Angelo Maria Ardovino I Laghi Dei Balcani

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Angelo Maria Ardovino I Laghi Dei Balcani ANGELO MARIA ARDOVINO I LAGHI DEI BALCANI In primo piano una baia greca, a metà un isolotto nordmacedone, sullo sfondo le coste albanesi. Questa sì che è l'Europa, ragazzi! 1. Greci, Albanesi e Slavi nel XVI secolo 21 luglio Un mio amico italoalbanese, Virgilio Avato, persona dotta quindi trilingue (gli italoalbanesi colti sanno an- che il greco, la loro lingua liturgica), mi ha fatto conoscere questo straordinario documento. In questo post per motivi pratici pubblico solo la foto dell’inizio, ma me ne sono procurato la versione integrale, di cui darò notizie a chi me le chiederà. In esso i Chimarioti, cioè gli abitanti della costa dell’Albania meridionale, o dell’Epiro settentrionale, se lo preferite, offrono al Papa Gregorio XIII (quello del calendario gregoriano, tanto per capirci) di sottomettersi alla Chiesa cattolica. Non è una scelta religiosa, ma politica. Si faranno cattolici se il Papa convincerà Filippo II, re di Spagna e di mezzo mondo, ma anche re di Napoli, sull’altra riva dello Ionio, a un intervento armato contro i Turchi. Siamo nel 1581, sono passati dieci anni dalla battaglia di Le- panto, e si aspettano che Filippo II, che aveva vinto per mare, venga a vincere anche per terra. In realtà il re aveva ben altri pensieri, ma il documento è di eccezionale interesse storico. Naturalmente è in greco, ed è redatto a Corfù da un letterato, Michail Argyros, nel dialetto colto dell’isola, ma con un’ortografia medievale diversa da quella odierna (ad esempio i nominativi plurali in ες diventano αις) che lo rende a prima vista di difficile lettura. I Chimarioti si dichiarano Greci e Albanesi, non hanno nes- suna voglia di distinguersi, perché insieme devono resistere ai Turchi e perché sono abituati a convivere. Insistono sull’unione dei popoli, anche perché così richiamano che nel regno di Napoli i Greci e gli Albanesi convivono felicemente e usano la lingua greca per scrivere e per dire messa, così come vogliono fare anche loro, pur aderendo al Cattolicesimo. In realtà in quegli anni nel Regno di Napoli c’è una forte repressione della cultura greca, da cui scampano gli Albanesi, ma non i Romei, che scompaiono come popolo nella Puglia settentrionale, in Basilicata e nel Cilento; ma i Chimarioti non lo sanno, e credono che a Napoli si sia realizzato il modello in cui credono, e cioè che Greci ed Albanesi possano vivere insieme ed usare il greco come lingua liturgica e per gli interscambi. Modello sviluppatosi un po’ alla volta nel medioevo e che durerà finché non prevarrà nell’800 il nazionalismo, fonte di stragi, espulsioni e migrazioni. Ma attenzione, nella partita non ci sono solo Albanesi e Greci. Nell’elenco dei paesi dei Chimarioti che aderiscono alla supplica al papa oltre a tanti nomi albanesi e greci ci sono diversi nomi prettamente slavi. Gli Slavi sottoscrivono lo stesso accordo che prevede la sottomissione al papa e l’uso del greco come prima lin- gua. Ma non è tutto. Nel documento si nominano le regioni vicine che si solleverebbero in armi se Filippo venisse a portare la guerra ai Turchi. Innanzitutto la Morea, oggi chiamata all’antica Peloponneso, dove dopo la Peste Nera c’era stata una forte immigrazione albanese, e poi la Macedonia. Per Macedonia non dobbiamo pensare alle dispute attuali sul nome. È evidente che in questo discorso si parli dei territori a Nord dei Chimarioti. Kostandinos Sathas, famoso storico greco dell’800, che come tutti, allora, scriveva in francese, lo spiega con “Albanie”, e certo il primo territorio che viene in mente è la fascia da Valona a Durazzo e all’antica capitale Croia. Dunque per un grande storico greco dell’800 è pacifico che il nome Macedonia designi i territori a Nord della penisola greca anche quando non sono popolati da Greci. Ma esso non può comprendere solo Valona e dintorni. Non sappiamo fin dove arrivasse la Macedonia che il dotto Argyros dice pronta a ribellarsi, ma è verosimile che la ritenesse parte di un’area più vasta, che dall’Adriatico si estendeva verso Ochrida e Salonicco. Più o meno, il territorio a Nord della penisola greca, dai Monti Acro- cerauni alla Valle di Tempe. Quindi, nel greco del XVI secolo Μακεδωνία indica un’area a Nord, indipenden- temente da chi ci abiti. Data la superiorità culturale del greco sulle lingue vicine possiamo essere certi che anche tra gli Albanesi, gli Slavi e i Valacchi ci fosse lo stesso uso. Il concetto geografico di Macedonia era vivo all’inizio dell’età moderna, anche se non era collegato a nes- suna realtà politica o nazionale (idea che del resto doveva ancora svilupparsi). Ci si poteva dire Macedoni alludendo alla regione, senza che a nessuno venissero in mente le assurdità che si sono sentite da parte slavomacedone, dove si sono cercate origini di un’improbabile nazione macedone prendendo a prestito le origini altrui, e da parte greca, dove si è sostenuto con antistorica arroganza che gli Slavi della Macedonia non si fossero mai chiamati Macedoni, se non dopo una certa riforma federale voluta dal Maresciallo Tito, e dovessero cambiare nome. Assurdità ancora più grave, che per anni ha portato antipatia alla Grecia e che ha dilatato per reazione le tesi opposte slave, fino all’inversione di tendenza che c’è stata qualche anno fa, che ha permesso alle parti di iniziare a parlarsi, e permette adesso a un osservatore di proporre alcune riflessioni sugli equivoci da chiarire e le fratellanze da ripristinare. La mia prossima riflessione sarà sugli equivoci balcanici, cominciando da quelli slavi. Ma ce ne sarà per tutti. 2. A caccia di Re Perseo e di Marco Polo 22 luglio Qualche amico greco ce l’ha con me perché ho criticato la pretesa di precludere agli Slavi il nome di Mace- donia, ma a mia discolpa racconterò che quando lavoravo al Ministero per i Beni Culturali ho partecipato alla repressione di un loro tentativo di appropriarsi di memorie greche, e più precisamente del re Perseo. È la prima volta che ne parlo, perché ormai, a tanti anni dai fatti, e in una situazione politica del tutto mutata, non ci sono più quelle ragioni di riservatezza di ufficio che prima mi vincolavano. Perseo fu re della Macedonia, anche perché aveva fatto uccidere il fratello Demetrio. Fu l’ultimo re, ma non morì in battaglia, come deve fare un re e come fece, ad esempio, Costantino XI nel 1453. Pianse davanti al comandante romano, Emilio Paolo, e chiese salva la vita per sé e per i suoi figli. Fu accontentato, e relegato ad Alba Fucens, nelle montagne a un centinaio di chilometri da Roma, dove c’era un luogo di confino desti- nato ai pochi re sconfitti che i Romani non mettevano a morte. Il primo fu Siface re di Numidia, l’ultimo Bituito re degli Alverni. Perseo vi passò i suoi ultimi anni e vi morì nel 166 a.C. Il figlio rimase a guadagnarsi di che campare ad Alba Fucens. Personaggi da dimenticare. Poco più sotto passava la via Tiburtina Valeria, lungo la quale molti anni dopo furono eretti alcuni mausolei. Un po’ alla volta sorse la leggenda che uno di essi fosse la tomba di Perseo, malgrado che questi fosse molto più antico e fosse stato sepolto come la gente comune e non certo come un re. Leggenda senza importanza, finché un bel giorno del 2008 o giù di lì non arrivò alle orecchie di una TV di Skopje. Partì una troupe, filmò il mausoleo, in realtà un rudere informe, vi fece mettere un cartello, strinse amicizie con i paesani ospitali e se ne tornò a casa. Tempo dopo mi arrivò al ministero la richiesta di scavare la tomba di Perseo, recuperare le ossa reali e – udite udite – traslarle a Skopje! Come se fosse possibile scavare un rudere come quello e trovarvi pure uno scheletro da traslare! Partì l’ordine di rimuovere quel cartello. Alcuni giornalisti locali scrissero che si erano intromesse le autorità greche, ma vi svelo un segreto. Non sono state loro, sono stato io! Da Skopje non hanno più insistito e ciò mi fa pensare che l’iniziativa non fosse degli archeologi locali, a quanto so rispettabilissimi, ma di qualche burocrate che voleva farsi bello, nel momento in cui partiva il folle progetto di Skopje 2014, in cui un mausoleo con le spoglie di un re non ci sarebbe stato niente male. Il pro- getto Skopje 2014 è stato una sciagura, la costosa monumentalizzazione di una città di provincia, e sarebbe bene che i Greci lo conoscessero per capire quel che ha passato la Macedonia. Ne parlerò un’altra volta. Adesso bisogna riflettere sull’appropriazione della memoria di Perseo. Capisco che in un programma monu- mentale come Skopje 2014 tutto potesse servire, ma Perseo non è un personaggio glorioso come Filippo o Alessandro. Era un usurpatore, fratricida, avido e vigliacco. Trattato con disprezzo in vita e in morte. Perché rivendicarne le spoglie? Perché in quella che io chiamo ottica balcanica non si deve buttare niente. Tutti i popoli dell’area sono stati sballottati avanti e dietro e hanno un cattivo rapporto con la loro storia. La storia delle genti si confonde con quella delle regioni. Pare una sciocchezza, e forse in termini di materialismo storico lo è, ma in queste condi- zioni questi popoli avvertono il bisogno di rinforzare le loro radici, di dare argomenti alle maestre per spiegare ai bambini che fanno parte di un popolo glorioso che ha una storia, ed avendo una storia ha ragione di esi- stere. E quando queste radici non ti bastano, ne crei altre. Intendiamoci, tutti si appropriano dei meriti altrui.
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