Processo Mannino
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MOTIVAZIONE Mannino Calogero ( in stato di custodia cautelare in carcere dal 13 febbraio 94 ed agli arresti domiciliari dal 14.11.95 al 3.1.97 ,data della sua scarcerazione per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare ) è stato tratto a giudizio del Tribunale di Palermo (Il processo inizia in primo grado all’udienza del 28.11.95), perché imputato, capo A, del delitto di cui agli articoli 110 e 416 Codice Penale per avere, avvalendosi del potere personale delle relazioni nella sua qualità di esponente di rilievo della Democrazia Cristiana Siciliana, esponente principale di un importante corrente del partito in Sicilia e di segretario regionale del Partito nonché di membro del Consiglio Nazionale del partito medesimo, contribuito sistematicamente e consapevolmente alle attività e al raggiungimento di scopi criminali dell'associazione per delinquere denominata “Cosa Nostra” mediante la strumentalizzazione della propria attività politica, nonché delle attività politiche e amministrative di esponenti della stessa area collocati in centri di potere istituzionali, amministrazioni comunali, provinciali e regionali, subistituzionali, enti pubblici e privati, onde agevolare l'attribuzione di appalti, concessioni, licenze e finanziamenti, posti di lavoro e altre utilità in favore di membri di organizzazioni criminali di stampo mafioso. 1 Con le aggravanti di cui agli articoli 416 quarto e quinto comma essendo Cosa Nostra una associazione armata composta da più di 10 persone. Fatti commessi secondo il capo di imputazione a Palermo e altrove sino al 28 settembre 1982 nonché del reato di cui al capo B che riporta sostanzialmente identiche condotte sussunte sotto il paradigma dell’art.416 bis cp con le aggravanti di cui ai commi 4, 5 e 6 ,con la stessa articolazione territoriale delle condotte, contestate fino al marzo del 1994. Con sentenza del 5 luglio 2001 il Tribunale di Palermo ha assolto l'imputato ai sensi dell’articolo 530 capoverso cpp, dai reati ascrittigli perché i fatti non sussistono on essendo emerse con sufficiente margine di certezza condotte consapevoli di contributo all’associazione denominata “Cosa Nostra “. Avverso la sentenza ha proposto appello il Procuratore della Repubblica in sede per i motivi appreso illustrati . La Corte, esaurita la relazione dei fatti di causa, decidendo sulla richiesta di rinnovazione parziale dell’istruzione dibattimentale, formulata del PG cui si opponeva la difesa, con ordinanza del 23 settembre 2003, ammetteva l’audizione degli imputati di reato 2 connesso Brusca Giovanni, Giuffrè Antonino e, con successiva ordinanza del 18 febbraio 2004 ,anche dell’imputato di reato connesso Salvatore Aragona disponendo contestualmente la restituzione degli atti offerti in visione dal PG . La Corte ,a richiesta della difesa,disponeva pure l’acquisizione delle sentenze a carico di Rizzani de Eccher Marco e consorti ( sentenza del tribunale di Palermo del 1.3.2000 a carico de Eccher Marco+27, cosiddetta tangentopoli siciliana)parzialmente riformata dalla sentenza di altra sezione di questa Corte di appello del 1.2.2002 ,divenuta esecutiva per l’odierno imputato il 31.10.2002, nonché della sentenza n.2776/2002 del 22.7.2002 nel procedimento 369/98 a carico di Vita Antonino, divenuta irrevocabile il 4.2.2003 ed ancora , a richiesta del Pg ,della sentenza 1/1999 della corte di Assise di Palermo a carico di Aragona Salvatore ( Bagarella Leoluca + 66) divenuta irrevocabile. All’esito delle successive udienze ,il PG concludeva chiedendo la riforma della decisione impugnata con l’affermazione della responsabilità penale dell’imputato e la sua condanna alla pena di anni dieci di reclusione in ordine ai reati ascrittigli unificati per continuazione , Il comune di Palermo concludeva 3 come da comparsa conclusionale e nota spese chiedendo la condanna del Mannino al risarcimento del danno in favore della parte civile nella misura di euro 2.582.000 ,con l’ assegnazione di una provvisionale di euro 258.228,45 ,la difesa chiedendo la conferma della decisione impugnata ,richieste tutte riportate in epigrafe La discussione si concludeva all’udienza dell’11.5.2004 con la lettura del dispositivo che segue =========== Va preliminarmente esaminato il rilievo critico della difesa sulla inammissibilità dell‘appello del PM per genericità delle censure, sollevato nel corso della discussione orale e riportato in memoria, Sulla specificità dei motivi è ius receptum che l’atto di impugnazione deve contenere,a pena di inammissibilità ,rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento i motivi con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta , è pertanto inammissibile l’atto di appello che contenga semplici richieste , senza nessun enunciazione delle ragioni di fatto e di diritto atte a sorreggerle .Cassazione sezione sesta 1.6.98 n.6382. Il requisito della 4 specificità dei motivi , richiesto espressamente dal’art.581 cpp implica a carico della parte impugnante non solamente l’onere di dedurre le censure che intende muovere ad uno o più punti determinati della decisione impugnata ma anche quello di indicare in modo chiaro e preciso gli elementi che sono alla base delle censure mosse in modo tale da consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato Cassazione penale 5161 /96 ed 8 luglio 99 n 8803 . Sul punto anche le sezioni unite CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza, 24-06-1998“La mancanza nell’atto di impugnazione dei requisiti prescritti dall’art. 581 c.p.p., in tutta la sua estensione e in ciascuna delle sue articolazioni, configura un’ipotesi di inammissibilità originaria dell’impugnazione che impedisce di rilevare e dichiarare la sussistenza di eventuali cause di non punibilità “. Le sezioni unite, nel risolvere la questione del rapporto tra inammissibilità e cause di non punibilità, si sono uniformate al costante orientamento giurisprudenziale secondo cui la mancanza nell’atto di impugnazione dei requisiti prescritti dall’art. 581 c.p.p., tra cui la non specificità dei motivi, rende l’atto medesimo inidoneo ad introdurre un nuovo grado di giudizio perché si è, in presenza di una causa di inammissibilità originaria dell’impugnazione . 5 Il supremo Collegio ,sezione V con la sentenza 116 del 17 febbraio 95 ,ha espresso l’avviso della inammissibilità dell’ impugnazione per relationem in quanto priva del requisito della specificità in una fattispecie i cui l’appello del PG richiamava i motivi dell ‘omologa impugnazione del procuratore della Repubblica dichiarata inammissibile . “E’ inammissibile per genericità dei motivi il ricorso per cassazione che si limiti a richiamare i motivi d’appello” 11126 del 18.11.92 sezione seconda , Petrosillo ed ancora “ se i motivi del ricorso per cassazione riproducano integralmente esattamente i motivi di appello senza alcun riferimento ala motivazione della sentenza di secondo grado, le relative deduzioni non rispondono al concetto stesso di motivo perchè non si raccordano ad un determinato punto della sentenza impugnata ed appaiono quindi, prive del requisito della specificità richiesto, a pena di inammissibilità, dall ‘art.581 lettera c ) cpp “Cassazione 12 del 8.1.97 sezione sesta , Del Vecchio In ultimo Cassazione sezione IV 3 dicembre 2003 - 6 febbraio 2004 n.4855 ribadisce che la aspecificità del motivo deve essere apprezzata non solo per la sua genericità ,intesa come indeterminatezza , ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’ impugnazione ,questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità, conducente a norma dell’art.591 cpp all’inammissibilità. Alla stregua di tali principi appare di palmare evidenza che assolve al requisito della specificità, prescritto a pena di inammissibilità del gravame, l’atto di impugnazione che individui il “ punto” della decisione impugnata ( che 6 è collegato al momento dispositivo della sentenza appellata e non a quello argomentativo come appresso meglio specificato) che intende devolvere alla decisione del giudice d’appello , enucleandolo con puntuale riferimento dalla motivazione della sentenza impugnata e specificando tanto i motivi di dissenso dalla decisione appellata che l’oggetto della diversa deliberazione sollecitata presso il giudice del gravame ( cassazione 13261 del 25.3.2003) non bastando il semplice richiamo ad esempio per il ricorso per cassazione all ‘atto di appello ove avulso dalle censure a specifici punti della decisone impugnata. Giova a questo punto ricordare che l’atto di appello , ai sensi dell’art.597 comma primo cpp ,attribuisce al giudice di secondo grado, la cognizione del procedimento limitatamente ai “punti” della decisione ai quali di riferiscono i motivi proposti, intendendosi “per punto della decisione” quella statuizione della sentenza che può essere considerata in modo autonomo quale per esempio la sussistenza o meno di un determinato reato ,ivi compresi tutti gli elementi essenziali per la configurazione del medesimo . Rimangono fuori dalla devoluzione le varie argomentazioni strumentali contenute sia nella impugnativa che nel provvedimento impugnato , che riguardano il momento logico e non già quello decisionale che , nel procedimento di impugnazione, è l’unico ad essere sottoposto al principio devolutivo , mentre il momento argomentativo ne è svincolato e viene regolamentato solo dai canoni della logica e del diritto Cassazione