Un grande classico di ogni inizio anno: le previsioni sul marketing e i social media.

Quali saranno i trend del marketing nel 2019: cosa farà più vendere? Cosa funzionerà di più sui social?

Video, Podcast, Influencer di tutti i tipi (macro, micro, nano), Storie, IGTV e così via. Consigli molto utili sì, ma manca qualcosa di importante. Quello che emerge con forza negli articoli che circolano in questi giorni è la centralità del mezzo. Una fede incondizionata verso lo strumento.

Il “Come comunicare” è diventato il “Cosa comunicare”.

Più in generale mi sembra sempre più evidente l’estrema importanza che si dà al mezzo di turno e la contemporanea sottovalutazione del Perché e del Cosa comunicare. Come se lo strumento portasse con sé qualcosa di magico.

Per approfondire

■ Scopri la nostra rubrica dedicata ai Social e New Media

Bisognerebbe invece tornare a puntare l’attenzione sulla strategia e sulle motivazioni. Tornare a Pensare prima a Cosa comunicare e solo dopo al Come. E non viceversa. Lo strumento deve essere il mezzo e non il fine.

In questo modo sarà anche più “semplice” valutare l’efficacia del lavoro svolto e motivare i risultati acquisiti.

Bohemian Rhapsody – Il Film

Come si racconta un mito?

Come approcciare la storia di una rock band leggendaria?

Quale sceneggiatore scegliere?

Quale regista?

Quale produttore?

Quali gli attori? Quando la rock band si chiama Queen e il frontman Freddie Mercury, da dove bisogna cominciare?

Allora, vediamo di snocciolare un po’ di numeri e di date che ci aiutino ad inquadrare questo film: 8 anni di sviluppo da quando Brian May annunciava che era in progetto un film sui Queen e su Freddie Mercury. La sceneggiatura era affidata a Peter Morgan. Nei panni di Freddie Mercury ci sarebbe stato Sacha Baron Cohen, mentre la casa di produzione sarebbe stata la TriBeCa Productions, e le riprese sarebbero cominciate nel 2011.

Nel dicembre 2013 viene annunciato che l’attore britannico Ben Whishaw avrebbe preso il posto di Sacha Baron Cohen, che intanto aveva abbandonato il progetto nel luglio dello stesso anno, e che la regia sarebbe stata affidata a Dexter Fletcher. Entrambi, Whishaw e Fletcher, lasceranno definitivamente il progetto nel 2014.

Alla fine del 2015 la casa di produzione GK Films assume lo sceneggiatore neozelandese Anthony McCarten per scrivere una nuova sceneggiatura, col titolo “Bohemian Rhapsody”.

Nel novembre 2016 viene annunciato che la New Regency Pictures e la GK Films sarebbero state nella produzione della pellicola e che le riprese sarebbero iniziate nei primi mesi del 2017.

Lo stesso anno viene annunciato che Rami Malek vestirà i panni di Freddie Mercury e che il nuovo regista sarà Bryan Singer.

Allora ricapitoliamo:

■ 8 anni di sviluppo; ■ 2 sceneggiature; ■ 2 diversi sceneggiatori; ■ 2 registi; ■ 3 attori per il ruolo di Freddie Mercury; ■ 4 diverse case di produzione coinvolte (considerando anche la Queen Films Ltd).

Sembra quasi che Hollywood stessa avesse un timore reverenziale a cimentarsi in questo impegnativo biopic.

Il film non analizza tutta la vita della storica band ma, si focalizza sui primi 15 anni, dalla fondazione del nucleo originario fino al concerto del Live Aid al Wembley Stadium di Londra, il 13 luglio del 1985.

Ma veniamo alla recensione vera e propria, che film è stato Bohemian Rhapsody? Spettacolare è l’unica risposta che mi viene in mente!

Sono nato nel 1973 e sono cresciuto con le musiche dei Queen proprio dalla metà degli anni ’80 fino alla metà degli anni ’90, periodo che è coinciso con la mia adolescenza e quindi con le prime cotte, con le prime uscite in discoteca e con la spensieratezza degli anni giovanili, dunque non può che essere questo il mio giudizio.

PER APPROFONDIRE:

■ Scopri la nostra rubrica dedicata al Cinema

Ma, nostalgia a parte, il film è davvero spettacolare, per almeno 4 ottimi motivi.

1. La fotografia, incredibilmente spettacolare, veloce e roboante nelle scene dei concerti e estremamente curata, pacata e ovattata, nelle scene d’interno ed in tutti i dialoghi. Il direttore della fotografia, Newton Thomas Sigel, ha optato per una scelta cromatica slavata e tenue per tutte le scene d’interno della prima parte del film, coincidente con gli anni ’70 e le atmosfere ed i colori tipici di quegli anni. Ma la tavolozza cromatica, pian piano, diventa più scintillante e smagliante, con l’arrivo degli anni ’80, come a voler rimarcare il cambio di decennio anche dal punto di vista cromatico. Nel film sono presenti diversi spezzoni originali dei videoclip dei Queen ed è estremamente interessante l’uso che ne fa Newton Thomas Sigel, miscelando filmati d’archivio e riprese dal vivo con grande maestria. Il direttore della fotografia è uno dei collaboratori fissi del regista Bryan Singer e la notevole esperienza ed intesa raggiunta su set di film d’azione e di supereroi, quali X-Men, Superman Returns, Operazione Valchiria, X-Men – Giorni di un futuro passato e X-Men – Apocalisse, ha sicuramente giovato alle riprese ed alle inquadrature del film; 1. Il cast di attori, tutti bravissimi e talmente calati nei personaggi, da ricreare un effetto mimetico, una recitazione totale. Su tutti svetta Rami Malek (Mr Robot, Papillon, Una notte al museo), che interpreta un Freddie Mercury perfetto. L’aderenza al personaggio è pressoché totale: l’attore ha studiato a fondo le immagini dei concerti dei Queen, in particolare quella del Live Aid ed infatti questa scena, la più impegnativa da girare di tutto il film, vede una performance di Rami Malek talmente perfetta da essere indistinguibile da quella fatta dallo stesso Freddie Mercury. Ma anche le altre interpretazioni dei membri della band sono notevolissime, tre giovanissimi attori (il più grande ha 35 anni), con il quasi sconosciuto, ma bravissimo, Gwilym Lee (The Tourist, L’ispettore Barnaby, Jamestown), che sembra il fratello gemello di Brian May, passando per il talentuoso Ben Hardy (X-Men – Apocalisse, Fire Squad – Incubo di fuoco, Mary Shelley – Un amore immortale), che presta il volto a Roger Taylor, per finire con Joseph Mazzello (Jurassic Park, Il Mondo perduto, Viaggio in Inghilterra), che presta corpo e maschera a John Deacon, il bassista dei Queen;

2. Costumi, trucco e parrucco, curati rispettivamente da Julian Day e Charlie Hounslow sono incredibili, la ricerca e lo studio per ricreare i look e quindi le atmosfere degli anni ’70 ed ’80 sono stati maniacali. Con una maggior approssimazione, sono sicuro che il film non avrebbe avuto lo stesso effetto. Tutto: gli accessori, i vestiti, le acconciature e il trucco sono meritevoli della candidatura ai premi Oscar, vedremo; 3. Le musiche, il montaggio del suono, il montaggio vero e proprio, anche questi da Oscar. Dietro a tutti e tre c’è sempre la stessa persona: il compositore, montatore e regista statunitense John Ottman, assiduo collaboratore di Bryan Singer. Il lavoro più arduo è stato quello della sincronizzazione delle canzoni originali dei Queen, con il labiale degli attori, un lavoro lungo ed estenuante, che concorre in maniera importante al budget complessivo del film, che è stato di 52 milioni di dollari.

Ma, oltre a queste 4 ragioni, potremmo aggiungerne una quinta: la storia raccontata nella trama del film, benché molti detrattori e puristi abbiano riscontrato delle incongruenze: l’entrata nel gruppo del bassista John Deacon, sfalsata di un anno; il fatto che i Queen, diversamente da quanto raccontato nel film, non si siano mai sciolti; il non rispetto dei tempi cronologici dell’uscita di alcune canzoni; la scoperta della seriopositività di Freddie Mercury, avvenuta fra il 1986 ed il 1987, e non prima del Live Aid, come raccontato nel film. La storia della band inglese, invece, è raccontata come una sorta di “educazione sentimentale” alla vita da artisti.

Tutto sembra uscito da un romanzo di Kipling: il nome esotico Farrokh Bulsara, la nascita a Zanzibar, l’infanzia a Bombay, il trasloco a Londra, la vita in periferia. Tutto concorre, come nella vita di un supereroe (di cui il regista è esperto), alla nascita del mito e della leggenda. I superpoteri del nostro eroe sono un’estensione vocale di quattro ottave, mani magiche che padroneggiano istintivamente sia la chitarra che il pianoforte, un carisma ed un fascino magnetici che ne faranno uno dei performer più grandi di tutti i tempi.

Ultima curiosità, fra i produttori della pellicola, figurano due dei tre membri dei Queen: Brian May e Roger Taylor, che hanno supervisionato tutti i passaggi del progetto, con il preciso intento di consegnarci un’immagine del gruppo e del loro leader, in parte edulcorata, per non smagliare la memoria di Freddie Mercury, che è meglio ricordare per la sua bravura ed il suo talento, che per la sua vita di eccessi, tipica delle rock star. Sia come sia, il film è diventato ad 8 settimane dall’uscita (2 novembre 2018 USA, 29 novembre 2018 Italia) il biopic musicale di maggior successo di sempre, con 743.706.115 di dollari di incassi nel Mondo e con 23.351.240 euro in Italia, che ne fanno il miglior incasso per il 2018 per il nostro paese.

Mentre scrivo questo articolo (7 gennaio 2019), il film è ancora presente in molte sale italiane, forse lo sarà per un’altra settimana, ma almeno fino a mercoledì 9 gennaio, quindi il mio suggerimento, se non lo avete ancora fatto, è di andare a vederlo, non ve ne pentirete.

Ma, se proprio non doveste riuscire a vederlo al cinema, aspettate l’uscita del dvd o del bluray, saranno soldi spesi bene e magari al cinema andateci per un altro biopic musicale, in uscita fra maggio e giugno: “Rocketman”, sulla vita e la musica di un altro grandissimo artista, Elton John. Sono sicuro che anche questo film ci emozionerà e farà fare un tuffo nei ricordi ad almeno due generazioni.

La Copertina d’Artista – Dicembre 2018

Un ragazzino fissa rapito lo schermo di un tablet, la luce che si irradia dallo schermo è allo stesso tempo calda e diafana, l’atmosfera è intima, i colori pastosi. Sembra quasi che il protagonista della scena stia per accedere ad un mondo altro, sembra che il tablet sia il portale, lo stargate per un altro universo. Un mondo magico come quello raccontato nella saga di Harry Potter, cui tra l’altro il ragazzino un po’ assomiglia.

Una scritta sul tablet ci fa intuire che tutto sommato non siamo lontani dalla verità, il nostro amico sta per accedere a Google, il motore di ricerca più famoso ed utilizzato al mondo, quindi a tutti gli effetti sta per accedere ad un altro universo, quello virtuale di internet. PER APPROFONDIRE:

■ Scopri la nostra rubrica dedicata ai Social e New Media ■ Scopri la nostra rubrica dedicata alle Case History

L’artista di questo mese, al secolo Luisa Valenzano, gioca con noi e con il nostro immaginario, mischiando sapientemente nella sua pittura fiaba, sogno, fantasy e tecnologia.

L ’ a r t i s t a d i q u e s t o m e s e , L u i s a V alenzano.

La sua opera “Doppia lente” è, sì, un omaggio ai 20 anni di Google, ma rappresenta qualcosa di più, qualcosa di altro.

Per approfondire:

■ Scopri la nostra rubrica “La Copertina d’Artista” Il riflesso dello schermo sugli occhiali del ragazzino suggerisce non solo un’atmosfera di intimità con l’oggetto e il sito, ma una vera e propria compenetrazione, una osmosi, l’immagine sembra dirci che gli schermi che invadono le nostre abitazioni sono diventati i nostri specchi, i nostri black mirror, nei quali riflettiamo ormai le nostre speranze, i nostri sogni, perfino le nostre vite.

Ma, spingendo le nostra interpretazione un po’ più in là, potremmo pensare che il titolo dell’opera alluda anche al bisogno di un mediatore, gli occhiali o lo schermo del tablet, che ci permetta di penetrare più a fondo le cose, non solo quelle di internet, ma anche quelle della nostra vita.

C o r d a t e s a , a c r i l i c o s u tela, 85 x120 cm, 2018.

Quindi, una doppia lente per guardare più lontano, più da vicino, meno sfuocato, più nitido e più profondamente il nostro mondo. Sembra questo il “Simply the Best” propostoci dall’artista: un paio di occhiali da portarci sempre dietro, anche nell’anno che verrà.

Per approfondire:

■ Scopri il numero che ha ispirato questa Copertina d’Artista: “Simply the Best”

La ricerca di Luisa Valenzano (classe 1977) si dipana come una sorta di diario personale, spesso i soggetti delle sue tele sono emotivamente legati a lei, e raccontano momenti personali che diventano comuni a tutto il mondo femminile.

Consegue il diploma di pittura nel 2000 presso l’Accademia di Belle Arti di Bari, cominciando ad esporre in mostre personali e collettive ad iniziare dallo stesso anno. Ha al suo attivo 4 mostre personali, mostre e concorsi di livello nazionale e internazionale tra cui: 3° posto al Concorso “Santa Croce 40 anni dopo” – Santa Croce a Firenze (2006), 1° Premio al concorso “Colori in emersione” ad Aversa (CE) (2008), 2° posto al Concorso “Alda Merini e Guido Bertuzzi” a Milano (2010), 1° posto al Tian Qi Art Contest a Milano (2011). Nel 2018 è stata selezionata al 3+10 Prize a Venezia, al Festival Ar[t]cevia ad Arcevia (An), e alla mostra internazionale HUMAN RIGHTS?#EDU a Rovereto.

T a r a n t a t a , a c r i l i c o s u t e l a d i c o t o n e, 100×90 cm, 2018.

PRINCIPALI MOSTRE

2018

“Sub-terranea” Festival delle arti, Museo del Sottosuolo, Napoli; International Art Festival “AR[t]CEVIA”, Palazzo dei Priori, Arcevia (An);

“Display 2.0”, ‘O Vascio Room Gallery, Somma Vesuviana (Na);

“II RASSEGNA DI PITTURA SEGHIZZI”, Galleria di Arte Contemporanea Seghizzi, Gorizia;

“HUMAN RIGHTS?#EDU”, Fondazione opera Campana dei Caduti, Colle di Miravalle, Rovereto (Tn);

“Lungo il confine”, Teatro Lux, Pisa, a cura di FUCO Fucina Contemporanea

“La mente artistica – Giovani donne artiste a confronto, VI ed.”, Pio Sodalizio dei Piceni, Roma, a cura dell’Ass. Culturale ArtisticaMente

2017

Selezionata a “Ronzii – arte urbana in subbuglio”, Stazione Leopolda, Pisa, a cura di FUCO Fucina Contemporanea.

G i u l i a n a , a c r i l i c o s u t e l a d i c o t one, 99,5×99,5 cm, 2017.

2016

“Proposte per una Collezione”, Exclusive Gallery, Teano (Ce).

2015

“Credere la Luce – Una pala per la Chiesa di Sant’Anna”, mostra progetto d’Arte Sacra su una nuova iconografia di Sant’Anna con realizzazione di una Pala d’Altare per la Chiesa di Sant’Anna a Giulianova (Te), partecipazione su invito, Museo d’Arte dello Splendore, Giulianova (Te), a cura di Marialuisa De Santis, patrocinata dalla CEI

“Visioni Parallele – Spazio Condiviso”, The Factory Urban Lab, Palagianello (Ta), a cura dell’associazione RebelArci

“Welcome Home!”, Palazzo Ulmo, Taranto, a cura di Margherita Capodiferro, testo critico di Roberto Lacarbonara

Simply the best - L'editoriale di Ivan Zorico

Fine anno, tempo di bilanci.

Solitamente quando voglio ricordare cosa di importante è successo in Italia e nel Mondo nell’anno che si sta per concludere, mi affido a quello che possiamo definire l’Oracolo dei tempi moderni. Quell’entità capace di avere una risposta su tutto e di averla anche in tempi estremamente brevi, se non immediati. Sì signori, parlo di Google. Google, che tra l’altro, proprio nel 2018, ha compiuto 20 anni.

Ma, quest’anno, voglio fare una scelta differente. Voglio ripercorre l’anno attraverso le pagine digitali di questo mensile che, ormai, alla luce delle sue oltre 50 pubblicazioni, è divenuto una realtà riconosciuta.

Partiamo proprio da questo numero pieno: 50! A giugno del 2018 abbiamo festeggiato le 50 pubblicazioni di Smart Marketing. Per questo motivo, il numero quel mese lo abbiamo dedicato ad un tema a noi caro i Traguardi. Traguardi da intendersi non come punti di arrivo, ma come momenti da celebrare e da cui ripartire per continuare il percorso di crescita personale e professionale.

Qualche mese prima, a febbraio 2018, ci siamo soffermati su di un tema molto rilevante per chi fa informazione seriamente, come ci impegniamo a fare anche noi da 5 anni a questa parte: le Fake News. Le bufale sono sempre esistite, ma la loro propagazione negli ultimi anni ha avuto un’elevatissima impennata, con tutto quello che ne consegue. È stato un tema centrale nella campagna/vittoria elettorale di Trump. Ed è stato un tema centrale anche per l’esito delle nostre elezioni nazionali.

Negli altri numeri, essendo un mensile tematico che affronta e approfondisce argomenti e notizie relative al marketing, alla comunicazione e ai social media, abbiamo sviluppato diversi punti rilevanti.

Eccone una selezione:

■ Social Events, Il mondo degli eventi incontra la crossmedialità: tra interesse mediatico, conversazioni sui social e business. ■ Luxury, il settore del lusso è sempre stato legato al tema dello status symbol ma negli ultimi tempi, complice anche l’avvento di nuovi consumatori sul mercato globale e delle nuove tecnologie, alla parola lusso si sono affiancati anche altri appellativi: fiducia e trasparenza del brand, ricercatezza dei materiali e della manifattura e innovazione. ■ Generazione YouTube, YouTube nasce il 14 febbraio 2005, ma viene lanciato ufficialmente il 23 aprile 2005. Da allora YouTube ha fatto davvero tanta strada costruendo intorno a sé un solido ecosistema capace di generare una rivoluzione culturale, sociale ed economica. ■ Questione di Branding, in un mondo sempre più affollato da comunicazioni, informazioni, proposte commerciali, interazioni e quant’altro, per poter avere qualche possibilità di catturare l’attenzione delle persone è necessario lavorare sulla riconoscibilità del brand (aziendale o personale). Costruire un Brand di successo deve essere la chiave di volta della nostra strategia di comunicazione e di marketing. ■ L’Italia in mostra, il turismo in Italia è in continua crescita: sono previste infatti 218,9 milioni di presenze, cioè circa 4,5 milioni in più rispetto al 2017. Questo è il segno che il nostro bel paese è fortemente attrattivo, non solo per gli stranieri ma anche per gli italiani stessi che, forse, avevano dimenticato quanto fosse bella e ricca di varietà la nostra penisola. ■ innovation.now, tutto è cambiato: mondo del lavoro, modo di relazionarsi, trend, business, mode, media, ecc. È come se di colpo avessimo fatto a piè pari un balzo in avanti. Un balzo nel futuro. In questo la tecnologia ha avuto il suo peso rilevante. Se sino a qualche tempo si diceva di essere nell’era dell’informazione, oggi si può affermare di essere in quella dell’innovazione.

Come dicevo, ormai questo mensile ha già molte pubblicazioni alle sue spalle. Contenuti che, come avrete avuto modo di leggere in questi anni, sono stati sempre pensati e diffusi per dare un valore o una utilità al lettore. E di questo se ne sono accorti, con mia e nostra somma soddisfazione, anche gli addetti ai lavori. Quest’anno sono infatti davvero tanti gli eventi di settore ai quali Smart Marketing è stato invitato in qualità di media partner:

■ Web Marketing Festival 2018 ■ Call for Artist – Segui la Rana ■ Sport Digital Marketing Festival ■ MARKETERs Festival ■ Digital Innovation Days Italy 2018 ( ex Mashable Social Media Day) ■ Social Media Strategies ■ MARKETERs Day: Sport Players – Join the game ■ MARKETERs Reaction: Music Hype ■ MGeneration: back to the game ■ MARKETERs Festival – formazione e networking

Se il numero di persone interessate ai nostri articoli aumenta e se gli addetti ai lavori, anche conseguentemente, individuano della qualità nel lavoro che portiamo avanti, questo per noi è indubbiamente il segnale che stiamo facendo le cose nella maniera giusta.

Tutto molto auto-celebrativo direte voi? Sì, certo. Per alcuni versi non posso darvi torto. Ma non è solo questo, c’è molto altro.

La scelta di non affidarsi a Google, in questo caso, è voluta essere una sorta di esercizio di concentrazione. È stata dettata dalla chiara volontà di voler prendere il controllo della massa di informazioni che si ha a disposizione, sforzarsi di asciugare il rumore nel quale siamo continuamente immersi e distillare il tutto per prendere quello che per noi è davvero importante.

In un mondo dove ormai ci confrontiamo non più o non solo con il nostro vicino di banco, ma anche con vip e influencer di ogni ordine e grado, è sempre più difficile chiarire il nostro attuale perimetro, il nostro campo da gioco e le persone e situazioni con le quali realmente possiamo avere qualcosa in comune.

Spostandoci da Google, ma rimanendo nel mondo digitale, basta guardare i nostri profili social, personali o aziendali che siano: i nostri post, i nostri contenuti o le nostre storie, sono (apparentemente) sullo stesso livello di personaggi che hanno mezzi e risorse di gran lunga superiori alle nostre. Abbiamo un senso di parità, di orizzontalità, che se vogliamo marca però, ancor di più, la distanza che c’è tra noi (anime di dio, cfr persone comuni) e loro (vip e influencer).

E questo vale sia per questioni puramente estetiche che professionali. Ad esempio Instagram, in questo senso, non lascia scampo: mostra e alterna, intelligentemente, influencer e amici comuni.

Pertanto credo, che di tanto in tanto, sia giusto essere autocelebrativi, senza cadere nell’autoreferenzialità. Ci aiuta a capire e a fare il punto su cosa di buono abbiamo fatto e a pensare a cosa poter fare per migliorare e crescere ancora. Perché, se come ho detto, da un lato dobbiamo capire qual è il campionato in cui giochiamo per giocarlo al meglio delle nostre possibilità, ben venga avere degli stimoli continui e dei confronti con persone che sono riuscite ad avere un certo grado di notorietà. Potremo in questo modo prendere ispirazione e seguirne le orme. D’altronde anche questi fantomatici influencer non sono nati già competenti o non sono nati già con un brand personale forte.

Attenzione però: un conto è cercare di capire le dinamiche che ci sono dietro ad un percorso virtuoso, e un conto è cercare di replicare fedelmente la strada di questo o quell’influencer. Le persone non cercano dei cloni. Bisogna rimanere fedeli alla propria unicità e lavorare sodo affinché emerga. Sarà solo questa la caratteristica che, alla lunga, sarà premiante.

Nel 2019 cerchiamo di farlo tutti. Questo è il mio augurio.

Ivan Zorico Simply the Best – L’editoriale di Raffaello Castellano

Anche questo 2018 volge al termine.

Ma che anno è stato?

Sicuramente il 2018 è stato un anno molto ricco di eventi dal punto di vista tecnologico.

Eventi non sempre positivi, ed infatti i problemi di sicurezza dei nostri dati sugli account social, soprattutto di Facebook (che nonostante la crisi resta il primo social al mondo per utenti), prima con il Russiagate, poi con lo scandalo di Cambridge Analytica, hanno creato una piccola ondata di disaffezione degli utenti, con conseguente chiusura degli account non solo di questa piattaforma, ma anche di altre.

Per approfondire:

■ Utilizzo dei dati, Facebook e Cambridge Analytica, in parole semplici!

È stato l’anno del gaming, il mercato dei videogiochi è la prima fonte di intrattenimento del mondo. Secondo le stime il fatturato del comparto raggiungerà quest’anno i 137,9 miliardi di dollari, con un incremento del 13,3% sul 2017, numeri incredibili se paragonati ad altri settori dell’entertainment come il cinema, che si fermerà a 42 miliardi di dollari, e la musica, che arriverà solo a 36 miliardi di dollari circa.

Con buona pace di Fifa 2019, il videogioco, e vero e proprio fenomeno, dell’anno è Fortnite, sviluppato da Epic Games e People Can Fly che, secondo Bloomberg, ha fatto incassare alla software house 3 miliardi di dollari e creato 200 milioni di utenti nel mondo.

Per approfondire:

■ I videogiochi sono una cosa seria: i numeri del settore!

È stato, ancora una volta, l’anno del social Instagram, che non conosce crisi e, anzi, continua a crescere.

Insomma, verrebbe da dire, la solita manfrina: l’annuale scandalo legato alla sicurezza dei nostri dati su internet; la solita software house che fa soldi a palate con un videogioco gratuito; il solito social che continua a macinare utenti e soldi.

Beh, tutto sommato parrebbe proprio così.

Non fosse che, fra le milioni di informazioni generate e immesse in rete, non ne salti fuori una che riguarda una ricerca scientifica che, in un certo modo, ribalta le nostre certezze sull’importanza di un oggetto, il libro. Infatti il libro cartaceo, nonostante negli ultimi tempi abbia risentito della concorrenza della rete, recentemente sta riguadagnando terreno e affezionati utenti.

La ricerca, condotta da un team australiano, si chiama “Cultura accademica: come i libri in adolescenza migliorano l’alfabetizzazione degli adulti, la matematica e le competenze tecnologiche in 31 società”, e dopo la pubblicazione sul Social Science Research, a metà dello scorso ottobre è stata rilanciata dai principali quotidiani nazionali.

La ricerca è stata condotta su 160.000 adulti tra i 25 e 65 anni distribuiti in 31 nazioni, e poneva in relazione i punteggi ottenuti in test che misuravano le capacità di comprensione di testi, le capacità aritmetiche ed informatiche, con le risposte fornite alla domanda: “Quanti libri avevi in casa quando avevi 16 anni?”.

I risultati sono stati sorprendenti: i migliori punteggi ai test sono stati ottenuti da quegli adulti che in casa avevano un maggior numero di libri; la ricerca ha evidenziato che chi si piazzava meglio ai test possedeva un numero di almeno 80 libri. La curva delle competenze nelle 3 aree esaminate cresceva proporzionalmente al numero dei libri posseduti in gioventù, per attestarsi definitivamente dopo la soglia dei 350 libri. Ma lo studio ha rilevato una cosa ancora più sorprendente, come racconta la prima autrice dello studio, la sociologa Joanna Sikora: “Non è importante soltanto l’atto del leggere, ma anche apprezzare i libri come oggetti, discuterne in famiglia o con gli amici, e soprattutto identificarsi nella lettura: pensare se stesse come persone che amano i libri”, il che ci dice che possedere una libreria fornita genera un sorta di effetto d’Imprinting sui fruitori. Inoltre, prosegue la ricercatrice: “I dati raccolti ci dicono che chi non è riuscito ad andare all’università, se ha avuto una quantità sufficiente di libri in casa a 16 anni, da adulto non sarà meno competente di un laureato che ha avuto pochi libri intorno a sé da ragazzo”.

Quindi cosa ci dice questa interessante ricerca?

La ricerca ci dice che anche il solo e semplice crescere in un ambiente pieno di libri ha ripercussioni profonde e durature sul nostro futuro, non solo per il libro in sé, ma per gli innumerevoli stimoli culturali che il possedere, leggere e commentare libri offre ai ragazzi cresciuti in un ambiente del genere.

Ultima curiosità, la ricerca ha messo in evidenza anche le nazioni con la biblioteca familiare più nutrita, tra cui spicca l’Estonia con 218 libri sullo scaffale, e, in negativo, la Turchia con 27 libri. Il nostro Paese, come si sa poco affezionato alla lettura, si piazza a 75 libri, molto dietro alla Francia con 117 libri e addirittura meno della metà della Germania, nella quale i ragazzi sono cresciuti in case con biblioteche di 151 libri.

Sarebbe interessante incrociare ulteriormente i dati di questa ricerca con i dati di crescita del PIL delle varie nazioni coinvolte, chissà che non emergano altre sorprese.

Allora, perché vi ho raccontato questa storia per introdurre il numero corrente di Smart Marketing che, come sapete, si chiama “Simply the Best”?

Sarà che con l’avanzare dell’età io stia diventando nostalgico, legato ai ricordi, e con la smania di recuperare gli oggetti ormai vintage come appunto il libro?

Oppure il mio essere un lettore “seriale” mi porta a considerare particolarmente importanti ricerche come questa di cui sopra?

Sinceramente non lo so, ma credo fortemente e tenacemente che il libro sia una delle cose migliori che l’uomo abbia inventato, che il libro sia l’unica maniera per parlare con i morti (ovviamente intendo gli autori scomparsi), che i libri siano scrigni pieni di tesori che qualunque esploratore possa permettersi, che i libri siano i migliori anticorpi contro l’ignoranza e la superficialità dilaganti nel nostro mondo iperconnesso ed iperinformato.

Credo infine che l’atto di leggere sia un atto di legittima difesa (Woody Allen) e un allenamento al cambiamento, che il libro debba essere una scure per il mare ghiacciato dentro di noi (Franz Kafka) e che dovremmo fare nostro il suggerimento di Jorge Luis Borges:

“Che altri si vantino delle pagine che hanno scritto; io sono orgoglioso di quelle che ho letto.”

Quindi il meglio per me di quest’anno rimangono i libri che ho letto, che ho consigliato e di cui qualche volta ho scritto, anche in queste pagine.

Non mi resta che augurarvi buone letture e buon anno nuovo.

Raffaello Castellano Vip e social media: gli epic fail che hanno fatto scuola

Tutti i personaggi famosi scelgono ormai di essere presenti sui canali social, ma quali sono gli epic fail dei vip che hanno fatto scuola? Una curata presenza sui social media è oggi non solo per le aziende, ma anche per i vip il modo migliore per creare una community di fan affezionati. In più i personaggi della moda, dello spettacolo e della politica possono nutrire la loro immagine pubblica, monitorare le conversazioni che riguardano loro e soprattutto rendersi visibili in un contesto sempre più affollato.

Alcune star e personaggi famosi gestiscono da sé la pagina Facebook o l’account Twitter, molti si affidano, invece, a un social media manager professionista: eppure molto spesso tutto questo non basta a salvaguardarsi da errori o strafalcioni.

Sempre più spesso gli utenti social più attenti noteranno opinioni che non hanno davvero nulla di politically correct o addirittura estremi di reato, condivisione di bufale e commenti che sarebbero dovuti restare nascosti agli occhi dei più. In questo post voglio fare una rapida carrellata degli epic fail dei vip sui social media: casi famosi, che dovrebbero fare scuola e essere presi a modello per insegnare come non si sta sui social media.

Perché la star si affida al social media manager Come si diceva, i personaggi famosi hanno oggi un ampio staff di social media manager che gestiscono la loro presenza digitale, soprattutto se la community che si è creata nel tempo è molto ampia o quando non ci si può davvero permettere una caduta di stile in ambito digital.

Sicuramente lo staff si occupa di pianificare i post, creare il calendario editoriale e pubblicare testi e immagini sui social, ma il vip ha la libertà di creare e condividere contenuti personali e occasionali. Oggi molti profili di star e personaggi pubblici mostrano chi ha creato il contenuto, se i membri dello staff o la star in persona anche se la responsabilità degli epic fail cade sempre sul vip.

Attenzione a pubblicare sui social i retroscena Molti epic fail sono causati dalla pubblicazione di retroscena che svelano le dinamiche alla base della divulgazione dei contenuti. Ricorderete Gianni Morandi immortalato in un selfie, poi apparso online, con le indicazioni dell’orario di pubblicazione: né scaturì una lunga polemica…

In un epic fail simile è caduto Matteo Renzi con la pagina Facebook che divulgava un album dell’allora Premier con l’invito di non condividere uno scatto fatto in una visita istituzionale ad Alessandria perché ritraeva un disabile, tema rilevante dell’agenda pubblica. Tutte le gaffe della politica sui social media Rimanendo in ambito politico tutti noi avremo letto i congiuntivi traballanti di Luigi di Maio e le gaffe raccolte in un catalogo di meme dedicate a Virginia Raggi: politica e social media significa rapporto complesso e necessità di un lavoro serio per non cadere in epic fail che possono rovinare davvero la reputazione dei personaggi pubblici.

Basti pensare ai tweet “particolari” del presidente americano Donald Trump o al caso in cui bloccò l’account di Stephen King generando una successiva gara di solidarietà tra gli scrittori, con tra i protagonisti anche la creatrice di Harry Potter J.K. Rowling.

Epic fail e vip: le conseguenze reali di post pubblicati senza attenzione Gli epic fail sui social media a volte non si limitano a provocare l’ilarità generale o una caduta di stile per il vip. Pensiamo al caso del rapper 50 Cent convocato dai giudici per foto in cui era ritratto con mazzette di dollari anche se aveva da poco dichiarato la bancarotta. Immediatamente la star spiegò che si trattava di soldi falsi. Non di altrettanto semplice soluzione fu, invece, il caso di Austin Butler e Vanessa Hudgens che si giurarono amore a Sedona, località protetta dell’Arizona. Anche immagini “sbagliate” postate sui social possono causare gaffe e cadute d’immagini ai vip: ricorderete il tweet di Madonna con una didascalia che scherzava col vizio del fumo e con il giocare con il fuoco. La foto associata era quella, infatti, di Paola Barale come segnalato da una fan attenta. Quando i brand cadono nell’epic fail: i casi di Dolce e Gabbana Anche i brand non sono immuni dagli epic fail con conseguenze importanti in termini di vendite e credibilità: Dolce e Gabbana sembra proprio affezionato alle gaffe sui social media. In passato aveva fatto scuola con un caso sulla fecondazione artificiale e il ricordo a madri surrogate per le coppie omosessuali scrivendo sui social «Non mi convincono i figli della chimica, i bambini sintetici, uteri in affitto, semi scelti da un catalogo» e attirando l’attenzione di Elton John con una vera e propria guerra al brand al grido di #BoycottDolceGabbana. Un hashtag poi trasformato in slogan dallo stesso brand per rispondere alle accuse e trasformando l’epic fail in un’operazione strategica facendolo diventare elemento di riconoscibilità online.

Ultima gaffe del brand lo spot di quest’anno che riprende per 40 secondi una modella cinese che tenta di mangiare una pizza con le bacchette: ritenuto un’offesa al popolo cinese e tra mille polemiche ha portato alla cancellazione della sfilata prevista a Shanghai il 21 novembre scorso.

È comunque ormai noto come Stefano Gabbana sui social non risparmi a nessuno la propria opinione, dall’abito da sposa di Chiara Ferragni definito pubblicamente “cheap” all’aspetto fisico di Selena Gomez ritenuta addirittura “brutta” su Instagram. I casi che si possono trovare online sono comunque davvero tanti: eppure bastano pochi accorgimenti per evitare che il post sui social del vip o del personaggio pubblico diventi un epic fail.

■ Fare un doppio check prima di pubblicare ogni contenuto sui social, nelle grandi community bastano pochi secondi per creare un danno irrimediabile ■ Fare attenzione all’account da cui si sta pubblicando il post e controllare se è quello personale o quello del vip, del personaggio pubblico o del brand ■ Fare attenzione all’ortografia e alla superficialità

Augurandovi buona fine dell’anno, attendiamo di vedere quali saranno gli epic fail che faranno scuola nel 2019!

I film italiani in sala nel Natale 2018: commedie, film d’azione e graditi ritorni

Come da tradizione, il periodo di Natale, quello che cinematograficamente va dal 15 novembre al 15 gennaio, è il periodo in cui escono in sala i film potenzialmente di maggior incasso: una vera boccata di ossigeno sia per gli esercenti che per i produttori cinematografici. Storicamente questi 60 giorni sono i più prolifici in termini di presenze a meno di qualche exploit particolare di singoli e specifici film in altri periodi dell’anno. Un Natale che sarà dominato dagli innumerevoli film hollywoodiani, citiamo su tutti “Il ritorno di Mary Poppins”, una rivisitazione dell’originale film della supertata, con Emily Blunt e Meryl Streep. Ma anche il nostro cinema ha un po’ di frecce al suo arco, con gustose commedie, film d’azione e anche alcuni graditi ritorni.

Quest’anno ad aprire la sfida natalizia ci ha pensato il redivivo Leonardo Pieraccioni, che dopo tre anni dalla sua ultima fatica (il mediocre Il professor Cenerentolo), torna in sala con un film, “Se son rose…”, che lo riporta quasi alla felice vervè di un tempo. Se son rose… è un film azzeccato, poetico e inusualmente anche un po’ amaro, un punto di nuovo inizio nella carriera pluriventennale dell’attore toscano. Non più giovane, scanzonato donnaiolo, un po’ bambino; ma cinquantenne che si trova a fare i conti con il proprio passato e in fondo anche con il proprio presente. Leonardo è un uomo di mezz’età ostinatamente single che fa il giornalista di successo sul web occupandosi di alte tecnologie e ha una figlia di 15 anni, Yolanda, lascito di un matrimonio naufragato. Yolanda è stanca di vedere il padre nutrirsi di involtini primavera surgelati e crogiolarsi nel suo infantilismo regressivo, e pensa che la chiave di volta possa essere una relazione stabile. Per metterlo di fronte ai suoi innumerevoli fallimenti in materia sentimentale Yolanda decide di mandare a tutte le ex di Leonardo un sms che dice: “Sono cambiato. Riproviamoci!”. E le sue ex rispondono, ognuna secondo la propria modalità. Come premessa comica è curiosa, e ha il potenziale per una di quelle farse alla francese cui il cinema d’oltralpe ci ha abituati negli ultimi anni; eppure Pieraccioni sceglie la strada malinconica unita alla crescita interiore di un personaggio, che forse alla fine sceglie l’amore, quello nuovo, perché tornare indietro “è soltanto una minestra riscaldata”. Tra i punti di forza del film, oltre ad una serie di belle e brave attrici (Claudia Pandolfi, Micaela Andreozzi, Gabriella Pession), la ritrovata vervè vernacolare di Pieraccioni, vero punto di forza del comico. E apre a quella vena malinconica che, in un paio di occasioni (l’incontro con la fidanzatina del liceo, il dialogo finale con l’ex moglie), lascia intravedere qualche sprazzo di autenticità autobiografica e un principio di vera autocritica. La domanda centrale della storia, ovvero “Quando e perché finiscono gli amori?”, nasconde uno strazio sincero, soprattutto nei confronti di un’unione matrimoniale terminata nonostante una figlia molto amata. Considerato che il suo nume tutelare dichiarato è Monicelli, Pieraccioni fa bene ad esplorare il lato amaro del proprio personaggio, smarcandosi dalla melassa, tipica del suo cinema. Se son rose è la riflessione di un Peter Pan sulle proprie responsabilità nei fallimenti sentimentali collezionati nel tempo, ma anche sulla fragilità strutturale di una generazione maschile autocompiaciuta e programmaticamente immatura. Con un po’ di coraggio in più Pieraccioni potrebbe uscire dalla dimensione fintamente fanciullesca ed entrare con successo in quella cinico-romantica alla Bill Murray, versione toscana. La strada è tracciata, e non solo la critica, ma anche il pubblico, dopo anni di mugugni, ha dimostrato gradire questa deriva malinconica e amara del “nuovo” e cinquantenne Pieraccioni, che piaccia o no, uno dei mostri cinematografici italiani più importanti degli ultimi trent’anni.

E in tema di ritorni, questo sembra un Natale cinematografico vecchio stile, come se si tornasse indietro di 13 anni diciamo, a quel 2005 quando la sfida cinematografica natalizia era tra Ti amo in tutte le lingue del mondo (Pieraccioni) e Natale a Miami (ultimo film insieme della coppia De Sica- Boldi, prima della chiacchierata rottura). Già perché la notizia cinematograficamente più rilevante dell’annata venne data a metà giugno: il Corriere della Sera titolò “a dicembre tornano insieme Boldi e De Sica, dopo 13 anni di lontananza”. Un colpo ad effetto e nostalgico della Medusa del Cavalier Berlusconi, di sicuro e prevedibile successo. Il ritorno del “vero” cinepanettone si parlò. E invece il film “Amici come prima”, non è un cinepanettone, sembra più una pochade alla francese, con De Sica quasi sempre travestito da donna, che deve accudire il suo vecchio amico (Boldi) e proprietario dell’hotel di cui era direttore, e lo aiuterà a salvare il patrimonio di famiglia. Che l’intenzione di Amici come prima sia metacinematografica è esplicitamente dichiarato dall’inquadratura finale, una carrellata all’indietro che denuncia la finzione filmica, con tanto di blooper finali. E non è un caso che quei blooper documentino il rapporto di amicizia ritrovata fra Massimo Boldi e Christian De Sica che dà il titolo a questa commedia. Amici come prima porta infatti in dote il loro sodalizio ventennale e il consolidato contrasto fra la milanesità dell’uno e la romanità dell’altro. Dentro a questa storia c’è l’affetto che il pubblico ha tributato per decenni al duo, ci sono l’aspettativa per le linguacce di Boldi e le reazioni fulminee di De Sica (due o tre qui da antologia), c’è la trivialità scatologica e infantile cui ci hanno abituati decine di cinepanettoni, ci sono i botta-e-risposta dal ritmo comico ben rodato. E c’è anche una riflessione autobiografica e dolorosa sulla vecchiaia e la paura di essere rottamati. Non chiamatelo però cinepanettone. Christian De Sica, qui nelle vesti anche di regista e sceneggiatore, ci tiene infatti a precisare che il film non sarà una serie di gag giustapposte l’una all’altra, ma le risate saranno al servizio di una trama ben solida, ispirata alla lunga tradizione della commedia all’italiana. All’inizio il soggetto sarebbe dovuto essere al contrario un film drammatico ma, un po’ per le richieste della produzione, un po’ per il volere dell’attore di lavorare ancora con l’amico, il progetto è virato verso un prodotto leggero natalizio.

Il 10 gennaio, infine, prodotto dal vecchio e leggendario Fulvio Lucisano, uscirà l’attesissimo “Non ci resta che il crimine”, un mix davvero strepitoso, tra Non ci resta che piangere e Smetto quando voglio. Il titolo è un omaggio all’ironia di Non ci resta che piangere, il crimine invece fa parte del plot. Alla sua sesta prova dietro la macchina da presa, a due anni da Beata Ignoranza e quattro da Gli ultimi saranno ultimi, ritroviamo il regista romano Massimiliano Bruno, classe 1970, che negli anni ci ha abituato a commedie ridanciane con un bel graffio sull’attualità. Come da usanza, nei grandi film italiani degli ultimi anni, anche Non ci resta che il crimine, si serve di un cast corale di mattatori di altissimo livello: dal trio Marco Giallini, Alessandro Gassman e Gianmarco Tognazzi, a Edoardo Leo e Ilenia Pastorelli. “Ci siamo avvicinati modestamente a un capolavoro come Non ci resta che piangere, ma lo abbiamo ambientato negli anni 70 anziché nel Medioevo” racconta Giallini, ospite dell’Ortigia Film Festival. “Nel film ci vedrete nei panni di guide che mostrano ai turisti i luoghi dove aveva operato la Banda della Magliana, vestiti proprio come negli anni 70. Un giorno usciamo da un bar gestito da cinesi e ci ritroviamo catapultati in mezzo alla banda vera, esattamente nel 1982 (Edoardo Leo interpreterà De Pedis, ndr) in un salto temporale curioso da oggi a quegli anni lì. Ci sarà parecchio da ridere, ma anche da riflettere”. Un film, insomma, che promette risate e azione stile Smetto quando voglio, ma anche il fascino misterioso dei viaggi nel tempo in grado di attirare l’attenzione del pubblico. Un film destinato a rimanere negli annali: c’è da scommetterci!

“E VISSERO TUTTI FELICI …O QUASI”: in mostra, ad Ostuni, le ultime opere di Francesco Di Dio (EFFE) Domenica 2 dicembre, presso “La bottega dell’Angelo” di Ostuni, è iniziata la mostra “E vissero tutti felici…o quasi”, dell’artista Francesco Di Dio, in arte EFFE, già presente all’interno della Copertina d’Artista del nostro mensile.

La mostra, che sarà fruibile fino al 10 gennaio 2019, raccoglie illustrazioni e diorami, che rappresentano i personaggi delle favole più famose, ma non come siamo abituati a vederli nelle figure dei libri di fiabe.

Camminando tra le immagini di Di Dio, troviamo un Bianconiglio ancor più su di giri, ma anche un Pinocchio che ha fatto del suo problema di sincerità, un utile vantaggio.

Ma meglio di me, l’artista stesso può raccontare questo colorato, pazzo, favoloso mondo.

Domanda: Francesco, parlaci di quando e come è nata la tua mostra “E vissero tutti felici…o quasi”, da dove è arrivata l’ispirazione?

Risposta: “Disegnare è sempre stata per me una passione, alimentata per anni dalla mia curiosità riguardo al mondo dell’illustrazione al quale ho sempre guardato da esterno, attingendo e accumulando spunti, lasciati lì a sedimentare, poiché assorbito da altro. Poi un evento improvviso e poco felice mi ha sfiorato, mettendomi di fronte al fatto che non si può vivere sempre al margine delle proprie passioni, ma che vale la pena di assecondarle ed allora è come se il coperchio che aveva contenuto questa mia voglia, fosse stato divelto, lasciando debordare tutto quello che bolliva al di sotto. “E vissero…” nasce così, ripescando tra le memorie di quel bambino, che attendeva lì, assopito sotto quel coperchio.”

D: In qu es ta m os tr a c’ è an ch e il co nt ri bu to de l tu o collega e amico Raffaele Di Gioia, parlaci di questa collaborazione.

R: “La collaborazione con Raffaele Di Gioia nasce dal mio approfittare della sua amicizia e da una promessa estortagli pubblicamente in occasione di una delle mie prime esposizioni. Scherzi a parte, ho sempre ammirato il suo lavoro, lui dice di ammirare il mio ed è stato un fatto spontaneo, data questa empatia, che si arrivasse a fare qualcosa insieme. La cosa che più mi diverte è che Raffaele mi regala una visione dall’esterno, perché il suo contributo è una chiave di lettura nuova e diversa dei miei personaggi e della mia ironia, che lui arricchisce con la sua vena sublime e malinconica. Adesso, date le mie lusinghe, gli toccherà rilasciare un’intervista in cui spreca qualche buona parola anche nei miei riguardi!” D: I pe rs on ag gi de lle tu e fa vo le so no “u m an izz ati ”, ha nno difetti, vizi, limiti e per questo riusciamo a sentirci più simili a loro rispetto a quelli delle favole che siamo stati abituati a leggere. Come sarebbe ora la nostra visione della vita se ce li avessero raccontati così?

R: “Certamente una visione disincantata in cui il cattivo ha le sue motivazioni e si difende, in cui il buono non è poi tanto un martire, se si dimostra in grado di reagire con altrettanta forza per garantirsi la sopravvivenza. Certamente una visione imperfetta, in cui le principesse si concedono di essere scarmigliate e il principe non sempre arriva al galoppo di un cavallo intonso e una fanciulletta si perde nel bosco e riesce a riemergerne con un bordo di pelliccia nuovo intorno al proprio cappuccio rosso; forse una visione, malgrado tutto, più positiva ed anche più ottimistica del mondo, perché non incorreremmo nel rischio di infrangere illusioni e disattendere aspettative.”

D: Dopo Ostuni dove andranno i tuoi personaggi felici..o quasi?

R: “A questa quarta domanda mi riservo di non rispondere perché, se ti conosco, ravvedo il tentativo di strapparmi una promessa…non so per certo la strada che i miei personaggi seguiranno, sicuramente ci sono altri progetti, poi ormai è come se vivessero una vita autonoma, la stessa Cappuccetto, fa cose, vede gente ed io sono sempre l’ultimo a venirne messo a parte.” News Cover. Notizie, immagini e visioni ai tempi dell’Infotainment - 2° edizione

Esattamente un mese fa, il 3 novembre, a Bari presso la Chiesa Santa Teresa Dei Maschi, si concludeva con uno spettacolare finissage, la seconda tappa della 2° Edizione della mostra “News Cover. Notizie; immagini e visioni ai tempi dell’Infotainment”. L’iniziativa è stata promossa dalle associazioni Smart Media e ACSI Laboratorio Urbano Mediterraneo/Presidio del Libro di San Giorgio Jonico, in collaborazione con Z.N.S. Project, Federico II Eventi e Vallisa Cultura Onlus. La mostra raccoglieva le copertine del magazine Smart Marketing pubblicate da gennaio a dicembre 2016. Dodici copertine di altrettanti artisti che attraverso la loro sensibilità hanno raccontato un anno particolarmente ricco di avvenimenti importanti ed epocali, dalla forte rilevanza mediatica.

U n m o m e n t o d e l l a d i s c u s s ione Frittura Mista.

Nel 2016, infatti, ci sono state la morte di Umberto Eco, David Bowie e tanti altri artisti ed intellettuali, la Brexit, gli attentati di Nizza del 14 luglio, il disastro ferroviario sulla tratta Bari- Barletta del 12 Luglio, l’elezione di Donald Trump come nuovo Presidente USA a novembre, solo per citare i fatti più eclatanti.

E, come spesso succede, l’arte e gli artisti sono stati come una bussola e una mappa per orientarci sul terreno, impervio, liquido e precario delle notizie e dell’informazione. Di più, essi sono stati anche, e soprattutto, delle antenne e delle parabole per cogliere, prima e meglio, i segnali provenienti non solo dal presente, ma anche dal futuro.

Gli artisti presenti in mostra erano: Raffaele Di Gioia, Semira Forte, Collettivo GIU.NGO-LAB, Antonella Zito, Dario Agrimi, Jasmine Pignatelli, Natascia Abbattista, Pierluca Cetera, Lisa Cutrino, Miguel Gomez, Antonia Bufi, Domenico Ruccia, Alessio Rondinelli e Angelo Rampin.

Ma, veniamo all’evento del 3 novembre scorso, diviso in due momenti distinti. Il finissage è cominciato con MIXTA, una performance di video e musica sperimentale curata dall’artista Miguel Gomez (video) e dal duo di musica sperimentale Rondinelli/Rampin. Le immagini del video sono state proiettate direttamente sui muri, mentre i suoni elettronici, sincopati e ripetitivi riverberavano e si amplificavano sfruttando l’ottimale acustica tipica della chiesa. Il tutto creava un dialogo ed un cortocircuito con le architetture e le pitture presenti, creando un “mix” dal forte impatto visivo, acustico ed emozionale.

La seconda parte invece ha visto la riproposta del format “Frittura mista – Arte in contemporanea”, ideato e promosso da Margherita Capodiferro e Cristiano Pallara, dell’associazione Z.N.S. Project e da Raffaello Castellano. La formula di questo appuntamento prevedeva che gli artisti intervenuti alla serata potessero intavolare una feconda discussione, partendo dalle proprie opere proiettate sullo schermo di un computer. Le occasioni di confronto e dialogo per gli artisti, al netto delle mostre, sono rare. La partecipazione attenta e coinvolta degli artisti presenti, una dozzina, non solo gli autori delle copertine, ma anche altri che hanno partecipato alla serata, ha convinto gli organizzatori a far diventare questo un appuntamento fisso e collaterale alla rassegna “News- Cover”, sia di questa edizione, che di quelle future. U n a l t r o m o m e n t o d e l f i n i ssage.

Insomma, è stata una serata, sotto molti aspetti, interessante e che ha stimolato quasi tutti i sensi di cui siamo dotati, vista, udito, tatto e ha rappresentato come tutti gli eventi culturali, una sorta di seduta in palestra per imparare a pensare, in maniera critica, consapevole e originale.

Noi di Smart Marketing, siamo da sempre fautori di una positiva contaminazione fra cultura e marketing e arte e finanza, forse perché siamo persuasi dalla massima di Oscar Wilde, che dice “Quando i banchieri si ritrovano a cena, parlano di arte. Quando gli artisti si ritrovano a cena, parlando di soldi”, e se lo diceva lui, che era assiduo frequentatore dei più importanti salotti della nobiltà londinese, c’è da crederci.

La Copertina d’Artista – Novembre 2018

Una figura emerge da una foschia lattiginosa, indossa un curioso copricapo, calza un bizzarro mantello rosso, ha una barba bianchissima piena di boccoli, e reca in mano uno strano dono.

L’immagine che fa da copertina per questo numero di novembre è, solo apparentemente, una citazione al Natale che verrà; l’immagine dipinta dall’artista di questo mese è sì fortemente evocativa, parlante verrebbe da dire, ma non è quello che sembra. L’arte ci ha insegnato che spesso nasconde il suo messaggio sotto mentite spoglie o, per dirla alla Picasso: gli artisti usano una bugia per raccontarci la verità.

E quale è la verità che ci racconta l’artista di questo numero, al secolo Grazia Salierno? È una verità di sudore, fatica e sofferenza.

Non ci sono lustrini, niente balocchi, né dolci, né tantomeno aria di festa.

Il Babbo Natale ritratto dalla Salierno è in realtà un soccorritore, il mantello che indossa è un salvagente, il copricapo un elmetto da lavoro ed il dono che ci reca è, in realtà, un bambino strappato alla furia di una Madre Natura arcigna e spietata.

L’artista ha dipinto il tutto con pennellate appena accennate, un tratto leggero come ali di farfalla, pochi ed essenziali colori. L ’ a r t i s t a d e l l a C o p e r t i n a d i n o v e m b r e 2 0 1 8 , G razia Salerno.

Ma l’immagine è anche piena di speranza: il bambino rappresenta la vita che comunque sconfigge la morte, il soccorritore è un eroe, esempio di coraggio ed altruismo. Tutto nell’immagine, benché drammatico, ci testimonia una tragedia scampata. L’opera canta l’amore, il coraggio e la speranza, riecheggiano i versi di Emily Dickinson:

“La speranza è un essere piumato

che si posa sull’anima,

canta melodie senza parole e non finisce mai”.

Quindi qual è il messaggio di Grazia Salierno per questo Natale che verrà?

Forse l’artista ci dice che il regalo più bello è la vita?

Forse il vero spirito del Natale è fare qualcosa per gli altri?

Forse il dono più grande che possiamo fare è donarci agli altri?

Sono sicuro che è così, sono sicuro che fra le lezioni più importanti (fra le tante che l’arte ci impartisce) quelle di pungolare il nostro cinismo, fare argine alla nostra superficialità e stimolare il nostro altruismo siano quelle basilari, i fondamentali, le lezioni senza le quali tutte le altre sono inutili. Le sole che addestrano la nostra umanità, ci fanno diventare autentici esseri umani. “ C a d e i n u n p u n t o q u a l s i a s i e g e r m o g l i a ” , olio su tela, 100×120 cm, 2018.

Grazia Salierno è un’artista della provincia di Bari, classe 1975.

Dopo il diploma al Liceo Artistico, nel 2000 si laurea all’Accademia di Belle Arti di Bari specializzandosi in seguito nella grafica pubblicitaria attraverso la frequentazione di un corso di formazione regionale. Comincia subito a lavorare nel settore grafico, prima in un’azienda ed in seguito in uno studio. Parallelamente la sua attività artistica la porta a numerose partecipazioni a mostre collettive, personali, bipersonali, concorsi, progetti e premi su tutto il territorio nazionale.

L’artista è molto impegnata anche sul fronte dell’associazionismo, infatti è consigliera dell’associazione culturale “Live in Art” con la quale organizza progetti, corsi e concorsi legati all’arte, oltre ad essere un membro molto attivo dell’associazione Alauda di Adelfia (BA).

Ultime mostre:

2016

“Veritas Feminae”, Casa Cava, Matera;

Menzione speciale al Premio Lupo, Roseto Valfortore (FG);

Seconda classificata al concorso Multiculturita, Capurso (BA);

“Sognatori sulla via della luna”, Galleria Idearte, Potenza;

“Gravity”, mostra personale, Galleria K2 , Giovinazzo (BA). “ G i u n t u r e ” , A c q u e r e l l o s u c a r t a c o t o n e , 2 1 × 2 9 ,7 cm, 2018.

2017

Progetto “Tarocchi ed arcani, beneficenza a piene mani”, per aiutare la ricerca dell’AIL Ass. Italiana contro la leucemia, Soave (VR);

“Strarte – percorsi d’arte contemporanea “, Giovinazzo (BA);

“Visionari al Castello”, (con il progetto “Tarocchi per l’AIL”), Rocca Imperiale (CS);

“Appuntamento con l’artista”, Ass. Alauda, Adelfia (BA).

2018

“Exposure”, mostra di opere d’arte, video, film sperimentali, fotografie, opere grafiche inerenti la danza, Giornata della Danza, Fermignano (PU);

Incontro fra musica, sensi e dipinti, parole di Silvana Kuhtz e dipinti di Grazia Salierno:

“Lungo il confine” organizzata con Fuco – Fucina Contemporanea, Pisa;

Terzo premio nel concorso Premio Lupo, quarta edizione;

“HUMAN RIGHTS”, AIAPI, Rovereto (TN);

“MULTICULTURITA ART CONTEST 2018”, secondo premio, “Musica nell’Arte Visiva”.

Per informazioni e per contattare l’artista Grazia Salierno: [email protected] www.graziasalierno.it

Ricordiamo ai nostri lettori ed agli artisti interessati che è possibile candidarsi alla selezione della quarta edizione di questa interessante iniziativa scrivendo ed inviando un portfolio alla nostra redazione: [email protected]

Il Natale che verrà – L’editoriale di Raffaello Castellano Ed anche quest’anno è arrivato il Natale!

Fra poco meno di un mese arriverà la festa, non solo religiosa, più importante del Mondo, o almeno per quella parte di Mondo che è di fede cristiana.

Come mi pare di aver raccontato dalle pagine di questo giornale, io sono agnostico, eppure anche per me questa rimane la festa più importante dell’anno, l’unica festa.

Sono profondamente legato, nonostante i miei 45 anni suonati, ai profumi, ai colori, alle atmosfere, agli addobbi, alle tavole imbandite, agli amici, ai parenti, all’albero, ai regali, all’aria di festa e perfino a Babbo Natale, che sono alcune delle cose che regalano a questo periodo la sua aurea di sogno, gioia, nostalgia e speranza che trasforma ogni momento in qualcosa di magico.

Magia vera, come quando da bambino, in un piccolissimo paesino, fra Coblenza ed Asterstein, della allora FDR (Repubblica Federale di Germania), era il 1980, in un paesaggio montano da fiaba, fra abeti, larici e querce, si andava una settimana prima della festa per i boschi a tagliare il proprio albero di Natale (credo fosse permesso in zone specificatamente adibite a questo scopo), e poi una volta a casa lo si addobbava con ghirlande, luci colorate, palle e stelle di vetro; già, perché allora gli addobbi erano preziosi e fragili oggetti di vetro, che scintillavano come la neve al sole, neve che negli inverni tedeschi cadeva copiosa e si accumulava compatta in un manto che difficilmente era meno spesso di 20/30 cm.

Forse sarà stato per i miei Natali da fiaba, trascorsi in Germania, che oggi, nonostante gli anni trascorsi, e le rivoluzioni più o meno compiute che si sono succedute (nel mondo e nella mia vita), il Natale rimane per me un momento imprescindibile.

Succede allora che dagli anni 2000, ossia da quando la rivoluzione digitale ha cominciato ad accelerare ad una velocita vorticosa, mi soffermo spesso in questo periodo a riflettere in cosa internet, i social, l’e-commerce e i nostri numerosi apparecchi elettronici hanno trasformato questa festa e il cosiddetto spirito natalizio.

Allora, dopo questa nostalgica introduzione, veniamo ai numeri duri e puri. Da 4, 5 anni a questa parte anche per noi latini c’è un momento dell’anno che dà avvio e definisce compiutamente questo periodo di shopping natalizio, ed è il Black Friday (venerdì nero), che negli Stati Uniti segue il giorno del Ringraziamento e cade quest’anno il 23 novembre. Secondo l’Osservatorio eCommerce B2c Netcomm del Politecnico di Milano, per il Black Friday 2018 gli acquisti online hanno superato il miliardo di euro, registrando un aumento del 35% rispetto all’anno precedente. Negli Stati Uniti, nel 2018 si è arrivati a toccare la cifra di 23 miliardi di dollari solo nella giornata di venerdì 23 novembre. I dati raccolti, inoltre, hanno messo in evidenza che negli ultimi anni i risultati di vendita superano notevolmente i periodi dei saldi.

In Italia i prodotti più cercati online tra il 20 e 26 novembre sono stati innanzitutto gli AirPods, gli auricolari bluetooth della Apple. Al secondo posto si sono, invece, piazzate le asciugatrici, che sono l’elettrodomestico più ricercato nel Venerdì Nero di quest’anno.

Anche altri settori hanno emesso offerte incredibili, registrando vendite record: tra i videogiochi il primato è stato per Fifa19, nel mondo dell’abbigliamento, invece, per le scarpe da ginnastica.

Quindi, se si soffermiamo solo all’analisi del commercio, delle vendite e del volume di affari di questo singolo giorno, o settimana, del Black Friday, dovremmo concludere che il Natale è diventato una mera occasione di spesa, un giorno di vendite e acquisti senza freni e compulsivi. E forse non avremmo tutti i torti!

Ma io non ho alcuna voglia di soffermarmi sull’ennesima trovata commerciale, importata dagli States, ma piuttosto mi piacerebbe trovare una sintesi tra il mio iniziale discorso nostalgico sul Natale e i numeri del comparto commerciale dello stesso.

Credo che, se c’è una sintesi, essa vada ricercata nella scoperta o ri-scoperta del “valore del dono”. Mi spiego meglio: un regalo, quando lo scegliamo, quando lo confezioniamo ed infine lo doniamo alla persona destinataria dello stesso dice, o meglio, racconta qualcosa di noi.

Questo racconto potrà essere più o meno ricco, dettagliato, accurato e preciso, quanto più cura e dedizione, fors’anche sacrificio, la scelta del regalo ha comportato. Che lo vogliamo o no, che lo ignoriamo o meno, gli oggetti che decidiamo di regalare al nostro partner, ai nostri cari, agli amici raccontano chi siamo e svelano molte cose su di noi.

Dovremmo essere responsabili e consci di questa sorta di informazioni aggiuntive che rappresentano una sorta di confezione al dono che regaliamo ai nostri amici e parenti, dovremmo chiederci che impressione vogliamo che diano di noi. Che cosa vogliamo raccontare, in più, di noi? Quale è, insomma, lo storytelling che accompagna ogni nostro regalo?

Personalmente sono sempre stato abbastanza attento alla scelta dei doni, della confezione, addirittura dei nastri e della carta adoperati, ho sempre pensato che il regalo è solo l’ultimo passo di un percorso, di una scelta, di un pensiero che si fa tangibile.

Dovremmo riscoprire tutti la “dimensione del dono”, se non vogliamo che anche il Natale diventi una mera operazione commerciale ed un pretesto per spendere soldi ed acquistare merce.

Quest’anno voglio seguire il suggerimento dell’artista che ha realizzato la copertina di questo mese, Grazia Salierno, che ha dipinto un Babbo Natale che in realtà è un volontario che ha appena salvato un bambino. Donare se stessi per uno scopo superiore come l’aiutare gli altri, forse è questo il regalo giusto di quest’anno.

Ma se non dovessimo riuscire a donare noi stessi, non disperiamo, possiamo ricorrere ad una categoria di regali che non solo racconta qualcosa di noi, ma racconta qualcosa di per sé, e parlo dei libri, scrigni pieni di sogni, speranza, storie e che sono vere e proprie cartine geografiche per orientarci nel mondo moderno; noi ve ne proponiamo una piccola selezione, sono tutti titoli incentrati sugli argomenti cari al nostro magazine.

Oltre a questo, non mi resta che augurarvi buona lettura con i nostri articoli e buoni acquisti di Natale.

Raffaello Castellano

Siti internet e social media a Natale: 5 cose da fare

Manca ormai poco al Natale 2018 e già aziende e social media manager si chiedono come addobbare il sito natalizio, cosa pubblicare sui social media e quali messaggi mandare ai clienti.

Per questo, da consulente di web marketing, vi propongo alcune cose da fare e non fare assolutamente a Natale, per festeggiare nel migliore dei modi anche sui canali online.

Partiamo da quello che le aziende non devono fare assolutamente, per non cadere in un effetto trash davvero banale e infastidire gli utenti.

Cosa NON FARE sul sito a Natale 1. Neve che cade sullo schermo: è un plugin Java anni ’90 che oltre ad essere di cattivo gusto appesantisce il sito, riduce il traffico e danneggia le statistiche. Tutti i visitatori cercheranno di fermare il continuo movimento e lo stesso vale per altri effetti speciali natalizi, dalle renne con la slitta al Babbo Natale che saluta gli utenti. 2. Messaggio aziendale di Buon Natale 3. Avviso di chiusura dal 24 dicembre al 6 gennaio: social e sito oggi non chiudono mai, perché il mondo è cambiato. 4. Foto di feste aziendali: a meno che non si tratti di grandi brand di moda o lusso, le foto della festa di Natale aziendale comunicano disagio e non sono più di moda. 5. Auguri di Natale: quest’anno fai un regalo ai clienti e non inviare il 24 dicembre la tradizionale email con il presepe, l’albero di Natale e il logo aziendale. Magari inventa qualche alternativa veramente gradita, come il pacco dono o il biglietto d’auguri inviato per posta con un piccolo gadget aziendale.

E allora come dare un’aria natalizia a sito e social media a Natale? Cosa FARE sul sito a Natale 1. Piccole decorazioni natalizie, eleganti, spiritose ma soprattutto non invasive. Magari puoi aggiungere un cappello d Natale o qualche addobbo al logo aziendale pubblicato online, nulla di più. 2. Utilizzo degli spazi già esistenti: il senso della festa può essere comunicato da post, news, immagini e video sul sito web. Magari puoi utilizzare la prima immagine dello slider in Homepage per fare subito Natale sul sito. L’importante è, come visto sopra, evitare di aggiungere animazioni e plugin. 3. Contenuti natalizi: usa la fantasia per preparare contenuti aziendali natalizi che rispondano alle esigenze dei clienti.

Il brand di arredamento consiglierà come addobbare la casa e la tavola per le feste, il sito di finanza può fare una intervista divertente a Scrooge, le industrie possono creare foto spiritose e didascalie divertenti, chi fa consulenza può mostrare case histories o altri momenti dell’attività annuale.

4. Creazione di un hashtag natalizio da condividere sui social media durante il mese di dicembre, con una campagna pubblicitaria ad hoc. 5. Creazione del messaggio di buon Natale: realizza qualcosa di creativo affidandoti ai tuoi grafici e ai tuoi copywriter, puntando su frasi brevi e su una card o infografica adatta anche ai social media. Le email di auguri ai clienti: consigli utili Vuoi veramente mandare la classica email di auguri ai clienti? Il consiglio è inviarla la settimana prima di Natale ed essere sicuro che sia gradita, soprattutto se non dai tue notizie con regolarità. Diverso il caso di chi invia una newsletter al mese e che quindi può spostare verso il 18 dicembre l’ultimo invio dell’anno aggiungendo gli auguri di buone feste.

Passato il Natale si pensa a Capodanno Approffitta della pianificazione natalizia per programmare anche il Capodanno: crea contenuti con le previsioni del tuo settore per il 2019, analizzando i trend e le novità emergenti. Il tuo cliente o fan gradirà certamente e condividerà il post sui canali digitali, in primo luogo i social media.

5 Consigli per il Natale sui social media Ecco anche alcuni suggerimenti per il Natale sui social media:

1. Scegli un’immagine natalizia uguale per tutte le pagine e i profili social dell’azienda e una copertina con decorazioni a tema e con un messaggio di auguri originale. 2. Aggiorna il tuo profilo aziendale anche durante le feste, soprattutto a Natale dato che le persone hanno più tempo per seguire i canali social 3. Crea contenuti tematici: dalla gif al video, dalla foto al testo tutto deve parlare di Natale facendo attenzione al copyright. Un buon sito per trovare immagini di qualità è Pixabay 4. Fai una selezione dei prodotti e servizi migliori, impacchettali per le feste e condividili sulle tue pagine social con una breve descrizione. Usa allegria e positività e scegli un messaggio natalizio originale. 5. Coinvolgi i tuoi fan chiedendo loro di condividere le foto più belle del Natale, soprattutto mentre usano i tuoi prodotti. Riuscirai a creare una relazione intensa con i fan e generare passaparola positivo nel più bel periodo dell’anno.

Infine ricorda: Natale non è solo il 25 dicembre ma dura fino all’Epifania: sfruttare al meglio questo periodo con una gestione curata del sito e dei social della tua azienda porterà concreti benefici sia in termini di brand awareness sia di fatturato e vendite.

Non mi resta che augurarti buone feste!

Cinque libri sotto l’albero per comprendere la rivoluzione digitale.

Il numero di Ottobre del Mondadori Store Magazine era dedicato alla “rivoluzione digitale”, con una serie di proposte molto interessanti che possono essere un valido strumento per navigare meglio nel mare magnum della rete e per districarci fra le onde e le tempeste di questa rivoluzione digitale, nella quale, purtroppo, invece di approdare a sicure certezze e porti di conoscenza, stiamo rischiando, chi più chi meno, di naufragare.

Infatti, fra la ventina di proposte, la maggior parte si soffermava sulle questioni che negli ultimi anni stanno emergendo dalla rete. Per continuare con la metafora marina, sembra che l’onda lunga della rete si stia ritirando, facendo affiorare sulla battigia tutte le problematiche e le complicanze che erano rimaste sommerse.

Fra le proposte, quindi, c’era di tutto, tra cui saggi dedicati ad ogni aspetto del mondo digitale, dalle fake news ai big data, dalla profilazione al galateo dei nuovi media, dai problemi di hate speech ai webeti.

Noi di Smart Marketing abbiamo giustamente pensato di leggere alcune di queste proposte e di riproporvele come in una sorta di biblioteca “essenziale” (per il professionista del web e per tutti i curiosi che hanno sete di conoscenza), da regalare o regalarci per il “Natale che Verrà”. Lo scopo è che noi, professionisti del web, per primi, riuscissimo ad acquisire quella consapevolezza prima e quelle competenze poi, che ci permettano di contrastare gli aspetti negativi della rete, in maniera da diventare esempio per tutti gli altri utenti.

Sono 5 i libri scelti, che coprono un settore abbastanza vasto delle nuove tecnologie e dei nuovi media: Far Web – Odio, bufale, bullismo. Il lato oscuro dei social SCHEDA:

autore: Matteo Grandi

editore: Rizzoli

anno: 2017

pagine: 224

isbn: 9788817095969

prezzo: € 18.00

Per cominciare abbiamo letto il libro di Matteo Grandi, “Far Web – Odio, bufale, bullismo. Il lato oscuro dei social”, edito da Rizzoli alla fine del 2017, quindi non proprio una pubblicazione nuova, ma ancora attuale.

Matteo Grandi, giornalista, autore televisivo ed esperto di social network, affronta con competenza ed in un linguaggio chiaro e divulgativo il problema dell’hate speech, ossia del dilagare dell’odio in rete e soprattutto sui social, analizzando esempi concreti, saliti agli onori della recente cronaca.

Il libro scorre sul filo di un’ironia tagliente e sagace e ci offre un ventaglio molto ampio di comportamenti deprecabili, utilizzati da quella categoria di utenti della rete che, per primo, il giornalista Enrico Mentana definì “webeti”. Un piccolo glossario ed una bibliografia essenziale corredano un libro che ogni professionista del web dovrebbe leggere e/o regalare.

Fake news. Vivere e sopravvivere in un mondo post-verità

SCHEDA:

autore: Giuseppe Riva

editore: Il Mulino

anno: 2018

pagine: 200

isbn: 9788815275257

prezzo: € 14,00

Il secondo libro si concentra ed approfondisce uno degli aspetti più sconvolgenti della rete, il fenomeno delle “fake news”, che proprio grazie al mezzo ed all’architettura stessa del web, mai come ora, sta avendo diffusione e sta influenzando negativamente porzioni di pubblico sempre più grandi.

Dopo una disamina storica del concetto e del termine di fake news, l’autore, infatti, ci dice che la disinformazione è sempre esistita nel mondo della comunicazione e su tutti i principali media; il libro si concentra, in particolare modo, sugli aspetti sociologici e psicologici dei nuovi media.

Secondo l’autore Giuseppe Riva, professore ordinario di Psicologia della Comunicazione all’Università Cattolica di Milano (dove dirige il Laboratorio di interazione comunicativa e nuove tecnologie) e Presidente dell’Associazione Internazionale di CiberPsicologia i-ACToR, il web sta mettendo in discussione lo stesso concetto di “fatto”, creando quello che recentemente è stato definito un “mondo post-verità”, al cui interno le fake news sono diventate uno strumento molto efficace per influenzare le decisioni individuali. Snello, scorrevole e ben documentato, il libro è lo strumento essenziale per addetti alla comunicazione, giornalisti e blogger.

Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social SCHEDA:

autore: Jaron Lanier

editore: il Saggiatore

anno: 2018

pagine: 211

isbn: 978884282516642

prezzo: € 10,00

Il terzo libro che vi proponiamo è una vera bibbia del pensiero controcorrente, infatti, come per le tavole dei dieci comandamenti che Dio consegnò a Mosè, in “Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social” l’autore, Jaron Lanier, pioniere dell’informatica, famoso per il suo lavoro di ricerca sulla realtà virtuale (oltre che aver contribuito allo sviluppo di startup poi acquisite da Google, Adobe e Oracle), verga su carta dieci veri e propri comandamenti per riprendere possesso della propria vita e della propria libertà di scelta.

L’analisi è spietata e non lascia spazio a dubbi o incertezze. L’opinione dell’autore è chiara: i social stanno intossicando la rete e tirano fuori il peggio di noi. Siamo tutti diventati dipendenti dalla dopamina spacciata dai social a suon di like, odiamo con un forza ed una virulenza di cui non eravamo consapevoli; i social distorcono il nostro rapporto con la verità, annichiliscono la nostra capacità di empatia e, benché ci diano l’illusione di connetterci con il mondo intero, in realtà ci disconnettono dagli altri esseri umani e dalla nostra stessa umanità.

Insomma un quadro davvero fosco, cupo e senza speranza quello disegnato da Jaron Lanier, reso ancora più drammatico dal fatto che a prefigurare scenari così apocalittici non sia un attempato professore di filosofia incline al catastrofismo e reticente alle nuove tecnologie, ma un teorico e ricercatore del mondo digitale e delle tecnologie informatiche.

Un volume sorprendentemente drammatico e ben documentato che è un vero e proprio pamphlet, una bibbia, per comprendere meglio cosa si cela dietro la religione dei social, che tutti dovrebbero leggere.

Iperconnessi

Perché i ragazzi oggi crescono meno ribelli, piú tolleranti, meno felici e del tutto impreparati a diventare adulti

SCHEDA:

autore: Jean M. Twenge editore: Einaudi

anno: 2018

pagine: 400

isbn: 9788806238568

prezzo: € 19,00

Il libro di Jean M. Twenge, professoressa di psicologia alla San Diego State University, si concentra sulla generazione “iGen”, (i nativi digitali) nati dal 1995 in poi e che hanno conosciuto il mondo attraverso lo schermo di un cellulare prima e di uno smartphone poi. Infatti, chi è nato nel 1995 o giù di lì è cresciuto con un cellulare in mano, non ha memoria di un mondo senza internet, era più o meno adolescente quando Facebook fu lanciato (2004) ed usci il primo iPhone (2007) e frequentava il liceo quando il primo tablet, l’iPad, fu immesso sul mercato nel 2010.

Tutta la loro vita è stata filtrata attraverso lo schermo di un dispositivo portatile e mediato attraverso l’utilizzo di un qualche tipo di social network. La tesi di Jean M. Twenge è semplice ma rivoluzionaria: i ragazzi non sono più quelli di un tempo. Gli iGen crescono più lentamente di una volta, sono ossessionati dal tema della sicurezza, preoccupati sul loro futuro economico, contrari a qualunque tipo di discriminazione basata sul sesso, la razza, l’orientamento sessuale; ma altresì, sono la generazione con il più alto tasso di disturbi psichici e, dal 2011 in poi, con il più elevato numero di casi sia di depressione che di suicidi.

I giovani di oggi sono più aperti e più attenti delle precedenti generazioni, ma anche più ansiosi e infelici. Sono più immaturi ed infantili. Sono più virtuosi: non bevono, usano meno droghe e fanno meno sesso, ma sono anche meno pronti ad affrontare la vita reale, al punto di essere sull’orlo della peggior crisi esistenziale di sempre.

L’autrice attinge i suoi dati e le sue conclusioni da quattro grandi ricerche che, dagli anni ’60 in poi, hanno scandagliato i comportamenti di 11 milioni di individui e, benché lo studio si concentri sulla popolazione americana, il saggio della Twenge vale anche per noi europei.

Il libro, di 400 pagine, è corposo, ma l’esposizione chiara e l’intento divulgativo lo rendono abbordabile da chiunque; una lettura sorprendente che sfata diversi falsi miti. Indicato per tutti, ma indispensabile per genitori, educatori ed insegnati.

The Game SCHEDA: autore: Alessandro Baricco editore: Einaudi anno: 2018 pagine: 336 isbn: 9788806235550 prezzo: € 18,00

L’ultimo libro di questa “Top Five” è The Game di Alessandro Baricco, un saggio-racconto- geografico della nostra contemporaneità.

L’autore decide di cimentarsi nuovamente con il saggio, dodici anni dopo “I Barbari”, ed adotta lo stile del narratore, incasellando una serie di argute e puntuali osservazioni su quella che egli definisce una rivoluzione paradigmatica, al pari di quella copernicana e di quella darwiniana.

L’autore individua tre fasi principali, o meglio tre tappe: l’epoca classica, la fase di colonizzazione del web e il game vero e proprio, ognuna di esse contraddistinta dall’affermarsi di e il consolidarsi di tutta una serie di nuove abitudini comportamentali così come di cambiamenti psicologici e perfino posturali. Ma Baricco, ovviamente, non si limita a redigere una biografia della rivoluzione in corso, il suo approccio non è quello di uno storico, ma di un geografo o archeologo. Egli ci svela la mappa, la carta geografica del nostro presente con i suoi picchi, i suoi fiumi, le città e le province. La geografia del nostro presente è scritta in un tono piano e divulgativo, con l’inconfondibile stile “alla Baricco”, fatto di quella cultura enciclopedica controcorrente, di trovate divertenti e di stupore e curiosità che, prima di arrivare al lettore, appartengono allo stesso scrittore.

Un libro non solo per addetti ai lavori, ma per tutti, che ha come pregio l’originalità di affrontare la rivoluzione digitale non come un fatto temporale e quindi storico, ma come un continente, un territorio, vasto, lussureggiante, misterioso, pieno di potenzialità che tutti noi abitiamo.

Addio a Bernardo Bertolucci, il Maestro del cinema della trasgressione

“Così italiano e così internazionale. Così sofisticato e così nazional-popolare. Così letterario e così visuale”. Con Bertolucci, scompare l’ultimo grande Maestro crepuscolare del nostro cinema. Titoli epici come Ultimo tango a Parigi, Novecento e Il tè nel deserto, sono quasi dei poemi omerici, per la cura maniacale, per l’attenzione alla colonna sonora, per il genio di uno degli artisti italiani più incisivi della storia culturale nazionale del ‘900. Bertolucci proveniva da una famiglia già ampiamente addentrata nel significato profondo di “cultura”: il padre Attilio era un famoso poeta.

E come se non bastasse il suo esordio cinematografico avviene come aiuto-regia di Pier Paolo Pasolini e ha intessuto fin da subito amicizie sincere con Alberto Moravia, Elsa Morante e Dacia Maraini. Insomma, proprio dalla tradizione letteraria e visiva in cui crebbe il giovane Bernardo, discendono, oltre all’amore per i testi letterari, il gusto per il melodramma, l’amore per le scene madri, l’approccio mitico e popolare, che fanno del regista parmense un punto di riferimento nel mondo. Il suo esordio come detto avvenne con Accattone, nel 1961, dove è aiuto-regia di Pier Paolo Pasolini. E proprio sotto l’egida dell’intellettuale romano La commare secca (1962), sarà il primo film da regista di Bertolucci. Tematiche ancora lontane dalle sue, molto pasoliniane, dalle quali ben presto si discosta, per inseguire un’idea personale di cinema basata sostanzialmente sull’individualità di persone che si trovano di fronte a bruschi cambiamenti del loro mondo e di quello circostante, a livello esistenziale e politico, senza che essi possano o vogliano cercare una risposta concisa. B e r n a r d o B e r t o l u c ci, Ugo Tognazzi e Anouk Aimee a Cannes nel 1981.

Tale tematica sarà presente praticamente in tutte le opere di Bertolucci, a partire dal secondo film, Prima della rivoluzione (1964), dove è esemplificata molto chiaramente nella storia di un giovane della borghesia agricola medio-alta di Parma, il quale, incapace di reagire al suicidio del suo amico più caro e incerto su una direzione da prendere, si getta a capofitto in una relazione con una matura e piacente zia giunta da Milano. Entrambi, però, si rendono conto che quella storia non può durare – lei è anche in cura da uno psicologo – e alla partenza della donna, al giovane non resta che sposare la sua precedente fidanzata, che lui non ama, facente parte dell’alta borghesia, matrimonio ben visto dalla sua famiglia.

B e r n a r d o B e r t o l u c ci al Bifest di Bari nel 2018. Anche nei film che seguono, Bertolucci continua il suo personale discorso intorno all’ambiguità esistenziale e politica, ma il suo primo grande film sarà La strategia del ragno (1970), film dallo scarso successo di pubblico, acclamato però dalla critica. Un puzzle di menzogne e verità, passato e presente, ispirato al racconto Tema dell’eroe e del traditore, di Borges e alla pittura di De Chirico. Piccoli assaggi di quello che sarà il trionfo dei film successivi, in cui Bertolucci matura definitivamente la sua maniera di vivere e raccontare il cinema. Il successo planetario infatti, arriva due anni dopo con Ultimo tango a Parigi (1972), il film scandalo degli anni ’70. Una pellicola che esce con un divieto ai minori di 18 anni previo taglio di 8 secondi del primo amplesso tra i due protagonisti (splendidi Maria Schneider e Marlon Brando), consumato in piedi. Sequestrato, assolto, nuovamente sequestrato, è condannato alla distruzione del negativo per oscenità dalla Cassazione, il 29 gennaio 1976 (con perdita dei diritti civili per cinque anni per Bertolucci). Il 9 febbraio 1987 viene riabilitato con sentenza di “non oscenità” perché “mutato il comune senso del pudore”, con conseguente dissequestro del film che nel 1988 passa per la prima volta in tv. Oggi, in tempo di hard-core di massa, le proverbiali prestazioni erotiche di Brando e della Schneider con il burro non sconvolgono più nessuno, ma rimane un caposaldo fondamentale del genere erotico d’autore. Ultimo tango a Parigi è invecchiato bene, ancora capace di parlarci della solitudine e della distanza fra i sessi nella nostra società. Alcuni connubi risultano azzeccatissimi -la strana, infernale plasticità di Brando; la luce pastosa del direttore della fotografia Vittorio Storaro; e la musicale mobilità della macchina da presa di Bertolucci- ne fanno un’opera “indimenticabile” nella storia del cinema mondiale.

E questo “indimenticabile” riecheggia e si applica perfettamente anche alle successive opere: su tutte Novecento (1976), un’epica grandiosa e “hollywoodiana”, piena di grandi nomi del cinema nostro e internazionale, che racconta cinquant’anni di storia padana, a tratti potente e commovente, a tratti retorica e manieristica , sempre audace per le dimensioni e le ambizioni. Ma “indimenticabile” è anche La tragedia di un uomo ridicolo (1982), ingiustamente rimasto nell’ombra, ma che ci consegna un Ugo Tognazzi intenso e drammatico veramente da Oscar, d’altronde si aggiudica la “Palma d’oro” come migliore attore protagonista al Festival di Cannes. B e r t o l u c c i s u l s e t d i N ovecento.

E “indimenticabile” senza se e senza ma è L’Ultimo Imperatore (1987), un film che fa strappare i capelli agli americani e che conquista a sorpresa nove Oscar: un’opera veramente monumentale, un trionfo di diplomazia e creatività, di gusto scenografico italiano e di abilità narrativa. L’aggettivo “indimenticabile” sarebbe indicato anche per Il tè nel deserto o per The dreamers, che riecheggia Ultimo tango a Parigi nelle atmosfere, ma è tutta la carriera di Bertolucci a poter essere apostrofata come “indimenticabile”, come la standing-ovation di 35 minuti che il Bif&st gli ha decretato nella sua ultima uscita pubblica lo scorso aprile. Il saluto di un grande intellettuale, regista e artista al mondo del cinema e non solo, un commiato concluso con questa frase, che rimarrà indelebilmente scolpita negli annali:

“Il cinema è la nostalgia di un qualcosa che non abbiamo mai vissuto”

Bernardo Bertolucci

Training Film – The Startup-Accendi il tuo futuro (2017)

Il diciottenne, romano della periferia, Matteo Achilli (interpretato da un intenso Andrea Arcangeli) vuole diventare un nuotatore di successo, ma il suo allenatore gli preferisce il figlio dello sponsor della squadra, suo compagno di squadra meno bravo. Matteo si rende conto che l’Italia è un paese che premia la raccomandazione invece del merito.

L ’ i m p r e n d i t o r e M a t t e o Achilli (a sinistra) con l’attore Andrea Arcangeli, che lo ha interpretato nel film.

Ma il motivato ed entusiasta giovane non si dà per vinto e decide di buttarsi negli studi; viene accettato dalla prestigiosa Università Bocconi di Milano, dove mette a punto un motore di ricerca/social network basato su un algoritmo che classifica gli utenti, aspiranti ad un incarico professionale, in base al merito, al curriculum accademico ed alle esperienze lavorative.

Il motore di ricerca inventato da Matteo si chiami Egomnia (che in latino significa “io sono ogni cosa”) ed incontrerà ostacoli e ostracismo di ogni tipo prima di affermarsi. E mi fermo qui per non spoilerare nient’altro.

La storia del film è basata su fatti e personaggi realmente esistenti, ed allora il film del regista Alessandro D’Alatri, che si ispira nelle tematiche, nel titolo, nella grafica e nel montaggio al ben più famoso The Social Network di David Fincher (ma lì la storia parlava di Mark Zuckerberg e di Facebook), trascura la parabola finanziaria del vero Matteo Achilli (imprenditore controverso che tanto è incensato dai media generici quanto osteggiato dal mondo degli esperti di settore e degli startuppers), per concentrarsi sugli aspetti, sempre positivi, del ragazzo sfigato che diventa uomo realizzato a dispetto di tutti e tutto.

Perché vedere questo film?

Il film va visto perché il regista Alessandro D’Alatri è di mestiere e riesce a confezionare un film eccellente, curato nei dettagli, dal ritmo narrativo teso e con una fotografia, di Ferran Paredes Rubio, smagliante e tagliente che restituisce a Milano, location principale del film, un atmosfera moderna e retrò allo stesso tempo, come se la “Milano da Bere” anni ’80 fosse stata trasportata nei nostri giorni. E, benché racconti una storia ed un personaggio controversi, rappresenta un ottimo pretesto per parlarci di riscatto, volontà, ostacoli e successo.

Questa sera, mercoledì 28 novembre, in seconda serata, alle ore 23:20, su Rai 2, canale 2 del digitale terrestre, non perdete il film “The Startup – Accendi il tuo futuro” (20017) di Alessandro D’Alatri con Andrea Arcangeli, Paola Calliari, Matilde Gioli, Luca Di Giovanni, Matteo Leoni.

68 anni di : la grande anima d’Italia dei tempi moderni

Per quanto lo stesso Carlo Verdone respinga al mittente il paragone con Alberto Sordi per umiltà o per semplice superstizione, è innegabile che l’attore romano dagli anni ’80 ad oggi, sia stato il più fulgido e concreto costruttore di maschere sociale che rappresentano l’italiano medio di fine millennio e di parte del nuovo secolo. Il cinema di Verdone, è un cinema che guarda alla realtà che lo circonda, i suoi personaggi sono monumenti comici, velati di malinconia, sui vizi, sui tanti difetti e sulle poche virtù dell’uomo italico. Verdone piace ed è intelligente come nessun altro, perché parla di noi stessi, perché parla di un popolo che lui conosce benissimo e che ha anche studiato prima di compiere il passo decisivo sul grande schermo. Già perché Carlo è laureato in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” con una tesi intitolata “Letteratura e cinema muto italiano”, nonché diplomato in regia al Centro Sperimentale cinematografico di Roma. Il padre Mario, decano dei Critici cinematografici italiani, gli ha in qualche modo inculcato e passato la passione per il Cinema, il talento e la caparbietà hanno poi fatto il resto.

I l s u o d e b u t t o c i nematografico avviene nel 1980 con Un sacco bello sotto l’egida addirittura del grande Sergio Leone, che si spese affinché il film vedesse la luce, convincendo la Medusa a produrre e distribuire il film. Realizzato in cinque settimane con un budget di 500 milioni di lire, il film si guadagnò i favori di critica e pubblico, con un incasso di oltre 2 miliardi. Diviso in tre episodi che si sviluppano sullo sfondo di una Roma semideserta (siamo a ferragosto), Un sacco bello è costruito intorno a tre personaggi, comici e al contempo malinconici, tutti interpretati da Verdone, con una vis comica di incredibile efficacia. Anche la sua seconda esperienza, ovvero Bianco, rosso e Verdone (1981), segue la falsariga della prima opera, una rinnovata kermesse di personaggi del suo repertorio, in cui però emerge la figura attempata ma divertente di , la sorella di Aldo, meglio nota come la “Sora Lella”, da allora entrata nella leggenda. Ma è da Acqua e sapone (1983) in poi, che il cinema di Verdone acquista quelle sfumature agrodolci che sono il segreto del suo successo e che lo ergono come il guru della nuova commedia all’italiana (e in questo riecheggia ancora il paragone con Alberto Sordi). In Acqua e sapone Verdone scende nel campo sentimentale basandosi su un fatto reale in puro stile da commedia all’italiana.

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Acqua e sapone infatti, ha uno spunto che si basa su un servizio giornalistico della Rai, realizzato da Carlo Sartori, che raccontava il fenomeno delle cosiddette “babymodelle”, per lamentare lo sfruttamento delle madri sulle loro figlie prodigio; madri non molto sensibili alla necessità di uno sviluppo psicologico equilibrato delle figlie adolescenti, che le privavano di una serena infanzia per portarle a tappe forzate al successo. Per il ruolo della giovanissima partner femminile, Verdone sceglie Natasha Hovey, nel 1983 soltanto 16enne, per cui adattissima alla parte. Questa volta il nostro abbandona bulli di borgata, padri beceri e burini emigranti ,e sonda per la prima volta(e non sara’ l’unica) le ragioni del cuore. Ne vien fuori un ritratto semplice ma mai banale,una storia dal contenuto esile che tocca momenti di pura ilarita’. E’ la svolta della carriera cinematografica di Verdone, che pur non abbandonando mai del tutto gli istinti iperbolici e virtuosisti degli esordi (vedasi Viaggi di nozze – 1995 e Grande, grosso e Verdone - 2008), pone le basi del suo modo di raccontare il cinema: un registro meno comico, con un certo retrogusto amaro nella stesura delle storie e più attento ai temi della modernità, del cinismo e degli eccessi della società e del disagio dell’individuo di fronte ad essa. E la goffaggine e inadeguatezza della maschera comica ha fatto posto alle nevrosi e all’ipocondria, reazioni quasi somatiche alle pressioni di un mondo frenetico. Verdone mantiene comunque un rapporto, per così dire, privilegiato con i canoni della commedia all’italiana presenti nella tradizione, dai grandi della comicità fino ad arrivare ai dettami di un cinema più impegnato, tenendo fede ad uno stile “medioalto” che ne fa un regista e un interprete tra più amati dal pubblico.

In mezzo a tanti film di successo, tra cui due insieme al grande Maestro Alberto Sordi (In viaggio con papà -1982 e Troppo forte -1986), si arriva al 1988 del capolavoro della carriera autoriale e attoriale di Carlo Verdone. Parliamo del celebratissimo Compagni di scuola, anche a detta dello stesso attore romano, il film della vita. Ed effettivamente Compagni di scuola ha tutto per essere considerato non solo un capolavoro, ma tra i migliori film dell’intera storia del cinema italiano. E infatti è uno strepitoso spaccato veritiero e agghiacciante dell’Italia degli anni ’80, che si affaccia ai ’90; ma anche malinconico ritratto, che fa parte dell’esperienza comune di tutti, sulle rimpatriate di ex liceali. Verdone immagina, quello che in fondo sono le rimpatriate: malinconiche, tristi e amare, in cui si riaccendono antiche antipatie, si suscitano commiserazioni, si riacutizzano invidie sopite e anche vecchi amori, si esumano scherzi vetusti, si contano i morti, si constata quanto la vita ci trasforma e non in meglio. Ma poi ognuno torna alla propria vita, come una parentesi fuori tempo massimo, come il ricordo di una magia cercata, forse ritrovata per qualche attimo, ma che non torna più. Compagni di scuola, parla di noi, parla di tutta una generazione, parla di emozioni che sono nei nostri cuori, sopiti magari dagli impegni e dalle frenesie quotidiane; parla di ricordi malinconici, parla di nostalgie, di quello che desideravamo di essere e forse non lo siamo; parla delle nostre ansie, delle nostre paure. Si ride, ma si ride amaro, in pieno stile da commedia all’italiana, cui sono chiare le radici, con le sue virtù (la capacità di osservazione, la cattiveria) e i suoi vizi (il cinismo spicciolo, l’adesione alle volgarità di alcuni personaggi). PER APPROFONDIRE:

■ Scopri la nostra rubrica dedicata al Cinema

Maturato come regista, Verdone è in grado di tenere sotto tiro per due ore una ventina di personaggi senza dispersione né cadute di ritmo, né momenti opachi: la mano è sempre leggera, farsa e dramma sono tenuti ugualmente a distanza. E al di là degli interpreti c’è tanto del suo autore nell’opera, c’è tanto della sua capacità di descrivere un’epoca, perché vuoi o no, Compagni di scuola è la riflessione su un’epoca, gli anni ’80, forse perché siamo alla fine del decennio (fine 1988) e quindi è anche giusto fare un bilancio; forse perché gli anni ’80, pur tra tante contraddizioni, sono il più periodo più nostalgico del nostro Paese. Tutto è giusto, ma è anche certo che Verdone si dimostra ancora una volta ottimo osservatore di un vissuto reale sul viale del decadentismo, la sua “Lente” d’osservazione entra a 365 gradi sull’involgarimento e l’A- culturazione di un periodo amaro a livello sociale.

Altro film considerato dallo stesso Verdone, sul suo podio personale, è Maledetto il giorno che t’ho incontrato (1992), una tragicomica storia d’amore di una coppia nevrotica e insoddisfatta, in cui Verdone si serve della straordinaria bravura di , bella, brava, graziosa e raffinata. Maledetto il giorno che t’ho incontrato è la commedia della maturità di Carlo Verdone regista e attore, un cammino intrapreso da Acqua e sapone in poi, più spazio al racconto e all’approfondimento dei caratteri e con situazioni comiche incastonate bene nel contesto. Questo è film sull’impossibilità dell’amicizia tra uomo e donna, infatti i due si innamoreranno. Ispirato a Harry ti presento Sally, di Rob Reiner, il film è però tra i più riusciti della carriera di Verdone. I personaggi non sono superficiali o banali, ma anzi, sono definiti bene e presi di peso dalla vita reale. Molte scene sono da antologia, come la scenata di gelosia a tre, con i due uomini che passano alle mani; oppure i momenti di fretta, gli eventi concitati che si sovrappongono, l’incomprensione dovuta alla lingua, e la donna che mette in scacco l’uomo con i suoi capricci o i suoi colpi di testa. Il regista-attore è qui misurato e controllato sia nell’uno che nell’altro dei suoi ruoli. Non si compiace di sé e non gira a vuoto. Margherita Buy è perfetta per la parte, specie quando fa la nevrotica e val la pena dirlo, qui è al massimo della sua bellezza. Insomma, un piccolo grande film senza eccessi e non pretenzioso, che regge bene per le sue quasi due ore di lunghezza.

Ma il cinema di Verdone, oltre che dominato da una propria indipendenza autoriale (altro paragone con Sordi, vi pare?), è anche un cinema corale, fatto di brevi sodalizi con alcuni ugualmente grandi colleghi. Possiamo nominare ad esempio Cuori nella tormenta (1984), delizioso remake di Dramma della gelosia: tutti i particolari in cronaca (1970), recitato in coppia con Lello Arena; oppure I due carabinieri (1984), in coppia con Enrico Montesano; l’esilarante e surreale 7 chili in 7 giorni (1987), al fianco di Renato Pozzetto; il film corale Grand Hotel Excelsior (1982), in cui Verdone divide la scena e il successo con Diego Abatantuono, Enrico Montesano e Adriano Celentano; e per finire con il più moderno L’abbiamo fatta grossa (2016), in coppia con Antonio Albanese. Tante donne, tante attrici anche al fianco di Carlo Verdone nel corso dei 40 film della sua strepitosa carriera: dalle già citate Natasha Hovey (Acqua e sapone, Compagni di scuola) e Margherita Buy (Maledetto il giorno che t’ho incontrato; a (Viaggi di nozze, Sono pazzo di Iris Blond); ad Ornella Muti (Io e mia sorella, Stasera a casa di Alice)ad Asia Argento (Perdiamoci di vista); per finire con Laura Morante (L’amore è eterno finchè dura); o Paola Cortellesi (Sotto una buona stella).

Insomma…68 anni, 38 di carriera cinematografica, 40 film da attore, 26 da regista, 9 Nastri d’argento, 9 David di Donatello, 5 Globi d’oro, mai nessuno in Italia come Carlo Verdone, preso letteralmente d’assalto sulla sua pagina facebook da migliaia di auguri provenienti da tutta Italia. Segno che Verdone è forse l’attore italiano in vita più amato e che la sua aura è ormai pari a quella di un Totò o di un Sordi o di un Troisi, una leggenda vivente a cui dobbiamo dire grazie per la profondità delle descrizioni sociali dei suoi film, sempre azzeccate e ricche di sfumature. Qualcuno solleva un’unica pecca: mai un riconoscimento a livello internazionale? La risposta è semplice, cosi come lo fu per Sordi. Verdone è troppo italiano, ha rappresentato troppo l’essenza più profonda dell’essere italiano per poter ricevere un premio internazionale. E questo non è una pecca, ma un pregio, perchè probabilmente solo 4 attori sono stati talmente italiani, da comprendere cosa vuol dire il Cinema per il nostro Paese e cosa vuol dire “essere italiani” nel suo significato più intimo, più profondo: Totò, Alberto Sordi, Massimo Troisi e Carlo Verdone, mai nessuno come loro.

La Copertina d'Artista - Ottobre 2018

Una grossa ruota in pietra di un frantoio, fotografata in un bianco e nero denso e stratificato, quasi espressionista, fa bella mostra di sé sulla copertina d’artista di questo ottobre 2018. Come mai l’artista di questo numero, al secolo Antonella Pucci (classe 1982), ha scelto un’immagine così antica, arcaica quasi, per rappresentare la copertina di un numero che parla di innovazione?

Forse il riferimento allude alla ruota come invenzione, che permise al genere umano di affrancarsi dalla fatica e di dare avvio alla prima rivoluzione tecnologica?

Oppure più precisamente si riferisce alla ruota del frantoio, quindi, ad una macina, che permise di dare avvio alla prima produzione di massa del cibo lavorato, raffinato e trasformato in prodotti completamente nuovi, che affrancò gli antichi popoli dalla fame e dalle carestie?

O ancora, più sottilmente, l’artista si riferisce alla ruota come esempio paradigmatico di tecnologia ante litteram, una scoperta o un’invenzione, così geniale che in millenni di storia non è cambiata e ci dimostra che le vere scoperte e rivoluzioni scientifiche, le innovazioni insomma, sono perfette così come sono e che durano per sempre? L’ultima ipotesi mi pare la più plausibile, forse perché è anche mia opinione che il progresso odierno sia quasi sempre effimero, di scarsa portata, e di natura pressoché consumistica. L ’ a r t i s t a d i q u e s t o n u m e r o d i S m a r t M a r k e t i n g , A n tonella Pucci. Quante tecnologie pensavamo dovessero durare per sempre, ed invece sono morte lungo la strada del futuro?

Tante, troppe per stilare un qualsiasi elenco appena accettabile.

Mentre la ruota, come il libro o la forchetta, benché siano rimaste pressoché immutate, hanno radicalmente trasformato la nostra società.

Quindi il passato secondo la nostra artista è il nostro futuro, il nostro avvenire, la vera innovazione?

Forse più che una fotografia, prima ancora che un’immagine, l’opera di Antonella Pucci è una lezione di storia ed un esercizio spirituale di umiltà?

C o n - f u s i o n i , 2 0 1 7 .

Forse l’artista ci sta dicendo che, se davvero vogliamo progredire ed innovarci, dobbiamo raccogliere l’eredità del nostro passato, ed in questo il titolo scelto per l’opera: “Moviment- AZIONE: progresso umano”, ci fornisce un preciso e decisivo indizio.

Lo so ci sono troppe domande in questo articolo, ma è il destino dell’arte quello di porci domande e non facili risposte. Sta a noi completare il processo creativo dell’artista, interiorizzando l’opera nella nostra esperienza, allora, e solo allora, se mai dovesse emergere una qualche risposta, anche se diversa da quella degli altri, anche se differente dalle intenzioni dell’artista, potremmo stare sicuri che sarà una risposta vera, autentica e genuina. Quando dopo le innumerevoli domande posteci dall’arte, finiremo per dare una risposta personale e meditata, passeremo dalla semplice speculazione estetica alla vera cultura. T e m p i o m o d e r n o , 2 0 1 7 .

Antonella Pucci frequenta il Liceo Artistico Lisippo di Taranto e successivamente studia architettura all’UNIBAS – Università degli Studi della Basilicata, frequentando diversi ed importanti workshop di studio dell’immagine e di fotografia.

Dal 2010 dedica la sua attenzione alla fotografia di architettura e di paesaggio, indagando luce, ombra, dettagli e geometrie dei luoghi, delle città e del territorio. S t o r i e , 2 0 1 6 .

Ultime mostre:

2017

Mostra personale CON-FUSIONI – “I dettagli si fondono e confondono”, al Museo Narracentro di Palagiano (TA).

2016

Mostra collettiva di fotografia “Storie” al Laboratorio Urbano di Mottola (TA).

2015

Mostra collettiva di fotografia di architettura al Festival dell’Architettura Archival, Università degli Studi della Basilicata.

2012

Mostra collettiva_Ex.0 Cambiamenti di Stato con l’Università degli Studi della Basilicata, al Palazzo Lanfranchi di Matera, Museo di arte medievale e moderna della Basilicata, nell’ambito di Matera 2019.

Per informazioni e per contattare l’artista Antonella Pucci: [email protected]

Ricordiamo ai nostri lettori ed agli artisti interessati che è possibile candidarsi alla selezione della quarta edizione di questa interessante iniziativa scrivendo ed inviando un portfolio alla nostra redazione: [email protected]

innovation.now - L’Editoriale di Raffaello Castellano

Sono le ore 20:00 del 30 ottobre del 1938, la notte che precede Halloween: la Radio CBS di New York trasmette un programma live, il Mercury Theatre on Air, una serie di adattamenti dal vivo di classici letterari. Il programma è di nicchia e non avendo sponsor, va in onda senza interruzioni pubblicitarie. Ad ideare e condurre lo show c’è un attore talentuoso e giovanissimo di soli 23 anni: Orson Welles.

L ’ a t t o r e e f u t u r o r egista Orson Welles.

Quella sera si sta mettendo in scena l’adattamento di un romanzo “La Guerra dei Mondi” di H.G. Wells, che parla di un’invasione aliena da parte dei marziani. Lo sceneggiatore che ha rimaneggiato l’opera originale, Howard Koch, ha trasposto i fatti narrati dalla Londra vittoriana alla New York degli anni ’40, inoltre, la narrazione fu modificata in modo da sembrare una cronaca in diretta dell’attacco dei marziani, con tutto il corollario di interviste ad esperti, bollettini ufficiali, discorsi di autorità, testimonianze, grida, esplosioni e via discorrendo. L’effetto fu tremendamente realistico, tanto che getto nel panico 2 milioni di ascoltatori, un terzo dei sei milioni di cittadini americani in ascolto; vi furono fughe in massa, atti vandalici, incidenti mortali ed addirittura suicidi. Quando si scoprì che si trattava di uno show, anche lo scandalo fu nazionale, nei mesi successivi furono dedicati alla faccenda oltre 12.000 articoli e le critiche contro la “giovane” industria radiofonica furono aspre. La radio infatti era ancora considerata un mezzo di comunicazione pericoloso ed incapace di gestirsi autonomamente e bisognoso di misure e restrizioni legali per impedirne l’effetto pervasivo e persuasivo.

Senza troppi sforzi potremmo considerare lo scherzo radiofonico di Orson Welles (che grazie ad esso divenne una star e diede avvio alla sua sfolgorante carriera), come un primo caso ante litteram di fake news (noi abbiamo trattato l’argomento nel numero di febbraio 2018).

La radio all’epoca era come l’internet di oggi, più veloce ed immediato della stampa e raggiungeva le persone nelle loro case, nei bar, nei locali, dove si riunivano piccole comunità. Eravamo nel periodo fra le due guerre, i cittadini americani stentavano ancora a riprendersi dalla Grande Depressione del 1929 e, inoltre, le notizie provenienti dall’Europa, con la Germania e il Giappone sempre più pericolosi e guerrafondai, avevano evidentemente scoperto il nervo emozionale della nazione che, inquieta, insicura e impaurita era pronta a credere a tutto, forsanche all’invasione degli alieni.

Dopotutto i regimi totalitaristi dell’epoca, nazisti, fascisti o franchisti che fossero, stavano già manipolando le folle attraverso la propaganda (trasmessa su tutti i media, ma soprattutto attraverso la radio) contro un nemico immaginario, politico, religioso o etnico che fosse, al fine di guadagnare consenso.

Ma perché per presentare questo numero di Smart Marketing dedicato all’innovazione, vi ho raccontato una storia così “datata”?

Perché a distanza di 80 anni dai fatti della vigilia di Halloween del 1938, possiamo affermare che nulla, o quasi, è cambiato, se non i mezzi, gli strumenti tecnologici e la natura dei manipolatori. L’informazione manipolata e falsa viaggia oggi non più su onde medie, ma su frequenze digitali, invece di ingombranti apparecchi a valvole abbiamo snelli e sinuosi smartphone e tablet, invece di regimi totalitari abbiamo le grandi multinazionali dell’informatica. Noi siamo rimasti gli stessi, fragili, impressionabili, sensibili e incapaci, il più delle volte, di riconoscere il vero dal falso. O r s o n W e l l e s d i r i g e l e prove al Mercury Theater nel 1938.

Ed allora?

Allora forse dovremmo studiare di più le lezioni del passato, spogliandoci della nostra presunta onniscienza, della nostra fittizia perspicacia, perché come ha detto Winston Churchill:

“Più si riesce a guardare indietro, più avanti si riuscirà a vedere.”

Quindi una vera e reale innovazione sarà possibile solo attraverso il recupero della nostra storia, della memoria dei fatti accaduti, per evitare che il nostro futuro sia solo una reiterazione degli sbagli e degli errori passati.

Buona lettura e innovazione a tutti.

Raffaello Castellano

La “nuova” frontiera del cinema italiano: la commedia corale

Dalla seconda metà degli anni ’90, almeno fino a tutto il primo decennio del nuovo millennio, il cinema italiano dal punto di vista qualitativo ha affrontato il punto più basso della sua centenaria e gloriosa storia. Viceversa, è il caso di dirlo, nel secondo decennio degli anni ‘2000, le cose sono cambiate radicalmente. E non parliamo soltanto per l’assidua opera dei nostri cineasti più illuminati: Sorrentino, Garrone e pochi altri. Ma parliamo di tutto l’humus artistico e culturale che prende vita nella pancia media del nostro cinema. In quella sorta di via di mezzo tra il film d’autore e quello più semplice o ridanciano. E qui ci rifocalizziamo sul genere che ha fatto la fortuna del nostro cinema, ovvero la commedia.

La commedia all’italiana infatti, era un genere che parlava degli italiani, di noi stessi, dei nostri tanti vizi e delle nostre poche virtù. Lo si è fatto negli anni ’60 e lo si è riproposto con altri volti e altre situazioni, negli anni ’80. Oggi, alla luce di tutte le trasformazioni che ha subito il cinema dal 2010 ad oggi, possiamo con certezza dire, che siamo di fronte ad una “terza” commedia all’italiana, basata sul gioco di squadra, sulla coralità e su una qualità interpretativa davvero considerevole da parte delle nostre giovani o meno giovani leve.

Negli ultimi anni infatti, una squadra di attori si sta facendo avanti in formazione compatta, interpretando film dalla struttura corale ben orchestrata. No, non stiamo parlando della manciata di interpreti, spesso provenienti dalla televisione o dal cabaret (o peggio, dal cabaret televisivo), che popola da anni le commedie dei “telefoni bianchi”. Parliamo di quel gruppo legato da affinità artistiche e da un’amicizia decennale che ha trovato la sua vetrina principale negli ultimi film di Paolo Genovese, di Edoardo Leo, di Rocco Papaleo, di Massimiliano Bruno, di Sydney Sibilia, di Francesca Archibugi, di Gabriele Muccino e potremmo ancora continuare. Ricordate la banda Salvatores negli anni Ottanta e Novanta?

Ecco, oggi intorno ad alcuni autori, si è creata una squadra che non solo si interfaccia a livello di recitazione, ma contribuisce al progetto in fase di sceneggiatura, talvolta partecipando anche alla produzione, e formando una sorta di factory creativa di quelle che erano a lungo mancate al cinema italiano. Valerio Mastandrea, Marco Giallini e appaiono sia in “The place”, che in “Perfetti sconosciuti”; ma Marco Giallini è stato anche tra i protagonisti di “Tutta colpa di Freud”, dove troviamo anche Alessandro Gassman. Lo stesso attore e figlio d’arte interpreta pure “Il nome del figlio” al fianco di e Rocco Papaleo, e proprio con quest’ultimo ha intrapreso un profondo rapporto amicale e lavorativo, da “Basilicata coast to coast” a “Onda su onda”, diretti entrambi da Papaleo. A cui Gassman ha restituito il favore dirigendolo nel film “Il premio”, in uscita a fine 2017 e dove si registra anche la presenza del sommo Gigi Proietti.

Poi c’è Edoardo Leo, direttamente dalla saga in tre film di “Smetto quando voglio”, dove troviamo anche il “grosso” Stefano Fresi, che già aveva lavorato con Edoardo Leo in “Noi e la Giulia”, e che a novembre è in sala con “La casa di famiglia”, interpretato tra gli altri anche da Lino Guanciale. In “Noi e la Giulia” oltre a Claudio Amendola c’è anche Anna Foglietta, strepitosa moglie di Valerio Mastandrea nel film “Perfetti sconosciuti”. E in “Perfetti sconosciuti” c’è anche Giuseppe Battiston, che già con “Bar sport” aveva sperimentato la commedia corale. E non possiamo non citare o non ricordare “A casa tutti bene”, l’ultima fatica corale di Gabriele Muccino, in un cast monstre che annovera attori di consumato talento come Gianmarco Tognazzi, Pierfrancesco Favino e Stefano Accorsi.

Ma tutt’intorno ci sono anche altri attori, che in maniera più sporadica partecipano al completamento del genere, sviluppatosi per intuizione o forse solo per mero successo commerciale negli ultimi sei/sette anni. Ci sono in ordine sparso Barbara Bobulova e Riccardo Scamarcio per “Una piccola impresa meridionale”; Claudio Amendola per “Noi e la Giulia”; Valeria Golino e Micaela Ramazzotti per “Il nome del figlio”; Kasia Smutniak per “Perfetti sconosciuti”; Silvio Muccino e Sabrina Ferilli per “The place”; Pietro Sermonti e Giampaolo Morelli per la saga di “Smetto quando voglio”; Michele Placido per “Viva l’Italia”; Giovanna Mezzogiorno per “Basilicata coast to coast”; Gigi Proietti per “Il premio”; Lino Guanciale per “La casa di famiglia”.

Insomma tutti questi attori e autori lavorano in sinergia dentro e fuori dal set e rappresentano ormai una vera e propria squadra, che alternandosi, si presenta più o meno sempre compatta al giudizio del pubblico. Che cosa comporta questa tendenza in fase di realizzazione? Comporta una collaborazione artistica e uno scambio creativo che non si vedeva dai tempi della commedia classica all’italiana. Certo, non necessariamente raggiungendo gli stessi risultati artistici, ma certamente aspirando alla stessa sintonia. È un fatto noto che alla scrittura di “Perfetti sconosciuti”, ad esempio, oltre al team di sceneggiatori, hanno partecipato attivamente gli interpreti, aggiungendo aneddoti e dettagli per arricchire le loro caratterizzazioni e il flusso del racconto. Ma lo stesso discorso può essere fatto per “Noi e la Giulia” o per “Smetto quando voglio” e altri film corali dell’attuale periodo.

Insomma ci troviamo di fronte ad un vero e proprio lavoro d’orchestra, che è ben evidente anche quando le avventure degli interpreti non si svolgono perennemente insieme. Infatti, in “The place”, nonostante gli interpreti recitino insieme regolarmente, uno alla volta, solo con Valerio Mastandrea, è evidente che fra di loro si è formato un team e si è instaurata una familiarità che, per lo spettatore, comincia ad avere il valore di un ritrovo fra amici. E di questo gioco di squadra, di questo lavoro d’orchestra, come lo avevamo chiamato sopra, ne giova tutto il cinema italiano attuale nel suo complesso. E il fatto che questa coralità, sia pienamente inserita nel discorso del genere della commedia, non fa che aumentare i paragoni con il passato e il prestigio dell’attuale lavoro d’orchestra. Perché se è vero che il passato dei Gassman padre, dei Tognazzi o dei Manfredi è difficilmente raggiungibile; è pur vero che questo gruppo di attori conferma la propensione italica alla commedia, dove probabilmente nessuno è stato bravo o è bravo quanto noi. E se l’età anagrafica di questo gruppo d’attori, più o meno coincide e si attesta sull’età di mezzo, segno inequivocabile di una certa esperienza lavorativa, nonché di una giovinezza d’animo che tarda a scomparire, quella che vediamo sul grande schermo è una squadra compatta e coesa, riconoscibile come gruppo creativo, e non solo come singole professionalità.

Ma è il ping pong fra questi attori abituati a confrontarsi anche fuori dal set a creare quell’onda d’urto che, al di là della singola riuscita artistica dei film che interpretano, porta pubblico in sala e crea appuntamento. E non è poco, per il cinema italiano. Ormai dunque, si è creato un nuovo genere, quello della “commedia corale” e se giocassimo un po’ a cercare un prodromo o una paternità a questa invenzione cinematografica del secondo decennio degli anni 2000, un capostipite può essere rintracciabile in “Basilicata coast to coast”, picaresco film diretto da Rocco Papaleo, un po’ “Armata Brancaleone” e un po’ commedia errante, che rispolverando la vecchia commedia corale ha fatto capire ai nostri autori, come il gioco di squadra tra attori, può creare sinergia, competenza, esperienza e quant’altro al servizio di un “nuova” commedia all’italiana, che letteralmente è la descrizione di noi stessi vista attraverso gli eroi del cinema. E in tal senso, nel cinema italiano attuale, nessun film descrive i vizi, i segreti e le piccole meschinità dell’italiano medio meglio di “Perfetti sconosciuti”, de “Il nome del figlio” e di “A casa tutti bene” che nella commedia corale attuale ne rappresentano i modelli da seguire, in vista di altri futuri capolavori.

Come essere efficaci sui social media: lo studio di BuzzSumo

Il recente report di BuzzSumo “Content Trend 2018” apre scenari inquietanti per quanto riguarda l’efficacia dei contenuti sui social ed è per questo che le aziende devono saper trovare professionisti di web marketing realmente competenti che sappiano valorizzare aziende, prodotti e servizi online. Vediamo qualche dato in questo articolo.

Sicuramente oggi il passaparola rimane il mezzo più autorevole per le persone in quanto la fiducia maggiore si ha nella comunicazione da pari a pari: ecco perché sempre più aziende si affidano ai cosiddetti influencers e le condivisioni sui social media sono uno strumento fondamentale per far conoscere l’azienda, i prodotti e i servizi a un pubblico sempre più ampio.

La condivisione dei post permette di creare brand awareness e generare fiducia, eppure, come detto sopra, gli scenari sono veramente inquietanti. Dall’analisi di oltre 100 milioni di post BuzzSumo ha notato come dal 2015 il numero di condivisioni sui social media si sia ridotto del 50% a causa di diversi fattori a causa dell’aumento del volume dei contenuti pubblicati.

Per approfondire:

■ Scopri la nostra rubrica dedicata ai Social Media

Ormai i social media vivono una condizione di saturazione, una sorta di “infobesità” che si unisce al calo della reach organica delle pagine aziendali su Facebook. Aumentano però le azioni del cosiddetto dark social, ovvero le condivisioni private, le email e la messaggistica istantanea attraverso Messanger.

A questo si aggiunge la perdita di efficacia di clickbaiting e liste, peraltro penalizzati dallo stesso Facebook e dei post virali a causa delle modifiche apportate da Facebook all’algoritmo. Aumentano, invece, le condivisioni dei contenuti faziosi o contenuti tribali.

L’importanza di una buona reputazione online In questo contesto di over informazione oggi chi vince sono quelle aziende e quei siti web che hanno costruito nel tempo una solida reputazione, basata sulla capacità di offrire contenuti originali e autorevoli come ricerche, guide, ebook e report.

Si tratta di materiali che riescono ancora a ottenere link e condivisioni in quanto sono contenuti “evergreen” e senza tempo. A questo si abbina una evoluzione dei social media, a partire dallo stesso Facebook: questi strumenti sono sempre più endorsed e boosted media e una buona reputazione è oggi molto più importante della capacità di creare un contenuto virale.

C o m e e s s e r e e f f i c a c i s ui social media e l’importanza del content marketing. Fonte: https://chrismooremedia.co.uk/the-cycle-of-sharing/

Le conseguenze per chi si occupa di content marketing sui social media Dati questi risultati ecco che non mancano importanti implicazioni per chi fa content marketing sui social media, ecco alcuni spunti di riflessione:

■ I social hanno ancora un ruolo fondamentale, ma più per creare brand awareness e coinvolgimento che per generare traffico ■ L’obiettivo del contenuto efficace non è più ottenere conversioni con titoli virali ma pensare se le persone possono sentirsi partecipi del contenuto e quindi condividerlo con gli amici ■ La nuova priorità per le aziende è costruire autorevolezza e una solida reputazione ■ Il bravo content marketer lavora sulle nicchie di contenuti prima che lo facciano alti e i newsbrand generalisti sono destinati a valere e funzionare sempre meno. Lo stesso avviene a livello aziendale ■ E’ importante valorizzare il concetto di distribuzione diretta, a partire dalla newsletter che sta vivendo una nuova crescita ■ Vanno incoraggiati gli user generated content ed è ormai necessario promuovere i contenuti più efficaci con apposite campagne di Facebook Ads, focalizzando l’attenzione sulla qualità e non sulla quantità dei post ■ Non si può più rinunciare a conoscere le tecniche di scrittura SEO per i social media, elemento essenziale per essere trovati online.

Conclusioni

Se può essere scritto, o pensato, può essere filmato” – Stanley Kubrick

Sappiamo come i video online siano oggi uno dei principali driver del traffico, ma il vero boom dei video avverrà nel 2019 e si prevede questo strumento genererà la metà di tutto il traffico online dato un rapporto di interazione del 60% superiore alle foto.

Concludiamo questo articolo con una risorsa utile a chi fa content marketing in azienda: il Content Marketing Template, da scaricare subito.