Biografia E Virtù
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Venerabile Gaetana Tolomeo (detta Nuccia) 1936 - 1997 2 PASQUALE PITARI VENERABILE GAETANA TOLOMEO (detta NUCCIA) Biografia e Virtù A cura dell’Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace Catanzaro, 2019 3 4 PRESENTAZIONE Come Pastore della Chiesa particolare di Catanzaro-Squil- lace, sono particolarmente felice che padre Pasquale Pitari ab- bia consegnato alle stampe quest’agile volume. Fin dal 1990, quando era parroco di Mater Domini, a Catanzaro, “divenne il nuovo padre spirituale” di Gaetana Tolomeo (p. 97). Unendo la conoscenza diretta alle fonti e testimonianze disponibili, l’autore ora ci presenta la nuova biografia (rispetto a quella edita nel 2015 da Ida Chiefari) della “nostra” Nuccia. Ci rac- conta, per filo e per segno, un cristianesimo maturato e vissuto in modo eroico dalla Venerabile, resa immobile fin da piccola da un male incurabile. Il lettore può approfondire il calvario della figlia prediletta della nostra Chiesa e gioire con essa per- ché è proclamata “Venerabile”, giacché la Congregazione per le cause dei Santi ha promulgato il Decreto super virtutibus, riconoscendo ufficialmente che Gaetana Tolomeo (detta Nuc- cia) è stata una battezzata che - nel corso della sua esistenza - ha dato una luminosa ed autentica testimonianza cristiana, me- diante l’esercizio in grado straordinario delle virtù teologali, cardinali e delle altre virtù annesse (umiltà, castità, obbe- dienza alla Chiesa, …), nel corso della sua esistenza terrena, che si svolse dal 1936 al 1997. Davvero Dio continua a scegliere ciò che nel mondo è de- bole (1 Cor. 1,27). Primogenita di Salvatore e Carmela Pa- lermo, Nuccia nacque a Catanzaro, quartiere Sala, il venerdì santo (10 aprile) del 1936 (denunciata all’anagrafe il succes- sivo 19 aprile), e nella casa natia visse quasi tutta la vita, non potendo muoversi perché colpita da un’incurabile paralisi pro- gressiva e deformante. Scoprì, così, poco a poco, non di essere stata “maledetta” da una patologia invalidante, bensì di essere stata chiamata a seguire Cristo sofferente per riparare il pec- cato di molti (Cfr. Eb. 9,28). La sua crescita spirituale, gra- duale, come graduale è nell’esistenza di ognuno la matura- zione umana, morale e cristiana, comportò anche forti prove, spesso angosciose (oltre alla seconda guerra mondiale, la 5 grave diagnosi che sembrava spegnere ogni desiderio giova- nile). Tuttavia, pure nei momenti più terribili e dolorosi, Nuc- cia imparò, grazie alla sua vita devota, al conforto del padre spirituale e di tanti altri sacerdoti, laici e persone di vita con- sacrata, ad unire le proprie sofferenze a quelle di Gesù Cristo, suo grande “modello”. E così a mano a mano acquisì la consa- pevolezza che “come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consola- zione” (2 Cor. 1,5). Ci ricorda l’Autore che, “le persone che avevano conosciuto la Venerabile Serva di Dio Nuccia Tolomeo in vita la conside- ravano un’anima bella e santa per il modo con cui ella “aveva testimoniato la sua fede operosa, accettando e offrendo a Dio il dono della sofferenza con finalità apostolica” (p. 18). Le sofferenze possono causare l’allontanamento da Dio, oppure, essere vissute come il segno di una sua qualche “maledizione”! Con l’acquisizione delle terapie analgesiche e palliative, ab- biamo ormai detto no al dolore inutile e, perciò, la medicina cerca di attenuare il dolore fisico e i disagi mentali che spesso l’accompagnano. Alcuni, in Italia, dopo l’approvazione di una specifica Legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, dispongono ora per allora di non continuare più ad accettare determinate terapie, anche salvavita (come la nutrizione e l’idratazione artificiale). Ecco perché ci si può legittimamente domandare se sia possibile, e a quali condizioni, non soltanto accettare una patologia che affligge il corpo e la mente – quale fu quella di Nuccia -; ma anche spiegarsi perché alcuni rie- scano ad associare consapevolmente i propri patimenti alla passione sofferente di Gesù Cristo, per la salvezza di molti ed altri no. Friedrich Nietzsche, anima culturale dell’intero No- vecento, aveva apostrofato come “morale filistea” quella ispi- rata a Gesù Cristo, suggerendo di arretrare, rispetto al cristia- nesimo, fino alla civiltà greca presocratica, aveva creato un vigoroso senso tragico dell’accettazione della vita, compor- tandosi con coraggio dinanzi al fato, fino a pervenire ad un’esaltazione dei valori vitali. La risposta, insieme biblica ed esistenziale, a questi medesimi interrogativi del filosofo, ci 6 viene oggi dalla pur illetterata e malata Nuccia: accettare il dolore è possibile, senza masochismo, ma senza lasciarsi pren- dere dall’ebrietà e senza neppure lamentarsi con l’Altissimo dell’ingiusto dolore che oltretutto inibisce i valori vitali. Di- fatti, nel messaggio che ella lesse nella Pasqua 1995, tra- smesso da Radio Maria, ci sono queste parole: “Nella sua in- finita misericordia e sapienza, il Signore ha preparato per me un corpo debole, per il trionfo della sua potenza d’amore […]. Lodo e benedico il Signore per la croce, di cui mi ha fregiata, perché, crocifiggendo la mia carne, ha pure crocefisso i miei pensieri, i miei affetti, i miei desideri, e persino la mia volontà, per fare di me sua gradita dimora, suo compiacimento, suo ta- bernacolo vivente. Grazie alla croce di Cristo, oggi posso af- fermare con l’apostolo Paolo ‘Non sono più io a vivere, è Cri- sto che vive e opera in me’. Uniti a Cristo, è possibile perfino amare la croce e soffrire con dignità, pronti a consegnarci nelle mani di Colui che, solo, sa trarre dal dolore la gioia” (p. 21). Ecco, nessun masochismo e nessuna morale filistea. Piutto- sto, in controtendenza rispetto a certe interpretazioni raziona- listiche del dolore e a certe denigrazioni dello stesso epistola- rio paolino, giustificazione della sua condizione e la libera e consapevole scelta alla luce di quanto scritto nella Lettera ai Galati, redatta dall’apostolo Paolo: “Non vivo più io, ma Cri- sto vive in me” (Gal. 2,20). Mentre il filosofo Nietzsche, sulla soglia del Novecento, accusava il cristianesimo di Paolo di aver privato della genuina nobiltà cristiana gran parte degli uomini, Nuccia – la cui esistenza attraversa tutto il XX secolo – offre una ben diversa chiave interpretativa. Due mesi prima di morire, rivolgendosi ai giovani di Sassari, auto-presenta in positivo il suo essere crocifissa col Crocifisso: “Sono Nuccia, ho 60 anni, tutti trascorsi su un letto; il mio corpo è contorto, in tutto devo dipendere dagli altri, ma il mio spirito è rimasto giovane. Il segreto della mia giovinezza e della mia gioia di vivere è Gesù. Alleluia” (p. 22). Crollano, così, tutte le accuse di “dolorismo”, di “patologia masochistica”, di “sofferenza inutile” di chi accetta consapevolmente il dolore, anche ingiu- sto, e lo associa all’uomo dei dolori (Is. 53,3): Gesù Cristo ed 7 allo stesso tempo apprezza di più la vita, anche quella ritenuta “inutile”. Nulla è impossibile a Dio, anche la trasfigurazione della sofferenza umana. Nei primi sette capitoli (corredati da foto), l’Autore traccia la biografia di questa formidabile donna, la nostra Venerabile Nuccia Tolomeo, mentre nell’ottavo offre “una corposa espo- sizione sulla fama di santità, goduta dalla Venerabile Serva di Dio in vita, in morte e dopo morte e una trattazione sulla fama di segni (grazie)” (p. 25). Poiché ogni battezzato può eserci- tare al massimo possibile le virtù umane e cristiane solamente sotto la mozione dei doni dello Spirito Santo, la Venerabile viene anzitutto collocata dal biografo nella città di Catanzaro - quartiere Sala (con i suoi tipici aspetti storici, geografici, sociali e religiosi). Viene, poi, seguita passo passo nei suoi spostamenti e incontri. Possiamo anzi trovare, dai suoi scritti del 1954 (Autobiografia e Diario di un’anima) la sintesi spi- rituale e umana già nella prima infanzia di Nuccia: “Un male fulmineo e misterioso mi aveva colpito alle gambe. Tutte le cure furono inutili. Crebbi male!” (p. 37). Pessimismo tragico e constatazione dell’inutilità del dolore, oppure incoraggia- mento a credere che, anche in una vita che cresce male dal punto di vista psicofisico, possono accendersi barlumi e poi luci di santità? A nulla valgono, per l’auspicato miglioramento della salute di Nuccia i quattro anni e mezzo trascorsi a Cuneo presso una zia, né gli anni successivi: “Mi portarono da diversi medici, specialisti, primari. Anche lì dissero la stessa cosa: ‘Niente da fare’. Nel frattempo sopraggiunse la guerra” (p. 39). Di nuovo a Catanzaro, non riesce neppure a completare la scuola ele- mentare a causa dell’infermità. Ma tutto il mondo di familiari e amici ruota sempre più attorno a lei che a volte, dalla sedia o dal letto, dirige addirittura i giochi dei coetanei. Oppure ri- cama, lavora a maglia, creando “quadri colorati col cosiddetto punto assisi”; o, come attesta la cugina-biografa Ida, dedica "parte del suo tempo alla lettura delle riviste Famiglia cri- 8 stiana e Il messaggero di sant’Antonio e di libri che le veni- vano dati in dono dai parenti, dalle amiche e soprattutto dalle suore paoline" (p. 50). Intanto, coltiva la preghiera, soprattutto il rosario. Quando è possibile, si fa portare dalle amiche a spalla in chiesa, dove riceve l’eucaristia. E come tutte le adolescenti, Nuccia s’inna- mora, come attesta la nipote Cristina Iannuzzi, figlia di Anna Chiefari: “Zia Nuccia mi raccontò che nella sua adolescenza ella si era innamorata di un ragazzo” (p. 53). Compie nel pieno della prima giovinezza, sui 15-16 anni, un pellegrinaggio a Lourdes col treno dei malati e, pur non ottenendone la guari- gione fisica, acquista tempra spirituale e grandi capacità rela- zionali. Difatti, presto inizia “una corrispondenza ricca di spi- ritualità con anime elette, con alcuni sacerdoti e alcune suore che aveva conosciuto a casa sua” (p. 59). Nel corso della gio- vinezza matura “il concetto di alleanza sponsale con Gesù, che la portò a offrirsi vittima d’amore con Lui sulla croce per la redenzione di tutti, per la salvezza del suo papà, per la conver- sione dei peccatori, per la santificazione dei sacerdoti” (p.