacoteca della Santa Pellegrino, sul colle Guasco. Casa di Loreto, Ancona 1998, p. 5. 40 In seguito però, forse negli anni Cinquanta o 27 Bonamini, Abbecedario cit., p. 134. Sessanta, i Peruzzini cambiano casa e rione tanto che 28 C. Costanzi, Un quadro “disperso” di Do- la moglie di Domenico, Camilla, muore, nel 1672, menico Peruzzini, in Studi per Pietro Zampetti, cur. nella parrocchia di San Giacomo, cfr. Asan, Acan, n. R. Varese, Ancona 1993, pp. 426-428. 6034, c. 40. 29 Spike, Un’attribuzione cit., p. 78. 41 Cfr. gli articoli di Marina Cellini e di Daniela 30 Il riferimento è ai lavori di Costanzi, Un Ferriani citati alla nota 23. quadro “disperso” cit. (che ha condotto un’indagine 42 Su Anton Francesco cfr. Brugiamolini, Un sul notarile di Ancona; ivi, p. 428) e Brugiamolini, documento inedito cit. e in particolare il già citato cat. Un documento inedito cit. (che ha consultato, oltre mostra Antonio Francesco Peruzzini. che il notarile anche il fondo comunale di Ancona e 43 Cfr. in particolare Cellini, Domenico Peruz- pure l’archivio diocesano della dorica, riuscendo a zini cit., pp. 131, 133, 142, 146; B. Cleri, Un itinera- trovare solo «un Domenico Peruzzini da Pesaro» che, rio per Domenico Peruzzini, in Restauri per Domeni- il 26 ottobre \647, è compare di battesimo per una co Peruzzini cit., pp. 50-52 (ivi bibliografia). bambina; ibid., p. 6). 44 Sulla “Visitazione “ cfr. ibid., pp. 57-59; 31 Costanzi, Un quadro “disperso” cit., p. 426; sull’“Assunzione” cfr., della stessa B. Cleri, Un’As- il committente è il conte Angelo Ferretti. sunzione in territorio vadese, in “Notizie da palazzo 32 Costanzi, Massa, La tradizione pittorica Albani”, XV (1986), n. 2, p. 67. cit., pp. 67-68. 45 Asan, Notarile Ancona, n.1458, atti del nota- 33 Sono stati infatti rinvenuti due atti del 1655: io Oliviero Scalamonti. L’atto viene trascritto e ripor- una locatio del notaio anconitano Oliviero Scala- tato nell’appendice documentaria. monti e una procura del pesarese Bartolomeo Giunta. 46 Il nome è trascritto per esteso nell’atto del Inoltre, due atti del notaio anconitano Gio. Filippo notaio pesarese Bartolomeo Giunta in Asp, Notarile Leonardi: una procura del 1657 ed una attestatio del Pesaro, n. 2674, anno 1655. 1659 (si veda più avanti). 47 Ha lo stesso nome del nonno; come già ri- 34 Asan, Acan, n. 6032, c. 72v. L’età della de- ferito era nato a Castel Durante. Probabilmente si funta è compatibile con l’età della madre di Domeni- era trasferito anche lui in Ancona, tanto che compare co, nato nel 1602. come testimone in due atti del notaio Giovanni Filip-

200 Roberto Domenichini Intorno al soggiorno pesarese del pittore Domenico Peruzzini po Leonardi; Notarile Ancona, n. 1334, anno 1655, ad 59 Sulla tela di Corinaldo cfr. ibid., p. 69; sul- es. c. 123. la quella di Ascoli, cfr. Ferriani, art. cit. È probabile 48 Asan, Notarile Ancona., n. 1335, anno 1657, che sia stata realizzata in questo decennio anche la cc.15v-17. tela di Santo Stefano, nell’omonima chiesa collegiata 49 Bonamini, Abbecedario cit., p. 134. di Monte Santo (Potenza Picena), che sembra possa 50 Ibidem e Becci, Catalogo cit., p. 52. essere attribuita ai due Peruzzini, Domenico e Gio- 51 Cfr. Costanzi, Massa, La tradizione pitto- vanni. rica cit., pp. 66-68. Ricorda invece il dipinto nella 60 Si trasferiscono dapprima a Roma, dove ri- «piccola Chiesuola delle Convertite» Antonio Becci mangono un biennio, lavorando anche per il duca di nel suo Catalogo cit., p. 65. Savoia Carlo Emanuele II; più tardi Giovanni si tra- 52 Bonamini, Abbecedario cit., p. 135. Tali ope- sferirà a Torino per passare poi a Milano, dove finirà i re risultano datate 1663 e 1664. suoi giorni; cfr. Ricci, Memorie storiche cit., pp. 272- 53 Cfr. Inventari di quadrerie pesaresi nei rogiti 273; L. Muti, D. de Sarno Prignano, L’avventura notarili dell’Archivio di Stato di Pesaro (secoli XVI- artistica di Antonio Francesco Peruzzini, creatore e XIX).1.Ottocento, cur. G. Patrignani, in “Pesaro città artefice della pittura moderna di paesaggio, nel citato e contà”, 29, 2011, p. 85. cat. mostra Antonio Francesco Peruzzini, pp. 20-21. 54 Spike, Un’attribuzione cit., ivi bibliografia. 61 Cfr. San Nicola da Tolentino e le Marche: 55 Cfr. Bonamini, Abbecedario cit., p. 133; così culto e arte, cur. R. Tollo e E. Bisacci, Tolentino infatti scrive: il Peruzzini «riuscì un abile e dotto pro- 1999, pp. 144-145, la scheda del dipinto è di Marina fessore non tanto per i buoni fondamenti ch’ebbe del Massa. disegno, quanto per i principi d’architettura». 62 Prima della pubblicazione della pala di Mo- 56 Costanzi, Massa, La tradizione pittorica gliano quasi tutti gli studiosi, sulla base di indicazioni cit., p. 65. fornite da uno storico mediceo, hanno indicato l’anno 57 Asan, Notarile Ancona, n. 1337, atto del 13 di morte nel 1673; cfr., in particolare, Cellini, Domeni- maggio 1659, cc. 126-7. co Peruzzini cit.; Spike, Un’attribuzione cit., pp. 75, 79. 58 A. Maggiori, Le pitture sculture e architetture 63 Muore infatti in Ancona nella parrocchia di della città di Ancona, Ancona 1821, passim; e Costan- San Giacomo il 22 maggio 1672 «di 65 anni»; cfr. zi, Massa, La tradizione pittorica cit., pp. 67-69. nota n. 40.

201 La contea di Colle degli Stregoni

di Stefano Lancioni

Come altri feudi della montagna appen- Dato che non sempre era possibile as- ninica, anche Pietragialla (il cui territorio è sicurare pieno accordo tra i vari membri attualmente compreso nel comune di Apec- della famiglia, in caso di impossibilità di chio e che era annoverato tra i luoghi feu- normale convivenza si poteva ricorrere alla dali dipendenti dal ducato – poi dalla lega- divisione del feudo, creando entità politico- zione – di Urbino) veniva amministrato, nel amministrative indipendenti l’una dall’altra Medioevo e in età moderna, con un sistema affidate a persone diverse. Pertanto, con il di rate per cui tutti i maschi della consorte- susseguirsi delle generazioni, non era raro ria detenevano il titolo feudale e i diritti ad che si moltiplicassero i detentori di giuri- essi connessi (amministrazione della giusti- sdizioni feudali e, viceversa, che il territorio zia, riscossione delle tasse, esenzioni varie, di una comunità potesse ridursi ad un’esten- ecc.). sione di pochi ettari, con una popolazione

Figura 1 – Colle degli Stregoni.

202 Stefano Lancioni La contea di Colle degli Stregoni residente di poche decine di anime. È que- berto spettassero «li lavoratori della Chie- sto il caso di una contea dal bizzarro nome sa di don Andrea Bedino di Caciaramella», di “Colle degli Stregoni” 1, con quattro abi- dieci famiglie, «il podere delle Sore» e i tazioni e dieci/quindici anime in tutto, so- luoghi di Valmaja e Cirigiolo; ad Ottaviano pravvissuta fino all’inizio del XIX secolo. Ubaldini «li lavoratori della chiesa di don Stefano Guenero, l’Erede di Boiamonte, Girolamo del Palazzo, Federico delli Pretil- I titolari della giurisdizione: gli Ubaldini li, Braccio, Matteo dei Pretilli, l’Erede del di Montefiore Mugnaio, l’Erede di Mazzaloste, Battista del Monte, Alessandro dal Monte, il podere Nel 1481 gli esponenti dei vari rami del- della Madonna». la consorteria degli Ubaldini misero un po’ La località di Colle degli Stregoni (non d’ordine nei loro domini feudali del ducato menzionata nell’atto) doveva essere inseri- di Urbino, situati nella Vaccareccia (territo- ta nel secondo gruppo, affidato ad Ottavia- rio cisappenninico del ducato appartenente no Ubaldini; alla morte di costui, la rata fu alla diocesi di Città di Castello e ammini- governata dai figli e, successivamente, dai strativamente sottoposto al controllo del nipoti, che, nel passare dei decenni, si erano commissario di Massa) stipulando una serie trasferiti parte a Jesi, parte a Cantiano. di atti notarili (chiamati convenzionalmente Nel 1606 5 venne effettuata un’ulteriore “contratti di famiglia”) con i quali definiva- divisione dei beni feudali e, per la già pic- no con estrema precisione le giurisdizioni cola rata di Pietragialla, vennero creati due di reciproca competenza. In particolare il microscopici feudi (corrispondenti ad un castello di Pietragialla (presso Apecchio) dodicesimo cadauno dell’antico comitato venne diviso in due rate: di Pietragialla) affidati agli Ubaldini di Jesi - due terzi delle famiglie furono asse- (che ebbero Piano di S. Martino e un luogo gnate al conte Guidantonio di Nanni, chiamato il Colombaro) e a quelli di Can- residente a Gubbio (i figli del quale tiano, ai quali spettò invece la villa (quattro avrebbero ottenuto nel 1514 dal duca abitazioni) di Colle di Strigone 6. È questa, Francesco Maria della Rovere il titolo tra l’altro, la prima attestazione del bizzar- di conti di Apecchio); ro toponimo che caratterizza la minuscola - un terzo ai fratelli Ottaviano e Tiberto contea. conti di Montefiore2 . Nel 1541, morto Tiberto Ubaldini, si de- cise di dividere definitivamente le giurisdi- I Bonarelli di Gubbio zioni fino ad allora comuni creando due feu- di indipendenti da affidare rispettivamente Qualche anno dopo il piccolo feudo di a Ottaviano e ai quattro figli di Tiberto 3. Colle di Stregone fu ceduta ad altra fami- A Pietragialla pertanto furono divise le fa- glia: intorno al 1630 erano infatti gravi i miglie in due ulteriori parti, rappresentanti problemi finanziari del conte Giulio Cesare ognuna un sesto del feudo originario. La Ubaldini di Cantiano, alle prese con il pro- Lista degl’omini de Pietragialla partiti (20 blema di racimolare la somma necessaria a aprile 1541) 4 prevedeva che ai figli di Ti- costituire la dote della figlia Camilla. In una

203 Studi pesaresi 3.2015 lettera del 17 novembre 1630 il commissa- della somma di scudi 996 «per conto di dote rio di Massa dichiara che due testimoni ap- di Ginevra Ubaldini sua autrice mediata e positamente convocati per il capitale e frutti decorsi d’un censo imposto sin dall’anno 1651». Per estinguere depongono che il conte Giulio Cesare tale debito concesse al secondo la giurisdi- […] è povero, carico di tre figli maschi, zione «della contea di Colle Stricone terri- et una femmina, e soggiungono che ha torio di Pietragialla per sé e qualsiasi suoi tanta poca roba rispetto al suo grado, che eredi e successori con tutte le ragioni do- è una meraviglia, ch’è impossibile, che minio privilegi e prerogative, niente escluso con il suo avere possa maritare la suddet- e riservato, se non il beneficio apostolico». ta sua figlia, se non vien graziato l’orato- Un chirografo pontificio di papa Clemente re di quanto ha supplicato. XI (datato Roma, 17 agosto 1701), confer- mava la transazione e sanava qualsiasi irre- È allegata alla missiva la supplica del golarità in precedenza intervenuta 11. conte Giovanni Francesco (fratello di Giu- lio Cesare) che, «mosso per atto di carità et amore fraterno, si è disposto per sollevarlo, Gli Antonelli di Pergola-Senigallia maritare una sua figlia, e per parte di dote consegnarle la sua parte di giurisdizione di Il primo conte di Colle degli Stregoni Coldestregone posto nel territorio di Pietra- della famiglia Antonelli fu pertanto il sopra gialla», per cui chiede pertanto licenza al menzionato Francesco. Costui era figlio di duca 7: i due chiedevano cioè l’autorizza- Filippo Antonelli e sposò la pergolese Lu- zione ducale per trasferire la giurisdizione crezia di Francesco Tofani, della parrocchia feudale di cui erano titolari al genero del di Sant’Agostino di quella città 12. conte Giulio Cesare, il cavalier Benedetto Loro figlio (e secondo conte di Colle Bonarelli di Gubbio, ed utilizzare tale alie- degli Stregoni) fu Filippo Antonelli, nato a nazione come dote. L’affare andò in porto, Pergola, dove fu battezzato il 18 novembre anche se con qualche anno di ritardo: il chi- 1680: sposò Caterina Castracani 13, intra- rografo pontificio che autorizzava il passag- prese la carriera militare combattendo nelle gio è del 30 settembre 1633 (nel frattempo file dell’esercito pontificio a Parma, Ferrara il duca Francesco Maria II della Rovere era e Bondeno e fu, a Pergola, uno dei princi- deceduto e lo Stato di Urbino era stato de- pali animatori della locale Accademia degli voluto alla Santa Sede) 8. Immaturi. Il Nicoletti, in due luoghi diver- I Bonarelli (o Boarelli, come compa- si della sua opera, pone due diverse date di re in successivi documenti) mantennero il morte: 1735 e 1745 14. possesso di Colle di Stregone fino al 1701, Ludovico Siena così ricorda il conte Fi- quando vendettero tale feudo agli Antonelli lippo nella sua Storia della città di Siniga- della Pergola «in compenso di denari pre- glia del 1746: stati loro» 9. L’atto di vendita fu rogato dal notaio Livio Sanelli di Pergola il 3 settem- Filippo Antonelli, nobile di Ferrara, bre 1700 tra Settimio Boarelli e Francesco di Gubbio, e di Sinigaglia, conte di Colle Antonelli di Pergola 10: il primo era debitore Strigone nello Stato di Urbino, e fratello

204 Stefano Lancioni La contea di Colle degli Stregoni

carnale di monsignor Nicola Antonelli marzo 1720 a Senigallia dal conte Filippo […] fu cavaliere di molta stima, e con- Antonelli e dalla contessa Caterina Castra- cetto, nelle lettere, e nell’armi, perché cani sua consorte. Fu battezzato il giorno sebbene non tralasciò mai lo studio delle successivo nella chiesa di San Pietro di Se- più sode scienze, e massimamente della nigallia 18. «Rispettabile per le sue virtù», più amena fralle arti nobili intellettuali, morì il 28 giugno 1796 e fu sepolto nella cioè, della poesia, in cui ebbe un finissi- chiesa di San Francesco nella villa di Bru- mo gusto, ed un estro forte, e sollevato gnetto (accanto al palazzo in cui abitava): il pei suoi lirici componimenti, pieni di ro- Cancellieri riporta esplicitamente la notizia bustezza, e di grazia con approvazione, che cessò «di vivere in uno stato celibe» 19. e gradimento delle più cospicue accade- Del conte Bernardino Antonelli parla mie, ed in specie dell’Arcadia di Roma, ampiamente il Cancellieri, inserendo alcu- ove era distinto col nome pastorale d’Ol- ne informazioni interessantissime (quelle mero: con tutto questo attese ancora ad esempio riguardanti le vicende familiari all’esercizio dell’armi, in guisa che, dalla o le mansioni militari) accanto a notizie del santa memoria di Clemente XI, che ben tutto trascurabili: ne conobbe lo spirito, e il valore, fu pa- recchi anni nella sua gioventù impiegato Conte di Costrigone, venne in Roma al servigio della Santa Sede in Parma, a col suo fratello Leonardo, e insieme con Ferrara, e al Bondeno, ove sempre uscì esso fu educato nel Collegio di Propa- con gran lode, e riputazione […] Morì il ganda dal loro zio, che era segretario di conte Filippo cristianamente in Siniga- quella Sacra Consulta. Ottenne il posto glia, e la di lui perdita fu molto sensibile di cornetta della guardia nobile de’ caval- per le ottime qualità, e pregi distinti, che leggeri; e da quando fu promosso, sotto il lo adornavano 15. pontificato di Pio VI, a quello di capitano del porto, e di castellano della fortezza di Più famoso fu suo fratello Nicola, nato Sinigaglia, ove pieno di meriti ha cessa- sempre a Pergola il 28 luglio 1698: desti- to di vivere in età di anni 84, a’ 7 luglio nato alla carriera ecclesiastica, ricoprì va- 1809, essendo stato tumulato nella tomba rie importanti cariche prelatizie a Roma (fu gentilizia, esistente nella Chiesa de’ Padri segretario della congregazione dei Brevi, Carmelitani di Sinigaglia. Il signor conte segretario della congregazione de Propa- Girolamo Fagnani Tesini, poi degnissimo ganda Fide, prefetto della congregazione prelato, e decano de’ votanti di Segnatura, delle Indulgenze, ecc.) fino ad ottenere, il pubblicò, in occasione del suo sposalizio, 24 settembre 1759, il titolo di cardinale. una bellissima raccolta, intitolata Le co- Morì il 24 settembre 1767 a Roma e fu se- stellazione del Polo Artico, componimenti polto nella basilica lateranense 16. poetici per le nozze del nobil uomo signor La terza generazione dei conti di Col- conte Bernardino Antonelli, castellano di le degli Stregoni fu rappresentata dai tre Sinigaglia con la nobile donna signora fratelli Angelo (1720-1796), Bernardino baronessa Caterina Ancajani, Roma 1779 (1725-1809) e Leonardo (1730-1811) 17. per il Casaletti […] Il castellano, dopo due Francesco Angelo (Angelo) nacque il 4 intieri lustri, ebbe la sorte di avere una

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bambina, alla di cui nascita applaudì con e, alla fine del secolo, un parroco della zona: un sublime inno eucaristico cantata dalla costui doveva controllare l’ordine pubblico virtuosa israelita, Anna, consorte d’Elca- (nel caso in cui ci fosse stato bisogno di bir- na, che dopo una lunga sterilità ottenne la ri o tribunali si sarebbe chiesto l’intervento stessa grazia, il canonico Teloni, ora ve- di quelli di S. Angelo, Urbania o Mercatel- scovo meritevolissimo di Senigalla, con lo) 23, notificare i bandi e gli editti dei feu- questo titolo: al faustissimo parto di Sua datari, riscuotere le colte, cioè un’imposta Eccellenza la signora contessa Caterina annuale fissa sulla proprietà che, a Pietra- Ancajani Antonelli, Marco Crescentini gialla si riscuoteva il 22 luglio alla ragione applaude col seguente componimento. di 14 bolognini ducali (pari a 15 baiocchi e Sinigaglia 1789 presso Domenico Lazza- mezzo romani) ogni cento fiorini ducali (in rini 4. Le fu imposto il nome di Serafina, pratica, considerando la ridottissima esten- che volò al Cielo a’ 6 di aprile del 1789, sione territoriale del feudo, meno di cinque dopo 15 giorni dalla sua nascita, essendo scudi annui). Unica spesa per il feudatario anch’essa stata sepolta nella Chiesa del era quella dello stipendio del governatore, Carmine, senza aver poi avuta ulterior sull’entità del quale non siamo informati prole 20. ma che doveva essere esiguo. Occasionalmente giungevano ordini o L’ultimogenito intraprese la carriera re- precisazioni dalla segreteria della legazione ligiosa: seguendo le orme dello zio ricoprì di Urbino (da cui il feudo dipendeva), a cui vari incarichi nella Curia romana. Troppo bisognava rispondere. Nel 1755 ad esem- lungo sarebbe ricordare la carriera ecclesia- pio la segreteria di legazione intimò a tutti stica di Leonardo Antonelli (cardinale dal i feudatari dello Stato di Urbino di esibire 24 aprile 1775): chi fosse interessato può diplomi e documenti attestanti il legittimo leggere il volumetto di Francesco Cancel- possesso dei feudi. Così scrive testualmente lieri a lui dedicato 21. Morto ad ottantadue il podestà di Apecchio Mazzarini: anni il 23 gennaio 1811, fu sepolto nella cattedrale di Senigallia, dove è possibile All’inviare a Vostra Grazia l’annessa ancora leggerne l’epigrafe 22. ricevuta delle note lettere dirette ai con- ti feudatari fattami dal giusdicente del conte Francesco Cardelli moderno pos- L’amministrazione del feudo sessore di rata del feudo di Monte Fiore, devo parteciparle rispetto all’altra che mi Naturalmente i titolari della giurisdi- ritornò pel Conte di Costregone, aver io zione (Ubaldini, Bonarelli, Antonelli) non inviato la medesima, come altra fiata le vivevano nel feudo (nel quale non aveva- significati, al luogotenente Mancini, il no alcun possesso diretto) ma altrove (gli quale ha delle ingerenze riguardo a detto Ubaldini a Cantiano, i Bonarelli a Gubbio, feudo, dalla famiglia Antonelli possedi- gli Antonelli dapprima a Pergola, quindi trice del medesimo. Ma tornatami final- a Senigallia e Roma): erano in pratica qui mente la risposta, mi notifica esso luo- rappresentati da un governatore (o vicecon- gotenente Mancini l’aver consegnata la te) che, a metà Settecento, è un tal Mancini medesima lettera al conte Angelo Anto-

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nelli, ma ch’egli non ne abbia voluto fare varie giurisdizioni 30: il Ghigi precisava il 29 la ricevuta sul pretesto di non essere egli gennaio che nella contea Antonelli tutti gli il conte del feudo, ma d’averli promesso abitanti erano miserabili e avevano appena di mandarla a monsignor Antonelli suo da vivere; avevano fatto pertanto risoluzio- zio in Roma 24. ne di non farne provvista e che sarebbero ricorso alla comunità più vicina in caso di Il conte Angelo poi ci ripensò (la succes- necessità 31. sione feudale nella legazione di Urbino di L’arrivo dei Francesi provocò una breve norma ricadeva al primogenito maschio, ma sospensione del commissariato di don Giam- nei feudi degli Ubaldini, come in altri feudi battista Ghigi: il 7 febbraio 1797 Napoleone­ di montagna preesistenti all’intero ducato, Bonaparte ordinava infatti che tutte le comu- tale norma non sempre veniva applicata) nità feudali della legazione giurassero fedeltà ed inviò, nell’aprile 1756, i prescritti docu- alla Repubblica francese. Il Ghigi riuscì ad menti che attestavano il legittimo possesso evitare tale richiesta prospettandone l’even- del feudo 25. tuale nullità, dato che (secondo quanto lui Abbiamo ricordato qualche anno dopo, stesso scrive), non era stato legittimamente nel 1760, un intervento a favore di Mattia e eletto ed autorizzato a svolgere la carica di vi- fratelli, della contea di Col de Stregone, che ceconte del feudo e dichiarava, in ogni caso, erano ricorsi al cardinal Antonelli loro padro- di voler abdicare 32. ne. Monsignor Antonio Colonna Branciforte, La prima occupazione francese durò presidente della legazione di Urbino, intimò solo due mesi (nell’aprile 1797 tutto il ter- pertanto al podestà di Apecchio di non impor- ritorio della legazione tornò nelle mani del tunare più i personaggi menzionati 26. delegato apostolico, monsignor Arrigoni); Sappiamo che, nel 1795, era commissa- alla fine del 1797 ci fu una seconda occu- rio per il conte Antonelli don Giambattista pazione e il territorio della nostra provin- Ghigi di Apecchio 27. A costui inviò alcune cia fu annesso alla Repubblica Romana, missive la segreteria di legazione: una pri- fino all’estate del 1799 quando gli austro- ma riguardava una gabella di due bajocchi russi (e gli insorgenti) occuparono il ter- ogni cento scudi di possidenza rustica che ritorio del dipartimento. Dopo una breve colpiva tutti i luoghi, anche privilegiati, occupazione austriaca, seguì una seconda della provincia (si chiedevano, nell’agosto restaurazione pontificia (giugno 1800), du- 1796, i precisi dati della contea di Colstri- rante la quale furono naturalmente ricosti- gone al commissario) 28. Nello stesso anno, tuiti i feudi. Nel 1801, ritroviamo don Ghi- nel novembre, si precisava che, essendo la gi come commissario di Colstrigone per il contea composta di sole tredici persone, conte Antonelli: a lui in quell’anno viene non era obbligata a dare alcun uomo per la inviata una missiva dalla segreteria della leva forzata che quell’anno veniva organiz- delegazione riguardante una nuova tassa, zata per cercare di contrastare la temuta in- da pagare in ragione di tre paoli per ogni vasione francese 29. Il 14 gennaio 1797 una 100 scudi di possidenza: don Ghigi assicu- nuova circolare di monsignor Saluzzo, le- ra che ne avrebbe informato il titolare della gato di Urbino, chiedeva informazioni sulla giurisdizione 33. quantità di polvere da sparo esistente nelle Nello stesso anno Colle Stregone ven-

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Figura 2 – Cristoforo Maire, Nuova delineazione della Legazione di Urbino, 1757. A NO di Apecchio appare la contea di Col di Stregone.

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Figure 3-4 – Archivio di Stato di Pesaro, Catasto pontificio, Pietragialla, A 6, rett. XII, e particolare con Colle de’ Stregoni. Su concessione del ministero per i Beni e le Attività culturali, Archivio di Stato di Pesaro, aut. rep. n. 2/2014.

209 Studi pesaresi 3.2015 ne abbinato a Collungo, un piccolo feudo appodiato di Apecchio), cessando pertan- contiguo, di cui si ignorava la precisa tito- to qualsiasi autonomia amministrativa. Si larità (si fa riferimento ad un conte Gaggi, chiudeva in questo modo il ciclo, iniziato «di cui s’ignora e la patria e il domicilio», quasi quattrocento anni prima, con il rias- il cui nome viene storpiato per altro, in un sorbimento di questa rata dell’antico comi- primo momento, in “conte Gatti”). Dato che tato di Pietragialla. si ignorava parimenti chi fosse il commis- sario di tale conte, il piccolo feudo viene considerato vacante e abbinato al contiguo Territorio ed anime feudo di Costrigone. Il tentativo di abbina- re i due piccoli feudi non andò per altro a Il piccolo feudo di Colstrigone, essendo buon fine, dato che il Ghigi rifiutò l’onore: una mera ripartizione di una comunità più Collungo venne perciò aggregato, «senza vasta (Pietragialla) non aveva mai assunto pregiudizio delle ragioni del conte Gaggi», l’aspetto di comunità, con un bilancio, dei ad Apecchio 34. libri, funzionari o abbondanza: come già Nel 1802 don Ghigi precisava, in rispo- visto, all’inizio dell’Ottocento don Ghigi, sta ad una richiesta di mons. Cacciapiatti, commissario per il conte Antonelli, precisa- delegato apostolico, che non esistevano va che non esistevano nel feudo beni comu- nel feudo beni comunitativi (appartenenti nitativi, né bargello, né ricorsi di danni dati. cioè alla comunità), né bargello (incaricato Abbiamo espressamente menzionato che, di mantenere l’ordine pubblico), né ricorsi nel 1645, quando venne venduta dal conte di danni dati (richieste di risarcimento per Corboli agli Ubaldini di Apecchio la villa di danni arrecati da terzi alle culture) 35. E, Cacialamella (anch’essa appartenente all’an- nello stesso anno, viene ricordato che Colle tico territorio di Pietragialla), dell’antica co- Stregone, in conformità degli ordini perve- munità di Pietragialla restavano fuori dal nuti da Pesaro, aveva comprato uno dei bol- controllo del conte di Apecchio solo 8 case li destinati a contrassegnare le manifatture su 90: quattro erano quelle di Col di Strigone, (malgrado queste non fossero presenti nei quattro quelle in mano agli Ubaldini di Jesi 38. poverissimi feudi della zona) 36. Nel 1797 don Ghigi ricordava l’esistenza nel Con l’annessione della legazione di Ur- feudo di sole due abitazioni 39. bino al napoleonico Regno di Italia le cose Colle degli Stregoni non ha una map- cambiarono. Nel 1810 i due piccoli centri pa propria nel Catasto Pontificio: quando risultano aggregati ad Apecchio (Costren- questo fu compilato la comunità era stata gone e Colle Lungo) 37. Probabilmente, per già assorbita in quella di Pietragialla, con la morte intervenuta dell’ultimo feudata- cui fu accatastata. Abbiamo comunque, nel rio (1811), il feudo non fu ricostituito nel 1844, ricordate, sotto il toponimo di Col di 1815, al momento della sconfitta dei Fran- Stregoni, quattro abitazioni (verosimilmen- cesi. E nel motu proprio 6 luglio 1816, che te le quattro “storiche” ricordate due secoli prevedeva l’abolizione di tutti i feudi, Col prima, dato che in zone di alta montagna il Stregone risulta appodiato di Apecchio. Nel rilievo pone vincoli fortissimi agli insedia- 1827 infine il territorio di Colstregone con- menti umani, che perdurano, nello stesso fluisce in quello di Pietragialla (anch’essa luogo, salvo eccezioni, per periodi lunghis-

210 Stefano Lancioni La contea di Colle degli Stregoni simi). Tre di esse erano «case di propria anime complessive nei due feudi di Colle abitazione», rispettivamente dei «contadini degli Stregoni e Colle Lungo 40. Nel 1796 proprietari» Radici Felice fu Marco, Conti vengono ricordate, nel solo Colle degli Mattina fu Antonio e Maldini Ubaldangelo Stregoni, 13 persone 41. Nel 1816 Col Stre- fu Pasquale. La quarta era una casa colonica gone e Colle Lungo hanno 30 anime 42. di proprietà di Radici Felice e Conti Anto- Nel censimento del 1853 43 sono ricor- nio fu Matteo. Sono ricordate come facenti date tre famiglie dimoranti a Collestregone, parte di Col di Stregoni anche 8 particelle per un totale di 16 persone: una famiglia di agrarie (sette a pascolo e una a seminativo), coloni, di cinque elementi44; due famiglie di per un totale di 8,12 tavole (0,812 ettari). «contadini possidenti»: i Contemeluca-Si- Erano naturalmente pochissimi gli abi- moncini (sei elementi) 45 e i Radici (cinque tanti del feudo. Nel 1782 sono ricordate 20 elementi) 46.

Figura 5 – Colle degli Stregoni, a NO di Apecchio. Istituto geografico militare, serie 50, scala 1:50.000, F. 290, ediz. 1998, autorizzazione n. 6799 del 26.09.2014.

211 Studi pesaresi 3.2015

1 L’espressione «conte/contea di Colle degli Feudi, b. 16, fascicolo “Colle Stregone”. Copia del Stregoni» (storpiato anche in Costringone o Costri- chirografo pontificio anche in Asp, Leg., Feudi, b. 1, gone) diventa abituale nel corso del Settecento; in Feudi esistenti nella Legazione 1708, n. 19, Contea di precedenza si utilizzava, per i titolari della giurisdi- Colstrigone. zione feudale, il più corretto «di Pietragialla». 12 Informazioni tratte dall’atto di battesimo del 2 Archivio di Stato di Pesaro (d’ora in poi figlio, in Asp,Leg, Feudi, b. 15, fasc. “Colle Stregone”. Asp), Legazione di Urbino (d’ora in poi Leg.), Feudi, 13 Atto di battesimo in Asp, Leg, Feudi, b. 15, busta 9, XIV; b. 10, XIV (29 marzo 1481) e XV, cc. fasc. “Colle Stregone”. L. Nicoletti, Di Pergola e 184v-186v (12 giugno 1481). Montefiore era un an- suoi dintorni, Pergola 1899, alla p. 425 pone erronea- tico castello il cui territorio fa ora parte del comune mente la data di nascita nel 1682. di Apecchio (che di fatto riunisce gli antichi distretti 14 Nicoletti, Di Pergola e suoi dintorni cit., di Montefiore, Apecchio, Pietragialla, Montevicino e pp. 425, 589, 590. Carda). 15 L. Siena, Storia della città di Senigaglia, 3 Asp, Leg., Feudi, b. 10, n. LIII, cc. 368r- Senigallia, 1746, pp. 308-310. 374v (19 marzo 1541). 16 F. Cancellieri, Cenotaphium Leonardi 4 Ivi, b. 11, n. CLI (Parti fatte della Corte di Antonelli cardinalis archipresbyteris, Pesaro 1825, Montefiore per me Ottaviano delli Ubaldini secondo p. 5; Nicoletti, Di Pergola e suoi dintorni cit., pp. n’ero obligato in presenza del signor Luogotenente 528-532. d’Urbino) 17 Cancellieri, Cenotaphium cit., p. 5 5 Ivi, b. 12, volume 8531, CXVII (23 settem- 18 Atto di battesimo in ASP, Leg, Feudi, b. 15, bre 1606). fasc. “Colle Stregone”. 6 Ivi. 19 Cancellieri, Cenotaphium cit., p. 8. 7 Asp, Leg., Lettere delle comunità: Massa, b. 20 Ibid., pp. 10-12. 11, lettera del commissario di Massa, Urbania, 17 no- 21 Ibidem. vembre 1630. In essa è contenuta la supplica di Gio- 22 L’epigrafe è riportata nell’opera del Cancel- vanni Francesco e la richiesta dell’Udienza ducale di lieri più volte citata a pag. 50. Fornisce una succinta indagini, data 22 ottobre 1630. V. anche S. Lancioni, biografia del personaggio ancheN icoletti, Di Pergo- Nobili e banditi. Storia dei conti Orazio, Cesare e la e suoi dintorni cit., pp. 532-533: nato a Senigallia Pietro Maria Ubaldini di Cantiano, Fano 2007, p. 12. il 6 novembre 1730; ricoprì diverse cariche prelatizie; 8 Asp, Leg., Feudi, b. 11, CXXVII. fu nominato cardinale di Santa Sabina il 24 aprile 9 A. Ascani, Apecchio contea degli Ubaldini, 1775; relegato dal governo napoleonico in Senigallia, Città di Castello 1977, pp. 147-148. vi morì nel 1811. 10 I due erano in effetti lontanamente imparen- 23 Nel 1753 il cardinal Antonelli chiese di uti- tati: la nonna materna di Filippo, Ginevra (sotto men- lizzare carceri e giudice di Apecchio (Asp, Registri zionata) era figlia di Federico Ubaldini di Montefiore; - lettere a Roma, ex 7709, lettera di monsignor Stop- un nonno di Settimio Bonarelli, Giulio Cesare Ubal- pani a monsignor Valenti segretario di Stato, Pesaro, dini, era figlio di Orazio, fratello di Federico Ubaldini 28 gennaio 1753). (v. Biblioteca Planettiana di Jesi, Archivio Ubaldini, 24 Asp, Leg., Feudi, b. 16, fascicolo “Mon- b. 117, Memorie onorifiche della famiglia de’ conti tefiore”, lettera del podestà di Apecchio Giampaolo Ubaldini compilate dal conte Luigi Ubaldini da Jesi Mazzarini, 15 dicembre 1755: «All’inviare a Vostra nell’anno 1812 levate da diversi autori, che hanno Grazia l’annessa ricevuta delle note lettere dirette ai scritto di detta famiglia e da documenti autentici che conti feudatari fattami dal giusdicente del conte Fran- si conservano nell’archivio domestico di detto conte cesco Cardelli moderno possessore di rata del feudo Luigi in Jesi, manoscritto, pp. 112v-112r). In pratica di Monte Fiore, devo parteciparle rispetto all’altra erano fratelli i bisnonni dei due contraenti. che mi ritornò pel Conte di Costregone, aver io in- 11 L’atto è ricordato e descritto in Asp, Leg., viato la medesima, come altra fiata le significati, al

212 Stefano Lancioni La contea di Colle degli Stregoni luogotenente Mancini, il quale ha delle ingerenze ne preciso di Nostro Signore che da ciascun luogo di riguardo a detto feudo, dalla famiglia Antonelli pos- questa provincia si paghi la gabella dei due bajocchi seditrice del medesimo. Ma tornatami finalmente la sopra ogni cento scudi di possidenza rustica, dalla risposta, mi notifica esso luogotenente Mancini l’aver quale nessuno ne va esente, benché privilegiato. Per consegnata la medesima lettera al conte Angelo Anto- tal motivo ne ho richiesto due volte il detto signor nelli, ma ch’egli non ne abbia voluto fare la ricevuta conte, perché mi inviasse sollecitamente il ristretto sul pretesto di non essere egli il conte del feudo, ma della canneggiatura del terratico, e suo valore desunto d’averli promesso di mandarla a monsignor Antonelli dal catasto piano. Si compiaccia dunque di tanto ese- suo zio in Roma». guire in pronta risposta, ed intanto con sincera stima 25 Asp, Leg., Feudi, b. 15, fascicolo “Colle di mi dichiaro. Di Vostra Signoria affezionatissimo Stregone”, lettera di Angelo Antonelli, Senigallia per sempre. Per mandato presidente assente. Gli Udi- 7 aprile 1756: «Eminentissimo et reverendissimo tori della Legazione». signore, signore padrone colendissimo. In esecu- 29 Asp, Leg., Copialettere, ex 7262 (1796), 18 zione de’ comandi stimatissimi di Vostra Eminenza novembre 1796, A don Giovanni Battista Ghigi com- le trasmetto la fede succinta dell’acquisto del feudo missario di Colstrigone, Apecchio: «Essendo cotesta di Colle Stregone fatta dal nostro nonno, come an- contea composta di sole 13 persone, come Vostra Si- che le fedi del battesimo sì di mio padre, come mia gnoria mi indica nel foglio dei 13, certamente non è ultimi possessori del medesimo. Ciò sarebbesi da obbligata a dar verun uomo per la leva forzata. Es- me fatto prima, ma siccome restarono nella posta sendo però a portata di risaper quante anime faccia le lettere dirette con il nome del Feudo soltanto, l’altra contea annessa del signor Gaggi, così gradirò il sopraintendente della stessa non sapeva a chi che per mezzo di quel giusdicente o ella medesima si esibirle, onde a caso da me saputosi, immediata- compiaccia significarmelo». mente furono ubbiditi gli ordini supremi di Nostro 30 Asp, Leg., Coscrizione e nota delle polveri, Signore e di Vostra Eminenza a cui rassegno la mia 1796-1797, b. 1. umilissima servitù, col più profondo rispetto le ba- 31 Ivi, lettera di don Giambattista Ghigi, Apec- cio la sagra porpora. Di vostra eminenza umilis- chio 29 gennaio 1797. simo divotissimo obbligatissimo servitore Angelo 32 Asp, Leg., Repubblica Francese, b. 1, 1797, Antonelli». lettera del sacerdote Giambattista Ghigi, Apecchio 13 26 Asp, Leg., Copialettere, ex 7165 (1758- febbraio 1797: «Libertà eguaglianza. La Contea di 1759), c. 27v, al podestà di Apecchio, 20 marzo 1760: Colstrigone è composta di sole due famiglie. Questa «Giuntavi la presente precetterete un tal Baldone di non ha avuto per l’innanzi il suo vero, e legittimo giu- codesto territorio perché si astenga dal fare ulteriori dice. Lo scrivente si è prestato egl’è vero in qualche danni ne’ beni di Mattia, e suoi fratelli dalla contea circostanza a farne le veci del possessore di essa, per di Col de Stregone, i quali per questo motivo sono puro titolo di sincera amicizia che passò col defunto ricorsi all’eminentissimo Antonelli loro padrone. Se suo zio, e il ridetto possessore: non essendo mai sta- mai ciò non bastasse, e che il detto Baldone contrav- to lo scrivente canonicamente letto, e autorizzato, a venisse al precetto, procederete contro di lui anche scanso pertanto di nullità di atto. ed in ogni maniera, alla carcerazione. E così eseguirete con darcene poi il crede ora totalmente abdicarsi d’ogni cura, e impie- riscontro». go, persuaso che sarete o cittadini per accettare simile 27 Asp, Leg., Lettere delle comunità: Apec- dichiarazione». Il documento mi è stato segnalato da chio, lettera di don Giambattista Ghigi, commissario Riccardo Paolo Uguccioni (che ringrazio). di Colstrigone, Apecchio, 10 dicembre 1795. 33 Asp, Leg., Lettere delle comunità: Apec- 28 Asp, Leg., Copialettere, ex 7262 (1796), 11 chio, b. 8 (1800-1804), 25 aprile 1801, lettera dei agosto 1796, Apecchio, a don Giovanni Battista Ghi- commissari don Giambattista Ghigi (commissario in gi: «Dalle due lettere da me scritte al signor conte di Colstrigone) e don Antonio Cancellieri (commissario Colstrigone, avrà Vostra Signoria rilevato essere ordi- del Fumo): «In adempimento della veneratissima cir-

213 Studi pesaresi 3.2015 colare di Vostra Eminenza dei 9 del corrente, raporto 36 Ivi, lettera del podestà Ubaldo Coldagelli, alla nuova tassa da pagarsi alla ragione di paoli tre per Apecchio, 24 aprile 1802: «In gruppo separato ho ogni 100 scudi per queste contee di Colstrigone, e del l’onore d’inviare all’Eminenza Vostra Reverendis- Fumo, non per altro potevamo in ciò, se non se prima sima la somma di scudi due, e baiocchi dieci fini, di dar mano ad un tal affare, darne parte alli signori valuta dei sette bolli destinati a contrassegnare le Conti, padroni di dette Contee, come abbiamo fatto; manifatture nostrali, che ripartitamente ho esatta e però tosto che ne averemo riscontro, non manchere- da questo pubblico segretario, e dalli vice-conti del mo di eseguire quel tanto, che dalli medesimi signori Fumo, Colle Stregone e Colle Lungo, in conformità conti ci verrà suggerito, non potendo in tale affare por degl’ordini veneratissimi dell’Eminenza Vostra Re- mano senza il placet delli suddetti, de’ quali in dette verendissima». contee agimo le loro veci. E qui con perfettissimo os- 37 F. Corridore, La popolazione dello Stato sequio devotamente passiamo all’onore di dichiararci romano (1656-1901), Roma 1906, p. 253. di Vostra Eccellenza Reverendissima umilissimi, de- 38 Asp, Leg., Feudi, b. 11, doc. n. CXXXIV. votissimi et obbligatissimi servitori». Il conte Corboli aveva comprato nel 1636 tale villa 34 Asp, Leg., Lettere delle comunità: Apec- dagli aventi diritto del ramo di Tiberto: v. S. Lancioni, chio, b. 8 (1800-1804), lettera del podestà Ottavio Il castello di Montefiore (diocesi di Città di Castel- Gasparini, 24 giugno 1801: «In occasione dei venera- lo) – Storia di un feudo degli Ubaldini nello Stato di tissimi ordini di Vostra Eminenza Reverendissima in Urbino, Fano 2005, p. 73. data dei 12 cadente rapporto alla Contea di Collungo, 39 Asp, Leg., Repubblica Francese, b. 1, 1797, ho l’onore manifestarle che ho fatto a me chiamare lettera del sacerdote Giambattista Ghigi, Apecchio 13 il sacerdote don Giambattista Ghigi viceconte della febbraio 1797 contea di Colle Stregone e, comunicandogli la prelo- 40 Corridore, La popolazione dello Stato ro- data dell’Eminenza Vostra, gli ho soggiunto se voleva mano cit., p. 249. continuare l’esigenza d’ambi i feudi col seguitare an- 41 Asp, Leg., Copialettere, ex 7262 (1796), 18 cora ad esercitare la giurisdizione come viceconte e novembre 1796, A don Giovanni Battista Ghigi com- giudice: mi ha dato in precisa risposta di non essere in missario di Colstrigone, Apecchio: «Essendo cotesta grado di far ciò per la Contea di Collungo, essendole contea composta di sole 13 persone, come Vostra Si- sufficiente soltanto quella di Col Stregone. In vista di gnoria mi indica nel foglio dei 13, certamente non è ciò ordinai subito al Pubblico Segretario di fare il ri- obbligata a dar verun uomo per la leva forzata. Es- parto sul catasto piano per il feudo di Collungo, e l’ho sendo però a portata di risaper quante anime faccia unito all’esigenza della Comunità di Apecchio addos- l’altra contea annessa del signor Gaggi, così gradirò sandone l’incarico all’esattore di questa comunità. che per mezzo di quel giusdicente o ella medesima si In quanto poi all’esercizio della giudicatura di detto compiaccia significarmelo». feudo, affinché quei popoli non abbiano da restare 42 Editto Consalvi 26 novembre 1817, Riparto senza l’occorrente giusdicente, converrà che Vostra territoriale, pp. 61-62. Eminenza si degni nominare per vice conte e giudice 43 S. Lancioni, Apecchio nel censimento del di Collongo il podestà pro tempore d’Apecchio, senza 1853, Fano 2007, pp. 46, 48-49. pregiudizio delle ragioni del conte Gaggi, principale, 44 Rossi Giovanni di Agostino con madre, mo- quante volte l’Eminenza Vostra lo creda opportuno e glie, figlia e una sorella. quand’anche Vostra Eminenza non voglia servirsi di 45 Contemeluca Antonio e i figli Mattia, Mar- qualc’altro soggetto». gherita e Barbara (quest’ultima sposata con Simonci- 35 Asp, Leg., Lettere delle comunità: Apec- ni Domenico, con un bambino). chio, b. 8 (1800-1804), 12 febbraio 1802, lettera di 46 Radici Felice di Marco con moglie e tre figli. don Giambattista Ghigi, commissario in Colstrigone

214 Pietro Mascagni e il liceo musicale “G. Rossini” L’avvio dell’attività artistica e didattica (1895-1896)

di Marta Mancini

Pietro Mascagni fu direttore del liceo musicale “G. Rossini” di Pesaro dal 26 ot- tobre 1895 al 13 agosto1902, e diede vita ad un periodo di intensa attività artistica. In oc- casione del centocinquantesimo anniversa- rio della nascita di Pietro Mascagni (Livor- no 1863-Roma 1945), avvenuta nell’anno 2013, desidero offrire questo contributo che riguarda gli esordi della sua attività musi- cale a Pesaro. Ma prima di entrare nel vivo dell’argomento, facendo luce sulle iniziati- ve avviate, è doveroso un riferimento all’as- setto didattico che aveva assunto in quegli anni la scuola voluta da Rossini. Arturo Vanbianchi 1, professore di or- gano, armonia, contrappunto e fuga, com- posizione e strumentazione per banda dal 28 febbraio 1890, era stato nominato il 23 ottobre 1893 “direttore facente funzione”, veniva cioè a ricoprire ad interim il posto del primo direttore del liceo musicale, Car- lo Pedrotti, morto tragicamente a Verona il 16 ottobre 1893 2. Arturo Vanbianchi aveva al suo attivo un curriculum di tutto rispetto: nato a Milano nel 1862, formatosi al con- servatorio del capoluogo lombardo, già do- cente a Bergamo, aveva composto musica sinfonica (L’evocazione e Il cavaliere Olaf), musica sacra e per banda, opere fra cui La nave andata in scena al Politeama di Geno- va e musica da camera; sotto la sua guida a Pesaro era andata in scena L’occasione fa il Figura 1 – Pietro Mascagni a Pesaro.

215 Studi pesaresi 3.2015 ladro per il centenario rossinano del 1892. stituto) il 19 dicembre 1894 aveva fatto Vanbianchi rassegnò le dimissioni dall’in- ascoltare musiche di Nicolai, Donizetti, carico di direttore il 30 agosto 1895. Ac- Chopin, Mozart, Pedrotti; ad una esercita- compagnava la sua rinuncia una dettagliata zione privata della scuola di pianoforte il relazione in cui faceva il punto sull’anda- 20 gennaio 1895 (con musiche di Mozart, mento tecnico e disciplinare dell’istituto. Boccherini, Bach, Schumann, Schubert) Affermava che l’attività didattica era proce- era seguito poco dopo, il 27, un concerto duta con regolarità e con buoni risultati, che commemorativo in onore di Anton Rubin- le ammissioni degli alunni erano aumentate stein (con Morceaux de salon, musica ca- e il numero complessivo era salito a più di meristica e infine il Trot de Cavalerie per cento unità (l’anno precedente gli allievi due pianoforti a otto mani) e ancora, da iscritti erano solo ottantacinque). Notevole febbraio a luglio si erano tenuti costante- era stata anche l’attività musicale, svoltasi mente concerti di beneficenza, accademie con frequenti “accademie “ pubbliche e pri- strumentali e vocali, esami pubblici di can- vate tenute dagli alunni e dai docenti in spa- to e di arte scenica. Buoni erano stati i ri- ziosi e accoglienti locali, come l’elegante sultati che aveva raggiunto Anna Michelli “sala dei Marmi” e la “sala delle Colonne” Vestri con la sua classe di arte scenica e (oggi sala Zanella), più ampia, luminosa e declamazione: gli esami finali, che allora più funzionale alla pubblica accoglienza. si svolgevano utilizzando vestiari, scenari, Vanbianchi concludeva la sua relazione so- attrezzi ed elementi decorativi adatti allo stenendo con convinzione quanto fosse di- scopo figuravano come dei veri pubblici datticamente utile per il docente la libertà allestimenti per teatro 4. nella scelta dei programmi di studio; sotto- Nel 1895, primo e unico fra gli allievi li- lineava altresì la necessità di comprendere cenziati, Mezio Agostini (1875-1944) rice- le inclinazioni e le qualità musicali degli veva il diploma di magistero. Tale diploma allievi, spesso di capacità e di attitudini dif- che il liceo Rossini rilasciava era un titolo ferenti. Scriveva «Non mi stancherò mai di superiore riservato agli alunni “maestrini”, ripetere che è meglio lasciar liberi gl’inse- cioè tirocinanti di buon livello per almeno gnanti di adottare e seguire quel metodo che due anni nel corso di strumento principale. ad essi sembrerà più opportuno, attenendosi Il titolo forniva l’abilitazione all’insegna- beninteso all’indirizzo voluto dal direttore, mento e veniva raggiunto previo esame di e che i programmi così suddivisi anno per verifica delle attitudini didattiche matura- anno è meglio addirittura sopprimerli» 3. te. Altro genere di diploma era invece la Le frequenti pubbliche esibizioni di “licenza”, che si conseguiva alla fine dei quell’anno avvano richiamato l’attenzione corsi, sia principali che complementa- del pubblico e della critica. Le esercitazio- ri e letterari, e non abilitava all’esercizio ni orchestrali settimanali avevano propo- della professione. Mezio Agostini 5, nato sto brani di Cherubini, Gade, Haydn, Kal- a Fano, destinato a divenire un noto pia- liwoda, Mozart, Reinecke, Rossini, Weber; nista, compositore e direttore d’orchestra un concerto a beneficio dei terremotati di e, alcuni anni più tardi direttore del liceo Calabria e Sicilia diretto dallo stesso Van- musicale di Venezia, iniziò gli studi musi- bianchi (Mezio Agostini era maestro so- cali a Pesaro con Carlo Pedrotti. Ebbe una

216 Marta Mancini Pietro Mascagni e il Liceo Musicale “G. Rossini” intensa attività concertistica, fu vincitore la notizia al suo affezionato maestro Amin- di un prestigioso premio nel 1904 al con- tore Galli 7, il quale peraltro non nasconde- corso internazionale di musica da camera va il proprio interesse alla stessa carica di indetto dal periodico “Musica” di Parigi e direttore. Amintore Galli, nato nel 1845 a fu anche il fondatore di un applaudito trio Talamello, cittadina allora in provincia di insieme a Mario Corti (violino) e Gilberto Pesaro e Urbino (ora di Rimini), e morto a Crepax (violoncello). Rimini nel 1919, fu un rinomato composito- re e critico musicale. Insegnò contrappunto Fin da un primo incontro con Guido ed estetica musicale al conservatorio di Mi- Augusto Carnevali, presidente del liceo lano, fu direttore artistico della casa Sonzo- Rossini, Pietro Mascagni aveva dimostrato gno (in questa veste organizzò concorsi e grande entusiasmo per l’attività musicale pubblicò edizioni popolari), compose ope- che avrebbe potuto svolgere a Pesaro: «Sa- re teatrali, oratori, musica sacra, sinfonica, rei orgoglioso, aveva detto al presidente, di da camera, nonché il famoso Inno dei la- occupare il posto di direttore nel collegio voratori su versi di Filippo Turati. In una Musicale che deve essere il primo d’Italia, lettera al Galli da Stuttgart del 26 ottobre e sento nel mio intimo che sarei capace di 1895, Mascagni, raccontando della recen- qualunque sforzo per non mostrarmi inde- te visita del presidente del liceo musicale gno della fiducia in una risposta»6 . Guidi Carnevali, non mancava di esprimere Sinceramente onorato per l’incarico che con convinzione le vere motivazioni che lo sarebbe andato a ricoprire a breve in Pesaro, avevano indotto ad accettare l’incarico di Mascagni in primo luogo volle comunicare direttore del liceo musicale Rossini: era si-

Figura 2 – Pietro Mascagni con la famiglia a Pesaro.

217 Studi pesaresi 3.2015 curo di aver trovato nell’ambiente pesarese Maestro, Le faccio una confessione. - la risposta ideale ai suoi progetti artistici. Maltrattato dalla critica, discusso sem- pre come un ragazzo, avvilito da quasi Carissimo Maestro, tutti i professori dei Conservatori, deri- […] Nell’agosto passato mi recai a so da qualche collega, sentii d’un tratto Brescia per il Ratcliff, interrompendo le gonfiarmi il cuore e risposi accettando. recite del Silvano a Livorno. - Essendo a - Ma scrissi anche che, una volta a quel Brescia, feci una scappatella a Milano; posto, volevo assolutamente vedere rea- Lei era assente e il M°. Samara mi disse lizzati i miei ideali, e mandai uno sche- che Lei concorreva al posto di Diretto- ma dei miei progetti, delle mie proposte. re a Pesaro, e che, anzi, era contrariato - E qui è tutto. - Io non ne so più. - Fi- dal fatto che Le imponevano di dirigere nora non ho avuto la nomina ufficiale. l’orchestra. - Tornai a Livorno e, dopo - Capirà, Maestro, che io sono stanco di poche ore dal mio arrivo, ebbi la visita questa vita di lavoro continuo, di fatiche del Comm.re Guido Augusto Carnevali ignorate, di emozioni sovrumane: sono presidente del Liceo Rossini. - Senza stanco di questa vita di lotte accanite, di conoscere lo scopo di questa visita, co- pettegolezzi, di infamie. - Sono stanco di minciai subito a parlare del Liceo Pe- girare per tutte le città dell’estero in cer- sarese, ed ipso facto spifferai una calda ca di un guadagno che oggi la mia patria raccomandazione per Lei come direttore non mi dà più. - Ed ho accettato il posto del Liceo. - Ma il Comm.re Guidi Car- di Pesaro. - E, se le forze non mi man- nevali mi disse che avrebbe desiderato, cheranno, vedrà che fra poco tempo si come direttore, un compositore teatrale parlerà molto del Liceo Rossini. - E così, per uniformarsi al testamento di Rossini; se non potrò più essere utile a me stes- - Dopo mi chiese qualche idea, qualche so, mi sforzerò di essere utile agli altri. consiglio, insomma mi domandò netta- - Ma non può credere quanto dispiacere mente cosa io pensassi dei Conserva- mi abbia recato la lettera di mio fratello. torii. - Allora, venendomi così bene la - Le giuro che io ho sempre ignorato la palla al balzo, espressi tutte le mie idee sua concorrenza; ed oggi stesso ho scrit- circa i Conservatorii, idee che anche Lei to a Pesaro per sapere qualcosa di questa conosce in parte. - Finita questa specie faccenda. - Sono veramente mortificato di conferenza, il Comm.re Guidi-Car- per questo fatto e non so cosa darei per nevali si licenziò da me e non lo rividi tornare indietro […] 8. più. - Dopo qualche tempo ebbi notizia che lo stesso signore aveva fatto un giro Nella riunione del 24 ottobre 1895, gli in Italia per conoscere il parere di molti amministratori del liceo musicale Rossini Maestri sui Conservatori, e che, tornato comunicarono la decisione unanime di no- in Pesaro, aveva dichiarato che le mie minare direttore Pietro Mascagni. Il consi- idee erano quelle che più confaceva- glio comunale accolse la proposta con pieni no coi suoi progetti e col testamento di consensi solo due giorni dopo. Iniziava così Rossini. - Ebbi quindi domanda formale per la città di Rossini un periodo brillante, circa la mia accettazione. - E qui, caro ricco di eventi artistici, di intensa attività

218 Marta Mancini Pietro Mascagni e il Liceo Musicale “G. Rossini” musicale e di iniziative innovative. In un re generazioni di giovani appresero l’ar- clima di rinnovamento e di vivo entusiasmo monia e il contrappunto alla sua scuola. non potevano mancare sostanziali, progres- Cicognani si era dedicato anche agli studi sive trasformazioni di ordine formale volute umanistici e filosofici e aveva appreso la da Mascagni stesso, volte a migliorare l’as- composizione da Vincenzo Petrali 11 e da setto della vita scolastica. Alessandro Busi. Perfezionatosi alla Kir- Gli insegnamenti dell’organo, armonia, chenmusikschule di Regensburg, presti- contrappunto, fuga, composizione e stru- gioso centro di cultura fondato nel 1874 da mentazione per banda, dapprima affidati ad Franz Xavier Haberl, divenne un esperto un solo docente, erano ora ripartiti in due conoscitore dell’opera palestriniana, della materie distinte: 1) contrappunto, fuga e polifonia sacra e della paleografia musica- strumentazione per banda, 2) armonia prin- le. Coltivò con passione quest’ultimo inte- cipale e complementare ed organo. Al pro- resse, anche se talvolta non in linea con gli fessore di contrappunto e fuga era riservato indirizzi della scuola di Regensburg e con anche il compito di sostituire il direttore in i padri benedettini di Solesmes. caso di assenza. Tale innovazione, approva- Mascagni avrebbe assegnato l’anno ta l’8 settembre 1896 comportava la neces- dopo a Cicognani, docente di armonia e di sità di nominare in tempi brevi due nuovi organo, con delibera dell’8 settembre 1897, docenti. In ottemperanza alla nuove dispo- anche l’insegnamento della composizione sizioni, per l’assegnazione della prima delle di musica sacra, e questa fu la prima scuola due cattedre fu indetto un pubblico concor- sorta in Italia. Cicognani fu un compositore so. La commissione giudicante, formata da fecondo: scrisse brani per organo, madriga- Marco Enrico Bossi, Guglielmo Mattioli e li profani, liriche per canto e pianoforte, il Giovanni Tebaldini, sostenne all’unanimità poema sinfonico Scene Romane, eseguito la candidatura di Antonio Cicognani, allora nella sala del liceo Rossini il 29 febbraio direttore dell’istituto musicale di Alessan- 1904 per una commemorazione rossiniana, dria. Per la seconda nomina fu proposto e le opere Per la vita, un atto su libretto di accolto dal consiglio il nome di Guglielmo Francesco Balilla Pratella, Myria, tre atti Mattioli. I due musicisti furono accettati su testo di Luigi Orsini, e Maria di Mag- con unanimi consensi dall’amministrazio- dala su testo di Maria Garatti e dello stesso ne dell’istituto. Guglielmo Mattioli era un Orsini. Le sue opere migliori sono la Mis- apprezzato organista e compositore soprat- sa benedicta et venerabilis a due voci con tutto di musica da chiesa, formatosi a Bolo- accompagnamento di organo, e la Missa gna con Alessandro Busi. Prima di venire al Hypomixolydica di stile palestriniano. Ec- liceo musicale di Pesaro, dove ricoprì anche cellenti musicisti si formarono alla scuola la carica di vice direttore, aveva svolto at- di Cicognani: basti ricordare Adriano Aria- tività didattica di organo nella città natale, ni rinomato compositore, pianista e diret- Reggio Emilia e a Palermo 9. tore d’orchestra, Federico Marini e Tito Antonio Cicognani 10 divenne una fi- Rosati affermati strumentisti di viola e vio- gura “storica” del liceo pesarese. Il suo loncello, il celeberrimo Riccardo Zandonai insegnamento si protrasse per più di un (anno del diploma: 1901), e ancora Luigi trentennio, fu docente fino al 1934 e inte- Cirenei (anno del diploma: 1902), Vincenzo

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Michetti, Francesco Balilla Pratella, Fran- to nel salone Pedrotti (solista l’alunna Ada cesco Vatielli, Antonio Graziosi, Tullio Ste- Pinochi della scuola di Lena Bordato Ren- gagno (anno del diploma: 1903), Corrado zi). Si tratta di una composizione sinfonica Barbieri, Luigi Ferrari Trecate (anno del di- di ampio respiro, scritta per grande orche- ploma: 1904), Gilfredo Cattolica (anno del stra, ben costruita su dinamiche di carat- diploma: 1905), Ugo Battacchiari, Giovan- tere solenne, su un gioco di colori intensi, ni Spezzaferri, Roberto Moranzoni, Arnal- efficaci e contrastanti 13. Il testo poetico fa do Carloni, Primo Riccitelli, Dino Olivieri parte della raccolta Rime e Ritmi del poeta (compositore di musica leggera di successo, Giosuè Carducci. Il prezioso autografo reca come la celebre canone Tornerai) e altri 12. la dedica: «Al mio maestro Prof. Antonio Francesco Balilla Pratella, il principale Cicognani con riconoscenza e venerazione esponente musicale del movimento futuri- - Francesco Balilla Pratella - del Liceo Ros- sta, fu dunque un allievo di composizione sini di Pesaro. 15 giugno 1903». del liceo musicale Rossini di quegli anni. Il musicista futurista aveva maturato la Tutt’ora la biblioteca del conservatorio con- sua formazione e le sue convinzioni teori- serva la partitura manoscritta di La chiesa che proprio nell’ambiente del liceo Rossini, di Polenta, poema musicale per soprano, e degli anni trascorsi nella città marchigia- coro e orchestra. Tale lavoro fu presentato na conservò sempre un ricordo vivo e ap- da Balilla Pratella al diploma e fu esegui- passionato. Nel descrivere gli eventi più

Figura 3 – La classe di composizione del liceo “Rossini”. In prima fila da sinistra: Gilfredo Cattolica, Vincenzo Michetti, il prof. Antonio Cicognani, Josip Hatze di Spalato. In seconda fila da sinistra: Francesco Balilla Pratella, Luigi FerrariTrecate, Giambattista Marabini di Faenza, Adriano Ariani (forse), Riccardo Zandonai.

220 Marta Mancini Pietro Mascagni e il Liceo Musicale “G. Rossini” importanti della sua vita, le esperienze più significative che lo portarono a rompere con la tradizione e a un atteggiamento trasgres- sivo, fuori degli schemi tradizionali, Balilla Pratella ricordava con profonda ammirazio- ne la scuola di Pietro Mascagni e affermava:

Bisognava assistere, come ho assisti- to io, alle esercitazioni orchestrali degli alunni e ai concerti annuali del Liceo da Mascagni diretto, per convincersi che non le sue poche, troppo poche lezioni giovavano ai giovani, ma molto di più lui stesso, il fascino del suo nome, della sua individualità, della sua arte. Il Salo- ne Pedrotti era sempre gremito, il fuoco dell’entusiasmo acceso in tutti e così lo stimolo del fare e del gareggiare, suscita- ti dalla presenza del direttore-interprete, lui, sempre ingenuo, arbitrario e facilone, Figura 4 – Pietro Mascagni durante una prova ma sempre geniale, improvvisatore bril- con l’orchestra nell’allora Salone dei Concerti lantissimo, fantasioso e affascinante 14. (oggi Salone Pedrotti).

Figura 5 – Trent’anni dopo. Pietro Mascagni (al centro, fra Riccardo Zandonai e Amilcare Zanella) con i professori del liceo Rossini nel 1932.

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La stessa incondizionata ammirazione consiglieri di amministrazione dichiarava la per la personalità del compositore livorne- sua ferma volontà di fare di Pesaro autenti- se appare anche nel Manifesto dei musicisti co centro di attività musicale: futuristi, in un contesto di pungenti critiche e di accese accuse contro il degrado della Compio il mio dovere, comandatomi cultura e della situazione musicale che sta- dall’articolo 29 dello Statuto Organico va vivendo, contro le lobby editoriali, che che regola il nostro Liceo [...]. Chiama- «scartano qualsiasi opera che per combina- to da poco alla direzione di questo Liceo zione sorpassi la mediocrità», che «assumo- musicale, [...] sentii, fino dal primo mo- no la tutela ed il privilegio dei gusti del pub- mento, tutta l’importanza della mia ca- blico e il preteso monopolio della melodia e rica, e mi dedicai interamente, con ogni del bel canto», e che fomentano la tenace e mia forza e con tutto lo zelo, all’adem- coraggiosa lotta dei giovani musicisti con- pimento del mio dovere, collo scopo in- testatori. Poi affermava: combente di riuscire utile alla prosperità della Istituzione e non meno colla spe- Unico, Pietro Mascagni, creatura di ranza di essere degno del nome illustre editore, ha avuto anima e potere di ri- di questo Liceo e corrispondere al voto bellarsi a tradizioni d’arte, a editori, a del Consiglio comunale che volle la mia pubblico ingannato e viziato. Egli con elezione. […] Sono premuroso nell’assi- l’esempio personale, primo e solo in Ita- curare la S. V. che la dedizione della mia lia, ha svelato le vergogne dei monopoli mente e della mia volontà per l’interesse editoriali, la venalità della critica, ed ha e per l’avvenire del Liceo Rossini sarà affrettata l’ora della nostra liberazione continua, tenace, inflessibile16 . dallo czarismo mercantile e dilettantesco della musica. Con molta genialità Pietro Nella stessa relazione Mascagni rivol- Mascagni ha avuto veri tentativi d’in- geva un affettuoso ricordo a Carlo Pedrotti, novazione nella parte armonica e nella suo predecessore, ideatore di un regolamen- parte lirica del melodramma, pur non to scolastico razionalmente strutturato per giungendo ancora a liberarsi delle forme il raggiungimento di efficaci scopi didatti- tradizionali 15. ci e guida di un corpo insegnante formato da ottimi docenti; si compiaceva del buon Gli studenti del liceo, conquistati e af- comportamento degli alunni, sia pure con fascinati dalla travolgente personalità del qualche appunto per alcuni elementi delle musicista livornese, erano animati da una classi di canto, dimostrava soddisfazione vera e propria passione per gli studi e da per il rapporto con gli studenti, costruito forti motivazioni a intraprendere la non fa- sulla base della stima e della comprensione cile carriera artistica. E Pietro Mascagni, reciproca. Auspicava inoltre di migliorare e mosso da un vivo entusiasmo e orgogliosa- approfondire l’insegnamento della compo- mente determinato a realizzare quanto ave- sizione e del canto corale, modificando in va in animo, nella relazione sull’andamento parte i programmi di studio, e augurava una tecnico e disciplinare del liceo rivolta al crescita qualitativa per la biblioteca, struttu- presidente Guido Augusto Carnevali e dai ra di indispensabile sostegno culturale e di

222 Marta Mancini Pietro Mascagni e il Liceo Musicale “G. Rossini” fondamentale ausilio per ogni attività didat- esibizioni, lo volle con sé nel suo castello di tica ed artistica. Gmunden e in questo luogo ebbe notevoli Oltre a guidare la scuola musicale pesare- collaborazioni con Carlo Goldmark 21. Fece se, Mascagni, come il suo predecessore Car- concerti in Italia, in Germania, a Parigi, a lo Pedrotti, era anche maestro di composizio- Londra. facendosi apprezzare ovunque. A ne, e la sua opera didattica era affiancata da Venezia ebbe allievo Francesco Guarnieri, un corpo docente composto da noti e stimati un futuro Grand Prix al conservatorio di musicisti, la maggior parte attivi a Pesaro fin Parigi, e a Pesaro diplomò Roberto Mo- dagli anni precedenti. Virginia Boccabadati e ranzoni, Emilio Gironi, Giuseppe Gigante, Felice Coen erano maestri di canto. La Boc- Mario Peroni, Gaetano Spezzaferri 22, An- cabadati 17, in carica dal 13 maggio 1882, era tonio Mattucci (che fu titolare di violino a una «elettissima artista, come la ha definita Pesaro negli anni ‘30), tutti noti musicisti Carlo Schmidl, dalla voce di timbro meravi- virtuosi e raffinati. glioso, fluida, melodiosa, calda, uguale, che Sebastiano Aldovrandi era docente di saliva con sorprendente facilità al registro so- viola (dal 18 gennaio 1882), Enrico Ti- pracuto, mantenendosi carezzevole e pura». gnani di violoncello (dal 12 giugno 1883), Originaria di Torino, chiamata a Pesaro da Artemio Dall’Aglio, un allievo del conser- Carlo Pedrotti, ebbe allieve Celestina Bonin- vatorio di Parma, di contrabbasso (dal 16 segna e Maria Farneti. Felice Coen 18, nato a novembre 1895), Agapina Grilli e Mario Livorno, aveva studiato canto, pianoforte e Vitali di pianoforte. Mario Vitali, nominato composizione a Bologna e a Firenze, si era nel 1889 e fino al 1933 docente del grado perfezionato a Parigi con il suo concittadino superiore dell’insegnamento del pianoforte, Enrico delle Sedie 19 e aveva iniziato la sua proveniva da Pausala, l’attuale Corridonia attività didattica in un comune della Francia in provincia di Macerata, aveva studiato centro occidentale, a Tours. A Pesaro, succe- composizione e pianoforte alla prestigiosa duto a Gualfardo Bercanovich il 23 dicem- scuola di Napoli, ed era un apprezzato inter- bre 1889, formò le voci di Alessandro Bonci, prete dalla tecnica solida e dal tocco nitido Lorenzo Bellagamba e Umberto Macnez. e brillante. Il suo repertorio spaziava nelle L’insegnamento del violino era del fa- epoche e stili più disparati, dalla musica entino Raffaello (o Raffaele) Frontali 20, antica clavicembalistica ai grandi classici e titolare della cattedra dal 1882 al 1914, romantici. Vitali costituì insieme ai colleghi eccellente concertista attivo in tutta Euro- Raffaele Frontali ed Eligio Cremonini un pa, allievo dapprima di Vincenzo Ferroni, trio che ebbe una diffusa ed acclamata atti- poi di Alessandro Busi a Bologna e anche vità, il Trio di Pesaro, i cui tre componenti del grandissimo Joseph Joachim a Berlino. erano Prima di arrivare a Pesaro Frontali era stato docente a Venezia al Benedetto Marcello, e tre temperamenti di veri e forti ar- nella città lagunare aveva conosciuto per- tisti: tre personalità che sanno fondersi sonalmente Wagner, Bazzini, Rubinstein e in una sola per dare una risultante me- soprattutto Liszt, con cui eseguiva spesso ravigliosa per equilibrio, gusto interpre- musica. Aveva conosciuto anche la regina tativo, accentuazione individuale e nel di Hannover la quale, entusiasta delle sue tempo stesso piena e completa fusione.

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Fra il Frontali appassionato e pieno di deva, la catalogazione sistematica dei docu- foga giovanile ed il Cremonini efficace menti rossiniani, ora conservati dalla Fon- nell’espressione ma delicato e sobrio, si dazione Rossini, e soprattutto la creazione, muove con padronanza sicura il Vitali, nel 1904, di un museo nella casa natale di partecipe delle une e delle altre qualità, e Rossini, dove facevano mostra i moltissi- con il suo temperamento essenzialmente mi documenti iconografici, figurini e opere ritmico regge il trio e lo dirige 23. grafiche riguardanti Rossini e i principa- li interpreti delle sue opere, che Augusto Il bergamasco Alessandro Ferrari Pa- Uberto Martel, un appassionato estimatore ris era professore di solfeggio cantato, di Rossini, collezionista di incisioni, ave- «coll’obbligo della scuola preparatoria di va donato al liceo musicale nel 1893 e nel pianoforte» (dal 12 giugno 1883) e con l’in- 1899 25. Mantovani progettò anche, primo carico aggiunto, nel 1895, della «scuola di in Italia, un corso formativo di paleografia repertorio». Maestra d’arpa era Eleonora musicale per gli alunni di composizione, Giannuzzi Savelli Palazzi (dal 15 dicembre musica sacra e organo, destinato ad essere 1887), allieva a Firenze di Giorgio Lorenzi attivo fin dal 1901. e valida interprete fin da giovanissima. Fi- Nel 1896 fu ammesso a frequentare il li- liberto Peri insegnava il flauto (dal 22 di- ceo Rossini il teramano Primo Riccitelli 26 cembre 1890), Pio Calestani l’oboe (dal 17 (era nato a Cognoli di Campli nel 1875). marzo 1883), Antonio Mazzoleni il clari- Mascagni, dopo aver incontrato il giovane netto (dal 17 giugno 1883), Armando Oliva a Pesaro ai primi di gennaio e dopo aver let- il fagotto (dal 18 gennaio 1883), Domizio to alcuni suoi pezzi al pianoforte, lo incluse Laurini il corno (dal 17 marzo 1883), Giu- subito fra gli allievi del corso d’armonia, seppe Filippa la tromba e il trombone (dal non tenendo conto dei superati limiti di età. 12 giugno 1883). E ancora Giuseppe Melli Negli anni del liceo musicale Riccitelli la- era docente di teoria e divisione, Rodolfo vorò molto, compose l’opera Francesca da Valazzi di grammatica e di lingua italiana, Rimini in tre atti su testo della tragedia di Antonio Boschini di letteratura poetica e Silvio Pellico, il melodramma Lory, di cui drammatica, Vito Enei di lingua francese, fu anche autore del libretto, la scena sici- Anna Michelli Vestri di arte scenica. liana Nena, il poema sinfonico Heremos Tancredi Mantovani era il professore di per soli, coro e orchestra su versi di Carlo storia musicale ed estetica, nominato il 19 Zangarini, il bozzetto mistico Suora Mad- febbraio 1894 e incaricato della biblioteca dalena e altro. Mascagni cercò sempre di con una delibera del 18 giugno 1894. L’af- aiutare questo suo allievo prediletto e gli fermato musicologo, autore fra l’altro di vo- spianò la strada perché potesse raggiungere lumi su Orlando Di Lasso (Milano 1895) e la notorietà: nel 1907 gli fece avere dalla su Angelo Mariani (Roma 1921), era appro- casa Sonzogno di Milano il contratto per dato a Pesaro come vincitore di un concorso un’opera da eseguire, scrisse dunque Ma- indetto per il posto di docente di storia mu- donnetta, su testo di Luigi Illica, ma pro- sicale 24. Sono sue iniziative il riordino e la blemi contingenti ne impedirono la rappre- ricognizione di tutto il materiale musicale sentazione. Riccitelli collaborò ancora con bibliografico che allora la biblioteca posse- Sonzogno per l’opera Maria sul monte su

224 Marta Mancini Pietro Mascagni e il Liceo Musicale “G. Rossini” libretto di Carlo Zangarini, rappresentata a litan di New York (fra gli interpreti Benia- Milano nel 1916. La notorietà giunse con I mino Gigli ed Elisabeth Rethberg, direttore compagnacci, opera di stampo verista su te- Roberto Moranzoni, 1924), al Massimo di sto di Gioachino Forzano, scritta sempre su Palermo (1924) e in molti altri teatri. Fu an- interessamento di Mascagni per la “Società che trasmessa dall’EIAR dall’auditorium di del teatro Lirico Italiano”. L’opera ebbe nel Roma (1931); l’ultima esecuzione è del 12 1922 il primo premio assoluto al concor- novembre 1999 al teatro comunale di Te- so governativo bandito dal ministero del- ramo 28. L’opera Madonna Oretta,del 1932 la Pubblica Istruzione, assegnatole da una non eguagliò il successo della precedente. giuria formata da Giacomo Puccini, Pietro In quell’anno, 1895-96, il Liceo aveva Mascagni, Francesco Cilea, Bernardino ben 114 alunni, un vero record di iscritti; di Molinari, Alberto Gasco e Nicola D’Atri. essi dodici si avviavano alla conclusione de- Il 10 aprile 1923 l’opera I compagnacci fu gli studi. Fra i diplomandi vi era Celestina rappresentata con successo al Costanzi di Boninsegna 29, che si licenziò della scuola di Roma per la direzione di Gabriele Santini canto con la maestra Virginia Boccabadati. e per le voci di Taurino Pavis, Ofelia Pari- La Boninsegna, nata a Reggio Emilia nel sini, Antonio Cortis, Gino de Vecchi, Luigi 1875, fu ammessa al Liceo Rossini nel 1893, Nardi, Nello Palai, Anna Maria Bertolasi. dove rimase fino al diploma (1896). Enfant In tale occasione Mascagni, compiaciuto prodige dotata di particolari qualità musicali, dell’esito, aveva inviato al suo ex allievo da a Pesaro aveva interpretato proprio quell’an- Catania il 23 aprile una lettera: no la Petite Messe Solennelle di Rossini nella versione orchestrale, insieme al tenore Mio caro Riccitelli, Fiorello Giraud, al basso Alfredo Venturini, il trionfo dei “Compagnacci” è stato per a Stefania e Virginia Collamarini, a Zelmira me ragione di grande conforto e di infini- Vincenzi-Castiglioni, ad Edvige Ghibaudo e ta soddisfazione. Da tempo preconizzavo a Pelacani. La Boninsegna in quest’occasio- quel successo che oggi il gran pubblico ne conquistò il pubblico con la sua tecnica di Roma Le ha decretato. formidabile e il particolare, limpido e appas- Ella deve esser ben orgoglioso del suo sionato timbro vocale. trionfo. Ma nello stesso tempo deve Agide Jacchia 30 di Lugo conseguì il pensare che nuovi doveri ha verso l’ar- diploma di licenza di strumentazione per te e verso la Patria. Io mi auguro che la banda alla scuola dello stesso Mascagni nel passione del lavoro diventi lo scopo della 1898 e approdò a Pesaro dopo aver avvia- sua esistenza. to gli studi al conservatorio di Parma e poi Il suo talento deve ancora dare molto: e di Milano, come allievo privato di Amin- l’augurio del suo avvenire è ormai nel tore Galli. Si diplomò anche in flauto, alla cuore degli italiani, come sempre è stato scuola di Filiberto Peri, ma si distinse so- nel cuore del prattutto nello studio della composizione, suo Pietro Mascagni 27. aggiudicandosi l’ambìto premio Bodojra, un premio destinato appunto al miglior al- I compagnacci fu poi allestita alla Scala lievo di composizione 31. Scrisse in questa diretta da Vittorio Gui (1923), al Metropo- occasione un Inno a Rossini per soli coro e

225 Studi pesaresi 3.2015 orchestra su poesia di Augusto Ferrero. La cago, dove lavorò per quindici anni. Tor- sua carriera fu tuttavia volta alla direzio- nò in Italia nel 1940, ormai alla fine della ne d’orchestra e dopo il debutto al Teatro carriera, e si stabilì a Milano dedicandosi Grande di Brescia fu, nel 1902, con Pietro all’insegnamento. Mascagni negli Stati Uniti, dove tornò due Alessandro Peroni 33, originario di Mon- anni dopo. Si stabilì poi definitivamente davio, già diplomato in pianoforte l’anno nel Nuovo Continente e diresse l’Opera di precedente, nel 1895, alla scuola di Mario Montreal, la Century Opera Company di Vitali, conseguiva nel 1896 il diploma di New York, e anche la Boston Symphony strumentazione per banda. Dopo aver fatto, Orchestra, prima che la bacchetta passasse a studi ultimati, anni di faticosa e formativa ad Arthur Fiedler. A Boston diresse anche “gavetta” in qualità di direttore di banda e un istituto musicale di primaria importan- di maestro sostituto, divenne direttore del za. Tornò in Italia ove trascorse gli ultimi liceo musicale Frescobaldi di Ferrara, e poi anni di vita e si spense prematuramente nel fu di nuovo al liceo Rossini come insegnan- 1932. te di armonia e strumentazione per banda, Al pari di Jacchia si distinse come di- conservando nello stesso tempo l’incarico rettore d’orchestra un altro allievo, Rober- di direttore delle edizioni «Biblioteca dei to Moranzoni 32, il quale, diplomato nel corpi di musica» della casa Ricordi. 1899, fu prescelto dallo stesso Mascagni Si diplomava in violoncello lo stesso per dirigere le ultime repliche dell’ope- anno Enrico Scalzi 34 di Lovere (Bergamo), ra Le Maschere in scena al Costanzi di il quale divenne docente ad interim con de- Roma nel carnevale del 1901. Dopo tale libera del 14 marzo 1897, in sostituzione incoraggiante debutto la fortuna arrise al del maestro Enrico Tignani prematuramen- giovane, portandolo in numerosi teatri ita- te scomparso. La cattedra di violoncello fu liani e stranieri, da Parigi a Londra, fino assegnata definitivamente ad Eligio Cremo- negli Stati Uniti. A New York raggiunse nini il 13 novembre 1897. Scalzi ricoprì in l’apice della notorietà dirigendo il 14 di- seguito la carica di direttore e d’insegnante cembre 1918 la prima assoluta del Trittico di violoncello nell’accademia Tadini del di Giacomo Puccini, la trilogia su libretti suo paese di origine. di Giuseppe Adami e Gioacchino Forzano Altre iniziative volute da Mascagni con- (anche quest’ultimo, alunno per un brevis- tribuirono a fare di Pesaro un grande centro simo periodo del liceo Rossini) che com- di cultura: la produzione musicale di asso- prende Tabarro, Suor Angelica e Gianni luta qualità trovava spazio nel salone dei Schicchi. Da quel momento per Moranzoni Concerti (oggi auditorium Pedrotti) ancora fu un crescendo di successi e di notevoli in costruzione, e nei locali della biblioteca, impegni musicali, particolarmente ameri- fondamentale supporto all’attività artistica, cani. Rimase infatti al Metropolitan fino vedeva la luce “La Cronaca Musicale”, una al 1924, per passare poi all’Opera di Chi- pregevole rivista musicale.

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Appendice documentaria [Ad Augusto Carnevali, presidente]

Sull’andamento tecnico e disciplinare dell’anno complesso ed in linea generale. In ogni modo, però, scolastico 1895-96 35 ogni più piccolo particolare, che riguardi la parte di- dattica e la parte disciplinare di ciascun alunno, risul- Ill.mo Sig. Presidente del Liceo Musicale Rossini ta chiaramente dal registro generale del nostro Liceo, Pesaro il quale registro è tenuto in maniera inappuntabile. Non mi è possibile di trovare parole per esprime- Compio il mio dovere, comandatomi dall’articolo re alla S. V. il mio alto compiacimento per il Corpo 29 dello Statuto Organico che regola il nostro Liceo, insegnante del Liceo Rossini; senza parlare singolar- ed indirizzo alla S.V. il rapporto finale sull’andamen- mente di ciascun Professore, dirò che la mia immagi- to tecnico e disciplinare dell’anno scolastico 1895-96 nazione, ancorché conoscessi per farla la valentía di che ora ha spirato il suo termine. questo Collegio di Professori, non avrebbe mai potuto Chiamato da poco alla direzione di questo Liceo sognare un insieme più omogeneo, più adatto, più in- musicale (e di questo onore debbo essere grato alla vidiabile. - Non ho e non posso avere che espressio- S.V. ed ai Suoi Colleghi del Consiglio di Amministra- ni di elogio per i nostri insegnanti. In ogni scuola, zione), sentii, fino dal primo momento, tutta l’impor- nell’intero corso dell’anno, tutto ha proceduto a do- tanza della mia carica, e mi dedicai interamente, con vere; nei pubblici e nei privati concerti ho trovato nei ogni mia forza e con tutto lo zelo, all’adempimento nostri Professori la più valida cooperazione; ho avuto del mio dovere, collo scopo incombente di riusci- anche la loro spontanea prestazione nelle esercitazio- re utile alla prosperità della Istituzione e non meno ni orchestrali dirette dagli alunni; nella sessione degli colla speranza di essere degno del nome illustre di esami ho avuto agio di riscontrare in loro l’assenza questo Liceo e corrispondere al voto del Consiglio di qualsiasi trascuratezza e di qualunque parzialità; comunale che volle la mia elezione. Ignoro se questo e nelle riunioni del Comitato tecnico ho potuto con- mio ambito desiderio sia stato esaudito; ma sono pre- statare tutta la forza morale che può avere un simile muroso nell’assicurare la S. V. che la dedizione della corpo insegnante: le sedute del Comitato tecnico non mia mente e della mia volontà per l’interesse e per sono state né poche, né brevi; e tutte hanno avuto l’avvenire del Liceo Rossini sarà continua, tenace, uno scopo alto e speciale, essendosi sempre trattate inflessibile. questioni importanti ed inerenti all’interesse artistico Intanto permetta, Illustrissimo Signor Presiden- del nostro Liceo; e le discussioni sono state ampie, te, che, prima di entrare nelle cose del Liceo, renda laboriose e sempre serene ed ispirate esclusivamente un doveroso e ben meritato omaggio alla memoria al vantaggio di questa nobile istituzione. - È dunque del mio illustre predecessore, il Commendatore Car- con lieto e grato animo che io alla S.V. segnalo come lo Pedrotti, che impiantò il nostro Istituto in modo intenda il suo dovere il Collegio degli insegnanti, il da rendere non arduo il compito dei suoi successori. quale è il vero decoro del Liceo Rossini. Infatti è a Lui, al compianto Maestro, che si deve Le decisioni delle sedute del Comitato tecnico se il Liceo Rossini è dotato di un corpo insegnante furono sempre regolarmente rimesse nel relativo ver- invidiabile sotto ogni rapporto; ed è anche al Pedrot- bale alla S.V. ti che si deve il regolamento interno, che assicura Anche degli alunni parlerò in linea generale. - il buon andamento di tutte le cose, senza durezze, Tuttavia unisco il quadro completo col numero degli senza inciampi. alunni divisi per studio, col loro movimento e coll’e- Ed è appunto in virtù di questo buon andamento sito degli esami. che la presente relazione non sarà troppo dettaglia- Dal lato disciplinare non ho troppe lamentazioni ta e minuta, avendo imposto a me stesso il compito da dire per i nostri alunni: c’è stato chi ha mancato, di rapportare alla S.V. sulle cose del Liceo in modo ma non è rimasto senza punizione. Sento però il do-

227 Studi pesaresi 3.2015 vere di far osservate alla S.V. che le classi meno di- sto neo ho parlato tanto, sia di conforto alla S.V. ché sciplinate sono quelle di canto; e non dobbiamo chia- d’altro non avevo a dolermi. Le misure prese e l’at- marne responsabili gli insegnanti, né possiamo darne tiva sorveglianza mettono il nostro Liceo, per l’an- colpa a Ispettore o ad Ispettrice: nessuno ha colpa: la damento disciplinare, nella condizione di non temere colpa è naturale, poiché è nella natura di questi futuri confronti. divi e di queste dive non meno future il sentirsi supe- Anche per la parte tecnico-didattica non avrò da riori a qualunque disciplina ed a qualunque dovere; spendere troppe parole: dopo quello che sinceramente questi giovani che mille volte hanno ascoltato a boc- ho detto dei nostri insegnanti, ed è cosa naturale il de- ca aperta i racconti leggendari di un celebre tenore; sumere la mia perfetta soddisfazione per l’andamento e mille volte hanno letti i trionfi, gli onori principe- didattico. - Anzi: mi viene opportuno il momento per schi, i doni regali ed i guadagni favolosi di qualche dichiarare che l’insegnamento nelle nostre classi è soprano, drammatico o leggero che sia; e che sanno fatto con quell’amorevolezza e con quella affettuosità che a tutto questo si arriva soltanto colla voce, questi che sono la prima base di una scuola artistica. Guai se giovani, dico, mal si adattano al regime disciplinare fra l’alunno ed il Professore manca la corrente simpa- delle scuole: essi hanno bisogno del riposo, la loro tica! - Il nostro studio è quello di un’arte bella, ide- ugola non può sopportare il troppo studio, l’umidità almente bella: l’alunno non deve apprendere soltanto li obbliga a non uscire di casa, il gran caldo indeboli- la parte meccanica o l’aritmetica di questa arte; ma sce le loro corde vocali, a digiuno non possono aprire deve formarsi artista, vero artista nel cuore e nell’a- bocca, dopo il pasto non sanno attaccare una nota… e nima; ed è l’insegnante che col cuore e coll’anima tutto questo sempre per la benedetta paura di perdere deve iniziare l’alunno, deve istruirlo, deve formarlo, la voce, quella voce che li deve portare a mirabolan- completarlo. - Senza cuore, senza anima non è pos- ti altezze, tanto da vedere tutti sempre più piccini di sibile l’arte! - Colla meccanica, colla matematica si loro, o, meglio, meno grandi. - Ed ecco perché si ri- faranno degli ottimi metodisti; ma non saranno questi scontra nelle scuole di canto la minore disciplinatez- che porteranno nel mondo intero la luce divina della za. - E nessuno ha colpa: la colpa è naturale. grande arte nostra, della grande arte italiana, per cui Ma, per nostra consolazione, credo che sia così tante anime si sono sollevate, tanti cuori hanno battu- in tutti i conservatori musicali. Bisogna, poi, aggiun- to; ed il testamento artistico del sommo Rossini non gere che gli alunni di canto hanno minore applica- sarà raccolto, non sarà osservato. - Ed è, dunque, con zione meccanica di tutti gli altri alunni, tanto che il giusto orgoglio e con gioia grande che io posso rile- loro corso di studi è il più breve; e perciò hanno più vare come i nostri insegnanti, eredi diretti del grande facile la distrazione e conseguentemente più assidua Pesarese, abbiano inteso il sacro dovere del loro altis- la negligenza. simo compito. Ho conosciuto, questo anno, di quanta pazienza, Nessuna osservazione mi torna a proposito per di quanta volontà e di quali eroismi sieno capaci i la parte tecnica: approvo tutto, di tutto sono conten- nostri insegnanti di canto; ed è a loro che si deve se to. - L’unico appunto che ho già segnalato alla S.V. è il male lamentato non ha assunto proporzioni grandi; la deficienza dell’insegnamento della composizione; ed è col loro appoggio e colla loro saggezza che mi ma non è più il caso di parlare di questa deficienza auguro di diminuire sempre più questo male che ha le dopo le decisioni prese in proposito dal Consiglio sue ragioni fisico-psicologiche. di Amministrazione. - E colgo anzi l’opportunità di S’intende bene che vi sono delle eccezioni anche ringraziare la S.V. e tutto il Consiglio di Ammini- nelle Scuole di Canto: non tutti i nostri alunni deb- strazione per avere accettato le mie idee, suggerite bono ricevere il nostro biasimo. - Anzi, nella somma unicamente dal bisogno e dall’interesse del Liceo. delle eccezioni, il numero è tutt’altro che disprezza- - Per ciò che riguarda le scuole letterarie, alla soddi- bile. sfazione di averle trovate complete, si è aggiunto il Del resto, mi sono trattenuto a lungo sopra un conforto del razionale ordinamento dei programmi; semplice neo che tende già a scomparire; e se di que- garanzia questa di risultati pratici sicuri in questa

228 Marta Mancini Pietro Mascagni e il Liceo Musicale “G. Rossini” parte dell’insegnamento che tanto concorre a com- che hanno il diritto, se non assolutamente il dovere, di pletare l’educazione artistica dei giovani. consultare, di studiare altre opere che nella nostra Bi- In quanto agli alunni, per ciò che riguarda la par- blioteca difettano fortemente. Prego, dunque, la S.V. te tecnica, debbo dichiararmi soddisfatto per il loro di provvedere ad una mancanza, che, riparata, servirà zelo e per la loro assiduità; non credo che sia il caso ad aumentare il lustro al Liceo Rossini. di dovermi pronunziare sulla loro maggiore o minore Ed il mio compito, per questo anno è finito. - Da capacità: certo è che io auguro al nostro Liceo un ele- qualche periodo di questa relazione sarà facile ritrarre mento più elevato e più adatto allo studio di un’arte l’indirizzo che io intendo dare al Liceo che ho l’onore per la quale abbisogna assolutamente una inclinazio- di dirigere. Del resto, non credo di fare cosa nuova: ne favorevolissima e speciale. - Ed è perciò appunto m’immagino, e mi auguro con tutto il cuore, di es- che cerco costantemente i mezzi per allontanare tutti sere semplicemente un fedele interprete di Rossini, quelli che non addimostrano sufficienti disposizioni: di quel Grande che, colla sua munificenza, ha dato, uno dei miei più alti compiti è, senza dubbio, quel- nonché a Pesaro, all’Italia nostra una scuola grandio- lo di non creare spostati; ed una delle mie maggiori sa di Arte, di quell’arte che deve parlare al mondo il preoccupazioni è quella di studiare e capire indivi- verbo dell’amore per tutto il mondo deve spandere la dualmente le intelligenze e le attitudini. E coll’ideale luce della civiltà. di questo compito, e colla prudenza di questa preoc- Ed ora mi prendo dalla S.V. la permissione di ri- cupazione, spero di avere dai nostri alunni la prova volgere un saluto ed un augurio agli alunni che oggi, indiscutibile dell’importanza del nostro Istituto. dal nostro Liceo, prendono le mosse per incammi- E per ciò che riguarda l’insegnamento, avrei fini- narsi nella via dell’arte, fiducioso che questi buoni e to di dire, se non mi restasse l’obbligo di richiamare bravi giovani abbiano ad avere sempre un pensiero l’attenzione della S.V. sulla Scuola di Canto Corale caro, un ricordo gentile per il nostro Liceo che porta che è tanto importante per tutti gli alunni, ed assoluta- il nome di Rossini, per il nostro Liceo che li accolse mente necessaria per la parte che riguarda il solfeggio generosamente, che li istruì amorevolmente e che con cantato, e ciononostante è così trascurata nel nostro tanta speranza li vede partire alla conquista del loro Liceo. - Sono certo che la S.V. terrà in conto questa Ideale. mia osservazione e troverà il mezzo di riparare ad una E con tutto il rispetto mi licenzio dalla S.V., Ill. deficienza che è mio obbligo rilevare. mo Sig. Presidente, esprimendole i sensi della mia E concludo invocando un miglioramento per la perfetta osservanza e rinnovando a me stesso l’augu- nostra Biblioteca che ha tanto bisogno di essere rinvi- rio di non essere, fino ad ora, riuscito indegno dell’al- gorita, rinsanguata. Comprendo che è una Biblioteca to incarico che ho di questo Liceo Rossini dalla S.V. relativamente giovane; ma prego la S.V. di avere un Illustrissima così onorevolmente presieduto. pensiero per essa che deve essere tanta parte del no- Con stima stro insegnamento. - È cosa deplorevole che grande parte dell’assegno fatto alla Biblioteca, venga consu- Pesaro, settembre 1896 mata per l’acquisto delle opere moderne in più esem- Della S.V. Ill.ma Devotissimo plari, a profitto esclusivo delle classi di canto. - Nel Il Direttore nostro Liceo sono anche altri alunni di altre scuole PIETRO MASCAGNI

229 Studi pesaresi 3.2015

1 Dizionario Enciclopedico Universale del- tra i vari strumenti una perfetta fusione, eliminando la Musica e dei Musicisti, Le Biografie (d’ora in poi ogni contrasto stridente, dando vita in tal modo ad DEUMM), vol. 8, UTET, Torino 1988, pp. 156-157, un insieme poderoso e ricco di suggestive sfumature ad vocem. timbriche: grazie alla sua sensibilità musicale e alle 2 Marta Mancini, Carlo Pedrotti. Un po’ di sue capacità di orchestratore, diede alla banda un pre- storia e due nuovi documenti, in “Pesaro città e con- stigio tale, che divenne conosciuta e stimata in tutto il tà”, 28, 2010, pp. 85-101. mondo», in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 3 Relazione del Direttore ff. sull’andamento 25, Roma 1981, pp. 779-781, ad vocem. tecnico e disciplinare dell’anno scolastico 1894-95, 13 Sono di Balilla Pratella, rilegati insieme in “Annuario scolastico” del Liceo musicale Rossini, a La chiesa di Polenta il brano, sempre manoscritto, Nobili, Pesaro 1896, p. 26. Molto espressivo, religioso, breve composizione in 4 Notizie tratte da: “Annuario scolastico” cit., quattro parti nelle chiavi antiche, e Giardini, dodici passim. pagine manoscritte dal Cola di Rienzo per voce fem- 5 DEUMM, vol. 1, UTET, Torino 1985, p. 28, minile (Nina) e orchestra. ad vocem. 14 Francesco Balilla Pratella, Autobiogra- 6 Marta Mancini, …e a Pesaro venne Masca- fia, Milano 1971. gni, in “Studia Oliveriana”, n.s., vol. XIX, 1999, p. 115. 15 Id., Manifesto dei musicisti futuristi, Mi- 7 DEUMM, vol. 3, UTET, Torino 1986, pp. lano, 11 ottobre 1910, in Musica futurista, Bologna 101-102, ad vocem. Per i rapporti con Pietro Masca- 1912. gni cfr. anche Mancini, …e a Pesaro venne Mascagni 16 “Annuario scolastico” del Liceo musicale cit., pp. 100-101. Rossini, Nobili, Pesaro 1897, pp. 13-19 (vedi appen- 8 Lettera pubblicata in Mario Morini, Rober- dice). to Iovino, Alberto Paloscia (a cura), Pietro Masca- 17 Carlo Schmidl, Dizionario Universale dei gni - Epistolario, vol. I, Libreria Musicale Italiana, Musicisti, vol. 1, Sonzogno, Milano 1926, p. 199 ad vo- Lucca 1966, pp. 167-168. cem; cfr. anche DEUMM, vol. 1 cit., p. 556, ad vocem. 9 DEUMM, vol. 4, UTET, Torino 1986, pp. 18 Cfr. Enzo Vecchiarelli, Anna Maria Maz- 727-728. za, La Scuola di Canto, in Brancati (a cura), I cento- 10 Mauro Ferrante, Profilo di Antonio Cico- dieci anni del Liceo Musicale Rossini cit., p. 336. gnani, in “Annuario” del Conservatorio Rossini, Pe- 19 Enrico Delle Sedie (Livorno 1822 - La Ga- saro 1989-90, pp. 47 -56. renne-Colombes 1907), baritono e maestro di canto, 11 Vincenzo Petrali fu docente anche a Pesaro tenne una cattedra di canto al conservatorio di Parigi dal 1882 al 1889: Mauro Ferrante, Vincenzo Petrali e fu uno dei più grandi didatti di ogni tempo. primo insegnante d’organo del Liceo musicale Rossi- 20 Marta Mancini, Raffaele Frontali: “Soi- ni di Pesaro, in “Annuario” del Conservatorio Rossi- rées musicales” con Liszt e Joachim, in “Quaderni ni, Pesaro 1988-89, pp. 83-100. dell’Accademia Fanestre”, 9, 2010, pp. 421-428. 12 Notizie tratte da Alberto Barbadoro, La 21 Rémy Principe, Raffaello Frontali, in “Musi- scuola di Composizione, in Antonio Brancati (a ca”, 15 gennaio 1917, p.n.n. cura), I centodieci anni del Liceo Musicale Rossini 22 Gaetano Spezzaferri violinista, allievo di (1882-1992) oggi Conservatorio in Pesaro, Nobili, Frontali a Pesaro, morì giovanissimo a venticinque Pesaro 1992, pp. 281-325. Luigi Cirenei è il com- anni. Suo fratello, Giovanni Spezzaferri fu un compo- positore della “Fedelissima - marcia d’ordinanza sitore, pedagogo e pubblicista formatosi a Pesaro alla dell’Arma dei Carabinieri”; gli venne inoltre affidata scuola dei docenti Amilcare Zanella, Mezio Agostini, la direzione della stessa banda. Scrive Maria Luisa Antonio Cicognani e Luigi Alberto Villanis, fu un at- Piccioni: «Convinto delle notevoli possibilità espres- tivo collaboratore a “La Cronaca Musicale” e fonda- sive di questo organico musicale, portò la banda a li- tore nel 1911 della rivista “L’Evoluzione musicale” velli forse mai raggiunti prima. Riuscì infatti a creare pubblicata dapprima a Lecce e, dal novembre 1912, a

230 Marta Mancini Pietro Mascagni e il Liceo Musicale “G. Rossini”

Pesaro. Fu anche direttore dei periodici “Idee e musi- sala I compagnacci, Teatro comunale di Teramo, 12 che contemporanee” di Piacenza e “Arti” di Lodi. novembre 1999. Giovanni Spezzaferri fu fondatore e direttore 28 La cronologia delle opere, i cenni biografici dell’istituto musicale di Lecce, dal 1917 diresse l’i- di Riccitelli, la fortuna e altro sono contenuti nel cita- stituto musicale “Gaffurio” di Lodi e nel 1930-54 fu to libretto di sala. direttore dell’istituto musicale “Nicolini” di Piacen- 29 DEUMM, vol. 1 cit., p. 611, ad vocem. za portato da lui al pareggiamento ai conservatori di 30 Alberto De Angelis, Dizionario dei Musici- Stato. sti, Ausonia, Roma 1922, p. 265, ad vocem. 23 Così “La Cronaca musicale”, a. VII n. 6, Pe- 31 Marta Mancini, Paolo Bodojra e l’istituzio- saro 1903, citando un passo del periodico pesarese ne musicale pesarese, in “Annuario” del Conservato- “La sveglia democratica”. rio Rossini, Pesaro 1988-89, pp. 123-150. 24 Marta Mancini, La Biblioteca, cento anni 32 DEUMM, vol. 5, UTET, Torino 1988, p. di storia, in Brancati (a cura), I centodieci anni del 191, ad vocem. Liceo Musicale Rossini cit., pp. 223-224. 33 Ibid., p. 646, ad vocem. 25 La commemorazione rossiniana - Alla Casa 34 Carlo Schmidl, Supplemento al Dizionario di Rossini, in “La Cronaca Musicale”, 7, 1904, pp. Universale dei Musicisti. Appendice, aggiunte e retti- 207-210. fiche, Sonzogno, Milano 1938, p. 685, ad vocem. 26 DEUMM, vol. 6, UTET, Torino 1988, p. 328. 35 “Annuario scolastico” del Liceo musicale 27 Lettera autografa pubblicata nel libretto di Rossini, a. XVI, 1895-96, Pesaro 1897, pp. 13-19.

231 I leoni alati di piazzale della Libertà Dal monumento ai Caduti di Monteciccardo allo Stabilimento balneare di Pesaro

di Roberta Martufi

La storia delle panchine dai “leoni ala- La città novecentesca esprime lo svilup- ti”, poste in piazzale della Libertà, è stretta- po e il benessere della borghesia locale che, mente connessa alle vicende che, dalla fine in accordo con le mode del tempo, inizia ad del XIX sec. fino ai primi decenni del XX, apprezzare l’abitare al mare. Sono questi gli hanno determinato l’espansione della città anni in cui il mare, anche come forma tera- di Pesaro verso il mare. peutica, diviene parte integrante della vita Le panchine costituiscono un elemento estiva: lo Stabilimento balneare, realizzato di finitura e di arredo della “città giardino”, in posizione scenografica a conclusione del che viene immaginata sin dal primo piano decumano massimo, è la struttura che me- regolatore della città che risale al 1898. Con glio rappresenta la nuova moda. questo piano gli amministratori cominciano La città giardino di Pesaro non ha come a immaginare l’espansione della città extra- sua principale valenza quella di essere luo- moenia in sintonia con il “rinnovamento” go di villeggiatura per turisti. Nasce vice- industriale e culturale che, a cavallo del se- versa come parte di città in cui la ricca bor- colo, investe tutta l’Europa. È interessante ghesia dell’epoca (Ruggeri, Ugolini, ecc.), sottolineare che l’ampliamento della città costruisce i propri villini, in gusto per lo più di Pesaro, anche nei piani successivi a quel- eclettico, così come le nobili famiglie pesa- lo del 1898, verrà sempre pensato in stretto resi costruirono sulle colline, a partire dal rapporto con il centro antico e mai in anti- XVI fino a tutto il XIX sec., splendide ville tesi con esso. circondate da giardini. Il piano era bene impostato e definiva in Al piano regolatore generale del 1898 maniera inequivocabile le direttrici di svi- seguono una serie di progetti che, con ter- luppo della città con il mantenimento della minologia moderna potremmo definire cinta muraria roveresca. Le nuove aree edi- “piani particolareggiati”. Fra questi ricor- ficabili dovevano essere organizzate secon- diamo il Progetto per la Sistemazione delle do una maglia geometrica regolare che ave- Aree di proprietà Comunale adiacenti allo va il suo asse centrale nel prolungamento Stabilimento Balneare 2, del 1900, firmato del decumano della città romana (via Ros- dall’ing. capo del comune di Pesaro, Ugo sini). Sarà questa strada, chiamata prima Peirani (figg. 1-2). viale dello Stabilimento, poi viale Vittorio Il progetto prevedeva la sistemazione Emanuele III e infine viale della Repubbli- della sola area adiacente lo Stabilimento ca, il cuore e la vetrina della nuova città 1. balneare con la realizzazione di un giar-

232 Roberta Martufi I leoni alati di piazzale della Libertà

Figura 1 – Ing. Ugo Periani, Progetto per la sistemazione delle aree di proprietà comunale adiacenti allo Stabilimento balneare, 1900.

Figura 2 – Ing. Ugo Periani, Progetto di vasca con getto d’acqua continua, 1912.

233 Studi pesaresi 3.2015

Figura 3 – Il primo stabilimento balneare (Archivio Stroppa Nobili). dino pubblico e individuava le aree in cui cambio, cedeva gratuitamente la terra su si sarebbero dovuti costruire i primi sedici cui sarebbero stati costruiti i villini, ricono- villini della nascente città giardino. Nella sceva alla Società 500 lire per ogni edifi- planimetria i villini sono rappresentati cir- cio realizzato oltre al materiale di recupero condati dai giardini, e l’andamento sinuoso dall’abbattimento di parte delle mura della delle strade, che individuano gli isolati in città. cui dovevano essere realizzati, rende questo I primi anni del secolo segnalano una piano particolarmente interessante: può in- forte attività edilizia non solo nel piazzale fatti essere considerato uno dei primi piani dello Stabilimento, dove già dal 1912 viene urbanistici liberty italiani. sistemata la grande fontana circolare 3, ma La realizzazione di questo piano ambi- anche e soprattutto, nel viale che lo colle- zioso fu resa possibile dalla convenzione gava al centro storico: è lungo questa stra- che il comune di Pesaro fece con la Società da che le famiglie più benestanti iniziano a dei Villini presieduta da Vitaliano Molaro- costruire le proprie residenze. Il viale era di ni, che era anche il presidente della Coope- vaste dimensioni e l’area destinata al pas- rativa muratori. La Società si impegnava a seggio, non pavimentata, era arricchita da costruire, in otto anni, quattordici dei sedici una quadruplice fila di alberature. villini previsti dal piano, lasciando al co- Lo scoppio della prima guerra mondia- mune i due lotti centrali che sarebbero stati le produce un rallentamento dell’attività destinati a giardino pubblico. Il comune, in edilizia e dell’espansione della città verso

234 Roberta Martufi I leoni alati di piazzale della Libertà il mare, così solo dai primi anni ‘20 ver- nel frattempo, era stata riconosciuta Stazio- ranno realizzati nuovi importanti interventi ne di cura e soggiorno 7. sia pubblici che privati. Nel 1923 la giunta Del 1928 sono infatti i progetti per la comunale approva il progetto per l’amplia- realizzazione delle aiuole fiorite lungo il mento dello Stabilimento balneare 4 e nel viale Vittorio Emanuele III e per il piazzale 1926 viene realizzato e approvato il proget- dello Stabilimento, che dopo i lavori di rin- to per la nuova sistemazione del viale Vitto- novamento si chiamerà Kursaal; sempre nel rio Emanuele III, necessario visto l’aumen- 1928 viene approvato il progetto per la nuo- to del traffico carrabile 5. La sede stradale va illuminazione dell’intera area compresi i viene infatti allargata a discapito dei mar- nuovi giardini 8. ciapiedi e la quadruplice fila di alberi viene Infine, il 18 ottobre del 1928, viene ap- limitata a due. Nel 1927, con atto del pode- provata la spesa per la sostituzione delle stà, viene infine prevista “l’incatramatura e vecchie panchine in pietra del viale Vittorio bitumatura” di viale Vittorio Emanuele III e Emanuele III e per l’acquisto delle nuove la pavimentazione con mattonelle di asfalto panchine del piazzale dello Stabilimento. dei marciapiedi 6. L’ing. Vincenzo Zicari, capo dell’Uf- Realizzate queste opere strutturali, l’am- ficio tecnico comunale, così scrive: «Data ministrazione comunale poteva passare ad la nuova sistemazione del Viale Vittorio occuparsi degli elementi di arredo; il 1928 Emanuele III, sia nella sua pavimentazione, è l’anno che potremmo definire delle rifini- che nell’alberatura e nella illuminazione, i ture, giustificate anche dal fatto che Pesaro, vecchi sedili in pietra, sbocconcellati e rab-

Figura 4 – Il Kursaal con in primo piano le aiuole progettate da Leandro Ricci (Archivio Stroppa Nobili).

235 Studi pesaresi 3.2015

Figura 5 – Leandro Ricci, Cappella votiva di Monteciccardo, 1927. berciati, non erano più adatti alla località; Piazzale dello Stabilimento), sembrerebbe questo Ufficio pertanto è venuto nella de- trattarsi dell’acquisto di arredi già presenti cisione di costruire nuovi sedili di cemento sul mercato piuttosto che di arredi progetta- più artistici e più consoni al Viale stesso. I ti ad hoc per il piazzale dello Stabilimento, sedili sono di due tipi; uno più semplice per e lo studio dei documenti d’archivio sembra il Viale, formati di due piedi lavorati di ce- dimostrare proprio questa ipotesi visto che i mento uso pietra e piana pure di cemento leoni hanno, a Monteciccardo, dei “fratelli” e graniglia lucidata; nei piedi sono ricavati pressoché gemelli, modificati in lievissimi due stemmi del Littorio con scure. L’altro particolari. tipo, quello del Piazzale, è invece composto Fondamentali, per l’individuazione di due leoni che servono da sostegno del se- dell’autore dei leoni, sono stati i documen- dile e da bracciale, riuniti con sottili strisce ti conservati presso l’archivio storico del di legno di pich-pine; sotto questi sedili vi comune di Monteciccardo relativi ai lavori è pure una pedana di cemento lucidato. La per il restauro della votiva ai Caduti dello spesa complessiva per la fornitura e posa stesso comune, che fu inaugurata il 16 set- in opera di detti sedili si preventiva in lire tembre del 1927 10. Molto controversa fu la 20.000 come risulta dall’allegato preventi- realizzazione di questi lavori, visto che la vo» 9. spesa aumentò enormemente rispetto alla Da come recita il titolo dell’atto del po- stima iniziale. Proprio a causa di ciò tutte destà (Fornitura e posa in opera di sedili le lavorazioni furono oggetto di perizie ac- nel Piazzale Vittorio Emanuele III e nel curate e fra queste i leoni alati, posti all’in-

236 Roberta Martufi I leoni alati di piazzale della Libertà gresso a guardia dei caduti, furono parti- ra Podestà Cav. Bracci. Da quanto sopra, colarmente indagati. Il pesarese Leandro chiaramente risulta che non sottocosto il Ricci (1891-1967) 11, scultore e insegnante Prof. Ricci ha fornito i due Leoni-alati di Disegno di Ornato e Plastica decorativa ma egli mette così in conto al Comune presso l’Istituto d’Arte applicate “Ferruccio quelli che tiene nel suo laboratorio e Mengaroni” di Pesaro, era stato incaricato quelli che egli generosamente regala a dal podestà di Monteciccardo dell’intero chi gli à affidato i lavori e ne trascura il progetto di restauro. Il Ricci, come si legge controllo 12. nella relazione del commissario prefettizio Giuseppe Rossi, datata 21 aprile 1930, «...è La cappella di Monteciccardo viene da ritenersi il maggior responsabile dell’e- inaugurata, come già detto, nel settembre norme spesa raggiunta nella costruzione del 1927, circa un anno prima della delibe- della Cappella votiva» 12. Vista l’amplifi- ra del comune di Pesaro con cui si decide cazione dei costi il commissario controllò la sostituzione delle panchine del piazzale attentamente tutte le fatture e tanto spazio dello Stabilimento 14. È facile immaginare dedicò a quelle del Ricci che, per la realiz- che i due leoni rimasti nel laboratorio del zazione di leoni alati, cerca di dimostrare Ricci, che si trovava a Pesaro in via Maz- addirittura di rimetterci. Infatti, nella rela- zolari angolo via Rossini nell’area comple- zione in risposta al collaudatore dell’opera tamente riedificata nel 1958 per il palazzo che gli aveva contestato la parcella, il pro- dell’Azienda autonoma di soggiorno, siano fessore cerca di dimostrare che i leoni a lui stati utilizzati, con leggerissime modifiche, erano costati lire 3.564 mentre al comune ne per i leoni delle panchine di Pesaro. aveva chiesti solo lire 3.500. Il commissario Osservando vecchie cartoline del piaz- prefettizio, non convinto, procede nell’ana- zale dello Stabilimento possiamo dire che lisi dei prezzi e nella sua relazione scrive: le panchine, sei sin dall’origine, erano collocate a corona, di fronte allo Stabili- Esaminati però i prezzi particolareg- mento; quest’area, come già ricordato, era giati del Sunto si ha per mano d’opera arricchita dalla fontana circolare e da due della Forma £. 2066,80 e per mano d’o- grandi aiuole fiorite a forma di trifoglio. I pera del Getto £. 66,10, Totale £. 2132 lavori per la realizzazione delle aiuole fio- cioè l’enormità di 106 giorni di lavoro rite, per modifiche volute del podestà che di un operaio. Non basta, osservando l’ing. Vincenzo Zicari elenca puntualmente sempre dal suo Sunto il quantitativo di nella liquidazione finale, portarono a una cemento, gesso, materie varie, quei due spesa molto più elevata del previsto. Tra leoni alati dovrebbero pesare la bellezza le fatture, per opere non previste, troviamo di oltre 25 quintali, mentre ciascuno ne quella del prof. Leandro Ricci per la costru- peserà al massimo 4. Egli, col materia- zione dei pilastrini delle aiuole del piazzale le segnato nel Sunto ne avrebbe ottenuti del Kursaal e dei relativi vasi 15. Il nome del almeno sei. Risulta appunto che due ser- professore torna e l’intervento che realizza, virono per la Cappella, due sono rimasti per una parcella di lire. 4.000, è facilmen- nel suo laboratorio, e due come egli stes- te riconoscibile dalle cartoline d’epoca. so conferma li offrì per omaggio all’allo- Nei tre lati concavi di ognuna delle aiuole

237 Studi pesaresi 3.2015 a trifoglio colloca dei pilastrini, raccorda- che nelle cittadine di provincia si diluisce ti da volute, sormontati da vasi e pigne. Si nel tempo, tali decorazioni erano frequen- tratta di elementi decorativi in cemento che tissime e seppur private del significato ori- impreziosiscono e sottolineano la sinuosità ginario, sono ancor oggi rintracciabili in della forma dell’aiuola oltre a farne levitare tanti dei villini che arricchiscono la zona il costo! mare. È chiaro che il prof. Ricci, nei primi anni È evidente che questo è vero per Pesaro del novecento, era uno degli artisti-scultori ma non solo: lungo tutta la costa adriatica, più quotati in città e alla sua mano si devo- da Venezia fino a Santa Maria di Leuca, e no molto probabilmente anche le sfingi pro- lungo la costa tirrenica, sfingi e leoni si ri- gettate per il palazzo Busetto, ora Hotel de petono con funzioni, dimensioni e materia- Bains (figg. 6-7). Il progetto dell’edificio è li diversi; stessa cosa accadeva in giro per antecedente al 1923 ma la costruzione andò l’Europa ma non solo e, a questo proposito, avanti lentamente e con diverse varianti; ci piace ricordare la grande panchina semi- solo nel 1932, infatti, viene presentato il circolare in marmo bianco di Carrara, sor- progetto per la sistemazione della terrazza retta da due leoni alati, custodita nel Museo con la realizzazione delle sfingi che ancora de la Ciudad di L’Avana; e sempre a Cuba, oggi possiamo ammirare. Il progetto, pur- ma a Cienfuegos, le sfingi, anche queste in troppo, non è firmato ma data la incredibile marmo di Carrara, poste a guardia dell’in- somiglianza fra quanto disegnato e quanto gresso del Palacio de Valle. realizzato, sia nei corpi delle sfingi che dei Nella millenaria storia dell’arte e nella leoni delle panchine, crediamo di poter dire mitologia, le sfingi e i leoni alati sono fre- che i due animali mitologici, che “abitano” quenti e hanno significati chiari: si pensi il piazzale della Libertà, siano usciti dalla alle sfingi egizie che venivano costruite in stessa mano 16. Osservandoli attentamente si prossimità delle tombe dei faraoni come noterà infatti che identiche sono le zampe, simbolo protettivo e come auspicio per una identiche le code, identiche le piume delle serena vita nell’aldilà. Le sfingi egizie, per ali; ma c’è dell’altro: infatti il progetto, ol- tutte quella di Giza, sono leoni con testa tre a una tavola in scala di dettaglio nel rap- umana maschile, mentre quelle greche sono porto 1:5 della sfinge, contiene anche una leoni alati con testa femminile 17. Fra i leoni vista a volo d’uccello della terrazza in cui alati il più noto è sicuramente quello di San le sfingi sono rappresentate con le ali molto Marco dove, il leone simboleggia la forza più accentuate, tanto da sembrare più che della parola dell’evangelista Marco mentre sfingi leoni alati, in tutto e per tutto identi- le ali rappresentano l’elevazione spirituale. ci a quelli delle panchine. Forse l’anonimo Ma prima di questo uso nella simbologia autore aveva ancora nella mano il disegno cristiana il leone alato era già stato forte- dei leoni di Monteciccardo, riutilizzato nel- mente usato: in particolare nella cultura as- le panchine pesaresi? siro-babilonese i Lamassu o Shedu, mostri Non deve stupire che nella terrazza alati con corpi di leone o di toro, erano con- dell’originario palazzo Busetto sfingi e leo- siderati spiriti benefici e protettivi e quindi ni alati sembrino ricorrersi e/o fondersi qua- posti all’ingresso dei palazzi. Gli artisti me- si in un bestiario fantastico; nell’eclettismo, dievali, e fra questi gli Antelami, hanno poi

238 Roberta Martufi I leoni alati di piazzale della Libertà

Figure 6-7 – Anonimo, Progetto per la terrazza di palazzo Busetto, 1932.

239 Studi pesaresi 3.2015 riprodotto leoni alati, stilofori e non solo, Monteciccardo da cui siamo partiti 18. Il mo- nelle principali cattedrali gotiche europee; numento, originariamente dedicato a Vitto- e a Pesaro, anche se non alato, il leone è rio Emanuele II, divenne il monumento al posto a protezione dell’ingresso di due del- Milite Ignoto con la sepoltura, il 4 novem- le più importanti chiese gotiche della città: bre del 1921, di un soldato caduto durante Sant’Agostino e San Domenico. la prima guerra mondiale. Non è dunque da Sebbene nel corso dei secoli il leone ala- escludere che anche nella lontana provincia to sia andato via via perdendo il significato pesarese l’eco della notizia fosse arrivata e simbolico di protezione per essere spesso che il prof. Ricci, in omaggio a Roma, abbia utilizzato in modo più ironico e leggiadro, voluto riprodurre in piccolo, ai piedi della a Roma, ai piedi del monumento a Vittorio scalinata di Monteciccardo, i grandi leoni Emanuele II progettato da Giuseppe Sac- romani. coni (1854-1905), troviamo due immensi Certo invece è che i leoni alati, una volta leoni realizzati dallo scultore marchigiano scesi da Monteciccardo, trasformati in sup- Giuseppe Tonnini (1875-1954). Questi a porti per le panchine, andarono a far diver- ben guardare e fatti i dovuti distinguo, sia tire migliaia di bambini che li hanno caval- per i materiali che per le dimensioni, ricor- cati dal 1929 ad oggi. dano molto da vicino i più piccoli leoni di

Figura 8 – Roma, Monumento a Figura 9 – La panchina oggi, Vittorio Emanuele: il leone dopo l’intervento di recupero. di Giuseppe Tonini,1920 ca.

240 Roberta Martufi I leoni alati di piazzale della Libertà

1 Il Piano regolatore del 1898 è custodito pres- 10 Per le notizie riguardanti la cappella di so l’Archivio Storico del comune di Pesaro (d’ora in Monteciccardo si rimanda a: Archivio storico comu- poi Ascp), Miscellanea – n. 2. Per un approfondimen- nale di Monteciccardo, b. 21, 1932, cat. 6-15,”Cap- to su questo tema si rimanda a R Martufi, Viali, Ville pella Votiva”. e Villini, La Pesaro della Borghesia, Comune di Pesa- 11 Per le notizie sul. Leandro Ricci si rimanda ro, Pesaro 1996; G. Caresana, La nascita della città al fascicolo custodito presso il liceo artistico “Menga- moderna 1875-1914, Metauro, Pesaro 2004. roni” di Pesaro, e a A. Brancati, Un monumento pe- 2 U. Periani, Progetto per l’individuazione sarese tra la crisi dello stato liberale e la nascita del delle aree per sedici villini e per il giardino pubblico fascismo, Banca Popolare dell’Adriatico, Pesaro nel piazzale dello Stabilimento, 1900, Ascp, Miscel- 1998. lanea - n. 2. 12 Archivio storico comunale di Monteciccar- 3 Ascp, Miscellanea - n. 1, “Costruzione di do, b. 21, 1932, cat. 6-15, “Cappella Votiva”. una vasca a getto d’acqua continuo nel piazzale dello 13 Ivi. Stabilimento balneare”. 14 Sull’inaugurazione della cappella di Monte- 4 Ascp, b. 284/1 , 1912-1928, “Progetti per lo ciccardo si rimanda a C. Ortolani, Monteciccardo, Stabilimento”. cronache, storie, e ricordi, Comune di Monteciccar- 5 «...in ordine alla necessità di allargare, per do, Fano 2009, pp. 167-170. ragioni di viabilità,di estetica e di pubblica incolumi- 15 Ascp, Atti del Podestà, 31 Marzo 1928, n. tà, la sede stradale di Viale V. Emanuele III e di abbat- 182, “Formazione di aiuole lungo il Viale V. Emanue- tere le due fabbrichette laterali all’imbocco del Piaz- le e sul Piazzale del Kursaal”; 14 Settembre 1929, n. zale in fondo a via Rossini», in Ascp, Delibere di 455, “Costruzione di aiuole nel Viale Emanuele 3° e giunta, n. 348 del 12 aprile 1926. nel piazzale del Kursaal. Approvazione degli atti di 6 Ascp, Atti del Podestà, 28 Maggio 1927, n. liquidazione e della maggiore spesa occorsa con cor- 520, “Pavimentazione del Viale V. Emanuele. Appal- risposta di interessi alla Ditta Badioli”. to dei relativi lavori a trattativa privata”. 16 Ascp, Ornato Pubblico, “Progetto per la si- 7 Ascp, Atti del Podestà, 31 Marzo 1928 n. stemazione della terrazza di Palazzo Busetto”, 1932. 182, Formazione di aiuole lungo il Viale dello Stabi- 17 Per un approfondimento sugli animali mitolo- limento. Fra le altre informazioni di questo documen- gici si rimanda a M.C. Biella, E. Giovanelli, G. Pergo to apprendiamo che la città era stata riconosciuta sta- (a cura), Il bestiario fantastico di età orientalizzante zione di cura e soggiorno nella penisola italiana, Tangram, Trento 2012. 8 Ivi, 23 Marzo 1928, n. 170, “Pavimentazione 18 Per un approfondimento sul monumento a del Viale V. Emanuele. Approvazione del Conto Finale”. Vittorio Emanuele II si rimanda a F. Mariano, Giu- 9 Ivi, 18 Ottobre 1928, n. 627, “Fornitura e seppe Sacconi: il Vittoriano 1911-2011, Carifermo, posa in opera di sedili nel Piazzale Vittorio Emanuele Andrea Livi Editore, Fermo 2011. III e nel Piazzale dello Stabilimento”.

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Notizie dal territorio

I cinquant’anni del Monumento-giardino di Pesaro dedicato alla Resistenza*

di Gianni Volpe

Tutti gli anni porto gli studenti del TAM Espagne in collaborazione con lo scultore (Trattamento artistico dei metalli) – il pre- Caruso. A cinquant’anni dalla sua inaugu- stigioso corso ideato e diretto da Arnaldo razione, avvenuta il 20 settembre 1964, il Pomodoro a Pietrarubbia, nel Montefeltro grande monumento è ancora lì a testimonia- – in giro per Pesaro per far loro toccare dal re la forza di un intervento urbano a quell’e- vivo la più bella collezione pubblica di scul- poca considerato innovativo nel panorama ture all’aperto che si possa ammirare nelle italiano dei monumenti celebrativi, perfet- Marche. I nomi parlano chiaro: Bompadre, tamente riuscito grazie alla combinazione Caruso, Consagra, Cucchi, Dall’Osso, Gen- di nuovi segni architettonici e nuove for- tiletti, Lugli, Miniucchi, Marcucci Pinoli, me artistiche. Ne ripercorriamo qui la sto- Mattiacci, Pomodoro, Sguanci, Staccioli. ria, consapevoli che un luogo così ricco di Per questa passeggiata di studio – che memoria e importante artisticamente vada dura più o meno sei ore – ci si raduna alle rispettato, conservato e tramandato alle fu- nove del mattino nel piazzale della stazione ture generazioni nel migliore dei modi pos- ferroviaria, un luogo culturalmente strategi- sibili. Ma vediamo come nacque l’idea. co giacché lì vicino si trova la scultura-sim- bolo da cui, cinquant’anni fa, ebbe inizio la realizzazione di questo percorso d’arte con- Il progetto temporanea negli spazi pubblici della città di Pesaro: il Monumento-giardino dedicato Il monumento fu voluto dall’Ammini- alla Resistenza. strazione comunale di Pesaro, di concerto Pesaro è da anni famosa per aver costru- con il Comitato provinciale per le celebra- ito la sua immagine di città colta e civile zioni del ventennale della Resistenza. Per anche su un uso popolare e democratico ricordare questo significativo periodo della dell’arte. L’esposizione di “sculture in cit- storia della città e della provincia si decise tà” – che negli anni Sessanta-Settanta ebbe di destinare l’area verde di Viale del Risor- corrispondenti iniziative anche in altre città gimento nei pressi della stazione ferrovia- italiane (Volterra, Rimini, Fano, Spoleto, ria, a quell’epoca occupata solo da alcuni solo per citarne alcune) – si inaugurò ap- alberi ad alto fusto. Del progetto furono punto con il Monumento-giardino dedicato incaricati gli architetti Fausto Battimelli, alla Resistenza, progettato tra 1963 e 1964 Paul Espagne e Carlo Biscaccianti, i quali dagli architetti Battimelli, Biscaccianti e ben presto condivisero le loro idee proget-

245 Studi pesaresi 3.2015 tuali con l’artista Nino Caruso. Ecco come struttura di tipo nuovo che avesse i suoi lo scultore siciliano ricorda il loro incontro: motivi ispiratori nel monumento per le vittime di Hiroshima, la Necropoli per i Contemporaneamente al mio lavoro combattenti per la rivoluzione di Prilep di ceramista, fin dal 1959 mi sono inte- e il Cimitero dei fucilati di Belgrado. ressato ad altri materiali come il cemento Essa rispondeva alla nuova impostazio- e il metallo. L’idea di costruire sculture ne culturale che trova concreti valori di metallo ha origine da un incarico per espressivi in sé, abbandonando i vecchi la progettazione di una ringhiera lunga e retorici schemi di monumenti piazzati 50 metri per la balconata di un supermer- in ambienti già caratterizzati e che non cato all’EUR di Roma. Progetto e rea- consentono con le loro architetture una lizzo un modello in legno in scala reale, chiara atmosfera commemorativa. costituito da un pannello ripetibile per Dopo l’approvazione del progetto, tutta la sua lunghezza. Il fabbro che ave- trovo nel cantiere navale di Pesaro il va realizzato il lavoro, dopo la consegna luogo dove poter realizzare la scultura, dello stesso, mi restituisce tutti gli scarti che è costituita da una struttura metallica delle lamiere. Ricordo che avevo parte interrotta da un’apertura, il cui perime- dello mio studio invaso dai ritagli del- tro è di 35 metri per 4/5 metri di altezza. le lamiere, e da questa occasione nasce Costruire la struttura nel cantiere navale l’idea di utilizzarli per realizzare delle è stata per me una esperienza unica per sculture. Dal 1959 lavoro il metallo, con- l’animazione degli operai intenti a salda- temporaneamente alla ceramica, fino al re enormi lastre metalliche per ricavarne 1964, anno in cui realizzo il monumento scafi dalla forma bellissima, tra lo scin- alla Resistenza di Pesaro […]. Nella pri- tillio delle saldatrici. Era emozionante mavera del 1963, l’architetto Fausto Bat- vivere la costruzione della scultura in un timelli venne a trovarmi in via Ruggero ambiente per me un po’ familiare, dovuta Fauro; era in compagnia degli architetti alla mia esperienza operaia 1. Paul Espagne e Carlo Biscaccianti che rimasero sorpresi di vedermi intento con una saldatrice elettrica alla costruzione di una scultura di metallo. Mi chiesero se avessi abbandonato la ceramica per il ferro, e nello stesso tempo osservavano interessati le sculture che avevo già co- struito. Conclusero che quel tipo di scul- tura si sarebbe adattato benissimo al tipo di monumento che stavano progettando per la città di Pesaro. Così, nacque la col- laborazione con gli architetti per la rea- lizzazione del monumento alla resistenza Figura 1 – Schizzo preparatorio di Nino Caruso in quella città. per il monumento pesarese L’idea era quella di realizzare una (Archivio Nino Caruso, Roma).

246 Gianni Volpe I cinquant’anni del Monumento-giardino di Pesaro dedicato alla Resistenza

Il cantiere occupò i progettisti e lo scul- elogiare in modo più o meno diverso, ma tore per tutto il 1963 e nella primavera del è invece un patrimonio permanente della 1964 si diede inizio ai lavori in previsione nostra realtà, della nostra esistenza costi- della sua inaugurazione nell’autunno suc- tuzionale e democratica. E questo ha cre- cessivo. Nella seduta del Consiglio comu- duto il Comitato provinciale che ha ac- nale dell’8 maggio 1964 si svolse una lunga cettato e che ha approvato il monumento discussione, non senza qualche polemica, e hanno creduto gli architetti di esprimere sulla scelta dell’area, sull’abbattimento de- con questa sistemazione di giardino. Poi gli alberi e sulla procedura di inizio lavori, v’è anche un altro scopo, quello cioè di che portò comunque all’approvazione all’u- dare, attraverso il monumento, qualche nanimità del “progetto generale dello stral- cosa di utile alla città; la sistemazione, cio e del finanziamento parziale”. Così il appunto, di un giardino, che pone anche presidente del Consiglio comunale presentò su un piano del tutto particolare la spe- il progetto appena messo in cantiere. sa; non si tratta di una spesa rivolta solo a scopi celebrativi, ma di una spesa che I Consiglieri hanno sotto gli occhi congiunge lo scopo di commemorazione questo monumento alla Resistenza che della Resistenza alla sistemazione di un è già a molti di loro noto e che ha visto servizio, di un luogo, l’abbellimento del- iniziare i lavori nei pressi della stazione la città, alla realizzazione di un giardino ferroviaria. Vi è una relazione degli ar- nel quale sia gradevole la permanenza chitetti […] in cui si mette in luce il ca- dei bimbi, soprattutto, e dei cittadini in rattere del monumento; monumento cioè generale. che vuole allontanarsi da usuali e retori- La parte maggiormente celebrativa che affermazioni e che non è un monu- è data dalle sculture in ferro che sono mento nel senso comune della parola ma riprodotte nella planimetria e sono col- è sistemazione architettonica di una zona locate nella esedra che sta approssima- a giardino, felicemente scelta perché si tivamente nella parte centrale. Queste tratta di una zona piuttosto abbandonata sculture sono opera dello scultore Caruso come manutenzione e anche come stato che le ha già in corso di elaborazione al di vegetazione; gli alberi che sono sta- cantiere navale della nostra città. Questa ti abbattuti erano piuttosto vecchi ed in partecipazione degli operai del cantiere cattive condizioni. Questa soluzione ar- navale alla costruzione del Monumento chitettonica, direi, che in un certo senso alla Resistenza è indubbiamente un fatto è una interpretazione dello spirito della – diremo così – positivo. Resistenza perché vuole dare non tanto Il progetto prevede la spesa di 23 un ricordo quanto la presenza della Re- milioni di lire, oltre ad alcune opere di sistenza, presenza con un giardino che è sistemazione, alle opere di illuminazione vivo per sua natura ed è vivo per la fre- e alle spese di progettazione. Che cosa quenza che dovrà determinare di perso- si propone questa sera al Consiglio co- ne ed in modo particolare di bambini. Si munale? Si propone di approvare il pro- vuole perciò indicare il fatto che la Re- getto nella spesa di lire 23.625.752; di sistenza non è un ricordo del passato da incaricare la Giunta comunale di redige-

247 Studi pesaresi 3.2015

Figure 2-3 – Lo scultore Nino Carso al lavoro nel cantiere navale di Pesaro (Archivio Nino Caruso, Roma)

248 Gianni Volpe I cinquant’anni del Monumento-giardino di Pesaro dedicato alla Resistenza

re un progetto stralcio che comprenda la La cerimonia inaugurale si svolse il 20 costruzione dell’esedra circolare, la co- settembre1964 alla presenza del ministro struzione del muro votivo che completa Achille Corona, in rappresentanza del Go- la parte più simbolica del monumento, verno, e con la partecipazione di numero- le pavimentazioni in peperino verdolino sissime autorità e di una delegazione jugo- e rosso, costruzione delle rampe e delle slava. scale. Quindi, per quello che riguarda il La cosa che fa più effetto, nel rivedere punto 7, si propone l’approvazione del le immagini dell’epoca, non è solo la par- progetto generale secondo gli atti che tecipazione di pubblico e il dispiegamento sono qui depositati e che corrispondono di divise, stendardi, bandiere e gonfaloni a quel plastico; poi il mandato alla Giun- raggruppati in questo punto della città, ma ta per la redazione di un progetto stralcio come questa scenografia ben si inserisca che deve essere una parte del progetto per scala e cromatismo nella proporzionata in modo che si ottenga una riduzione di e movimentata massa di lance e punte della spesa e in particolare che tutta una serie scultura metallica, come l’artificio artistico di parti in pietra vengano per il momento sia corale con la folla accorsa lì per cele- ridotte e differite nella esecuzione dato il brare una ricorrenza. Il tutto ben raccolto loro costo, conservando però completa- nell’architettura di un moderno catino otte- mente la pianta 2. nuto con una muraglia pulitissima realizzata

Figura 4 – Il cantiere (Archivio comunale, Pesaro).

249 Studi pesaresi 3.2015 con blocchi di pietra montati semplicemen- Le sculture di Nino Caruso, visibili te dentro un prato 3. Questa combinazione da ogni parte dell’area, con la loro vo- del muro in pietra bianca – sulla quale si lumetria circolare aperta verso lo spazio staglia un’unica parola RESISTENZA – libero sistemato a verde, evocano la vio- con il rosso delle sculture metalliche supe- lenza dell’oppressione e la lotta liberatri- riori fu una scelta molto efficace dal punto ce della Resistenza. La scultura in ferro è di vista progettuale e compositivo, giacché di forma circolare interrotta in un punto, ne derivò una felice combinazione, volume- è lunga 36 metri e alta 5; è costruita in trica, materica e cromatica, tra le geometrie lamiera d’acciaio dello spessore di sei dell’architettura di base e il dinamismo del- millimetri. Peso complessivo dell’opera, le parti scultoree in alto, tra il candore della sei tonnellate. È stata costruita nel Can- pietra e il colore rosso-fuoco delle lamiere. tiere navale di Pesaro dallo scultore, con la collaborazione di operai dello stesso Cantiere. L’eco della stampa Il giorno dell’inaugurazione “Il Resto L’evento ebbe grande eco sulla stampa del Carlino” usciva con un articolo altret- locale e nazionale, sia per la dimensione tanto consistente dal titolo Stamane si inau- della partecipazione popolare che per l’in- gura il giardino-monumento: novativa forma architettonica e artistica del monumento. Il 19 settembre 1964, giorno Tutto è pronto per la cerimonia precedente l’inaugurazione, nella rubrica inaugurale del giardino monumenta- Cultura del giornale “L’Unità” si leggeva le dedicato ai Caduti della Resistenza (l’articolo era accompagnato da una foto presso cui culmineranno questa mattina che ritraeva lo scultore al lavoro nel cantie- le celebrazioni del ventennale. Squadre re navale di Pesaro): di operai hanno intensamente lavorato negli ultimi giorni per le rifiniture del Domani si inaugura a Pesaro un mo- complesso monumentale e dei verdeg- numento commemorativo della lotta e gianti ripiani che hanno trasformato dei caduti della Resistenza. L’importan- il volto della grande aiuola compresa te opera dello scultore Nino Caruso si tra via Montegrappa e i viali Roma e inserisce originalmente in un ambien- XXIV Maggio. Numerosi riflettori si- te concepito dagli architetti Battimelli, stemati sui pali ai vertici e lungo i lati Espagne e Biscaccianti, come uno “spa- dell’aiuola illumineranno questa sera il zio commemorativo”. A questo scopo giardino monumento soprattutto in cor- i progettisti hanno realizzato una siste- rispondenza dell’esedra centrale dov’è mazione con piccoli movimenti di terra, sistemata la scultura simbolica di Ca- con un giuoco continuo e convergente di ruso e del piccolo bastione in pietra del rampe, prati in dislivello, cordonate che Furlo concepito per ricordare la lotta guidano verso il fulcro del monumento partigiana sui monti. Oggi bandiere e stesso costituito dal muro e dalle sculture gonfaloni di enti ed associazioni, ra- in metallo. dunati con le rappresentanze in piazza

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del Popolo, si muoveranno alle 10 per Giardino monumentale dedicato alla raggiungere in corteo, attraverso via Resistenza. Branca, il piazzale Garibaldi. Il mini- Presenti autorità e partigiani jugoslavi. stro on. Achille Corona, le autorità ci- Questa mattina, alla presenza di auto- vili, militari e religiose, gli ospiti jugo- rità italiane e jugoslave e con una calda slavi, procederanno alla inaugurazione partecipazione di popolo, è stato inaugu- del monumento che subito dopo verrà rato a Pesaro il Giardino Monumentale benedetto. Il ministro Corona, come dedicato ai caduti della Resistenza. In annunciato, terrà l’orazione ufficiale. rappresentanza del Governo è intervenu- Ieri intanto il comitato provinciale to il ministro on. Corona, che ha tenuto della Democrazia Cristiana ha pubblica- un discorso. to il seguente manifesto: Il Monumento-Giardino oltre al suo “Nel ventesimo anniversario della alto valore morale e commemorativo, liberazione di Pesaro, i democratici cri- rappresenta, dal punto di vista artistico, stiani rendono omaggio a quanti, durante una novità, una parola nuova che si di- la sopraffazione fascista, con il sacrificio stacca dalle tradizioni generalmente se- della propria esistenza, hanno aperto e guite in opere del genere. Al posto della preparato materialmente e moralmente il statua si è voluto uno “spazio commemo- cammino per la costruzione di una Ita- rativo”, cioè un complesso monumentale lia libera e nuova. Invitano i cittadini, in a giardino nel quale i cittadini possano particolare i giovani, a raccogliere la non sostare, i bambini giocare e dove tutti ab- lieve eredità di valori politici e sociali biano piena libertà di movimento. che la Resistenza ha affidato loro, con- Per trovare esempi di questo tipo bi- sapevoli che nella affermazione costante sogna rifarsi al monumento delle vittime e appassionata della libertà, nel rispetto e di Hiroshima o alla necropoli dei com- nella salvaguardia dei diritti supremi del- battenti della rivoluzione Prilep. la persona, si riassume il compito storico La manifestazione inaugurale è sta- delle nuove generazioni. Nel ventesimo ta aperta da un corteo che dalla piaz- anniversario della Liberazione della no- za centrale di Pesaro è sfilato sino al stra città, i democristiani si uniscono alle piazzale Garibaldi ove, appunto sorge celebrazioni indette per ricordare degna- il “Monumento” alla Resistenza: erano mente tale avvenimento e per onorare in testa al corteo il ministro Corona, il quanti, con il sacrificio della loro vita, compagno prof. Giorgio De Sabbata, resero possibile l’ora del riscatto e della sindaco di Pesaro, i rappresentanti del libertà”. Comitato unitario per le celebrazio- ni del Ventennale della Resistenza (il Il lunedì successivo, 21 settembre 1964, “monumento è dovuto al Comune e al “L’Unità” con un articolo a firma Vinci Comitato per il Ventennale), dirigenti Grossi così commentava, sulla pagina della di comuni e provincie marchigiane e cronaca nazionale, la cerimonia di inaugu- di regioni vicine venute con i gonfa- razione: loni. Poi la folla dei partigiani e della popolazione pesarese. La delegazione

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jugoslava era composta, fra gli altri, Il giardino-monumentale dedicato dal ministro plenipotenziario dottor alla Resistenza è entrato ufficialmente Nicola Mandic, dal sindaco di Lubiana nel paesaggio cittadino a testimoniare dottor Tepina e da una schiera di par- la celebrazione del ventennale e a sta- tigiani sloveni. La qualificativa parte- bilire un perpetuo ricordo del secondo cipazione slovena trova la sua origine risorgimento nazionale. Le cerimonie nella lotta armata che i giovani jugo- di ieri mattina si sono svolte secondo il slavi appena fuggiti dai vicini campi programma prestabilito con il raduno in di concentramento fascisti, sostennero piazza del Popolo di autorità e rappre- sull’Appennino pesarese nelle file del- sentanze. Prima che si formasse il cor- la gloriosa Brigata Garibaldi, fianco a teo per raggiungere piazzale Garibaldi, fianco ai partigiani italiani. la rappresentanza con gonfalone del co- Per lo stesso motivo e per gli immu- mune di Pesaro e quella della Lega dei tati ideali che le animano e le accomu- combattenti slovena si sono recate al nano, Pesaro e Lubiana recentemente si sacrario di piazza Collenuccio per de- sono unite in gemellaggio. La cerimo- porre una corona di alloro in omaggio nia inaugurale è stata semplice ed au- alle vittime della Resistenza. Alle 9,40, stera. Due partigiane, una italiana e una attraverso via Branca, piazzale Laz- jugoslava, mentre una banda militare zarini e piazzale Garibaldi pavesati di suonava l’Inno di Mameli ed un plo- bandiere, il corteo ha raggiunto il com- tone di soldati scattava sull’attenti, da plesso monumentale compreso tra i via- un muro del giardino hanno levato un li Risorgimento, Montegrappa e XXIV drappo tricolore che copriva la scritta maggio già affollati di cittadini. Dietro “Resistenza”. Hanno pronunciato brevi le autorità che affiancavano e seguito parole il sindaco di Pesaro; il senatore il ministro Corona spiccavano i gon- Venturi della DC, il ministro plenipo- faloni dei comuni di Parma, Ferrara, tenziario dottor Mandic ed il ministro Gubbio, Ascoli Piceno, Macerata, della Corona. Ha impartito la benedizione provincia di Ancona, di Senigallia, Re- monsignor Franca. canati, Fabriano, Tolentino, Falconara L’architetto Battimelli (progettista Marittima; seguivano ancora quelli di del “Monumento” insieme all’architetto Mombaroccio, Pergola, Isola del Piano, Biscaccianti ed all’architetto Espagne) , Fratte Rosa, Apecchio, ci ha dichiarato: “La nuova concezione Fano, Montegrimano, Montelabbate, culturale alla quale ci siamo ispirati ci San Leo, Gradara, Urbania, Mondavio, ha fatto abbandonare i vecchi e retorici Cagli, Gabicce Mare, Mondolfo, Serra schemi dei monumenti che non creano Sant’Abbondio, Sant’Angelo in Vado, con le loro architetture una chiara atmo- Urbino, Fossombrone, Acqualagna, sfera commemorativa”. Maceratafeltria, Sassocorvaro, Cantia- no, Sant’Angelo in Lizzola e Sant’Ip- Il lunedì successivo anche ”Il Resto del polito. Carlino” tornava sull’esito della cerimonia Altre bandiere rappresentavano le se- inaugurale: zioni e i comitati ANPI di Ancona, Pesa-

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ro, Fano e Cantiano, le associazioni delle Il giudizio della critica famiglie dei caduti e dispersi in guerra, dei combattenti e reduci, dei mutilati e Architetti, artisti e critici d’arte hanno degli invalidi e infine, recato da due par- subito preso il monumento pesarese come tigiani jugoslavi, il grande emblema del- un esempio pieno di novità progettuali, in- la Lega dei combattenti slovena. dicandolo come una nuova via all’arte del Un picchetto armato con banda del monumento celebrativo, ma anche indivi- 28° Reggimento Fanteria ha reso gli duando in esso il modello di nuove speri- onori militari in apertura della cerimonia mentazioni urbanistiche e architettoniche. inaugurale quindi il sindaco di Pesaro Recentemente Daniela Fonti ha scritto: avv. Giorgio De Sabbata ha dato lettura dei numerosi telegrammi e messaggi di L’impianto formale è carico di rife- adesione tra cui quello del ministro di rimenti (Nino riferisce di essere partito Grazia e Giustizia on. Oronzo Reale, del dall’idea della baionetta), ma il pen- sottosegretario di stato Danilo De’ Coc- siero va anche alla ritmica astratta dei ci, dell’ambasciatore jugoslavo a Roma “comizi” e delle “rovine di Varsavia” Ivo Vejvoda, del presidente della Lega di Giulio Turcato. In questa tormentata dei combattenti di Lubiana Janez Japel, siepe metallica, irta di lance e fratture, dell’ex comandante della Brigata “Ma- un monumento nuovo nella concezione jella” avv. Ettore Trailo, del sindaco di e assolutamente lontano da ogni retorica Elsenach Siegfried Moeckel. Dopo aver celebrativa, c’è l’umanità che ostenta le porto il saluto della città al ministro Co- sue ferite e il dolore perdura interamente rona, al sindaco di Lubiana ing. Tepjna, calato nella tragedia della materia. Ap- ai parlamentari, alle autorità, ai partigia- parentemente distante dalle contempo- ni combattenti e decorati, ai familiari dei ranee realizzazioni in ceramica, il Mo- caduti, il sindaco De Sabbata ha sotto- numento di Pesaro non è poi così tanto lineato il significato della realizzazione nella progettazione, nell’ideazione di che, ha detto, “si è scelto un simbolo che elementi ricorrenti assemblati ogni volta è una dichiarazione di amore per la liber- in modo diverso; l’entusiasmo di Caruso tà, per tutto ciò che di positivo vi è nella per l’esperienza della collaborazione con vita dell’uomo, per la pace e l’amicizia i saldatori abituati ai lavori navali – in tra i popoli”. un cantiere della città – ricorda quello di Dopo la benedizione del monumen- David Smith durante l’esecuzione a Vol- to impartita da monsignor Franca, han- tri dei suoi lavori per Spoleto 4. no preso la parola il partigiano sloveno Slavo Kerencic, il senatore Venturi e il Ma quali sono stati i giudizi nel corso ministro Mandic, in rappresentanza del degli anni passati? Due anni dopo l’inaugu- governo della Repubblica jugoslava. razione, una mostra alla galleria d’arte La Quindi il ministro Corona ha pronuncia- Borgognona di Roma presentava al grande to, a nome del governo italiano, il discor- pubblico tutto l’iter progettuale del monu- so ufficiale […]. mento pesarese 5. In locandina venivano riportati anche i giudizi di due autorevoli

253 Studi pesaresi 3.2015 personaggi della critica d’arte e dell’archi- tivismo delle sagome metalliche articola tettura del tempo: Giovanni Carandente e anche la massa architettonica, la rende Carlo Aymonino. Il primo così si espresse: pungente e aggressiva, carica di ombre e luci, adeguandola ancora più concreta- Il canto della Resistenza diede il mente all’ambiente naturale e paesistico, primo motivo a un’opera plastica con il con la sua pungente e vegetale consisten- cancello di Mirko per le Fosse Ardeatine. za. Quel viluppo bronzeo fu in prototipo di una nuova coscienza figurativa, il modo Questo invece il pezzo di Carlo Aymo- verace e antiretorico di celebrare, il più nino: efficace modo visivo di esprimere l’op- posizione ab imis alla nefanda barbarie. Non è da oggi che Nino Caruso si in- Nella scultura moderna, si può dire, teressa di ristabilire un rapporto tra scul- non v’è materiale più adatto del metal- tura e architettura che non sia puramente lo per affermare queste idee di rivolta, il occasionale, come ‘aggiunta’ di alcune fremito che rigurgita dall’intimo quando sculture a un’architettura già interamente la memoria abbia a posarsi su fatti epici, risolta e molto spesso costruita. E nelle quando l’arte abbia da figurare eroismo e sue intenzioni non è un rapporto tra la odio, ribellione e virtù civiche. Se i cadu- Scultura e l’Architettura, ma tra le sue ti della prima guerra mondiale avessero sculture, anzi, le sue capacità di scultore avuto commemoratori non accademici, e capacità affini di architetti. l’Italia oggi disporrebbe di opere sculto- Il Monumento alla Resistenza a Pesa- riche insigni nelle piazze e nei giardini. ro è stata quindi una conferma concreta La Resistenza trova una coscienza a degli interessi lungamente maturati; artistica più viva, oggi, e i “monumenti” né poteva essere diversamente, data la che la celebrano parlano il linguaggio co- collaborazione strettissima instaurata fin mune dell’arte, non quella della retorica dall’inizio tra Nino Caruso e gli architet- del pianto. Così è dell’intervento plastico ti Fausto Battimelli, Carlo Biscaccianti e di Nino Caruso nel progetto architettoni- Paul Espagne. co di Battimelli, Biscaccianti e Espagne, Il concetto che ha guidato fin dall’ini- per il Monumento alla Resistenza a Pesa- zio i progettisti (e in questo caso anche lo ro, che si erge vicino alla stazione, auste- scultore è stato tale) è stato quello di rea- ra e ferrigna conca a memoria dell’eroi- lizzare un monumento di tipo nuovo, che smo della Marca Superiore. fosse il ricordo di un avvenimento im- Nino Caruso, con il suo appunti- portante ma anche un servizio per tutta to corale di masse metalliche ha inteso la città: un luogo di incontro per manife- esprimere il blocco di una forza multipla, stazioni di carattere eccezionale e anche che prorompe e si erge contro lo spazio, un giardino pubblico di uso quotidiano. frangendolo e articolandolo a guisa di Tale duplice qualità ha determinato una siepe di forme umane che schermi il la scelta ‘scenografica’ de progettisti; vento, di un gran pavese raccolto insieme quella cioè di non limitarsi ad arredare in gesto di rivolta e di vittoria. Il costrut- un ritaglio di suolo pubblico in un tessuto

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edilizio snaturato da fatti speculativi, ma Claudio Dall’Olio, Mario Magistrelli, Luigi di comporre il tutto intorno a un ‘fuoco’ Pellegrin e dall’ingegner Pietro Montini: prospettico, costituito dal centro del cati- no, intorno al quale si eleva la fitta trama La Commissione Giudicatrice […] ha metallica della scultura. deciso di assegnare il premio al Monu- Durante le manifestazioni rimane li- mento alla resistenza di Pesaro [seguono bero solo il muro […] e la vera scultura, i nomi dei progettisti e dello scultore] per cui la luce radente o riflettente conferisce aver compiuto, di fronte a un tema dif- le più diverse tonalità; e la folla ridona ficile data la situazione urbanistica non una misura reale ai singoli pezzi della esemplare, un apprezzabile tentativo, composizione, mettendone in evidenza con esito peraltro positivo, di vitalizzare l’unità; dall’interno dell’ampio invaso si e rendere fruibile tale spazio, ponendo- intravedono la città, le alberature, il ver- lo in connessione con il tessuto viario e de dei prati: ma l’attenzione è riportata a arboreo circostante; per essere rifuggiti un centro grazie alla presenza della fitta dalla facile tentazione della simbologia, trama scultorea. che il tema del monumento suggeriva; A proposito di questa è anche interes- di particolare rilievo è, nei dettagli e sante sottolineare un aspetto metodologi- nell’insieme, l’opera scultorea. co, che mette in evidenza le reciproche ‘libertà all’interno di una progettazione Come si evince dalla motivazione, la comune: Nino Caruso ha preparato la commissione aveva percepito la difficoltà sua opera attraverso disegni, bozzetti e di inserimento di quest’opera nella situa- modellini ma la compiutezza finale l’ha zione urbanistica di Pesaro, caratterizzata realizzata sul posto, durante il montaggio in questa parte della città dalla presenza in- delle lamiere a spessore costante. combente dei nuovi palazzi della periferia Mi auguro che un esempio come quel- cittadina, ma soprattutto dell’opprimente lo di Pesaro dia più coraggio e maggior viadotto a scavalcamento della linea ferro- fiducia a quanti tentano, nel drammatico viaria realizzato quasi contemporaneamen- sviluppo delle città contemporanee, di te alla sistemazione del monumento-giar- inventare anche gli attributi espressivi di dino. Ancora oggi questi elementi gravano un tale processo, mettendoli alla portata sul monumento; sarebbe quindi auspicabile di tutti, cioè in spazi organicamente cor- un progetto di riqualificazione dell’area, relati allo sviluppo stesso. non solo per ridare smalto a un monumento duraturo ma comunque invecchiato, ma so- Una soddisfazione per tutti i progettisti prattutto per ridare una migliore qualità agli venne poi nel settembre del 1967, quan- assetti generali di questa parte della città, do l’Istituto nazionale di architettura IN/ che è segnata dalla presenza di monumenti ARCH di Roma assegnò al monumento pe- e strutture architettoniche importanti (mura sarese il premio regionale IN/ARCH per le e bastione rovereschi, caserma, stazione Marche. Questa la motivazione della giuria ferroviaria, ospedale civile, nuovi parcheg- presieduta dal senatore Emilio Battista e gi e stazione degli autobus). composta dagli architetti Melchiorre Bega,

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* Ringrazio Nino Caruso, Thomas Flenghi e Tenti, QuattroVenti, Urbino 1995, p. 163. F. Cecchi- Simonetta Bastianelli per la preziosa e cordiale col- ni, Pesaro nelle cartoline dalla fine dell’Ottocento laborazione. agli anni Quaranta, Pesaro 2004, p. 162, riporta una 1 N. Caruso, Ceramica oltre, Hoepli, Milano cartolina a colori del monumento appena realizzato. 1997. Nel suo sito web lo scultore ricorda così que- 4 Ai rimandi segnalati da Daniela Fonti (in sta esperienza: «Risale dagli anni ’60 il mio interesse Nino Caruso on the Road Tra arte e mito, cur. E. per utilizzare la scultura nello spazio urbano con un Vitale, cat. mostra, Perugia 6 settembre-26 ottobre approccio nuovo rispetto al passato. I primi interventi 2008, Edimond, Città di Castello 2008) si possono sono stati il Monumento alla Resistenza a Pesaro e il aggiungere certi richiami alle sculture giovanili di Monumento ai Caduti a Bovino (Foggia) […] Nella Luciano Minguzzi, sempre degli anni Cinquanta: progettazione del Monumento ai Caduti di Bovino vedi Pas de quatre, 1957 e Sei personaggi, 1958. (Foggia) ho seguito i motivi ispiratori che avevano Cfr. Aa.vv., La scultura italiana dall’alto medioevo portato alla realizzazione del Monumento alla Resi- alle correnti contemporanee, Electa, Venezia s.d. stenza a Pesaro. In entrambi ho pensato ad uno spazio (ma 1971), scheda n. 232. Per un approfondimento dove gli elementi scultorei non fossero retorici, ma bibliografico dell’opera di Nino Caruso cfr. Aa.vv., volti a creare un’area commemorativa che fosse al La scultura italiana dall’alto medioevo alle correnti tempo stesso uno spazio per i cittadini dove trascorre- contemporanee cit.; C. Aymonino, G. Carandente, V. re il tempo libero». Sapientoni, Nino Caruso, in “AL2”, 7/8, 1978; Ca- 2 Comune di Pesaro, Verbale di deliberazione ruso, Ceramica oltre cit.; Fonti, Nino Caruso on the del Consiglio comunale, n. 985, 8 maggio 1964. road cit. 3 S. Cuppini, G. De Marzi, P. Desideri, La 5 Nino Caruso, monumento alla Resistenza a memoria storica tra parola e immagine. I monumen- Pesaro, fotografie disegni bozzetti, Galleria d’arte La ti celebrativi nella Provincia di Pesaro e Urbino dal Borgognona, Roma 26 maggio-10 giugno 1966. Risorgimento alla Liberazione, catalogo a cura di M.

256 Vicende storiche dell’organo Callido di Barchi

di Marco De Santi

«Si propone, come essendosi porta- 1 – che l’organaro sia tenuto far l’or- to qua l’organaro veneziano Sig. Gaetano gano di 14 registri consimile all’organo Calido per visitare il sito dell’organo e per fatto nella chiesa dei Padri Filippini di concludervi il prezzo, è questi stato risolto a Pesaro, sempre per altro proporzionato scudi 260…» 1. Siamo nell’ottobre del 1785 al luogo della nostra chiesa da esso già e il maestro Callido è a Barchi, per visita- visitata; re la chiesa in cui andrà collocato il nuovo 2 – che debba portarlo nel mese di strumento e stabilire il prezzo. giugno dell’anno venturo 1786, e giunto L’antico organo della collegiata di che sia, sia libertà della comunità di farlo Sant’Ubaldo di Barchi, oggi detta anche visitare e riconoscere da una o più perso- della SS. Resurrezione, era già stato attri- ne pratiche ed intendenti ed in caso non buito con certezza al grande artista veneto si riconosca della dovuta perfezione, sia dopo l’accurato restauro del 1984; ora la l’organaro obbligato di riprenderlo come lettura di alcuni documenti inediti conser- ha promesso; vati nell’archivio storico comunale, ci rive- 3 – che l’organaro stesso sia obbli- la interessanti particolari sulla genesi e la gato tornare ad accordarlo, accorrendo storia dello strumento. almeno per tre volte; Dunque, dopo contatti preliminari fra rap- 4 – che il pagamento dei riferiti 260 presentanti del comune e l’organaro, nell’ot- scudi debba seguire tre rate, e segnata- tobre del 1785 Callido si reca a Barchi, per mente: debbano dalla comunità pagarsi visitare il sito dell’organo e accordarsi sul scudi 100 in giugno 1786 tempo in cui si prezzo che viene stabilito in 260 scudi, cifra porterà l’organo, altri 100 in giugno ’87 e considerevole per l’epoca 2, senza speranza scudi 60 in giugno ’88, dando nel resto la d’altro defalco. La comunità ha già l’autoriz- facoltà al riferito Sig. Maestro di Capella zazione del vescovo per spendere 240 scudi e di convenire con l’organaro circa il tem- l’11 ottobre il consiglio conferisce po da eseguirsi il pagamento suddetto.

facoltà al nostro Sig. Maestro di Ca- L’organo della soppressa chiesa di San pella di portarsi in Fossombrone 3 per far Filippo di Pesaro, preso come riferimento l’offerta col suddetto organaro, la quale dai consiglieri di Barchi, subì uno strano dovrà contenere gli infrascritti patti e destino: fu trasferito nel 1799 nella parroc- condizioni: chiale di Gabicce, per poi essere restituito

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erano legati anche alla presenza in un con- vento di Corinaldo di una figlia di Callido. Il 26 marzo 1786, poco tempo prima che l’organo venisse portato, nel consiglio di Barchi si discusse circa le spese da farsi per «l’Orchestra», vale a dire per la cantoria dell’organo, che era necessario «dilatare», e si quantificò una spesa di scudi 45 compre- so «l’importo del legname già pronto» (in seguito occorreranno altri 10 scudi per «il compimento della collocazione del nuovo organo») 5. Come avveniva quasi sempre per le opere del maestro veneto, l’organo fu collocato sopra la porta d’ingresso della chiesa, rispettando evidentemente una so- norità sperimentata, ma andando a modifi- care la cantoria preesistente in favore delle nuove dimensioni ed esigenze (fig. 1). All’epoca Gaetano Callido 6 era nel pieno della propria maturità artistica ed era ormai riconosciuto come un maestro dell’arte organara, anche se lui preferiva 7 Figura 1 – L’organo Callido della collegiata definirsi “professore d’organi” . Aveva cir- di Barchi. ca sessant’anni, essendo nato ad Este il 14 gennaio del 1727, da Agostino Francesco e Veneranda Tagliapietra. Apprese i primi l’anno successivo e in seguito asportato rudimenti dell’arte organara giovanissimo, ancora dopo le soppressioni operate dal go- tanto che realizzò il suo primo strumento verno sabaudo, per essere definitivamente appena ventenne nel 1748. Poi si perfezionò trasferito ad Auditore presso la chiesa di S. alla bottega del frate studioso di fisica e di Spirito, dove ancora oggi si trova 4. L’or- matematica Pietro Nacchini, illustre orga- gano di Barchi doveva essere simile, ma naro di origine dalmata (Petar Nakic), pres- ovviamente proporzionato allo spazio della so il quale lavorò sino al 1762. Ben presto chiesa barchiese, che l’organaro aveva visi- Callido divenne celebre per i suoi strumen- tato per studiarne la collocazione e per valu- ti, tutti caratterizzati da un’egregia lavora- tarne l’acustica. Questa presenza sul posto zione dei materiali, dall’utilizzo di metalli del maestro veneto testimonia l’accuratezza pregiati (stagno fino, piombo, ottone) , da con la quale egli collocava le sue opere; i un’estrema razionalità e semplicità di tutti i contatti con il territorio marchigiano erano meccanismi e ovviamente dall’inconfondi- frequenti grazie agli ottimi rapporti fra le bile suono limpido e penetrante. Nella sua Marche pontificie e la Repubblica veneta, prodigiosa carriera produsse 430 organi, dei facilitati dai comodi trasporti marittimi, ma quali redasse un catalogo scritto su tre ta-

258 Marco De Santi Vicende storiche dell’organo Callido di Barchi vole di tela rigida, sulle quali scriveva con cise e dipinte, oltre a tre date, sulla parete inchiostro di china. Nell’elenco, stilato in della cassa, sopra di essa e sul muro dietro: ordine cronologico, sono indicati il numero 1786 -14 luglio 1786-A.D. 1786. dell’opera, la località e il nome della chie- Quello di Barchi è l’organo n. 228 del sa destinataria; inizia con il n. 1 del 1748 e catalogo callidiano. È composto da 508 termina col il n. 430 del 1806. Diverse lacu- canne, delle quali 68 in stagno, 29 di abete ne, dovute al cattivo stato di conservazione e 411 di piombo (fig. 3). La facciata è ad delle tavole, impediscono la lettura dei rife- unica campata e a cuspide, con ali laterali; rimenti di alcuni strumenti. di fronte alloggiano i tromboncini. I registri L’organo di Barchi fu identificato come sono azionati mediante 16 pomelli, in pero opera callidiana, grazie, oltre alle incon- tornito, disposti in doppia colonna; il tiratut- fondibili caratteristiche tecniche dello stru- ti del ripieno è a manovella, posto sopra il mento, alla presenza del marchio a fuoco quadro dei registri (fig. 4). La tastiera di 45 “G+C”, sigla impressa sul somiere, sui tasti è in bosso ed ebano; la pedaliera, con mantici e sui rotoni che gli azionano (fig. 2). pedali in noce, è a leggio, di 18 tasti, con la Il marchio composto dalle iniziali dell’or- prima ottava corta. I due mantici cuneiformi ganaro, rappresentava il diritto concesso sono ancora oggi perfettamente funzionan- dalla Repubblica veneta alla totale esenzio- ti, nonostante l’organo sia normalmente ali- ne da tutti i dazi doganali per il trasporto mentato da un moderno elettroventilatore 8. oltre i confini della Serenissima. Oltre a ciò Callido è oggi considerato il più illustre l’organo presenta diverse “B” (Barchi) in- organaro veneto ed uno dei più grandi di

Figura 2 – Il marchio a fuoco nelle parti interne dell’organo.

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Figura 3 – Visione interna delle canne; sullo sfondo si intravede la data dipinta sulla cassa.

Figura 4 – Tastiera, pedaliera e quadro dei registri con il tiratutti.

260 Marco De Santi Vicende storiche dell’organo Callido di Barchi tutti i tempi. Nella sua lunga carriera pro- «prescelto» precisando «che prima di far dusse strumenti che destinò non soltanto al por mano al lavoro si convenisse con esso territorio della Repubblica veneta e alle re- il quantitativo della sua mercede» 9. Nella gioni limitrofe come le Marche (nelle quali seduta successiva del 7 agosto 1796, però, i finì circa un quarto della sua produzione) e consiglieri si esprimevano con rammarico: l’Emilia Romagna, ma anche in zone più lontane come l’Istria e persino Costanti- A norma dell’ultima conciliare ri- nopoli. Tra i suoi innumerevoli capolavori soluzione è stato scritto all’organaro vanno ricordati i tre strumenti per la basi- Arcangelo Feliciotti d’Urbania, perché lica di San Marco a Venezia (1766), città venisse ad accomodare il nostro orga- per la quale realizzò ben 48 opere; mentre no. Egli però non ostante un decorso di nelle Marche, tra gli altri, i due organi di circa un mese non ha neppure replicato Sant’Elpidio a Mare (in particolare quello – alla lettera. Premendoci per tanto sovra del 1785 – posto nella basilica di Maria SS. ogni credere, che un tale strumento abbia della Misericordia, proprio di fronte all’o- quanto prima un opportuno accomoda- pera – del 1757 – del suo maestro Pietro mento saressimo di parere di chiamare Nacchini), l’organo della chiesa di Sant’Ur- altro soggetto. bano ad Apiro (1771), quello della chiesa di S. Maria della tempesta a Tolentino (1803), Quindi nella stessa seduta il «sig. Arrin- quello di Sant’Agostino di Pesaro (1776), gatore fu di parere che per accomodare il no- l’organo doppio della cattedrale di Macera- stro organo possa chiamarsi l’organaro Sig. ta (1790), quello della basilica di San Pater- Sebastiano Vici di Monte Carotto. Persona niano di Fano (1775) e infine l’organo della di sapere e d’onesti costumi; ad oggetto poi chiesa dei ss. Biagio e Romualdo di Fabria- che il lavoro siegua pulitamente e senza il no (1791), nella splendida cantoria dell’e- concorso d’alcuna frode fu d’egual opinio- poca. Gaetano Callido morì a Venezia l’8 ne di sciegliere di nominare un deputato che dicembre del 1813, lasciando in eredità la unitamente al Maestro di Capella assista al propria bottega ai figli Agostino e Antonio. restauramento dell’organo suddetto» 10. Nel 1796, quando a Barchi si discuteva A distanza di soli dieci anni dalla realiz- della necessità di un restauro dell’organo, zazione, dunque, l’organo ha necessità di un Callido era ancora in piena attività, ma evi- restauro; i consiglieri di Barchi si preoccu- dentemente la “garanzia” dei tre interventi pano che questo avvenga e che il lavoro sia di accordatura previsti nei patti stipulati, era fatto a regola d’arte da persona affidabile. ormai scaduta, e richiamare il maestro ve- Per comprendere l’importanza che rivesti- neto per un semplice restauro poteva essere va lo strumento a quei tempi e l’attenzione assai caro, quindi al Consiglio si propose che gravava su di esso, bisogna pensare a di chiamare «un organaro per ripulire ed come si svolgeva la vita quotidiana dei no- accomodare il nostro organo e siccome tra stri padri ancora nel Settecento, quando la gli artefici di tal sfera nelle nostre vicinanze religione con le sue funzioni, i suoi riti e i esiste il sig. Arcangelo Feliciotti di Urbania, suoi ritmi era al centro della vita sociale di persona per quanto si sa in tale arte capace, tutti. Le quotidiane celebrazioni in chiesa, puntuale e proba»; si indicò questi come il e ancor più quelle solenni per le festivi-

261 Studi pesaresi 3.2015 tà o le cerimonie, segnavano le giornate e 1884, il 3 di ottobre e si decide di «far re- rappresentavano, oltre che un obbligo e un staurare l’organo di proprietà del Comune precetto mai posto in discussione, anche un esistente nella chiesa Comunale, compre- momento di grande teatralità e “spettacolo” sa la nuova tastiera, restauri affidati al Sig. durante il quale l’organo rivestiva un ruolo Camillo Gorga di Roma per il convenuto di primo piano. Pensiamo alle messe all’in- prezzo di lire 110» 13. Purtroppo a questo terno di chiese riccamente addobbate, piene restauro si deve la sostituzione della tastiera di opere d’arte e inondate dal profumo di originale, che evidentemente era ridotta in incenso e dal suono cristallino dell’organo. cattive condizioni oppure non si riteneva più Tutto questo può farci capire che impor- “adatta”. Fortunatamente però quello fu l’u- tanza rivestisse tale strumento in passato. nico intervento consistente da parte dell’or- Quindi ci si preoccupò di chiamare un or- ganaro Gorga, per il resto l’antico Callido ganaro capace; senza scomodare l’ormai mantenne le sue parti originali intatte. In anziano Callido, si cercò un artista nelle vi- seguito lo scarso utilizzo dello strumento cinanze. Venne individuato Arcangelo Feli- a partire dagli anni ’40 del secolo scorso e giotti (o Feliciotti), autore già di una decina poi il suo cadere completamente nell’oblio di organi, tra i quali quelli delle chiese du- lo protessero da interventi ben più pesanti rantine di San Giovanni Evangelista (1755), che, nel corso del Novecento, devastarono di Santa Caterina (1770) e di San Francesco diversi antichi capolavori organistici 14. (datato 1762, è considerato il suo strumen- Così si giunge al 1984, quando grazie al to più importante), ma questi non rispose. contributo della Regione Marche, l’organa- Questo silenzio potrebbe essere imputato al ro Luciano Peroni di Pesaro, attua un accu- cattivo stato di salute dell’organaro, visto rato restauro, che ripristina l’organo nella che di lì a poco, nel dicembre dello stesso sua piena funzionalità. Viene ricostrui­ta anno, egli morì 11. Allora ci si rivolse a Se- nelle forme e con l’utilizzo dei materiali bastiano Vici, già apprezzato come persona originali, la tastiera, sono ripristinati tutti “di sapere” e che ben presto diventerà il più gli antichi meccanismi e realizzate le 43 celebre organaro marchigiano 12. Al Vici, at- canne mancanti. Da allora l’organo viene tivo dal 1782 al 1829 si devono diversi im- utilizzato per saltuari concerti o in occasio- portanti organi, tra cui si possono segnalare ne delle celebrazioni più importanti, fino al gli strumenti dell’oratorio di San Giuseppe 2011, quando la chiesa viene chiusa per la- a Urbino (1782), della chiesa di San Nico- vori di restauro, concernenti in particolare il lò di Fabriano (1794), della chiesa di San ripristino del pavimento in pietra originale Francesco di Sant’Angelo in Vado (1802) e il consolidamento della struttura. Il 15 di- e di quella di San Gregorio Magno a Mo- cembre 2013, a due secoli esatti dalla morte gliano (1829). Dopo quelle prestigiose del di Gaetano Callido, la collegiata di Barchi maestro veneto, quindi, l’organo barchiese, è stata riaperta e l’organo del maestro ve- conobbe le mani di un altro dei massimi or- neto è tornato a far sentire la sua penetrante ganari del ‘700. voce, facendo da sottofondo alla solenne Novant’anni più tardi, a distanza di un celebrazione di consacrazione della chiesa, secolo dalla sua realizzazione l’organo di presieduta dal vescovo di Fano Armando Barchi subì un ulteriore restauro. Siamo nel Trasarti.

262 Marco De Santi Vicende storiche dell’organo Callido di Barchi

1 Archivio storico comunale di Barchi (da ora zione con quello di Auditore v. M. Ferrante, L’atti- Ascb), Consigli 1785-1796, p. 14rv. vità di Gaetano Callido nel territorio pesarese, in L. 2 Ecco un estratto delle “uscite” annue dalla Peroni, M. Ferrante, L’organo di Gaetano Callido Tabella della comunità di Barchi per l’anno 1786: della Chiesa del SS. Sacramento (San Clemente) in «al Magistrato 72 scudi; al sig. Podestà scudi 12; al Gradara, Pesaro 2007, p. 26. Di quest’opera, la nu- Priore del Vicariato [il Vicariato di Barchi compren- mero 217 del catalogo callidiano, si conserva ancora deva, oltre al capoluogo, Reforzate, Rupoli e Villa del presso l’archivio capitolare del duomo di Pesaro il Monte scudi […]; al medico condotto 133 scudi; al contratto autografo firmato con i Padri Filippini. maestro di scuola 40 scudi; al chirurgo condotto 67 5 Ascb, Consigli 1785-1796, pp. 19r e 25r. scudi; al Maestro di Cappella scudi 51; all’Alzaman- 6 Su Callido: G. Serassi, Sugli organi. Lette- tici [l’addetto all’azionamento dei mantici dell’orga- re, Bergamo 1816, pp. 34-43; A. Trevissoi, Gaetano no, attraverso le corde] scudi 1 e 50; spese per la festa Callido e l’arte degli organi a Venezia, in Strenna di del patrono Sant’Ubaldo scudi 6 e 66…». È difficile primavera compilata da una società di giovani vene- fare confronti con il mondo di oggi, così diverso sotto ziani, Venezia 1884, pp. 49-66; S. Dalla Libera, Ga- tanti aspetti, e azzardare un’equivalenza odierna per etano Callido organaro veneto, in “Musica sacra”, s. la spesa sostenuta allora per l’organo Callido (ai 260 II a. 7, Milano 1962, pp. 90-93; R. Lunelli, F. Taglia- scudi del costo vanno aggiunti i 55 per la cantoria, vini, Lettere di Gaetano Callido a padre Martini, in quindi 315 scudi), potremmo però dire che si trattava “L’Organo”, 1963, pp. 168-176; R. Lunelli, Studi e di una cifra importante, con la quale si sarebbe potuto documenti di storia organaria veneta, Olschki, Firen- comprare anche un immobile; e in effetti, per portare ze 1973, pp. 132-144; O. Mischiati, Callido Gaetano, un altro esempio, nel 1773 a Fano il pittore Sebastia- in DBI, vol. XVI, Roma 1973, pp. 747-750; S. Sor- no Ceccarini vendette, per conto del figlio Carlo, una bone, Contributo per un regesto degli organi di Gae- casa per scudi 211: v . B. Cleri (a cura), Sebastiano tano Callido sulla base del catalogo redatto dall’au- Ceccarini, Fano 1992, p. 192. Dalla stessa tabella del tore, in “Rassegna Veneta di Studi Musicali”, XI-XII, 1786, sezione “entrate”, si ricava inoltre che il vec- 1995-96, pp. 269-347. Sull’attività marchigiana: M. chio organo fu venduto per 31 scudi: purtroppo non Ferrante, F. Quarchioni, L’Organo della chiesa di siamo in grado di conoscere né il nome dell’acquiren- S. Croce di Macerata, Tolentino 1984; Id., L’Organo te, né chi fosse l’autore dell’antico strumento. della collegiata di San Giovanni di Macerata, Mace- 3 Callido a Fossombrone stava ultimando l’or- rata 1984; M. Ferrante, L. Peroni, L’antico organo gano della cattedrale. In un primo momento, nell’a- Callido, chiesa della Resurrezione – Barchi (op. 228 prile del 1783, il Capitolo aveva incaricato Sebastiano del 1786), Orciano 1985; F. Quarchioni, Il “profes- Vici di Montecarotto, ma poi cambiò idea sostenendo sore Gaetano Callido veneziano”, in A. Carradori, che bisognasse rivolgersi al «celebre prof. Gaetano Antichi organi di Cingoli, Tolentino 1985, pp. 173- Calido, le cui opere sono saggio palese al pubblico e 175; Peroni, Ferrante, L’organo di Gaetano Callido specialmente ai nostri circonvicini di città». La cat- cit.; P. Peretti, Organo n. 308 fatto da Gaetano Cal- tedrale era stata ultimata nel 1784 e l’anno seguente lido in Venezia e terminato il 6 dicembre dell’anno fu collocato l’organo e costruita la cantoria, per una 1792, in “Il Loggiato”, Monte San Giusto 1985, n. 2 spesa totale di 500 scudi. Sull’organo di Fossombro- p. 5, n. 3 p. 6, n. 4-5 p. 5; M. Ferrante, G. Gravagna, ne restaurato nel 1996 v. F. Battistelli, Fossombrone L’organo Callido della chiesa di Sant’Agostino op. cattedrale di San Maurenzio. Restauro dell’organo 118 anno 1776, Pesaro 1988; M. Ferrante, F. Quar- realizzato nel 1785 dal celebre Gaetano Callido, in chioni, Gli organi di Gaetano Callido nelle Marche, A. Deli, F. Battistelli, Restauri 1996/’97, Quaderni in L’arte nelle Marche, n. 1, Abbadia di Fiastra-Urbi- della Fondazione Cassa di Risparmio di Fano, Fano saglia 1989; M. Ferrante, L’organo della chiesa di 1998, pp. 67-70. Sant’Agostino in Corinaldo, in Biblioteca di cultura 4 Per la ricostruzione delle vicende dell’organo organaria e organistica, n. 7, Pàtron, Bologna 1991; della chiesa di San Filippo di Pesaro e l’identifica- B. Olivieri, L’organo Callido di Grottammare: sto-

263 Studi pesaresi 3.2015 ria di un restauro, in “Quaderni dell’Archivio Storico compimento del IX corso, Scuola di organo e compo- Arcivescovile di Fermo”, VII, n. 13, Fermo 1992, pp. sizione organistica, rel. Marco Arlotti, Conservatorio 52-69; P. Peretti, Gli antichi organi di Sant’Elpidio a statale di musica “G. Rossini” di Pesaro, depositata Mare, Accademia Elpidiana di Studi Storici, Sant’El- presso la Biblioteca Oliveriana di Pesaro; ringrazio il pidio a Mare 1992; M. Ferrante, Organari veneti M° Antinori per avermi cortesemente inviato il pro- nelle Marche dal XV al XIX secolo, in “Quaderni mu- prio lavoro. sicali marchigiani”, 1/1994, pp. 173–201; P. Peretti 12 Sul Vici, massimo esponente della scuola or- (a cura), Organi storici delle Marche. Gli strumenti ganaria di Montecarotto, unica vera e propria scuola restaurati, Regione Marche, Nardini Editore, Firenze marchigiana del settore, dove cioè si configurano rap- 1995; Battistelli, Fossombrone, cit.; G.M. Perrucci, porti da maestro ad allievo tra soggetti non apparte- L’organo della basilica di San Paterniano in Fano, Il nenti alla stessa famiglia, si veda F. Quarchioni, La Levante editore, Fano 2007; S. Breccia, C. Paniccià, scuola organaria marchigiana tra Roma e Venezia, F. Quarchioni, L’Organo Callido “doppio” 1790 del- in “Quaderni musicali marchigiani”, 1/1994, pp. 203- la Cattedrale di Macerata, “Quaderni della Cappella 211; Id., Il canonico Benedetto Antonio Fioretti e la Musicale della Cattedrale di Macerata”, 2008. scuola organaria di Montecarotto, in Organari di 7 Così si definisce anche nel contratto autogra- Montecarotto dal XVI al XIX secolo, atti convegno fo per l’organo dei Padri Filippini di Pesaro, pubbli- (Montecarotto, 15-16 ottobre 2005), Montecarotto cato in Ferrante, L’attività cit., p. 26. 2008, pp. 69-82; P. Peretti, F. Quarchioni, Sebastia- 8 Sulle caratteristiche tecniche dell’organo no Vici e la sua attività organaria: per il fondamento di Barchi e sul lavoro di restauro del 1984 si veda: di una “questione viciana”, ibid., pp. 91-171. Ferrante, Peroni, L’antico organo cit.; P. Peretti (a 13 Ascb, Consigli 1884-1888, p. 26, proposta n. 37. cura), Organi storici delle Marche cit., pp. 210-213. 14 Nemico principale degli antichi organi fu il 9 Ascb, Consigli 1796-1806, p. 9v. movimento, nato a cavallo tra ‘800 e ‘900, chiama- 10 Ivi, p. 10rv. to “Riforma Ceciliana”, promosso nell’ambito della 11 Sull’attività di Arcangelo Feligiotti e del chiesa cattolica. Ebbe tra i principali sostenitori papa nipote Andrea, organisti di Urbania attivi a parti- Pio X e fu una sorta di rivoluzione per la musica li- re dal 1755 (data del primo organo di Arcangelo) turgica; aveva l’obiettivo di arginare gli eccessi otto- ai primi decenni del 1800 (Andrea morì nel 1835), centeschi della musica vocale e strumentale, ma portò inizialmente nell’alta valle del Metauro e quindi, dal all’instaurarsi di una logica industriale nell’attività 1770, nei dintorni di Arezzo, si veda: D. G. Fini, I organaria italiana e purtroppo alla manomissione di Maestri di Cappella nella Cattedrale di Urbania, Ed. moltissimi antichi e preziosi strumenti, che furono Psalterium, Roma 1935; R. Rossi, Antichi organi di irreparabilmente rovinati. Solo dopo gli anni ’50 si è Urbania, in “Diapason 440”, Numero unico d’in- affermata la pratica del restauro storico-filologico de- formazione e attività musicali e culturali a cura del gli organi antichi. Sulla “Riforma Ceciliana”, si veda: Coro Polifonico Malatestiano, Fano 1973, pp. 17-20; F. Quarchioni, Il canonico Benedetto Antonio Fio- R. Giorgetti, Biografie e catalogo delle opere dei retti, cit.; Pier Luigi Gaiatto, Il movimento ceciliano Paoli e dei Feligiotti, in Arte nell’Aretino. Seconda a Padova e nel Veneto. Il carteggio De Santi-Cheso, mostra di restauri dal 1975 al 1979. Dipinti e scul- “Rassegna veneta di studi musicali”, XV-XVI, 1999- ture restaurati dal XIII al XVIII secolo, cat. mostra 2000, pp. 375-411; Antonio Lovato, Il movimento ce- (Arezzo 30 novembre 1979-13 gennaio 1980) a cura ciliano a Padova, in Le scelte pastorali della Chiesa di A.M. Maetzke, Edam, Firenze 1979, pp. 112-127; padovana. Da Giuseppe Callegari a Girolamo Borti- L. Antinori, Arcangelo e Andrea Feligiotti organari gnon. 1883-1982, cur. Pierantonio Gios, Gregoriana, di Urbania tra XVIII e XIX secolo, tesi per l’esame di Padova 1992, pp. 385-420.

264 Due opere recuperate nella chiesa di San Giovanni in Pesaro

di Grazia Calegari

La Banca Popolare Valconca continua a finanziare restauri che restituiscono una fisionomia culturale alle opere tornate alla completa fruizione, e all’edificio che le contiene un’integrazione da sempre auspi- cata. Si tratta di un compito ormai purtrop- po sempre più raro e per questo ancora più meritorio. Vorrei rendere conto di due interventi operati dalla banca nella chiesa monumen- tale di San Giovanni: la tela con San Diego d’Alcalà restaurata nel 2012 e la Madonna col Bambino e i santi Pietro e Girolamo tornata completamente leggibile nel 2013. A lavorare lungamente sulle opere è stata la restauratrice Maria Letizia Bruscoli, che ha documentato nei due casi il difficile stato originario delle tele, le modalità degli in- terventi, e gli eccellenti risultati finali, con l’approvazione di Maria Rosaria Valazzi e di Alessandro Marchi della Soprintendenza per i Beni storici artistici ed etnoantropolo- gici delle Marche.

San Diego d’Alcalà (fig. 1)

La tela (193x200) è stata ricollocata nel- la zona del presbiterio, dopo molti anni di assenza. Figura 1 – Girolamo Cialdieri, Il suo ritorno nell’edificio dei france- San Diego d’Alcalà, scani minori riporta al posto originario Pesaro, chiesa di San Giovanni.

265 Studi pesaresi 3.2015 l’immagine di un santo francescano spa- evidente nel dipinto restaurato, dove un gnolo tra i più popolari, nato in Andalusia immenso paesaggio spalanca la vista su e vissuto dal 1400 al 1463, fratello laico un fiume con ponte e su campi verdissi- addetto ai lavori per le comunità, popola- mi, delineando una natura pienamente in- rissimo per la sua umiltà e carità in Spa- tegrata col fraticello che alza la croce e gna e in America, dove il suo nome è stato sgrana il rosario. dato a fiumi e città, come San Diego in Sfondi da paesaggista di questo tipo si California. Fu eremita, prima di diventa- trovano in altri dipinti del Cialdieri, come re addetto ai lavori per la comunità, poi la Nascita della Vergine di San Biagio a guardiano in un convento nelle Cana- Saludecio, che è datata 1616 e dovrebbe rie; tornato in Spagna, nel 1450 si recò essere cronologicamente molto vicina al a Roma per il giubileo e all’arrivo della quadro di San Giovanni a Pesaro; come la peste assistette i confratelli contagiati nel Fuga in Egitto di Isola del Piano, come la convento dell’Aracoeli, distribuendo loro Madonna e Santi di Santa Chiara ad Ur- viveri e ottenendo con le preghiere la gua- bania, come la Casa di Loreto e santi nel- rigione di molti infermi. Tornato in patria, la chiesa di Santa Maria di Loreto a Re- morì in Alcalà de Hemares presso Ma- canati, nella quale appare un ponte simile drid nel 1463. Francescano “zoccolante”, a quello che fa da sfondo a San Diego. come è evidente in questa rappresentazio- L’abilità di vedutista del Cialdieri è tale ne, Diego d’Alcalà seguì la regola di frate che, nella tela con Madonna in gloria e Paoluccio Trinci, che nel 1368 ottenne dal santi del duomo di Cesena, gli angeli in ministro generale Tommaso da Frignano volo reggono l’immagine della stessa cit- il permesso di riaprire l’eremo di Broglia- tà di Cesena. no, e poiché il terreno del posto era arido È del resto ben nota la sua abilità anche e roccioso, impervio e infestato di serpen- disegnativa nel sintetizzare vedute di paesi, ti, i membri della comunità indossarono come si vede nel manoscritto Barberiniano ai piedi zoccoli di legno, per cui i frati Latino 9911 della Vaticana, datato 1632, vennero indicati come “zoccolanti”. che comprende 25 carte con vedute e plani- Importante per la storia dell’arte è an- metrie del territorio ex-roveresco commis- che il recupero del nome dell’autore del sionate dal prefetto di Roma Taddeo Bar- dipinto, che è Girolamo Cialdieri (Urbino berini, nipote del papa e comandante delle 1593-1646), allievo del veronese Claudio guardie di Castel Sant’Angelo 2. Ridolfi e attivissimo tra Urbino, le Mar- Il recupero della tela di Pesaro integra che, la Romagna. Di rilievo la sua attivi- dunque il catalogo del Cialdieri, già inda- tà per il matrimonio tra Federico Ubaldo gato da Marina Cellini nel 2005 3, dove il della Rovere e Claudia de’ Medici negli San Diego è citato come «attribuito» ma apparati nuziali del 1621, eseguiti assie- che dopo il restauro può invece essere an- me a Claudio Ridolfi, e ancora in parte noverato come opera certa dell’urbinate, conservati al palazzo ducale di Urbino 1. dipinto per di più su tela di particolare pre- Era «espertissimo nel toccare il paese e gio e valore, come rileva Letizia Bruscoli, lodato nella prospettiva» secondo lo sto- e com’era nelle abitudini di lavoro di que- rico Lanzi, e questa sua caratteristica è sto pittore.

266 Grazia Calegari Due opere recuperate nella chiesa di San Giovanni in Pesaro

Madonna col Bambino e i santi Pietro e 1498 circa, con attribuzione alla bottega di Girolamo (fig. 2) Giovanni Santi, ancora attiva dopo la morte del maestro avvenuta nel 1494, con qualche L’immagine (200x150), databile alla possibile intervento di Raffaello quindicen- seconda metà del ‘500, s’impone con la ne. È questa l’ipotesi più fondata da ribadire forte sacralità di un’icona, e s’incentra oggi, dopo che nella mia scheda di catalogo sulla enorme quantità di luce che trionfa sull’affresco per la mostra di Raffaello a Ur- entro un fondale di rocce, simbolo a loro bino nel 2009 4 si è stampata erroneamente, volta di Cristo, della Chiesa, della saldez- per ragioni di incompleto controllo, accanto za della Fede cristiana. Questa sacralità al titolo dell’affresco staccato la data 1512- assoluta della Madonna-idolo è accentua- 1513 e l’iscrizione «firmato TIMOTHEI DE ta ancora dalla presenza di gioielli ricchi VITE URBINAT OPUS», relativa ad altra e fastosi sia sulla Madre che sul Bambino, opera in mostra. Così pure nell’accuratissi- e da corone regali di particolare elabora- mo volume di Marcello Luchetti sulle con- zione, che richiamano esempi di oreficeria fraternite 5 l’affresco viene invece attribuito orientale. Il Bambino benedicente regge a Timoteo Viti e datato 1505 circa, mentre nella sinistra il globo trasparente ed è in- nel testo sono di grandissima utilità sull’ar- solitamente dotato di capelli lunghi. Altra gomento le notizie relative alla confrater- caratteristica sontuosa è la raffinatezza del nita, che era proprietaria della cappella dei tessuto del mantello, decorato a grandi fio- santi Pietro e Girolamo degli Schiavoni e ri dorati, che completa la ricercatissima che raccoglieva provenienze dalmate varie autorevolezza dell’immagine di fede. C’è come Segna, Zagabria, Ragusa, Trogir, Si- poi una verticalità rafforzata dalla posizio- rigno, Fiume, Sebenico, Ossoro. ne instabile della Madonna sulla nuvoletta, Ma se in Duomo la committenza dell’af- come se potesse prendere il volo, e si può fresco è documentata e legata alla confra- collegare alla posizione alta di questa tela ternita dalmata, che possedeva allora la nello scomparto superiore del terzo altare a cappella di san Pietro e l’oratorio di san destra della chiesa di San Giovanni. Girolamo, quali legami coi dalmati poteva Ma sono i due santi ad aprirci possibilità avere la chiesa di san Giovanni? Ho cercato di lettura e di comprensione del tutto parti- tra i benefattori dell’edificio qualcuno che colari, che danno al quadro un particolare potesse essere di origine dalmata e ho tro- carattere di singolarità. San Pietro a sinistra, vato la citazione di due famiglie, fatta da con una chiave in mano insolitamente gi- padre Ciro Ortolani nel suo Il mio bel San gantesca, e san Girolamo a destra, in veste Giovanni: i Gozze e i Bobali 6: di eremita con accanto il leone, sono i due santi protettori dei dalmati. La nobile famiglia dei Bobali esule Si possono vedere anche in un affresco da Ragusa era stata invitata qua a passare (195x157), staccato nel 1938 e collocato il suo esiglio dai Gozze parimente ragu- nel transetto sinistro del duomo di Pesaro sini ed esuli. I Gozze e i Bobali furono (fig. 3). Quasi illeggibile per varie ridipintu- ospitalmente accolti dalla cittadinanza re, fu restaurato nel 2000, studiato e datato pesarese e ben presto seppero acquistarsi allora da Maria Rosaria Valazzi e da me al grande stima.

267 Studi pesaresi 3.2015

Figura 2 – Anonimo del XV secolo, Madonna col Bambino e i santi Pietro e Girolamo, Pesaro, chiesa di San Giovanni.

268 Grazia Calegari Due opere recuperate nella chiesa di San Giovanni in Pesaro

Figura 3 – Madonna col Bambino e i santi Pietro e Girolamo, in alto Compianto di Cristo morto, Pesaro, Duomo.

269 Studi pesaresi 3.2015

Queste famiglie, profondamente e moglie Ursula Sorgo e il figlio Andrea. praticamente cristiane, frequentavano la Per lui Sebastiano Macci scrive un’ora- chiesa di san Giovanni Battista attirate in zione funebre conservata all’Oliveriana modo speciale dalla vera esemplarità dei 7. La mia ipotesi è che negli ultimi anni religiosi. I Bobali erano molto generosi del Cinquecento un esponente della fa- in fatto di beneficenza: presto divennero miglia dei Bobali di Ragusa abbia volu- i veri benefattori dei poveri frati. to collocare questa tela, con i due santi Fecero fare per esempio nuovi sedi- protettori dei dalmati, nella chiesa di San li per il coro e scelsero la loro sepoltura Giovanni, o addirittura che si sia portata in mezzo al coro tra l’altare maggiore la piccola e stretta tela da Ragusa e l’ab- e quella dei religiosi. Vicino all’altare bia fatta sistemare alla sommità del terzo maggiore a destra e a sinistra in alto si altare a destra, dove oggi è stata di nuovo vedono due lastre di marmo nero le quali collocata. Difficile è infatti riconoscere i parlano dei nobili Bobali. segni di un pittore locale, o accostare que- ste scelte iconografiche e linguistiche ad Questa famiglia nobile ha avuto una artisti dalmati del tempo, come mi hanno storia lunga e importante, con diversi confermato specialisti croati, in particola- esponenti scrittori, poeti, filosofi. Viene re Ivana Prijateli Pavicic che qui ringrazio ricordato a Pesaro un Marino Bobali, che sentitamente. aveva aperto casa con la madre Anna, la

1 Grazia Bernini Pezzini (a cura), L’ap- 4 Raffaello e Urbino. La formazione gio- parato di Urbino nel 1621, cat. mostra, Urbino vanile e i rapporti con la città natale, cur. Lo- 1977 renza Mochi Onori, cat. mostra Urbino 2009, 2 Fabio Mariano, Un taccuino di disegni Milano 2009, p. 154. inediti di Girolamo Cialdieri, in Claudio Ridol- 5 Marcello Luchetti, Le confraternite a fi. Un pittore veneto nelle marche del Seicento, Pesaro dal XIII al XVII secolo, in “Studi Pesare- atti conv. Corinaldo 24 settembre 1994, cur. Co- si”, 2, 2013, p. 61. stanza Costanzi, Fabio Mariano, Marina Mas- 6 P. Ciro Ortolani, Il mio bel San Gio- sa, Urbino 1994 , pp. 137-142. vanni, Pesaro 1930, p. 37. 3 Marina Cellini, Girolamo Cialdieri, in 7 Biblioteca Oliveriana, Pesaro, ms. 382, n. Nel segno di Barocci, cur. Anna Maria Ambrosini 15, c. 127. Massari e Marina Cellini, Milano 2005, p. 280.

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Francesco Ambrogiani, Le difese del porto di Pesaro

Recenti studi hanno dimostrato che, nella secon- Recent studies have demonstrated that in the da metà del quattrocento, il porto di Pesaro si inserì second half of the fifteenth century the port of Pesaro nella rete commerciale che univa i mercati dell’Italia was part of a commercial network that joined up the centrale ai porti dell’Adriatico orientale. Per incenti- markets of central Italy to the ports on the eastern vare questa fiorente attività mercantile, il comune e Adriatic. To boost this flourishing mercantile activity, i signori di Pesaro munirono l’area portuale, che era the comune and signori of Pesaro endowed the port situata fra la riva destra del Foglia e la città, di torri area – situated between the right bank of the River e muraglie. Di queste difese non è rimasto nulla, se Foglia and the city – with towers and defensive walls. non poche testimonianze, fra cui un medaglione, una Nothing has survived of these structures, but there is veduta su tarsia, e alcuni disegni. Volendo colmare some evidence attesting to their existence, such as questo vuoto, numerosi studiosi di storia cittadina a medallion, a marquetry view and a few drawings. hanno cercato di capire come, e quando, furono rea- To fill this lacuna, several historians of Pesaro have lizzate le torri e le muraglie poste a difesa del porto. sought to understand how and when the towers and L’articolo, dunque, si ricollega a una ricerca avviata walls were raised to defend the port. This article thus già da tempo, e l’arricchisce di nuove informazioni, refers to research begun some time ago and adds scoperte grazie ad un’indagine sistematica dei super- fresh information, discovered thanks to a systematic stiti libri dell’archivio storico comunale. study of the surviving books mentioning the subject in the city historical archives.

Grazia Calegari, Due opere recuperate nella chiesa di San Giovanni Il recupero del quadro con Madonna con Bam- The restoration of the painting of the San Diego bino e i santi Pietro e Girolamo, promosso da Banca d’Alcalà and of the Virgin and Child with Valconca, consente di fare oggi luce su un tema e di and Saint Jerome, promoted by Banca Valconca, has fare ipotesi sulla committenza. I due santi sono pro- enabled us to cast light on its theme and to make tettori della Dalmazia, perciò va indagata la ragione suggestions as regards the patronage. Peter and per la quale a San Giovanni è stata commissionata la Jerome are patron saints of Dalmatia and so the fact loro immagine. Nella storia della chiesa risulta la pre- that their image was commissioned for the church of senza di famiglie esuli come quelle dei Gozze e dei San Giovanni requires an explanation. In the history Bobali, fortemente intrecciate con Pesaro, e in parti- of the church it turns out that some exiled Dalmatian colare si conservano dei Bobali iscrizioni nel coro di families, such as the Gozze and Bobali, had strong San Giovanni: è dunque ipotizzabile la loro commit- links with Pesaro. Moreover, the records attest to the tenza del dipinto con i santi protettori, di cui si ana- presence of the Bobali in the choir of San Giovanni.

271 Studi pesaresi 3.2015 lizzano i caratteri stilistici, con l’ipotesi che l’autore It is therefore plausible that a member of this family sia di provenienza dalmata o che il quadro sia stato commissioned the painting with the two saints whose trasportato a Pesaro dall’altra costa stylistic features are analysed here, and that the artist was of Dalmatian origin or the painting was shipped to Pesaro across the Adriatic.

Antonio Conti, La prima evoluzione dell’arma dei Della Rovere: la generazione di Giovanni signore di Senigallia Lo stemma del ramo marchigiano dei Della Ro- The coat of arms of the branch of the vere è piuttosto complesso. A quello originario con Della Rovere family is rather complex. In addition la rovere, del quale trattammo nel n. 23 di “Pesaro to the original crest with the rovere (an oak tree), città e contà”, si aggiunsero, con Giovanni signore which we described in Pesaro città e contà (no. 23), di Senigallia, gli incrementi aragonese e montefel- Giovanni Della Rovere, Lord of Senigallia, added the tresco emblematici di relazioni politiche e parentali Aragonese and Montefeltro elements, emblematic of più volte ricordate nella pubblicistica storica e storico political relations and kinships often mentioned in artistica. Ripercorrere le fasi costitutive delle armi di historical and art history publications. Reconstructing Ferdinando I re di Napoli e di quella più classica dei the constituent stages of the coat of arms of King Montefeltro, conti e poi duchi di Urbino, permette Ferdinand I of Naples and the more classic story di apprezzare in pieno la valenza storica dell’incre- of the Montefeltro, first counts and then dukes of mento. Questa analisi offre l’occasione per verificare, Urbino, enables us to gauge the full historical import con una lettura araldica, l’uso che dello stemma fece of the additions. Through an heraldic interpretation, Giovanni della Rovere nei luoghi simbolicamente più this article analyses Giovanni della Rovere’s use of rilevanti dei suoi domini: i castelli i Orciano, Monda- the coat of arms in the symbolically most significant vio, Sant’Andrea di Suasa e Mondolfo, ma soprattut- places in his dominions: the castelli (fortified towns) to la rocca e il convento di Santa Maria delle Grazie a of Orciano, Mondavio, Sant’Andrea di Suasa and Senigallia. Oltre a ciò, si dà conto degli stemmi usati Mondolfo, and especially the fortress and convent dalla moglie di Giovanni (Giovanna di Montefeltro) of Santa Maria delle Grazie in Senigallia. Moreover, e degli altri esponenti della casata della sua genera- an account is also given of the coats of arms used zione, in particolare Giuliano (poi papa Giulio II) e by Giovanni’s wife, Giovanna di Montefeltro, and Leonardo duca di Sora. other members of the household in his day, especially Giuliano (the future Pope Julius II) and Leonardo, Duke of Sora.

Marco Delbianco, I mulini di Novilara I mulini da grano e da olio rappresentano una Flour and oil mills were one of the earliest craft delle più antiche attività artigianali a cui per secoli activities associated for centuries with food provisions è stato legato l’approvvigionamento alimentare della for both the rural and urban populations. In the popolazione, sia rurale che cittadina. La comunità di sixteenth and seventeenth century the community of Novilara, nota fin dall’antichità per la sua produzione Novilara, known from antiquity for its production olivicola, registrò tra il XVI e XVII secolo la presenza of oil, is recorded as having a surprising number di un numero sorprendente di impianti molitori rispet- of mills, given the limited extent of its territory. The to all’esiguità del suo territorio. La ricostruzione delle reconstruction of the histories of the mills, through a vicende di questi mulini, effettuata mediante una meti- meticulous analysis of the historical land registers, colosa analisi degli antichi catasti, offre uno spaccato di offers a view of the history of this rural area in relation storia del contado nei rapporti con la città e con il princi- to the city and its prince. Moreover, it also provides

272 3.2015 Studi pesaresi pe. Permette inoltre di ricostruire, attraverso i numerosi the opportunity, through the numerous changes in passaggi di proprietà, le vicende di antiche famiglie che ownership, to narrate the story of the families who hanno fatto la storia del paese. dominated the history of the village at the time.

Marco Desanti, Vicende storiche dell’organo Callido di Barchi Il saggio ricostruisce le vicende storiche dell’or- This essay reconstructs the history of the organ gano di Gaetano Callido della collegiata di Barchi, made by Gaetano Callido for the collegiate church da quando fu commissionato al grande artista veneto of Barchi: from the commission given to the great nel 1785, all’importante restauro del 1984, fino al ri- Veneto artist in 1785 to major restoration work in pristino avvenuto in occasione della riapertura della 1984 and the complete renovation for the reopening chiesa nel 2013. Nel saggio leggiamo della grande of the church in 2013. Other aspects dealt with are importanza che rivestiva lo strumento in passato, del the importance that this instrument had in the past, cospicuo impegno finanziario per l’acquisto e la sua the large financial commitment for its acquisition and sistemazione e dell’attenzione con cui veniva trattato; installation, and the care and attention it received. inoltre scopriamo che, dopo il celebre Callido, pochi Significantly, a few years after the celebrated Callido anni dopo dalla realizzazione dell’opera furono chia- organ was completed, two other great eighteenth- mati in causa altri due grandi organari del Settecento: century organ makers were summoned to work on it: Arcangelo Feligiotti di Urbania, che non poté inter- Arcangelo Feligiotti di Urbania, who was unable to venire, e Sebastiano Vici di Montecarotto, che invece do so, and Sebastiano Vici di Montecarotto, who did restaurò il Callido nel 1794. actually restore the Callido organ in 1794.

Roberto Domenichini, Il soggiorno pesarese del pittore Antonio Peruzzini L’autore fa luce su alcuni momenti della vita del This article casts light on some previously pittore Domenico Peruzzini, fin qui mancanti di do- undocumented periods in the life of the painter cumentazione, e specialmente sugli anni che l’artista Domenico Peruzzini, and especially the years that the trascorse a Pesaro. L’importanza di quel periodo è at- artist spent in Pesaro. The importance of this period is testata dal fatto che il Peruzzini era abitualmente de- attested by the fact that Peruzzini was usually referred finito pittore “pesarese”. Sulla base di atti di nascita e to as a “Pesarese” painter. On the basis of various di matrimonio e di alcuni atti notarili, emerge invece unpublished birth and marriage documents and some che negli anni venti del ’600 il Peruzzini era a Pesa- notary acts, it turns out that in the 1620s Peruzzini ro, frequentava la bottega di Giangiacomo Pandolfi, a was in Pesaro, where he attended Giangiacomo Pesaro si sposò e gli nacque la figlia maggiore; con- Pandolfi’s school of art, and where he married and his trasse inoltre amicizia con il nobile Pietro de Gozze, eldest daughter was born. Furthermore, in Pesaro he originario della Dalmazia e in quel momento residen- befriended the nobleman Pietro de Gozze, a Dalmatian te a Pesaro. Più tardi, fra 1633 e 1634, il Peruzzini by birth residing in the city at the time. Then, in late con la famiglia si trasferì in Ancona, dove nacquero i 1633 or early 1634, Peruzzini and his family moved to suoi figli Giovanni e Anton Francesco, anch’essi più Ancona, where his sons Giovanni and Anton Francesco tardi pittori. Durante il soggiorno anconetano, pereal- were born; both of them were also to become painters. tro, non interruppe le relazioni che aveva costruito a During his stay in Ancona, Peruzzini did not break off Pesaro; continuò a dipingere per alcune famiglie no- the relationships he had built up in Pesaro: he went on bili di quella città e sua moglie vi possedeva sempre painting for some noble families in the city, while his dei beni. Nel frattempo, Domenico Peruzzini assieme wife still owned several properties there. Meanwhile, he al figlio Giovanni lavorò per diversi committenti pri- and his son Giovanni worked for many private patrons vati e diverse chiese in tutte le Marche; operò anche and churches throughout the Marches. Peruzzini was come incisore e architetto. also an engraver and did some architectural work.

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Margherita Guerra, Cinque storie bibliche femminili in un affresco di Giannadrea Lazzarini in Palazzo Mazzolari Mosca a Pesaro Del tutto funzionale alle ricerche condotte nella Research conducted for my master’s degree prima parte della mia tesi di laurea specialistica, è dissertation involved analysing an eighteenth-century stata l’analisi di un affresco di età settecentesca, di fresco in the style of Giannadrea Lazzarini, showing matrice lazzariniana, recante cinque storie dell’Anti- five stories from the Old Testament in the Palazzo co Testamento, in un palazzo signorile della città di Mazzolari Mosca, Pesaro. A careful examination of Pesaro, Palazzo Mazzolari Mosca. Osservando con the depicted episodes and subjects made it possible attenzione gli episodi e i soggetti rappresentati è stato to outline the iconography of the previously little possibile delineare l’iconografia dell’affresco, fino a studied fresco and revealed that the figures are oggi poco indagato, scoprendo con grande interesse mainly Old Testament women. Hence the decision che si trattava in prevalenza di soggetti femminili ve- to begin a study aimed at exploring the nature and terotestamentari. Di qui, la decisione di iniziare uno purpose of the fresco. This article provides a detailed studio mirato volto a indagare la natura e la funzio- description of the stages in the construction of the nalità dell’affresco. Le ricerche hanno evidenziato palace complex, the pictorial decorations, and also in maniera dettagliata le fasi della realizzazione del reveals some of the more intimate aspects concerning complesso architettonico del Palazzo, quelle della the family of the patrons, the Mazzolari. This componente pittorico-decorativa, lasciando emer- approach led to the interpretation of the characters gere nel contempo, aspetti più intimi della famiglia in the fresco, an understanding of its purpose in the committente, i Mazzolari. Queste linee guida hanno rooms of the palace and lastly a new suggestion for portato alla decifrazione dei soggetti dell’affresco in the identity of the artist. questione, alla comprensione della destinazione d’u- so dell’ambiente e infine a nuove ipotesi sulla mano esecutrice dell’affresco.

Stefano Lancioni, La contea di Colle degli Stregoni L’articolo ricostruisce la storia di una minusco- The article traces the history of a tiny contea la contea situata vicino ad Apecchio, tra Marche ed (countship) near Apecchio, on the border between Umbria. Nel Medioevo la contea di Pietragialla era the Marches and Umbria. In the Middle Ages the amministrata dai titolari, i conti Ubaldini, con un si- larger contea of Pietragialla was administered stema di “rate” in cui tutti maschi detenevano il titolo by the Ubaldini family through a system of rate di conte e i diritti ad esso connessi. Venne più volte (“shared tenures”), whereby all the males held the frazionata per contrasti all’interno della famiglia e title of count and the related rights. Pietragialla was nacquero minuscoli feudi (tra cui la contea di Colle repeatedly partitioned because of family contrasts degli Stregoni) dipendenti dal ducato di Urbino (poi leading to the creation of even smaller fiefdoms, dalla legazione di Urbino) dell’estensione di pochi including the contea of Colle degli Stregoni (a few ettari e con “popolazione” di dieci-quindici anime. hectares and around ten inhabitants), dependent on Gli Ubaldini la passarono poi ai Bonarelli di Gubbio the Duchy (later Legation) of Urbino. The Ubaldini e costoro la vendettero agli Antonelli di Pergola/Se- then passed it to the Bonarelli of Gubbio, who sold it nigallia. Costoro, molto importanti in Curia (appar- to the Antonelli of Pergola-Senigallia. The Antonelli, tenevano alla famiglia i cardinali Nicola e Leonardo whose members included high-ranking clergy in the Antonelli che nel Settecento ricoprirono importanti Roman Curia (the Cardinals Nicola and Leonardo incarichi a Roma) detennero il possesso del feudo Antonelli held important positions in the eighteenth fino all’età napoleonica. century), continued to own Colle degli Stregoni until the Napoleonic age.

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F.V. Lombardi, Un fallito parco di caccia di Costanzo Sforza fra la rocca di Pesaro, il monte e il mare La ricerca mette a fuoco un aspetto della figura This article describes research into one aspect of di Costanzo Sforza, la sua concezione privata di si- the life of Costanzo Sforza: his personal conception gnore rinascimentale, amante della “cortigianeria”. of the Renaissance signore as an enthusiast of Sulla base di molteplici documenti d’archivio emerge cortigianeria (courtly behaviour and activities). On il suo profilo di ideatore e promotore concreto di un the basis of several archive documents, a profile parco di caccia e di raffinati divertimenti scenografi- emerges of Sforza as the creator and practical ci proprio alle porte della città di Pesaro, nella parte promoter of a hunting park and refined stage-set orientale fra il monte e il mare. Per aggregare quel amusements at the gates of Pesaro, on the east side territorio egli per così dire costrinse con le buone i of the city between a hill and the sea. To obtain proprietari privati, in termini monetari e di permute, o enough land, he used all means possible with the con forti pressioni, ricorrendo perfino al papa, per co- private owners offering them money or exchanges, stringere i renitenti frati di Sant’Agostino a cedergli i and at times applied strong pressure. He thus even terreni indispensabili alla sua grandiosa ideazione. La appealed to the pope to force the recalcitrant friars sua improvvisa morte, a soli 36 anni, fece naufraga- of Sant’Agostino to grant him the indispensable plots re il progetto lasciando la vedova Camilla, signora di for his ambitious project. Sforza’s sudden death, Pesaro, carica di debiti. La nobildonna dovette pro- when only thirty-six, meant the project ran aground, gressivamente rivendere quelle possessioni, fra cui leaving his wife Camilla, signora of Pesaro, burdened la parte più elevata, protesa sul mare, alla famiglia with debts. The noblewoman had to gradually sell Ardizi. Da allora l’antico monte Catigliano è comu- off her possessions, including the highest part giving nemente designato come monte Ardizio. onto the sea, to the Ardizi family. Since then the former Mount Catigliano has commonly been called Mount Ardizio.

Marilena Luzietti, Inventio Crucis: una miniatura per Francesco Maria II della Rovere Dal ritrovamento del modello iconografico per The discovery of an iconographic model for una miniatura realizzata alla corte di Francesco Maria a miniature made at the court of Francesco Maria II della Rovere nell’ultimo ventennio del XVI secolo II della Rovere between 1580 and 1600 (Florence, (Firenze, Galleria palatina di palazzo Pitti), prende Galleria Palatina, Palazzo Pitti) is the starting point avvio un’approfondita analisi storica, stilistica e ico- for an in-depth historical, stylistic and iconographic nografica delle due illustrazioni raffiguranti l’Inven- analysis of two illustrations depicting the Finding zione della Vera Croce, tra loro simili seppure appar- of the True Cross, which are similar but belong to tenenti a contesti storici e geo-culturali ben diversi. very different historical and geo-cultural contexts. Lo studio fa luce sulle fonti e sui modelli artistici di The study casts light on the sources and artistic riferimento, tracciando un percorso iconografico che models, tracing an iconographic development from dall’acquaforte di Giovan Battista de’ Cavalieri, data- an etching by Giovan Battista de’ Cavalieri (after ta 1569 e desunta da un affresco perduto realizzato da a lost fresco by Livio Agresti for the Sacred Tower Livio Agresti per la Sacra Torre di Dillingen sul Da- in Dillingen Castle on the Danube), dated 1569, up nubio, giunge alla miniatura roveresca, la cui accura- to the Roveresque miniature. Closer examination ta osservazione tradisce un’autonomia di linguaggio reveals an independent language and meaning which e di significato che la ricontestualizza nel proprio luo- re-contextualises the work in its own place and time, go e nel proprio tempo, legandola alla devozione del associating it with the devotion of Duke Francesco duca Francesco Maria II della Rovere. Maria II della Rovere.

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Federica Maitilasso, Tavolette dipinte per la devozione privata in area adriatica Attraverso l’intervento di restauro eseguito su The restoration of a painting on panel belonging to una piccola tavola dipinta di proprietà del comune the city of Urbino, provided the opportunity to explore di Urbino si ebbe modo, con ricerche dislocate sul a vast production of works scattered throughout the territorio marchigiano, di venire a conoscenza di un Marches that can reasonably be grouped together vasto fenomeno produttivo di opere facilmente acco- on the grounds of size, pictorial technique and, stabili per dimensione, tecnica pittorica e soprattutto especially, the arrangement of the scenes depicting per la struttura delle scene rappresentate relative alle the Adoration of the Kings and the Adoration of the Adorazioni dei magi e Adorazioni dei pastori. È stato Shepherds. By means of iconographic comparisons evidenziato tramite confronti iconografici il percorso the development of the production (with almost della produzione, quasi seriale di tali soggetti, collo- serial handling of the subjects) has been highlighted cabili in gran numero in ambito storico e artistico ve- and situated in Veneto-Cretan historical and artistic neto-cretese. La ricerca ha inoltre evidenziato come circles. Moreover, the research has revealed how the il ripetersi costantemente di posture, gestualità dei characters’ repeated postures and gestures – at times personaggi e a volte l’identica esecuzione della scena with identical scenes for the two themes – can be delle due tematiche possa essere legata alla presenza linked to the presence of workshops that had standard di laboratori che disponevano di un repertorio fisso, repertory, a kind of sample book, from which patrons sorta di campionario nel quale il committente poteva could choose the images to their liking and purposes. scegliere quanto più gli piaceva e gli risultava funzio- Lastly, the remarkable quantity and repetitiveness nale. Infine per la straordinaria quantità e ripetitività, raises a number of inevitable issues which are si è provato a rispondere ad alcuni quesiti che si pre- addressed here: the patronage and use of works with sentavano inevitabili: la destinazione e l’utilizzo delle such a purely devotional character and the possible opere in oggetto dal carattere puramente devozionale presence of various workshops engaged on large- così come la plausibile presenza di diverse botteghe scale production and marketing. The uncertain date che si occupavano di una notevole produzione e com- of these icons ultimately enables us to describe this mercializzazione. La datazione incerta di tali icone art as almost “timeless”, since from the sixteenth permette in ultima analisi di definire quest’arte quasi to the eighteenth century they shared the same “senza tempo” che dal Cinque al Settecento vede pro- distinctive features. posti gli stessi tratti distintivi.

Marta Mancini, Pietro Mascagni e il liceo musicale “G. Rossini” di Pesaro Dopo aver descritto l’assetto didattico assunto dal After an account of the educational organisation liceo musicale “G.Rossini” di Pesaro intorno al 1890, adopted by the Liceo Musicale “G. Rossini” in Pesaro periodo successivo alla reggenza di Carlo Pedrotti, in around 1890 (i.e. the period after the direction primo direttore dell’istituzione voluta da Rossini, si of Carlo Pedrotti, the first head of the music school parla della venuta di Pietro Mascagni. Sono anni di created at the behest of Rossini), the article describes grandi cambiamenti: la nuova sede della scuola è the arrival of Pietro Mascagni as director. This was ora palazzo Olivieri Machirelli, sono nominati nuo- a time of major changes: the school moved into vi docenti, la produzione musicale suscita notevole new premises, the Palazzo Olivieri Machirelli; new interesse. Sono illustrate le motivazioni che hanno teachers were appointed; and the musical production indotto le autorità cittadine a nominare il musicista aroused great interest. The reasons why the city livornese al prestigioso incarico, si parla del ruolo di authorities appointed the Livornese composer to this Augusto Guidi Carnevali, presidente del liceo musi- prestigious position are illustrated, as is the role of cale “G.Rossini”, grande ammiratore del compositore Augusto Guidi Carnevali, president of the liceo and di Cavalleria Rusticana, del corpo docente formato a keen admirer of the composer of the Cavalleria

276 3.2015 Studi pesaresi da musicisti di talento, fra cui Guglielmo Mattioli e Rusticana. The other topics discussed include: the staff Antonio Cicognani, degli studenti, di Francesco Ba- with its talented musicians, such as Guglielmo Mattioli lilla Pratella e del Manifesto dei Musicisti Futuristi, and Antonio Cicognani; students, such as Francesco di Primo Riccitelli, rinomato compositore, di Agide Balilla Pratell; the Manifesto dei Musicisti Futuristi; Jacchia, direttore della Boston Simphony Orchestra. the renowned composer Primo Riccitelli; and Agide In appendice è riportata la relazione sull’andamento Jacchia, future conductor of the Boston Symphony tecnico e disciplinare dell’anno 1895-96, scritta da Orchestra. An appendix contains a technical and Pietro Mascagni per il presidente Guidi Carnevali. academic report for the year 1895-1896, drafted by Mascagni for the president Guidi Carnevali.

Marco Rocchi, Francesco Maria Santinelli alchimista e rosacroce Francesco Maria Santinelli (Pesaro 1627-Roma Born into a noble family, Francesco Maria Santinelli 1697), di famiglia nobile, fu poeta, diplomatico e al- (Pesaro 1627 - Rome 1697) was a poet, diplomat, chimista. Durante il suo soggiorno a Roma alla corte adventurer and alchemist. During his stay at the court della regima Cristina di Svezia, frequentò il circolo of Queen Christina of Sweden in Rome, he frequented degli alchimisti di villa Palombara. Inoltre, come si ri- the Villa Palombara circle of alchemists. Moreover, as cava da documenti reperiti all’Archivio di Stato di Ve- can be deduced from documents in the Venetian State nezia, egli fu un membro autorevole della confraternita Archives, he was a leading member of the brotherhood dell’Aurea Rosa Croce, assieme a Federico Gualdi, un of the Aurea e Rosea Croce, together with Federico importante alchimista che viveva anch’egli a Venezia. Gualdi (a prominent alchemist who lived in Venice). La sua affiliazione è pure attestata da alcuni versi del Santinelli’s membership of the brotherhood is also suo poema autobiografico Carlo Quinto. L’opera del attested by some verses in his autobiographical poem Santinelli è rilevante nella storia della Massoneria, Carlo Quinto. His work has some significance in the perché il suo poema intitolato Lux obnubilata (1666) history of Freemasonry because his poem entitled Lux è il primo documento alchemico citato in un catechi- obnubilata (1666) was the first alchemical document smo massonico, l’Étoile Flamboyante di Louis Henri to be quoted in a Masonic catechism – de Tschoudy’s Théodore de Tschudy (1766). Étoile Flamboyante (1766).

Roberta Martufi, I leoni alati di piazzale della Libertà La storia delle panchine dai “leoni alati”, poste The story of the benches with winged lions in in Piazzale della Libertà, è strettamente connessa Piazzale della Libertà, Pesaro, is closely bound alle vicende che, dalla fine del XIX sec. fino ai primi up with the history of the city’s expansion towards decenni del XX sec., hanno determinato l’espansio- the sea in the late nineteenth and early twentieth ne della città di Pesaro verso il mare. Come è facile century. The benches are an element of urban decor immaginare le panchine costituiscono un elemento di and furnishing in the “garden city”, designed in the finitura e di arredo della “città giardino” che viene first urban development plan of 1898. The article progettata a partire dal primo piano regolatore del briefly relates the history of this part of the city 1898. Lo studio ricostruisce brevemente la storia di and its furnishings as well as describing Professor questa parte di città e dei suoi arredi e con essi la fi- Leandro Ricci, who made the lions. After arriving gura del prof. Leandro Ricci autore dei leoni che, una from Monteciccardo, where they used to guard over volta “scesi” da Monteciccardo dove erano stati posti a chapel dedicated to the war dead, the lions were a guardia della cappella dedicata ai caduti, furono tra- transformed into supports for the benches on which sformati in supporti per le panchine, su cui migliaia di thousands of children have played since 1929. bambini hanno giocato dal 1929 ad oggi.

277 Studi pesaresi 3.2015

Chiara Pallucchini, L’Ordine domenicano a Pesaro. Modalità del suo insediamento e un’ipotesi ricostruttiva della perduta architettura medievale della chiesa Nell’articolo si affrontano le dinamiche insedia- The article deals with the settlement modes of tive dei tre principali Ordini mendicanti, con partico- the three main Mendicant Orders, and especially lare riferimento ai Domenicani, nel tessuto urbano in the Dominicans, in the expanding urban fabric of corso di espansione della Pesaro duecentesca. Qui i thirteenth-century Pesaro. After initially (before Predicatori, dopo essersi inizialmente (entro il 1279) 1279) moving into the loaned premises of the existing stabiliti nella preesistente cappella di San Giorgio e Chapel of San Giorgio e Santa Caterina, around Santa Caterina, concessa loro in uso, attorno al 1287 1287 the Friars Preachers started work on a new diedero avvio alla costruzione ex novo di un proprio convent with a church. This complex incorporated the complesso conventuale dotato di chiesa, complesso existing chapel, which was converted into the chapter in cui venne inglobata la più antica cappella che fu house. These events are reconstructed through the trasformata in sala capitolare. Queste vicende vengo- analysis and interpretation of surviving documents no ripercorse attraverso l’analisi e l’interpretazione and local scholars’ manuscripts from the seventeenth dei documenti superstiti e dei manoscritti di eruditi to the nineteenth century. Lastly, the essay proposes locali dei secoli XVII, XVIII e XIX. Si propone infine a reconstruction of the overall mediaeval appearance una ricostruzione della perduta facies medievale, di of the demolished church of San Domenico (a tipo basilicale con tre navate e pilastri, della chiesa basilica-type building with a central nave, two aisles di San Domenico, ripercorrendo le sue trasformazioni and pillars) and describes its transformations in the nel corso dell’età moderna. Oggi l’area della demolita Modern era. Today the head Post Office stands on chiesa è sede di ufficio postale, e dell’antico edificio the site of the church and the only surviving fragment religioso rimane solo la facciata tardo-duecentesca is the late-thirteenth-century façade with its portal, col portale datato 1395. dated 1395.

Mirko Traversari, Santa Sofia dentro le mura di Gradara. Analisi delle strutture murarie Lo studio proposto indaga la fase intra muros This study explores the intra muros stage of the dell’antica pieve di Santa Sofia di Gradara, di cui former parish church of Santa Sofia at Gradara, rimangono solo labili tracce materiali, immeritata- of which only some faint material traces survive, mente trascurate dal flusso turistico. Ciò che oggi unjustly neglected by the tourist flow to the famous ci resta della pieve di Santa Sofia dentro le mura è castle. What remains today of the parish church of un cortile rifunzionalizzato come ristorante, ricavato Santa Sofia inside the walls is a courtyard converted nei perimetrali in parte demoliti della chiesa, posto into a restaurant in the partly demolished perimeter all’incrocio tra vai Dante Alighieri e via delle Mura, walls of the church, at the corner of Via Dante all’interno del borgo di Gradara. L’esame autoptico Alighieri and Via delle Mura, inside the Castle of degli alzati rimasti, ha individuato interessanti ana- Gradara. An autoptical examination of the remaining logie strutturali con gli stilemi costruttivi reperibili walls revealed some interesting structural affinities nelle tessiture murarie della cinta difensiva di XIV with the construction styles found in the masonry secolo. Nonostante la scarsità dei dati materiali rima- texture of the fifteenth-century castle walls. Despite sti, le poche tracce individuate, avvalorano e trova- the lack of material remains, the few traces identified no sostegno nelle fonti documentarie, che collocano could be cross-checked with the documentary il trasferimento della pieve entro il borgo durante il sources, which date the transfer of the church inside pontificato di Giulio II, all’interno di un tessuto urba- the castle to the papacy of Julius II, where it fitted no ordito qualche anno prima dalla potente famiglia into an urban fabric built a few years earlier by the dei Malatesta. powerful Malatesta family.

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Gianni Volpe, I cinquant’anni del Monumento-giardino dedicato alla Resistenza Pesaro è da anni famosa per aver costruito la Pesaro has long been celebrated for having sua immagine di città colta e civile anche su un uso forged an image as a refined and civil city also on the popolare e democratico dell’arte, come dimostra il grounds of its democratic and popular use of art. A Monumento-giardino dedicato alla Resistenza, rea- good example is the “Monument Garden” devoted to lizzato agli inizi degli anni Sessanta dagli architetti the Resistance and constructed in the early 1970s by Fausto Battimelli, Carlo Biscaccianti e Paul Espagne the architects Fausto Battimelli, Carlo Biscaccianti in collaborazione con lo scultore Nino Caruso. A 50 and Paul Espagne in collaboration with the sculptor anni esatti dalla sua inaugurazione, avvenuta il 20 Nino Caruso. Fifty years exactly from its inauguration settembre del 1964, il grande monumento è oggi an- on 20 September 1964, today the large monument is cora lì a testimoniare la forza di un intervento urbano still evidence of a powerful piece of town planning, a quell’epoca considerato innovativo nel panorama at the time considered innovative on the Italian scene italiano dei monumenti celebrativi, perfettamente of celebratory monuments, perfectly realised thanks to riuscito grazie alla combinazione di nuovi segni ar- the combination of a new architectural language and chitettonici e nuove forme artistiche. Il saggio ne ri- new artistic forms. This article reconstructs the history percorre la storia con la consapevolezza che un luogo of the “Monument Garden” in the awareness that a così ricco di memoria e così importante artisticamen- place so rich in memory and so artistically important te va rispettato, conservato e tramandato alle future must be respected, preserved and handed down to the generazioni nel migliore dei modi. future generations in the best way possible.

279 Gli autori

Francesco Ambrogiani (Urbino 1957), maturi- pubblicazioni di carattere storico e ha collaborato con tà scientifica al liceo “Marconi” di Pesaro, laurea in riviste specializzate, fra le quali “Pesaro città e contà” Ingegneria elettrotecnica all’Università di Bologna, e “Castella Marchiae”. professione ingegnere, è autore di apprezzate ricerche ([email protected]) sul ramo pesarese della famiglia Sforza. ([email protected]) Roberto Domenichini (Potenza Picena 1954), si è laureato con lode in Filosofia, indirizzo storico, Grazia Calegari è stata allieva a Bologna di presso l’Università di Macerata. Ha conseguito con Francesco Arcangeli, con cui si è laureata e specia- lode il diploma di archivista paleografo alla Scuola lizzata in Storia dell’Arte. Si dedica prevalentemen- speciale per archivisti e bibliotecari presso “La Sa- te a studi sul seicento, settecento, ottocento e con pienza” di Roma. Entrato nei ranghi del ministero per alternanze anche sul novecento, oltre che occuparsi i Beni e le attività culturali nel 1983, è stato assegnato dei restauri di opere finora poco conosciute, finanziati all’Archivio di Stato di Ancona come documentalista dalla Curia, banche o privati. e aiuto bibliotecario. Nel giugno 2000 è passato alla ([email protected]) Soprintendenza archivistica per le Marche, dove ha svolto le funzioni di ispettore archivistico. Vicediret- Antonio Conti (1966), laureato in Giurispruden- tore dell’Archivio di Stato di Ancona dal 2002, dal za, araldista, è autore di diversi saggi sulle famiglie gennaio 2014 è direttore di quello di Pesaro, da cui di- signorili del territorio della provincia di Pesaro e Ur- pendono anche le Sezioni di Fano e di Urbino. Mem- bino; ha tra l’altro condotto una ricerca sull’araldica bro della Deputazione di storia patria per le Marche, civica per conto dalla Regione Marche. è autore di numerosi studi. ([email protected]) ([email protected])

Marco Delbianco (Pesaro 1956), maturità clas- Margherita Guerra (Sassocorvaro 1986), lau- sica al Liceo “Barbarigo” di Padova, laurea in Medi- rea triennale con dichiarazione di lode presso l’U- cina e Chirurgia, esercita la professione di medico di niversità degli studi “Carlo Bo” di Urbino, indiriz- Medicina generale. Appassionato di storia locale, ha zo Scienze dei Beni culturali, e laurea specialistica pubblicato alcuni articoli sull’antico Comune di No- con il massimo dei voti presso la stessa università vilara e su ser Angelo Clementi da Novilara, maestro nell’a. a. 2010/2011. Vincitrice nel 2012 del pre- di grammatica del ‘400. mio nazionale “Il paese delle Donne”-XIII Premio ([email protected]) di scrittura femminile per la sezione storico-arti- stica, oggi lavora come operatrice museale presso Marco De Santi (Barchi 1968) si occupa da ol- Pesaro Musei e gestisce l’associazione culturale tre vent’anni del recupero dei beni culturali e della Passepartout. memoria storica del suo Paese. È autore di alcune ([email protected])

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Stefano Lancioni (Pesaro 1965), laureato in zando fra l’altro documenti rossiniani con cataloghi Lettere nel 1992 presso l’Università degli studi di e iconografie. Urbino, dal 1994 è docente a tempo indeterminato di ([email protected]) Italiano e Latino (dal 2000 presso il Liceo scientifico “Torelli” di Fano). È autore di diversi saggi di storia Roberta Martufi, architetto, si occupa sin dalla locale, pubblicati fra l’altro su “Studi Montefeltrani” sua formazione universitaria di beni culturali e pae- e su “Sguardi”. saggio. Ha realizzato importanti interventi di restauro ([email protected]) e fra cui, a Pesaro, quelli a villa Caprile, villa Vittoria e villa Montani. L’attività di progettista è sempre stata Francesco Vittorio Lombardi, classe 1936, lau- affiancata da quella di ricerca, con relative pubblica- rea in Giurisprudenza, dottorato di ricerca in Istitu- zioni, svolta presso università o istituti di ricerca. È zioni medievali. Autore di varie monografie e saggi in stata consigliere dell’Ente Parco Naturale San Barto- riviste storiche sul territorio fra Alte Marche, Tosca- lo e docente a contratto presso l’Università degli studi na, Romagna e Repubblica di San Marino. di Urbino “Carlo Bo”. ([email protected]) ([email protected])

Marilena Luzietti, dopo essersi laureata in Storia Chiara Pallucchini studia Storia dell’Arte all’U- dell’Arte all’Università degli studi di Urbino “Carlo niversita’ di Firenze. Ha discusso la sua tesi di laurea Bo”, ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia triennale dal titolo “La chiesa e il convento di San dell’Arte moderna all’Università “La Sapienza” di Domenico a Pesaro: il contesto, il monumento, il Roma con una tesi sul culto e sulle rappresentazioni portale” (rel. Fulvio Cervini). Si è occupata anche della Vera Croce nella Controriforma. Insegna Storia degli avori medievali della Biblioteca Oliveriana di dell’Arte nella Scuola secondaria di secondo grado. Pesaro. ([email protected]) ([email protected])

Federica Maitilasso (Urbino 1985) nell’a. a. Marco Rocchi, laureato in Scienze Biologiche e 2006-2007 ha conseguito la laurea triennale in Tec- in Filosofia, è professore di Statistica medica all’Uni- nologia per la conservazione e il restauro dei Beni versità degli studi di Urbino “Carlo Bo”. È autore di culturali (41), nel 2010-2011 la laurea specialistica in diverse pubblicazioni dedicate a esoterismo e masso- Conservazione e restauro del Patrimonio storico-ar- neria, in particolare Santinelli, Newton e l’Alchimia: tistico (12/S) e nel 2011-2012 la laurea magistrale in un triangolo di luce (Argalia, Urbino 2010). Come Conservazione e restauro dei beni culturali (LMR/02) rappresentante dell’ateneo di Urbino, è membro del presso l’Università degli studi di Urbino “Carlo Bo”. comitato scientifico di AlchimiAlchimie, manifesta- Per tutto il 2014 è stata impegnata in un lavoro a pro- zione del Comune di San Leo dedicata a Cagliostro e getto di restauro di affreschi e stucchi siti nel palazzo alle discipline esoteriche. Paradisi del Comune di Montalto delle Marche, AP. ([email protected]) ([email protected]) Mirko Traversari, archeologo e archeoantropo- Marta Mancini, di formazione umanistica e mu- logo, ha partecipato a numerose missioni di scavo in sicale, già collaboratrice didattica all’Università degli Italia e ha collaborato con il dipartimento di Arche- studi di Urbino, è bibliotecaria titolare al Conserva- ologia dell’Alma Mater nell’ambito della missione torio “G. Rossini” di Pesaro. Fa parte del consiglio internazionale “Ostia Marina Project” e Tharros. direttivo dell’Ente Concerti di Pesaro, di cui è vice- Appartiene al gruppo di ricerca del Laboratorio di presidente. Ha al suo attivo scritti di saggistica e di Antropologia, dipartimento di Beni culturali dell’U- critica musicale. Ha rivolto particolare attenzione ad niversità di Bologna. Membro del comitato scientifi- eventi legati alla città di Pesaro e dintorni, valoriz- co delle recenti mostre (2012 e 2013) “Le Mummie

281 Studi pesaresi 3.2015 di Roccapelago (XVI-XVIII sec.): vita e morte di una di “Urbino e la prospettiva”, del Centro Beni Cultu- piccola comunità dell’Appennino modenese”, è au- rali Marchigiani - Sezione di storia dell’agricoltura tore di articoli scientifici e contributi di archeologia e delle società rurali dell’Università di Urbino, ha e antropologia. insegnato all’Accademia di Belle Arti di Urbino e fa ([email protected]) parte del corpo docente del corso TAM di Pietrarub- bia, diretto da Arnaldo Pomodoro. È autore di pubbli- Gianni Volpe architetto, designer, storico dell’ar- cazioni sulla cultura marchigiana, nonché vincitore di chitettura, ha svolto attività professionale soprattutto premi letterari. nel restauro architettonico. Membro dell’Accademia ([email protected]) Raffaello di Urbino, del Centro internazionale di stu-

282 Norme redazionali

Non esiste un sistema univoco di norme redazio- Vanno accompagnate da didascalie a parte, nume- nali, che variano al mutare della metodica editoriale rate progressivamente. e sono soggette alle mode. Tuttavia una uniformità è Presentando immagini per il proprio saggio, l’au- necessaria. Gli autori sono quindi pregati di prender tore se ne dichiara ipso facto responsabile verso gli nota delle seguenti norme prima di fare pervenire i aventi diritto: l’autorizzazione alla pubblicazione loro contributi. di immagini è dunque preventivamente, acquisita dall’autore, che se ne accolla gli obblighi.

Avvertenze generali Testo Per le citazioni nel testo si usino le virgolette ca- n I contributi non devono superare i 45.000 carat- porali (« »); i brani citati vanno giustificati con nota teri (spazi e note incluse); le immagini si compu- in fondo all›articolo. tano in ragione di 2.000 caratteri ciascuna. Le virgolette alte doppie (“ “) si usano nel testo n Assieme al testo deve pervenire il materiale ico- per sottolineare il significato particolare di una paro- nografico, munito a cura dell’autore delle auto- la, o all’interno delle virgolette caporali. rizzazioni eventualmente necessarie alla pubbli- Il capoverso dei singoli paragrafi va evidenziato cazione. con un rientro a capo. n Le note vanno a fine articolo, non a piè di pagi- Nel testo, come nelle note, i titoli di opere sono na; servono a giustificare il testo attraverso l’in- citati in corsivo; i titoli di periodici e riviste vanno in dicazione delle fonti e della bibliografia, non ad tondo tra virgolette alte doppie (es.: “Studi Piceni”). ampliare l’elaborato. I brani citati brevi vanno tra virgolette caporali (« »). n I saggi vanno forniti su supporto informatico e I brani citati lunghi vanno in corpo minore rispet- su supporto cartaceo. to al testo, senza le virgolette. Omissioni nel corpo della citazione si segnala- La responsabilità di quanto affermato nel singolo no con tre punti in parentesi quadre […]. Vanno in contributo è dell’autore che lo firma. Ma la redazione corsivo i termini provenienti da altre lingue, quando si riserva di suggerire tagli, approfondimenti o modi- non li si voglia sostituire con un equivalente italiano: fiche ai saggi proposti. holding, Lebensraum, calembour, cursus honorum, Gli articoli non sono restituiti, gli autori sono hapax legomenon, ecc. quindi invitati a conservarne una propria copia. I numeri delle note vanno in esponente senza Gli autori ricevono per correzione le prime bozze. parentesi, prima della punteggiatura e lasciando uno spazio tipografico a sinistra. Immagini 1 Le illustrazioni devono essere funzionali alla Es.: Dopo la battaglia di Pavia , Cesare Ercolani prete- 2 comprensione del testo. se di aver appiedato Francesco re di Francia .

283 Studi pesaresi 3.2015

Maiuscole corsivo, eventuale casa editrice, luogo di edizione e Si usino le maiuscole con parsimonia nei nomi anno, eventuale numero del volume, eventuale pagina comuni, evitando le maiuscole di rispetto (re, papa, o pagine di riferimento. vescovo, municipio, provincia, ecc.) che in realtà non Se l’autore si ripete, il suo nome è sostituito da Id. onorano nessuno. (se autrice Ead.) Nel dubbio si scelga la minuscola, che non è mai sbagliata. Es.: A. Brilli Il grande racconto del viaggio in Italia. Es.: Itinerari di ieri per i viaggiatori di oggi, il Mulino, Bo- anziché L’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI) logna 2014; A. Quondam, Risorgimento a memoria. Le si scriva L’Ente nazionale idrocarburi (Eni) poesie degli italiani, Donzelli, Roma 2011, pp. 8-11; Id., Classicismo e culture di Antico regime, Bulzoni, anziché Con la Bolla di Papa Leone XII… Roma 2010. si scriva Con la bolla di papa Leone XII… N.B. La ricerca bibliografica in internet (per es. anziché Il Ministro della Guerra www.sbn.it) è ostacolata dal nome proprio incom- si scriva Il ministro della Guerra pleto: è quindi sempre più opportuno che le citazioni bibliografiche lo rechino per esteso: anziché La Delegazione Apostolica di Perugia si scriva La delegazione apostolica di Perugia Es.: Attilio Brilli, Il grande racconto del viaggio in Italia. Itinerari di ieri per i viaggiatori di oggi, il Muli- Lo stesso per i sostantivi personali. no, Bologna 2014; “Il Duca ricevette l’Ambasciatore del Sultano” e Amedeo Quondam, Risorgimento a memoria. Le poesie “il duca ricevette l’ambasciatore del sultano” deline- degli italiani, Donzelli, Roma 2010. ano la stessa situazione: ma il secondo passo è più terso. Volumi miscellanei: si indica il curatore (che può an- che seguire il titolo):

Note Es.: P. Galeazzi (a cura), Magistrature e archivi giudi- Vanno a fine articolo. ziari nelle Marche, atti convegno (Jesi 22-23 febbraio L’indicazione dell’editore è utile nel caso di edi- 2007), Affinità elettive, Senigallia 2009; zioni reperibili; facoltativa, e perfin superflua, se in- dica editori scomparsi. Nelle citazioni di testi in nota, Nel caso di più autori o curatori, i nomi vanno dati in l’editore – non lo stampatore – precede luogo e anno sequenza separati da virgole; di edizione. Se di un’opera si citano successive edizioni, il nu- Es.: B. Cleri, C. Giardini, L’arte confiscata. Acquisi- mero dell’edizione si indica in esponente dopo l’anno zione postunitaria del patrimonio storico-artistico de- (es. 20063) gli enti religiosi soppressi nella provincia di Pesaro e Nelle citazioni in nota di opere a stampa e di ma- Urbino (1861-1888), il lavoro editoriale, Ancona 2011. noscritti o documenti d’archivio si adottano i seguenti criteri: Se gli autori sono più di tre, si può indicare il pri- mo nome seguito dall’abbreviazione et al. Opere a stampa Aa.vv. (“autori vari”) è espressione di modesto Volumi monografici: nome dell’autore puntato o aiuto nelle ricerche bibliografiche: sempre più spesso in esteso (su questo v. infra) e cognome per esteso cataloghi e bibliografie elencano le opere di più auto- in maiuscoletto, eventuale indicazione tra parentesi ri sotto il cognome del primo, oppure sotto il titolo. per indicare la curatela (a cura), titolo completo in

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Articoli in volumi di atti o miscellanei: nome comunità, Montefeltro, b. 34, Lettera del podestà, Mon- dell’autore puntato o in esteso (v. supra) e cognome tecerignone 5 dicembre 1667. per esteso in maiuscoletto, titolo dell’articolo com- pleto in corsivo, titolo del volume in corsivo precedu- Gli istituti di conservazione si indicano per este- to da “in”, eventuale indicazione “atti convegno”, tra so la prima volta, poi si ricorre a sigle indicate nella parentesi – se noti – luogo e data del convegno, luogo prima occorrenza. di edizione e anno, pagina di riferimento. Può essere predisposta apposita legenda, per es. prima delle note. Es.: C. Colletta, Le Officine Benelli di Pesaro: un esempio di archeologia industriale, in M. Severini (a Es.: Archivio di Stato di Roma (d’ora in poi Asr), ... cura), Memoria, memorie. 150 anni di Storia nelle Mar- Biblioteca Oliveriana di Pesaro (d’ora in poi Bop), ... che, Il lavoro editoriale, Ancona 2012, pp. 210-226. Ulteriori citazioni Articoli su periodici: nome dell’autore puntato o Nel caso di ulteriori citazioni di una stessa opera, in esteso (v. supra) e cognome per esteso in maiusco- sia per le opere a stampa che per i manoscritti, è suf- letto, titolo completo dell’articolo in corsivo, indica- ficiente indicare il solo cognome dell’autore, le prime zione del periodico fra virgolette alte (preceduta da parole del titolo dell’opera in corsivo seguite – senza “in”), numero, anno, altre indicazioni (serie, fascico- virgola – dall’abbreviazione “cit.” e il riferimento alla lo, ecc.) atte a individuare la pubblicazione, pagine. pagina. Se non è individuabile un autore, o nel caso di opere curate, saranno sufficienti le prime parole del Es.: G. Patrignani (a cura), Inventari di quadrerie pe- titolo: saresi nei rogiti notarili dell’Archivio di stato di Pesaro (secoli XVI-XIX). I. Ottocento, in “Pesaro città e contà”, Es.: Rapporto di stima dei beni di Bianca Mosca, in Ar- 29, 2011. chivio di Stato di Pesaro, Notarile di Pesaro (d’ora in F. Zeri, Una natura morta di Federico Barocci, in “No- poi Np), Alessandro Perotti, vol. 1875, cc. 221-301 (nel- tizie da Palazzo Albani”, XII, 1983, 1, pp. 161-163. la prima occorrenza); Rapporto di stima cit., c. 229v. (in occorrenze successive). Manoscritti e documenti d’archivio Nel caso di opere manoscritte, ci si comporta Nelle citazioni ricorrenti dello stesso testo o sag- come per i testi a stampa sostituendo all’indicazio- gio si usi ibidem (che diventa ibid., seguito da un nu- ne dell’edizione quella dell’istituto di conservazione. mero di pagina. Es.: ibid., p. 23) Nelle citazioni ricorrenti dello stesso archivio o Es.: D. Bonamini, Abecedario degli architetti e pittori fondo archivistico si usi ivi. pesaresi, Biblioteca Oliveriana di Pesaro, ms. 1009, c. 9r. Es.: Brilli, Il grande racconto del viaggio in Italia cit., p. 48. Per i documenti d’archivio si indichino: nome Ibid., p. 105. dell’archivio, nome del fondo in corsivo, serie in Archivio di Stato di Pesaro, Delegazione apostolica, tondo, segnatura archivistica (busta, registro, volu- titolo III Annona, 1847, b. 147, mercuriali. me, ecc.), pagine o carte; se il pezzo non è cartolato Ivi, titolo X Militare, b. 65, 1846, truppa di linea. “c.n.n.” – carte non numerate – o eventuali elementi atti a individuarlo. Trascrizioni epigrafiche Le trascrizioni epigrafiche seguono norme pro- Es.: Archivio di Stato di Roma, Buon Governo, s. IV, prie (v. H. Krummrey, S. Panciera, Criteri di edi- vol. 91, cc. 18r-20v. zione e segni diacritici, in “Tituli”, 2, Roma 1980, Archivio di Stato di Pesaro, Legazione, Lettere dalle pp. 205-215). In generale, le parentesi tonde espri-

285 Studi pesaresi 3.2015 mono lo scioglimento di abbreviazioni; le paren- Pur nella consapevolezza che diverse ragioni pos- tesi quadre indicano restituzione di lettere o sillabe sono suggerire di volta in volta soluzioni diverse, in un tempo incise e scomparse accidentalmente. In generale si interpretino secondo criteri moderni pun- particolare: [. . .] indica una lacuna di tre lettere, teggiatura, maiuscole e segni diacritici (apostrofo, ad ogni punto corrisponde una lettera; [- - -] indica accento, tilde, ecc.), come pure la sillabazione delle una lacuna di lunghezza non determinabile; le pa- parole. rentesi uncinate segnalano lettere o sillabe Si sciolgano le abbreviazioni, ove possibile; lacune omesse per errore dal lapicida e inserite dall’editore. e omissioni si indichino con tre punti di sospensione fra parentesi quadre [...]; gli spazi bianchi nell’origina- Trascrizione di testi latini e in volgare le siano resi con parentesi quadre vuote [ ]; eventuali “Studi pesaresi” è una rivista di Storia, non di integrazioni al testo siano riportate dentro parentesi Filologia. Se conservare tutte le peculiarità grafiche quadre. del documento originale ne ostacola la comprensio- ne, preferiamo intervenire – con prudenza – su grafia, punteggiatura e maiuscole.

286 Finito di stampare nel mese di Febbraio 2015 per conto della casa editrice il lavoro editoriale