GaglianoCastelferrato Nicosia PiazzaArmerina Pietraperzia Valguarnera Introduzione generale

Quella ennese è davvero una provincia “speciale”. Innanzi tutto, è l’unica dell’Isola a non avere sboc- chi a mare, rappresentando, quindi, la faccia più nascosta di questa Sicilia da scoprire, la faccia più montuosa e, per molti versi, anche quella più vera, più “genuina”. La sua posizione geografica, poi, ha molto influito nel giudizio di questa provincia come la migliore per vivibilità dell’intera Sicilia: già sei anni fa qui si contavano ben 30 metri quadrati di verde pub- blico per ciascun abitante. Una cifra che vuol dire aria pulita e l’aria pulita vuol dire migliori prodot- ti alimentari. Da qui, le due cose insieme danno come risultato un migliore stato di salute, non fosse altro per la bellezza naturale in cui gli abitanti della provincia vivono quotidianamente. Questo risultato è certamente conseguenza, come accennato all’inizio, della sua posizione geografica. Con un territorio per la maggior parte collinare e per un quinto montuoso, la provincia ennese ha nei 1193 metri di Monte Altesina e nei 1558 di Monte Sambughetti le sue massime altitudini e quest’ul- tima è anche fra le più alte vette dei Nebrodi, catena che chiude a nord il territorio. Come spina dor- sale gli Erei e per confini le colline orientali della piana di Catania, quelle meridionali della piana di Gela e, ad occidente, il corso del fiume Imera Meridionale. Un territorio fertile e ricco, anche perché, non bisogna dimenticarlo, qui sono presenti terreni che risalgono al Miocene superiore e al Pliopleistocene, quelli della serie gessoso-zolfifera che hanno poi rappresentato, due secoli fa, la più straordinaria ricchezza industriale non solo della provincia, ma della Sicilia intera. Risulta chiaro che con un sistema orografico così ben rappresentato, anche il sistema idrogeologico è piuttosto movimentato. Ci si muove da una lato, dai corsi del Dittaino e del Gornalunga che guarda- no ad oriente, al mar Jonio; dall’altro, dall’Imera meridionale che raggiunge il Canale di Sicilia. Certo, i corsi d’acqua presenti non sono solo quelli qui menzionati: tanto per riassumere, la provincia enne- se è la più ricca di acque di tutta l’Isola, contando anche numerosi laghi tra cui l’unico naturale sici- liano, il lago di Pergusa. Ma il fatto che sei dei sette laghi presenti siano artificiali non depone affat- to contro la presenza umana. Al contrario, proprio la loro presenza, e l’immediata risposta di Madre Natura, ha fatto sì che questo cuore antico di Sicilia possa vantare anche un altro primato: quello della presenza più numerosa di aree naturali protette. Certo, l’ambiente era già “naturalmente” predisposto. L’alternarsi delle grandi mutazioni climatiche ha creato qui delle vere e proprie foreste che attirarono prima gli arabi e poi i Normanni che, “impor- tando” popolazioni di lombardi, parteciparono non poco alla ripopolazione del territorio. Una parola grossa, questa, se la inquadriamo solo nel XIII secolo, quando il territorio aveva solo 13 centri abitati e 90.000 abitanti. Ma la ricchezza delle terre attirò quindi sempre più numerosi contadini e pastori, tanto che in pieno periodo feudale già si contano i 20 centri abitati che resteranno, almeno nel nume- ro, uguali al numero dei comuni che formano la provincia. A proposito di clima, vista la posizione all’interno dell’Isola, questo territorio ha diversi aspetti clima- tici. Se da un lato troviamo la zona ennese con un quadro decisamente mediterraneo con media piovo- sità, dall’altra si trovano le qualità sahariane della valle del Dittaino, dove le temperature medie esti- ve possono toccare i 35°. Ma basta giungere nei pressi dei boschi di per trovare una delle condizioni climatiche più favorevoli, con quei suoi 25° di media. L’inverno, in alcune zone, ha l’aspetto rigido tipico degli Appennini dove, ad altitudini come quei 1000 metri slm di Enna, si regi- strano anche 0°, ma a valle, nelle zone collinari, la temperatura difficilmente scende al di sotto dei 5°. Con un clima così diversificato, altrettanto variegato è il panorama che il viaggiatore si troverà ad attraversare. Percorrendo l’autostrada A19 che collega Palermo con Catania, autostrada che, quasi nel suo centro conta lo svincolo per il capoluogo ennese, ci si ritrova immersi in un paesaggio che, in esta- te, si presenta riarso dal sole, quasi brullo con tutta quella sua teoria di colline aride e nude. Un pae- saggio che, però, viene annunciato e concluso dagli agrumeti che infiammano di verde, in qualunque stagione, tutta la zona. In inverno, la parte centrale di questo percorso è tutt’altra cosa: le colline sono arrotondate dal verde dei campi di grano che si preparano a sbocciare nell’oro delle messi che hanno reso leggendaria tutta la provincia. Quanto sia stato sfruttato questo terreno lo si sa molto bene, non fosse altro perché testimoniato dai tantissimi resti di case coloniali che sbucano dalla roccia ad ogni piè sospinto. Questo ha avuto come conseguenza, soprattutto nella metà del Novecento, il difficile periodo di crisi economica, periodo che ha coinciso con una inversione demografica. Oggi, grazie alle politiche sagge inerenti lo sviluppo eco- nomico della zona, i dati più recenti ci raccontano di una situazione molto più positiva. Dalla fonda- zione dell’Università di Kore, agli stabilimenti dell’industria della plastica, senza dimenticare l’anti- ca predisposizione per le colture cerealicole che ha nella zona industriale del Dittaino il suo cuore pul- sante, l’economia ennese mostra inequivocabili segni di grande ripresa. I lavori per sfruttare al meglio tutte le potenzialità dell’area sono già in gran parte avviati e molti altri si stanno per mettere in can- tiere. La rivalutazione delle produzioni agrarie, dalle agrumicole alle cerealicole, senza dimenticare la viticoltura e l’olivicultura, ha già al suo attivo delle produzioni di “pregio” come pesche, fave, fichi- dindia e prodotti caseari. E, all’interno di queste, con tutta una serie di strumenti che favoriscono l’im- prenditoria, si registrano in questi ultimi anni dati molto più che incoraggianti sul versante dell’oc- cupazione. Secondo dati aggiornati al 1998, già indici di un trend che si è mantenuto – migliorando- si addirittura – anche ai nostri giorni, il settore commerciale vantava già un’occupazione in grande crescita. Ha date più recenti, invece, la crescita del settore turistico. Riserve naturali, circuiti sportivi, aree archeologiche e tutte le zone di interesse storico stanno restituendo all’amministrazione del territorio molto di più di quanto è stato, nel corso del tempo, investito. Con il 10% di incremento medio annuo di presenze di turisti, è questo uno dei settori in cui la Provincia sta scommettendo con maggior entu- siasmo. Del resto, la parte più importante è già stata fatta: il territorio è stato quasi completamente recuperato, i siti di interesse storico e archeologico sono quasi tutti fruibili, l’enogastronomia è alla portata di tutti e la ricettività è in costante aumento. Quello che bisogna fare è, semplicemente, veni- re a visitare questo cuore antico di Sicilia. 1- 4)6+18) +M[IẔ SAMBUGHETTI-CAMPANITO 8M\ZITQM /IVOQ +MZIUQ

A19 61+7;1) /IOTQIVW +I[\MTNMZZI\W F ORR

1 E 1 487BB1447 LAV 7 :MOITJ]\W ICH M. ALTESINA 6Q[[WZQI E DEL S VALLONE DI IM 4MWVNWZ\M )OQZI E TO PIANO DELLA CORTE +MV\]ZQXM )[[WZW 461+74-<<1 >144):7;) 121 +ITI[KQJM\\I +I\MZQVI >QTTIZW[I A19 QTTIZUW[I 457:-447 +I\MVIV]W^I 192 -VVI ,1<<)167 A19 B76)16, bis 117 MONTE CAPODARSO E VALLE DELL’IMERA MERIDIONALE 48-:/=;) >ITO]IZVMZI W +IZWXMXM .47:1;<-44) /:7<<)+)4,) +IT\IVQ[[M\\I 4,-44ô7/41);<:7 PARCO RONZA BOSCO DI ROSSOMANNO GROTTASCURA-BELLIA 288 288 )QLWVM -:*-<-) 191 8QM\ZIXMZbQI 57:/)6<16) 8QIbbI )ZUMZQVI *IZZINZIVKI

>144) ,-4+);)4-

W 5IbbIZQVW

+IT\IOQZWVM

*]\MZI LAGHI

AREE DI INTERESSE NATURALISTICO

ZONA INDUSTRIALE DITTAINO

SITI DI INTERESSE TURISTICO-CULTURALE

FIUMI

STRADE PROVINCIALI

STRADE STATALI

576<--<6) AUTOSTRADE

CONFINI PROVINCIA

COMUNI ENNESI

come si arriva

In aereo 8I\MZV̱ Aeroporto Internazionale Catania Fontanarossa - Catania Centralino: 095 7239111 Ufficio informazioni voli: 095/340505 Biglietteria: 095 345367 Informazioni turistiche: 095 7306266 Ufficio Operativo: 095 346338 www.aeroporto.Catania.it Aeroporto Falcone Borsellino - Palermo 192 Centralino: 091 7020111 - N. Verde 800.541880 Informazioni viabilità: ACI - Automobil Club Italiano tel. 06-4477 www.gesap.it

In auto da Messina: A20 Messina - Catania e A19 Catania - Palermo da Catania: A19 Catania - Palermo da Palermo: A19 Palermo - Catania

In treno Stazione Ferrovie dello Stato – Enna Via Scalo Ferroviario, tel. 0935 55091 collegamenti con le principali città italiane. www.fs-on-line.it

In pullman Collegamenti autolinee da e per Enna Autolinee Sais: Call Center 199 720 700 Numero Verde 800 920 900 N www.saisautolinee.it

Terminal bus: O E ENNA - Viale Diaz - tel. 0935 500902 CATANIA - Via D’Amico, 181 (Staz. FS) - tel. 095 536168 MESSINA - Piazza della Repubblica, 6 - tel. 090 771914 S PALERMO - Via Paolo Balsamo, 16 - tel. 091 6166028 INDICE

1. Nido di re pag. 8

Castello di Lombardia pag. 12 Torre di Federico pag. 14 Le torri campanarie pag. 15 Il Duomo pag. 16 La festa del 2 luglio pag. 18 Santuario di Cerere o Demetra pag. 19 La Grotta della Spezieria e le porte della città pag. 20 Il Museo Archeologico Regionale pag. 20 Il Museo Civico “G. Alessi” pag. 21 L’Università Kore pag. 21

2. Oro, incenso e fuoco pag. 22

I mosaici della Villa del Casale pag. 26 Morgantina ...e la sua Venere pag. 30 Il Museo Archeologico di Aidone pag. 34 I misteri di Pietraperzia pag. 35 I segreti di Troina e Centuripe pag. 36 Calascibetta, 4.000 anni fa pag. 37 Archeologia del futuro pag. 37

3. Delle audaci imprese pag. 38

Castello di Sperlinga pag. 42 Nicosia, Cerami e Troina pag. 44 pag. 45 Aidone, Agira, Assoro pag. 46 Centuripe e Leonforte, Piazza Armerina e Pietraperzia pag. 47 Il Tectum Depictum pag. 50 La storia tra la gente pag. 50 4. Il volto segreto di Sicilia pag. 52

Sambughetti-Campanito e l’Altesina pag. 56 Monte Capodarso e Valle dell’Imera meridionale pag. 58 Le Forre Laviche del Simeto pag. 58 Il Vallone di Piano della Corte pag. 59 I boschi di Rossomanno, Grottascura e Bellia pag. 59 Il lago di Pergusa e la selva pergusina pag. 60 Il Parco della Ronza e la querceta di Calascibetta pag. 61 Il lago Pozzillo pag. 62 Il Dittaino, il Gornalunga e il Cerami dai mulini ad acqua pag. 64 Il lago Ogliastro e la diga Nicoletti pag. 64 I laghi Olivo, Morello e Ancipa pag. 65

5. Terre feconde e generose pag. 68

Le produzioni pag. 72 Le specialità pag. 74 Dite cheese! pag. 75 Dopo il “cosa”, il “dove” pag. 75

6. Blu azolo e rosso greco pag. 76

Centuripe e i suoi preziosi “falsi” pag. 78 Pirandello in miniera pag. 79

7. Tempi moderni pag. 80

ASI Val Dittaino, Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale pag. 82 Plastica, gomma e tessile pag. 84 Crescita imprenditoriale pag. 85

8. Eventi ad Enna pag. 86

Le tradizioni pasquali pag. 87 Il Palio dei Normanni a Piazza Armerina pag. 88 Il presepe vivente di Agira pag. 88 L’autodromo di Pergusa pag. 89 La stagione teatrale di Morgantina pag. 89 Kubbaita di Troina pag. 89

761- 4)6+18) +M[IẔ SAMBUGHETTI-CAMPANITO ^]\]ZW 8M\ZITQM /IVOQ +MZIUQ 144):7;) 121 +ITI[KQJM\\I ;+I\MZQVI >QTTIZW[I A19 >QTTIZUW[I 457:-447 +I\MVIV]W^I 8I\MZV̱ 192 -VVI ,1<<)167 A19 B76)16, bis 117 MONTE CAPODARSO E VALLE DELL’IMERA MERIDIONALE 48-:/=;) >ITO]IZVMZI ;+I\ITLW +IZWXMXM .47:1;<-44) /:7<<)+)4,) +IT\IVQ[[M\\I 4,-44ô7/41);<:7 PARCO RONZA BOSCO DI ROSSOMANNO GROTTASCURA-BELLIA LQNITKW 288 288 )QLWVM -:*-<-) 1 57:/)6<16) 8QM\ZIXMZbQI 91 8QIbbI )ZUMZQVI *IZZINZIVKI

>144) ,-4+);)4-

;WUUI\QVW 5IbbIZQVW

Nido di re

Un'aquila bicipite nello stemma di questa città, magnifico castello lassù tra le nuvole del cielo di Sicilia, perfetto belvedere sull'intera Isola, inespugna- bile roccaforte di re e dimora di dei. Qui, dove osano le aquile, sono state scritte intere pagine di storia, perché protagonisti di primo piano erano i suoi conquistatori e i suoi abitanti. Sicani, Greci, Cartaginesi, Romani, Bizantini, Normanni e Aragonesi ne fanno il centro del loro impero medi- terraneo: anche quando Enna è soltanto roccaforte o dimora estiva, è da qui che vengono trasmessi ordini ed editti, è da qui che viene convocato il Parlamento ed è qui che lo Stupor Mundi volle costruire, omaggio a tanta bellezza, una delle sue torri ottogonali che tanto fanno arrovellare storici, archeologi e persino esoteristi. Il suo antico nome di Henna era conio e le sue chiese sono la storia dell'architettura che rispondono al tocco imperio- so dei 100 quintali della campana della Matrice. Questo e molto di più è Enna, il capoluogo più alto d'Italia, punto d'inizio di questa Sicilia centrale tutta da scoprire. 1

1 11 « astrogiovanni non si vede se prima non si raggiunge il sommo del monte, essendo situata sul pendio verso nord. La singolare cittadina, il campanile, la borgata di Calascibetta a qualche distanza a sinistra, si guardano severa- mente a vicenda. Già in basso, si vedevano le fave in piena fioritura; ma chi poteva pensare a godere tale spettacolo! (…) L'atmosfera, in basso, era rav- Cvolta dalla nuvolaglia, per cui ci fu dato di osservare, a quella notevolissima altezza, un feno- meno meraviglioso. Era un non so che di bianco o grigio a strisce, che aveva l'aria di corpo soli- do; ma come può stare in cielo un corpo solido? La nostra guida ci spiegò allora che l'oggetto della nostra meraviglia non era che un dorso dell'Etna attraverso le nubi squarciate; la neve e la schiena del vulcano formavano or sì or no quelle strisce; e quella non era nemmeno la vetta più alta (…)». Era il 29 di aprile del 1787 e Goethe incontrava così Enna quando ancora Enna non era. Perché questo suo antico nome, che tanta parte di storia reca con sé, verrà ripreso solo nel 1927, ovvero almeno 2300 anni dopo che i Greci, se vogliamo escludere l'origine sicana del nome, avevano fatto derivare questo Henna o dal loro ennaien (abitare all'interno), vista la posi- zione della città nel cuore della Sicilia, o da ennaios (presso il tempio), vista la presenza del tem- pio dedicato alla “famosa” dea Demetra. Ma qualunque nome abbia avuto con il trascorrere del tempo, da Castrum Hennae a Qasr Yannah e a Castrogiovanni, Enna, la “nostra” Enna, è forse la più perfetta espressione della storia di un popolo, quello siciliano, di cui conserva ogni traccia, ogni “passaggio”, ogni segno della sua crescita, dal tempo in cui la caccia e il nomadismo erano gli unici sistemi di vita alla nuova, preziosa Università, tempio, anch'essa, della cultura, moder- na forza creatrice di ciò che siamo e di ciò che saremo. Così la Rocca di Cerere ci parla della conquista siracusana e della successiva per mano dei Romani (per i Greci, infatti, la rocca era dedicata a Demetra), e quando giunsero i Bizantini, qui stabilirono la capitale del regno quando, nell'851, Palermo venne conquistata dagli Arabi. A que- sti ultimi, poi, occorsero ben otto anni per aver ragione dell'Urbs inexpugnabilis - come l'aveva appellata Tito Livio - divenuta loro ultima roccaforte nell'Isola prima di capitolare con i Normanni. Ecco il 1087, ecco - circa 2 secoli dopo - Federico II, che la elegge a sua residenza pre- ferita, residenza che tanto avrebbe dovuto pagare, negli anni a venire, sotto il vessillo dei Vespri Siciliani. Ancora un re, ancora un trono: quello del 1314 di Federico d'Aragona che qui riceve la in basso, a sinistra, veduta panoramica di Enna corona di Re di Trinacria e che qui, dieci anni dopo, convoca il Parlamento Siciliano. Ma la sto- ria vuole pagato il suo pegno e, lungo i successivi tempi di pace, la fortuna di Enna scema, cam- a destra, tipico paesaggio bia e si trasforma, così come le sue torri difensive si travestono, secolo dopo secolo, in splendi- della campagna ennese de torri campanarie. nella pagina accanto, Sono queste tracce, questi percorsi, che iniziamo a percorrere in breve, cominciando, ovviamen- la chiesa del SS. Salvatore te, dal simbolo stesso della città: il Castello di Lombardia.

1 13 Castello di Lombardia

E se davvero fosse stata la dimora di re Sicano, marito di Demetra e padre di Persefone? Un mistero, questo, affascinante quanto la sua storia e la sua archi- tettura, così perfetta da farne una delle più belle fortezze di tutta la Sicilia. Origini comunque antichissime queste del castello, riporta- to in auge dagli Svevi, fortemente adattato alle esigenze del re Federico d'Aragona, e poi abbandonato dai Borboni che preferiva- no le ville settecentesche alle austerità castellane. Nei suoi oltre 28 mila metriquadri di superficie poteva ospitare anche 7mila soldati all'interno della sua area pentagonale (Federico II fu costretto dalla conformità della rocca a fare a meno delle sue geometrie perfette) suddivisa in tre cortili, a partire da quello degli Armenti, oggi tea- tro per manifestazioni estive, collegato a quello delle Vettovaglie, il cui utilizzo è tutto nel nome, contiguo al cortile di San Martino, con in basso, due vedute la torre della zecca, su cui prospettavano le finestre delle stanze del Castello di Lombardia reali. Da qui si accede alla torre Pisana, una delle 4 torri restanti con la Torre Pisana delle oltre 20 edificate dai Normanni, chiamata dagli Arabi “torre nella pagina accanto, delle Aquile” perché dai suoi merli gli avvoltoi controllavano il loro l’ingresso laterale del Castello territorio di caccia. Torre di Federico

Bellissima e imponente, di lei vogliamo darvi la versione più affascinante. Potrebbe trattarsi, infatti, dell’antichissa Torre dei Venti, la stazione astronomica da cui l’interprete della divina volontà – siamo nel mondo dei Siculi – riuscì a tracciare tremila anni fa i confini dell’Isola, dise- gnando per la prima volta la figura a tre gambe che, con al centro la faccia della Gorgone, avreb- be poi avuto nome Trinacria e sarebbe stata il sigillo di Agatocle, il siracusano signore di Enna nel III secolo a.C. È da qui, dalla cima di questi 24 metri di pietra, che gli Arabi avrebbero diviso la Sicilia nei tre valli… Rimessi i piedi a terra, e in questo tempo, aprendo gli occhi non ci resta che ammirare questo capolavoro ottagonale, prova dell’antico castello distrutto dagli Arabi, restaurato da Federico II (o forse dal suo omoni- mo aragonese), che si erge al centro di un giardi- no lussureggiante, vera poesia di storia e natura. Questa torre – visibile anche a gran distanza – ci da modo di intuire quale aspetto dovesse avere questa parte dell’Isola, così fortificata e difesa, oltre che dal castello, da un incredibile sistema di torri cui questa apparteneva.

a destra, la Torre ottagonale

nella pagina accanto, le torri campanarie della Chiesa di San Giovanni e della Chiesa di San Francesco d’Assisi 15

1ENNA

Le torri campanarie

La corona di Federico d’Aragona non è mai stata molto salda, così il re di Sicilia non scelse a caso Enna – ricordiamo Urbs inexpugna- bilis – quale sua residenza da abbellire (ed ingrandire) secondo lo stile architettonico di quel XIV secolo. Ecco quindi che le torri difensive si arricchiscono del solare stile gotico-catalano oggi facil- mente ammirabile, ad esempio, guardando alla torre campanaria della Chiesa di San Tommaso, quadrata e a tre elevazioni, ai tempi chiamata a controllare il lato sud della città. E la torre della Chiesa del Carmine, ex Chiesa dei Carmelitani, sempre a pianta quadrata ma con una torretta circolare ad angolo che la rende davvero unica (e bellissima), anch’essa a tre livelli, con l’ultimo adorno di campa- ne. Pare si trattasse, in origine, della torre a difesa della residenza di frate Elia Racchetta, aspro combattente contro gli Arabi. Poi quella incastonata nel palazzo municipale, la torre di San Giovanni, un tempo parte dell’omonima chiesa e forse una delle porte di città, e, per finire davvero in bellezza, la torre di San Francesco d’Assisi, la più grande, nella piazza della città antica, con le aperture nel primo e nel terzo “piano”, davvero suggestiva.

1 17 Il Duomo

in basso, a sinistra, Non ha le stesse origini di quelle già menzionate, ma è lo stesso un l’interno del Duomo gran bello spettacolo quello offerto dalla torre (secentesca? settecen- con il pulpito marmoreo tesca?) del Duomo. Iniziamo da qui, da questo campanile distrutto, attribuito a Giovanni Gallina (XVII secolo) crollato e ricostruito, grandioso e famoso soprattutto per la sua cam- pana di 101 quintali, che, a oltre mille metri d'altezza, sfoggia tutta a destra, esterno del Duomo, la sua grandiosità. E grande è la chiesa, dedicata a Maria SS. della l’abside (XIV secolo) Visitazione, costruita nel 1307 per volere di Eleonora d'Aragona, nella pagina accanto, moglie del re Federico, distrutta da un incendio nel 1446 e riedifica- la navata centrale ta, inglobando l'unico abside salvato dalle fiamme. E per ricostruir- la Papa Eugenio IV proclamò il Giubileo, testimoniato dalla porta nel prospetto meridionale, per raccogliere i fondi necessari. L'impianto oggi è a tre navate, cui, accedendo dalla facciata princi- pale, si viene introdotti da colonne in nero alabastro che portano le firme di Giandomenico Gagini (1562) di Raffaele Russo (1551) e di Antonio Catrini (1559). La cosa sorprendente è che durante gli oltre trecento anni di rimaneggiamenti non si è mai smarrito lo stile goti- co-catalano che tanto firma i monumenti ennesi, come se gli artisti che vi hanno lavorato avessero potuto dar voce ad uno stile “scritto nel dna”, uno stile cui si sposano piacevolmente i grandi capolavo- ri nel tempio conservati, dalla tele del Borremans ai Tesori del Duomo. Bellissima e ricchissima, questa è “una” delle oltre 126 chie- se possedute, nel tempo, da Enna. La festa del 2 luglio

in basso, È dedicata a Maria SS. della Visitazione e la sua storia è particolar- le celebrazioni in onore mente affascinante. Fino al 1412 Enna omaggiava Cerere con la festi- di Maria SS. della Visitazione vità pagana dei “cerealia” illuminata dalle torce, le stesse che aveva- nella pagina accanto, no aiutato la dea nella ricerca della figlia. Era un’usanza che il clero la Rocca di Cerere dell’epoca non poteva tollerare. Così il senato, obbedendo ad un e il Castello di Lombardia richiamo del Papa, decise di sostituire la divinità con la Vergine Maria, commissionando l’acquisto di una statua che avrebbe con- quistato i cuori dei pur devoti ennesi. Il simulacro venne comprato a Venezia, ma fece naufragio durante il viaggio verso Enna, lascian- do che il mare ne adagiasse la cassa in quel di Messina. La Madonna – come narra la leggenda – iniziò allora a compiere i suoi miracoli, tanto che la notizia giunse fino ad Enna. I Senatori, rintracciato il tesoro perduto, ottennero, non senza sforzo, la restituzione del simulacro che, però, era troppo pesante per poter essere trasportato fin sulla rocca. Il “miracolo” di forza e di fatica lo compirono i 216 contadini che riuscirono nell’impresa. Ancora oggi, il 2 luglio, 216 confratelli portano in processione la bellissima statua bizantina seguendo l’antichissima tradizione, anche se le torce e i dolcetti della tradizione pagana non sono affatto scomparsi. 1 19

Santuario di Cerere o Demetra

(49) «Per l’antichità di questa credenza, cioé che in quei luo- ghi si trovano le tracce e la culla di queste divinità (Demetra e Kore), vi è in tutta la Sicilia, uno straordinario culto in privato e in pubblico per la Cerere ennese… In un momento molto difficile dello Stato quando, ucciso T. Gracco, dai prodigi erano presagiti timori di grandi libri sibillini, e da questi si ricavò che bisognava placare l’anti- chissima Cerere. Allora da un grandissimo collegio dei decemviri, i sacerdoti del popolo romano, pur essendovi nella nostra città un bellissimo e splendido tempio di Cerere, tuttavia partirono fino alla volta di Enna. Così gran- de era l’antichità e l’autorità di quel culto, che, andando in quel luogo, non al tempio di Cerere, ma sembrava che si recassero da Cerere in persona». (50) «Mi vengono in mente i templi, i luoghi di quel culto… quel famoso giorno in cui essendo venuto a Enna, tosto mi vennero incontro i sacerdoti di Cerere… desideravano che fosse espiata… l’antichità delle cerimonie, il culto del tem- pio… Gli Ennesi credono che Cerere abiti presso di loro, così che mi sembravano non cittadini di quella città, ma tutti sacerdoti, tutti abitanti e ministri di Cerere». Affacciandosi dalla mirabile balconata che circonda ciò che resta del tem- pio, le parole di Cicerone (Verrine - libro IV) prendono vita, e la Madre Terra, feconda di spighe, si mostra ai nostri occhi in tutta la sua straordinaria grandezza. La Grotta della Spezieria e le porte della città

La complessità delle vicende ennesi è tale che neppure un angolo del centro abitato è privo di curiosità o di luoghi da visitare. Ad esempio, sotto l’antico quartiere di Fundrisi, si apre la Porta di Janniscuro, l’unica delle antiche sette porte cittadine “sopravvissuta” alle offese del tempo. Il suo arco ormai deforme resta, testardo, a sbarrare la strada alla vegetazione che man- gia il sentiero che tanti passi ha conosciuto, passi di genti lontane, dai molti dialetti, che – turisti ante litteram – varcavano il suo cono ombroso per giungere nel cuore del regno o, ancor prima, in pellegrinaggio da tutto il mondo conosciuto per visitare la città della Dea. E lungo le pendici di questa stessa rocca cui si aggrappa la quinta esterna della porta, ecco aprirsi la Grotta della Spezieria, misterioso antro le cui nicchie scavate nella nuda roccia un tempo custodivano statue votive. E santuario era anche Papardura i cui lavatoi, oggi regno di piccole felci e capelvenere, continuano a bagnarsi delle acque che percolano tra le pietre, mentre la sagoma scolpita del castello ennese rassicura le donne che qui, un tempo (e solo fino a ieri), venivano a fare il bucato.

Il Museo Archeologico Regionale

Nelle grandi sale del Palazzo Varisano risuonano ancora le parole di Garibaldi che, diretto alla Capitale, si impegnava davanti ai suoi Mille e agli uomini di Enna con il grido “O Roma o morte”. Parole che riecheggiano, lontane, coprendo con un velo di storia recente le storie molto più antiche che il Museo Archeologico Regionale racconta, teca dopo teca, dall’età preistorica a quella medievale. Ben dieci le sale da visitare, scoprendo la vita quoti- diana delle – oggi – necropoli di Calascibetta, gli usi e i costumi degli abitanti di Henna, sempre a parti- re dalla preistoria, fino alle interessantissime colle- zioni di oggetti ritrovati ad Agira, Assoro, Cerami, Nicosia, Pietraperzia e Troina, ossia alcune delle più ricche zone archeologiche di tutta Italia. Due sale sono dedicate all’insediamento preistorico, alla necropoli e all’area sacra di Cozzo Matrice; una con- serva i ritrovamenti nell’insediamento e nella necro- poli di Rossomanno (dall’età protostorica fino al XVII secolo). In allestimento le sale con la sezione numismatica e quella didattica. 1 21 L’Università Kore

È una “libera” Università. Proprio come la Bocconi e la Cattolica di Milano o la Luiss di Roma e, al pari di queste, vanta una elevatissima qualità di insegnamento. Il Decreto che istituisce l’Ateneo - nr. 284 del 15 settembre 2004 del Ministero dell’Istruzione, dell’Unversità e della Ricerca - ha segnato il via al nuovo percorso che già la sede universitaria ennese aveva iniziato insieme ad altri atenei nel 1995, portando nella cittadella universitaria di Enna bassa gli studenti di tutta la zona cen- trale dell’Isola. Oggi le 5 facoltà (Beni Culturali, Economia, Giurisprudenza, Ingegneria e Scienze della formazione), i 10 corsi di laurea, i 3 corsi di laurea magistrale ne fanno il quarto ateneo siciliano, dopo, in ordine cronologico, quello di Catania, Messina e Palermo. Il suo successo è ben rappresentato dai numeri: dai 140 iscritti del 1995, si è passati nell’anno dell’acqui- sita autonomia a quasi 7.000 studenti che vengono accolti, ogni giorno, dalle strutture moderne della cittadella, dai laborato- ri all’avanguardia e da una organizzazione didattica che tiene conto delle “filosofie” d’insegnamento più recenti. E a pochi minuti (a piedi) dall’ingresso delle facoltà, uno degli snodi viari più importanti dell’Isola, dove fanno tappa i pullman prove- nienti da Agrigento, Caltagirone, , Canicattì, Catania, Gela, Modica, Palermo, Ragusa, Vittoria e da decine di altri comuni siciliani.

Il Museo Civico "G. Alessi"

Un tesoro nel tesoro: è il caso di dirlo. Perché il Museo Civico “Alessi” si trova all’interno del Duomo, potremmo dire “annun- ciato” dalla mezza colonna proveniente dalla rocca di Cerere che nella chiesa regge una delle acquasantiere. E nelle stanze del museo ecco svettare tre colonne scanalate parte del tempio della dea, mentre una ricchissima collezione di circa 4mila monete greco-sicule e romane occhieggiano dalle loro vetrine. Sotto gli sguardi severi delle icone bizantine si alternano le ghiande mis- sili (i “proiettili” romani), statuette di bronzo e di creta di provenienza ancora sconosciuta, vasi di varie origini, persino alcuni egizi e arabi, tavole come la quattrocentesca “Madonna con Bambino” plausibilmente di scuola fiamminga, il secentesco “Trionfo della Fede” di Giuseppe Salerno, forse più conosciuto come lo Zoppo di Gangi (da non confondere con l’omonimo gangitano Gaspare Vazzano) e, ancora, un “Crocifisso e Deposizione” di stile tardo bizantino. Finito con le opere d’arte (e c’è ben più di quanto qui accennato), non dimenticate di salire al primo piano e di ammirare la Corona della Madonna della Visitazione, opera d’arte dei maestri orafi del XVII secolo.

I Romani, la loro cultura e la loro arte, con il loro oro dei mosaici e l’incen- so per gli dei. E il fuoco, oggi spento, che doveva ardere nelle mille lucerne che illuminavano gli Augustales di Centuripe, inondando di una luce acce- cante le tante tombe che – già da secoli – tacevano nelle colline attorno alla città. Antri bui che hanno mantenuto il loro segreto per secoli, e che conti- nuano a mantenerlo fino ad oggi negli strani “grappoli” scavati in quel di Calascibetta o nelle forme austere del seggio rituale di Pietraperzia. Questo il sapore delle storie che ci raccontano le pietre di Morgantina e della Villa del Casale a Piazza Armerina; questa la storia delle rocce bucate delle necropoli ennesi e delle misteriose tracce di Pietraperzia. Sono questi rac- conti di silenzi e di lontani rituali, mentre di parole altisonanti e di zampilli festosi si inonda la campagna dell’età romanica. E negli scavi di Morgantina e tra i mosaici della Villa del Casale risuonano di squilli di caccia e di risate di attori, del vociare degli uomini e delle donne nel tiepidarium, del rumore allegro delle stoviglie dei pranzi e delle feste. Storie perdute e storie che non si dimenticano, scritte nella pietra e scolpite nel marmo. 2 Oro, incenso e fuoco

2 25 « er prima Cerere smosse con l’aratro adunco le zolle, per prima dette messi e alimenti pacifici alla terra, per prima dette leggi: tutto è dono di Cerere. C’è un’isola vasta, Trinacria, ammassata sopra le membra di un gigante: sotto le sue grandi rocce essa tiene schiacciato Tifeo. Egli si agita, è vero, e spesso si dibatte per rialzarsi, allora la terra trema, e perfino il re dei morti Pmuti ha paura. Proprio per timore di una catastrofe, il sovrano era uscito dalla sua sede tene- brosa e su un cocchio tirato da cavalli neri faceva il giro della terra di Sicilia per ispezionarne le fondamenta quando Venere dall’alto del suo monte lo vide e stretto a sé il suo alato figliolo disse: ‘… prendi quelle frecce con cui vinci tutti, o Cupido, e scagliane una veloce nel petto del dio a cui è toccato in sorte l’ultimo dei tre regni’. Non lontano dalle mura di Enna c’è un lago che si chiama Pergo, e un bosco fa corona alle acque. Qui la primavera è eterna. In questo bosco Proserpina si divertiva a cogliere viole e candidi gigli quando Plutone – fu quasi tutt’uno – la vide, se ne innamorò e la rapì. Intanto Cerere angosciata cercava invano la figlia, per ogni terra, per ogni mare. Essa accese alle fiamme dell’Etna due torce di pino e vagò senza requie. Troppo lungo sarebbe dire per quali terre e per quali mari la dea errò. Non aveva più mondo da gira- re. Ritornò in Sicilia e qui capì che la figlia era stata rapita. Inveì contro tutte le terre chiaman- dole ingrate e indegne del dono delle messi, soprattutto la Trinacria, dove aveva scoperto la traccia della disgrazia. La fertilità di quella regione, decantata in tutto il mondo, è smentita e distrutta. Interviene allora Giove, facendo da mediatore tra il fratello e l’afflitta sorella, e divi- de il giro dell’anno in due parti uguali: ora Proserpina, divenuta una divinità comune ai due regni, sta tanti mesi con la madre e altrettanti col marito». Questa una breve sintesi dei versi 341/571 del libro V delle “Metamorfosi” di Ovidio, un libro che narra della nascita qui, in que- sti luoghi, della civiltà agricola, di quell’umanità che poi sarebbe stata genitrice della civiltà occidentale. Qui insomma, grazie al dono di Cerere, o della Madre Terra se vogliamo essere più realistici, continua il suo processo evolutivo l’Homo Sapiens i cui eredi in loco si chiamano in basso, a sinistra, il lago di Pergusa Sicani e Siculi. Ed è qui, in questa terra nera feconda di messi, che giungono le grandi civiltà mediterranee del nostro passato remoto, dai Greci ai Romani, tutti “viaggiatori” di un turismo a destra, Piazza Armerina, ante-litteram che portava tra le braccia della Trinacria devoti in cerca di templi in cui pregare, la Cattedrale e Palazzo Trigona re in cerca di ricchi possedimenti da conquistare, e semplici contadini in cerca di buona terra nella pagina accanto, il teatro da coltivare. E di tutti questi visitatori, come in un moderno libro delle firme, ci è rimasta testi- greco di Morgantina, Aidone monianza nelle pietre, nelle case, negli oggetti che ci hanno lasciato.

2 27 I mosaici della Villa del Casale

in basso, a sinistra, Gli esperti si perdono nello studio minuzioso dei milioni di tesseri- una delle sale ne che pavimentano la villa romana del IV secolo d.C. A noi di tutta questa “tecnica” poco importa. Qui, appollaiati sulle passerelle che a destra, il Grande Peristilio, la vasca centrale circondata ci innalzano a guardare i pavimenti da una prospettiva un po' da un ricco colonnato distorta (indispensabile però al mantenimento di tanta bellezza), quando il vociare allegro dei turisti si arresta per un sobbalzo di nella pagina accanto, meraviglia, ci sembra di sentire gli schizzi d'acqua che provengono “Donne in bikini” dalle stanze delle terme, piacevoli suoni di giochi e di gocce che si alternano con i risolini smorfiosi delle donne che fanno da preda amorosa al cacciatore prescelto. Ecco, i giovani amanti hanno per- corso il corridoio, inciampando nella servitù complice e in un cane che sbuca, timido, dalla corte. Questo è il segno che il signore della casa è rientrato dalla caccia, e adesso porge il frutto del suo sport al fido cameriere che, con un mezzo sorriso, già pregusta il sapore dell'innocuo furto culinario che lo attende in cucina. I giovani amanti tacciono nell'ombra di una stanza là in fondo, mentre amo- rini rubicondi li spiano maliziosi; il signore e i suoi ospiti si stanno intrattenendo al suono di ballerine leggiadre, mentre le donne – ultimate le loro tolette – si dirigono nel triclinio, per accogliere mariti ed amici sollevando i calici… una scena tratta dall’Ambulacro della Grande Caccia 2 29 Morgantina

Nel 211 a.C. Tito Livio la iscrisse nell’elenco delle città “ignobili” di Sicilia; all’inizio dell’età imperiale Stradone dice di lei che “una volta esisteva, ma ora non esiste”. Due illustri uomini del passato che dal passato continuano a testimoniare dell’incredibile destino della bella Morgantion, invidiata (sorgeva alta, protetta dalle ripidi pareti della rocca su cui si arrampicava, ricca di acqua e di terre fertili, al centro di tutte le vie di comu- nicazione dell’antica terra dei Siculi di tremila anni fa) da tutti i potenti di quel passato burrascoso e troppo bellicoso. Di Morgantina, fino a cinquant’anni fa, si conoscevano solo le descrizioni degli antichissimi stori- ci – come abbiamo visto, non sempre erano apprezza- menti –, descrizioni minuziose perché ricca e potente era questa città greca. Fino a cinquant’anni fa, quindi, il nulla, a parte la mezza leggenda della sua esistenza. Poi, gli archeologi Sjoqvist e Stillwell (Università statu- in alto, l’agorà nitense di Princeton) riuscirono a scavare nel posto giu- sto e le mura tanto invise al geloso Ippocrate, al siracu- sano Dioniso, al despota Timoleonte e a molti condottie- ri romani tornarono alla luce, restituendoci oggi l’essen- za dalla sua eterna bellezza.

a destra, resti di abitazione nell’area archeologica

...e la sua Venere

È ancora esposta nelle ampie sale del Getty Museum di Malibù e, con i suoi due metri d’altezza e più, rappresenta splendidamente i tesori di Sicilia. È la Venere di Morgantina, prezioso reperto archeologico che ha attraversato l’oceano senza avere tutti i documenti a posto. Purtroppo l’acquisto del museo statunitense ha le carte in regola e fino a pochi mesi fa le speranze di riavere il “nostro” capolavoro erano davvero scarse. Però… però adesso se ne sta discutendo. Proprio così, potrebbero prendere avvio nell’immediato futuro gli accordi necessa- ri per aver restituita la statua in tufo calcareo (me le membra e la testa sono in marmo), databile tra il 400 e il 425 a.C., che continua ad indos- sare con straordinaria eleganza le sue vesti bagnate mosse dal vento. E chissà se un giorno, magari non lontano, questo vento non sia il nostro Zefiro… 2 31 le fornaci 2 33 Il museo archeologico di Aidone

Nella secentesca sede dell’ex Convento dei Padri Cappuccini si raccoglie la storia dell’antichissima città di Morgantina, dall’età del bronzo fino a quella roma- no-repubblicana. Seguendo l’ordine cronologico, e con il supporto di pannelli e carte topografiche, si potranno ammirare le testimonianze rimaste dell’antico insedia- mento preistorico e protostorico, rivivere gli impianti urbanistici della Morgantina greco-arcaica e quella elle- nistico-romana, ma, a partire dalla sesta sala, si potrà ammirare la splendida sezione dedicata alle monete, il racconto della storia degli scavi, il plastico della città nel momento del suo massimo splendore e ogni sorta di reperto che ci riporta alla vita quotidiana di duemi- la anni fa. Da non perdere i reperti datati XIII secolo a.C. (otre tremila anni fa!), ritrovati sul colle della citta- della, quando – e qui siamo tra storia e leggenda – la città venne occupata dai Morgeti.

busto fittile raffigurante Persephone (III secolo a. C.), Museo Archeologico di Aidone

testimonianze di antiche costruzioni rupestri a Pietraperzia 2 35 I misteri di Pietraperzia

Non dovremmo dirlo, ma a Pietraperzia si può essere re o gran sacerdote. E si può navigare con lo sguardo lungo tutta la valle che ci si apre innanzi, vasta e ricca e prodiga, “nostra” per il sogno di un attimo. Questo è quanto scivola tra la pelle e l’anima quando si giunge davanti ad uno dei misteri più grandi dell’archeologia siciliana, quel seggio rituale in Contrada Balati che fa di Pietraperzia un luogo davvero tutto da scoprire. Perché non c’è solo questo enorme sedile, con tanto di spallie- ra e braccioli scolpiti nella pietra, ad accendere la nostra curiosità. C’è persino una piramide che tanto ricorda l’egizia di Zoser, a questa molto simile nei gra- doni in pietra, qui ormai parte della natura, conquista- ta e fratturata dalla vegetazione. E passando oltre alle “comuni” tombe a grotticella di Contrada Tornambé- Fastuchera, preferiamo soffermarci con queste poche righe sul cosiddetto Cuddaru du Crastu, una torre sca- vata naturalmente nella roccia dagli agenti atmosferici che ha costituito, in epoche remote, l’allocazione per- fetta per tre grosse cisterne. Una scala, intagliata nella pietra dalla mano dell’uomo, conduce fino alla cima da cui è possibile – oggi - solo intuire gli ambienti che dovevano aprirsi al di sotto della roccia. Il tutto, all’om- bra di un mandorlo che ha trasformato una delle cister- ne in originale vaso.

la piramide di contrada Cirumbelli I segreti di Troina e Centuripe

Si tratta di Imakara, la città greca menzionata da Cicerone nelle sue Verrine, oppure è l’antica Engyon, distante - come sostiene Diodoro Siculo – 100 stadi da Agira? Fosse quest’ultima, visitando gli scavi archeolo- gici di Troina ci troveremmo di fronte ad una delle sco- perte più importanti del secolo: Engyon, sede del tem- pio dedicato alle Dee Madri. E di questo tempio resta l’atrio, alcune stanze oltre ad altre parti oggi nuova- mente interrate per mantenerne intatta la conservazio- ne. Alla luce del sole, invece, ciò che resta dell’impian- to termale del periodo romano e delle mura elleniche (IV- III secolo a.C.), così come in bella vista si erge l’Augustales a Centuripe, probabilmente edificio pub- blico dell’età imperiale, così ricco di statue ed effigi degli imperatori. Mentre la necropoli di monte Muanà (Troina) ci riporta indietro nel tempo, il ninfeo in Contrada Bagni (Centuripe) ci accoglie con le sue imprevedibili fughe prospettiche, riecheggiando degli allegri zampilli d’acqua che dalle sue cinque nicchie proiettavano arcobaleni di gocce sul bellissimo fronte di mattoni. E in entrambi le cittadine, tracce della vita indigena nelle tombe di cui le necropoli recano oggi solo mute cavità.

statua di calcare di divinità femminile, acefala Sala “Serra Orlando”, Museo Archeologico di Centuripe

a sinistra, la Cattedrale di Troina 2 37 Calascibetta,4.000 anni fa

In quel di Calabiscetta, il sito archeologico più famo- so è senza ombra di dubbio quello della necropoli realmese, più famosa ma anche più “moderna” visto che si fa risalire al periodo compreso solo tra il IX e l’VIII secolo a.C. Si tratta di circa 300 tombe a grotti- cella che dovevano sorgere nei pressi del villaggio siculo che per quasi tremila anni ha custodito mone- te, manufatti e gioielli adesso conservati dai musei siciliani. Certamente più affascinanti, perché datano al secondo millennio a.C., la necropoli di Malpasso ed i resti delle abitazioni che in questa zona sono state scoperte. L’aspetto più intrigante è che la strut- tura delle tombe non ha eguali in tutta l’Isola, riman- dando ad esempi presenti in Sardegna e a Malta: si tratta di tombe cosiddette “a grappolo”, che si svi- luppano, cioè, lungo una teoria di stanze comunican- ti tra di loro, aperte su diversi piani all’interno della rocca. Ed è proprio questo l’indizio che più lascia supporre che si tratti della testimonianza di una popolazione che qui ha abitato non oltre l’età del bronzo. Non meno interessanti le 130 tombe a grotti- cella della necropoli di Cadarella – sempre dell’età del bronzo - dove sono state rinvenute ceramiche e fibule simili a quelle della siracusana Cassibile.

sopra, la necropoli realmese (VIII secolo a.C.)

Archeologia del futuro

Non possiamo sapere cosa pensasse l’uomo preistorico quando dipingeva sulle pareti delle grotte quel suo mondo fatto di animali enormi, di tele di ragno e di piante fiorite. Non lo sappiamo, però è certo che il palmo della mano in ocra rossa o in grigio cenere ci testimonia della sua presenza, della sua vita, del fatto che quell’uomo avesse un nome e un ruolo nella sua società alla quale, grazia a lui e ai suoi disegni, oggi possiamo guardare con occhi stupiti. Allo stesso modo, non sappiamo cosa potranno pensare le future generazioni, quelle che ancora non sono neppure ipotizzabili, quando avranno la possibilità di “scoprire” gli affreschi che oggi illuminano la Chiesa di San Giuseppe a Nissoria, affreschi che racconteranno a questo lon- tano futuro delle nostre feste tradizionali, leggendo attraverso i segni del pittore – oggi contemporaneo – Elio Romano la par- tecipazione popolare ai riti religiosi, con gli stessi sentimenti e le stesse emozioni che noi oggi possiamo condividere parteci- pando. È un grande affresco (che sottintende una delle tecniche pittoriche più difficili, essendo impossibile recuperare ad eventuali errori) che occupa tutta la facciata interna della parete anteriore della Chiesa Madre, un vero capolavoro di arte ma anche di sentimenti genuini e profondi. 3 “Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori, le cortesie, l'audaci imprese io canto…” inizia l’Ariosto per narrarci di un mondo lontano eppure così presente, ancora, in questa nostra terra ricamata di merli e rocche turrite, castelli di roccia e ponti e manieri che s’ergono austeri sulle colline, negli spigoli dei monti, tra le pianure riarse dal sole e scompigliate dal vento. Un poema epico che, pur lontano nella nostra memoria di ado- lescenti distratti da mille luccichii del quotidiano, ritorna prepo- tente proprio tra queste strade, proprio all’avvicinarsi di que- ste cittadine che così bene avrebbero potuto essere scena e protagonisti di questi versi. In quello che – a torto- viene ricor- dato come il periodo oscuro della nostra storia, qui le armi scintillavano e le dame frusciavano con le loro vesti i corridoi delle loro magnifiche fortezze medievali. Sperlinga, Nicosia, Cerami, Troina e Gagliano Castelferrato, con i loro castelli, rac- contano quella storia che si genera dalle rovine del periodo greco-punico-romano e arabo, quel periodo di arte e cultura e giostre e guerre che piantò, con le dominazioni normanna e sveva, il seme della nostra storia più recente. Delle audaci imprese

3 41

visitarle oggi, così placidamente intessute nella campagna ennese, queste cittadine sembrano appartenere ad una dimensione diversa, come se, ad un certo punto della Storia, si fosse aperto un varco tem- porale tra questo e un altro mondo parallelo, operando uno scambio con paesi gemelli ma di ben altra origine. Perché questo silenzio, que- Asta pace bucolica che si tocca fisicamente affacciandosi ai tanti belvedere, non si sposa affatto con la storia antica di queste fiere roccaforti medievali che per secoli hanno combattuto e dife- so il territorio sotto il comando di signori e nobili e re. Edificati per la difesa delle strade com- merciali e militari che collegavano i grandi porti siciliani tra di loro, questi castelli e queste città erano chiamati a difendere anche tesori preziosi come le messi e l'acqua, qui davvero abbon- dante. Storie di culture e di armi che si incrociano, lasciando, le prime, grandi opere che gran- de hanno fatto il carattere di questi uomini (da qui la Storia complessa e ricca di questi luoghi), le seconde, le tracce aspre e potenti di fortezze e manieri. Sperlinga, che deve la sua nascita ad una decina di soldati angioini in forza al terribile castel- lo, porta nel linguaggio tracce ancora vive della conquista dei popoli nordici, parlandosi qui, come a Nicosia, Piazza Armerina e Aidone, il dialetto galloitalico. Ma è il Vespro (siamo nel XIII secolo) a far entrare di forza, è il caso di dirlo, questo piccolo borgo nei libri di Storia, per- ché qui si asserragliarono gli Angioini che vi resistettero per circa un anno, grazie anche, come leggenda narra, agli aiuti che giungevano da Nicosia. Nicosia, poi, ce la descrive in modo abbastanza romantico Diodoro Siculo, parlandoci di una “vetusta città di Sicilia, edificata dai Greci, abitata da Romani, distrutta da Barbari, dagli Erbitesi ristabilita, da Normanni e Lombardi accresciuta...", tracce di battaglie che lasciano il racconto della loro reale esistenza nello splendido Tectum Depictum della cattedrale di San Nicolò, un palinsesto completo di ciò che era la vita quotidiana nella Nicosia medievale. Poi la greca Cerami con la leggenda di Sorleone, nipote di Ruggero, il cui cuore venne mangia- to dagli Arabi conquistatori per assorbirne il coraggio, e l'antichissima Troina (la sua origine parrebbe risalire al 6000 a.C.), avamposto di Ruggero per la Campagna di Sicilia, prima capi- tale normanna dell'Isola impreziosita da chiese, palazzi e ville. E via via il castello Barresio di Pietraperzia, con quella sua base forata da antiche grotte, o l'imponente Aragonese di Piazza in basso, Armerina, chiuso da possenti mura e aperto al cielo come se il tetto non fosse riuscito a conte- il castello di Sperlinga nerne la storia. Davvero tanti i siti fortificati da visitare in questa splendida provincia che, per nella pagina accanto, il castello di fortuna, in molta parte conserva nel cuore delle sue città interi quartieri medievali ancora Sperlinga, le antiche scuderie intonsi.

3 43 Castello di Sperlinga

in basso, veduta notturna Fa paura il castello di Sperlinga. Perché è inatteso, confuso con le del castello (1132) linee aspre della rocca all'interno della quale è scavato. Bisogna arrivare proprio sotto il suo enorme zoccolo di pietra per capire nella pagina accanto, una delle cisterne quanto è grande, quanto è forte, quanto è imponente. E, una volta per la raccolta delle acque giunti lì sotto, si avverte ancora un'antica sensazione di impotenza, la stessa che devono aver provato tutti gli antichi nemici della gente di Sperlinga. Costruito forse prima ancora del 1132 (questa è la data della prima notizia sulla fortezza), vi si accede per la stessa millenaria ripidissima scala intagliata nella dura roccia, alla cui sommità, prima di lasciarsi conquistare dal ponte levatoio, si resta di stucco per l'incommensurabile panorama. Dall'altro lato, l'inter- no del castello, tutto giocato tra il buio delle grotte e la luce abbaci- nante delle aperture. E se ai suoi piedi vince il timore, qui, all'om- bra delle sue volte, ci si sente invincibili. E diventa palese, da qui, come mai “Quod Siculis placuit, sola Sperlinga negavit” (Ciò che piac- que ai Siciliani, solo Sperlinga negò). Nicosia, Cerami e Troina

Se solo due torri ci restano del castello di Troina, la cui origine risale al VI secolo a.C. (la torre campanaria della Matrice e la torre di Via Ruggero), se poche, emozionan- ti tracce d'arenaria ci raccontano l'incredibile storia di Cerami, diverso è il discorso per Nicosia, “Castello magnifico dei più superbi” come lo vede Abou- Abdallah-Mohammed al-Edrisi, il geografo arabo che visitò la Sicilia al tempo della conquista musulmana. Questa fortezza, oggi perfettamente inserita all'interno di una scenografia naturale fatta di piante, radici, rampi- canti e pietre e rocce - dove si è persa la traccia del dove inizi l'arte umana e dove finisca la creatività della Natura - venne definita da Tommaso Fazello “oppidum Sarracenorum” ossia “roccaforte dei Saraceni”, dando ad intendere con ciò quanto di più inespugnabile si possa pensare. Ancora fiero dei suoi archi e del suo stupendo ponte, il Castello si mimetizza alla perfezione con la cre- sta della collina su cui sorge, e la sua torre, dai merli divelti dal Tempo, oggi è perfetta estensione della roccia che la continua a sostenere da circa un millennio. lo stemma degli Altavilla sulla torre campanaria della Chiesa Madre di Troina

in basso, veduta del SS. Salvatore di Nicosia 3 45

veduta di Gagliano Castelferrato e della rocca con il castello Gagliano Castelferrato

È quasi un incontro ravvicinato del terzo tipo quello con questo gigante dell'architettura castellana, dai cui fori, sparsi per tutta la sua incredibile altezza (ben 104 metri!), ci aspettiamo da un momento all'altro l'affacciarsi di un alieno, che provenga da Marte o dall’XI secolo non fa differenza. Enorme rocca sulla quale si abbarbica il centro abitato, "… derivasi come appare dai ruderi, aver compreso un tempo la medesima rocca cinque torri, dodici fosse e cisterne, diciassette spelonche da congres- so, trenta aule e più, nella maggior parte nel vivo sasso incavate", ci racconta l'abate Vito Amico, una vastità in cui a noi piace sottolineare l'astuzia della porta falsa, proprio all'entrata, che, anziché immettere all'interno della fortezza, si apriva sul bur- rone che difendeva il versante opposto del maniero. Vista tutta questa magnificenza, è ovvio che Gagliano abbia mantenuto, nel suo nome, l'omaggio al Castello di Ferro, così detto per la sua inespugnabilità. Aidone, Agira, Assoro

Bastano questi scorci di muri, queste torri, a pianta quadrata o mor- bida e rotonda (come quello detto dei Ventimiglia di Assoro), a incutere rispetto, quando non timore. Per queste tre fortezze pos- siamo darvi solo pochi cenni, chè a volerne discutere a sufficienza si riempirebbero interi volumi. Quindi facciamo i turisti e ammiria- mo il castello Saraceno di Agira, costruito nel X secolo, prima della conquista normanna. E, guardandolo, non è difficile capire perché nel 1272 il maniero figurava come una delle fortezze più efficienti della regione. In cima, una chiesa che, si dice, occupi quella costrui- ta da S. Filippo. Solo un “mozzicone” di torre resta dell'imponente castello di Gresti, tra Aidone e Valguarnera, anch'esso edificato nel X secolo e da troppe famiglie, nel corso della storia, reclamato. Il risultato è davanti ai nostri occhi, in quello splendore solitario che sembra aggrapparsi, oltre che alla rocca, a tutta la dignità delle sue pietre. E poi il magnifico castello dei Valguarnera ad Assoro con i suoi muri che sembrano piegarsi dolcemente al vento, mentre le orbite vuote delle sue finestre guardano con severità la valle. Ma è la torre, morbida in quella suo base ovoidale, ad addolcirne lo sguardo, fiera nella sua unicità di torre albarrana in terra di Sicilia.

il castello di Gresti o Pietratagliata 3 47

da sinistra, il Duomo di Piazza Armerina e il castello di Pietraperzia

Centuripe e Leonforte, Piazza Armerina e Pietraperzia

È detto Castello di Corradino, ma è un fortilizio di età romana (II secolo d.C.) usato da Corrado Capece per difendere Centuripe dagli Svevi. Allo stesso modo, il castello di Tavi di Leonforte, u'Castiddazzu, deve il suo nome all'uti- lizzo difensivo fattone dagli Svevi. Anche il castello di Guzzetta, sempre a Leonforte, ricalca la stessa storia. Ma a Leonforte è doveroso ammirare anche lo splendido secentesco Palazzo Branciforti, che conta 365 stanze e che in uno dei saloni può contenere fino a 400 persone. Hanno firmato il libro degli ospi- ti sia Giuseppe Garibaldi che il re Vittorio Emanuele con la consorte Anna (e tutta la corte al seguito). Castello di nome e di fatto è l'Aragonese di Piazza Armerina (XIV secolo), massiccio e imponente e in perfette condizioni anche perché è stato più volte rimaneggiato per farne prigione. “Robusto castello e ben saldo fortilizio” era per Edrisi il castello di Barresi, a Pietraperzia. Frutto dell'opera di maestranze islamiche, in effetti questo è un maniero straordina- rio, per di più visitabile in tutte le sue parti, donato alla famiglia Barresi, nel 1200, da Federico II. Le sue rovine sono giunte a noi in buono stato anche per- ché anch'esso è stato adibito a carcere. il castello di Gresti o Pietratagliata 3 49 Il Tectum Depictum

“Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci impre- se io canto…”. Così abbiamo iniziato questo capitolo e lo facciamo riprendendo l’Ariosto che tanto avrebbe apprezzato quest’opera pittorica. È la tela di mille cantastorie che hanno fissato, nei legni del tetto della cattedrale di S. Nicolò (a Nicosia) quella che perfet- tamente viene ritenuta una “fantasiosa enciclopedia visiva medie- vale”. Alle maestranze del luogo, che bene hanno imparato la lezione araba ma che non possono non rifarsi allo stile angioino, si deve questo incredibile affresco quattrocentesco di mille momenti quotidiani degli anni medievali, con fanciulle che sorridono, uomini che ammiccano, servi che non approvano gli ordini ricevu- ti, donne in preghiera e uomini in caccia. Il tutto inserito in un con- testo di colori vivi e scintillanti, come vuole la tradizione popola- re, segno che qui non si rappresenta una realtà virtuale, ma tante piccole storie vere, magari rubate proprio agli angoli delle strade di questa Nicosia medievale. E alla semplicità di questi tratti – bel- lissimi proprio per questo – si contrappone la commovente incoro- nazione della Vergine che reca ancora oggi, in ogni suo tocco di colore, la profonda fede di chi l’ha dipinta.

la Cattedrale di San Nicolò a Nicosia

nella pagina accanto, veduta di Calascibetta

La Storia tra la gente

Fino ad ora abbiamo raccolto le storie delle grandi costruzioni, dei manieri e delle torri, e, prima ancora, le storie più sommesse delle testimonianze archeologiche. Ma di storie se ne possono ascoltare, è il caso di dirlo, ad ogni angolo di strada, all’ombra degli archi e dei muri in pietra che popolano i centri cittadini della gran parte delle città ennesi. Quartieri arabi che si intersecano con quelli normanni, confluendo, a volte, in quartieri ebraici (come quel- lo di Calascibetta); viuzze che si inerpicano sulle rocche aggrappandosi con i loro gradoni, con i loro archi sospesi tra i palazzi e la storia, che sono state percorse da uomini in armi e da provetti architetti, così bravi da tramandar- ci, mille anni dopo, i loro scacchi urbanistici. Così i centri storici di Piazza Armerina, di Sperlinga, di Cerami, di Leonforte, di Gagliano Castelferrato, di Troina, di Nicosia – solo per menzionare i più grandi -, sui quali prospetta- no, come è giusto che sia, torri e palazzi ancora oggi in uso. Da qui, un percorso “medievale” nella provincia enne- se non si può seguire gardando solo ai singoli edifici, ma – lasciateci dire – guardando con rispetto anche alla stra- da che ci scorre sotto ai piedi. 3 51 Il volto segreto di Sicilia Sette sono le riserve naturali che impreziosisco- no il territorio ennese di animali, piante e fiori delicati. Sette versi di una preghiera che non ha parole né rime, ma che incanta il cuore e gli occhi ogni volta che la strada si allarga verso un bosco, verso una pineta, verso le pendici affolla- te di alberi di un monte, verso il placido specchio d’acqua di un lago. Qui i laghi sono sei mentre tre sono i fiumi che incorniciano questa florida provincia. E dove la Natura cresce indisturbata, ecco che ci sono aironi e falchi, ci sono orchidee e farfalle, ci sono silenzi e ombre che riscaldano l’anima come non si ha più l’abitudine di sentire. Monte Sambughetti e Campanito, Monte Altesina, Monte Capodarso e Valle dell’Imera meridionale, il lago di Pergusa, i Boschi di Rossomanno, Grottascura e Bellia, il Vallone di Piano della Corte e le Forre laviche del Simeto sono le Riserve naturali già istituite, tutti gli altri pezzetti di paradiso che andiamo a scoprire sono, invece, dei veri e propri saggi di ciò che di incantevole può nascere quando la saggezza dell’uomo sposa le regole naturali di questo pia- neta. Ed è così che, armati di binocolo e scar- poncini, percorreremo una “tangenziale della natura” che farà tappa lungo tutta l’area enne- se, qui dove la storia si propaga come le radici nella terra, e che germoglia come petali delicati ad architettura dell’uomo e della Natura, qui, come difficilmente altrove, in perfetta, armonica convivenza. 4

4 55 « on lontano dalle mura di Enna c’è un lago che si chiama Pergo; l’ac- qua è profonda. Neppure il Castro sente cantare tanti cigni sopra le onde della sua corrente. Un bosco fa da corona alle acque, cingendo- le da ogni lato, e con le sue fronde fa schermo, come un velo, alle vampe del sole. Qui la primavera è eterna (…)». Ne sono passati di Nanni, di millenni a dire il vero, ma il quadro che dipinge Ovidio (Metamorfosi, V, 385-391) risplende ogni giorno in quel di Pergusa. Strana provincia questa ennese, portatrice di messi abbondanti, tanto da dorare l’aria, motivo per cui nell’immaginario diventa assolata e arida, incredibilmente verde e fresca tutt’intorno alle valli del grano, mentre l’acqua dei suoi fiumi e dei suoi laghi gorgoglia allegra, quasi non si fosse in Sicilia. Ebbene, no. Questa è la Sicilia, questa è la faccia nascosta di quest’Isola “ferace” per Omero, quella Sicilia che fa esclamare a Goethe «L’Italia senza la Sicilia non lascia immagine nello spirito: la Sicilia è la chiave di tutto (“Viaggio in Italia” 13 aprile 1787); quell’isola salutata dal Pascoli con un «Salve o Sicilia! Ogni aura che qui muove pulsa una cetra od empie una zampogna e canta e passa… io ero giunto dove giunge chi sogna (da “L’isola dei Poeti”). Persino il drammaturgo ceco- slovacco Karel Capek, l’inventore della parola “robot” per intenderci (oltre che autore de “L’affare Makropulos” e di “RUR”) scrive «L’influenza della cultura spagnola è l’ultima della serie, la prima è quella greca, la seconda e la terza sono saracena e normanna; il Rinascimento l’ha sfiorata soltanto. E adesso annaffiate queste diverse componenti culturali con il sole abbagliante, con la terra africana, con un mucchio di polvere e con vegetazione bellissima e avrete la Sicilia». E la provincia ennese, cuore mediterraneo, è tutto questo. Nelle sue contraddizioni di boschi fitti e di terre bruciate dallo zolfo, di laghi brillanti e di terre riarse, di colline ferme di grano tagliato e di fiumi veloci. La Sicilia del mare e del chiassoso brusio dei bagnanti qui è lontana. Non ci sono le grida dei gabbiani, ma il silenzioso volo dei falchi e delle aquile; non c’è il suono pagano dei clacson, ma quello gentile dei passeri che si inseguono tra gli alberi. E non c’è specchio d’acqua che non sia un pullulare variopinto di in basso, veduta delle colline farfalle, e non c’è fiume senza la sua garzetta dalle gambe lunghe. Persino i corvi e le gazze, vicino Leonforte luttuosi nel piumaggio, ci accompagnano con il loro allegro rincorrersi – sembra che giochi- nella pagina accanto, no a nascondino tra di loro e con noi – finché la loro presenza non diventa quella di curiosi boschi innevati maggiordomi pronti ad aprirci le porte di questi paradisi ennesi.

4 57

Sambughetti-Campanito e l’Altesina

Tra le vette che circondano Nicosia, Leonforte e Cerami si estendono le due riserve naturali che offrono della Sicilia forse la faccia più inattesa. I loro boschi fittissimi, con i ciclamini a cercare luce per le loro corolle purpuree, trasportano i visitatori in un ambiente più alpino che isolano. Sul Monte Sambughetti vive il relitto di una faggeta che si è costituita in epoca glaciale e, non avendo dovuto sopportare l’intervento dell’uomo, offre lo spettacolo fantastico di alberi anche molto, molto vecchi, ricoperti di muschi e licheni, mentre le felci si allargano alla base dei loro tronchi. Poi quassù c’è la Suvarita, l’area delle sughere più “alte” dell’isola: siamo a 1.000 metri sul livello del mare. Volpi, gatti selvatici e donnole cercheranno di non farsi vedere, ma se siete fortunati vi imbatterete nella cincia bigia, simpatico uccelletto endemico di questi boschi. Tra la fitta vegetazione di Monte Altesina, invece, nidifica lo sparviere, un rapace che, se ha un aspet- to meno “simpatico” della cincia, conferma la “buona salute” dell’area. Lo splendido lecceto del Monte, poi, è davvero uno spettacolo, in qualunque stagione ci si venga. Il picchio rosso mag- giore ci calamita con la sua strana postura e il falco pellegrino si lascerà osservare mentre com- pie i suoi bellissimi voli a planare. Monte Capodarso e Valle dell’Imera Meridionale

Alle falde di un monte ricco di testimonianze archeologiche, tra i territori di Enna e Pietraperzia, lungo il corso di uno dei fiumi più importanti della Sicilia. Ecco dove siamo quando parliamo di questa riserva, oggi fruibile in molte delle sue parti… a patto che si rispetti quel delicato equilibrio che impone Madre Natura. Qui, infatti, tra le acque torrentizie degli affluenti del fiume – detto anche Salso perché portatore dei sali delle miniere di zolfo di cui è ricca la zona -, i saltelli e i meandri, vive una ricchissima popolazione animale. Certamente la più appariscente è quella degli uccelli. Aironi, garzette, falchi di palude, cava- lieri d’Italia, folaghe e germani – solo per citarne qualcuno – zampettano tra cardi e violacciocche, disturbando il placido tran tran delle specie che hanno eletto i canneti a loro dimora. Proprio tra queste canne vive il timidissimo colubro di Esculapio, chiamato anche saettone: è un serpente che può crescere fino ai due metri di lunghezza ma è assolutamente inoffensivo. In alcuni fossati, poi, l’incontro con la placida tartaruga di palude è garantito.

Le Forre Laviche del Simeto

Le lave basaltiche si sono arrese, anche qui, alla furia delle acque del più grande fiume siciliano, il Simeto, che qui ha creato uno dei paesaggi più spettacolari che la nostra Natura sicula possa offrire. È tutta una serie di ingrottamenti, di cascatel- le, di forre e di laghetti che, proprio per la loro unicità, oggi si ritrovano ad essere sotto la “massima protezione” dell’omonima Riserva naturale. Tra i territori di Centuripe ed Adrano si apre, dunque, un paesaggio selvaggio e rumoroso, capa- ce di sopravvivere a tutte le temperature del luogo, comprese quelle caldissime dell’estate e quelle veramente rigide dell’inverno, grazie alla particolare specializ- zazione dei suoi abitanti. C’è l’oleandro, ad esempio, che riesce a mettere radici anche tra queste rocce scure, ci sono gli asfodeli e i papaveri, e ci sono le solite lucertole, tra cui l’endemica wagleriana, e il simpatico discoglosso dipinto, una rana – anch’essa tipica del territorio siciliano - i cui colori anfibi sembrano disegna- ti da un esperto in tattiche militari. Indubbiamente la parte più straordinaria di queste forre è rappresentata dalla geologia del luogo, dalla presenza delle lave dalle forme poligonali tra le più strane, molte delle quali ottenute dalla sovrappo- sizione dei prismi basaltici. Davvero tutto un altro pianeta. 4 59

Il Vallone di Piano della Corte

Il torrente che porta le sue acque al fiume Dittaino ha scavato, nel corso dei millenni, un vallone che, per via delle sue pecu- liarità geologiche e naturalistiche, si è meritato l’elezione a Riserva Naturale Orientata. Parliamo del Vallone di Piano della Corte in territorio di Agira, spettacolare nelle sue forre, ossia “costruzioni” per erosione che assumono forme incredibili, tanto frastagliate e contorte che fanno ribollire l’acqua del torrente che vi continua a scorrere sopra. Sì, perché le acque, soprattut- to nel periodo invernale, continuano a riempire l’aria di spruzzi freddi, mentre in estate si ingrottano in più punti, “manovra” favorita dalla struttura geologica del terreno. Lasciando ai geologi la sorpresa di scoprire tutte le peculiarità di questo vallo- ne, noi ci godiamo ciò che più immediatamente ci conquista: la flora. Qui i pioppi si accompagnano al biancospino, la rosa selvatica allo stracciabraghe, la tamerice al giunco, coprendo quasi per intero lo schema delle specie tipiche dell’Isola. Ancor più particolare la fauna, dove compare la lucertola endemica Siciliana, la Podarcis sicula wagleriana, e il codibugnolo siciliano, il simpatico uccelletto dalla lunga coda che, pur essendo il volatile più rappresentativo dell’Isola, è purtroppo presente nella Lista Rossa degli animali in pericolo di estinzione.

da sinistra, il Vallone di Piano della Corte e le “pietre incantate” o “pupi ballerini” nella riserva di Rossomanno Grottascura e Bellia

I boschi di Rossomanno, Grottascura e Bellia

A parte la ricchezza della sua flora e della sua fauna, la riserva naturale costituita da questi boschi ha una peculiarità, davve- ro unica in tutta l’Isola: l’erosione dell’acqua e del vento ha scolpito delle stranissime forme nella roccia che, per la sua con- formazione, si mostra in tutto il suo bel giallo dorato delle sue sabbie. Insomma, venire da queste parti (siamo nel territorio che si estende tra Piazza Armerina, Valguarnera e Aidone) è come fare una passeggiata in un mondo dorato. E vi consiglia- mo di guardarvi bene attorno e di non perdere la più forte curiosità della riserva. Parliamo dei “pupi ballerini”, una specie di cerchio magico, anch’esso il risultato della forza erosiva degli elementi naturali, che ha generato leggende e storie, trasfor- mando questa manifestazione naturale nel sortilegio che ha pietrificato una danza sabbatica. Un’altra particolarità di questi boschi è che non sono naturali! Ovvero, fin dall’antichità l’uomo ha preferito piantare qui specie non autoctone, come il pino domestico e l’eucalipto, oggi veri padroni dell’area. Questi insieme con i tantissimi uccelli che, finalmente, hanno proprio qui il loro “ospedale”. La Lipu ha aperto, infatti, il centro di Recupero Fauna Selvatica munito delle più moderne attrezzature per la tutela e la cura dei volatili. Il lago di Pergusa e la selva pergusina

il lago di Pergusa

Oltre a Cerere e Proserpina, da queste parti vi cacciava Diana, o almeno così raccontano alcune leggende. Oggi la dea della cac- cia non popola più la selva pergusina, a pochi passi da Enna, ma il daino, l’animale che da sempre accompagna la presenza di Artemide, per fortuna sì. E questo soprattutto grazie al rim- boschimento che ha permesso a frassini, pini, olmi e cipressi, che qui crescono floridi, di coprire il suolo dalla vista acuta dei rapaci che sorvolano questo cielo, sopra un territorio in cui è possibile incontrare persino il lama andino. Non mancano alcu- ne grotte preistoriche visitabili grazie ad una scala naturale. Oltre il muro vegetale della selva, oltre la striscia d’asfalto del circuito automobilistico, ecco la Riserva Naturale del Lago di Pergusa dove, quando si placano i rumori delle affollate gare motoristiche – che qui conducono centinaia di sportivi ogni anno -, è possibile osservare aironi, garzette, chiurli e pavoncel- le. E negli ultimi giorni d’autunno ecco giungere moriglioni, alzavole e mestoloni. Abbastanza rara, ma non rarissima, la pre- senza di cigni reali e di fenicotteri. Per niente raro, invece, quel- lo strano fenomeno biochimico che tinge periodicamente di rosso le acque del lago: uno spettacolo impareggiabile. 4 61

Il Parco della Ronza e la querceta di Calascibetta

Ecco due parchi, per così dire, “cittadini” ossia quelle zone verdi che, pur non avendo perso nulla del proprio aspetto natu- rale, sposano perfettamente le esigenze generate dalla loro incredibile vicinanza con i centri abitati. Come la querceta di Calascibetta, proprio all’ingresso del paese, maestosa nella sua popolazione di alberi tanto vecchi da diventare ricordo delle generazioni passate, così forti da resistere alle tante capre che qui vengono a cercare ombra e vitto, così belli da richiamare qui il popolo dei gitanti, quelli che non perdono occasione per concedersi una gita fuori porta, lasciandosi sedurre da questo par- ticolare bosco che, per fortuna degli xibetani, è proprio a due passi da casa loro. Vicinissimo a Piazza Armerina, invece, è il Parco della Ronza, un ordinatissimo bosco ad eucalipti (in alcune zone la loro disposizione per file parallele ricorda le opere naturalistiche di Klimt) attrezzato per ospitare gitanti e turisti, completo di gri- glie per cuocere alla brace, tavoli e panche. Il tutto sotto la protezione del corpo forestale che provvede a far rispettare le norme più elementari della vita all’aria aperta, consentendo così che in questa area verde, così tanto frequentata, alberi ed ani- mali continuino a sentirsi a casa loro. Spettacolo fuori dal comune è quello delle “pietre incantate”, strane formazioni roccio- se che si “animano” grazie ai particolari giochi di luce che riescono a riflettere.

l’area attrezzata nel Parco della Ronza

4 63

Il lago Pozzillo

A pochissima distanza da Regalbuto si allungano le sponde di quel piccolo angolo di paradiso che è il lago Pozzillo. A dire la verità è uno dei più grandi laghi artificiali d’Europa, ma a stare cinque minuti assorti nella pace di questo luogo si ha la sensazione di essere lontani mille miglia da ogni caos, da ogni confusione, da ogni stress e da ogni problema. No, non c’è affatto silenzio qui, perché i tanti uccelli che hanno eletto il lago a loro residenza privilegiata non smet- tono di far sentire la loro allegra presenza, ma, nonostante il baccano, non sfugge il leggero guizzo della carpa a caccia sotto il pelo dell’acqua, o il tuffo della ranocchia, o il ronzio piace- vole della libellula. E mentre le farfalle ci svolazzano intorno per nulla preoccupate della nostra presenza, ci ritroviamo a seguire, deliziati, il movimento aggraziato di un’anatra che scodinzo- la nell’acqua. Il Dittaino, il Gornalunga e il Cerami dai mulini ad acqua

Lungo ben 110 chilometri, il fiume Dittaino è uno dei principali affluenti del Simeto e si snoda per quasi tutta la provincia ennese. È un fiume molto importante, quasi quanto il Gornalunga che, in tempi antichi, ha rappresentato una delle principa- li vie di comunicazione, lungo la quale, ad esempio, i Greci giunsero in quella che poi sarebbe divenuta Morgantina. Sono corsi d’acqua che si possono incontrare facilmente in quel di Troina e Cerami, e proprio lungo il fiume Cerami si può andare alla scoperta dei mulini ad acqua che sorgono lungo le sue sponde, un vero patrimonio di ingegneria idraulica “importata” con la cultura araba. Il primo a tracciarne una sorta di mappa fu il geografo arabo Ibn-Idris e, seguendo più moderne tracce, oggi è possibile ammirare ciò che resta dei Mulini Roccella, nei pressi del Vallone Marigreca. Un po’ più a valle è ancora impo- nente il Mulino Grande, seguito dal Mulinello e, oltre il Ponte Vecchio, si raggiunge il Mulino Sant’Ambrogio. Siamo già in territorio di Nicosia, ma dobbiamo spostarci in quel di Gagliano Castelferrato per ammirare i ruderi del Mulino Nuovo, in contrada San Giorgio. Da questi mulini, oggi nuovi supporti per radici e pianticelle di una natura che sta riconquistando ciò che l’uomo le aveva sottratto, dipendeva gran parte dell’economia della zona, tant’è che uno dei Mulini Roccella, il cosiddet- to Marigreca, ha funzionato per 150 anni ininterrottamente (1825-1975), presentandosi oggi ancora in buone condizioni.

Il lago Ogliastro e la diga Nicoletti

Tra Aidone e Barrafranca si trova il lago Ogliastro, bacino artificiale sul quale si allarga, soprattutto in primavera, una corona di campi punteggiati dal rosso dei papaveri. Alimentato dal Gornalunga, dal Belmontino e dal Rio Secco, è utilizzato per uso irriguo, ma le sue sponde così comode e pianeggianti rappresentano una fantastica meta per gitanti e viaggiatori. Amanti della pesca e appassionati di gite naturalistiche giungono a frotte anche nei pressi della diga Nicoletti, il cui bosco che ne deli- mita i confini è davvero da visitare. Se sotto il pelo dell’acqua nuotano indisturbati carpe, trinche e carassi, tra il verde del bosco si muovono placide volpi e donnole, oltre che i tantissimi uccelli che gradiscono – come l’uomo d’altronde – il clima mite e la ricchezza del luogo. Una piccola curiosità per gli amanti della pesca: a proposito di carpe, alcuni “fortunati” pesca- tori locali – così narra una leggenda – hanno tirato su un esemplare di ben 12 chili. Un perfetto biglietto d’invito per tentare di superare il record, non trovate? 4 65

I laghi Olivo, Morello e Ancipa

il lago Ancipa a Troina Quella ennese è la provincia più ricca d’acqua dell’isola. E questo, anche se l’avevamo già detto, è bene sottolinearlo come è d’obbligo sottolinea- nella pagina accanto, re l’importanza di alcuni laghi quali l’Olivo, ben 9 milioni di metri cubi uno dei torrenti che si snoda dal fiume Cerami d’acqua potabile, inserito all’interno di un contesto naturalistico spetta- colare, un vero paradiso per pescatori e naturalisti, ma anche per sempli- ci viaggiatori amanti dell’ambiente che non si vogliono perdere questa meraviglia custodita nel territorio tra Piazza Armerina e Barrafranca. Vicino Villarosa, invece, si apre un secondo lago artificiale, il Morello, le cui acque (ha una portata di 17 milioni di metri cubi) sono state utilizza- te per molto tempo per la separazione dei minerali metallici polverizza- ti (flottazione) estratti dalle vicine miniere. Le sue acque sono inutilizza- bili, ma l’area verde che lo circonda è bellissima. E a oltre 1.000 metri sul livello del mare si apre il lago “d’alta quota” dell’Ancipa, circondato da un bosco meraviglioso tra i comuni di Cerami e Troina, vero santuario di pescatori che, in uno scenario così incantato da sembrare uscito dritto dritto da una favola, gareggiano – in assoluto silenzio – ad accaparrarsi il luccio o la trota più grande. Ma anche se non siete fanatici di ami e lenze, trascorrere su queste sponde una giornata è come permettersi il lusso di “staccare la spina” dallo stressante tran tran quotidiano. il lago Morello a Villarosa 4 67 Terra vergine e scura, lontana dallo smog e dalle sorgenti d’inquinamento, da sempre regolata dalla saggezza contadina che semina e raccoglie e lascia riposare, che usa concimi naturali e che lascia pascolare il bestiame tra le vallate genero- se di questa provincia benedetta dalla dea dei cereali, colei che trasformò, come leggenda vuole, queste colline in veri mari d’oro che brilla- no al sole. Le cittadine ennesi sono tra i centri agricoli più importanti di tutta l’Isola non solo per il grano, ma anche per molti cereali, agrumi e pro- dotti preziosi come l’olio, senza considerare che da queste parti si producono formaggi e legumi, si raccolgono mandorle e fichidindia che conser- vano il gusto di quei prodotti genuini che sono il miglior biglietto da visita della Sicilia in giro per il mondo. Questa era la promessa fatta a Cerere dal grande Giove che, restituendole la figlia, restituì la primavera alla Sicilia. Una promessa che ancora oggi, come si può facilmente constatare, viene mantenuta tutti gli anni, tutto l’anno. 5 Terre feconde e generose

5 71

’ è una settimana nell’anno durante la quale, qui tra le campagne enne- si, si assiste davvero a quello che è il miracolo della vita, uno spettaco- lo straordinario che, per la sua eterna presenza, in molte parti nel mondo ormai passa quasi inosservato. Non qui, non in questa provin- cia dove, con l’aria frizzantina della fine di febbraio a gelare le guance, Cogni giorno – lentamente eppure inaspettatamente – si tocca con mano il “cambiamento”, il germogliare della natura feconda che trasforma le aride colline in un grande mare di grano verde, profumato e caldo, che a sdraiarcisi in mezzo ci si sente protetti quasi si tornasse nel ventre materno. E qui siamo nel ventre di Madre Terra, in questa zona interna e lontana dal mare, in questa zona in cui ogni albero è carico adesso di grappoli di fiori, mentre i papave- ri punteggiano di rosso le strette strisce di terra che circondano i campi di grano. Che colori, che traffico di insetti, così impegnati nel loro prezioso compito di trasformare il polline in miele e in quello – ancor più fondamentale – di provvedere a nuove semine. C’è il grano, dicevamo, ancora verde smeraldo eppure già alto. Ci sono i campi di legumi, con le piante di fave e i loro fiori blu sulle foglie carnose verde scuro. Ci sono i mandorli e i peschi, che aggiungono a questa tavolozza di colori il bianco e il rosa. Ci sono i fichidindia, che innalza- no al cielo il loro giallo, rosso e arancione. Ci sono gli aranci, il cui verde delle foglie è tanto scuro da sembrare quasi nero, ormai pieni di gentile zagara color del latte, e i mandarini che, in una stagione così particolare, si preparano per dare alla luce il loro frutto più dolce, quel- le clementine dalla scorza sottile e dal sapore d’ambrosia. I peschi poi, anch’essi rosei per le corolle dei loro futuri frutti, sembrano quasi irridere, con la delicatezza delle loro forme, la forza dei tarocchi, l’arancia rossa, la figlia prediletta di quest’Isola. Sotto tutte queste infiorescenze pascolano pacifiche e un po’ indolenti capre e pecore, nutren- dosi di erba genuina e abbeverandosi all’acqua pulita che scende dai monti. Questo è lo spettacolo di una natura in divenire che trasforma, nel giro di pochissimi giorni, le campagne ennesi fanno un’intera provincia, una trasformazione che, qualche mese dopo, avrà corpo e peso sulle da proscenio all’Etna nostre tavole, per tutto l’anno che seguirà. La scelta dei produttori ennesi è questa: seguire e rispettare i tempi della natura, fare attenzione alla qualità dei produzioni e, all’interno di nella pagina accanto, peschi in fiore questo, optare per la specializzazione delle colture, tre elementi che come risultato hanno le nel territorio di Leonforte squisitezze gastronomiche ennesi. paesaggio rurale

Le produzioni

A questo punto potremmo procedere descrivendo le produzioni zona per zona ma, rispettando il gusto del lettore, quella caratteristica che tutti ci unisce, e cioè la golosità, anzicchè parlare del grano e della sua incredibile produzio- ne nel cuore della provincia, parliamo della pasta di grano duro che qui si prepara. È pasta fatta a mano che prende il nome di cavateddi, maccarruna e tagghiarini: gustarla con il sugo del pomodoro raccolto nell’orto (e qui praticamen- te tutti i ristoranti e trattorie offrono solo condimenti così genuini) è una vera esperienza indimenticabile. Tutta la cucina ennese rispetta le scelte dei contadini cui abbiamo già accennato: i prodotti sono quelli prodotti in zona, così 5 73

come le trote e le anguille che si gustano dalle parti di Regalbuto sono quelle pescate nel lago Pozzillo. Restando nel- l’ambito dei secondi piatti, ecco farsi largo la produzione delle carni, da apprezzare gustando l’agnello (magari al forno) o i ciarbidduzzi, i capretti, questi cucinati in qualunque modo: il pascolo è tanto generoso, che le carni hanno un gusto straordinario. E se da un lato le verdure sono impareggiabili (dai carciofi ai cardi), dall’altro i frutti di que- sta natura sono davvero unici: avete mai assaggiato le arance di Centuripe o le clementine della zona orientale della provincia? Ahiahi, non sapete che vi siete persi… Le specialità

Le castagne di Troina, i fichidindia e le nocciole di Piazza Armerina, le mandorle di Agira, i pistacchi di Barrafranca, Calascibetta e Pietraperzia, le pesche e le fave e le lenticchie di Leonforte… scusate, ma se continuiamo a far l’elenco delle specialità qui si fa notte! Riassumendo molto veloce- mente, possiamo consigliarvi di non perdere l’occasione per venire ad assaggiare un po’ di tutto, cercando di non perdervi il periodo quasi autunnale quando qui, e solo in questa provincia, si trova la famosa pesca “tardiva” di Leonforte. E visto che ci siete, fate buona scorta di olio e di olive, il prezioso oro verde di cui queste terre sono ricche (Regalbuto, Leonforte, Valguarnera e Assoro in modo par- ticolare). Continuando ad interferire nel vostro rapporto con la bilancia, vi diciamo che la pro- duzione dolciaria non è meno vasta né meno gustosa di quella dei primi e dei secondi. Ci sono cannatelle, chitellini, pittiddi e zippuli, le cassatele di ricotta e i ravioloni (anche questi con la ricotta)… e il tortone, fette di pane fritto e zuccherato, per il quale Sperlinga ha anche elet- to il 16 agosto come giorno dedicato a questo particolare dolce tipico. E con il torrone di man- dorle e le nocciole di Piazza Armerina mettiamo la parola fine a questo brevissimo e per nulla completo elenco di specialissime “produzioni” tipiche ennesi.

dall’alto, le pesche di Leonforte, l’olio così genuino da mangiarsi sul pane

in basso, la modernità convive con un sano passato 5 75 Dite cheese!

Da qualche anno a questa parte si usa far dire la parola inglese cheese (formaggio) per far sorridere la gente. Ebbene, qui nell’ennese questa formula vale due volte. Perché formaggio da queste parti si dice Piacentinu e, assaggiandone il gusto, non si può non sorridere di piacere. Non è certo il nome del suo inventore, ma è certo che ciò accadde moltissimo tempo fa. Divertente la leggenda che narra come Ruggero il Normanno, siamo nel 1090, fosse preoccupato per la salute della moglie Adelasia, malata – diremmo oggi – di depressione, e che per questo avesse ordinato ai mastri casari del tempo di prepara- re un formaggio gustoso, ma curativo. Così qualcuno ebbe l’idea di aggiungere al latte di pecora un po’ di zafferano, le cui proprietà energetiche erano già conosciute. Divertente la leggenda, ma poco realisti- ca, visto che notizie su questo formaggio aromatizzato con lo zafferano si leggono dal IV secolo d.C. È un formaggio che ancora oggi si prepara con gran cura (in genere lo si trova solo su ordinazione) e che lo zafferano rende di gran pregio. È possibile gustarlo già dopo la prima fase della sua stagio- natura (45/90 giorni dalla messa in forma) come formaggio da tavola, oppure avere il “coraggio” di aspettare fino a 4 mesi per gustarlo, oltre che in tavola, come formaggio da grattugia: non c’è brodo che non diventi, a questo punto, ambrosia!

il piacentino ennese Dopo il cosa, il dove

Tutte le peculiarità del territorio ennese hanno fatto sì che queste campagne si trasformassero con il passare degli anni, in vere e proprie mete degli amanti del turismo, per così dire, ecocompatibi- le. Da qui il sorgere, accanto al “trascendente” Borgo Cascino (un villaggio costruito nel 1941 in pie- tra locale in perfetto stile autarchico), di moltissimi agriturismi che hanno riadattato le antiche mas- serie in deliziose strutture per l’ospitalità. A tale proposito vi raccontiamo l’ennesimo aneddoto. Nel 1714 percorrevano queste strade il re di Sicilia sua maestà Vittorio Emanuele II di Savoia e la moglie, la regina Anna d’Orleans. Saputa la notizia, il cavaliere Ansaldi - proprietario di una locan- da in contrada Cuba, a Catenanuova - ordinò ai suoi servitori di versare nel fiume vicino tutto il latte munto quel giorno. I servi obbedirono e, qualche chilometro più a valle, il corteo del re, che risaliva il fiume in direzione proprio di Catenanuova, si accorse che quel fiume aveva un colore strano. Assaggiata l’acqua, le guardie reali corsero dal re per informarlo che quello era un fiume di latte! Sua maestà dette l’ordine di seguire il corso d’acqua per svelare il mistero e, giunto alla locan- da, capì che quel “miracolo” altro non era che una trovata pubblicitaria ante litteram. Ma non se la prese, anzi. Non solo accettò divertito l’ospitalità del cavaliere Ansaldi, ma lo nominò Capitano onorario delle Guardie Reali. 6 Una pietra per un blu intenso e forte, e il sole come colore campione per ogni sfondo che non sia quello del cielo. Poi il verde, nelle tonalità delle foglie d’ulivo, e l’arancione dei mandarini, il rosa delle pesche, il marrone carico della terra grassa e feconda. Oppure il nero di una cerami- ca antica, un nero lucido e laccato che lascia spazio solo ad esili figure rosso mattone, figure dai tratti arrotondati eppur così stilizzate, per- fette nel loro ruolo di “informatori” di un tempo troppo lontano per essere conosciuto fino in fondo. Questi i colori delle ceramiche che accen- dono le strade e i negozi, questo il tesoro lavo- rato, giorno dopo giorno, dagli artigiani che, portando quasi nel Dna una saggezza antica, cuociono e illustrano pezzi di quest’Isola incan- tata. Un’Isola la cui favola viene raccontata in piatti e anfore, in formelle e vasi, in preziose scatole e icone naif. Ci sono antichi lottatori e carri e scudi a risuonare da piatti e vasi, e nuvo- le e fiori che volano via dai manici e dai coper- chi. Non compaiono sulle terrecotte, ma i loro passi risuonano ancora nelle stradine di queste campagne, all’alba o al tramonto. Sono i minato- ri che hanno fatto grande la Sicilia di cent’anni fa, che hanno lavorato con le loro mani nude il ventre di queste terre che oggi li ringraziano con i musei e con i parchi minerari.

Blu azolo e rosso greco 6 77

i sono le rocce bianche che abbagliano, ferite intagliate dal vento e dal tempo nelle colline aspre di questa Sicilia. Ci sono le ampie vallate colorate di marrone e di giallo, pascoli verdi inondati di luce e, sopra tutto, un cielo azzurro meraviglioso che si ripiega su questa provincia a partire da laggiù, dove l’Etna si erge a metà dell’orizzonte, costola Cdi un libro le cui pagine hanno strade e piazze, didascalie e, soprattutto, fotografie e illustra- zioni. Siamo nella patria della ceramica artistica, che sia quella delle figurine nere su sfondo rosso di origine greca, oppure quella policroma e vivificante tipica dell’arte siciliana, così piena delle cromie dell’Isola da far sentire, a chi ne porta via dei pezzetti in souvenir, l’odo- re stesso di quest’aria pulita. Siamo a Centuripe, il paese a forma di stella che s’infratta e si allunga nella sua toponoma- stica unica ed originale, ed a Regalbuto, il paese dai colori sfavillanti e taglienti, come le pie- tre di un muretto a secco di una Sicilia da vedere prima ancora che da raccontare, una Sicilia da sentire prima ancora che da scoprire. Sentire con le mani, invece, è la difficile arte degli artigiani che a Sperlinga tessono i colori dell’Isola nelle trassate, tipici tappeti che ancora oggi vengono usati, anziché per colorare le stanze in cui scorre la vita quotidiana, per proteggere i materassi dallo sfregamento con le reti. Ma sono così belli che è davvero un peccato nascon- derli… Così come oggi non si nascondono più le vite di questi artigiani che hanno traman- dato con il loro lavoro la magia di certi oggetti, artigiani della terracotta così come artigiani del pane, o del latte, o del cuoio. Artigiani i cui giorni difficili sono fermi in quella cartolina tridimensionale che è il paese di Villapriolo, un piccolo borgo a pochi passi da Villarosa che ha avuto la saggezza di conservare le sue case, le case del ciabattino, del contadino, del panettiere e del cosiddetto “lavoratore giornaliero” così come erano fino a cinquant’anni fa, con gli orologi e le sveglie fermi, come se qui, in questa abitazioni segnate dal tempo, il tempo in effetti vi si fosse fermato. E mentre in tutte le piazze ennesi, variopinte di foulards e cappelli, di bambini e fiorite statue di santi, ancora oggi la Sicilia moderna si dipinge di abi- tudini e riti che il tempo non ha scolorito, nell’ottavo vagone del Museo Ferroviario dell’Arte Mineraria e della Civiltà Contadina di Villarosa si ripercorrono le strade buie e senza luna dei carusi, dei piccoli minatori il cui destino è rimasto scalfito, picconata dopo picconata, nel parco archeologico Minerario di Floristella e Grottacalda, lì dove, al centro dei territori di Enna, Aidone, Piazza Armerina e Valguarnera, si erge ancora la torre del pozzo principale che attende. Perché così sembra a chiunque giunga in questo straordinario mondo-altro, ed una passeggiata nel parco Archeologico Minerario è qui che giungono prima dell’alba e dopo il tramonto i passi delle centinaia di eroi che di Floristella e Grottacalda hanno costruito, con le loro mani, la rivoluzione industriale italiana. Centuripe e i suoi preziosi falsi

Non è un mistero, anzi un vanto. A Centuripe quello che decine di anni fa poteva essere un lavoraccio brutto e malan- drino oggi è un’arte vera e propria, fatta alla luce del sole che, proprio per questo, merita di aver riconosciuto il suo valore che va ben oltre quello materiale. Centuripe, infatti, è specializzata nella ceramica antica, ossia nella riprodu- zione - praticamente perfetta - delle terrecotte e delle ceramiche qui rinvenute e poi disperse tra i musei di tutto il mondo. Si riproduce ogni cosa, dalle anfore al vasellame, alle statue e perfino colonne e urne cinerarie. Il tutto grazie all’uso di tecniche che ripercorrono gli antichi metodi di cottura, ma anche gli antichi metodi di fabbricazione delle paste e delle malte. Niente colori vivaci, quindi, ma il rigoroso rosso e nero dei vasi greci, il bianco crema o il colore dei marmi più preziosi. Un trucco? No, per niente. Un modo intelligente ed economicamente valido di mantenere vivi degli oggetti che, giustamente chiusi nelle vetrine di lontani musei, rischiano di morire ancora una volta. Dopo esse- re stati sepolti per secoli, infatti, condannando questi testimoni del tempo che fu alla dimenticanza non sarebbe come “ucciderli” una seconda volta? I “prototipi”, meraviglia dell’arte ellenistica e non solo, sono comunque qui, nelle sale del Museo Archeologico di Centuripe dove, al piano terra, è possibile vedere documentati i siti abitativi dell’area degli Augustales e di altri siti, oltre a sculture di età romana, terrecotte del periodo ellenistico tra cui la statua della Musa ed una colossale testa di Adriano (questa del II secolo d.C.). Al piano superiore, imperdibile la collezione di ceramica preistorica, i reperti delle necropoli greche e le iscrizioni funerarie latine. 6 79

Pirandello in miniera

«Zi’ Scarda si lasciò scrollare pacificamente. Doveva pur prendersi uno sfogo, quel povero galantuomo, ed era naturale se lo prendesse su lui che, vecchio com’era, poteva offrirglielo senza ribellarsi. Del resto, aveva anche lui, a sua volta, sotto di sé qualcuno più debole, sul quale rifarsi più tardi: Ciàula, il suo caruso. (…) Nelle dure facce quasi spente dal bujo crudo delle cave sotterranee, nel corpo sfiancato dalla fatica quotidiana, nelle vesti strappate, avevano il livido squallore di quelle terre senza un filo d’erba, sforacchiate dalle zolfare, come da tanti enormi formicai. Ma no: zi’ Scarda, fisso in quel suo strano atteggiamento, non si burlava di loro (…). Quello era il versaccio solito, con cui, non senza stento, si deduceva pian piano in bocca la grossa lagrima, che di tratto in tratto gli colava dall’altro occhio, da quello buono. Aveva preso gusto a quel saporino di sale, e non se ne lasciava scappar via neppur una. Poco: una goccia, di tanto in tanto; ma buttato dalla mattina alla sera laggiù, duecento e più metri sottoterra, col piccone in mano, a ogni colpo gli strap- pava come un ruglio di rabbia dal petto, zi’ Scarda aveva sempre la bocca arsa: e quella lagrima, per la sua bocca, era quel che per il naso sarebbe stato un pizzico di rapè. Un gusto e un riposo. (…)». Da “Ciaula scopre la Luna” che Pirandello ha ambientato nella minie- ra di Gallizzi.

Ancora il parco Archeologico Minerario di Floristella e Grottacalda La provincia di Enna, nonostante il permanere di alcuni vincoli di carattere strut- turale, si presenta attualmente, come un territorio dinamico ad alto potenziale di sviluppo, ricco di cultura, tradizioni, bellezze naturali e paesaggistiche. Negli ultimi anni, grazie agli sforzi programmatici e progettuali portati avanti dagli Amministratori locali, è stato dato un forte impulso alla crescita economica e sociale dell’area, puntando decisamente su due precisi indirizzi di sviluppo: la valorizzazione del patrimonio ambientale, naturalistico, culturale ed archeologi- co e le sue integrazioni con il settore agricolo; il potenziamento e l’ammoderna- mento del tessuto produttivo locale, valorizzando il contesto infrastrutturale ed imprenditoriale esistente secondo un modello distrettuale di sviluppo che punti sulla concentrazione e sulle economie di scala di alcune filiere produttive (agroa- limentare, della gomma e della plastica, della logistica e del tessile) che – come conferma un’indagine condotta nell’ultimo trimestre del 2005 su un campione rappresentativo di imprenditori e stakeholders – presentano le maggiori oppor- tunità di sviluppo anche e soprattutto in ottica di internazionalizzazione e di attrattività per investitori esteri. 7 Tempi moderni

ASI Val Dittaino Agroalimentere/Turismo

Il Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale della provincia di Enna del Val Dittaino asse- gna aree libere a destinazione industriale per insediamenti di attività imprenditoriali. Lo scopo è favorire, infatti, la nascita di forme di cooperazione produttiva, tecnologica, di mer- cato, finanziaria, in modo da creare le condizioni per uno sviluppo integrato e sinergico (di “sistema”) tra le diverse imprese localizzate nel territorio. L’ASI di Dittaino è situata in posizione baricentrica rispetto all’intero sistema economico ennese, posizione altresì favorevole rispetto al sistema interprovinciale di mobilità di merci e persone ed ai mercati di approvvigionamento. L’agglomerato, inoltre, gode di adeguati col- legamenti con le principali infrastrutture viarie (accesso diretto all’autostrada Catania- Palermo) e ferroviarie (stazione merci di Dittaino). La prevista realizzazione di un autoporto nell’ASI di Dittaino, inserito nella rete delle infra- strutture autoportuali della Sicilia, rappresenta un elemento di forte attrattività a favore delle iniziative del settore agroalimentare, dove la logistica assume un rilievo strategico nell’am- bito dell’intera catena della supply chain. La presenza di una popolazione residente giovane garantisce un elevato ricambio occupazionale ed un ampia disponibilità di forza lavoro, in

lotti artigianali ENNA Assoro lotti impegnati

infrastrutture di servizio

servizi Stazione CATANIA lotti disponibili CATA verde e aree di rispetto NIA ENNA scalo ferroviario Casello “Mulinello” viabilità ferrovie confini agglomerato

torrente Calderari

ENNA Casello “Mulinello”

Piazza Armerina Valguarnera Caltagirone 7 83 un’area caratterizzata da un elevato livello di sicurezza/legalità che classifica la provincia di Enna tra le più tranquille in Italia. L’ASI del Dittaino si caratterizza, anche, quale area da destinare a produzioni di energie alternative mediante lo “sfruttamento” delle ottime disponibilità di acqua e legno (produzio- ne di biomasse e compost quali biocarburanti – biodiesel e bioetanolo) ovvero quale area ido- nea, visto la collocazione geografica, a fungere da snodo strategico in ambito logistico e dei servizi avanzati alle imprese. La produzione agroalimentare, peraltro diffusa nell’intero territorio provinciale, trova ulte- riore concentrazione e vocazione negli insediamenti del Salso Inferiore, di Pietraperzia e Barrafranca mentre nel territorio delle valli di Troina, del Salso Superiore, nei territori di Nicosia, Gagliano, Cerami e Sperlinga, si concentrano attività prettamente legate alla zootec- nia. Le vere potenzialità del settore agroalimentare ed agroindustriale della Provincia di Enna sono connesse alle varietà e qualità dei prodotti tipici: tra questi la pesca di Leonforte e la cosiddetta fava turca o fava di Leonforte che si contraddistinguono per essere anche divenute due presidi di Slowfood, la lenticchia nera di Enna, il formaggio Piacentino ed il Pecorino Ennese. Inoltre, sul territorio insiste, una zona D.O.P. per l’olio d’oliva extravergi- ne denominata “Colline Ennesi”. La valorizzazione nel segno della qualità potrebbe avveni- re anche attraverso altri prodotti di pregio quali fichi d’India, mandorle, carciofi e dolci. In ambito turistico i comuni di Piazza Armerina, Enna, Valguarnera, Troina, Pietraperzia si contraddistinguono per la presenza di santuari, monasteri ovvero celebrazioni e riti di carat- tere religioso e pertanto quali comuni vocati al turismo religioso. I comuni di Aidone, Valguarnera, Pietraperzia, Barrafranca – quali aree rurali ove si trovano colture di pregio e paesaggi di significativo valore – risultano vocate allo sviluppo di forme di turismo rurale e agrituristico di qualità. La presenza sul territorio di circa 200 tra masserie e strutture agrico- le dimesse, sia di proprietà pubblica che privata, costituiscono uno spunto interessante per la realizzazione di strutture turistico-ricettive. Ad esempio, Borgo Cascino, per estensione, posizione, bellezza e singolarità del luogo, sarebbe ideale per un insediamento di tipo turi- stico di medie dimensioni. I comuni di Enna, Piazza Armerina, Aidone (Morgantina) per la presenza di rilevanti insediamenti archeologici greco/romani e normanni si prestano allo sviluppo del turismo culturale. Plastica gomma tessile

Il distretto della plastica e della gomma ha origini relativamente recenti, poiché nasce grazie all’assunzione di un ruolo imprenditoriale da parte di un commerciante che nei primi anni settanta riesce a convincere alcuni esperti nella lavorazione della gomma a seguirlo in un’impresa allora giudicata irrealizzabile: ovvero la produzione di attrezzature sportive subacquee. Nel corso degli anni si sviluppa un indotto artigia- no prevalentemente di piccole dimensioni alle quali l’azienda leader affida alcune fasi del processo produttivo. La nascita dell’impresa viene caratterizzata dalla creazione di prodotti che incontrano il favore del mercato, da un’efficiente rete commerciale e soprattutto dal reclutamento e dalla formazione di manodopera specializzata. Questo indotto è cresciuto nel corso degli anni novanta con la nascita di nuove aziende, rag- giungendo una consistenza assai rilevante, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo. Le aziende si specializzano definitivamente nella produzione di articoli sportivi subacquei e prodotti per piscine diventando nel corso degli anni leader e for- nendo primarie aziende a livello mondiale (Cressi Sub per i primi e Waterfly per i secondi). Altri prodotti provenienti dal distretto sono: nel settore agricolo tubi per l’ir- rigazione ed in quello edile ed industriale cavi per la conduzione elettrica, dispositivi individuali di protezione, filtri anti- gas, guanti in neoprene. Per quanto afferisce al polo tessile occorre segnalare una forte concentrazione di imprese a Valguarnera. Queste aziende svolgono al loro interno tutte le fasi produttive, puntando sulla qualità e lavorando sul pro- grammato. L’export è ritenuto dalle aziende la chiave del successo. I prodotti vengono venduti con un loro marchio e la com- petitività sui mercati esteri si basa essenzialmente su un buon rapporto qualità-prezzo. 7 85 Crescita imprenditoriale

Altro che cenerentola delle province siciliane! Quella di Enna, secondo la prestigiosa classifi- ca del Sole 24 Ore (aggiornata al dicembre 2005), è la migliore provincia siciliana per teno- re di vita, affari, lavoro, servizi e ambiente, popolazione e tempo libero, lotta alla crimina- lità. Tra il terzo trimestre del 2004 e lo stesso del 2005, la Provincia di Enna ha registrato un aumento del numero delle imprese che ricado- no nel suo territorio pari al 2,8%, ossia l’incre- mento in percentuale più consistente a livello nazionale. Non si tratta di “magia”, bensì di naturali ricadute delle azioni di diffusione della cultura imprenditoriale, attivate soprat- tutto dai servizi di orientamento ed accompa- gnamento alla creazione di impresa. Istituzioni, scuola e associazioni di imprendito- ri sono riusciti a trasformare i loro sforzi per una collaborazione più concreta e fattiva in questi numeri che vanno in controtendenza rispetto alla crisi economica nazionale. Da qui gli sportelli per la creazione di imprese e di occupazione che, muovendosi con gli strumen- ti indispensabili del prestito d’onore e di alcu- ne misure per l’autoimpiego e l’autoimprendi- torialità, sono riusciti ad invertire la rotta eco- nomica dell’intera provincia. La strada che si sta percorrendo è abbastanza nuova, ma quan- do istruzione ed istituzioni lavorano a braccet- to, i risultati a lungo termine possono conside- rasi garantiti. Eventi a Enna

Ognuna delle venti città della provincia ennese vanta una storia ricca e par- ticolare, storia che oggi si concretizza nel lunghissimo elenco di avveni- menti, feste e sagre tradizionali che ogni Comune ha in agenda. Impossibile parlare di ciascuna data, impossibile riportare con il semplice segno grafi- co della parola scritta la magia di certe tradizioni, ormai antiche di secoli, in cui ci si ritrova a partecipare con gli sguardi limpidi e l’espressione sor- ridente. Qui, solo una piccolissima vetrina di quello che non bisogna asso- lutamente perdere, parlando del Museo di Aidone, ma confidando che le particolarità dei vari musei sparsi per il territorio (oltre a quelli più cono- sciuti nel capoluogo) destino la curiosità dei turisti-viaggiatori che in que- sta porzione di Sicilia voglio scoprire un’isola diversa, più genuina e, forse, meno conosciuta. Allo stesso modo, qui troverete solo le tradizioni più “tradizionali”, ma, andando in giro, scoprirete sagre imperdibili e ricorren- ze davvero uniche nel loro genere. Proprio come una gita all’autodromo di Pergusa dove la tecnologia dei nuovi bolidi a quattro ruote si sposa con la selvaggia bellezza della riserva lacustre. 8 8 87 Le tradizioni pasquali

Le tradizioni pasquali percorrono tutta la provincia ennese, lasciando in ognuna delle venti città una impronta davvero unica e particolare. La Settimana Santa, per cominciare, è sicuramente uno dei periodi più indicati per riscoprire Enna: ogni giorno le sue confraternite, ognuna ad orari ben precisi, si recano in Duomo per le preghiere con i costumi della tradizione e, tutti insieme (sono circa tremila), anime- ranno poi la processione del Venerdì Santo illuminata da migliaia di fiammelle. Ad Aidone, tutta la Settimana Santa è caratterizzata dalla presenza di 12 grandi statute - dette dei “santoni” - che rappresentano gli apostoli. Dopo i curiosi saluti della Domenica delle Palme, questi strani ospiti trascorrono le sere del mercoledì, giovedì e venerdì andando alla ricerca di Gesù. Il giorno di Pasqua sarà la statua di San Giuseppe che, in un particolare giro per il paese, annuncerà la Resurrezione, una tradizione che a molti sembra antico retaggio della festa pagana durante la quale Mercurio correva ad annunciare a Cerere il ritrovamento della figlia. A Barrafranca dove, con l’uso di una particolare macchina - detta “U Trunu” – viene sollevata l’asta che sorregge la figura del Cristo. A Calascibetta è particolare la Domenica delle Palme con la tradizione del “Signuruzzo da rama a’liva”: un bimbo che non deve avere più di sei anni d’età percorre la città in processione in groppa all’asinello, mentre viene accolto e festeggiato dalla gente che sventola i ramoscelli d’ulivo. E la domenica successiva alla Pasqua qui si ricorda la Spartenza, l’incontro della Madonna con il Cristo dopo la sua resurrezione. A Pietraperzia è la processione del venerdì ad essere molto particolare. Per le strade della cittadina viene fatto passare “Lu Signuri di li Fasci”, un Cristo in croce con una sfera sotto ai piedi dalla quale si dipartono 200 fasce di lino bianco, ognuna delle quali a ricordare un voto fatto (alcune delle fasce hanno oltre un secolo di vita). Così la processione avviene mentre la gente tende queste fasce, tenendo in equilibrio il Grande Crocifisso.

A destra, dall’alto, “Il Signore delle Fasce” durante il Venerdì Santo a Pietraperzia e la Pasqua ad Enna Il Palio dei Normanni a Piazza Armerina

alcuni momenti del Palio dei Normanni di Piazza Armerina

Nell’anno del Signore 1060 il conte Ruggero giunge in quel di Plutia e, scaccia- to l’invasore infedele, riporta in terra di Sicilia i vessilli cristiani, qui presenti nello storico labaro raffigurante la Madonna delle Vittorie. E questa ricorren- za rivive ancora oggi a Piazza Armerina quando, il 13 e il 14 agosto, caroselli storici e giostre fanno compiere un balzo indietro nel tempo non solo alla bella cittadina ennese, ma anche ai tantissimi visitatori che si affollano tra le sua strade per rivivere (è proprio il caso di dirlo) un importante momento storico. Il 13 agosto di ogni anno tornano in città le truppe del conte, tutte abbigliate secondo i costumi dell’epoca, e i notabili dell’antica Plutia consegnano al libe- ratore le chiavi della città. L’indomani, cinque cavalieri per ognuno dei quat- tro antichi quartieri (Monte, Canali, Castellina e Casalotto), alla presenza di Ruggero e dei notabili della città, si sfidano in una gara che mantiene tutto il sapore dell’antica giostra.

una scena del presepe di Agira Il Presepe Vivente di Agira

In quel presepe che è 364 giorni all’anno la parte alta di Agira, la vigilia di Natale arriva annunciata dalla magica luce delle torce che ne illuminano le strade. E nel cono di queste luce tremolanti, ecco che si aprono le antiche botteghe con i fornai ad impastare il pane, le lavandaie a battere i panni, i fabbri e i falegnami intenti alle loro opere con antichissimi attrezzi del mestiere. È il presepe vivente di Agira che ogni anno, trasformando la cit- tadina in uno scorcio della Palestina di duemila anni fa, diventa il centro della religione cristiana nella Sicilia orientale. E tra queste strade in cui nugoli di bambini si rincorrono e anziani si scaldano al fuoco, avanza l’asi- nello con Maria in groppa e Giuseppe al seguito, entrambi stanchi, senza riuscire a destare l’attenzione degli astanti, troppo impegnati nelle loro faccende quotidiane. Solo quando, una volta giunti al castello e nato il Bambino tra il fieno della grotta, una luce inonderà tutto l’antico borgo, solo allora gli oltre cento figuranti si raggrupperanno alle spalle dei Magi per adorare il Verbo incarnato. Una straordinaria “favola” da vivere in prima persona. 8 89 L’ autodromo di Pergusa

manifestazioni al circuito automobilistico di Pergusa

Cinque chilometri di pista per gli amanti dei motori, in un angolo di Sicilia che è un vero e proprio paradiso terrestre. Che volere di più? Questo è l’Autodromo di Pergusa che, una volta rimesse a posto le vie di fuga e le chicane, si propone di ospi- tare, oltre all’unica gara di durata italiana – la 24 ore di Sicilia – anche appuntamenti di valenza internazionale. Si potrebbe cominciare in questo 2006 con una prova per il campionato italiano Superstar che, insieme con gli appuntamenti di Formula 3mila e di Gran Turismo, riporterebbero questo nostro gioiello dello sport nuovamente tra i circuiti più titolati del territorio nazionale. E non è tutto. Oltre alle quattro ruote, qui nelle versioni più spettacolari, interessati al circuito ennese anche i pro- tagonisti delle due ruote che, saputo delle modifiche che il circuito si appresta ad operare, vorrebbe portare in terra siciliana anche qualche appuntamento di caratura internazionale.

La stagione teatrale di Morgantina La Kubbaita di Troina

Nel 2005, per festeggiare il cinquantesimo anniversario della Spettacolare corteo storico che ha nel suo nome arabo tutti sua scoperta, Morgantina si è vestita di luci, di scenografie e gli indizi della sua vera origine. Infatti, nonostante oggi ci di costumi ed ha ridato vita al suo teatro, magnifico così si riferisca all’ingresso in città di re Carlo V nel 1535, è pos- immerso nelle luci del tramonto e nello straordinario panora- sibile che già da cinque secoli prima questa ricorrenza ma del cuore di Sicilia. Una nuova stagione teatrale per que- avesse come scopo quello di festeggiare l’arrivo del Conte sto luogo di storia e di cultura, una stagione che ha riscosso Ruggero e la presa da parte dei Normanni del castello di quel successo da tanti atteso ma dai più taciuto, non fosse Troina, con la conseguente disfatta dei Musulmani. altro che per scaramanzia. Accanto alle nuove proposte, qui Kubbaita, infatti, dovrebbe derivare dall’arabo qubbiat, hanno ritrovato la parole gli antichi autori, in un crescendo ossia “di mandorle, mandorlato”, perché i biondi nuovi che si è concluso con il tutto esaurito fatto registrare dalla invasori portavano nelle loro bisacce il nutriente dolciume “Lisistrata” di Aristofane che ha condotto su queste antiche siciliano a base di mandorle, quello che oggi chiamiamo vestigia la bravissima Pamela Villoresi. Nonostante questi torrone. Con il passare del tempo, queste origini arabe si nomi possano incutere timore, ben lo sa chi ha già assistito ad sono mescolate alle tradizioni spagnoleggianti, tant’è che una qualunque rappresentazione in uno degli anfiteatri greci oggi il corteo è perfettamente abbigliato in stile iberico: sparsi in tutta l’Italia meridionale: sono occasioni queste in tamburini e trombettieri, infatti, il primo giugno aprono il cui il cuore diventa leggero e la Storia di donne e uomini di corteo annunciando i tre cavalieri, riccamente abbigliati un mondo che ci ha preceduto ci chiamano a partecipare con (cavalli compresi) con i loro vestiti verde il primo, blu il semplicità. Sono appuntamenti da non mancare, per consen- secondo e rosso cupo il terzo. E nelle bisacce di questi ric- tirci quel “regalo in più” che gratifica un’intera estate. chi signori l’immancabile torrone a volontà. 9 I comuni della provincia

o una balconata sulla campagna siciliana. E Agira se fa bello, laggiù in fondo in fondo, l’azzur- Ad Agira il mito diventa Fede e Storia. Perché ro dell’orizzonte è di quel blu intenso che questa bella cittadina ha aperto le sue porte non lascia dubbi: stiamo guardando, dal- ad Ercole, che qui costruì i templi dedicati ai l’ombelico di Sicilia, il mar Jonio. Perché suoi amici Gerione e Iolao; ha accolto San Aidone è davvero l’ombelico di Sicilia, è il Filippo, che qui è sepolto; ed ha dato i natali a suo centro, è il suo cuore più antico, è il Diodoro Siculo il primo storiografo della storia. luogo in cui si arriva e da cui si parte alla Agira Questa è Agira, la cittadina contesa da ogni scoperta del mondo. Le sue radici sono glo- sovrano che, rapito dalla sua bellezza, rinunciò riose. La costruì Ruggero d’Altavilla, giunto ad ogni distruzione per preservarne l’incanto. sull’Isola per scacciare gli Arabi e portarvi la Vi si conserva praticamente intatto tutto il “civiltà”. Una civiltà che ancora oggi si tocca quartiere arabo, con quelle stradine che trova- con mano, una cultura che è nella malta che no giusta eco nel dna di ogni siciliano, e vi si tiene insieme le pietre delle chiese e dei conservano le antiche pietre – anche quelle Aidone palazzi, più forte dei terremoti e delle inva- dei templi – riutilizzate per l’edificazione delle sioni. Aidone è la bella Sicilia che fu, quella sue belle chiese. Come quella maestosa dedi- della multiculturalità arabo-normanna, e la cata a San Filippo, o quella preziosa dedicata a bellissima Sicilia che è, quella del profumo San Calogero, cui è affidato il compito di custo- dell’erba che odora di rugiada e delle pietre dire l’eterno sonno di Filippo il Siriano e l’inte- che raccontano la Storia. Qui la storia ha il ro archivio di pergamene dall’XI al XVI secolo colore giallo delle pietre di San Lorenzo, la di proprietà di Santa Maria Latina, già Matrice dell’XI secolo (ma potrebbe essere Monastero di San Filippo costruito, come vuole stata edificata prima del Mille) che a sinistra leggenda, sul preesistente tempio di Gerione. del bellissimo portale gotico riporta incise le Di questa costruzione resta ben poco, ma si antiche misure del palmo e della canna. Qui può ammirare la Matrice Santa Maria Maggiore la storia ha le forme morbide di Santa Maria Assoro come la chiesa dedicata a Sant’Antonio di La Cava, del XII secolo. Qui la Storia è scritta Padova, senza dimenticare Santa Margherita o e riscritta come le antiche pietre utilizzate, e il SS. Salvatore. Il tutto sotto lo sguardo seve- riutilizzate, per la basilica di San Leonardo. ro dell’antico, e bellissimo, castello. Assoro Aidone Al centro della sua piazza più grande, sem- I suoi tetti spiovono giù dal colle su cui si bra di stare al centro dell’intero mondo. arrampica, come le stradine che si diramano Certamente siamo al centro della storia più da un centro che si sposta con i nostri passi, antica di Sicilia, visto che Assoro può ben Barrafranca allargandosi sempre davanti ad una chiesa dirsi uno dei centri abitati più antichi 9 91 dell’Isola (le sue origini sembrano risalire città. Quindi, accanto ai più moderni quartie- terremoto del 1693 e in questa fase si è addirittura al XV secolo a.C.). Sicuramente è ri, ecco allungarsi i cosiddetti Putieddi, por- arricchita delle tre absidi esterne e della anche uno dei più suggestivi, a partire dal tali medievali utilizzati nel tempo anche come preziosa scalinata d’ingresso dalla quale, monte su cui si arrampica, un colle detto “la botteghe (e da qui il nomignolo in dialetto). volgendo le spalle alla chiesa, si ammira un stella” , con un intreccio di stradine e vicolet- Certo non sono queste le testimonianze più panorama mozzafiato. Dalla centrale Piazza ti che ricordano antichi disegni urbani. Una antiche, e più affascinanti, da visitare a Umberto si accede al quartiere ebraico per- passeggiata suggestiva, questa per Assoro, Barrafranca. Non si possono perdere, infatti, correndo la via Giudea dove si trova il che non può prescindere dall’imponente le tombe circolari ai Quattro Finaiti, dove Convento dei Frati Minori Francescani, Castello, ma che ritrova la strada della spiri- sono stati ritrovati preziosi reperti come col- custode della preziosissima pala d’altare del tualità più autentica all’interno della Basilica telli realizzati con la silice. Più “moderne” le 1610, attribuita a Filippo Paladini, raffigu- di San Leone, monumento nazionale, straor- tombe scoperte a Martorina e a Rocche: rante l’Adorazione dei Magi. dinaria nella sua teoria di colonne tortili ed queste risalgono solo all’età Sicula, cioè al archi fioriti, tagliata obliquamente da un eter- 1000 a.C. circa. Nella necropoli di Montagna no gioco di luce che squarcia a distanze di Marzo e di Monte Navone, invece, è possi- Catenanuova regolari la penombra in cui il tempio è sem- bile incontrare i colonizzatori greci, uomini Sorta nel 1754 laddove si intersecavano le pre immerso. Edificata nel 1186, più che un che qui addobbarono le loro tombe secondo principali vie di comunicazione dell’area monumento da visitare, è un’emozione cui i costumi ellenici. Non mancano le tracce del ennese, Catenanuova può essere considera- lasciarsi andare. Di chiese Assoro non è loro passaggio nemmeno in pieno centro ta come una delle città più giovani della pro- priva, anche se Storia e Natura ne hanno storico dove, soprattutto nei quartieri di vincia. Ciò non significa, però, che la sua ridotto drasticamente il numero. C’è quella Grazia e Serra, sono stati rinvenuti preziosi posizione naturalmente “strategica” non barocca dedicata a Maria SS. degli Angeli reperti archeologici. Tra i monumenti ricor- l’abbia portata all’attenzione di nobili e uomi- (1622) e quella quattrocentesca dedicata a diamo la Chiesa Madre, dedicata a San ni illustri. Tanto per fare solo qualche esem- Maria SS. del Carmine, c’è la Chiesa dello Sebastiano. pio, nel fondaco Cuba, una delle tante mas- Spirito Santo, del Trecento, e ciò che resta serie che costellano la sua fertile vallata, vi della Chiesa di San Biagio, del XVII secolo, trovarono alloggio, oltre che Wolfgang ossia il campanile e il prospetto del tempio Calascibetta Goethe nel suo famoso viaggio in Sicilia, per- vero e proprio. C’è la Badia di Santa Chiara, Araba nel nome (Kalath-Schibeth), ricca di sino il re Vittorio Amedeo di Savoia con la che oggi ospita il Municipio, e l’incredibile chiese cristiane, custode di un integro quar- regale consorte Maria e il suo nutrito corteo. Palazzo della Signoria. E c’è… c’è tutto un tiere ebraico. Questa è Calascibetta, dirim- Placidamente adagiata su un territorio quasi paese intorno tra i cui antichi quartieri rie- pettaia di Enna, che riassume tra le sue pianeggiante (una vera “originalità”, vista cheggiano le parole di Cicerone che, nelle strade e i suoi campanili tutta la spiritualità l’orografia della zona), Catenanuova vive sue Verrine, ricorda questi uomini di Assoro del Mediterraneo. E così, concedendosi una oggi ai lenti ritmi scanditi dalla rigogliosa come “uomini forti e fedeli”, uomini, in una passeggiata lungo il corso principale, la via natura che la circonda e dalle campane della sola parola, di Sicilia. Conte Ruggero, si possono seguire tutti i Chiesa Madre, dedicata a San Giuseppe, secoli di storia che l’hanno segnata, a parti- aprendosi alle sue piazze con la stessa re dalla sua fondazione araba quale quartier generosità del sole che la inonda e che Barrafranca generale per l’attacco contro l’inespugnabi- abbaglia riflettendosi nei suoi campi di Il terremoto del 1693 ne ha distrutto gran le Enna, passando dal florido periodo nor- grano. Da visitare, oltre agli angoli suggesti- parte, ma ciò che è rimasto e ciò che è stato manno, ossia incrociando ciò che resta del vi che si susseguono lungo tutto il centro abi- ricostruito è motivo sufficiente per scegliere castello e la parte più antica della splendida tato e le masserie di campagna, anche il Barrafranca come tappa fondamentale di Chiesa Madre, dedicata a San Pietro e S. Palazzo del Signore, edificio del XVII secolo. qualunque tour alla scoperta della provincia Maria Maggiore. All’interno della Matrice, ennese. Innanzi tutto, per l’armonia con cui, molto rimaneggiata nel 1340 per volontà di Centuripe soprattutto nel centro storico, si alternano Pietro d’Aragona, oltre che ai resti del forti- Scoprire i suoi tesori stando, per così dire, in costruzioni antiche con palazzi più moderni, lizio normanno si ammirano le colonne in equilibrio sulle creste che dominano la cam- testimonianza di quella lenta quotidianità pietra locale - bellissime -, un bassorilievo di pagna ennese. Questa è l’emozione che vi contadina che, così come esporta la “moder- scuola gaginesca e una pala d’altare, datata conquisterà apprestandovi a Centuripe, nità” nei campi, finisce per importare i ritmi 1617, attestata al Gianforte. La facciata del incredibile stella marina di case e palazzi e scanditi con precisione della campagna in tempio venne ricostruita per intero dopo il chiese e musei avviluppata tra i crinali della collina che, di notte, brilla alla luna rifletten- diroccati, ma comunque tutti parte integran- do gli astri del cielo. Nonostante sia costrui- te dello sviluppo di tutta l’Isola. Rientrando in ta lungo i dirupi che si susseguono, a tutto paese, magari dopo aver visitato la necropo- vantaggio dei panorami che si possono li greca di Raffo o i ruderi bizantini a Raghali, godere dalle sue strade, il suo nome non imperdibili - oltre ai resti del castello - la significa affatto “cento rupi” come per molto Chiesa Madre dedicata a Sant’Ambrogio, la tempo si è pensato. Il suo è un nome siculo cui prima edificazione risale al XVI secolo, la Catenanuova che a noi è pervenuto nella trascrizione Chiesa della Madonna del Carmelo, la Chiesa greca e, non conoscendo il linguaggio del di Sant’Antonio, anch’essa cinquecentesca, e popolo originario, non ne possiamo com- la secentesca chiesa di San Sebastiano. prendere il significato. Possiamo invece apprezzare appieno la sua storia ellenica e Gagliano Castelferrato romana grazie ad un incredibile incidente: Gagliano è una sorpresa. Perché si vede nel Duecento la città fu completamente solo dietro l’ultima curva, quando si è già distrutta ed abbandonata e ciò ha permesso praticamente arrivati. Perché, pur standoci Centuripe ai resti archeologici di conservarsi fino al XVI nel mezzo, è difficile capire dove finiscono secolo, quando Centuripe venne ricostruita le case ed inizia la roccia del colle sul quale proprio dove sorgeva l’antico abitato. Ed è si inerpica. Perché ad ogni metro di paese magnifico passeggiare tra le diverse epoche visitato si scopre un intero mondo fatto di storiche, passando per le rovine del castello storia, di uomini e di leggende. Per la sua di Corradino (una villa romana del II secolo nascita ricorriamo allo storico Michele Amari d.C.) proprio nel centro della città, dalla fac- che ci racconta che nell’857 il condottiero ciata barocca della Chiesa Madre, dalle pittu- arabo Al-Abbas era acquartierato nei pres- Cerami re neolitiche alla struttura tecnologicamente si di un castello chiamato Al Qasr el Hedid, avanzata del Museo Archeologico. E su que- ossia “castello di ferro”, un luogo che ci sto continuo gioco tra passato e futuro conduce proprio qui, sotto l’imponenza di Centuripe ha costruito la sua attività più questa rocca che già migliaia e migliaia di famosa, ossia la perfetta riproduzione degli anni prima aveva ospitato gli uomini dell’Età antichi marmi, ceramiche e terrecotte che i del Bronzo, proprio come testimoniato dalle Greci e i Romani avevano disseminato larga- necropoli, dalle grotte e dai tanti segni Leonforte mente in tutto questo territorio. archeologici venuti alla luce anche per caso. Come per quelli ritrovati sotto il sagrato Cerami della Chiesa Madre, che fanno pensare ad È il sapore di una Sicilia che quasi nessuno una preesistente chiesa bizantina. Parlando conosce. Parliamo dell’Isola della neve e del di chiese, ecco che si inizia il viaggio dentro vento di tramontana, dei boschi fitti e dei pini il mondo spirituale di Gagliano, un mondo e dei ciclamini. In una parola, parliamo della che si contrappone fortemente alla forza e Sicilia del Parco dei Nebrodi che nel territo- all’onnipresenza del castello, davvero rio ennese ha la sua più bella espressione magnifico e terribile. nel comune di Cerami. Un piccolo angolo di Gagliano, infatti, è ricca di luoghi di culto: Nicosia paradiso naturale, una sorta di Eden che già c’è la Matrice trecentesca, dedicata a San gli Arabi avevano imparato ad amare, tant’è Cataldo e ben indicata dalla guglia maiolica- che lungo il corso del fiume omonimo del ta del suo campanile; c’è Santa Maria di paese sono sorti i tanti mulini ad acqua, vera Gesù con le spoglie di San Maurizio e il bel- e propria prova di genialità idraulica del lissimo Crocifisso di fra’ Umile da Petralia; e popolo della mezza luna. E i mulini esistono c’è San Giovanni Battista, più conosciuta ancora, in parte integri – e possibilmente come Sant’Agostino. Scegliere tra loro? funzionanti – in parte quasi completamente Impossibile! Nissoria 9 93

gendaria - città di Erbita. È certo che qui gli dotti di una cucina che conserva ancora l’uso Leonforte Arabi vi soggiornarono a lungo, tanto che la di raccogliere il pomodoro per il sugo diret- Forte come il leone rampante che ruggiva città viene ricordata come l’oppidum tamente dall’orto vicino casa. dal suo stemma: così il principe Nicolò Sarracenorum, la fortezza saracena. Chiara Branciforti voleva la “sua” città, questa l’importanza anche per i Normanni che vi Piazza Armerina Leonforte che oggi si lascia ammirare con furono presenti in buon numero, tanto che La Sicilia di cui stiamo raccontando può tutte le sue chiese e il suo magnifico palazzo ancora oggi la lingua dialettale è quel gallo- apparire anche un po’ presuntuosa, ma, se principesco, tanto grande da essere chiama- italico che risente fortemente delle accezioni stiamo parlando di Piazza Armerina, la pre- to per molto tempo “castello”. Niente a che nordiche. La storia di Nicosia è comunque sunzione diventa, permetteteci l’ardire, vedere, però, con il vero maniero detto del molto complessa, così intrecciata a guerre e obiettività. Perché il mondo intero sa cosa è Tavi, decisamente molto più antico e meno battaglie, e tutte costellate dalla lunga rivali- Piazza Armerina, così ben riconoscibile fin da ricco. Pensate che il Palazzo Branciforti, tà tra i fedeli della chiesa di Santa Maria, lontano per via di quel suo Duomo, secente- secentesco, contava ben 365 stanze! Molto quella che nel Trecento era la vecchia nobil- sco di costruzione, ma tanto siciliano nel- più lunga la storia dell’edificazione della chie- tà di origini latine, e quelli di San Nicolò, per l’animo, tutto proteso com’è a gareggiare in sa dedicata a San Giovanni Battista, la così dire la nobiltà di nuova generazione. eterno con il cocuzzolo bianco dell’Etna che Matrice, voluta dallo stesso principe ma pro- Queste due fazioni si sono scontrate più e svetta alle sue spalle. E niente altro ha la seguita con tale lentezza che nel 1740 un più volte, combattendosi anche a colpi di forza di intromettersi tra questi due giganti, discendente del nobile capostipite fu costret- opere d’arte, come testimonia il tetto ligneo casa di un dio brutto e bruciacchiato il primo, to a commissionare ad Acicatena i lavori per di San Nicolò, oggi Cattedrale. Purtroppo casa di un Dio che è pace e bellezza il secon- definire l’opera. Al suo interno si conservano l’originale Santa Maria venne distrutta dalla do, non per niente consacrato alla Madonna oggi preziosissime sete ricamate in oro. frana del 1757, ma il tempio venne ricostrui- delle Vittorie. A Lei è dedicata una delle Bellissimo il tesoro custodito nella Chiesa dei to ed oggi è la grandiosa Basilica di Santa manifestazioni più conosciute di tutta la Cappuccini, una tela raffigurante l’elezione di Maria Maggiore. E se tra il Seicento e il Sicilia, il Palio dei Normanni, che ogni 13 e Mattia all’apostolato da tutti attribuita a Settecento non mancarono certo gli acciden- 14 agosto mette in scena l’arrivo di Ruggero Pietro Novelli. Affreschi di Guglielmo ti naturali, proprio in questi due secoli venne- il Normanno, onorato dal drappo dipinto, si Borremans, invece, arricchiscono la Chiesa di ro costruiti la maggior parte dei monumenti dice, da San Luca. E Ruggero, sicuro che le San Giuseppe, mentre nella Chiesa del e delle chiese che oggi rendono Nicosia un tante vittorie delle sue imprese fossero dovu- Carmelo è conservata una pietra che, come vero gioiello. te alla protezione di quella stoffa miracolosa, leggenda vuole, un untore avrebbe messo la chiamò Madonna delle Vittorie e ne fece nell’acquasantiera del tempio per diffondere omaggio alla città che gli era stata fedele. la peste, epidemia che non avvenne solo Nissoria Una città dalla struttura normanna, quella grazie all’intervento della Madonna. Oltre Un atto registrato al Tribunale del Real che fu l’antica Plutia in cui germogliò florido alle chiese e ai palazzi nobiliari, però, Patrimonio ci racconta che nel 1749 venne il dialetto gallo-italico seminato dai Leonforte custodisce una delle più pregevoli permessa a Francesco Rodrigo Moncada Longobardi. E qui si visita la Chiesa di opere d’arte dell’architettura barocca della Ventimiglia Aragona, Principe di Paternò, la Sant’Andrea, primo priorato di Chiesa provincia, ossia la Gran Fonte, una spettaco- “fabbrica delle case proporzionate per la sua patriarcale del Santo Sepolcro in Sicilia (siamo lare fontana che si allunga di fronte alla abitazione (…) e di tutta la gente che nel XII secolo). Distrutta nello stesso secolo e Chiesa Madre, orgogliosa dei suoi 24 getti dovea, e potea coltivare, ed arbitriare quel riedificata subito dopo, di Piazza Armerina non d’acqua. fondo”. E quel fondo era Nissoria, una citta- c’è angolo che non va visitato, tanto ricca e dina che oggi ci appare come una preghiera, “vissuta” è la sua storia, si tratti di quella degli Nicosia alta e forte, slanciata contro il cielo di Sicilia uomini o di quella monumentale. “Vetusta città di Sicilia, edificata dai Greci, come il frontone della sua bella Chiesa di San abitata dai Romani, distrutta dai Barbari, Giuseppe, chiesa e santo attorno cui gira dagli Erbitesi ristabilita, da Normanni e quasi tutta la vita del paese. Una preghiera a Pietraperzia Lombardi accresciuta”. È bello pensare di bassa voce, ché tanto è il silenzio che circon- Pietra nella pietra. Così potrebbe riassumer- poter condividere questa descrizione, anche da queste piazze, questi slarghi, questi bel- si il paese di Pietraperzia, arrampicato su di se non è certa né l’origine greca, né la pre- vedere sulla provincia ennese; parole sempli- un colle a dominare la sua grande porzione senza dei Romani e, ancor meno, quella della ci, come semplice è la vita che si conduce, di ciò che fu il Val di Mazara. Pietra nella pie- degli Erbitesi, popolo della scomparsa - leg- per sentimenti genuini, come lo sono i pro- tra, perché è la pietra il materiale più usato per la costruzione delle sue case, così come to circa un quarto della cittadina. Per fortu- anticamente sempre la pietra venne utilizza- na molti sono gli angoli rimasti intatti, a par- ta per edificare templi e altari, oggi misterio- tire dalla scenografica quinta che chiude si come la cosiddetta piramide di Ciarumbelli. Piazza della Repubblica, dove la Matrice uni- Perché i misteri più facilmente alloggiano in sce il suo prospetto a quello del Palazzo del quei luoghi che la storia ha abitato da sempre, Municipio. Ed intatto - anzi, più bello - è il come questo paese che fu - almeno così si panorama che si apre in fondo alla collina, Pietraperzia suppone - la Caulonia dei Greci, resa poi ricca dove il lago Pozzillo riluccica tra la fitta vege- dagli Arabi e restituita alla cultura cristiana dai tazione del parco, dando al paese un tocco Normanni (sono circa venti le chiese che si per così dire alpino. possono contare sul suo territorio). E il suo è un ricco patrimonio sia monumentale che di Sperlinga tradizioni, e spesso le due “strade della cultu- È possibile che il suo nome derivi dal latino ra” si intersecano, come nel caso della spelunca, ossia grotta. E questo si sposa a Madonna della Cava, protettrice della città, la meraviglia con le grotte abitate fin da epo- cui effigie miracolosamente ritrovata viene che remotissime che ancora oggi si aprono ancora oggi custodita nel santuario sorto lad- lungo le pendici della rocca su cui sorge Piazza Armerina dove nel 1223 venne rinvenuta la pittura l’imponente castello, grotte che sono sfrut- murale. Da non perdere, oltre al medievale tate - con grande saggezza - per accoglie- centro storico che si snoda in un armonioso re il Museo Etnografico. Parliamo di susseguirsi di vicoli e archi e piazzette, la Sperlinga, la città dal feroce maniero che Chiesa Madre, davvero imponente, all’interno solo resistette ai venti rivoluzionari di della quale sono custoditi i sarcofagi dei prin- Sicilia, quei Vespri (1282) che lasciarono la cipi Barresi. Bellissimo quello di Dorotea scritta “Quod Siculi Placuit, Solo Sperlinga Barresi, in un elegante marmo egizio. Negavit” (Solo Sperlinga negò ciò che piac- que ai Siciliani). Sarà quest’imponente mole Regalbuto che si erge sull’intero abitato, saranno le Il suo nome non lascia adito a dubbi: stiamo sue stradine che si inerpicano quasi a voler parlando della stazione del Casale dei rimanere sotto le ali protettrici del castello, Musulmani, il Rahl-butah di cui parla esplici- saranno i panorami mozzafiato che si apro- tamente il conte Ruggero quando nel 1090 no curva dopo curva, sarà quel che sarà Regalbuto scrive: “Ho concesso in perpetuo al vescovo ma è certo che visitare Sperlinga sembra messinese della Chiesa di San Nicolò il casa- un viaggio nel tempo. Perché ci sono le le dei Saraceni, denominato Butahi. Con tutte grotte di cui abbiamo accennato, tutte le sue proprietà e pertinenze secondo le quante abitate fin dalla notte dei tempi, antiche divisioni dei Saraceni”. Ed anche se tutte collegate le une con le altre tanto da la genialità dei Normanni fece sì che i cristia- essere considerate nell’insieme un vero e ni potessero erigere nel Duecento la prima proprio borgo rupestre. Da non perdere, Chiesa Madre del paese, la stessa saggezza oltre ogni suggestivo angolo del castello, la permise che qui molti arabi decidessero di Chiesa della Madonna della Mercede, pro- Valguarnera abitare, anche per molto tempo dopo il prio ai piedi della rocca con il Castello; la Trecento. Per moltissimi anni fu l’emporio Chiesa di Sant’Anna con il suo bel crocifis- mediterraneo del frumento, e il suo periodo so ligneo e, ovviamente, la Chiesa Madre, barocco è quello che ci ha lasciato il maggior dedicata a San Giovanni Battista, con le sue numero di testimonianze. O almeno sono preziose tele e il suo bellissimo organo. queste quelle che sono scampate ai pesan- tissimi bombardamenti della Seconda Guerra Troina Mondiale, bombardamenti che hanno distrut- Residenza del Conte Ruggero d’Altavilla, non Villarosa 9 95

è improbabile che venne scelta allo scopo oltre che tantissimi minatori - anche tutte Comune di Enna anche per il suo incredibile panorama, un quelle fasce sociali che fanno da contorno ai Piazza Coppola, 1 - tel. 0935 93540111 [email protected] - www.comune.enna.it abbraccio generoso a tutta la Sicilia, dallo cosiddetti boom economici, dai commercianti Comune di Agira Jonio alle Madonie. Troina ha anche molto di ai nuovi borghesi. È certo comunque che via Vittorio Emanuele, 372 tel. 0935 691111 - Fax 0935 961226 più. Innanzi tutto la sua urbanistica ancora Valguarnera ha una lunga storia, così come www.comune.agira.en.it squisitamente normanna, con le vie strette e testimoniato dagli scavi archeologici in con- [email protected] ripide ad arrampicarsi fino alla Cattedrale, là trada Marcato dove sorgeva un villaggio già Comune di Aidone P.zza Umberto I - tel. 0935 600511 dove si allarga la Piazza, il centro storico. La 4000 anni prima della nascita di Cristo. Da www.comune.aidone.en.it Cattedrale, dalla facciata settecentesca, visitare, inoltre, la bella Chiesa Madre, dedi- Comune di Assoro via Crisa, 280 - tel. 0935 667204 sovrasta una zona ancor più caratteristica, il cata a San Cristofero, ricchissima di preziose www.apt-enna.com/assoro quartiere chiamato Scalforio, quello che al opere d’arte. Comune di Barrafranca tempo degli Arabi era chiamato così perché via Santa Rita, 3 tel. 0934 496011 - Fax 0934 467561 “fuori le mura” e che, forse per questo, si è Villarosa www.comune.barrafranca.en.it mantenuto nei secoli praticamente intatto. Di Villarosa si può parlare della Chiesa Comune di Calascibetta via Conte Ruggero, 12 - tel. 0935 5969111 Anche perché a Troina la vita si è sussegui- Madre, dedicata a San Giacomo Maggiore, www.comune.calascibetta.en.it ta quasi senza scossoni, senza troppi con- oppure del Palazzo Ducale, bell’esempio di Comune di Catenanuova Piazza Municipio - tel. 0935 75177 flitti: la sicurezza economica le ha permesso architettura settecentesca. Ma quello che www.apt-enna.com/catenanuova una esistenza tranquilla e pacifica, ma solo rende davvero unica Villarosa è la stazione Comune di Centuripe fino al 1600 quando i due terribili terremoti ferroviaria, perché è qui che si scopre ciò Piazza Lanuvio, 28 tel. 0935 919411 - Fax 0935 919417 del ’43 e del ’93 la rasero quasi al suolo. che fu Villarosa, un centro molto importante www.comune.centuripe.en.it Troina venne ricostruita e tornò ad animarsi durante quella che potremmo chiamare “era Comune di Cerami via Acquanuova, 28 di una vita intellettuale oggi rimasta nelle dello zolfo”. Lungo questi binari, infatti, si tel. 0935 939001 - Fax 0935 939042 preziose opere conservate nelle biblioteche allunga uno dei più originali musei che si www.comune.cerami.en.it e nelle tracce di vita elegante che si leggo- possono visitare, realizzato all’interno di otto Comune di Gagliano Castelferrato via Roma, 196 - tel. 0935 693219 no nelle splendide ville che costellano le carri merci in disuso, nei quali è stata rico- www.apt-enna.com/gagliano campagne attorno alla cittadina. I bombar- struita perfettamente la vita quotidiana dei Comune di Leonforte Corso Umberto, 231 damenti del 1943 hanno lasciato poco della minatori, con tanto di foto, stufe e vecchi tel. 0935 665111 - Fax 0935 902688 Troina più antica, ma di quei terribili giorni attrezzi. E nell’ultimo vagone ecco che pren- www.comuneleonforte.it restano le splendide immagini di Robert dono vita le lunghissime ore trascorse in Comune di Nicosia Piazza Garibaldi - tel. 0935 638139 Capa, il fotografo che rese Troina famosa in miniera, raccontate dalle lampade all’acetile- www.apt-enna.com/nicosia tutto il mondo. ne e dai volti dei minatori che di storie da Comune di Nissoria via Vitt. Emanuele - tel. 0935 669203 raccontare ne hanno una per ogni ruga. Allo www.comune.nissoria.en.it Valguarnera stesso geniale realizzatore di questo museo Comune di Piazza Armerina Il suo nome completo è Valguarnera si deve poi la realizzazione del villaggio- via atrio Fundrò - tel. 0935 982111 www.comune.piazzaarmerina.en.it Caropepe. Valguarnera indubbiamente dalla museo, una serie di abitazioni originali che Comune di Pietraperzia famiglia che nel 1549 ottenne il privilegio di riassumono la vita del panettiere, del conta- via San Domenico, 5 tel. 0934 461053 - 461065 - Fax 0934 461363 popolare il villaggio cui impose il nome. dino, del lavoratore “giornaliero” e così via, www.comune.pietraperzia.en.it Caropepe… questa è una storia più lunga, case complete di ogni piccolo oggetto che ha Comune di Regalbuto che potrebbe giungere fino agli antichi nomi avuto una sua vita e una sua importanza Piazza Repubblica - tel. 0935/71099 www.comune.regalbuto.en.it greci di Cyrepicum e Caripa, oppure fino nella Sicilia che fu. Chiunque giunge a Comune di Sperlinga all’arabo Quaryat-Habibi da cui Karra-Bibi. Villarosa non può fare a meno di contattare salita Municipio - tel. 0935 643177 www.comune.sperlinga.en.it Non è chiaro, invece, il perché i più anziani questo incredibile signor Primo David, che è Comune di Troina continuino ad indicare “Carrapipi” come il stato capace di fermare il tempo per regalar- via Conte Ruggero, 10 - tel. 0935 937111 “luogo lontano” per antonomasia. E dire che ci una meraviglia in più. www.apt-enna.com/troina Comune di Valguarnera Valguarnera non è mai stato isolato o altro, P.zza della Repubblica anche perché nel secolo scorso le sue minie- tel. 0935 955111 - Fax 0935 956257 www.comune.valguarnera.enna.it re di zolfo producevano da sole il 10% del- Comune di Villarosa l’intera produzione siciliana, chiamando qui - Corso Regina Margherita - tel. 0935 31104 www.comune.villarosa.en.it Editore: Provincia Regionale di Enna

Realizzazione: Gruppo Moccia spa in collaborazione con Krea srl

Grafica e impaginazione: Silvia Todaro

Testi: Emilia Gatti

Foto: Archivio AAPIT di Enna Hanne Carstensen Melo Minnella Claudio Todaro Paolo Sillitto AAST di Enna Regione Siciliana - Archivio Assessorato Regionale Turismo

Stampa: Comunication

PROVINCIA REGIONALE DI ENNA piazza Garibaldi 2 tel. 0935 521428 e-mail: [email protected] www.provincia.enna.it www.investienna.it

intervento finanziato dall’Unione Europea misura 6.06 a POR Sicilia