*, Giornale Di Sicilia, 1909.01.08/09, A.49, N.9. Palermo 1909
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Permission to use this file is granted subject to full acknowledgement of the source in the form available at this LINK *, Giornale di Sicilia, 1909.01.08/09, a.49, n.9. Palermo 1909 Il compianto del Parlamento italiano per le vittime del disastro. Per l’avvenire. Roma, 7 gennaio. (N.N) Anziché continuare nelle recriminazioni inutili, nelle polemiche noiose, incontriamoci per esaminare, discutere, proporre quanto ci sarà da fare nell’avvenire per Messina e per Reggio di Calabria. La Camera si riunirà domani, il Senato tra qualche giorno: ma da questa riunione straordinaria del Parlamento non taceremo che le disposizioni più urgenti e provvisorie, non avendo avuto il governo il tempo né la possibilità, mancandogli gli elementi di fatto, di concretare le risoluzioni importanti e definitive. Sarà per domani una richiesta di denaro e di pieni poteri, allo scopo di poter disporre di 30 milioni sui 36 d’avanzo e di potere imporre i nuovi tributi indispensabili, nell’intendimento, provvedendo intanto alle urgenze immediate, di preparare lo [...] e la soluzione di molteplici gravissimi problemi che presentano, da quello dello stato giuridico dei bambini rimasti soli e senza nome a quello della condizione economica dei superstiti senza tetto, senza vesti, o inabili al lavoro o sforniti di lavoro; dalla necessità del recupero dei tesori e degli archivi sepolti alla convenienza storica, politica ed economica della ricostruzione delle due grandi città distrutte. Tutto è da fare. E nel preparare l’avvenire di Reggio e di Messina, la discussione potrà essere utile a sevire ad illuminare il governo. Non è più il caso di sperare in nuovi salvataggi. I pochissimi scampati non compenseranno certo le diecine di migliaia di vittime che sono ancora sotto le macerie, ma, mancata la speranza di sottrarre alla morte qualcun’altra vita umana (o per l’ineluttabile fatalità delle cose o per la tardività e negligenza dei soccorsi, non è il momento di giudicarlo) non rimane che il dovere di provvedere all’avvenire, e governo e popolo fare ciò intelligentemente, virilmente, soprattutto concordemente. L’avvenire è duplice, quello immediato, l’altro più lontano. I bisogni urgenti, nella loro grande incalcolabile quasi moltiplicità, si possono racchiudere in cinque categorie di provvisioni, per le macerie, pei cadaveri, per i fanciulli e gl’invalidi, per i superstiti validi al lavoro, per i pubblici servizi. Il problema meno urgente, più lontano [...], è uno solo, quello della ricostruzione di Reggio e di Messina al quale però dovrebbero tutti mirare sin da ora, nella soluzione dei problemi urgentissimi, dello sgombero o dell’assestamento delle macerie, del sepellimento in modo [...] dei morti, dello stato giuridico da assegnarsi insieme coi mezzi di sussistenza e d’educazione ai fanciulli rimasti orfani, del mantenimento degl’inabili, dell’occupazione da fornirsi ai superstiti adatti ed abili al lavoro, della ricomposizione dei pubblici servizi giudiziari ed amministrativi, politici e municipali. Provvedere agli urgenti bisogni suaccennati senza tener conto del problema avvenire [...] sarebbe un errore gravissimo e ci esporrebbe al pericolo del fare e disfare che presso di noi italiani è tremendo, causa di tanti mali e Permission to use this file is granted subject to full acknowledgement of the source in the form available at this LINK dello sperpero della ricchezza nazionale. Partendo da questo concetto, non so se approvare la proposta dell’amico senatore Paternò, di fare di Messina un grande cimitero, un cimitero principale nel mezzo, circondato da ben altri otto cimiteri per quanto si estende la regina del Faro: l’idea è desolante non solo, ma improvvida, e rappresenta la rinuncia alla ricostruzione della storica città. Ridurre l’attuale Messina a un grande cimitero significa rinunciare a togliere le macerie, rinunciare a disepellirla, significa volerne fare una seconda Pompei, in [...] dei posteri che tra mille o due mila anni la disepelliranno e ne faranno oggetto di stupore e di ammirazione per gli studiosi e per i forestieri. E non si potrebbe ai cadaveri dare varia sepoltura, non la medesima a tutti? Parte bruciati, parte annegati, parte sotterrati, non verrebbero così a costituire la città della morte. Il fuoco, il mare, la terra, secondo la possibilità, la capacità e il rispetto [...] servirebbero la non comune tomba delle disgraziate vittime! Così, si procederebbe di pari passo allo sgombero delle macerie e al disepellimento dei cadaveri. Uso la parola sgombero, per farmi intendere ma anche riguardo alle macerie, una parte dovrebbe gettarsi a mare, una parte servire a consolidare la nuova superficie, una parte potrebbe financo servire alla ricostruzione della città [...]. Non è a dubitarsi che esso sia il disegno più semplice, più facile, meno costoso. Ma l’attuazione di tale disegno vuol dire (intendiamoci bene, non ci facciamo illusioni, chiamiamo le cose col loro vero nome) rinunciare completamente al proposito di ricostruire Messina. Si pensi subito a sepellire i morti, ma non si trasformi Messina in un grande cimitero, a sgombrare in un modo qualsiasi le macerie, ma senza danneggiare la topografia della città: si pensi senza indugio ai feriti perché risanino, ai superstiti perché abbiano lavoro e possibilità di vivere lavorando, ai bimbi e agl’inabili perché abbiano assicurata l’esistenza. Ma si risusciti nel tempo stesso Lazzaro, cominciando a ravvivare l’energia giudiziaria, amministrativa, civile, economica della distrutta città, preparandone con criteri sapienti e nobilmente patriottici la rifabbricazione. Il governo non dovrebbe pensare esso a ricostruire. Il governo dia il terreno libero e sgombro, conceda per 25 anni il porto franco e l’esenzione dall’imposta fondiaria. A costruire, a rifare bella e forte anche senza alti e sontuosi palazzi, la loro città, ci penseranno i messinesi superstiti, ci penseranno i siciliani tutti, ci penseranno gli italiani che hanno conosciuto ed amato Messina, v’hanno esercitato il commercio, e sono disposti a impiegarvi, fiduciosi nell’avvenire, i loro capitali. Viva Messina! Messina dovrà ricostruirsi assai diversamente, non già del modo in cui fu ricostruita dopo il terrremoto del 1783 ed i successivi movimenti della terra. Su ciò non si dissente: ma non può non ricostruirsi se non nello stesso posto, presso a poco lo stesso, dove esiste ora nelle sue ruine, esisteva ieri nel suo splendore. Faremo Messina altrove? Dove? Sui monti, od a Milazzo, od a Catania? Se Messina, circondata dai monti, è dalla natura stessa inchiodata al posto che occupa! Se Messina ha la sua ragion d’essere quale sentinella avanzata del mar di Sicilia, a custodia dello Stretto che è la porta marittima della patria! Messina non deve essere assorbita da Catania, non può fondersi con Milazzo, deve rimanere dove la natura l’ha collocata, dove il fato o la provvidenza l’ha fatta segno a tutte le glorie ed a tutte le sventure. Sostenere il contrario, significa non volere rifare Messina, ma dare a un qualsiasi villaggio, che sorgerà nell’alto della regione montuosa, il nome di Messina. Permission to use this file is granted subject to full acknowledgement of the source in the form available at this LINK La questione della ricostruzione della città va quindi strettamente collegata a quelle di soluzione immediata del sepellimento dei cadaveri e dello sgombero delle macerie. Per Reggio Calabria, la questione è meno difficile. Reggio era una città di soli 40 mila abitanti, manchevole di ricchezze e memorie storiche di primo ordine. Da Reggio a Villa San Giovanni ed a Scilla, la feracità del suolo continuerà a rendere quella plaga un emporio commerciale, la situazione di essa ne tornerà a fare la più grande difesa marittima dell’Italia. E quindi lungo la costa, essenzialmente militare ed agricola, sorgeranno i nuovi piccoli comuni, e Reggio tornerà certamente ad essere il primo tra di essi. Per Messina, la cosa è diversa. Si tratta d’una grande città di 170 mila abitanti, emula di Palermo, un dì capitale dell’isola, storicamente ed etnicamente gloriosa, necessaria a tutta la Sicilia, perché l’isola continui ad essere congiunta per la via dello stretto alla penisola italica. Messina, a parte ogni altra considerazione, dovrà risorgere, nello stesso posto, o quasi, dove è stata e dove ancora esiste, dapoiché non è stata inghiottita dal mare, per la necessità che la Sicilia non s’è ancora più separata che non lo sia stato finora dal rimanente dell’Italia. Messina è la città di congiunzione tra il continente e l’isola! Risorga dunque dove trovasi, senza palazzi e senza torri, fabbricata come ormai dovranno fabbricarsi le città esposte agli sconvolgimenti del sottosuolo, alla cudeltà dei vulcani e delle onde, ma risorga Messina, non il nome solo non la parodia di Messina. Non ci siamo uniti al coro dei denigratori del governo nel momento terribile attraversato, perché, in vista dell’immensità del disastro, abbiamo compresa e scusata ogni incertezza, ogni esitazione, ogni errore • e perché abbiamo creduto carità di patria di non turbare la santità del dolore comune, e del comune proposito tra governanti e governati, di provvedere a rendere meno terribili gli effetti della catastrofe. Ma, non sapremmo rimanere silenziosi dinanzi ad errori od a rinuncie compromettenti l’avvenire della patria, nella sua dignità e nei suoi interessi nazionali. L’imponente manifestazione alla Camera Il discorso di Marcora Prima della seduta Arrivo di deputati Altri particolari sul disegno di legge Roma 7, notte Fino a stasera erano giunti 25 deputati. Nella seduta di domani, dopo la lettura del processo verbale dell’ultima seduta del 19 dicembre il presidente Marcora pronuncierà un breve discorso ed esporrà i motivi per cui venne decisa la convocazione straordinaria. Esprimeva il dolore della rappresentanza politica nazionale per l’immane sciagura che ha colpito la Sicilia e la Calabria. Non vi saranno commemorazioni personali dei deputati periti nella catastrofe. Quindi il presidente del Consiglio a nome del governo presenterà i provvedimenti eccezionali per la Sicilia e la Calabria.